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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE CORSO DI LAUREA IN RELAZIONI INTERNAZIONALI ETNOGENESI E STATOGENESI IN KAZAKISTAN DALLA SOCIETÀ TRADIZIONALE ALLO STATO MODERNO (XV-XX SECC.) RELATRICE: TESI DI LAUREA DI: prof.ssa Annamaria BALDUSSI Stefano LODI ANNO ACCADEMICO 2005-2006

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE CORSO DI LAUREA IN RELAZIONI INTERNAZIONALI

ETNOGENESI E STATOGENESI IN KAZAKISTAN DALLA SOCIETÀ TRADIZIONALE ALLO STATO MODERNO

(XV-XX SECC.)

RELATRICE: TESI DI LAUREA DI: prof.ssa Annamaria BALDUSSI Stefano LODI

ANNO ACCADEMICO 2005-2006

Indice

Premessa 1

Capitolo I. Il popolo e il territorio 3

Il territorio 3

Il territorio kazako: considerazioni conclusive 9

L’emergere dell’etnia kazaka 11

Il popolo 15

L’organizzazione sociale kazaka 22

La religione dei nomadi kazaki 32

Capitolo 2. La lenta penetrazione russa 36

Origini dell’imperialismo russo 37

La prima fase della conquista del Kazakistan: contatti commerciali 46

Tra fedeltà e rivoltà: la sottomissione della Piccola e Media Orda 50

Il protettorato russo sull’Orda Piccola e Media 53

Prima fase del dominio russo (1822-1865) 57

La conquista della Grande Orda e delle valli (1865-1905) 61

La colonizzazione del Kazakistan 69

Conseguenze socio-economiche 73

Conseguenze culturali e politico-identitarie 76

La classe intellettuale kazaka 79

Rivoluzioni e rivolte. I primi decenni del XX sec. 81

Capitolo 3. Ascesa e negazione del nazionalismo (1917-1953) 91

Gli effetti della Rivoluzione di Febbraio 94

Il Governo dell’Alash Orda e l’opposizione 103

Gli anni Venti 109

L’economia staliniana 122

Statificazione compiuta 126

Epilogo 131

Bibliografia 134

Premessa

La storia rappresenta tutt’oggi un elemento importante della cultura di tutta l’Asia

Centrale. V’è una conoscenza generalizzata del passato locale, sconosciuta a noi occidentali e che è causa di autentica fierezza per la popolazione. Essa alimenta il senso di appartenenza e la consapevolezza delle proprie specificità rispetto al mondo circostante1. Di contro, la storia di queste genti è rimasta a lungo e tutt’oggi rimane in buona parte sconosciuta al di fuori di quest’area, se non tra un ristretto numero di specialisti2. Specialisti teoricamente chiamati a disporre di competenze così variegate da poter essere con difficoltà padroneggiate virtuosamente da una sola persona o da un limitato numero di queste3.

Risponde quindi ad una scelta ben precisa l’utilizzo di un cospicuo numero di opere provenienti da settori disciplinari differenziati e apparentemente distanti, pur principalmente opere storiche, ma rispondenti ad un approccio o focus completamente differenti. Il lavoro che segue infatti, pur sostanzialmente una normale indagine politologica affrontata su base storica, non poteva basarsi esattamente su alcun lavoro compiuto o approccio collaudato. Certamente ci si è ampiamente rifatti ad alcune opere essenziali del settore, veri e propri monumenti degli studi dell’area e la cui influenza risulta in molti punti palese. Eppure, nessuna di esse, per quanto simile o vicina, ricalca esattamente l’approccio richiesto da questo lavoro, indipendentemente dai suoi risultati finali e sostanziali. Si aggiunga a questo l’estrema povertà di analisi che non si focalizzano sull’Asia Centrale (variamente definita) nel suo complesso e ancor di più su un singolo stato o popolazione dell’area, come nel nostro caso il Kazakistan.

Infine va considerato come una delle maggiori difficoltà nello studio di un qualsiasi stato dell’area siano le fonti primarie, la loro incompletezza, la loro attendibilità o anche solo la loro accessibilità. In particolare, le informazioni sulla vita più antica nell’area non possono essere rinvenute da fonti scritte locali, dato che tutta la conoscenza veniva tramandata oralmente e la sua trascrizione cominciò in epoca russa4. Nel passato, le prime informazioni nel mondo “esterno” provenivano da rari viaggiatori europei, mentre gli storici orientali preferirono registrare informazioni sulla vita nelle oasi. In tempi più recenti informazioni più dettagliate cominciarono a provenire sempre a seguito della penetrazione russa5.

Accanto al problema della lingua, al passaggio dallo zarismo all’URSS si affiancò il problema della possibilità di accesso alle fonti russe al riguardo o di effettuare degli studi in loco, della circolazione di documenti provenienti dall’Unione Sovietica o dell’esclusione degli studiosi locali dal grande circuito scientifico internazionale6. A questi si aggiunsero le pubblicazioni e la retorica “di regime” che contribuirono a confondere le idee e a distorcere la realtà di questa già poco nota area7.

Nel mentre, essa divenne una “moda” tra gli studiosi occidentali essenzialmente per motivi politici. Si credeva infatti che l’ampia minoranza musulmana, concentrata al sud

1 Svat Soucek, A history of Inner Asia, Cambridge University Press, Cambridge 2000, p.16 2 Lawrence Krader, Peoples of Central Asia, Uralic and Altaic Series Vol.26, Indiana University. Bloomington, Mouton & Co. Hague 1963, p.73 3 John Joseph Saunders, History of the Mongol Conquest, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 2001 (1971), p.13 4 L. Krader, op.cit, pp. 44-45 5 Martha Brill Olcott, The Kazakhs, Hoover Institution Press, Stanford 1995, p.3 6 Ingvar Svanberg (a cura di), Contemporary Kazaks, Cultural and Social perspectives, Curzon, Lingby 1999, pp. vii-viii 7 Edward A. Allworth, The modern Uzbeks, from the fourteenth century to the present, a cultural history, Hoover Instintution Press, Stanford 1990, pp.vii-x

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dell’Unione Sovietica, cioè proprio in Asia Centrale e intorno ad essa, avrebbe rappresentato il principale fattore di destabilizzazione interno dell’avversario. In seguito, la crisi afgana e la rivoluzione khomeinista accesero nuovamente sul finire degli anni Settanta i riflettori sull’area. Immediatamente dopo il collasso sovietico l’area apparve agli occhi del mondo come finalmente dischiusasi in un “normale” settore geo-politico “abitato” da stati. Da un lato essa attirò distrattamente l’attenzione per il semplice fatto che si trattava di un angolo di mondo “esotico” completamente sconosciuto ai più8. Dall’altro, in maniera parzialmente analoga a quanto accaduto negli anni Sessanta, essa venne considerata da molti esperti il “vaso di Pandora” dello scenario internazionale9. Seppure queste impressioni a circa dieci anni di distanza poterono apparire superate, i talebani afgani hanno provveduto a richiamare per la terza volta in pochi decenni l’attenzione. Oggi, seppur non direttamente, l’area rimane parte indistinta, ma integrante, di quel “luogo oscuro” del mondo in cui, in un modo o nell’altro, buona parte delle paure contemporanee sembrano avere origine.

Ciononostante il lavoro che segue non si occuperà sistematicamente degli sviluppi contemporanei, né dell’area nel suo complesso. Come vedremo, le fasi della storia del Kazakistan non coincidono periodicamente con la storia dell’intera Asia Centrale e tanto meno il paese è legato ad ogni parte della regione con la stessa profondità. Il mondo centrasiatico, ed in particolare il settore settentrionale, rimarrà la cornice entro la quale si compiranno per osmosi gli avvenimenti che verranno descritti ed analizzati. Il compito di questo lavoro sarà allora proprio quello di evidenziare le specificità del percorso di formazione di una statualità kazaka, premessa imprescindibile per la comprensione esatta dei problemi attuali, sia in termini di politica interna (assetto istituzionale, nation making, politica delle minoranze, etc.) sia di politica estera. E’ infatti precisa convinzione di chi scrive che solamente lo studio delle dinamiche di lungo periodo, opportunamente attualizzate, possa fornire le chiavi di lettura di fenomeni a noi contemporanei, ma che trovano organicamente la propria spiegazione reale nell’analisi di fenomeni solo in apparenza lontani e “passati”.

Infine, proprio a causa della varietà delle fonti e delle mie scarse competenze

linguistiche, ho preferito accettare la traslitterazione utilizzata da ciascun autore cui si è di volta in volta fatto riferimento, senza preoccuparmi eccessivamente dell’omogeneità dei nomi. Potrà così capitare che i medesimi luoghi o i medesimi soggetti (singole persone, movimenti, associazioni, partiti, etc.) possano essere citati in maniera differente in vari punti della trattazione (come nel caso dei leader Alash, citati in lingua kazaka, variamente trascritta, tatara o turca, nonché russa). Sono stato d’altronde confortato in questa scelta da pubblicazioni di ben più alto livello10, confidando da ultimo nel fatto che chiunque si avvicini ad un lavoro di questo tipo non troverà comunque difficile orientarsi, per competenza o pura e semplice intelligenza.

8 Peter Ferdinand (a cura di), in The New Central Asia and its Neighbours, Chatham House Papers, The Royal Institute of International Affairs, Pinter Publishers, London 1994, pp.1-3 9 Marie-Carin Von Gumppenberg, Staats- und Nationsbildung in Kazachstan, Leske-Budrich, Opladen 2002, pp.11-14 10 Geetha Lakshmi, Ethnic Conflict in Central Asia. A comparative Study of Tibet and Kazakhstan, New Dehli 2003, p. vii

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Capitolo I. Il popolo e il territorio

Il primo capitolo di questo lavoro è una premessa inevitabile ai successivi. Esso risponde infatti a un quesito “primitivo”: “Come si è originato un territorio kazako?” O meglio: “Quand’è che questa specifica etnia s’è formata e “ha dato il proprio nome” a questo territorio?”

Come vedremo, il Kazakistan non solo è un ampio territorio, ma è anche fortemente differenziato al proprio interno11. Non è costituito dalla semplice somma di singole “entità geografiche” (catene montuose, fiumi, etc.) i cui territori risultano integralmente incorporati nel territorio statale. Specie lungo i confini il territorio kazako attraversa aree geografiche condivise con altri stati. Questo significa che non si ha una caratterizzazione geografica tale da renderlo facilmente “auto-evidente”, chiaro, indiscutibilmente coeso, uniforme, un’entità spaziale a sé e inequivocabilmente distinguibile (come potrebbe essere un’isola). Non è quindi un’uniformità fisica ad aver suggerito o imposto una qualche coesione politica e sociale. In altre parole, il Kazakistan, come qualsiasi altro territorio dell’Asia Centrale, area culturale o area politica “necessita di una definizione”12.

L’ambizione di questa sezione è quella di evidenziare la stretta correlazione tra “spazialità fisica” e “spazialità politica”. Ovviamente l’idea di “territorio” associata a un’entità politica è un’elaborazione umana, un costrutto che segna il passaggio dalla geografia fisica a quella politica. Di qui la necessità di individuare i processi che hanno portato a quest’esito e di individuare i soggetti che se ne sono fatti protagonisti.

Questo approccio trova conforto nel fatto che il “determinismo geografico” sia sorto proprio tra gli studiosi dell’Asia Centrale, in particolare dal lavoro di Ellsworth Huntington. Probabilmente in nessun altro luogo del pianeta le condizioni di partenza sono parse agli scienziati sociali così limitative e discriminanti per l’insediamento umano. O forse semplicemente straordinari gli esiti in termini di civilizzazione, dati questi presupposti. Queste prime posizioni sono state in seguito radicalmente criticate, in quanto qualsiasi fenomeno storico trovava in esse una spiegazione “ecologica”, con totale negazione della dimensione “socio-umana”. Così per esempio, il crollo di determinate strutture politiche veniva esclusivamente ricondotto ad un coincidente periodo di siccità; e via dicendo. Il meccanicismo di questo approccio non poteva chiaramente essere esaustivo13. Ciononostante, pur con le dovute correzioni, esso può ancora fornire importanti indicazioni per l’analisi dei fenomeni politici, non solo in una prospettiva storica. E quanto mai in Centralasia14. Ed è da questo approccio di studio che, pur con scarsa competenza e in maniera non sistematica, si rifarà la trattazione successiva.

Il territorio L’attuale territorio del Kazakistan è così delimitato: a nord il confine si divide in una

porzione europea (per convenzione al di qua degli Urali) e una asiatica che comprende

11 Martha Brill Olcott, Kazakhstan, in Glenn Eldon Curtis (a cura di), Kazakhstan, Kyrgyzistan, Tajikistan, Turkmenistan, and Uzbekistan. Country Studies, Federal Research Division, Washington 1997, p.21 12 Yuri Bregel, Historical Atlas of Central Asia, Brill, Leiden 2003, pp. vii-viii 13 Lawrence Krader, Peoples of Central Asia, Uralic and Altaic Series Vol.26, Indiana University. Bloomington, Mouton & Co. Hague 1963, pp.4-8 14 David Menashri, Central Asia meets the Middle East, Frank Cass, London-Portland 1998, p.25

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le steppe meridionali della Siberia; a est e sud-est rispettivamente dalle catene dell’Altai e del Tian Shan; a sud dal Lago d’Aral e dalla valle del Syr Darya; a sud-ovest dal Kara Bogaz Gol.

Dal punto di vista della geografia politica, i paesi confinanti con il Kazakistan sono a nord e nord-ovest la Repubblica Russa, la Repubblica Popolare Cinese ad est, a sud il Kirghizistan e l’Uzbekistan, il Turkmenistan a sud-ovest e a occidente i quattro paesi che s’affacciano sul Mar Caspio (in senso orario: Turkmenistan, Iran, Azerbaigian e Russia)15. Tuttavia, così come per il Mar Caspio a occidente, appare limitativo considerare le catene dell’Altai come una barriera dal punto di vista geo-politico. Specialmente da un punto di vista storico e etnografico, ciò porta a considerare la Mongolia un “vicino” a tutti gli effetti del Kazakistan16.

Situato nel cuore del continente centrasiatico, l’attuale territorio del Kazakistan è il nono paese al mondo per estensione (2.717.300 Kmq)17. La sua massima distanza da est a ovest raggiunge approssimativamente i 3.000 chilometri e da nord a sud all’incirca i 2.000 chilometri18. L’ampiezza del suo territorio fa sì che esso comprenda svariati paesaggi geo-umani, mentre la sua collocazione a cavallo d’Europa e Asia lo rende -oggi come nel passato- un crocevia culturale e “materiale” straordinariamente complesso e articolato, ben aldilà dell’apparente semplicità suggerita dall’inospitalità del territorio e, conseguentemente, dalla tradizionalmente bassa densità demografica19.

Il territorio del Kazakistan può essere analizzato in diversi modi. Una descrizione sufficientemente dettagliata delle località interne è il presupposto per la comprensione del fenomeno storico dal punto di vista evenemenziale. Da questo punto di vista, l’altitudine fornisce preziose indicazioni.

Complessivamente il Kazakistan è un vasto bassopiano interrotto solamente da due aree di media altezza, le montagne del Mugodzhar e l’Altopiano Kazako. Le prime dividono il settore pre-caspico dal bassopiano turanico a occidente. Il secondo separa le steppe dal bassopiano turanico a oriente. A queste vanno aggiunte le considerevoli elevazioni dell’Altai e del Tian Shan nelle estremità orientale e sud-orientale. Le diramazioni del Tian Shan entrano in territorio kazako in due punti separati e prendono rispettivamente i nomi di Monti Tarabagatay più a nord e di Dzhungrian Ala-Tau più a sud.

Le montagne del Mugodzhar sono due diramazioni parallele degli Urali, di cui la sezione occidentale è mediamente più elevata, seppure nessuna delle due superi in alcun punto i 1.000 piedi. Esse appaiono come una serie di piccoli rilievi distinti vagamente allineati da nord a sud.

L’Altopiano Kazako raggiunge la sua massima elevazione al centro, dove si scompone in massicci separati, e si dirama progressivamente in direzione dei suoi bordi, dove pianure collinari di lieve pendenza scivolano verso i bassopiani.

Infine, se le propaggini degli Altai in territorio kazako non superano mai i 2.000 piedi, quelle del Tian Shan raggiungono i 5.000 piedi.

15 Riccardo Redaelli, Kazakistan, in Valeria Fiorani Piacentini (a cura di), La Disintegrazione dell’Impero Sovietico. Problemi di Sicurezza Nazionale e Collettiva in Asia Centrale, Rivista Militare, Roma 1995, p.223 16 Peter Finke, The Kazakhs of Western Mongolia, in Ingvar Svanberg (a cura di), Contemporary Kazaks, Cultural and Social perspectives, Curzon Ed, Lingby 1999, pp.103-139 17 Dati in V. F. Piacentini, op. cit, p.223 18 V.P. Kurylev, Kazakhs, in R. Khanam (a cura di) Encyclopaedic Ethnography of Middle-East and Central Asia, Vol.2, Global Vision Publishing House, New Dehli 2005, p.408 19 Se la tecnologia permette oggi di rimediare all’ostilità del territorio, lo scarso tasso di natalità mantiene la densità demografica molto bassa (V.F. Piacentini, op.cit, p.225). Nel passato poi era lo stesso nomadismo a rendere particolarmente fragile la gravidanza.

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Rilievi principali; da: G.J. Demko, The Russian Colonization of Kazakhstan (1896-1916), Uralic and Altaic Series Vol.99, Indiana University. Bloomington - Mouton & Co. Hague 1969, p.18

I bassorilievi sono zone piuttosto omogenee. Unica eccezione è rappresentata dalle

aree in prossimità dei laghi. Nell’area pre-caspica in prossimità del Mar Caspio il livello del terreno scende al di sotto di quello del mare così da far filtrare parte delle acque del lago. La paludosità che ne deriva ha da sempre rappresentato un significativo ostacolo all’insediamento umano. Al contrario, nel bassopiano del Turan, è possibile incontrare delle zone sabbiose o loessiche rispettivamente attorno ai laghi d’Aral e Balkash e ai piedi del Tian Shan. Esse rappresentano delle eccezioni che hanno facilitato l’insediamento umano e perfino lo stanziamento agricolo. Analogamente, nelle steppe numerose conche naturali interrompono l’omogeneità dell’area consentendo all’acqua dei numeri corsi che vi scorrono di raccogliervisi20.

Di conseguenza, il territorio kazako può essere solo a prima vista suddiviso in due grosse porzioni: il Dashti-Kipchak che occupa tutta la sezione settentrionale e i deserti attorno ai grandi laghi al sud. Ma è innegabile che il vasto Kipchkak, per quanto uniforme, si differenzi da ovest a est o che la Semirechia differisca dalla regione del Syr Darya. Di conseguenza è necessaria una conoscenza più approfondita e una suddivisione più articolata per la comprensione della distribuzione e dei movimenti umani sul territorio.

Nella sezione occidentale partendo da nord-est si trovano le depressioni paludose pre-caspiche. Più a sud la penisola del Mangyshlak è analogamente caratterizzata da profonde depressioni che seguono le catene dell’Aktar e del Karatar. Dal Mangyshlak verso est fino al Lago d’Aral si estende il deserto di Ust Urt.

Nella porzione centro-occidentale, a est del bassopiano pre-caspico, si trova il plateau del Turgai. Al nord del lago d’Aral si trovano i massicci sabbiosi del piccolo e grande Balger, che fanno parte dei rilievi del Mugodzhar, e il deserto del Karakum. A sud di

20 George J. Demko, The Russian Colonization of Kazakhstan (1896-1916), Uralic and Altaic Series Vol.99, Indiana University. Bloomington - Mouton & Co. Hague 1969, pp.17-21

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questo e a oriente del Lago d’Aral è parzialmente compreso in territorio kazako il deserto del Kyzylkum.

Più a est il Kazakistan occupa la parte meridionale della Siberia occidentale. Al di sotto di essa si trova il deserto del Betpak-Dala, le cui sabbie sono divise da quelle del Muyurikum dalle acque del fiume Chu21.

Infine all’estremità orientale del paese, al sud del Lago Balkash si estende il deserto del Sarysesik-Atyran, mentre l’area sud-orientale nel suo complesso prende il nome di Semirechia. A nord di esso l’Altopiano Kazako segna la porzione nord-orientale dell’ampio Dashti-kipchak.

Ma il territorio kazako può anche essere suddiviso in maniera più funzionale ai nostri

scopi in tre regioni naturali, tutte allineate in senso verticale come illustrato nella seguente cartina.

Aree climatiche; da: G.J. Demko, op.cit, p.12

Il clima è il principale fattore a determinare questa differenziazione. Esso condiziona

da vicino le precipitazioni e i fenomeni atmosferici, quindi le caratteristiche del suolo, il tipo di vegetazione e i tempi del ciclo vegetativo22. La quarta area, quella delle montagne a sud-est, occupa solamente il 12,4% della complessiva superficie del paese23 e le sue peculiarità non sono unicamente imputabili al clima.

Le caratteristiche del clima sono innanzitutto condizionate dalla collocazione del paese rispetto alle masse continentali circostanti e agli oceani. Il Kazakistan è infatti il più grande paese al mondo senza sbocco al mare, oltre che il più lontano da acque oceaniche. Questo implica che le superfici d’acqua non possano mitigare il clima, “rallentando” i cambiamenti di temperatura24. Di conseguenza, la principale caratteristica di un clima continentale così caratterizzato sono le violente differenze di temperatura nell’arco della giornata e nel corso dell’anno su tutto il territorio. In maniera complementare analoghe differenze di temperatura riguardano anche le diverse

21 Rielaborazione da V.P. Kurylev, in R. Khanam (a cura di), op.cit, p.408 22 G.J. Demko, op.cit, pp.11-21 23 M.B. Olcott, in G.E. Curtis, Op. Cit , p.21 24 Reuel. R. Hanks, Central Asia. A Global Studies Handbook, ABC Clio, Santa Barbara, Denver, Oxford 2005, p.156

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località, a nord e a sud, nello stesso periodo. Così la temperatura media nelle steppe a gennaio è di 2° F, mentre quella di luglio è di circa 71° F. Simmetricamente a sud le temperature medie a gennaio saranno di 17° F e di ben 83° F a luglio25.

In inverno gli altipiani sono meno freddi della porzione steppica, che riceve invece i gelidi e asciutti venti settentrionali. Questi possono raggiungere in inverno maggiore forza, fino a trasformarsi in tempeste di neve (buran) e condurre ad una vera e propria ghiacciata del terreno (dzud). Specularmente al sud gli asciutti venti estivi (garmsil) avvizziscono tutto ciò con cui vengono in contatto, spesso riempendo l’aria di fitte nuvole di polveri finissime26.

La relativa scarsità di piogge e la loro irregolarità, insieme all’alto tasso d’evaporazione, rappresentano la principale caratteristica dell’area. I monsoni, così importanti per le coste oceaniche dell’Asia, sono tagliati fuori dalle massicce catene montuose a sud e sud-est27. Sul lato opposto, i venti occidentali riescono a mantenere parte della propria umidità una volta superate le catene degli Urali. Questa viene poi in parte rilasciata sulle steppe sotto forma di potentissimi e isolati temporali estivi da Giugno ad Agosto28. Conseguentemente la situazione si aggrava proseguendo da nord verso sud in corrispondenza delle tre zone sopra individuate. Nelle steppe la media delle precipitazioni annuali è infatti di circa 12 pollici per metro quadro, tra i 7 e i 12 pollici nell’area semidesertica e variabile, ma costantemente sotto i 10 pollici, nel deserto meridionale29.

Inoltre, la medesima distanza dagli oceani ha garantito bassissimi tassi di umidità, trattenuta dalle montagne o dispersa dai venti, che si traduce in una considerevole asciuttezza del clima30. Se questo fattore ha reso i più freschi territori settentrionali più salubri e favorevoli all’insediamento umano, è anche vero che ha contribuito a rendere quelli meridionali ancora più invivibili.

Clima, precipitazioni e evaporazione hanno contribuito alla formazione di determinati tipi di terreno. Si ha una progressione simile a quella climatica da nord verso sud, seppure non esattamente coincidente. A nord prevale il cosiddetto chernozem, terreno di colore nerastro e estremamente fertile in quanto ricco di humus. Tuttavia, esso necessità di abbondanti quantità d’acqua per poter essere sfruttato per scopi agricoli. Lo stesso tipo di terreno si trova più a nord oltre il territorio kazako nella parte più centrale della Siberia, ancora lontana dai ghiacciai che l’hanno resa famosa. Nel semideserto si trova invece il cosiddetto chestnuts, caratteristicamente scuro, relativamente fertile -seppur meno del chernozem siberiano- e particolarmente adatto alla coltivazione del grano. Tuttavia, risulta essere un terreno più fragile del precedente in quanto la mancanza di uno strato di humus e l’asciuttezza del clima lo privano facilmente della sua fertilità dopo ripetute arature. Il sierozems è il tipo di terreno tipico nell’area desertica. Esso varia da un color rossastro al grigio ed è normalmente inutilizzabile a fini agricoli, se non attraverso massicci interventi in sovrastrutture o attraverso l’utilizzo di tecnologie avanzate (estremamente costose, se non indisponibili fino a pochi secoli fa)31.

La vegetazione tipica del Kazakistan varia inevitabilmente in funzione dei fattori appena descritti. Al nord si trovano numerose varietà di cereali: il tipchak, simile all’avena, ma soprattutto vari tipi di erba, particolarmente ricca di nutrienti e per questo

25 G.J. Demko, op.cit, p.13. 26 Elizabeth E. Bacon, Central Asians under Russian Rule. A study in cultural Change, Cornell University Press, Ithaca, New York 1966, p.10 27 Samuel A.M. Adshead, Central Asia in World History, MacMillan Press, London 1993, p.14 28 E.E. Bacon, op.cit, p.10 29 G.J. Demko, op.cit, p.13 30 John Joseph Saunders, History of the Mongol Conquest, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 2001 (1971), p.11 31 G.J. Demko, op.cit, pp.13-15

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preziosa per il nutrimento delle mandrie32. I principali pascoli estivi (sary-arka) si trovano in quest’area. Nella zona semi-desertica prevale l’assenzio (polyn), un cereale più resistente al caldo, e erbe più rade. Nel deserto infine la flora appare molto più diradata e costituita essenzialmente da piccoli cespugli resistenti alla siccità, come le festuche. E’ possibile anche trovare dei tipi di erba, detti “erba salina” (solyanka). Tuttavia, data l’estensione dei deserti in proporzione a tutto il territorio e la presenza di fiumi o rilievi, è presente una qualche differenziazione, per esempio nei deserti sabbiosi (salvia e acacie) o vicino ai laghi (giunchi). Foreste potevano essere eccezionalmente presenti lungo i fiumi e rappresentano tutt’oggi la norma alle grandi altitudini33.

Infine il massimo livello di precipitazioni si ha mediamente in estate al nord, in tarda primavera nella regione semidesertica (maggio) e agli inizi di questa nella zona desertica (marzo). Conseguentemente la fioritura sembra partire da sud in primavera per

raggiungere gradualmente il nord in tarda estate. Questo ha avuto ovviamente ampie ripercussioni sugli spostamenti stagionali delle popolazioni nomadi dell’area34.

Data la complessiva aridità del luogo si può comprendere l’importanza delle risorse idriche. Le popolazioni centrasiatiche distinguono tra risorse di superficie (oqsu, acqua bianca) e risorse sotterranee (qorasu, acqua nera). Le prime sono state utilizzate solo marginalmente come vie di comunicazione/commercio e per la pesca. Le seconde sono particolarmente importanti per le popolazioni nomadi, che durante le loro migrazioni devono spesso affrontare aree prive di fiumi o laghi35.

Nel suo insieme l’Asia Centrale non è povera d’acqua, che è piuttosto concentrata sulle grandi catene montuose sotto forma di nevi perenni o ghiacciai. Il periodico scioglimento di questi ultimi alimenta quasi tutti i corsi d’acqua e laghi anche nel Kazakistan. Le elevate temperature estive portano ad un picco nel discioglimento dei ghiacciai che viene però compensato da un maggiore tasso d’evaporazione “a valle”. Una situazione opposta si viene a creare in inverno, cosicchè si ha una disponibilità d’acqua superficiale piuttosto costante e regolare36.

Nonostante le elevate temperature facciano essiccare molti fiumiciattoli nella stagione estiva e abbassino considerevolmente il livello dei laghi, rendendo le loro acque prevalentemente saline, il paese conta un totale di 85.000 specchi d’acqua e un cospicuo numero di fiumi, tra piccoli e medi, stagionali e non37.Nel loro insieme essi appartengono a quattro sistemi idrologici separati: quello caspico, quello aralico, quello meridionale e quello settentrionale.

Il Caspio è il più grande lago interno al mondo (371.000 kmq) e dal territorio kazako confluiscono in esso due fiumi, l’Ural e l’Emba. Il primo scorre a monte lungo la catena degli Urali e attraversa il Kazakistan solo nel suo ultimissimo tratto. Il secondo sorge sulle catene del Mugodzhar e scorre perciò interamente in territorio kazako. Pochissimi chilometri oltre il confine occidentale il Volga rimette le sue acque sul Caspio. In realtà alcune ramificazioni orientali del suo delta fanno oggi parte del Kazakistan. Piccoli fiumi minori riversano le proprie acque nelle varie conche presenti nell’area contribuendo alla creazione di piccoli laghi salini e alla paludosità dell’area.

Il Lago d’Aral è il quarto lago interno del pianeta (69.000 kmq) ed è alimentato dalle acque dell’Amu Darya e del Syr Darya. L’Amu Darya è il fiume più lungo di tutta l’Asia Centrale (2.540 km). Sorge sull’Hindukush, ma scorre completamente al di fuori del territorio kazako. Al contrario il Syr Darya si forma nel Tian Shan kirghizo per

32 J.J. Saunders, op.cit, p.11 33 V.P. Kurylev, in R. Khanam (a cura di), op.cit, p.409 34 G.J. Demko, op.cit, p.13 35 E.E. Bacon, op.cit, p.11 36 Robert A. Lewis, Geographic perspectives on Soviet Central Asia, Routledge, London-New York 1992, pp.82-83 37 V.P. Kurylev, in R. Khanam (a cura di), op.cit, p.408

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confluenza di svariati fiumi minori e attraversa la valle del Fergana prima di scorrere per la maggior parte della sua estensione in Kazakistan38. Sia per straripazione che attraverso il normale scorrimento, entrambi contribuiscono al deposito di fertili sedimenti lungo le sponde del Lago39. Lo sfruttamento dell’Aral è condiviso esclusivamente con l’Uzbekistan, mentre le acque del Syr Darya sono potenzialmente sfruttabili sia dal Kirghizistan che da Tajikistan e Uzbekistan prima che esso raggiunga il territorio kazako40.

Il sistema meridionale comprende il Lago Balkash e i fiumi Chu, Ili, Karakatal e Aqsu. Il fiume Chu disperde le sue acque nel deserto dopo averle raccolte nel lago Lissikul a ridosso dei ghiacciai kirghizi. L’altro grande fiume del sistema, l’Ili, proveniente dai ghiacciai cinesi del Tian Shan, si immette invece nel lago Balkash nella sua porzione occidentale fornendo l’80% delle sue acque e costituendo un ampio delta. Il Karakatal e l’Aqsu sorgono lungo il Tian Shan “kazako” e si immettono nella sezione orientale del lago41.Questo sistema idrologico è l’unico a dispiegarsi esclusivamente in territorio kazako.

Infine, l’Altopiano Kazako divide il sistema idrologico meridionale da quello settentrionale, senza che nessuno di essi possa propriamente attraversarlo, ma piuttosto affiancarlo alla base. I principali fiumi di quest’area sono l’Irtish (Ertis, in kazako) e i suoi affluenti, l’Ishim (Esil) e il Tobol (Tobyl). L’Irtish sorge nella porzione cinese degli Altai e si riversa nel lago Zaysan prima d’unirsi all’Ishim e al Tobol al di fuori del territorio kazako42. Questi ultimi due si formano invece rispettivamente sull’Altopiano e sulle catene del Mugodzhar. Questo sistema idrologico è l’unico a riversare le proprie acque verso un più ampio bacino oceanico43.

Nel complesso, fiumi e laghi sono equamente distribuiti lungo il territorio. I laghi diradano per numero da nord a sud44, ma esiste un’importante superficie d’acqua per ogni segmento longitudinale del paese (il Caspio a ovest, l’Aral al centro e il Balkash più a oriente). Il Caspio occupa la sezione occidentale in quasi tutta la sua altezza. Esso ha tuttavia avuto un’importanza economica, per i trasporti o per la pesca, solamente in età antica e non facilita l’insediamento umano stabile lungo le rive orientali, prevalentemente paludose. I due laghi sono invece collocati ben più a sud, in piena area desertica. Il deposito lungo le loro coste di fertili sedimenti ha facilitato lo svolgimento di attività agricole, rendendo quest’area una significativa eccezione rispetto al resto del paese fin dall’antichità. Infine, tutti i corsi e le superfici d’acqua contribuiscono tramite l’evaporazione a rendere ancora più favorevoli le condizioni per l’insediamento a nord e a ridurre l’incredibile asciuttezza dell’aria a meridione45.

Il territorio kazako: considerazioni conclusive Lo scopo di questa breve ricostruzione delle caratteristiche “fisiche” del Kazakistan è

finalizzata all’analisi storico-politica di fenomeni che su di esse si sono basati. A tal fine sono necessarie alcune puntualizzazioni che mettano in evidenza gli elementi più importanti.

In generale, è opportuno notare che, nella sua estensione attuale, il Kazakistan è l’unico paese centrasiatico a presentare tutti i tipi di ambiente (steppe, semi-deserto, 38 Jenniver Sehring, Aralsee, in M.C. Von Gumppenberg & U. Steinbach (a cura di), Zentralasien, Geschichte-Politik-Wirtschaft, Ein Lexicon, C.H.Beck, Munich 2004, p.21 39 R.A. Lewis, op.cit, p.83 40 J.Sehring in M.C. Von Gumppenberg & U. Steinbach (a cura di), op.cit, p.21 41 http://www.grid.unep.ch/activities/sustainable/balkhash/index.php, consultato il 15/07/2006 42 http://www.bartleby.com/65/ir/Irtysh.html, consultato il 15/07/2006 43 M.B. Olcott, in G.E. Curtis, op.cit, p.21 44 V.P. Kurylev, in R. Khanam (a cura di), op.cit, p.408 45 E.E. Bacon, op.cit, p.11

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deserto e montagne, oltre che la valle di uno dei grandi fiumi dell’area, il Syr Darya) e a essere toccato o inglobare i principali specchi d’acqua della regione (Caspio, Aral e Balkash). Questo rende lo studio dell’ambiente kazako prezioso per la conoscenza dell’intera area.

Più analiticamente possono essere avanzate le seguenti conclusioni: 1) E’ evidente che il territorio si rende progressivamente più ostile da nord a sud. 2) Questo è imputabile essenzialmente al clima e agli altri fattori che da esso derivano (precipitazioni, evaporazione e umidità dell’area). L’altitudine svolge un ruolo secondario nella definizione delle condizioni per l’insediamento umano. 3) Eccezione significativa è rappresentata dalle estremità montagnose orientali (Altai) e sud-orientali (Tian Shan), in cui essa consente condizioni di piovosità e disponibilità di vegetazione eccezionalmente più vantaggiose. Ma se le prime non hanno mai rappresentato un limite allo spostamento umano,46 le seconde sono sostanzialmente inabitabili nella porzione kazaka. Tuttavia i fiumi che scorrono ai suoi piedi hanno depositato un ampio strato di fertile loess e riducono l’asciuttezza del’aria. Questo accade anche nelle aree sabbiose attorno al Lago d’Aral e Balkash. 4) Fiumi e laghi rappresentano assieme al clima la grande variabile dell’insediamento umano e possono significative eccezioni alla regola generale (1). La presenza di fiumi importanti in ognuna delle tre aree principali, il bassopiano precaspico, quelli turaniano e siberiano fornisce un importante elemento di spiegazione, come vedremo, della distribuzione del popolo kazako. 5) Per concludere, le regioni più favorevoli all’insediamento umano sono le steppe a nord, le aree ai piedi delle grandi catene montuose o in prossimità di fiumi e laghi47.

Dal punto di vista della sua collocazione rispetto all’area circostante, s’è già fatto cenno alla “centralità” del territorio kazako rispetto ad Asia e Europa. Innanzitutto esso è il punto mediano della vasta piana steppica che si estende dal Pacifico all’Europa orientale, cioè dalla Manciuria all’Ungheria48. Ma tale centralità risulta essere confermata anche in relazione alla latitudine: il Kazakistan è infatti il territorio collocato più a nord di tutta l’Asia Centrale. Ma perfino considerando l’ostilità del territorio e il suo isolamento, l’epiteto tradizionale di “angolo morto” del continente eurasiatico49 non pare giustificato in relazione ai suoi rapporti storici con le altre parti dell’area centrasiatica o esterne ad essa. Pur sfuggendo all’analisi di singoli periodi o avvenimenti, va anticipato che la geografia ha reso “destino” per questi territori l’essere un tramite tra Asia interna (Russia, Mongolia e Cina nord-occidentale), l’area caspico-caucasica e le valli dei fiumi a sud, con tutto quello che esse, storicamente o in termini di geopolitica contemporanea, implicano. Non è un caso quindi che, più o meno direttamente, più o meno profondamente, tutte queste “civiltà” abbiano contribuito alla “formazione” del Kazakistan.

Ma è ormai chiaro che la geografia non basta da sola a spiegare gli alti e i bassi della storia. Manca ancora l’elemento “socio-umano”, la cui assenza o l’inadeguata considerazione si è in precedenza rimproverata ai “deterministi”. Compito della prossima sezione sarà allora proprio l’analisi di queste popolazioni, del loro insediamento o delle loro migrazioni. In definitiva, del modo in cui si sono adattate all’ambiente “naturale” e “sociale”.

46 J.J. Saunders, op.cit, p.11 47 G.J. Demko, op.cit, p.21 48 J.J. Saunders, op.cit, p.10 49 Definizione citata, ma non condivisa, da Ingvar Svanberg, op.cit, p.4

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L’emergere dell’etnia kazaka

La storia dell’intera Asia Centrale50 è convenzionalmente sottoposta alla seguente periodizzazione: preistoria, storia antica (predominanza politico-culturale iraniana nelle valli versus progressivo emergere dell’elemento altaico al nord), medioevo (turchizzazione; islamizzazione; invasione mongola; disgregazione dei regni chingisidi), epoca moderna (conquista russa), contemporanea (dominazione sovietica)51 e attuale (post-indipendenza). Tuttavia, in questo lavoro daremo un peso differente alle varie epoche. Questa scelta pare confortata dall’analogo trattamento delle varie fasi riscontrato in tutte le opere dei massimi studiosi del popolo kazako. Ovviamente accanto a questo esistono anche delle ragioni ben precise e facilmente argomentabili.

Il popolo kazako ha un’ indubitabile origine turca. La sua etnogenesi è legata innanzitutto a quest’ondata migratoria. E’ fuorviante avvicinare i kazaki a imperi o regni pre-esistenti. Questo è quanto è stato fatto da russi e sovietici per legittimare la preponderanza di determinate etnie in ciascuna RSS o quanto gli stessi stati centrasiatici ormai indipendenti oggi tendono a fare in seno alla politica di nation-building. Si può piuttosto accennare a quei popoli che hanno abitato, conquistato o attraversato l’attuale territorio kazako e hanno contribuito a integrarlo in epoca antica nel più ampio circuito di scambi culturali e materiali dell’area (si legga “Via della Seta”, e non solo). Il territorio kazako non è poi mai stato integralmente occupato dalle forze dell’Impero musulmano stanziatesi invece in Transoxiana. Per questo specifico motivo il processo di islamizzazione seguirà tempi e modalità che definiranno le specificità della “sintesi religiosa” kazaka. La dominazione mongola interesserà tutta l’area ed è forse il primo grande evento storico-politico che l’intero territorio kazako condividerà con tutte le altre popolazioni dell’area. Al crollo del dominio mongolo l’elemento etnico turco, pur mai spentosi ma piuttosto parte integrante della macchina politico-amministrativa e militare dei dominatori mongoli, riemerse chiaramente in tutta la sua rilevanza. Cionondimeno è solo a partire dall’invasione mongola, e le innovazioni sociopolitiche da essa determinate, che si creeranno i definitivi presupposti culturali e politici per l’emersione dell’etnia kazaka. La stessa dominazione mongola d’altronde contribuirà indirettamente anche a consolidare la presenza dell’Islam.

Anche la trattazione delle rimanenti fasi che indubbiamente il Kazakistan ha condiviso con le altre quattro repubbliche centrasiatiche segue una periodizzazione e richiede un approccio differenti. Il Kazakistan è stato il primo territorio in cui è iniziata la penetrazione zarista in Asia Centrale e in cui essa si può considerare completata ben vent’anni prima di quella del resto dell’area. In Kazakistan essa è stata quindi più lenta, graduale e ha conosciuto metodi distinti da quelli esclusivamente militari. E’ solamente a partire dalle ultime due fasi che, senza dubbio, la periodizzazione coincide con quella del resto dell’Asia Centrale. E non è un caso che, se alcune trattazioni precedenti (così come recenti pubblicazioni sul periodo più antico nella storia dell’area) considerassero

50 Mi pare plausibile parlare di molteplici Asie Centrali. Sostanzialmente questo può dipendere dall’approccio disciplinare o dal periodo storico preso in considerazione. Parlerei di un’Asia Centrale piccola, ristretta e limitata spazialmente e geograficamente, che sarebbe quella delle cinque repubbliche ex- o post-sovietiche. Questo è significativamente l’approccio oggi prevalente nell’analisi di politica interna o di politica estera contemporanee e un po’ di moda dopo la caduta dell’URSS. Esiste poi a mio avviso (se non nella realtà, nelle finzioni teoriche che cercano di spiegarla) un’Asia Centrale grande, molto più ampia e comprensiva. Essa allora include certamente le cinque repubbliche suddette, ma ingloba a pari diritto l’Asia interna (cioè Mongolia, Siberia meridionale e Cina nord-orientale, vale a dire la Mongolia interna ed esterna); il Turkestan orientale fino ai territori del Tibet storico; la restante area iranica (l’Afghanistan e l’Iran); l’area caspica e per esteso tutta la Russia musulmana. Il breve excursus storico che segue dimostrerà come anche la formazione del Kazakistan come entità politica e territoriale sia stata influenzata dalle dinamiche complessive che hanno interessato l’Asia Centrale grande. 51 L. Krader, op.cit, p.73

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il Kazakistan estraneo all’Asia Centrale (riflettendo incidentalmente la divisione amministrativa in epoca zarista tra “Turkestan” e “Provincia delle Steppe”), oggi esso venga a tutti gli effetti considerato un suo territorio.

Complessivamente, è possibile suddividere le primissime vicende del khanato in tre sottoperiodi principali: l’ascesa del khanato kazako nella seconda metà del XV sec; una fase intermedia che copre tutto il XVI sec. e in cui l’espansione territoriale consente il raggiungimento di un discreto sviluppo economico e demografico, a cui però non corrisponderà un accentramento politico compiuto; conclusosi questo periodo, a partire dal 1599 al 1731 inizierà un periodo caratterizzato da pesanti divisioni interne e da sempre maggiori interventi da parte di poteri esterni, che condurranno congiuntamente alla disgregazione della società kazaka e porranno i presupposti per la conquista russa.

Dalle ceneri dell’impero mongolo e dei suoi ulus, emersero svariate etnie e confederazioni tribali. Le lotte tra l’Orda d’Oro e l’Orda Bianca, permisero a Timur di porre fine a entrambe e di far riemergere politicamente l’elemento etnico turco, solo militarmente sottomesso dai mongoli. Dopo che egli trascorse buona parte della propria vita ingaggiando battaglie contro di essi e spingendosi fino in Russia e Persia, i figli stabilizzeranno i propri domini tra Khurasan e Fergana, con la Transoxiana come cuore pulsante del nuovo regno, dove l’antica civiltà islamica conoscerà un nuovo breve, ma importantissimo periodo di splendore. Al nord invece, i territori del Dashti-Kipchak rimasero occupati da molteplici gruppi nomadi che potevano vantare chiare origini chingisidi. Questi beneficiarono dell’intervento di Timur contro l’Orda d’Oro, in quanto avevano privato il territorio di una superiore autorità politica, lasciandoli completamente liberi di definire gli equilibri nell’area52. I Nogai occuparono le steppe del Dashti-Kipchak occidentale, mentre gli uzbek la valle del Syr Darya fino al fiume Irtish al nord53.

Ma la stabilità politica fu piuttosto precaria. Anche il khanato uzbeko dovette soffrire della complessiva magmaticità dell’area, che imponeva all’esterno una lotta tra confederazioni di tribù per la sopravvivenza e all’interno tra tribù della medesima confederazione per la successione dinastica. Fu così che, contravvenendo alla tradizionale successione di padre in figlio o alla spartizione del territorio di un regno tra i membri di una stessa famiglia, la legittima discendenza di Barak Khan venne allontanata dal potere alla sua morte. Questo fu reso possibile da un compromesso tra il suo rivale Ulugh Beg (nipote di Timur e pretendente al titolo di khan) e Abu’l Khayr della famiglia Shayban, che divenne invece khan.

Quest’ultimo avrebbe portato il khanato al massimo del suo splendore. Una serie di campagne militari ne espansero il territorio a sud trasformando il Syr Darya nel “cuore” del khanato, mentre a nord un ampio confine “di sicurezza” divideva ormai il khanato dai luoghi di origine. Ma l’emergere dei mongoli oirat, detti anche zungari, nel Mughulistan (Semirechia, valle dell’Ili e Turkestan orientale) rese effimero tale idillio. La sconfitta militare da essi inflittagli determinò una crisi di legittimità e un vuoto di potere che indebolirono l’autorità centrale. Svariati pretentori al trono emersero e l’esercito, decimato dagli ultimi scontri e dalle precedenti campagne militari, non fu più in grado di controllare per intero tutto il territorio nominalmente sotto controllo.

Tale debolezza fece riemergere le lotte intra-tribali. I figli di Barak Khan, Janibek e Kirai, che non avevano mai smesso di contestare l’autorità di Abu’l Khayr, si recarono con il proprio seguito dal Mughulistan alla Semirechia, formalmente sotto controllo uzbeko, ma in realtà lontana dal centro del khanato. Forti dell’appoggio dei sovrani Moghul essi rivendicarono la valle del basso Chu, la valle del Talas e il Betpak-Dala.

52 Svat Soucek, A history of Inner Asia, Cambridge University Press, Cambridge 2000, pp.123-145 53 Questi ultimi discendevano da un ramo minore della famiglia di Juchi, quello del suo quinto figlio Shiban, titolare di un piccolo ulus ai piedi degli Urali. La dislocazione attuale era quindi solamente parte di un complessivo movimento verso sud.

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Abu’l Khayr respinse tali richieste, ma sia lui che suo figlio, Shaik Haidar, dovettero soccombere durante le spedizioni inviate per reprimere i ribelli. Il loro posto venne preso dal nipote di Abu’l Khayr, Muhammad Shaybani, che occupò nuovi territori a sud e fondò la dinastia Shaybanide. Gli scontri tra kazaki e uzbeki, ormai definitivamente divisi in due gruppi etnici distinti, determinarono gravissimi danni all’economia dell’area, con distruzione di centri di scambio, mandrie e raccolti.

Solo una pace nel 1500 segnò una breve interruzione in questa rivalità. Gli uzbeki poterono concentrarsi sulla conquista di Samarcanda e Bukhara, mentre l’allontanamento del baricentro del potere rivale dal confine consentì il rafforzamento del khanato kazako.

Va notato come i kazaki rappresentassero in questo primissimo momento una semplice unione politica. Essi differivano dagli uzbeki essenzialmente per ragioni politiche e per il fatto d’aver occupato un territorio nettamente distinto e ormai completamente al di fuori delle possibilità di controllo uzbeke. Ma le affinità linguistiche, economiche, etniche e culturali erano ancora estremamente forti. Tuttavia, a partire da questo momento kazaki e uzbeki, pur appartenenti allo stesso sottogruppo etnico turco, vivranno fianco a fianco, occupando spazi separati e sottoposti ad autorità distinte. Gli uzbeki si stabiliranno da ultimo nel territorio del Mawarannahr, dove la dinastia shaybanide potrà esplodere e mantenersi la principale entità politica della zona. I kazaki dovettero lottare per mantenere la propria autonomia, ma non riconobbero mai l’autorità shaybanide, nè le versarono mai tributi. Un momento essenziale di tale processo è legato alla figura del khan Qasim54.

A Qasim Khan viene tradizionalmente attribuito il merito di aver creato un khanato kazako stabile nella prima metà del XVI sec. Sarà lui infatti a conquistare le steppe del Dashti-Qipchak, che da sole fornivano più pascoli di tutte le terre controllate fino a quel momento. Nel 1513 addirittura si spinse fino a Tashkent, ma fu incapace di portare a termine l’impresa. L’inverno era alle porte e la necessità di pascoli obbligò le tribù che sostenevano l’incursione a spostarsi verso nord. Cionondimeno egli rafforzò il controllo sulle città di confine lungo il Syr Darya che ritrovarono il tradizionale ruolo di mediatori tra sedentari e nomadi. Saranno proprio questi centri la chiave di volta della politica di Qasim Khan, in quanto gli scambi sistematici sollevarono i nomadi kazaki dalla necessità di periodiche incursioni al sud e li tennero alla larga dal ben più potente khanato shaibanide. Infine, la confederazione kazaka aumentò considerevolmente di numero, in quanto Qasim accolse altre tribù turche: i Kipchak del gruppo Nogai e i Naiman e gli Argyn del gruppo Chagatai. Per la prima volta fu possibile considerare i kazaki un popolo: quasi un milione di persone che parlavano lo stesso linguaggio, conducevano lo stesso tipo di mandrie e condividevano la stessa cultura55.

Alla morte di Qasim nel 1523 lo stato kazako andava dal fiume Ural alla Semirechia nel sud e all’Irtish nel nord. Tuttavia il territorio non era stabilmente definito e i suoi confini mutevoli. La loro estensione era piuttosto legata alla capacità dei vari khan di trasformare il proprio carisma in successi militari. Ma nessuno dei successori di Qasim si rivelò abile come il predecessore, mentre i territori controllati erano notevolmente aumentati nei suoi 25 anni di regno.

Subito dopo la morte del padre anche Malmush, il figlio di Qasim, venne assassinato, mentre il suo successore Tahir (1523-1533), nipote di Qasim, cercò invano di seguirne le orme nella conquista di Tashkent. Dopo di lui Buidashe (1533-1538) dovette condividere il proprio potere con Ahmed, khan del Kazakistan occidentale, e Tugun, khan della Semirechia. Ma nonostante i molteplici cambi al potere e le instabili alleanze, l’economia potè rifiorire, mentre venivano accolte nuove tribù dal Dashti-Kipchak. In particolare, la stabilità politica facilitò la ricostruzione dei centri urbani 54 Martha Brill Olcott, The Kazakhs, Hoover Institution Press, Stanford 1995, pp.6-9 55 Ivi, pp.8-9

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delle steppe (Sygnak, Sairam e Yasi) e la ripresa dei commerci nei propri territori. Alla fine del secolo, queste città vennero fortificate, mentre gli scambi con la Kashgaria e il Mawarannahr erano ormai consolidati. L’espansione dei mercati in uscita e in entrata, beni dell’economia nomadica contro beni ad essa estranei, aumentò complessivamente il livello di benessere della società kazaka, che poteva ora sostenere l’allevamento di un crescente numero di capi di bestiame.

Un nuovo khanato stabile e capace di durare qualche decennio nascerà a partire del 1538 con Haq Nazar, figlio di Qasim. Egli riuscì ad estendere il confine kazako fino al nord-est dei territori Nogai, ma, incapace di conquistare il Mughulistan e i territori del Syr Darya, si sottomise all’emiro di Bukhara, la maggiore figura politica dell’area. Dalla parte di Bukhara nelle lotte contro Tashkent, egli non esitò a cambiare più volte alleanza pur di realizzare le proprie mire di espansione al sud: dapprima in favore di Tashkent, in cambio di alcune città sul Syr Darya e, una volta ottenutele, fu nuovamente al servizio di Bukhara. Nello stesso anno il khan venne ucciso in battaglia (1580). A lui seguì nominalmente Shigai, nipote di Tahir, seppure in realtà fosse il figlio Taulkel a comandare il khanato e guidare l’esercito in battaglia. La sconfitta dell’emiro di Tashkent consentì di ricevere da Bukhara come premio nuovi territori lungo il fiume Zeravshan. Dopo quest’ultimo successo, egli venne eletto khan e guidò l’attacco definitivo alle città del Syr Darya. Alla fine del secolo, i kazaki controllavano le città di Turkestan e Samarcanda, fino a tentare di conquistare la capitale dell’emirato alleato, Bukhara. Il nuovo khan Esim (1598-1628) rinnovò l’alleanza con Bukhara e ottenne il riconoscimento del potere kazako sulla regione del Syr Darya. Ma la pace fu di breve durata: la successione nell’emirato impose la nuova dinastia Ashtarkhan (1599), ostile al khanato, che non riconobbe le ultime annessioni56.

Di lì a poco il regno mongolo degli zungari ad est pose una minaccia ben più grave: attratti innanzitutto dai traffici delle città del Syr Darya, essi intensificarono incursioni e migrazioni in tutta la sezione orientale del territorio kazako. Così facendo colpirono il khanato in due punti nevralgici, il nord-est per i pascoli e il sud-est per i commerci. Questo alterò gli equilibri politici che erano il presupposto dei commerci e l’intera area venne sconvolta dalle incursioni kazake verso il Mawarannahr per supplire all’improvvisa carenza di beni esterni. Dall’estremità afgana fino a quella russa imperversarono allora scontri per ristabilire confini ed aree di influenza.

Dal canto loro, gli zungari incrementarono vistosamente in numero e potenzialità militari, in parte anche grazie alla conquista dei preziosi pascoli kazaki, divenendo senz’altro la principale potenza militare dell’area. Questo consentì loro di avanzare, a totale discapito dei kazaki fino alle valli dell’Irtysh, del Tobol e del Ishim. All’avvento degli zungari questi ultimi preferirono stabilire relazioni pacifiche con i nuovi arrivati e non intromettersi tra le popolazioni dell’area.

Tuttavia, l’avvento della dinastia Manchu (1644) implicò una convergenza di sforzi di queste popolazioni, zungari compresi, verso il fronte opposto a quello confinante con i kazaki. Solo molti decenni dopo essi giurarono fedeltà alla nuova dinastia imperiale e poterono riprendere le campagne militari contro le deboli difese kazake guidate da Jangir (1681). La conquista della Semirechia implicò un’interruzione di tutti i traffici commerciali, riducendo le possibilità di approvvigionamento dall’esterno. Poco tempo dopo la conquista dei territori settentrionali dell’Orda Media determinò l’accerchiamento del khan Tauke (1680-1718), accampato attorno a Turkestan. Una riunione dei capi tribù e degli anziani dei clan nel deserto di Kara Kum, uno dei pochi luoghi ancora sicuri, non riuscì tuttavia a individuare una linea comune per la difesa, cosicchè i zungari poterono continuare a razziare sistematicamente senza effettive resistenze.

56 Ivi, pp.23-25

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Nel mentre i Russi avevano edificato tra il 1716 e il 1718 una linea di forti lungo il confine con le steppe nella Siberia meridionale. Questa rifletteva le preoccupazioni per gli stravolgimenti in corso, che con l’ultima offensiva degli zungari (1723) avevano dato inizio alla cosiddetta Aqtaban Shubirindi, la “Grande Ritirata” kazaka. Tra il 1723 e il 1725 essi conquistarono definitivamente i territori kazaki orientali: la Grande Orda fu costretta a migrare a sud, abbandonando gli ultimi avamposti nelle terre che per prime divennero kazake. La crescente minaccia sul resto del paese spinse la Piccola e la Media Orda verso nord-ovest, nei territori controllati dai Russi. Seppure Pietro I il Grande avesse declinato le richieste d’aiuto kazake nel 1716, già nel 1731 la zarina Anna Ioannovna accettò la sottomissione della Piccola Orda. Era ormai chiara ai russi la necessità di foraggiare i kazaki per contenere la ben più violenta minaccia zungar sulle steppe siberiane.

Uno dei tanti discendenti del potente regno mongolo, il khanato kazako se ne rivelerà

un debole erede. Il controllo di ampi spazi disabitati aveva consentito il mantenimento del fervore militare nomadico, ma aveva anche abituato a una discreta quiete. Una volta definito il proprio “spazio politico”, al di là dei periodici scontri inter-tribali, fu sufficiente una mobilitazione occasionale di uomini e mezzi per conquiste o incursioni al sud, verso popolazioni sedentarie che, in caso di divisione politica o debolezza economica, diventarono facili prede dell’espansionismo kazako. Ma il confronto con ben più bellicose popolazioni nomadi interruppe improvvisamente la serie di rapporti pacifici con i vicini dell’area e ripropose con drammaticità il problema del mancato accentramento politico57.

Il popolo

In generale, merita di essere enfatizzato il ruolo svolto dal linguaggio nel processo di

nation-making per tutte le nazionalità centrasiatiche. La distinzione linguistica da gruppi pure molto vicini per costumi e discendenza è sempre stato un tratto essenziale del processo di definizione della propria identità58. Il kazako è una lingua uralo-altaica, ramo altaico, gruppo turco, sotto-gruppo del nord-ovest59. Più specificamente esso costituisce assieme al karakalpaco e al nogai un ulteriore sotto-gruppo del Kipchak, detto Kipchak-Nogai60. Il kazako, come lingua a sé stante, presenta una formazione recente che coincide grosso modo al periodo immediatamente successivo alla formazione del khanato, mentre gli antichi dialetti kazaki (kipchak e kurama) vengono significativamente assimiliati al sotto-gruppo uzbeko61. Le varianti dialettali locali non compromettono la comprensione reciproca,62 così come è relativamente facile la mutua comprensibilità con le altre popolazioni turche dell’area. Il kirghizo e ancor di più il karakalpaco sono le lingue più affini, mentre l’uzbeko e l’uighuro se ne differenziano maggiormente63.

L’origine dell’etnonimo kazak è stata innanzitutto ricercata nella “madrelingua” turca. La spiegazione più intuitiva è che esso si riferisca al verbo qaz, “vagare”, con

57 Ivi, pp.25-27 58 S.Soucek, op.cit, p.29 59 Riccardo Redaelli, in Valeria Fiorani Piacentini (a cura di), op.cit, p.227 60 V.P. Kurylev, in R. Khanam (a cura di), op.cit, p.409 61 L. Krader, op.cit, pp.34-40 62 Alexander Bennigsen & C. Lemercier-Quelquejay, L’Islam en Union Soviètique, Payot Parigi 1968, p.32 63 L. Krader, op.cit, pp.39-40. Tutto questo è slegato dalla classificazione scientifica dei linguaggi, che tiene invece conto delle relazioni genetiche tra di essi. Così per esempio il kirghizo, pur facilmente comprensibile dai kazaki e viceversa, presenta caratteristiche tali che contribuiscono a renderlo di difficile classificabilità (S.Soucek, op.cit, p.30).

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riferimento alla principale caratteristica di questo gruppo (ma non esclusivamente di questo gruppo), il nomadismo64. Secondo altre fonti, l’identica parola kazak indicava un’antica istituzione sociale presso le popolazioni nomadiche turche. La parola può essere per la prima volta documentata nel periodo tra VIII e XIV sec. con il significato di “indipendente, vagabondo”. Con il tempo essa arrivò per estensione a indicare “libero, avventuriero, etc.” Durante il periodo delle rivolte contro i discendenti di Timur, esso venne generalmente utilizzato per indicare tutti gli oppositori politici ai regnanti in carica o i pretendenti al trono. Sotto lo stesso termine vennero progressivamente inclusi anche i membri del loro seguito65. Altre interpretazioni suggeriscono che esso nasca dalla fusione dei nomi di due distinte tribù, i kaspy e i sak66. Oppure che discenda dalla parola mongola khasaq, che indicava un tipico carro a traino animale adibito al trasporto delle abitazioni mobili dei nomadi. Un’altra ricostruzione riconduce il termine alla tradizionale leggenda sulla genesi del popolo kazako, secondo la quale un’oca (kaz-) bianca (-ak), tramutatasi in principessa, avrebbe dato la nascita al primo di tutti i kazaki67.

Quale che sia l’esatta interpretazione, la maggior parte di esse sembrano comunque proporre la medesima suggestione e richiamano chiaramente allo stile di vita di questo popolo, sia in termini di cultura materiale che di identità, cioè di autocoscienza e psicologia collettiva.

Certamente i kazaki praticavano una forma specifica di pastoralismo, quello nomade68. Come per il resto dell’area, dai deserti dell’Asia Centrale alle steppe dalla Manciuria all’Ucraina, il nomadismo ha rappresentato la risposta vincente alla sfida imposta dall’ambiente. Esso infatti instaura un’interazione con esso estremamente delicata, ma altamente specializzata, basata sull’uso accorto di svariate specie di animali e il controllo di ampie aree, così da garantire a bestie e uomini le risorse necessarie alla sopravvivenza69.

Il nomadismo centrasiatico è il risultato di un millenario processo di evoluzione iniziato all’epoca della migrazione andronovica dall’Ucraina meridionale agli Altaj tra il IV e il II millennio a.C. Una serie di importanti scoperte nei luoghi d’origine, come l’addomesticamento del cavallo, l’invenzione del morso per la cavalcatura e l’allevamento del bestiame resero possibile per la prima volta l’attraversamento delle ampissime steppe. I cavalli avrebbero infatti trasportato uomini e beni, mentre le mandrie avrebbero garantito riserve di cibo e materiali lungo il cammino. Nel corso di questo spostamento la civiltà andronovica si era resa un importante mediatore tra culture diverse e distanti, accumulando e fondendo ulteriormente svariate conoscenze tecnologiche. L’uso del carro trainato da cavalli, per esempio, venne probabilmente acquisito dalle già fiorenti civiltà del Meditterraneo orientale attraverso la mediazione

64 M.B. Olcott, op.cit, p.4 65 E. Van Donzel, B.Lewis and C. Pellat (a cura di), The Enciclopaedia of Islam, E.J.Brill, Leiden 1978, p.848 66 E’ ancora discusso se il termine persiano saka sia stato utilizzato per indicare la popolazione più generalmente nota dal greco come sciti (L. Krader, op.cit, p.74) o se fossero un loro sottogruppo, impostosi successivamente sulle altre tribù come gruppo dominante (Beate Eschment, p.136 in M.C. Von Gumppenberg & U. Steinbach (a cura di), op.cit.). Tuttavia questa ricostruzione etimologica è piuttosto debole (E. Van Donzel, B.Lewis and C. Pellat (a cura di), op.cit, p.848), anche se estremamente suggestiva in quanto rafforzerebbe l’idea di una continuità -non tanto etnica, quanto piuttosto culturale- con il potente regno scita, così caro al processo di nation building contemporaneo (R.R. Hanks, op.cit, pp.168-170). 67 M.B. Olcott, op.cit, p.4 68 Ivi, p.16 69 J.J. Saunders, op.cit, p.11

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delle popolazioni del Caucaso e venne così introdotto in Cina70. Al contrario, dalla Cina venne infine acquisito l’uso della staffa per la cavalcatura71. Partendo dall’Europa sud-orientale tali popolazioni raggiunsero infine l’area altaica sul finire del II millennio a.C, strappando le popolazioni locali alle foreste e alle più primitive forme di sopravvivenza. Quì la cultura nomade raggiunse una delle sue più alte espressioni: l’utilizzo di arcieri montati a cavallo avrebbe fornito successivamente l’essenziale strumento militare dell’espansionismo nomade.

Il nomadismo centrasiatico esploderà, contemporaneamente alla civiltà stanziale delle valli, come risposta ai drastici cambiamenti climatici e ambientali in corso nel I millennio a.C. nel Kazakistan centro-orientale. Le popolazioni dell’area dovettero abbandonare le tradizionali forme di sopravvivenza, una pastorizia stanziale e un’agricoltura primitiva, per saturare i pascoli tra steppe e deserti o occupare le valli dove, con l’invenzione di nuove tecniche di irrigazione, fu possibile la concentrazione in popolosi centri urbani attorno alle oasi, in cui l’attività principale divenne un’agricoltura estremamente specializzata. Dall’unificazione di questi territori sorse nelle valli la civiltà persiana classica, mentre il regno degli Sciti (VIII-IV secc. a.C.), un popolo nomade di lingua iraniana (pur con elementi mongoli al proprio interno), sarà in grado di assoggettare il vasto territorio che andava dagli Altai al Ponto. Sotto di essi, le tecniche militari e le gerarchie sociali dell’elite militare dominante, un miscuglio di elementi mongoli e proto-iranici, divennero patrimonio comune e diffuso di tutte le popolazioni e territori conquistati72. Dal momento della caduta del regno scita nel III sec. a.C, i deserti e le steppe saranno controllati in modo sempre più esclusivo da dominatori nomadi provenienti dagli Altai che si avvicenderanno gli uni agli altri in maniera piuttosto disarticolata. Tuttavia essi non altereranno i tratti essenziali di una “cultura materiale” ormai condivisa e definita, seppure non “definitiva” e ancora capace di “coniugarsi” in maniera differente a seconda delle circostanze specifiche73. E così esse si mantennero praticamente intatte fino ai tempi di formazione del khanato kazako, indipendentemente dal fatto che i suoi territori fossero stati conquistati, in tutto o in parte, per poco tempo o per secoli, da regni piccoli o grandi, altaici o iranici, nomadici o sedentari.

Gli elementi-variabili necessari all’analisi-comprensione del nomadismo sono:

disponibilità d’acqua; dislocazione dei pascoli; selezione degli animali; sviluppo di specifiche tecnologie; percorsi migratori. Dei primi due elementi con specifico riferimento al territorio kazako si è già parlato. Si tratta ora di vedere come l’uomo abbia sviluppato quelle competenze e quegli strumenti necessari all’insediamento e alla sopravvivenza, date le scarse e mal distribuite risorse naturali.

Gli animali che accompagnavano i kazaki nella vita di tutti i giorni erano il centro materiale e simbolico della loro esistenza. Essi erano per lo più animali da sempre presenti allo stato brado in questi territori, ma all’epoca in cui l’etnìa kazaka emerse, si trattava ormai di bestie che avevano subito un secolare processo di selezione che aveva permesso la sopravvivenza “artificiosa” solamente dei capi più forti. Essi erano di due tipi: le mandrie, che rappresentavano l’oggetto vero e proprio dell’attività economica, e quelli necessari al controllo di queste, vale a dire strumentali allo svolgimento delle attività di transumanza. Le prime potevano essere pecore (qoy), capre (yeshki) o bovini.

70 A.Brown, J.Fennell, M.Kaser & H.T. Willets (a cura di), The Cambridge Encyclopedia of Russia and the Soviet Union, Cambridge University Press, Cambridge, London, New York et al.1982, p.78 71 J.J. Saunders, op.cit, p.11 72 David Christian, A History of Russia, Central Asia and Mongolia, Vol.1: Inner Eurasia from prehistory to the Mongol empire, Blackwell Publishers, Oxford 1998, p.125 73 J.J. Saunders, op.cit, p.12

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Tuttavia, con riferimento al Kazakistan “tradizionale” esse erano esclusivamente ovini o caprini. Sarà la colonizzazione russa a introdurre l’allevamento dei bovini agli inizi del XVIII secolo e la loro presenza aumenterà progressivamente a partire dalla linea dei forti russi al nord verso il sud. Le seconde potevano essere cavalli (at o jilqi), ideali nelle steppe, o cammelli, più adatti ai deserti, nel Kazakistan centrale e meridionale74. I cammelli utilizzati dai kazaki erano essenzialmente del tipo Bactria, molto più resistenti agli inverni rigidi dei dromedari (nar), più vulnerabili al freddo e perciò più diffusi nell’area delle valli. Fino all’avvento delle ferrovie i cammelli saranno l’unico vero mezzo di trasporto su grandi distanze. Di conseguenza, erano i cammelli gli animali privilegiati per il trasporto di merci, mentre i cavalli erano limitati al trasporto di persone75. Infine dei cani da guardia custodivano gli accampamenti o seguivano il bestiame durante le migrazioni76.

Ogni animale forniva dei materiali specifici. Le pecore e le capre erano le uniche a fornire pelli e lana, mentre dalla pelliccia del cammello si ricavava per compressione il feltro. Da tutti si ricavava l’argal, sterco secco, l’unico combustibile disponibile in un territorio povero di alberi, se non lungo i fiumi o in prossimità delle steppe. Dagli animali si ricavavano infine tutti i beni essenziali: cibo, abiti e ripari77.

I cibi principali erano latte e carne. Il latte, se opportunamente trattato poteva fornire svariati altri prodotti come bevande e formaggi. Le famiglie più benestanti potevano disporre di grosse quantità di latte di cavalla da cui ricavare il kumiss (qimiz), pregiato latte fermentato. Le famiglie più modeste invece ricavavano bevande simili, ma meno saporite, dal più comune latte di pecora. Veniva poi prodotto un particolare formaggio duro (kurt) e resistente per lunghissimi periodi di tempo. In seguito veniva nuovamente ammorbidito in latte o acqua e rappresentava un’importante riserva di cibo durante le migrazioni invernali. La carne aveva un peso minore nella dieta nomadica. Agli inizi dell’inverno solamente i capi meno adatti al lungo spostamento venivano uccisi. Le loro carni venivano poi affumicate o insaccate, il grasso sciolto e riversato in sacche di pelle78. Si trattava perciò di una dieta fortemente proteica, integrata esclusivamente da quei vegetali che crescevano spontaneamente nelle aree attraversate, che richiedevano poche cure o tempo per crescere o che venivano barattate con altre tribù o estorte alle popolazioni stanziali79.

Gli abiti erano costituiti essenzialmente da pelle di pecora, gli accessori come i copricapi erano fatti di lana filata e poi intrecciata, le scarpe di feltro o cuoio, mentre le pregiate pellicce di volpi e antilopi erano un lusso piuttosto raro.

L’abitazione dei nomadi centrasiatici presentava specificità tali da distinguerla da quelle di altre popolazioni nomadi, come gli arabi, i berberi, i nativi americani o gli stessi iraniani80. Nota ai kazaki come ui, verrà definita dai russi kibitka e dagli europei yurta81, senza significative distinzioni con le dimore di tutti i popoli nomadi e semi-nomadi dell’area. Anch’essa è costituita essenzialmente da materiali ricavati dagli animali. Dei bastoni incastrati all’estremità superiore e tenuti insieme da legacci di cuoio forniscono l’intelaiatura, poi coperta e chiusa da strati di panni di feltro, tre in inverno e uno in estate. Sul suolo stavano tappeti di pelle di pecora o lana82. Essa forniva un ottimo isolamento sia contro il freddo invernale, che contro le elevate

74 S.A.M. Adshead, op.cit, p.15 75 Ian Murray Matley, The population and the land, p.129, in Edward Allworth (a cura di), Central Asia. A century of Russian Rule, Columbia University Press, New York – London 1967 76 E.E. Bacon, op.cit, pp.29-30 77 J.J. Saunders, op.cit, p.11 78 E.E. Bacon, op.cit, p.32 79 J.J. Saunders, op.cit, p.12 80 S.Soucek, op.cit, p.42 81 E.E. Bacon, op.cit, p.32 82 S.A.M. Adshead, op.cit, p.15

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temperature estive. Inoltre, all’occorrenza veniva acceso al suo centro un fuoco il cui fumo fuoriusciva attraverso una fessura richiudibile alla sommità. Presentava dimensioni e colori variabili sulla base dell’importanza e numero degli inquilini, ma normalmente era coperta di pelli scure non decorate e aveva un diametro di circa sei metri83. Come per tutte le abitazioni mobili di popolazioni nomadi poteva essere facilmente smantellata e rimontata in brevissimo tempo in una nuova località84.

Nella scelta dei percorsi migratori si doveva innanzitutto tener conto delle caratteristiche specifiche di ciascun animale. I cavalli mangiavano solo la parte superiore dell’erba, i bovini andavano più a fondo, mentre le greggi erano capaci di mangiarle fino al suolo. Conseguentemente ciascuno di essi richiedeva differenti quantità di spazio. A differenza di tutte le altre specie, i cammelli erano invece in grado di mangiare i cespugli che crescevano nel deserto. Infine essi differivano per velocità, resistenza alla fatica e alla carenza d’acqua o cibo. Per esempio, in presenza di uno dei più temuti fenomeni delle steppe, la ghiacciata del suolo (dzud) in inverno, ciascuno di essi reagiva differentemente o disponeva di differenti risorse. Il cavallo raschiava via istintivamente la neve, mentre le greggi non ne erano capaci e dovevano aspettare che i cavalli venissero lasciati agire. Ma in caso di dzud prolungato lo strato di ghiaccio sul terreno sarebbe stato troppo spesso persino per gli zoccoli dei cavalli e da un quarto alla metà delle greggi potevano venir persi. Analogamente, un’improvvisa siccità estiva lungo il percorso migratorio poteva ucciderne gran parte85. In particolare, sia i pozzi temporanei scavati lungo il percorso migratorio, che i pozzi permanenti negli accampamenti potevano prosciugarsi. La drammaticità della situazione era amplificata dalla salinità della maggior parte delle superfici d’acqua86.

Le migrazioni non erano poi certamente definite in maniera casuale: pur normalmente prefissate, potevano variare di anno in anno in base alle informazioni ricevute, alle precipitazioni osservate, alla conoscenza o accessibilità di falde sotterranee o all’avvento di nuovi rivali e più in generale all’esperienza di chi le conduceva87. Esisteva sempre la possibilità di rivedere i percorsi più tradizionali e la disponibilità di ampi spazi era causa e conseguenza di questa necessità. I cicli migratori potevano quindi variare per distanze percorse e numero di località da raggiungere. Così, per esempio, in Semirechia la Grande Orda migrava per poche miglia e poche settimane da sud verso nord in estate e in direzione opposta in inverno. Di contro, nel centro del Kazakistan, in piene steppe, le migrazioni potevano consistere di alcune centinaia di miglia, durare parecchie settimane e toccare una località differente per ciascuna stagione88. Durante le migrazioni tribù e aul si mantenevano in contatto tramite una rete di corrieri a cavallo noto come uyun uzak (orecchio lungo), che consentiva di non invadere gli spazi altrui e comunicare in tempo quasi reale minacce, sia naturali che militari.

I poli di queste migrazioni erano degli accampamenti dove i kazaki potevano sostare per un certo periodo e prepararsi alla migrazione successiva. Il campo invernale (kstau) era generalmente posto al riparo dalle precipitazioni, mentre era vicino ad abbondanti fonti d’acqua e a pascoli facilmente raggiungibili. Se le condizioni metereologiche si facevano eccessivamente critiche, gli animali potevano essere alternativamente nutriti attraverso dell’erba raccolta lungo il cammino o ottenuta tramite baratto. Accanto alle yurte potevano essere edificate anche delle shoshalas, abitazioni “a tumulo” composte di fango, pietra e bastoni. La sosta invernale consentiva infine la riparazione o la

83 S.Soucek, op.cit, pp.42-43 84 J.J. Saunders, op.cit, p.12 85 Ibidem 86 M.B. Olcott, op.cit, p.17 87 E.E. Bacon, op.cit, pp.30-31 88 J.J. Saunders, op.cit, p.13

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costruzione dei carri e degli utensili necessari per le migrazioni dell’anno a venire. Una volta scioltasi la neve era possibile intraprendere la migrazione primaverile in senso opposto. Raggiunti i pascoli prescelti, poteva essere edificato l’accampamento estivo (jailu). Tuttavia in piena estate l’erba era piuttosto rada e questo poteva ritardare il raggiungimento della meta perché si dovevano “inseguire” i pascoli lungo il cammino o obbligare a spostare ripetutamente l’accampamento una volta che questi erano stati raggiunti. Una volta esaurite le scorte d’acqua e i pascoli alla fine del periodo estivo veniva intrapresa la migrazione autunnale89.

Come per tutte le altre popolazioni nomadi quindi anche la vita dei kazaki era molto povera, fortemente vincolata dall’ambiente ostile e dal tempo instabile e non prevedibile. L’insediamento stesso di comunità umane in queste aree non è affatto da considerarsi scontato. L’imprevedibilità dell’ambiente ha in qualche modo perfino reso proporzionalmente e analogamente variegata la vita delle comunità. La tribù poteva muoversi di anno in anno in luoghi relativamente nuovi, così come gli assetti politici e gli equilibri tra di esse potevano riflettere, simbolicamente o concretamente, l’inaffidabilità del territorio circostante. Certamente l’individuo, sia uomo che donna, l’anziano come l’adolescente, disponeva di discreti spazi di autonomia e iniziativa a seconda dell’evolversi del quadro sociale locale e senz’altro al di fuori di gerarchie troppo rigide e stabili. Personalità e identità, nell’individuo come nel gruppo, erano probabilmente il principale elemento della “sensibilità” nomadica. Gli spiriti dovevano diventare o rimanere “incontenibili” per colmare gli ampi spazi della natura e quelli angusti della sopravvivenza90.

Ben presto la necessità di movimenti frequenti venne “assimilata” dalla “psicologia collettiva” dei gruppi nomadi, diventando il tratto caratterizzante la loro autocoscienza91. Il cavallo divenne il simbolo per eccellenza dei costumi nomadi. Esso era uno strumento tecnologico indispensabile per un rapido movimento nelle ampie distese delle steppe, sia per il controllo delle mandrie che per le lotte inter-tribali (barynta). Ma l’incredibile resistenza alla fatica dei robusti “cavalli celesti” delle steppe centrasiatiche era nota ben al di là di esse, in particolare nelle città dei sedentari dove il rombo dei loro zoccoli anticipava razzie e saccheggi. La vita sociale era imperniata sul cavallo: i kazaki spesso rifiutavano di percorrere anche brevi tragitti a piedi e almeno un cavallo aspettava sempre sellato al di fuori della tenda. Perfino durante il tempo libero (tamasha) si raggiungevano a cavallo accampamenti vicini per scambiare notizie, accogliere qualche persona importante o prendere parte a una cerimonia. Molti dei riti sociali (toi) erano legate in un modo o nell’altro al cavallo. I bambini imparavano a cavalcare e condurre le mandrie fin da quando avevano pochi anni d’età e i più precoci potevano cavalcare già a due anni attraverso speciali selle. Quando un uomo moriva, il suo cavallo veniva ucciso e seppellito con lui; tra le famiglie più ricche vigeva anche il costume di sacrificarli sulle tombe dei defunti, in quanto si riteneva che una così preziosa rinuncia non poteva non essere gradita agli dei92.

Trasformandosi da un bisogno ad un’attitudine, la “propensione al movimento” divenne anche la virtù che distinse i nomadi dall’altra principale civiltà dell’area, quella sedentaria. Come gli altri nomadi della storia, anche i kazaki nutrivano nei loro confronti un autentico disprezzo, in quanto legati alla terra e per questo “schiavi”93. Le differenze tra gli uni e gli altri sono evidenti anche nell’analisi delle istituzioni sociali kazake. Al contrario dei “servi della gleba”, la terra in sé non aveva per loro alcun valore intrinseco, ma era semplicemente strumentale all’accumulo di bestiame, la cui

89 M.B. Olcott, op.cit, pp.16-17 90 S.A.M. Adshead, op.cit, pp.15-16 91 S.Soucek, op.cit, p.42 92 E.E. Bacon, op.cit, pp.29-30 93 S.A.M. Adshead, op.cit, pp.15-16

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estensione determinava e palesava la posizione sociale di individui e famiglie. Si possedeva il bestiame, ma lo si pascolava su terreni comuni, poichè sulla terra non poteva esistere un diritto di proprietà, ma di semplice uso. Neppure il khan possedeva la terra e l’utilizzo di determinati spazi da parte di ciascun clan non era una sua concessione agli uomini più fedeli, ma un atto dovuto la cui iniquità poteva essere apertamente contestata. La terra era a disposizione di chiunque e il sorgere stesso di una comunità kazaka stabile fu finalizzata alla sicurezza del bestiame, più che all’accapparramento di un determinato territorio94.

Queste argomentazioni ripercorrono il “modello dualistico” tradizionale, secondo cui una volta definitesi due distinte forme di organizzazione economica, quella nomadico-pastorale e quella agricolo-sedentaria, esse si sarebbero allora contrapposte, sia culturalmente che militarmente, lungo un vero e proprio confine, mai ersosi però a barriera95. Se da un lato infatti i nomadi furono da sempre in grado di coltivare piante che richiedevano minimi sforzi e talvolta erano in grado di lavorare il metallo in prima persona, questi strumenti ordinari non erano sufficienti a colmare la richiesta, specie in periodi di espansione demografica o militare. La soluzione normale erano gli scambi commerciali, ma anche la depredazione per razzìa o tributo era un’attività complementare alla pura e semplice conduzione delle mandrie o alla caccia. I beni scambiati erano alimenti di prima necessità, come cereali e piante, essenziali per integrare la proteica dieta nomadica, oppure volluttuari, come thè o zucchero. Ma gli scambi fornivano ai nomadi anche prodotti non alimentari: sia “strumentali”, come utensili o armi, o “di lusso”, come la seta, che potevano poi essere utilizzati dai nomadi stessi o rivenduti. Ma anche i sedentari avevano bisogno dei nomadi per garantirsi dei beni necessari alla vita cittadina o commerciale, come i cavalli per i trasporti o cuoio e pelli96. La continuità dei commerci determinava e dipendeva dalla stabilità politica nell’area o al di fuori di essa: aree di influenza e rapporti di potere definiti, accordi commerciali o l’esistenza di un’unica entità politica garantivano la sicurezza degli scambi, mentre la loro assenza era il preludio di nuove incursioni verso il sud. Questo risulta verificato anche per le città del Syr Darya, sistematicamente razzìate dai kazaki prima della conquista, ma mai completamente rase al suolo per gli ovvi vantaggi economici che esse garantivano97.

Una porzione importante di questo confine scorreva in tutta la sua sezione orientale in Kazakistan, lungo una linea immaginaria che congiungeva i laghi Balkash e Aral che, alla pari dei loro affluenti, erano appetibili sia a nomadi che a sedentari, e avrebbero incidentalmente fatto avvicinare o contrapporre queste popolazioni. Così come nell’antichità per le altre popolazioni nomadi dell’area, anche il destino dei nomadi kazaki sarebbe stato segnato da quest’area. Più in particolare, la Semirechia divenne il primissimo territorio “kazako”, mentre la conquista della valle del Syr Darya richiese tempi ben più lunghi. In quest’area l’eredità tecnologica locale consentì il mantenimento di rudimentali strumenti di irrigazione per la coltivazione di cotone, miglio e grano, assolutamente inusuale rispetto ai normali costumi kazaki98. Inoltre ai tempi della conquista kazaka le città del Syr Darya, in decadenza a causa del collasso della Via della Seta, ormai al di fuori di un unico e stabile controllo politico, vennero solo parzialmente e provvisoriamente integrate con l’economia nomadica. Commercianti estranei al mondo nomade non osavano avventurarsi in territorio kazako e i kazaki stessi, pur da sempre produttori e intermediari, raramente erano in prima

94 M.B. Olcott, op.cit, pp.17-18 95 Tesi formulata da Barthold come riportato in S.Soucek, op.cit, p. 45 96 S.A.M. Adshead, op.cit, pp.15-16 97 M.B. Olcott, op.cit, p.17 98 G.J. Demko, op.cit, p.28

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persona commercianti “di professione”99. E più in generale il nomadismo stesso era disfunzionale alla creazione di stabili centri urbani. Conseguentemente, a parte Yasi, erano all’epoca pochissime le città anche in pieno territorio kazako dotate di bazar di grosse dimensioni, nonostante la posizione geografica vantaggiosa100.

Seppure i kazaki non vennero mai assimilati dalla cultura sedentaria locale, è pur vero che per essi il contatto con queste popolazioni divenne essenziale proprio per il fatto che esse svolgevano funzioni, l’assorbimento-esportazione di beni steppici eccedenti e l’importazione-produzione di beni esterni altrimenti indisponibili, essenziali per la prosperità e la stabilità del khanato. E d’altronde quando queste aree sfuggirono al controllo kazako, assieme ai vantaggi economici e alla sicurezza geopolitica che garantivano, il tempo della decadenza kazaka era già giunto.

L’organizzazione sociale kazaka E’ difficile oggi ricostruire con certezza le dinamiche e i tempi di formazione delle tre

orde kazake, le principali strutture socio-politiche tradizionali. L’assenza di fonti scritte coeve e l’ingresso di osservatori esterni nel paese solo a partire dal XVIII sec. obbligano a sviluppare semplici congetture. Né si possono estrapolare elementi realmente utili dalle leggende di Alash o di Kosanin, che sembrano semplicemente registrare l’esistenza delle tre orde principali, o piuttosto dare ad esse legittimità attraverso l’invenzione mitologica. L’ipotesi prevalente è che esse si siano formate al termine del khanato di Qasim, come risposta al vuoto politico così creatosi.

L’occupazione di territori come le sponde del fiume Chu e il deserto del Betpak-Dala permise all’epoca di incrementare considerevolmente i territori controllati. Inoltre essi erano per lo più inutilizzati, opportunità estremamente rara all’epoca. Se la cultura materiale nomade forniva ancora una volta tutte le risorse tecnologiche necessarie per insediarvisi, l’occupazione di nuove terre da parte di una disparata coalizione di tribù che, pur omogenee culturalmente, non erano mai state sottoposte fino a quel momento alla medesima autorità politica, poneva con urgenza il problema dell’organizzazione interna della nascente nazione. Da ultimo inoltre anche tribù nogai, uzbeke e mongole si erano unite al khanato. Da un lato questo determinò un accrescimento della pressione sui pascoli, ma dall’altro anche delle potenzialità militari, così che sul finire del XVII sec. pressochè l’intero territorio dell’attuale Kazakistan era ormai sotto il controllo del khanato.

Quello che è certo è che lo stesso termine “Orda” è fuorviante, benché presente sia nella letteratura russo-sovietica, che occidentale. Alla lettera, le corrispondenti formule in kazako ulu zhuz, orta zhuz e kichi zhuz dovrebbero essere tradotti come “i grandi cento”, “i medi cento” e “i piccoli cento”. Questo slittamento terminologico è significativo poiché il primo termine implica consanguineità, mentre il secondo rimarcherebbe la convenzionalità della struttura politica così creata. In altre parole, ciascuna Orda sarebbe stata un’unione di tribù, spesso temporanea, creata per poco più che uno scopo esclusivamente militare. In quest’ottica può essere allora compresa l’apparizione di piccole orde minori in alcuni periodi della storia kazaka101.

Il problema della difesa o dell’espansione militare e del controllo del territorio non sono comunque sufficienti a spiegare la formazione delle tre principali orde, la loro composizione e organizzazione interna, né l’occupazione di specifiche aree di territorio. La formazione delle tre orde risponde piuttosto a esigenze organizzative legate al processo di “adattamento all’ambiente”. Dal punto di vista dell’economia nomadico-pastorale, possono infatti essere individuate tre aree geografiche ben precise, ognuna 99 Kazakh traditions and ways, Almaty “Dyke-Press” 2002, pp.88-89 100 M.B. Olcott, op.cit, p.18 101 Ivi, pp.9-11

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delle quali comprende sia pascoli invernali, che estivi. Queste sono definite sia dal clima che dall’altitudine, oltre che dalla disponibilità d’acqua102.

La distribuzione delle Orde kazake all’alba della penetrazione russa (XIX sec.); da G.J. Demko, op.cit, p.24

La prima di queste è la Semirechia, territorio tradizionalmente sotto il controllo della

Grande Orda. Situato ai piedi dell’altopiano kazako e delle grandi catene montuose, essa comprendeva il sistema idrologico meridionale e le sue fertili valli. Per quanto visibilmente meno esteso degli altri territori e pur in piena area desertica, essa era molto più adatta all’insediamento umano e in esso erano possibili migrazioni di poche miglia e della durata di poche settimane. La seconda regione è il Kazakistan centrale, dove l’Orda Media poteva svernare sulle sponde del Syr Darya e in estate accedere ai corsi d’acqua settentrionali. Infine, a occidente la Piccola Orda era solita muovere dal basso Syr Darya e dal Lago d’Aral verso i tributari del fiume Ural (Yayïk) e le colline del Mugodzhan. Ma se gli attuali territori del Kazakistan erano così suddivisi tra le varie Orde, va notato che gli spostamenti potevano spingersi ben oltre essi. L’assenza stessa di confini veri e propri in età pre-coloniale rendeva infatti molto più flessibile la possibilità di movimento per ciascuna Orda e l’unico limite era rappresentato esclusivamente dalla vicinanza di altre entità politico-militari ostili. Così la Grande Orda poteva spingersi fino a Talas, nell’attuale Kirghizistan o l’Orda Media invadere i futuri territori meridionali russi, in assenza di ben definiti confini fisici come nel caso del Volga a occidente per la Piccola Orda.

Se inizialmente la formazione delle tre Orde non minacciò la compattezza del popolo kazako, in seguito però i confini geografici e sociali tra un’orda e l’altra cominciarono a definirsi in maniera sempre più rigida e ad essere tramandati inalterati da una generazione all’altra. Pur sentendosi sempre parte della medesima entità politica, a poco a poco i khan delle singole Orde presero a stipulare individualmente accordi con forze e potenze straniere. Questa sarà la situazione quando, ormai decaduto il khanato kazako, la Russia cercherà lo strumento politico migliore per penetrare nel paese e troverà in una paradigmatica politica di divide et impera la soluzione103. 102 Questa tesi è stata proposta da Asfendiarov, così come riportato da G.J. Demko, op.cit, p.25 103 M.B. Olcott, op.cit, p.11

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Pur approssimativamente, è possibile individuare due distinte dimensioni nella vita di

ciascun gruppo umano organizzato: quella prettamente sociale, vale a dire la strutturazione della società in determinate unità (classi, ceti, caste, tribù, etc.) e secondo determinati criteri (censo, discendenza, etc.), e quella più propriamente politica, vale a dire quelle strutture che attengono a “tenere insieme” una comunità attraverso specifici meccanismi (processo decisionale, loro attuazione, sanzionamento delle trasgressioni, distribuzione di premi e cariche, etc.) e secondo determinati criteri (rispetto di norme religiose, morali o legali, obbedienza ad un sovrano o ad un nobile, fedeltà alla famiglia o al gruppo d’appartenenza, etc.). I limiti tra queste due sfere sono particolarmente esili in quelle entità sociali che sociologi e antropologi chiamano “pre-statali”, vale a dire prive di un assetto “istituzionale” ben definito, separato e distinguibile, come nel caso delle strutture statali occidentali (democratiche e non) o d’ispirazione occidentale e, con riferimento all’antichità, questa dimensione era già vigente nelle strutture repubblicane di Roma o, ancor prima, nell’apparato mandarinale dell’impero cinese.

Questo è quanto più vero in Kazakistan, in cui la flessibilità delle istituzioni socio-politiche era indotta -seppur non determinata, come abbiamo visto- dall’ecologia e dall’economia. In entrambi i casi, però, l’unità essenziale di ambedue rimaneva l’Orda, sfocato anello di congiunzione tra la dimensione sociale e quella politica. La vita quotidiana si basava su un’orizzonte, fisico e sociale, ritagliatosi nello spazio destinato alla propria Orda di appartenenza. La propria collocazione sociale era definita in funzione e all’interno della propria Orda, non in riferimento al complesso della società kazaka. L’espressione della propria “politicità” trovava spazio esclusivamente attraverso i canali previsti dalle tradizioni di ogni singola Orda.

Ogni Orda era strutturata e funzionava in maniera similare104, ma autonoma l’una dalle altre. Al suo vertice stava il khan e alla sua base i clan composti dalle singole famiglie, la cui comune discendenza poteva talvolta esser l’esito di vere e proprie finzioni. Se la società kazaka nel suo complesso era organizzata in Orde, le singole Orde trovavano la propria unità costitutiva nelle tribù, essendo esse stesse –come era regola nei regni nomadi di origine altaica- delle confederazioni tribali tenute insieme da un vincolo politico e non famigliare, vale a dire “di convivenza” e non “d’appartenenza”. Come nel caso delle Orde, un vero e proprio “patto sociale” o “contratto tribale” può essere considerato come stipulato e rispettato da ciascuna tribù fin da prima della fondazione del khanato e risalente ai tempi di formazione di ciascuna di esse nei rispettivi luoghi di origine. Non a caso tutt’ora queste tribù sono dirette discendenti di quelle fondatrici il khanato o frutto della loro frammistione. Nel complesso però il criterio geografico ha avuto la meglio su quello “di sangue” nella composizione di ciascuna Orda: tribù che si son trovate a condurre le proprie greggi sugli stessi pascoli possono aver unito le forze, ma non necessariamente attraverso legami di sangue. Forti vincoli come il “tabù del matrimonio esogamico” mantennero i vari gruppi famigliari distinti gli uni dagli altri105. Ma la stessa divisione tra Orde, come somma di singole tribù, è in fin dei conti l’esito del reciproco riconoscimento del diritto di pascolare le proprie greggi in territori ben definiti106 e non come suddivisione di ulus tra i membri della nobiltà come nella tradizione post-mongolica107. Al pari delle tribù e come conseguenza della loro alleanza, le Orde risultano essere strutture “convenzionali” create per precisi scopi economici e sotto specifiche pressioni politiche.

Ogni tribù era composta a sua volta da diverse “grandi famiglie”, clan o branche di clan, organizzate in unità migratorie, dette aul. A capo di ciascun aul stava un anziano,

104 Ivi, p.13 105 A. Bennigsen & C. Lemercier-Quelquejay, op.cit, pp.30-31 106 G.J. Demko, op.cit, p.26 107 S.Soucek, op.cit, pp.126-127

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detto aksakal (barba bianca), che doveva badare alla sicurezza delle famiglie e del bestiame.

Gli anziani di una stessa famiglia eleggevano un bii con il compito di mediare con le altre famiglie, risolvere le dispute interne, stabilire le traiettorie da seguire durante le migrazioni e suddividere i pascoli tra i membri della stessa famiglia. Per quanto il titolo di bii fosse per consuetudine tramandato di padre in figlio, così da costituire una sorta di nobiltà minore, esso poteva essere diversamente assegnato dagli anziani.

I bii a loro volta eleggevano un sultano, una sorta di alto nobile e khan minore con il compito di controllare un determinato territorio e gestire le relazioni tra i singoli clan. Prerequisito essenziale per questa elezione era l’appartenenza alla nobiltà, detta ak suiuk (osso bianco). In un primissimo momento lo status di nobile era definito essenzialmente dalla discendenza diretta o fittizia dalla famiglia di Genghis Khan. Successivamente vennero inclusi anche gli hojas, i pii fedeli che avevano compiuto il pellegrinaggio rituale a La Mecca, e i discendenti del califfo. Quando un singolo sultano poteva contare su un prestigio e su un seguito abbastanza consistente era in grado di governare in maniera praticamente autonoma il proprio territorio, pur formalmente inscritto nei più ampi possedimenti dell’Orda e sottoposto all’autorità del khan legittimo.

Se la distinzione rispetto al resto della popolazione (kara suiuk, osso nero) era definita dal numero di capi di bestiame posseduti, le condizioni e pratiche di vita dei nobili erano sostanzialmente identiche. Meccanismi di ascesa sociale erano pacifici e accettati in caso di “merito” di singoli individui anche non appartenenti a famiglie nobili. In particolare i batir, singoli uomini che si erano particolarmente distinti in battaglia fino a guadagnarsi la fama di “eroi viventi” nel proprio gruppo, venivano spesso incorporati nel seguito di un sultano o dello stesso khan, per poi venire spesso scelti essi stessi come khan.

Per quanto riguarda il vertice della gerarchia dell’Orda, il khan, egli era eletto da una riunione dei sultani, dei bii e degli anziani dei singoli clan. Questi incontri si mantenevano su base annuale anche dopo l’elezione di un nuovo khan, in quanto oltre che essere l’occasione per avanzare proposte e suggerimenti, essi erano un momento cruciale della vita comunitaria, poiché in esse venivano allocate le aree per la migrazione estiva di ciascun clan e aul. La disponibilità di terre dipendeva da vicino sulla condizione militare dell’Orda in quel dato momento e su quali territori fossero di conseguenza effettivamente sotto controllo.

La scelta del khan era strettamente legata alle qualità personali dell’individuo108, cioè al suo carisma, alle sue competenze, all’ampiezza e alla fedeltà del suo seguìto e non solamente al suo benessere o come risultato di un compromesso tra clan e tribù109. Suo dovere specifico era condurre in prima persona l’esercito, sia per una battaglia che nel corso delle periodiche razzìe, e gestire la difesa da attacchi esterni. Ma nonostante egli fosse essenzialmente un leader militare non poteva disporre di un esercito stabilmente al proprio servizio o che potesse essere rapidamente mobilitato. Il vero potere militare risiedeva nelle mani degli anziani che potevano invece contare sulla puntuale disponibilità di almeno un guerriero valido per ogni famiglia. La convocazione di un esercito per ampie campagne militari richiedeva quindi sempre delle contrattazioni e non si basava su una coscrizione ineludibile. Analogamente non esistevano dei meccanismi di tassazione consolidati, ma il khan poteva eccezionalmente richiedere la raccolta di bestiame e cibo nel caso fosse in corso uno sforzo militare. Se tuttavia ciascuna famiglia poteva volontariamente donare dei capi di bestiame, non esistevano dei meccanismi sanzionatori in caso opposto. Al contrario, erano ancora una volta gli anziani e i capi clan a disporre di un indiscusso diritto di tassazione sugli altri membri

108 M.B. Olcott, op.cit, p.13 109 G.J. Demko, op.cit, p.26

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del clan, seppure il numero di capi di bestiame che potevano essere presi da ogni famiglia non veniva stabilito a piacimento, ma sulla base delle tradizioni claniche.

Una volta eletto, il khan “regnava” normalmente per tutta la vita ed era convenzione diffusa che fosse succeduto prima dal proprio fratello e infine dal proprio figlio. Tuttavia, la scelta sulla base dell’autorevolezza, anzichè sull’autorità dell’individuo, la stessa collegialità del processo elettivo, oltre che la variabilità delle condizioni economiche di un gruppo o individuo dovutamente a siccità o gelate non escludevano che nuovi individui o diverse famiglie potessero avanzare pretese al comando.

Dati questi elementi si può dire a ragione che la principale caratteristica “politica” della società kazaka tradizionale fosse l’assenza di un’autorità centrale vera e propria. Il potere del khan era limitato, talvolta persino all’interno della stessa Orda110. L’ascesa di singoli khan capaci di estendere la propria autorità sulle altre Orde era un fenomeno piuttosto raro e connesso a specifiche circostanze, come la limitatezza territoriale nei primissimi tempi del khanato o la presenza di specifiche minacce esterne111.

La legge consuetudinaria kazaka (adat), mai codificata se non in epoca russa, non

differiva quindi nella sua sostanza dalle usanze di “quel mondo” da cui si era separata nel XVI sec. E diffatti appare chiara la discendenza di questo sistema di regole da un sub-strato di leggi convenzionali di derivazione turca attraverso la mediazione del sistema di leggi codificato vigente sotto i Mongoli, detto yasa112. Si potrebbe perfino azzardare, allora, che il sistema socio-politico kazako rifletta quasi teleologicamente il processo di formazione della stessa società tradizionale kazaka: un radicato sub-strato linguistico e “tecnologico” di origine turca, filtrato dall’elemento sia etnico, che giuridico mongolo113.

Da tribù subordinata all’interno della confederazione tribale altaica dei juan-juan, i Türk si imposero improvvisamente nel 551 d.C. sostituendosi alla tribù dominante. Ma ben presto il dominio appena conquistato venne diviso in due sottoparti, solo formalmente coese: il regno dei Turchi Orientali, che comprendeva i luoghi d’origine altaici, e il principato dei Turchi Occidentali, che occupava i territori di più recente conquista sotto i juan-juan, cioè il Tian Shan e la Semirechia. I primi poterono inizialmente godere di pacifiche relazioni con la dinastia cinese Tang, che era stata una preziosa alleata durante l’insurrezione contro i juan-juan. I secondi dovettero presto confrontarsi con un regno che, come gli juan-juan, era nato dalla sfaldatura del regno Hsiung-nu: gli Eftaliti. La vittoria fu resa possibile dal secondo grande regno sedentario che si trovava ai confini dei regni turchi, la Persia Sassanide. Un’alleanza turco-persiana 110 M.B. Olcott, op.cit, p.15 111 G.J. Demko, op.cit, p.25 112 M.B. Olcott, op.cit, p.18 113 Sia turchi che mongoli facevano parte del mondo nomadico altaico e data l’importanza di lungo termine del primo e l’incisività del secondo, sono stati spesso visti in “linea di continuità” e perfino come precursori del futuro Impero Ottomano di base etnica turca. Ma il concetto di eredità o discendenza è estremamente complesso e sfaccettato per popolazioni così distanti nel tempo e richiama al contributo anche di popolazioni o formazioni politiche “minori”. E’ così estremamente difficile distinguere ciò che appartiene all’eredità turca da quella mongolica, fatti salvi per quegli elementi chiaramente discernibili dalle pochissime fonti o coeve o dirette, come la Storia Segreta. Appare allora talvolta preferibile riferirsi ad una complessiva cultura altaica (specie per la cultura materiale) anche quando si analizzano periodi successivi, come quello del passaggio dai regni post-mongolici alla formazione delle moderne etnie centrasiatiche (uzbeki e kazaki) ed evitare meccanicismi eccessivi, come quello di indicare i kazaki come gli eredi dell’Orda d’Oro. Certamente essi emersero come la principale etnia dell’area scaturita dalla fusione di elementi etnici chinghisidi e che mantenne i tratti economici nomadici, o appunto altaici, di quella cultura. Non furono tuttavia i soli, come i vicini bashkir, né lo rimarranno dopo le migrazioni kalmyk. Di contro, non furono le sole popolazioni emerse dalla pangea dell’Orda batuide, come palesa il caso dei tatari, convertitisi tuttavia alla sedentarietà consentita dal Volga. Infine, pur con le dovute correzioni, perfino i russi possono esserne latu sensu considerati “eredi legittimi” (spunti da Ira M. Lapidus, Storia delle Società Islamiche, Vol. II, Einaudi Torino 2000, pp.188-194).

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garantì infatti ai primi il controllo formale dei piccoli principati che frammentavano la Sogdiana, importante regione commerciale, e restituì ai secondi il Khorasan, storicamente parte del regno persiano114.

A questo punto ciascun regno turco si trovò a confinare con un importante regno sedentario: la Cina Tang a oriente e la Persia Sassanide a occidente. La principale differenza stette nel fatto che la Persia azzardò rare incursioni militari in Transoxania senza mai sfidare i Turchi Occidentali nel proprio territorio, mentre la Cina riorentò la propria linea politica nei confronti dei Turchi Orientali verso un più tradizionale tentativo di assorbimento politico e culturale. Questo obbiettivo venne coronato con la formale sottoposizione all’imperatore nel 627. Non solo: lo sviluppo cinese di quegli anni consentì un’ambiziosa espansione militare fino al Sinkiang, alle porte del regno turco occidentale.

Tuttavia, la seconda fase del processo di espansione turca scaturì proprio dai territori del regno turco orientale, i primi a essere stati sottomessi. Nel 680 essi riottennero l’indipendenza e restaurarono il proprio regno, comprensivo della porzione occidentale. Riassestatisi negli antichi territori, essi iniziarono una serie di campagne militari che toccarono tutti i territori centrasiatici fino al Tokharistan afgano, preludio della futura conquista militare e culturale. Qualche decennio più tardi, cioè alla metà dell’VIII sec, negli stessi anni in cui gli Abbassidi spodestavano gli Omayyadi nel mondo islamico e poco prima del tracollo della dinastia Tang in Cina, la tribù turca degli Uyghur (744-840) ebbe la meglio sui Kök Türk d’oriente, così come quella dei Türgesh su quelli occidentali115. In questa maniera si venne a riproporre una divisione tra est ed ovest del tutto simile a quella delle origini.

Il continente eurasiatico nel VI sec; da J.J.Saunders, op.cit, p.16 Ma dopo che gli Arabi strapparono l’estremità orientale del khanato, i turgesh vennero

attaccati dal regno Uighur e definitivamente sconfitti dai Karluk (766), nuove popolazioni turche provenienti dagli Altai orientali. Il regno Karluk si estendeva in origine dalla Kashgaria fino al Syr Darya; successive conquiste militari assicurarono il controllo delle aree attorno ai laghi Issik-Kul e Balkash, oltre che comprendere i corsi dei fiumi Ili, Chu e Talas. La maggior parte dei territori del Kazakistan vennero quindi conquistati da questo regno, ad eccezione della porzione occidentale (Kipchak) dove 114 J.J.Saunders, op.cit, pp.18-22 115 S.Soucek, op.cit, pp.51-69

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altre tribù turche, note come Oghuz, mantennero l’indipendenza fondendosi con le popolazioni locali116.

Nel 940 essi persero un’importante lotta dinastica con la famiglia dei Karakhanidi che si sostituì loro. Per tutto il loro regno essi dovettero sostenere analoghi scontri all’interno della confederazione per la supremazia e all’esterno con i turchi selgiuchidi per la sopravvivenza. Nonostante i continui scontri con l’esterno e all’interno, i Karakhanidi non interromperanno il periodo di sviluppo iniziato con i Kalmuk: la popolazione continuò a crescere e venne raccolta in nuovi centri urbani, mentre vennero ampliati quelli fondati dai predecessori nelle steppe; nel mentre l’economia steppica esplodeva grazie all’integrazione con i grandi centri agricoli e commerciali delle valli. Ma indeboliti dalla definitiva conquista selgiuchide della Transoxiana, i Karakhanidi vennero abbattuti dai Karakitai, detti anche Khitan Occidentali (1130)117.

I nuovi arrivati furono costretti alla fuga dal nord della Cina dai Tungus Jürchen. Seppure questi ultimi saranno destinati alla sinizzazione dalla conquista del nord cinese, anche i Khitan, pur senza conquistare mai territori cinesi, subirono influssi da questa cultura e se ne fecero tramiti una volta giunti in Asia Centrale, dove essi poterono sviluppare la propria sintesi sinico-altaica nell’arte di governo a discapito delle precedenti dinastie turche persianizzate. Il nuovo regno trovò il proprio nucleo nella fiorente Semirechia di quei secoli ed ebbe circa ottant’anni di tempo per invassallare precedenti dinastie locali (principalmente Karakhanidi, Uyghur e Karluk) e sottoporre a tributo alcuni regni circostanti (tra cui Khwarazm a sud-ovest). Ma la parzialità del processo di sinizzazione a vantaggio dell’elemento altaico emerse puntualmente nelle continue lotte per la spartizione del potere nella famiglia regnante e negli ininterrotti scontri con poteri rivali all’esterno. E ancora una volta sarà la concorrenza di più avvenimenti a segnare la fine di un regno nomade. La ribellione di Khwarazm portò dapprima alla sconfitta dei Karakhanidi fedeli ai Karakitai e infine di questi stessi. Ma una volta che Khwarazm avrà volto le proprie attenzioni verso la Baghdad abbasside, saranno nuovi dominatori altaici a dominare steppe e valli kazake.

Le vicende dei nuovi dominatori Naiman furono segnate dal confronto con un ben più imponente avversario: l’ormai unificata Mongolia chenghiskhanide, da cui loro stessi provenivano come fuoriusciti e rivali di Temujin. Occupati dapprima i territori del Sinkiang nord-occidentale, minacciarono successivamente le città Karluk in Asia Centrale, ormai liberatesi del giogo Karakhitai. Ma proprio la richiesta d’aiuto a Genghis Khan da parte di questi ultimi segnò il destino del transitorio regno Naiman. La conquista della Semirechia nel 1218 preparava infatti alla ben più significativa invasione mongola di tutta l’Asia Centrale118.

I mongoli erano un sotto-gruppo altaico antico almeno quanto gli stessi turchi. Essi daranno per la prima volta unità e stabilità politica a buona parte del continente eurasiatico, sulla scìa del fortissimo carisma del suo fondatore Genghis Khan. Alla sua morte molte campagne erano rimaste incomplete e l’obbligo di conquistare questi territori ricadrà sui suoi successori. Il regno verrà diviso tra i suoi discendenti in quattro porzioni principali: la Mongolia nativa al figlio più giovane Töluy; la Siberia centrale e il Sinkiang dell’est a Ögodei, il nuovo khan prescelto dallo stesso Chinghis prima di morire; infine l’Asia Centrale al più anziano Chaghathai, mentre i territori del figlio più anziano Juchi, morto prima di Genghis Khan, vennero divisi tra Orda (Siberia occidentale), Shiban (Urali) e Batu, cui erano stati promessi i territori più a ovest, ancora da conquistare119. Anche la terza generazione chinghiside si rivelerà altrettanto capace nell’arte militare. Batu conquisterà puntualmente i territori dei Rus’. Hülegü

116 Ivi, pp.93-95 117 M.B.Olcott, in G.E. Curtis, op.cit, pp.10-11 118 S.Soucek, op.cit, pp.99-101 119 Ivi, pp.108-109

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conquisterà l’Iran (1256) e poi l’Iraq abbasside (1258), fino al suo cuore Baghdad. Möngke, il terzo khan, si dedicherà come lo zio Ögodey alla conquista della Cina, seppure il merito della sconfitta dei Sung ricadrà sul suo fratello e successore Qubilay alcuni decenni più tardi (1279)120.

Gli effetti della conquista mongola sono ambivalenti e ampiamente dibattuti. Da un lato, essi misero a ferro e fuoco le aree conquistate, per poi rivelarsi dominatori tolleranti (o indifferenti) nel campo delle idee e capaci di garantire pace e benessere alle popolazioni sottomesse121. Quindi furono la quintessenza stessa della cultura nomadica, “l’incarnazione storica” del massimo potenziale che una confederazione nomade altaica, per quanto limitata numericamente, poteva dispiegare122. Ma proprio per questo furono un caso totalmente “atipico”, difforme dalla maggior parte dei regni altaici del passato che aveva tentato un’impresa analoga, non solo per il livello di coesione politica raggiunto, ma anche per l’incredibile capacità organizzativa123.

Con riferimento al futuro territorio kazako, la conquista in sé e per sé si rivelò disastrosa, in quanto portò alla distruzione delle città del Syr Darya e al depauperamento dei pascoli della Semirechia, dove le truppe mongole si insediarono stabilmente, utilizzandola come “rampa di lancio” per le future conquiste verso occidente, durante le prime campagne di conquista fuori dalla Mongolia. La divisione del regno portò il Kazakistan a essere suddiviso tra l’Orda d’Oro, che controllava tutti i territori semidesertici e steppici, e l’ulus di Chagatai. Ma l’emergere dell’Orda Bianca strappò il Syr Darya a Chagatai e divise il paese lungo la linea delle steppe nei continui scontri per l’indipendenza con l’Orda d’Oro. Infine, l’ulteriore frammentazione dei territori Chagatai permise l’ascesa di Timur, da cui, più o meno direttamente, scaturirono gli eventi che portarono alla nascita del khanato124.Quindi, più in generale, il crollo dei khanati chingisidi determinò ampissime conseguenze, prima fra tutte un’ulteriore frammentazione geopolitica dell’area e più in generale con il regno mongolo sparì il “fattore nomadico” che per più di un millennio aveva ininterrottamente condizionato la vita dei continenti europeo e asiatico125.

Ma l’importanza della conquista mongola deve essere da parte nostra valutata nei suoi effetti di lungo periodo nel campo della cultura politica. Essa portò per certi versi al perfezionamento della cultura tradizionale nomade, dall’altro all’acquisizione di nuovi elementi dalle civiltà, spesso sedentarie, conquistate. Va riconosciuto infatti che i mongoli si rivelarono altrettanto voraci nell’apprendimento dell’arte del governo, delle finezze della burocrazia e dei segreti della diplomazia. Quintessenza di questo processo è la yasa, un sistema di leggi codificato voluto dallo stesso Genghis Khan. Anche se nessuna copia integrale del codice mongolo è giunta fino a noi, è possibile ricostruirne con sufficiente certezza i contenuti, grazie alla testimonianza di alcuni storici contemporanei e alle molte versioni parziali redatte in altre lingue. Infine, essa ebbe una

120 D. Christian, op.cit, pp.385-395 121 J.J.Saunders, op.cit,pp.63-71 122 S.Soucek, op.cit, p.103 123 D. Christian, op.cit, pp.395-405 124 M.B. Olcott, op.cit, pp.6-7 125 Il “millennio nomade” cominciò con le migrazioni verso ovest delle popolazioni altaiche (in direzione esattamente speculare a quella andronovica) che contribuiranno al crollo dell’Impero Romano d’Occidente. Ma secondo alcuni, questo periodo di tempo toccherebbe i duemila anni e sarebbe da ricondurre almeno agli Sciti, che per primi sfrutteranno sistematicamente le innovazioni sociali e tecnologiche sviluppatesi in quei secoli, dando una forma politica compiuta alla cultura nomade (D. Christian, op.cit, pp.123-128). Una volta unificato il settore settentrionale dell’Asia Centrale, avrebbero infatti anch’essi condizionato la vita di entrambi i continenti, asiatico ed europeo, consentendo fluidità, seppure non sistematicità, ai commerci tra di essi (Christian David, Silk roads or steppe roads? The silk roads in World History, in David Christian & Craig Benjamin, Realms of the Silk Roads: Ancient and Moderns, Brepols Publishers, Turnhout 2000, p.77-78).

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tale diffusione (fino al rivale Egitto dei Mamelucchi) che le sue caratteristiche essenziali possono essere ricavate per comparazione da molti sistemi socio-politici posteriori126.

Il primo elemento integralmente mantenuto dagli eredi del regno mongolo sarà l’idea di sovranità. Essa non ricadeva sul singolo individuo, ma piuttosto sull’intera famiglia del khan, parimenti titolare del controllo su un certo territorio. La prima implicazione di questo fatto si rifletteva sul meccanismo ereditario, per cui non era necessariamente il primogenito maschio a ereditare il titolo khanico. Al contrario, l’ultimogenito riceveva convenzionalmente in dono i territori patrimoniali, cioè i luoghi d’origine della propria famiglia, che assumevano un alto valore simbolico, specialmente durante le cerimonie di investitura. Ma il potere effettivo veniva riposto alla morte del khan nelle mani del figlio che un’assemblea di notabili (kuriltai), anziani e nobili, riteneva essere più vicino alle doti politiche e militari del padre127.

Al di là della straordinarietà del semplice fatto che leggi e costumi di una popolazione nomade abbiano trovato sistematica stesura, la conseguente fissità dei suoi contenuti ne hanno forse incrementato la durevolezza all’interno del patrimonio culturale lasciato in eredità ai futuri “sistemi legali” di molti regni dell’area, come il khanato uzbeko da cui i kazaki li appresero a loro volta128. La legge mongola rappresenterà infatti una strana sintesi di elementi innovativi e tradizionali, di illuminismo politico e superstizione. Ma soprattutto un punto di svolta centrale nell’evoluzione della struttura sociale nomadica, che non avrebbe più conosciuto da quel momento cambiamenti altrettanto significativi129.

Una delle principali innovazioni apportate dal sistema socio-politico mongolo è l’affiancamento del rapporto di fedeltà “amicale” (nöker) al più tradizionale “famigliare” (anda). Questa innovazione trova fondamento nella stessa esperienza umana di Genghis Khan, così come tramandata dalla storia segreta: figlio di un nobile mongolo ucciso dai suoi stessi parenti, egli stesso dovette ben presto uccidere per garantire la sopravvivenza alla propria famiglia abbandonata nella miseria dal resto del clan130. Vero o non vero, questo affresco della vita del futuro “khan dei khan” rivelerebbe se non altro la consapevolezza di chi lo succedette circa l’importanza di questa strategia per il futuro del regno. Una volta unificate le tribù mongole e iniziate le campagne di conquista all’esterno dei loro territori, questo rapporto diede origine a un vero e proprio “patto di fedeltà” tra il khan e i suoi sottomessi, che prevedeva la concessione di pascoli (che non erano “terreni” e potevano variare di anno in anno), in cambio di mobilitazione militare. Questo scambio di doni versus fedeltà e la piramidale gerarchia sociale che ne deriva, hanno suggerito agli storici un intuitivo avvicinamento al coevo sistema feudale europeo. L’esperienza politica mongola appare come la più vicina ad un sistema pre-statale simil-occidentale, in cui l’apparato politico ha comunque raggiunto un elevato livello di accentramento131, pur rimanendo legato ad una logica di spartizione di tipo famigliare. La suddivisione stessa dell’impero alla morte di Genghis Khan tra i suoi figli rifletterebbe una consolidata consuetudine vigente tra le popolazioni nomadi altaiche. In questo modo si sarebbe venuta a formare una vera e propria “nobiltà di sangue”, la sub-feudalizzazione dei cui territori avrebbe contribuito ad una deriva centrifuga di potere comunque analoga a quella del tardo medioevo europeo132.

126 J.J. Saunders, op.cit, p.69 127 Ivi, op.cit, p.73 128 Gavin Hambly, Die Goldene Horde, in Gavin Hambly (a cura di), Zentralasien, Fischer Bücherei, Frankfürt am Main 1966, p.133 129 J.J. Saunders, op.cit, p.69 130 D. Christian, op.cit, pp.387-394 131 G. Hambly, op.cit, pp.100-101 132 S.Soucek, pp.126-127

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Ma il precedente mongolo differirà considerevolmente dal futuro sistema politico kazako, che da questo punto di vista più che “regredire” verso la tradizionali e instabili confederazioni tribali altaiche, muove piuttosto verso un livello di centralizzazione inferiore, ma pur sempre efficiente. La principale differenza rimase nel fatto che, al contrario del caso mongolo, il potere politico nella società kazaka non muoveva in senso verticale dall’alto verso il basso, ma era piuttosto distribuito orizzontalmente tra vari centri di potere.

Ma al confronto con altre comunità nomadiche centrasiatiche, pure caratterizzate dal medesimo background etno-culturale turco-mongolo, spesso acefale o fortemente segmentate su base clanica, la società kazaka appare comunque come quella che maggiormente ha ereditato i tratti tipici della struttura politica mongola con riferimento alla centralizzazione politica. Nonostante la parzialità e instabilità del loro potere, le Orde possono essere infatti considerate delle istituzioni specificamente rivolte alla “riproduzione” della società. Inoltre, un’ulteriore differenza con le altre comunità nomadiche centrasiatiche coeve risideva nel fatto che l’appartenenza alla nobiltà chingiside non era un discriminen invalicabile che escludeva automaticamente dalle cariche più elevate133. In altre parole, viene superata la totale acefalità di società divise unicamente su base famigliare e tribale, pur senza raggiungere una completa e stabile centralizzazione politica, ma per far questo viene stipulato una sorta di “patto sociale” che rende significativo e forse unico il caso kazako134.

Ancora una volta “artificiosità” e “convenzionalità” del processo di etnogenesi kazako imposero di attingere alla tradizione, ma anche di adattare questi strumenti alle specifiche circostanze locali. La società kazaka, per quanto mobile e dinamica, non era infatti “proiettata all’esterno” come quella mongola. La rigida disciplina e strutturazione politica mongole, in parte apprese nel corso del processo di espansione, non erano quindi funzionali al controllo (pure oscillante e instabile) di un territorio comunque definito e circoscritto, in quanto sempre più contenuto da crescenti potenze sedentarie. In generale, nuovi rivolgimenti tecnologici come l’avvento delle armi da fuoco, avevano rivoluzionato equipaggiamenti e tecniche militari, rendendo obsoleta la potente cavalleria nomade. Più nello specifico, le comunità nomadiche centrasiatiche saranno sempre più “inibite” dal rafforzarsi di regni sedentari antichi (Cina) o emergenti (Russia), capaci di contenere la tradizionale “vivacità” nomade, sfruttando di volta in volta le ingenti risorse demografiche o un forte accentramento politico135.

Nel complesso è difficile valutare la natura del sistema politico kazako. La letteratura sovietica ha per molto tempo parlato di “feudalesimo” o tutt’al più di “democrazia militare”136. Tuttavia entrambe queste definizioni appaiono estremamente problematiche e fuorvianti. Problematiche perchè si etichettano ancora una volta fenomeni sociali estranei all’area europea in funzione di categorie da questa derivate. Fuorvianti perchè in questa maniera si esprime implicitamente una connotazione di valore. Nel primo caso, assimilare una società tradizionale ad un periodo della storia occidentale per definizione considerato “oscuro e degradato” implica che la fase successiva, quella della colonizzazione, sia stata invece quella della “modernizzazione” e dello “sviluppo”137. In maniera radicalmente opposta, nel secondo caso si cede invece

133 Paul Georg Geiß, Clans und Clanstrukturen, in M.C. Von Gumppenberg & U. Steinbach (a cura di), Zentralasien, Geschichte-Politik-Wirtschaft, Ein Lexicon, C.H.Beck, Munich 2004, p.50 134 Tentativo di adattamento al caso kazako delle argomentazioni presenti in Akbar S.Ahmed & David M.Hart, Islam in tribal societies, from the Atlas to the Indus, Routledge & Kegan, London 1985, p.1-17 135 S.Soucek, op.cit, pp.44-45 136 M.B.Olcott, op.cit, p.14 137 Incidentalmente questo riflette un approccio scientifico, quello “sviluppista”, di successo nelle scienze sociali degli anni Settanta, secondo il quale ogni società si svilupperebbe necessariamente

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ad una quasi romantica e poco oggettiva enfatizzazione della “distribuzione del potere” tra le varie unità della società kazaka, dimenticando i problemi che questa ha talvolta creato (da ultimo con i russi) nell’arco della storia di questo popolo.

La religione dei nomadi kazaki I kazaki sono ufficialmente musulmani sunniti di scuola hanafita138. Ma le reali

caratteristiche dell’Islam kazako sono tutt’oggi in buona parte di difficile valutazione, specie di fronte ai ben più palesi effetti dei processi di turchizzazione e mongolizzazione139. La sua storia è infatti particolarmente complessa, conoscendo in buona parte percorsi differenti da quelli del resto delle popolazioni turche dell’area140, oltre che molteplici momenti di interruzione.

La principale differenza risiede nel fatto che questo territorio non venne mai integrato nel Dar al-Islam ai tempi della rapida espansione del califfato Omayyade nel resto dell’Asia Centrale fino alla Transoxiana. L’ostacolo era rappresentato dapprima dai Turchi occidentali, che controllavano stabilmente la Semirechia e successivamente dal potente impero Tang cinese, che dopo la conquista del Sinkiang e l’abbattimento dei Turchi occidentali (750 d.C) arrivò a minacciare da vicino il Mawarannahr arabo141. La situazione cambiò quando i Samanidi, una dinastia iraniana fedele al califfato abbasside, portarono il vessillo del jihad oltre il Syr Darya, verso la Semirechia e il Sinkiang nord-occidentale. Ma la conquista politica dei nomadi sarà parziale per estensione e rilevanza futura, essendo la Semirechia complessivamente “periferia” del mondo nomade e il Sinkiang conquistato solamente una piccola parte del Turkestan nord-orientale. Inoltre il paganesimo era ancora ben radicato, nonostante i già frequenti tentativi delle popolazioni delle valli di convertire i nomadi al Nestorianesimo o al Buddismo. Maggiore importanza avrebbero assunto i missionari (dai) che, avventuratisi nelle steppe, si uniranno ai nomadi assumendone gli stili di vita142.

Un primo significativo risultato sarà rappresentato dalla conversione di alcune tribù turche qarluq locali, oggi ricordate come Karakhanidi, dal nome della famiglia dominante. Questo avvenimento aprì un’importante breccia nel mondo nomade turco, completamente chiuso al proprio interno fino a quel momento e autoreferenziale, sia culturalmente che politicamente. La prima e più palese conseguenza fu che essi invertirono la tendenza islamica di espansione verso nord-est, conquistando la Transoxania e insediandosi a Samarcanda e Bukhara al posto dei Samanidi, ultima e unica dinastia iraniana nell’area dopo l’avvento dell’Islam. Per quanto la generale influenza culturale iraniana e quella specificamente linguistica non vennero mai compromesse, dal punto di vista politico l’area di influenza verrà circoscritta al di là del Khorasan, cioè al cuore storico della Persia. Da questo momento, cioè la fine del X sec. d.C., i turchi rappresenteranno il principale elemento etnico dell’Asia Centrale islamizzata e la forza politico-militare che si farà promotrice del nuovo credo. Il baricentro geografico, culturale e politico del regno karakhanide rimarrà per molti versi a cavallo tra nord e sud, mondo turco nomade e mondo iraniano sedentario. Territorialmente esso comprendeva pressochè l’intero Kirgizistan attuale, il Sinkiang nord-occidentale e la Semirechia; successivamente la Transoxania divenne per la prima

secondo un’evoluzione strutturata in fasi distinte e lineari. Da questo punto di vista, tutto ciò che è “tradizione” diviene allora uno “stadio precedente” che dev’essere superato a tutti i costi, e in fretta. 138 S. Akiner, Islamic People of the Soviet Union, Kegan Paul, London 1983, p.301 139 M.B. Olcott, op.cit, pp.18-19 140 M.B. Olcott, in G.E. Curtis, op.cit, p.30 141 S. Soucek, op.cit, pp.51-69 142 Ivi, pp.70-76

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volta (e definitivamente) possedimento turco143. Da un lato, vennero mantenuti stili di vita e un’organizzazione politica clanica, a dimostrazione della solidità del background sociale turco. Dall’altra, verrà creata una lingua letteraria turca sul modello di quella persiana144 e ricostruiti i centri urbani della Semirechia145, a dimostrazione dell’appetibilità della cultura e dell’economia persiane. In altre parole, nonostante la propria origine nomadica i karakhanidi rivelarono una notevole apertura mentale e flessibilità politica146. Essi patrocinarono la diffusione della scuola giuridica hanafita e di quella teologica maturidita147.

Ma la conversione all’Islam rappresenterà un autentico punto di svolta in un senso ben più ampio, in quanto spalancherà le porte, mentali e fisiche, dell’allora mondo islamico. Il mondo delle valli non fu più semplicemente un luogo di rapina, dove già gli antenati kök türk avevano eseguito sporadiche incursioni, ma divenne il luogo attraverso la cui conquista si potè entrare a pieno diritto nel mondo islamico (per poi cambiarne il destino). Per la prima volta il punto di riferimento ultimo della cultura turca non saranno più le steppe altaiche, ma Mecca, Medina e Baghdad, al cui califfo, come già gli Shamanidi prima, giurarono incondizionata (e formale) fedeltà. Fu per certi versi la stessa conversione religiosa il presupposto per la tolleranza politica: la costruzione di edifici religiosi, il supporto alle scuole coraniche o alle fondazioni religiose sarebbero altrimenti rimasti inconsiderati presso una popolazione nomadica “ortodossa”148. Di lì a poco i nomadi del Kipchak diverranno (XII sec.) destinatari di una significativa azione di islamizzazione per opera del sufi Ahmed Yasavi. Originario appunto di Yasi, futura Türkmenistan, e fondatore dell’omonima tariqa, egli diverrà il più grande promotore dell’Islam nel mondo turcofono nomade nel XII sec, nonostante avesse dedicato a quest’opera solamente gli ultimi sette anni della propria esistenza149. Perciò al momento della conquista mongola, gli stessi batuidi si trovarono a governare su popolazione convertite.

Ma ancora una volta, però, l’interpretazione del periodo mongolo non è facile. Da un lato, essi vengono considerati come i distruttori di un processo di nation-making kazako in corso sotto Karakhanidi e Karakitai, in cui l’Islam era un elemento portante. Dall’altro, la stessa yasa divenne, attraverso la sintesi con precetti consuetudinari, un veicolo dell’Islam150, mentre la continuità territoriale garantita dal potere mongolo facilitò i contatti con il vicino oriente, cioè con i luoghi originari dell’Islam o quelli dove erano stati raggiunti i maggiori risultati dell’ortodossia151.

Si è poi già accennato al fatto che i discendenti di Timur saranno i patroni dell’ultima espressione del grande Islam centrasiatico. Così se l’elemento Islam risulta acquisito dalle elites che guideranno il khanato uzbeko, il ritorno nelle steppe dei “kazaki” pare riportare queste popolazioni, solo una delle componenti della futura società kazaka, verso “l’elemento naturale” del nomadismo e quindi della cultura turco-mongola non mediata dalle raffinatezze della lingua persiana o dell’Islam152. Inoltre, il degrado all’epoca delle città del Syr Darya, rimaste distrutte dopo il passaggio dei mongoli, non facilitava sistematiche comunicazioni con le valli; di contro, non v’erano contatti con le

143 Ivi, pp.83-85 144 I.M. Lapidus, op.cit, p.185 145 M.B. Olcott, op.cit, p.6 146 S.Soucek, op.cit, pp.85-92 147 I.M. Lapidus, ibidem 148 S.Soucek, ibidem 149 Ivi, pp.141-143 150 M.B. Olcott, op.cit, pp.6-7 151 I.M. Lapidus, ibidem 152 Ajay Patnaik, Nations, minorities and states in Central Asia, Maulana Abul Kalam Institute of Asian Studies, Anamika Publishers, Kolkata 2003, pp.16-17

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popolazioni tatare al nord153. In altre parole, dopo la conquista mongola si viene a ricreare un completo isolamento, cioè un’autosufficienza materiale e un’autoreferenzialità culturale assolutamente tipica della realtà nomadica154. Non vi erano in particolare necessità economiche o urgenze politiche a rendere impellente la conversione. Economicamente, gli scambi potevano supplire ai beni che non si riusciva a produrre, specie quando le preziose città meridionali erano sotto sicuro controllo politico e militare. Culturalmente, la tradizione nomadica forniva tutto ciò di cui un nomade aveva bisogno per la propria spiritualità. Socialmente, le tribù organizzate in Orde continuarono a svolgere il ruolo di unità nell’aggregazione e nell’interazione sociale che le confraternite svolgevano nelle valli155, rendendo l’Islam non necessario come “criterio di organizzazione sociale”. Politicamente, un allontanamento dall’Islam poteva anzi essere un elemento di distinzione dal mondo sedentario dei fuoriusciti. Così all’indomani dello scisma la maggior parte dei kazaki, sia la nobiltà che il resto del popolo, seguiva per lo più il paganesimo tradizionale, mentre solo i pochi commercianti delle città meridionali avevano contatti con l’Islam.

Ciononostante khan e sultani si rivelarono ben più sensibili alla religione delle valli che continuava a essere veicolata dai dai. Alcuni di questi, seppure solo con la funzione di scribi e letterati, vennero progressivamente e stabilmente integrati nel loro seguito. Questa convivenza inoculò una certa curiosità che portò alla formale accettazione dei principi islamici. Ma le masse non vennero mai obbligate ad abbracciare il nuovo credo, nè vennero “convertite d’ufficio” a seguito delle nuove preferenze della nobiltà. In entrambi i casi, l’Islam così veicolato era o divenne un credo spurio: i dai dovettero scendere a compromessi con la preesistente cultura pagana e questa flessibilità dell’Islam “dell’espansione” ha quindi portato anche in Kazakistan ad una specifica sintesi, ad una specifica declinazione dell’Islam periferico in Asia156.

Tutt’oggi non ci sono prove che ci fossero conoscenze dell’arabo o degli insegnamenti del Corano. Persino i “cinque pilastri” dell’Islam, il tratto più esteriore e immediato della nuova religione, erano difficilmente rispettati o compresi. 1) Ad Allah venne semplicemente riconosciuta una posizione di preminenza nel pantheon tradizionale, senza comprendere le specificità e i rigori del rigido (e totalizzante) monoteismo islamico (tawhid)157. 2) Si pregava in occasione della visita di un mullah, ma mai cinque volte al giorno o puntualmente al venerdì in una moschea. Per giunta non esistevano edifici stabilmente dedicati al culto, essendo le steppe prive dei materiali necessari alla loro costruzione. 3) Non v’era necessità di un’elemosina rituale, in quanto l’organizzazione sociale kazaka garantiva meccanismi di solidarietà abbastanza solidi

153 M.B. Olcott, op.cit, p.19 154 In realtà, è forse possibile azzardare l’esistenza di una genetica ostilità dell’Islam, nella sua declinazione più teorica e ortodossa, verso assetti sociali di tipo tribale. In un’ottica onnicomprensiva e totalizzante come quella del monolitico sistema socio-culturale islamico il principio essenziale del tawhid, l’unità-unicità divina, trova un riflesso immediato nella stessa strutturazione della società, che dev’essere “unica” senza segmentazioni legate ad appartenze tribali, etniche, nazionali o territoriali. La stessa vicenda di Muhammad è forse la storia di un riformatore che lotta contro forme di jahiliya sociale, prima ancora che religiosa, nella penisola arabica divisa in tribù del VII secolo. 155 Isenbike Togan, Flexibility and Limitation in Steppe Formation, Brill, Leiden 1998, pp.7-8. In realtà, l’autore sostiene proprio il contrario: l’avvento dell’Islam trova nelle valli terreno fertile in quanto attraverso le confraternite fornisce un elemento di aggregazione che svolgerà un ruolo analogo a quello delle preesistenti tribù a nord, consentendo un confronto ad armi pari sia sul piano politico che, da ultimo, militare. Adatto e rovescio la tesi per argomentare a contrario un ulteriore elemento di scarsa appetibilità dell’Islam agli occhi dei nomadi kazaki, già forti di ben più antiche “forme sociali”, ancora perfettamente efficienti e funzionali alle esigenze economiche. 156 M.B. Olcott, op.cit, pp.18-19 157 A.S. Ahmed & D.M.Hart, op.cit, pp.3-4

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per la sussistenza degli individui e delle famiglie. Infine, il digiuno non era praticato (4) e pochissimi kazaki compivano il pellegrinaggio alla Mecca (5)158.

Il caso kazako all’alba della conquista russa era quindi uno specifico esempio di sincretismo tra religione tradizionale e Islam, dato che accanto a talvolta poco incisive pratiche islamiche, certamente sopravvissero molteplici elementi di sciamanesimo, animismo e culto degli antenati, tipicamente nomadici159, oltre che sporadiche suggestioni provenienti dall’area culturale iraniana. Questa suggestiva frammistione di elementi testimonia delle variegate influenze subite dall’area centrasiatica nel suo complesso160.

Una posizione specifica avevano i corpi celesti, onnipresenti nei culti nomadici, suggeriti dal quotidiano avvicendarsi di ampi spazi aperti incapace di impedire la loro puntuale e quindi “magica” riapparizione161. Infine il culto degli antenati, come sempre indicativo di una maggiore capacità di “astrazione” e per questo più “raffinato” del semplice animismo, rivestiva un ruolo centrale ed era strutturale nella cosmologia kazaka. Ancora una volta le pratiche religiose tradizionali riflettevano le condizioni della vita quotidiana e rivelavano l’implicita consapevolezza popolare circa il ruolo svolto da ogni elemento che prendeva parte al ciclo economico, compresi gli animali.

I kazaki credevano innanzitutto esistessero un Bene (kei) e un Male (kesir), entità piuttosto astratte, impersonali e difficilmente identificabili con oggetti o luoghi specifici. Essi lottavano in continuazione l’uno contro l’altro e questa lotta poteva indirettamente condizionare la sorte degli umani. Muhammad stesso assunse la posizione di spirito kei. Accanto a questi stavano gli spiriti della terra (jher-ana), dell’acqua (su-ana), del fuoco (ot-ana) e degli animali, come la pecora (shopan-ana), le vacche (zengi-baba), i cavalli (kambar-ata) e i cammelli (oisal kara). Si credeva poi che gli spiriti dei morti (aurak) risiedessero separatamente nel sole, nella luna, nella terra, come nei vari animali. Questi spiriti potevano essere invocati per intercedere contro le forze del Male. Tuttavia, il loro intervento era possibile solamente nel caso in cui questi fossero stati sepolti decorosamente e fossero onorati adeguatamente dopo la sepoltura dai famigliari. Per questo motivo il culto dei morti assumeva un’importanza pari e superiore alla cura dei vivi162. Lo sciamano (bagsha), era incaricato di sovrintendere alle cerimonie in onore dei morti e di intermediare con gli spiriti attraverso pratiche estatiche163. Questa figura sacerdotale non si estinse neppure con l’avvento dell’Islam, che negava teoricamente la possibilità di intercessioni tra Dio e il credente, e mantenne inalterata la propria preminenza sociale.

158 E.E. Bacon, op.cit, pp. 41-42 159 M.B. Olcott, op.cit, p.19 160 L. Krader, op.cit, pp.118-120 161 J.J. Saunders, op.cit, p.13 162 M.B. Olcott, op.cit, p.19 163 L. Krader, op.cit, pp.130-132

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Capitolo 2. La lenta penetrazione russa

Nel precedente capitolo si è tentato di descrivere la società tradizionale kazaka nei suoi aspetti essenziali: collocazione geografica, formazione storica, assetto sociale e stili di vita. Particolare enfasi è stata posta nel sottolineare la profondità dei rapporti che legavano tale popolazione alle aree e ai popoli circostanti sotto tutti gli aspetti appena richiamati. In conclusione, si è sostenuta la tesi per cui la cultura nomadica altaica, pur nella sua specificità locale, sarebbe il vero elemento caratterizzante la società kazaka anche a discapito di fattori altrove centrali, come l’Islam.

Il capitolo che segue affronta invece un altro momento essenziale della trasformazione della società tradizionale, cioè quello della progressiva penetrazione russa. L’arrivo della Russia zarista in Kazakistan condurrà infatti ad una conquista da parte di una potenza esterna, difforme socialmente e culturalmente. Se l’area centrasiatica meridionale, e con essa il Syr Darya e la Semirechia, aveva già conosciuto esperienze analoghe ai tempi di Alessandro Magno o dell’Impero musulmano, le steppe e il semideserto kazako erano stati conquistati in maniera intermittente e instabile unicamente da altre popolazioni nomadi, compresi i mongoli, cioè popolazioni culturalmente e materialmente simili. E’ perciò dall’antichità che nessuna potenza politica straniera (ed estranea) sottometteva militarmente queste aree, così come nessun autentico fenomeno di sincretismo si era qui sviluppato, se non nel passato più lontano. Inevitabilmente questa autoreferenzialità della cultura nomade, che non è da intendere né come chiusura né come staticità ma piuttosto come autosufficienza, sarà da ultimo la vera destinataria dell’azione politica russa.

E di fatto in questo periodo verranno progressivamente introdotti elementi assolutamente nuovi: una legge scritta e la codificazione della legge tradizionale, dei confini territoriali e una burocrazia che agiva per conto di un centro lontano e sconosciuto. In altre parole, attraverso la conquista russa venne introdotta l’idea stessa di “stato”, cioè quella di un’entità istituzionale centrale e separata, e perciò strutturalmente estranea alla tradizionale società nomadica. Da questo momento infatti non saranno più solamente la secolare tradizione o la discrezionalità degli anziani a stabilire la liceità dei comportamenti; dei confini separeranno stabilmente e inflessibilmente popolazioni e pascoli; una rigida gerarchia di funzionari stranieri si farà portavoce di poteri esterni.

Dovremo quindi valutare gli effetti di questo “agente esogeno” sul tessuto sociale, sia dal punto di vista materiale che culturale. Nel primo caso, il sintomo principale diverrà la sedentarizzazione della popolazione locale, e nel secondo la sua islamizzazione, attivamente promossa in Kazakistan come vero e proprio instrumentum regni. Entrambi possono apparire come degli esiti farseschi e paradossali, ma che dall’ottica russa apparvero essenziali per porre i presupposti di uno stato moderno di tipo occidentale. Successivamente questo innesto darà origine a esiti assolutamente peculiari, posto che la stessa politica di islamizzazione, non necessaria in molte delle aree contigue, avrà in Kazakistan un inaspettato successo proprio come strumento di aggregazione e resistenza

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politica, nonché di apertura verso l’esterno. Successivamente dovremo quindi valutare l’eventuale “azione di rigetto” del fattore “russo-occidentale”, chiarendone il più possibile contenuti e codici, originali o tradizionali.

Ma il dispiegarsi di tutti questi effetti ha richiesto un lunghissimo periodo di tempo che obbliga ad una periodizzazione attenta e rigorosa. Innanzitutto, va distinto il momento della progressiva conquista da quello in cui, compiutasi questa, potranno essere attuate le politiche più incisive. In entrambi i casi sarà necessario valutare tutte le asimmetrie temporali rispetto alle altre popolazioni centrasiatiche. Infatti proprio al contrario di queste il primo di questi periodi nel futuro Kazakistan occupa un arco temporale molto più ampio che va dal XVI al XX sec, cioè dai primi contatti accidentali fino al controllo politico sostanziale, seppur incompleto. A sua volta esso può essere suddiviso in tre fasi principali: la penetrazione commerciale (fine XVI-XVII sec.); il protettorato sui territori della Piccola e Media Orda; l’occupazione militare della Semirechia, territorio della Grande Orda, e della valle del Syr Darya164. A queste sottofasi va infine affiancata l’analisi delle principali politiche attuate dalla Russia nel XX sec. e in particolare quelle relative allo stanziamento dei coloni slavi, all’inizio promosso attivamente dallo stato e poi proseguito illegalmente, e all’islamizzazione, anch’essa inizialmente sponsorizzata, ma poi repressa. Più in generale, ognuno di questi momenti aiuta a capire la singolarità del rapporto russo-kazako rispetto alle repubbliche centrasiatiche, consolidato e indiscutibilmente complicato proprio dall’ampio intervallo temporale entro cui si è sviluppato.

Infine, la complessità di questa fase risente sia di dinamiche squisitamente interne (come il progresso industriale in Russia o le rivalità per il potere khanico nelle Orde), sia di dinamiche esterne (come le guerre europee per i russi o contro gli zungari per i kazaki). In entrambi i casi, l’analisi impone quindi di considerare anche i fattori che stanno al di là del semplice momento di interazione tra queste due società, per poi comprendere come queste dinamiche si intersechino a vicenda man mano che le relazioni si resero più sistematiche.

Origini dell’imperialismo russo Secondo alcuni autori l’avanzata russa verso oriente risponde ad un’istanza intrinseca

nella stessa identità nazionale russa165. Sussisterebbero in questo profonde analogie con la marcia verso il lontano ovest degli Stati Uniti, più o meno nello stesso periodo. Da un lato v’è chi enfatizza la specularità spaziale delle due avanzate che convergevano verso il Pacifico166, mentre altri sottolineano le similarità geo-sociale in riferimento al tipo di territori (ampi e inospitali) che dovettero essere attraversati e al tipo di popolazioni (nomadi e a struttura tribale) incontrate167. Ma forse è ancora più suggestivo notare come questa avanzata porrà i presupposti materiali di un manifest destiny molto simile per le due future superpotenze. Veicolo essenziale di tale tendenza fu un altrettanto speculare spinta missionaria ed evangelizzatrice che però si coniugherà differentemente nei due casi. Negli Stati Uniti d’America questa, pur presente fin dalle origini, si potrà

164 Questa sottosuddivisione del primo periodo riunisce tre autorevoli ricostruzioni, cioè quella di Martha Brill Olcott in The Kazakhs (Hoover Institution Press, Stanford 1995, p. 28), George J. Demko in The Russian Colonization of Kazakhstan, 1896-1916 (Indiana University, Bloomington 1969, p. 36), Svat Soucek in A history of Inner Asia (Cambridge University Press, Cambridge 2000, p.197). Tutt’e tre infatti individuano una periodizzazione bifasica, che tuttavia non coincide in ragione del differente focus dei rispettivi lavori. 165 Josef Popowski, The rival powers in Central Asia. The struggle between England and Russia in the East […], Archibald Constable & Co, Nendeln\Liechtenstein 1977, pp.1-5 166 Svat Soucek, A history of Inner Asia, Cambridge University Press, Cambridge 2000, p. 199 167 George J. Demko, The Russian Colonization of Kazakhstan (1896-1916), Uralic and Altaic Series Vol.99, Indiana University. Bloomington - Mouton & Co. Hague, pp. 34-36

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esprimere compiutamente attraverso un quadro istituzionale radicalmente nuovo solamente dopo la recissione dei legami con l’ancien regime europeo. Lo stato russo invece si formerà e diverrà una potenza occidentale a tutti gli effetti proprio grazie all’originario appoggio della Chiesa Ortodossa, fino almeno alla successiva vicenda rivoluzionaria. In entrambi i casi, l’elemento religioso rappresenterà il massiccio rivestimento spirituale dell’opera di conquista.

Ma al di là della facile retorica del caso, è importante considerare come ancora una volta sia la geografia a dare da ultimo ragione dei differenti sviluppi di un fenomeno solo in apparenza simile. L’isolamento continentale degli Stati Uniti consentì loro infatti di confrontarsi esclusivamente con popolazioni indigene locali, divise politicamente e arretrate tecnologicamente, e con quelle coloniali (Gran Bretagna, Francia e Spagna), su cui ebbero la meglio per via militare o diplomatica nel pluridecennale processo di espansione verso ovest168. La collocazione transcontinentale della Russia impose invece fin dalle sue origini nel IX sec. un costante confronto con popolazioni e civilizzazioni estremamente differenti, come Bisanzio a occidente, quella caucasica a sud-est, le popolazioni nomadiche post-turche più a oriente e l’Asia Centrale islamica oltre queste. Tutte queste entità, ben più antiche e robuste, furono pericolose per il delinearsi di un’entità politica nuova, ma allo stesso tempo si rivelarono preziose per il definirsi di una nuova identità culturale, inevitabilmente spuria e sincretica.

Così la Russia imperiale del XVIII sec. potrebbe apparire ex post come una potenza occidentale a tutti gli effetti e inserita a pieno diritto nello scrambling dell’Asia. Come assetto politico, come potenziale militare, come economia in espansione, poco distingueva apparentemente la Russia da Gran Bretagna, Francia o Germania, salvo quegli elementi che poi esploderanno e si renderanno definitivi nel corso del Novecento: l’immobilismo politico-istituzionale, l’arretratezza economica, la disperazione sociale. Ma è da un passato a cavallo di due continenti e di più culture della Russia del IX sec. che va rinvenuta la specifica declinazione della pulsione espansiva, imperialistica e missionaria, della Russia del XVI sec. Solamente il processo di integrazione politica post-mongolo, pur tardivo, portò ad un forte accentramento politico che sarebbe diventato la base, come per tutte le potenze coloniali e imperiali europee, per sostenere lo sforzo economico e militare dell’espansione territoriale.

I primi contatti sistematici tra russi e kazaki si ebbero nel XVI sec. nell’area degli

Urali, più specificamente quando i cosacchi compirono alcune incursioni per cercare di limitare la minaccia kazaka sul commercio delle pellicce, che già da un secolo li coinvolgeva su basi informali e paritarie con i nomadi siberiani. Se quest’avvenimento segna l’inizio inconsapevole dell’imminente processo d’espansione imperiale russo, esso narra anche di un popolo, quello kazako, ancora in piena fase espansiva, sia culturalmente che economicamente. Pur già attestatosi sui “suoi territori” esso saprà ancora conoscere significativi momenti di prosperità a seconda del carisma delle leadership che si sapranno imporre. Fino a quel momento l’unico punto di contatto tra queste due popolazioni non fu geografico, ma politico, cioè il comune passato mongolo e le interconnesse vicende che portarono all’ascesa di entrambi questi popoli. Se l’avvento di Tamerlano assestò il primo drammatico colpo al potere dell’Orda d’Oro facilitando l’isolamento dei principati russi, è anche vero che la ribellione di questi ultimi contribuì alla dislocazione di parte di quelle popolazioni che presero parte alla formazione dello stesso popolo kazako169.

168 James A. Henretta, W. Elliott Brownlee, David Brody, Susan Ware, “America’s History”, Worth Publishers, 2nd Ed, New York 1993 169 Elizabeth E. Bacon, Central Asians under Russian Rule. A study in cultural Change, Cornell University Press, Ithaca, New York 1966, p.92

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Non è allora ozioso che per una piena comprensione di questi avvenimenti sia necessario inserirli nella più ampia dinamica che ne fu la cornice, cercando in particolare di focalizzare i principali connotati del futuro grande interlocutore e conquistatore. Inoltre, le stesse politiche attuate dai russi dopo la conquista rispondono velatamente a degli imperativi culturali molto spiccati e radicati, risultato di un processo di formazione di un’identità nazionale cominciato nel IX sec.

La stessa origine dei rus’ come gruppo etnico distinto dalle altre popolazioni slave rimane tutt’oggi confusa tra una leggendaria conquista scandinava, estremamente popolare, ed una più recente ricostruzione scientifica, la quale suggerisce che sarebbero piuttosto state le popolazioni del Caucaso a fornire gli strumenti essenziali alle popolazioni dell’area, ancora selvagge e anarcoidi, per costituire le prime entità politiche coese fondate sull’agricoltura e i commerci170.

In seguito l’identità nazionale russa si sarebbe venuta formando dal confronto con i grandi regni dell’area, tra cui in particolare i kazhar. Pur di origine turca e cultura nomade, al contrario dei loro predecessori bulghar essi si sedentarizzarono dando origine ad un importante regno situato a sud-ovest degli insediamenti dei rus’, che ne divennero tributari. Ma questi ultimi riuscirono nel 965 a strappare la preziosa città di Kiev, crocevia di molteplici rotte commerciali sia via terra che via mare, preludio della futura distruzione per loro mano del regno khazar stesso.

Da questo momento inizia il cosiddetto periodo kieviano e la storia dei rus’ come etnia titolare di una corrispondente entità politica. In realtà la storia russa in questa fase è ancora quella di una congerie di singole città-stato che controllavano popolazioni pagane. Le prime erano dominate da nobiltà locali frequentemente in lotta tra loro e su cui Kiev esercitava un mero controllo formale. Questo dava periodicamente origine a rivolte contro la dinastia regnante o a dispute separate tra le singole città e i regni rivali attorno ad esse, che contribuirono a definire fin dalle origini una spiccata propensione al conflitto. Analogamente, il paganesimo venne abbandonato per dotarsi di un importante strumento di aggregazione politica e legittimazione del potere, quale veniva visto il monoteismo, ormai abbracciato da tutti i potenti rivali dell’area (la Polonia, l’Ungheria e la Scandinavia di credo cristiano-occidentale, la Bisanzio cristiano-orientale a ovest, i khazar giudaici a sud-est, i bulghar musulmani lungo il medio Volga). E per un certo periodo di tempo i principi kieviani esitarono su quale credo abbracciare, spesso valutandone la convenienza più in base al valore militare dei vari vicini e potenziali alleati, periodicamente attaccati e provocati171.

E nonostante i khazar avessero rappresentato per alcuni secoli un’importante roccaforte contro l’avanzata dell’Islam in Europa, questo non impedì al nuovo credo di superarne i territori, seppure non ancora attraverso strumenti militari. Già qualche secolo prima i bulghar, predecessori dei khazar nell’area e da questi sconfitti, si erano spontaneamente convertiti al nuovo credo; analogamente anche i kypchak, successori dei khazar nell’area, si convertirono all’Islam, ormai sostenuto politicamente dai potenti centri islamici dell’Asia Centrale172. Khwarazm in particolare inviò doni e mullah ai principi russi, che vennero così provvisoriamente iniziati all’Islam173.

Ciononostante l’oscillante politica russa dell’epoca determinò infine l’inglobamento nella sfera di influenza bizantina attraverso la conversione al cristianesimo ortodosso 170 David Christian, A History of Russia, Central Asia and Mongolia, Vol.1: Inner Eurasia from prehistory to the Mongol empire, Blackwell Publishers, Oxford 1998, pp. 358-361 171 A.Brown, J.Fennell, M.Kaser & H.T. Willets (a cura di), The Cambridge Encyclopedia of Russia and the Soviet Union, Cambridge University Press, Cambridge, London, New York et al.1982, pp.80-81 172 Alexandre Bennigsen & Marie Broxup, The Islamic Threat to the Soviet State, Croom Helm, London & Sidney 1983, p.6 173 Edward Allworth (a cura di), Central Asia. A century of Russian Rule, Columbia University Press, New York – London 1967, pp.1-2

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(987-9 ca.) e la caratteristica politica matrimoniale. L’invio di un metropolita avrebbe poi fornito un prezioso elemento di aggregazione identitaria, dato che la Chiesa Ortodossa locale non divenne un centro di potere alternativo ed in conflitto con le dinastie regnanti, quanto piuttosto un loro docile strumento che contribuì a rafforzarne la legittimità174. Tuttavia il fattore religioso non rappresenterà mai un ostacolo al raggiungimento di un equilibrio politico con i vicini islamici, con cui si verrà inizialmente ad instaurare un rapporto paritetico e non conflittuale175.

L’importante periodo kieviano terminò con la conquista mongola nel 1237. I territori rus’ non vennero tuttavia organicamente inseriti tra quelli dell’Orda d’Oro: la parte a sud-est venne controllata direttamente dai mongoli, mentre a nord-ovest venne istituita una forma di controllo indiretto. Più precisamente i principi locali vennero qui lasciati in carica con il solo compito di riscuotere i tributi per conto dei dominatori. In questa maniera continuarono anche le lotte intestine tra i vari principati o con i loro nemici storici ad occidente, come la Svezia, la Lituania e i cavalieri teutonici176.

Analogamente, la collocazione periferica ebbe effetti disastrosi dal punto di vista economico, dato che questi territori non incrociarono mai le Vie della Seta (Cina) o delle Spezie (India), riportate a splendore dalla Pax Mongolica177. Inoltre, il cosiddetto “giogo mongolo” consisteva essenzialmente di tributi per tutta la popolazione e coscrizione obbligatoria per i maschi adulti e per gli artigiani specializzati, chiamati a servire nei territori dell’Orda. Questi elementi, uniti ai danni causati dalla recente sconfitta, portarono ad un complessivo declino dell’economia russa, che da prevalentemente commerciale assunse i caratteri di un’economia quasi esclusivamente agricola.

Ma il dominio mongolo contribuì a rafforzare anche un altro tratto essenziale della società russa. Inizialmente i dominatori si rivelarono indifferenti alla questione religiosa e non promossero alcun tipo di credo particolare a svantaggio di altri. Più in particolare, questo rispondeva ad una lunga tradizione, che discendeva direttamente dalla yasa chinghiside, in base alla quale “i saggi e i dotti delle popolazioni conquistate” dovevano essere rispettati e con loro i differenti credi, ugualmente sacri agli occhi dei superstiziosi dominatori. Questo approccio venne mantenuto anche con il clero ortodosso, perciò esentato dal servizio militare e dal pagamento delle tasse178, mentre allo stesso modo il cristianesimo potè essere liberamente praticato persino dopo che l’Orda d’Oro si era convertita all’Islam179.

L’esito di questa politica è duplice, ma non per questo meno rilevante. Da un lato, poterono sopravvivere tratti culturali e pratiche tradizionali, e non solo strettamente religiose, di cui il clero era ormai l’autentico guardiano. Inoltre l’accresciuta disponibilità economica facilitò la fondazione di un gran numero di monasteri in aree fino a quel momento disabitate e perciò improduttive. Dall’altro, la Chiesa russa divenne sempre più corrotta, anche allo scopo di resistere alle pretese dei vari principi locali sulle ricchezze in suo possesso. Infine è incidentalmente proprio in questo periodo che la Chiesa russa divenne definitivamente un’istituzione “nazionale”, a seguito della recissione dell’antico legame formale con la Chiesa di Costantinopoli nel 1448180.

In definitiva, se la dominazione mongola è unanimamente ricordata come lo spartiacque della storia russa, differente è il giudizio degli storici a proposito. La 174 Jukka Korpela, The Christian Saints and the Integration of Muscovy, p.17, in Sergei Bogatyrev (a cura di), Russia takes Shape, patterns of integration from the Middle Ages to the Present, Academia Scientiarum Fennica, Helsinki 2004 175 A.Bennigsen & M.Broxup, ibidem 176 A.Brown et al, op.cit, p.84 177 A.Bennigsen & M.Broxup, op.cit, p.8 178 A.Brown et al, op.cit, pp.84-85 179 A.Bennigsen & M.Broxup, ibidem 180 A.Brown et al, ibidem

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storiografia tradizionale riconduce a questa esperienza il dispotismo politico e la truculenza nei metodi militari, oltre che l’arretratezza culturale e una forte differenziazione sociale181. Questa eredità sarebbe poi stata mantenuta a lungo, poiché la Russia si sarebbe fatta carico dell’onere di difendere il risveglio culturale dell’Europa occidentale di quei secoli dalla minaccia delle barbarie islamiche o nomadiche provenienti da oriente182.

Tuttavia, un’analisi più attenta impone di scomporre con cura ciascuno di questi elementi. L’accentramento politico diverrà di lì a poco un imperativo del futuro stato moscovita; ma in maniera del tutto analoga a qualsiasi stato occidentale nella fase di definizione dei confini nazionali, il dispotismo sarà inizialmente l’unica soluzione praticabile in tale direzione. La propensione alla guerra, pur non una costante nella storia russa, poteva teoricamente essersi già ampiamente sviluppata in precedenza ai primordi del periodo kieviano, quando le popolazioni slave dei rus’ dovettero farsi spazio tra le altre popolazioni slave dell’area, i regni turchi circostanti e i regni cristiani a occidente. Se l’arretratezza economica è un dato di fatto inequivocabile, lo stesso non vale dal punto di vista culturale: al contrario della Persia o della Cina, le popolazioni russe conquistate non potevano di certo ancora vantare un livello culturale molto più raffinato delle popolazioni dominatrici183. Il periodo mongolo piuttosto contribuirà al mantenimento e al rafforzamento dei pilastri della cultura nazionale, come l’ortodossia cristiana. Tuttavia, questo non si traduce per il momento in un irrigidimento reciproco: non è l’Islam abbracciato dall’Orda d’Oro il criterio di distinzione del dominatore dal dominato e il confronto politico verrà effettivamente vissuto come tale. Al contrario, rimarranno per molto tempo palesi i punti di contatto tra la Russia ed il mondo nomade, musulmano e non, preesistenti ai Mongoli, ma resi definitivi proprio dall’appartenenza alla medesima sottounità politica mongola dell’Orda d’Oro.

Ed è nell’orizzonte di accresciuta frammentazione politica, riassestamento socio-

economico e definizione identitaria del periodo mongolo che gli equilibri di potere slittano in favore di Mosca, pur divenuta principato autonomo solamente nel 1301. La rapida espansione militare a svantaggio degli altri principati, l’insediamento del metropolita russo (1328) e l’incarico di riscuotere tributi per conto dei dominatori mongoli consentirono una considerevole mobilitazione di risorse economiche nel momento in cui il potere dei dominatori si faceva sempre più labile. Proprio i crescenti dissidi interni all’Orda d’Oro e le lotte con i khanati vicini avrebbero di lì a poco consentito la vittoria di Kulikovo (1380) guidata da Mosca, che segnò la fine del controllo mongolo. Da questo momento inizia un lungo processo di assestamento territoriale e accentramento politico che occuperanno i due secoli successivi e condurranno la Russia alla forma compiuta di “stato moderno”184.

181 A.Bennigsen & M.Broxup, ibidem 182 A.Bennigsen & M.Broxup, ivi, p.5 183 Ivi, p.8 184 Si tratta ovviamente di una categoria cruciale per l’intero lavoro e il caso moscovita consente alcune importanti anticipazioni. In generale, il concetto di “stato moderno” delinea l’avvento di un’organizzazione politico-territoriale autonoma e separata dai poteri “universali” del medioevo europeo. A posteriori, si è soliti identificare il corrispondente territorio come omogeneo da un punto di vista etnico, ma è noto che nella grande maggioranza dei casi la formazione degli stati-nazione fu una deliberata azione di costruzione ideologica posteriore per la legittimazione del potere politico esistente. Solo in un secondo momento, quando questi valori divennero preponderanti, altre entità hanno richiesto la separazione territoriale e politica da precedenti entità cui avevano fatto parte, ma anche in questo caso difficilmente si era trattato di entità assolutamente “pure” etnicamente. Principalmente questo avvenne nel periodo della decolonizzazione.

Ma quello che qui per il momento rileva non è ancora la “questione delle nazioni” e tanto meno quello della qualità politica del regime così creatosi, posto che nella maggior parte dei casi lo stesso processo di separazione territoriale prima e di costruzione di un’identità comune dopo, sono quasi sempre

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Tappe essenziali di questo processo saranno il regno di Ivan III, detto “il Grande”, e Ivan IV, detto “il Terribile”: il primo fu il principale artefice dell’unificazione dei principati, il secondo dell’espansione territoriale al di là di questi, mentre come tutti gli zar dell’epoca entrambi dovettero gestire il problema di un effettivo accentramento del potere.

Ivan III emerse nel 1462 dopo ottant’anni di acerrime lotte dinastiche moscovite per la ridefinizione degli equilibri di potere dopo la caduta mongola. In un primo momento, eglì operò per ricondurre sotto l’esclusivo potere di Mosca tutti i principati indipendenti affidati ai membri della sua stessa famiglia o a dinastie nobiliari separate. Forza e fortuna assistettero il principe: la morte naturale di due dei suoi tre fratelli, l’acquisizione di alcuni principati dietro compensazione, un’accorta politica matrimoniale, l’inserimento negli affari interni dei vari principati come garante esterno super partes, così come la punizione dei principi che avevano tentato accordi con poteri rivali ne coronarono il successo in poco più di vent’anni e senza massicci spargimenti di sangue185. Così l’unificazione pose il problema della difesa territoriale in termini assolutamente nuovi per l’estensione dei confini e le dimensioni del regno; di contro, essa era affidata per la prima volta ad un’unica autorità, ma ormai capace di mobilitare un vasto volume di uomini e risorse186.

Quando dopo il breve interregno di Basilio III (1505-33), Ivan IV ereditò la corona a soli tre anni per poi farsi incoronare già a quattordici anni, lo zar dovette affrontare una società diversa, che aveva definitivamente raggiunto i caratteri di un regno agrario, analogo agli ormai morenti stati feudali europei. Da un lato, l’aristocrazia terriera, spesso erede dei principi decaduti, si era a questi sostituita localmente come centro di scaturiti per l’azione di monarchi (in Europa) o despoti (nelle ex colonie). L’innovazione essenziale apportata dallo stato moderno attiene piuttosto alla sua organizzazione. Per definizione, esiste uno stato moderno quando si compie un processo di integrazione territoriale sotto la medesima autorità politica e quindi questa è weberianamente in grado di detenere un “monopolio della forza”, ad indicare un apparato di funzionari (giudici, burocrati, militari, forze dell’ordine, etc.) direttamente dipendenti dal potere centrale, senza la mediazione tradizionale da parte dei nobili.

Il caso moscovita rimase a lungo una lotta contro poteri locali e nobiliari ed è difficile individuare un momento certo di compimento del processo descritto in precedenza. Infatti, sebbene la parentesi riformatrice pietrina sia convenzionalmente considerata il momento di svolta definitivo e di “svecchiamento” degli apparati statali, è anche vero che nel lungo periodo gli esiti di quelle riforme vennero dispersi e fino all’ultimo l’inestricabilità tra servizio pubblico e iniziativa privata renderanno sempre parziale la “modernizzazione statale” in Russia. 185 Quando dopo la sconfitta la divisione inter-cittadina si trasformò in ostilità, Ivan cercò di rimediarvi creando un corpo di funzionari regi alle sue dirette dipendenze. Tuttavia, la lunga tradizione di divisione e autogoverno ne compromise i programmi, dato che dovettero essere riconosciuti degli statuti speciali ai maggiori centri urbani, che ancora una volta concedevano loro parziale autonomia (A.Brown et al, op.cit, p.7). Di contro, il cristianesimo ortodosso diveniva per la prima volta un importante strumento di definizione identitaria. Tutte le popolazioni russe ortodosse, e solo quelle, erano ormai incluse in unico grande regno, che coincideva con i territori più orientali raggiunti dal credo bizantino-ortodosso. Lo stato cominciò ad identificarsi con la Chiesa e tutti i sudditi dello zar dovevano essere ortodossi. Tuttavia, lo stato-religione dell’epoca non escludeva i vicini, lituani o tatari che fossero, dall’intrattenere relazioni pacifiche con sé o all’occorrenza di convertirsi (A.Bennigsen & M.Broxup, op.cit, p.9). 186 Già da molto tempo si era delineato il “quadro delle ostilità”: a occidente i regni lituano e polacco, entrambi cattolici e rivali tradizionali della Russia, e a oriente i tre khanati nati dalla frammentazione dell’Orda d’Oro, i tatari del Volga e della Crimea, oltre che la cosiddetta Grande Orda, diretta discendente ufficiale dell’Orda d’Oro. Entrambi i fronti ponevano problemi significativi, seppure di ordine diverso: dai khanati tatari periodiche incursioni rapinavano città e carovane, mentre la Lituania aveva strappato ai mongoli l’area del Dnepr. Ad occidente lo scontro aperto portò alla sconfitta dei rivali e al recupero della valle del fiume, mentre ad oriente si preferì maggiore prudenza, usando la diplomazia nel caso del khanato di Crimea e la violenza con Kazan. In entrambi i casi, già con Ivan III si delineano i tratti essenziali della politica estera russa almeno fino a Caterina II: la maggiore attenzione al fronte occidentale, dove stabili potenze obbligavano ad una maggiore aggressività, mentre i regni orientali, in parte vittime di una crisi generale dell’area, potevano ormai essere trattati “da pari” alternando la diplomazia alla violenza.

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potere alternativo a quello centrale, specialmente speculando sulla reggenza mentre lo zar era ancora bambino. Dall’altro, la popolazione viveva in condizioni di estremo disagio ed era sempre più legata alla terra da vincoli formali di servitù (i due ukase di Ivan III del 1497 e 1500)187.

Alle consuete condizioni di povertà si affiancò una paura generalizzata nelle campagne determinata dai pogrom di Ivan IV. Questo fece considerevolmente incrementare un fenomeno già in corso da qualche tempo, ossia la fuga di contadini verso le aree disabitate a sud e sud-est del regno. Al di fuori di un qualsiasi controllo politico, queste divennero il rifugio di tutti i paesani che desideravano sfuggire ai pressanti vincoli istituzionali che li legavano alla terra. Qui essi formarono veri e propri gruppi di banditi a cavallo che, spesso mescolatisi con le popolazioni tatare limitrofe, si organizzarono come entità politiche autonome che vivevano di caccia, pesca e scorrerie a danno dei regni vicini. Il risultato finale fu la creazione per un breve tempo di una sorta di area-cuscinetto tra i regni tatari e la Russia. In realtà, i cosacchi verranno ben presto trasformati a loro insaputa nell’avanguardia dell’avanzata russa verso est188.

187 Inizialmente lo zar prese semplicemente atto del potere dei boiari, suddividendo il territorio nazionale in un’area sotto la sua diretta dipendenza (oprichnina) ed una sotto il loro controllo. Il primo divenne un esperimento di estremo accentramento di potere e modernizzazione istituzionale. La creazione di organi specializzati per materie di competenza diede origine ad enti simili ai ministeri occidentali. Venne creata una guardia scelta, costituita dai cosiddetti strelzy, che avrebbero dovuto fungere sia da pretoriani dello zar, che da embrione di un esercito nazionale. Quindi venne creato un corpo di funzionari regi, membri dell’organo consultivo detto Duma. A questi ultimi veniva affidato un appezzamento di terra (pomestje) che non poteva essere diviso, venduto o ereditato, ma a cui era connesso il lavoro di un certo numero di contadini obbligati a lavorarlo. Attraverso la crescente sostituzione dei funzionari ai boiari veniva garantita la produttività della terra, ma venivano evitati i rischi della creazione di centri di potere alternativo e stabile.

Ma il periodo diarchico terminò presto: egli volle sbarazzarsi dei boiari, che avevano attentato al suo potere durante il periodo di reggenza e continuavano a minacciarne il potere, li sostituì con i funzionari regi, così da estendere l’oprichnina a tutto il territorio nazionale. Tuttavia, la spinta propulsiva che poteva essere rappresentata da questi ultimi, potenzialmente l’analogo della borghesia occidentale, venne trattenuta proprio dal vincolo di servizio, che impediva la concentrazione di ricchezze nella stessa famiglia e in più generazioni a causa della sostituzione dei funzionari alla loro morte. Infine, anche artigiani e commercianti, costretti a organizzarsi in corporazioni, vennero analogamente vincolati dal dovere di svolgere specifiche mansioni istituzionali, nonostante l’accresciuto volume di commerci con l’emergente Gran Bretagna potessero fornire loro sconosciute opportunità di impiego, sia per la produzione ai primi che per la distribuzione ai secondi. Ma nonostante le palesi contraddizioni nella politica economica di Ivan IV, l’intensificarsi proprio negli anni del suo regno delle spedizioni in Asia Centrale con lo scopo di esplorarne la percorribilità per fini commerciali, palesano la sua giustificata ossessione affinchè il paese si aprisse agli scambi. (A.Brown et al, op.cit, p.89). Questo contemplò una duplice strategia: l’apertura verso l’Occidente in piena espansione economica, per l’introduzione di beni tecnologici e competenze, e sistematici rapporti verso i territori centrasiatici, in cui le prime esplorazioni erano già iniziate con le missioni Herberstein (1517-1526) e Gubin (1534) ben che lo zar salisse al trono (Martha Brill Olcott, op.cit, pp.28-29).

Più in particolare, nonostante il Nuovo Mondo catalizzasse ormai buona parte degli sforzi commerciali europei e gli scambi con la Cina attraverso i tradizionali percorsi via terra fossero ormai abbandonati, una missione diplomatica inglese guidata da Lord Anthony Jenkinson visitò Mosca e i territori dell’Asia Centrale. Questa ebbe il merito di rivelare nella madrepatria, crescente potenza marittima e coloniale in Asia, l’immenso potenziale rappresentato sia dalla Russia che dai territori oltre questa (Lawrence Krader, Peoples of Central Asia, Bloomington - Hague 1963, p.91). Seppure questo non portò ad un ripristino delle tradizionali rotte via terra, venne fondata nel 1555 la Compagnia Commerciale Moscovita, che curò regolarmente gli scambi russi con la Gran Bretagna (A.Brown et al, ibidem). A partire da questo momento, inoltre, il ricordo di questo resoconto verrà gelosamente custodito a Londra in attesa di tempi più adatti, anche se non sarà mai possibile per la Gran Bretagna un diretto intervento in queste regioni (Mohammad Anwar Khan, England, Russia & Central Asia. A study in Diplomacy. 1857-1878, University Book Agency, Peshawar 1963, pp.ix-xi). 188 J. Popowski, op.cit, pp.7-9. Un fenomeno analogo si venne a creare sul versante opposto, ossia quello occidentale, dove ai fuggitivi russi e ucraini si fusero anche quelli polacchi. In quest’epoca infatti la Polonia era un grande regno europeorientale che andava incontro ad analoghi fenomeni di integrazione

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Di lì a poco infatti, seppure ancora una volta la politica di Mosca si concentrasse verso occidente ed in particolare verso il Baltico e a discapito della Lituania, la situazione lungo i confini orientali spinse Ivan IV verso una sistematica avanzata militare che portò alla conquista dei khanati di Kazan (1552) e Astrakhan (1556). Le ragioni di questo impegno furono molteplici: innanzitutto, si desiderava porre fine all’insicurezza che sia i khanati che i cosacchi ponevano per i commerci fuori dai confini; quindi, i governi fantoccio e la politica di alleanze di Ivan III con i due khanati era ormai fallita e rinnovava la tradizionale minaccia per i territori nazionali189; infine, si desiderava rafforzare i commerci verso l’Iran190 e verso l’Asia Centrale191.

In questo modo l’esercito regolare occupò militarmente i territori in precedenza conquistati dai soli cosacchi, sottoponendoli all’effettivo controllo statale, mentre questi si spinsero più a est per sfuggirvi. Fu così che un ampio distaccamento di cosacchi provenienti dal Don e dal Dniepr si stabilì nel 1560 lungo il fiume Ural, al confine del territorio della Piccola Orda kazaka192. Da questo momento si svilupparono i primi contatti sistematici tra i kazaki e il mondo russo (seppure non ancora con il regno russo).

Per quanto i due interlocutori fossero abbastanza simili per usanze, struttura sociale e cultura, la loro stessa similarità poteva improntarne i rapporti sull’indifferenza o la competizione. Da un lato, la stessa natura “nomade” escludeva confini troppo rigidi: i cosacchi si mischiavano frequentemente a popolazioni musulmane, fino ad acquisirne il credo193; i kazaki erano organizzati in Orde, ma estremamente divise al proprio interno e permeabili a penetrazioni etniche o politiche. Dall’altro, la stessa natura “espansiva” della cultura nomade li rendeva potenziali rivali per l’accapparramento dei medesimi territori che, pur destinati al pascolo con i kazaki e alla coltivazione con i cosacchi, rappresentavano nella stessa misura un elemento essenziale per la sopravvivenza delle rispettive comunità. Tuttavia, sarà l’esercito russo a evitarne lo scontro frontale o la frammistione, dato che per il momento spingerà le truppe cosacche verso i territori steppici al nord dei pascoli kazaki194.

territoriale e rafforzamento istituzionale. Fondamentalmente basato sull’agricoltura, anch’esso diede origine a casi di sfruttamento della servitù così estremi che condussero i più intraprendenti tra questi alla via del banditismo. 189 A.Brown et al, op.cit, p.89 190 Il tramite geostrategico tra la Russia e la Persia era rappresentato dal Caucaso. Già prima della vera e propria conquista dei territori tatari, lo stesso Ivan IV aveva dato inizio ad una paradigmatica politica di divide et impera delle fazioni tribali nord-caucasiche, analoga a quella praticata dal nonno sui tatari, con lo scopo ultimo di garantirsi l’accesso ai preziosi mercati persiani a discapito delle altre potenze coinvolte nell’area (l’Impero ottomano, il Turkestan shaibanide, il khanato di Crimea e lo stesso Iran safavide). Tuttavia, al contrario del precedente caso tataro, la complessità etnica di questa regione ne impedì il successo (Aldo Ferrari, Il Sistema Caucaso, pp.254-256, in Geopolitica della crisi. Balcani, Caucaso, Asia Centrale nel nuovo scenario internazionale, monografie ISPI, EGEA Milano 2001). 191 M.B. Olcott, op.cit, p.28 192 G.J. Demko, op.cit, pp.40-41 193 Documenti molto recenti, per quanto si riferiscano complessivamente ad un periodo ben più tardo, testimoniano indirettamente anche della profondità di queste reciproche influenze, a conferma della permeabilità del limen kazako in questo momento (Allen J. Frank, Muslim religious Institutions in Imperial Russia. The Islamic World of Novouzensk District and the Kazakh Inner Horde, 1780-1910, Brill 2001) 194 J. Popowski, op.cit, pp.9-10. E proprio questa azione dell’esercito sui cosacchi per tutto il XVI sec. segnerà la progressiva erosione della loro autonomia. Infatti solamente una parte di questi proseguiva verso est dopo l’arrivo dell’esercito, preferendo stabilirsi come coloni nelle aree appena conquistate. In questo modo, nonostante l’iniziale afflusso massiccio di fuoriusciti, l’aiuto dell’esercito divenne via via necessario per sostenere il confronto con popolazioni sempre più lontane dalla madrepatria. Già ai tempi di Ivan IV i cosacchi vennero annoverati tra le truppe regolari russe, seppure non si considerassero per il momento sottoposti ad alcun vincolo di fedeltà, come dimostra il loro arbitrario allontanamento dai campi di battaglia o i numerosi attacchi contro l’esercito regolare.

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L’avanzata verso il Caspio aveva definitivamente rivoluzionato la mappa strategica dell’area. Dal canto suo, la Russia si trovava ora nella posizione esclusiva di poter sviluppare contatti commerciali e diplomatici con tutte i principali regni dell’epoca: l’Impero Ottomano, l’Iran safavide attraverso il riottoso Caucaso del nord, e l’Asia Centrale musulmana, pur ancora distante e separata dalle desertiche lande kazake195. I kazaki si rivelarono da subito come i mediatori naturali per gli scambi con l’Asia Centrale e vennero perciò contattati dalla famiglia Stroganov, titolare esclusiva del diritto al commercio con l’est196.

Ma la conquista dei due khanati pose ai russi anche problemi di ordine politico e non solamente strategico. Per la prima volta infatti l’ufficiale monoliticità etnica del regno era stata compromessa: delle popolazioni non slave e non cristiano-ortodosse divennero suddite dello zar. Ma se Ivan IV è normalmente ricordato per le efferatezze compiute e per le ossessioni complottistiche descritteci dalla storiografia ufficiale successiva, la sua politica rispetto al problema del crescente “multi-culturalismo” del regno, una tendenza già irreversibile, rivela una sagacia rara e che sarebbe completamente scomparsa dopo di lui.

Si è gia reso indirettamente conto di una duplice tendenza in corso a quei tempi: il ruolo dell’ortodossia nella definizione dell’identità nazionale e la tolleranza verso le popolazioni vicine nelle materie culturali, quindi anche religiose. La prima era sorta ai tempi di Ivan III durante il processo di unificazione, per colmare le distanze politiche tra le varie parti del regno. Era poi stata formalizzata ai tempi di Basilio III come mito della “Terza Roma”197, l’idea cioè che dopo la caduta di Bisanzio per mano turca, spettasse a Mosca raccoglierne l’eredità, diventando il baluardo della difesa della religione contro i nomadi e i musulmani dell’est. Immediata implicazione di questo onere era poi il compito della loro conversione, seppure in quel momento non si disponesse ancora delle

195 A.Bennigsen & M.Broxup, op.cit, p.11 196 M.B. Olcott, op.cit, pp.28-29. Al contrario, l’avanzata russa precluse ai regni centrasiatici anche la via ciscaspica per mantenere i contatti con l’Impero Ottomano. Non solo: la formale alleanza anti-sunnita russo-iraniana separerà da questo momento in maniera definitiva i turchi dell’ovest, gli ottomani (e i tatari di Crimea), da quelli dell’est, gli uzbeki shaibanidi e le altre popolazioni musulmane delle valli. Al momento la notizia passò pressochè inosservata nel mondo musulmano, anche se questa cesura avrebbe avuto importanti conseguenze per entrambi i poli turchi del mondo islamico. Gli ottomani sarebbero infatti rimasti del tutto privi dei raffinati contributi culturali e delle truppe scelte centrasiatiche, mentre i centrasiatici sarebbero rimasti isolati diplomaticamente, ma ancora di più economicamente, dato il nuovo collasso della Via della Seta, appena ripristinata con estrema fatica dopo il periodo mongolo. In questo modo, questi stessi avvenimenti fornivano ai russi un’area strategicamente essenziale per i commerci e l’avanzata verso est, mentre preparavano il terreno alla conquista dell’Asia Centrale, ormai destinata ad un continuativo e inesorabile declino (A.Bennigsen & M.Broxup, op.cit, pp.11-13).

La nuova situazione pose la necessità per i khanati delle valli di stabilire sistematici contatti diplomatici con la Russia subito dopo la sconfitta dei tatari, cioè già ai tempi di Ivan IV. Questi rapporti non erano solamente legati a generiche questioni di “buon vicinato”, ma piuttosto dettate da problemi molto specifici che interessarono di volta in volta una delle due parti. Innanzitutto, il nuovo assetto geopolitico aveva precluso ai musulmani sunniti centrasiatici sia la consueta via vicinorientale, che quella ciscaucasica per il pellegrinaggio rituale a La Mecca. Bukhara e Khiva chiesero allora ripetutamente agli zar un lasciapassare per i pellegrini, cosicchè questi potessero raggiungere Istanbul e da questa la penisola araba. In secondo luogo, v’era la questione dei nuclei famigliari nati da matrimoni tra commercianti centrasiatici e donne tatare o bashkir, anch’esse musulmane pur se ormai suddite russe. In particolare, i russi si opponevano al ritorno a casa dei commercianti con le nuove famiglie, in quanto avrebbero privato il paese di manodopera e rafforzato demograficamente i vicini centrasiatici. Infine si venne successivamente a creare la speculare questione dei russi che, rapiti durante i raid tatari o dei khanati centrasiatici, avevano trascorso buona parte della propria esistenza come schiavi a Khiva o Bukhara, si erano quindi convertiti all’Islam e avevano infine sposato donne del luogo. L’apostasia era infatti un atto particolarmente abietto per la Chiesa Ortodossa, specie nel caso di conversione all’Islam; ma soprattutto, come nel caso precedente, dei sudditi sfuggivano in questa maniera all’influenza culturale e politica russa (E. Allworth, op.cit, pp. 4-5). 197 A. Brown et al, op.cit, p.88

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energie necessarie per concretizzare questa spinta missionaria. La seconda era invece diretta eredità del ben più recente passato mongolo. La passata appartenenza alla medesima entità politica, cioè l’Orda di Batu, era un sentimento concretamente percepito da popoli e governanti, rivali ma interconnessi da profonde affinità culturali e trame diplomatiche.

Anche Ivan IV sfruttò il peso della religione per necessità politiche. Rispetto all’ortodossia, egli divenne un autentico defensor fidei contro il Cristianesimo Latino a ovest e contro qualsiasi infiltrazione musulmana ad est. Contemporaneamente, divenne all’interno del paese un intransigente persecutore di eresie, eterodossie e miscredenze, mentre promosse una massiccia azione missionaria verso le nuove popolazioni sottomesse e i musulmani, ancora numerosi, del nord. In altre parole, anche grazie ad Ivan IV il Cristianesimo Orientale divenne sempre di più il principale criterio di definizione dell’identità nazionale, all’interno di un processo di accentramento politico non del tutto compiuto. Eppure egli si rivelò un sovrano realista, allo stesso tempo lucido nel valutare le circostanze politiche e sincero nel non rinnegare le comuni radici con gli altri popoli dell’area. La stessa conquista venne facilitata dal rispetto e dalla simpatia che egli seppe ottenere presso i khan dei regni vicini, già “sedotti” e circuiti e che quindi si presentarono allo scontro divisi ed esitanti. E dopo la conquista, egli trattò da pari le elites sconfitte, spesso mischiandosi con esse attraverso accorte politiche matrimoniali. Coinvolti nella gestione dello stato e nella vita di corte, i nuovi alleati, pur divenuti sudditi, accettarono il “khan bianco” come il legittimo continuatore della grande tradizione mongola e come colui che tentava di riunificare i territori batidi198.

La stessa conversione all’ortodossia cristiana infine, pur risparmiata ai nobili, venne imposta alle nuove popolazioni con calma ed indulgenza, senza alterare l’apparente clima di tolleranza. Cionondimeno essa rimase parte integrante del processo di smembramento identitario dei temuti vicini e discendenti degli antichi dominatori. Già sotto Ivan IV il popolo venne bandito dalle città e derubato delle terre migliori, deportato o posto al servizio del clero ortodosso, fino ad essere di fatto costretto a convertirsi per intero al commercio, in cui avrebbe primeggiato nei secoli successivi proprio in virtù della diaspora iniziata in questi anni. Gli antichi nomadi, titolari di un’ormai grandiosa civiltà sedentaria le cui origini risalgono già ai primi accampamenti batidi alle foci del Volga e a cui tanto la stessa civiltà conquistatrice dovrà riconoscere conobbe ora l’inizio del proprio declino. Solo la Crimea sopravvisse come Stato indipendente rivendicando la propria supremazia sui khanati perduti attraverso ripetute incursioni che forzarono i russi alla costruzione di una linea di fortificazione ed ad una cospicua prudenza per un lungo periodo di tempo199. I tatari di Kazan e Astrakhan ora dovettero per certi versi tornare alle proprie origini nomadiche, di girovaghi commercianti in giro per il nascente Impero russo.

La prima fase della conquista del Kazakistan: contatti commerciali Negli ultimi anni di regno di Ivan IV venne definitivamente intrapresa l’avanzata

verso la Siberia, mentre esercito e cosacchi continuavano ad essere massicciamente impegnati anche al sud, nel Caucaso ed in Crimea. All’epoca la principale entità politica dell’area era il khanato musulmano di Sibir, nemico atavico dei kazaki ed alleato di Bukhara200. Una delegazione russa venne allora inviata per richiedere un contingente kazako in supporto alle truppe cosacche nel 1573. Mosca richiese un doppio stato di ostilità, insostenibile date le tensioni con i kalmyk: a sud contro Bukhara e a nord contro

198 A.Bennigsen & M.Broxup, op.cit, pp.10-11 199 Alexandre Bennigsen & Chantal Lemercier-Quelquejay, Les Mouvements Nationaux chez les Musulmans de Russie. Le Sultangalievisme au Tatarstan, Mouton & Co. Paris 1960, pp.17-23 200 E. Allworth, op.cit, p.3

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i sibir suoi alleati. Ma al contrario dei fronti meridionali dove si registrarono ripetute sconfitte, i russi riuscirono già nel 1580 a strappare esclusivamente con le proprie forze parte della Siberia occidentale al rivale, vanificando l’importanza del mancato intervento kazako. Così furono piuttosto gli stessi kazaki a richiedere subito dopo, nel 1588 e poi nuovamente nel 1595, formale sottomissione allo zar Fedor I (1584-1598). Ma le condizioni proposte dal nuovo zar vennero sempre considerate troppo onerose e infine rifiutate. A partire da questo momento e per circa un secolo le relazioni diplomatiche vennero sospese201.

Il nuovo zar era un fervente religioso con scarsa attitudine all’arte del governo e per questo motivo preferì delegare la maggior parte delle decisioni al cognato e suo successore Boris Godunov (1598-1605)202. Ma nonostante per questi motivi sia generalmente considerato uno “zar minore”, Fedor I seppe lasciare un segno profondo, specialmente nel campo della politica religiosa, che avrà profonde ripercussioni anche sulle future scelte di politica estera. Proprio la devozione religiosa di Fedor I disintegrò quanto costruito fino a poco tempo prima dal padre, mentre anticipava la spietatezza della futura dinastia Romanov. Con lui iniziò la colonizzazione slava della valle del Volga, mentre le terre migliori venivano distribuite tra i nobili e il clero ortodosso. I tatari, sia i nobili che la popolazione, venivano ora discriminati e parimenti trattati come sudditi di secondo livello. La normale azione missionaria venne intensificata e imposta l’espulsione dalle città in caso di mancata conversione. Seppure la numerosa e preziosa popolazione musulmana non poteva essere espulsa in massa così da eliminare il problema alla radice, una grossa porzione fu costretta alla fuga dopo la repressione delle numerose rivolte. Questi fuggitivi si insediarono in buon numero in Asia Centrale, dove diffonderanno il ricordo di queste persecuzioni tra le popolazioni locali e saranno destinate ad avere un ruolo essenziale sia nel processo di islamizzazione, che durante le future sollevazioni anti-russe. In altre parole, vengono poste le basi in questo periodo per un “problema di nazionalità”, sconosciuto in quei termini fino a quel momento, ma destinato a durare secoli203.

Al contrario che nel campo religioso, Fedor I e i suoi consiglieri continuarono l’opera di Ivan IV in quello militare, occupandosi principalmente di assestare la presenza russa in Siberia occidentale. A tal scopo vennero quì costruite le prime città fortificate al confine con i pascoli della Piccola Orda (Troisk nel 1587 e di lì a poco Tyumen e Tobolsk). Attraverso le roccaforti steppiche poterono essere instaurati sistematici scambi con la madrepatria: i territori siberiani avrebbero funzionato sia da mercato di approvvigionamento che da mercato di sbocco. Nel primo caso, i preziosi beni steppici vennero inseriti nel circuito economico interno e mediante esso in quello internazionale. Viceversa, i beni prodotti nella “Russia europea”, principalmente agricoli, vennero inviati ad est per sostenere le truppe di stanza lungo la frontiera. Inoltre la conquista della Siberia occidentale garantì risultati strategici essenziali rispetto ai regni circostanti, alla pari della recente conquista del Volga. La principale conseguenza fu il monopolio delle pellicce, di cui l’Impero Ottomano e l’Iran erano i principali consumatori. La “Via delle Pelli” fornì alla Russia la principale fonte di introiti per proseguire l’avanzata204.

Tuttavia, questa dovette temporaneamente interrompersi, a causa della guerra civile, nota come “periodo dei torbidi” (1605-1613), che seguì l’uccisione del ben poco amato Boris Godunov, detentore del trono dalla morte senza eredi di Fedor. I rappresentanti della nuova dinastia dei Romanov (Mikhail 1613-45; Aleksi 1645-76; Fedor III 1676-82) dovettero riassicurarsi l’effettivo controllo del paese, sconvolto dalle sollevazioni

201 M.B. Olcott, op.cit, pp.28-29 202 A.Brown et al, op.cit, p. 90 203 A.Bennigsen & M.Broxup, op.cit, pp. 12-16 204 Ivi, pp.11-12

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cosacche alla periferia e dalle incursioni fino a Mosca di polacchi e svedesi205. E mentre la minaccia ottomana sull’Ucraina obbligava ad un rapido ridispiegamento militare sul fronte occidentale, sul fronte meridionale si preferì temporeggiare, mentre ad oriente venne lentamente ripresa l’avanzata militare206.

Nel 1637 venne istituito un governo locale (prikaz) in Siberia207, mentre la conquista dell’area degli Urali portò all’edificazione di nuovi villaggi fortificati, cioè Gorodok (1620) e Guryev (1645). Da Tobolsk e Guryev si staccarono nuove vie commerciali in direzione sud208. In questa maniera venne a crearsi un nuovo segmento commerciale nord-sud che potè facilmente essere innestato sulla maggiore via commerciale che univa gli avamposti siberiani alle città russe. In particolare, i russi inviavano grano dalla Siberia occidentale e dalla regione del Volga, assieme a utensili metallici e beni tessili provenienti dalle nascenti industrie manifatturiere della “Russia europea”. I kazaki a loro volta inviavano i tipici beni nomadici, cioè carne, formaggio, cuoio e lana. In questa maniera si riuscì progressivamente a spostare il terminale dei traffici kazaki verso nord al posto di Tashkent e Kokhand e dare un po’ di respiro all’economia kazaka209.

La situazione nelle steppe però andava in quegli anni ulteriormente complicandosi: i kalmyk, stanziati sul basso Volga, si contrapposero ai mongoli zungari, mentre i kazaki andavano scontrandosi contro i nogay. La ridefinizione delle aree di influenze vide i kalmyk avere la meglio sui nogay per i territori al di là del confine nord-occidentale kazako. Assestatisi in questi pascoli con non pochi problemi di convivenza con i cosacchi e le truppe russe in continuo avvicinamento, vennero infine sconfitti come i bashkir più a nord. A questo punto il confronto al sud delle steppe riguardò sempre più esclusivamente kazaki e zungari210.

Le lotte inter-nomadiche implicavano una notevole insicurezza per i traffici commerciali russi, sia oltre le linee fortificate che a meridione di queste. Nonostante queste popolazioni compissero regolari incursioni tra i nuovi insediamenti russi, l’ipotesi di uno scontro aperto non venne tuttavia contemplato. Allo stesso modo non venne considerata l’ipotesi di un annessione di questi territori, pur necessari per un accesso diretto e sicuro ai tanto agognati mercati centrasiatici e particolarmente pericolosi per i pochi coraggiosi mercanti che vi si avventuravano, spesso derubati e rapiti211. Ci si limitò piuttosto a edificare una linea difensiva che unisse i nuovi villaggi con quelli creati in precedenza. Venne così a formarsi il primo segmento (quello “degli Urali”) di quella linea fortificata, così caratteristica dell’avanzata russa e che avrebbe progressivamente segnato il confine tra le steppe ed i pascoli kazaki212. Quasi una nuova “muraglia cinese”, ma a parti invertite, con i nomadi al sud e i “sedentari” al nord213, ma il cui intento non era stavolta separare le due popolazioni. Così non vennero complessivamente compromessi gli scambi con la Russia, ma piuttosto i nomadi poterono rimanere i principali intermediari commerciali. 205 A.Brown et al, ibidem 206 A.Bennigsen & M.Broxup, op.cit, p.15. Si noti come gli autori parlino qui inspiegabilmente di un arresto nell’avanzata orientale di quasi due secoli dopo i Torbidi. Come argomentato in seguito questa affermazione non è in sé del tutto vera, ma è giustificabile se si comparano le energie impiegate sul fronte occidentale rispetto a quello orientale. 207 A.Brown et al, op.cit, p.90. Ovviamente questo “ufficio periferico del governo centrale” aveva degli scopi ben precisi, cioè assicurare un maggiore controllo della periferia più distante e preziosa del regno, riducendo rischi e costi di un difficile controllo “a distanza” e migliorando per tempi e volumi di beni gli introiti statali legati ai commerci in questa fase di assoluta stagnazione economica. 208 M.B. Olcott, op.cit, p.28 209 G.J. Demko, op.cit, p.29 210 A.Bennigsen & M.Broxup, op.cit, p.15 211 M.B. Olcott, ibidem 212 J. Popowski, op.cit, pp.11-12 213 Baymirza Hayit, Turkestan im Herzen Euroasiens, Studienverlag Köln 1980, p.87

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Di lì a poco la situazione sarebbe stata ulteriormente complicata dai successi degli zungari a discapito dei kazaki: in brevissimo tempo erano stati strappati immensi pascoli, mentre l’isolamento economico dell’area fino a quel momento, cioè l’assenza di stimoli commerciali nuovi, ossia diversi da quelli “interni” o “regionali” con le valli, e l’incapacità di guadagnarsi con la guerra nuovi spazi utili, resero sempre più difficile l’emergere di khan “di successo” e sempre più facile l’irrigidimento in Orde divise tra loro e al loro interno, con un solo formale legame identitario a tenerle unite come “kazake”. Così negli ultimi decenni del XVII sec. le rinnovate offensive zungare la crisi mancese spinsero perfino Tauke, l’ultimo grande khan kazako, ad avanzare tra il 1680 e 1693 ben sei richieste ufficiali di sottomissione che, pur puntualmente rifiutate dai russi, riaprirono definitivamente i contatti diplomatici214.

I rifiuti più tardi sono da ricondurre alla diretta volontà dello zar Pietro I (1682-1725), fautore della più intensa politica d’espansione dai tempi di Ivan IV. Questa scelta non può essere giustificata dal semplice desiderio di non scendere a patti con i kazaki e volerli semplicemente conquistare e ridurre a sudditi, dato che questa ipotesi non venne probabilmente neppure considerata. Allo stesso modo, la priorità accordata al fronte occidentale dallo zar non basta a giustificare tale scelta, dato che il completamento dell’avanzata siberiana avrebbe potuto fornire beni economici preziosi per incrementare il peso internazionale russo, nonché consentire quella “concentrazione di capitali” necessaria per un’ipotetica e mai attuata svolta industriale215.

Per lo stesso motivo, l’Asia Centrale rimaneva un ambito miraggio, ma poteva essere raggiunta solamente in due modi: la conquista militare dell’area kazaka o un tranquillo transito in quest’area. I molteplici impegni militari portarono ad escludere la prima eventualità, tanto più che gli zungari si ponevano come un avversario molto più agguerrito delle Orde kazake. Anche per questo si preferì per il momento non interferire tra le popolazioni nomadiche e i loro dissidi per i pascoli o i commerci. Il mancato intervento a sud della Siberia fu allora il semplice l’esito di una necessità di assestamento interno dopo le grandi trasformazioni di quegli anni216.

Ma l’ulteriore espansione verso est e la fondazione della Linea dell’Irtish (1716-1752), che univa i nuovi centri di Omsk (1717), Semipalatinsk (1718) e Ust-Kamenogorsk (1720), concluse l’avanzata lungo i confini kazaki settentrionali e pose i russi in diretto contatto anche con gli zungari. La Russia probabilmente non temeva uno scontro frontale con nessuno dei nuovi vicini, per giunta pesantemente divisi tra loro. Ma la vulnerabilità dei nuovi insediamenti e la strategia della “sicurezza a basso costo”, fecero ben presto tramutare l’apparente disinteresse verso di loro in oculato sforzo diplomatico. Il primo interlocutore valido venne individuato nella Piccola Orda kazaka,

214 M.B. Olcott, op.cit, pp.28-29 215 A.Brown et al, op.cit, pp.91-92. Certamente la maggior parte degli sforzi diplomatici e militari dello zar furono rivolti verso l’Europa, che tanto affascinò lo zar e nel cui consesso politico egli voleva assicurare un posto al paese. Tuttavia sia le vittorie contro la Svezia e il passaggio da regno ad Impero (Pace di Nystadt 1721) o le sconfitte sul fronte tataro (Prut 1711), che le riforme istituzionali sul modello occidentale, i maggiori cambiamenti strategici e organizzativi degli anni di Pietro I, richiesero un grosso sforzo economico, cui fece passo per passo da contrappunto l’ulteriore avanzata in Siberia. 216 A questo punto il territorio kazako era sufficientemente noto e, pur tra le mille difficoltà, era stato con tutta probabilità sufficientemente battuto da esploratori e commercianti. Non è quindi casuale che, nonostante il disimpegno finale, fu proprio sotto Pietro I che nuove missioni, enon più semplicemente esplorative, furono intraprese, seppure nessuna di esse prendesse in considerazione la vera e propria conquista militare. Nel 1695 il mercante Semen Malenkii venne inviato tra le popolazioni kazake per individuare il miglior modo di estendere l’influenza russa. Successivamente la missione Bekovich-Cherkasskii, composta di alcune migliaia di uomini, raggiunse Khiva attraversando il Mar Caspio e venne poi distrutta dall’esercito del khanato che temeva si trattasse dell’avanguardia di un futuro, più massiccio, attacco. Più successo ebbe tra il 1714 e il 1716 la spedizione Bukholtz, che porterà infine alla fondazione delle ultime città della linea fortificata a nord dei pascoli kazaki (M.B. Olcott, op.cit, p.30).

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che ormai dipendeva interamente dalla buona volontà dei russi per poter pascolare le proprie mandrie nelle valli ai piedi degli Urali, dove già si erano insediati i cosacchi e i bashkir pascolavano le proprie mandrie217. I rapporti con l’Orda Media furono leggermente diversi: nonostante i primi contatti fossero stati relativamente tardi, ben presto si svilupparono condizioni del tutto analoghe a quelle dell’Orda Piccola per una sottomissione agli zar (dapprima nel 1734 e nuovamente nel 1740). Ma di lì a poco l’emergere di un nuovo leader, Ablai Khan, e l’evoluzione del contesto regionale interruppero la vulnerabilità alla diplomazia russa.

Tra fedeltà e rivoltà: la sottomissione della Piccola e Media Orda Il giuramento di fedeltà del 1731 alla zarina Anna Ioannovna da parte del khan della

Piccola Orda Abu’l Khayr rispondeva a questo nuovo quadro di eventi e rivela la provvisorietà del rifiuto, solo pochi anni prima, da parte di Pietro I. Da questo momento inizia una nuova epoca per la storia kazaka, di cui tuttavia risulta estremamente difficile valutare le caratteristiche. Da un lato, infatti, Abu’l Khayr e i suoi figli giurarono la propria fedeltà direttamente agli zar e questo implicava l’acquisizione dello status giuridico di sudditi, ma nei fatti la situazione divenne molto più variegata e confusa.

Innanzitutto si trattò di un accordo tra sovrani, posto che, in totale contraddizione con la tradizione kazaka, né direttamente l’ak suiuk, né indirettamente il kara suiuk erano stati consultati. Inoltre, al di là di un generico rispetto della volontà della zarina, i concreti obblighi per i kazaki si limitavano al dover garantire un passaggio sicuro a carovane e mercanti, oltre che accettare le aree di caccia e pascolo stabilite dai governatori russi lungo il confine. Gli stessi russi non erano intenzionati ad accorpare i nuovi territori, vale a dire a schierare forze militari stabili e inserire questi territori nella strategia difensiva del fronte orientale. Veniva così meno uno dei tratti essenziali della sovranità, cioè la presenza di una forza di polizia che imponesse la legislazione nazionale o raccogliesse le tasse.

Questa situazione è da attribuire al fatto che sul fronte interno Abu’l Khair intendeva preservare la proprio autorità contro rivali molto forti, come il sultano Qaip e suo padre Batir Janibek, mentre la Russia di fatto fraintese complessivamente la capacità di questi khan di controllare per davvero la popolazione. Da questo momento la lotta interna per il potere si struttura anche attorno alla questione dei rapporti con i russi, osteggiati dai rivali di Abu’l Khayr, che spesso assaltavano le carovane come ritorsione. E’ curioso allora notare già da questo momento l’evoluzione “spontanea” degli eventi, ancor prima della vera e propria annessione: la vicinanza stessa dei russi porta con sè possibilità sconosciute fino a quel momento e potenzialmente rivoluzionarie, cioè l’alterazione dei normali meccanismi di avvicendamento al potere, tradizionalmente caotici ma corali218.

I contatti tra le due parti si limitarono alle formali occasioni diplomatiche, che non impedirono ad Abu’l Khair di ricevere o essere a sua volta ricevuto dai rivali zungari. Contemporaneamente molti nel seguito di Abu’l Khayr continuavano a veder di cattivo occhio o rifiutare la posizione di sudditi dei russi, mentre il khan avanzava continue richieste agli zar affinchè lo aiutassero a rendere ereditaria la propria carica. Infine, seppure fosse stato concesso il permesso ai kazaki di pascolare le mandrie attorno ad alcune delle città fortificate, nessuno vi si avvicinò mai troppo, in rispetto della tradizionale diffidenza verso i sedentari, e tanto più venne rifiutata la possibilità di costruire abitazioni o moschee all’interno delle loro mura.

Se da parte russa, questo si rivelò probabilmente l’inevitabile prezzo da pagare fino a che la situazione complessiva del regno non avesse potuto permettere un maggiore impegno nell’area, i kazaki furono doppiamente vincolati: da un lato, per l’assenza 217 M.B. Olcott, ibidem 218 E.E. Bacon, op.cit, p.93

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stessa dell’esercito russo nel proprio territorio li lasciò di fatto sprovvisti di nuovi strumenti di difesa verso i nemici, dall’altro per la stessa divisione interna, che si coagulava ora attorno al rifiuto dell’accordo con i russi.

La rivolta dei bashkir, un’altra popolazione nomade sottopostasi volontariamente all’autorità degli zar pochi anni prima della Piccola Orda, dimostrò instabilità e volubilità della leadership kazaka. Ma benchè i russi fossero perfino disposti a pagare per assicurarsi una fedeltà teoricamente dovuta e nonostante il rifiuto di parecchi sultani di fornire le proprie truppe, Abu’l Khayr non esitò ad allearsi con i ribelli, benchè gli stessi alleati fossero rivali dei kazaki, non tanto in quanto concorrenti nell’accaparrarsi i favori degli zar, quanto piuttosto poichè la Piccola Orda si era spostata verso nord, proprio dove si trovavano i pascoli bashkir. La sconfitta fu ovvia e prevedibile, ma non compromise i termini degli accordi russo-kazaki. La reale motivazione della scelta di Abu’l Khayr era sempre quella di garantire prosperità alla popolazione così da consolidare la propria posizione. Per la stessa ragione egli trasgredì nuovamente agli accordi quando nel 1740 attaccò i kalmyk del Volga, anch’essi ormai sudditi degli zar.

Abu’l Khayr si rivelò per il resto della sua vita un inaffidabile, ma pur sempre inevitabile interlocutore per i russi. Tra il 1743 e il 1744 la situazione andò complicandosi notevolmente e nuovi soggetti vennero coinvolti in quella che ormai era diventata una vera e propria faida tra i kazaki e i russi di Orenburg. L’ansia di alleanze del khan questa volta oscillò verso sud, precisamente verso il khanato di Khiva. Seppure fossero ormai stati instaurati stabili commerci con i russi tramite i kazaki, il khanato si era rivelato in passato particolarmente suscettibile a qualsiasi avvicinamento russo e aveva mantenuto la tradizionale diffidenza per qualsiasi contatto con essi che andasse oltre il mero scambio o accordo di natura commerciale. Nonostante Abu’l Khayr fosse ormai suddito degli zar, i recenti scontri e ancor di più la sua abile dissimulazione riuscirono a far fruttare un’alleanza vantaggiosa. Questa non prevedeva semplicemente l’uso congiunto di uomini e risorse, ma concedeva l’uso dei pascoli a nord di Khiva e addirittura che il figlio di Abu’l Khayr, Nur Ali, ne divenisse il nuovo khan.

Specularmente i russi cercavano di facilitare una brutale offensiva kalmyk, quando i kazaki rinnovarono la propria fedeltà al nuovo zar Pietro II, causando una breve cessazione delle ostilità. Ma il bisogno di ampi spazi portò nuovamente le mandrie della Piccola Orda a nord, dove i kazaki varcarono nell’estate del 1746 il fiume Ural, invadendo e attaccando i territori dei kalmyk del Volga. Sconfitti sia dai questi che dai russi sulla via del ritorno, le nuove perdite rappresentarono un colpo quasi definitivo al potere interno di Abu’l Khayr. Ormai relegati nei territori dei karakalpaki, i suoi fedeli dovettero quindi cercare di sfruttare nuovamente dei pascoli già occupati. Ma l’intera area era sotto la protezione del sultano Barak dell’Orda Media, che sconfisse e uccise in battaglia Abu’l Khayr nel 1748219.

Alla morte di Abu’l Khayr la successione nella Piccola Orda venne pesantemente condizionata dai russi, che palesarono ai bii la propria preferenza nei confronti di Nur Ali. Ma la posizione dell’erede di Abu’l Khayr fu se possibile più svantaggiata di quella del padre: Batir Janibek si era infatti garantito una solida base di potere nei territori meridionali dell’Orda e creato una rete ostile di alleanze sia con Barak dell’Orda Media che con gli stessi zungari, oltre che aver posto suo figlio Qayip sul trono di Khiva al posto di Nur Ali.

D’altro canto la politica di Nur Ali seguì per molti versi quella del padre: l’alleanza con i russi era interpretata come un mero strumento di sopravvivenza, mentre era invisa qualsiasi eventualità di eccessivo avvicinamento ad essi; non mancarono infine nuovi pretesti per sporadici scontri e l’interruzione momentanea di qualsiasi tipo di contatto. Fallita poi la possibilità di un’alleanza con i zungari, al cui khan Nur Ali promise la

219 M.B. Olcott, op.cit, pp.28-31

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sorella in sposa in cambio dell’annessione della Semirechia, già in parte “rubata” alla Grande Orda. La morte prematura della ragazza pose fine a una rischiosa eventualità che se si fosse concretizzata avrebbe potuto imprevedibilmente accellerare gli eventi: la rottura con la Russia ed un’alleanza con il peggiore rivale nomadico nel momento stesso in cui le tensioni interne alla Piccola Orda si facevano più spietate.

E di fatto la seconda fase del khanato di Nur Ali sarà piuttosto concentrata contro il sultano ribelle Batir e il figlio Qayip. Da un lato, Nur Ali depredava tutte le carovane che avevano precedentemente pagato tributo ai rivali, mentre questi ultimi li imponevano a chiunque attraversasse i loro territori. Seppure i russi non tradirono mai gli accordi con Nur Ali, nè accettarono le proposte di alleanza dei suoi rivali, la situazione condusse ad un punto tale da rendere necessarie rappresaglie contro i kazaki di entrambe le fazioni indistintamente. Questo non riportò unità nell’Orda, così come non si vennero a creare effettive alleanze tra le popolazioni nomadi sottoposte ai russi contro di essi. I russi erano infatti palesemente superiori sia per organizzazione militare che per rifornimenti: nessuna delle popolazioni dell’area poteva contare sugli innumerevoli beni agricoli provenienti dalle steppe occidentali europee.

La politica di divide et impera, fu ancora una volta causata dai nuovi venuti così come dalle popolazioni locali, divise e diffidenti sulle proprie capacità. Così all’ennesima sollevazione dei bashkir nel 1755, a cui si erano alleati i tatari di Kazan, i kazaki accettarono stavolta le vantaggiose condizioni proposte dai russi. Analogamente, quando la sconfitta dei zungari e il conseguente arrivo della dinastia Ching nell’area delle steppe (il maggiore sconvolgimento nella seconda metà del XVIII sec.), le Orde kazake supportarono inizialmente i zungari contro i cinesi, ma quando apparve chiara la loro futura sconfitta ricevettero i messi imperiali, dimostrandosi diversamente benevole verso le proposte di sottomissione cinesi. Di conseguenza, Nur Ali si confermerà un instabile alleato dei russi: quando questi richiesero nel 1758 un suo attacco contro i Manchù, il khan ritardò il più possibile aspettando l’allontanamento cinese per mano russa così da non compromettere i rapporti con questo lontano, ma prezioso alleato. Per lo stesso motivo i russi non poterono ancora una volta punire adeguatamente l’instabile alleato, a cui vennero invece moltiplicate le rendite in moneta, costruiti rifugi per le greggi e rafforzate tutte le promesse fatte fino a quel momento. Da un lato, una rottura con i kazaki avrebbe infatti potuto facilitare la penetrazione cinese fino agli Urali. Specularmene, la stessa sconfitta dei jungar avrebbe potuto spingere Piccola e Media Orda a occuparne i pascoli ormai liberi, violando così un territorio cinese e scatenando la reazione del pericoloso rivale, contro cui la Russia come alleata e protettrice delle due sarebbe poi dovuta intervenire. In entrambe le ipotesi ciò che era in gioco era la continuità dei preziosi scambi con le valli220.

Nel 1734, data dell’accettazione della cittadinanza russa da parte dell’Orda Media,

l’allora khan Semeke era morto da qualche tempo e il potere era passato nelle mani del figlio Abu’l Muhammad. Si venne così a strutturare un nuovo scenario politico interno. Più in particolare, anche nell’Orda Media emerse una fazione rivale al nuovo, debole khan: analogamente a quanto compiuto da Qayp e dal padre Betir Janibek nella Piccola Orda, il sultano Ablai divenne il capo di un gruppo di famiglie che, dopo aver occupato uno specifico territorio, cominciarono a svolgere vita separata dal resto dell’Orda. Tuttavia, la fazione di Ablai disponeva di un peso relativo molto superiore rispetto all’analoga nella Piccola Orda sotto Abu’l Khayr221. E di fatto sia Abu’l Muhammad

220 M.B. Olcott, op.cit, pp. 34-36 221 Si nota ancora una volta in queste dinamiche l’arrugginimento dei meccanismi socio-politici che avevano funzionato nella fase di espansione descritta nel precedente capitolo. Non è in sé l’emersione di un khan o di un altro, del discendente del khan precedente o di un sultano, ma la stessa sparizione del meccanismo corale di selezione del nuovo capo della comunità il vero segnale di questo degrado. La

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che Ablai vennero convocati nel 1740 per rinnovare definitivamente la propria sottomissione allo zar. Fino a quel momento infatti anche il nuovo khan aveva preferito mantenere i rapporti con i russi i più vaghi possibili, cercando piuttosto un dialogo con i zungari per limitarne l’avanzata verso i propri pascoli. Infine questi ultimi non ponevano senz’altro limiti ad eventuali incursioni verso i bashkir, invece protetti da S. Pietroburgo.

Nel 1741 una nuova pesante offensiva zungari portò al rapimento di Ablai, che venne però riscattato dallo stesso Abu’l Muhammad. Da questo momento in poi si viene a creare un provvisorio, quanto improvviso equilibrio: i zungari si ritirano dai territori dell’Orda Media, mentre Ablai seppe guadagnarsi la fiducia della dinastia Ching, che prima invassallò i zungari e poi li sostituì. Gli stessi mancesi gli concessero il Turkestan orientale, nei cui pascoli sicuri venne però inviato nel 1744 Abu’l Muhammad, in parte come ringraziamento e in parte per allontanarlo definitivamente dalle scene. A questo punto Ablai assunse il potere: fu lui a gestire i rapporti con i russi al nord e a fronteggiare la Piccola Orda ad est. Tuttavia, la sua posizione venne inizialmente contesa dal sultano Barak, avvelenato nel 1750 da Nur Ali Khan della Piccola Orda. Da questo momento e per due decenni egli seppe costantemente sfruttare la vicinanza cinese per mantenersi autonomo dai russi, nonostante l’elezione a khan dovette invece attendere il 1771, quando Abu’l Muhammad morì. Ablai rimane nella memoria nazionale, e a ragione, come l’ultimo khan indipendente: egli fu l’unico capace di sfruttare la vicinanza di zungari e cinesi e questo gli consentì fino alla fine di tener testa ai russi, pure così vicini ai suoi pascoli e pesantemente infastiditi dalle sue periodiche e impunite incursioni oltre la linea dei forti. Sarà allora in particolare proprio l’azione del sultano-khan dell’Orda Media il pretesto che spinse la Russia a cambiare il proprio approccio rispetto ai nomadi kazaki222.

Il protettorato russo sull’Orda Piccola e Media Come argomentato, la sottomissione alla Russia aveva fatto emergere un rapporto

equivoco e contrastato su più punti e da più parti. Pur tra alterne vicende era iniziata una collaborazione commerciale, ma non una sistematica interazione politica. La vera variabile indipendente dell’intero processo era stata l’impegno della Russia sugli altri fronti, di politica interna o internazionale, che distolsero fino a quel momento attenzioni ed energie dall’area centrasiatica223. Ma negli stessi anni in cui Ablai Khan raggiungeva l’apice del proprio potere e Nur Ali combatteva per il mantenimento del proprio, salì al trono la zarina Caterina la Grande (1762-96) che più di tutti i suoi predecessori determinò un’alterazione dell’approccio russo al settore centrasiatico. Più in particolare, con riferimento al Kazakistan, per la prima volta delle decisioni prese a S.Pietroburgo condizioneranno realmente la vita politica interna, ossia degli atti giuridici veri e propri diverranno effettivi tra i nomadi kazaki. In altre parole, è con la zarina che gli accordi del 1731 e del 1740 comincieranno a produrre i risultati previsti sulla carta. Infine, sarà già ai tempi della zarina che verranno avviati sia la dinamica della colonizzazione slava che il processo di “islamizzazione di stato”, futuri pilastri della presenza russa nell’area.

divisione interna alle singole Orde è evidentemente un secondo stadio della stessa rigida divisione in Orde, il suo proseguimento logico. 222 M.B. Olcott, op.cit, pp.39-42 223 Vale perciò la pena di descrivere preliminarmente la complessiva azione di politica estera della zarina, in diretta linea di continuità con l’azione di Pietro I. Sarà infatti Caterina II a chiudere sia il fronte occidentale, con la spartizione della Polonia con Prussia e Austria nel 1795, che riaprire dopo la sconfitta pietrina del 1711 a Prut quello meridionale con le due Guerre Turche del 1768 –74 e del 1787-91, che furono però vittoriose e portarono all’annessione della Crimea nel 1783 e all’accesso ai “mari caldi” attraverso il Mar Nero (A.Brown et al, op.cit, pp. 96-97).

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Caterina II era personalmente interessata all’Islam ed era sua precisa convinzione che si trattasse di una religione “ragionevole”, se non altro più adatta del Cristianesimo Ortodosso a civilizzare i barbari asiatici. Al pari di Ivan IV, ella si dimostrò consapevole della crescente “multinazionalità” dell’Impero e dei rischi ad essa connessi, in particolare la discriminazione tra cittadini in base al credo o a elementi simili. Con Caterina si apre quindi una parentesi di tolleranza, che implicherà azioni diversificate per le varie regioni musulmane dell’Impero.

Nella Crimea di recente acquisizione le gerarchie musulmane verranno cooptate tra le elites dello stato senza alcun obbligo di conversione al Cristianesimo; verranno mantenute le rendite ricavate dai beni waqf per il clero islamico; lo sheyk ottomano verrà riconosciuto come capo del clero della Crimea; non verrà intrapresa alcuna azione missionaria e addirittura verrà imposto il divieto di conversione al Cristianesimo. Questa linea politica guadagnerà alla zarina e allo Stato la fedeltà della nobiltà musulmana della Crimea, seppure alla lunga non potrà essere impedito un processo di colonizzazione, che portò all’insediamento dei russi provenienti dal centro dell’Impero e di numerosi tedeschi e baltici dalla sua periferia, che alla lunga ridurranno a minoranza la popolazione nativa.

Nella valle del Volga la zarina cercò di rimediare agli errori compiuti fino a quel momento: la campagna di conversione venne interrotta; chiuse le scuole separate per i convertiti; concesse l’edificazione di nuove moschee e l’istituzione di un clero religioso effettivamente autonomo; infine un mufti tataro venne posto come capo religioso delle popolazioni musulmane dell’Impero ad Orenburg (ad eccezione della Crimea). Importanti madrase vennero poi aperte anche a Ufa e Troitsk, cosicchè i tatari assumeranno da questo momento e per il secolo successivo un ruolo di assoluto rilievo nel mondo religioso ottomano, come mai prima d’allora224.

Questa accorta politica venne ampiamente premiata per tutto il secolo successivo e la fedeltà tatara così ricavata venne abilmente utilizzata per gestire la problematica situazione nelle steppe. Nel mentre infatti l’avanzata verso il nord della Cina era stata pressochè completata e Semipalatinsk ne era diventato l’avamposto. Da qui potevano essere aperte nuove vie commerciali nel settore più orientale delle steppe kazake, così da incrementare il controllo anche sull’Orda Media225. E proprio i tatari, forti della loro posizione geografica vantaggiosa, si trasformarono in leali agenti commerciali dell’Impero. Saranno loro ad esplorare le possibilità di commercio in Siberia, Cina e Asia Centrale, dove popolazioni non musulmane avevano molte più difficoltà di penetrazione, e costituire delle colonie che, mantenendo forti legami con le aree di origine, avrebbero funzionato da privilegiati terminali degli scambi russi226.

Tuttavia, proprio allo scopo di rafforzare questi scambi, sempre al centro delle intenzioni russe, era necessario riuscire a pacificare le steppe. L’avversario più difficile da trattare all’epoca era evidentemente Ablai, molto meno dipendente dalla benevolenza russa di Nur Ali. Inoltre di fronte alle crescenti minacce russa, ma soprattutto cinese, si registrò alla fine degli anni Sessanta del XVIII sec. un’unità piuttosto inusuale tra tutte le popolazioni dell’Asia Centrale. Per quanto debole, la comune fede musulmana venne individuata come il principale elemento di distinzione con le due potenze esterne: dall’Afghanistan al Kazakistan si stabilì una sintonia di intenti tra tutte le orde227.

Il nomadismo, sia come tecnica produttiva che universo culturale, cioè come stili di vita e forma mentale, apparve come il principale elemento di resistenza locale. Ma ancora una volta, un assalto frontale andava ben oltre le capacità russe del momento, la cui politica estera era focalizzata a eliminare la minaccia tatara lungo le coste del Mar

224 A.Bennigsen & M.Broxup, pp.18-19 225 M.B. Olcott, op.cit, p.37 226 A.Bennigsen & M.Broxup, ibidem 227 M.B. Olcott, ibidem

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Nero e a disimpegnare l’esercito a occidente228. Inoltre, la conquista del Kazakistan si sarebbe comunque dovuta basare su solide basi per poter contrastare un eventuale rappresaglia dalle valli, i cui khanati e sultanati si erano fino a quel momento perfettamente dimostrati in grado di respingere qualsiasi avvicinamento russo, anche pacifico. Infine, pur intuita la necessità strategica di limitare gli spostamenti dei nomadi per riuscire nei propri scopi, non era tuttavia ancora possibile stabilire dei confini stabili per i kazaki e assegnare dei pascoli come era stato fatto con bashkir e kalmyk, ormai completamente circondati e quindi tutelati dagli avamposti russi. Inoltre, la mancanza di controllo sul territorio non avrebbe mai impedito loro di sconfinare più a meridione, creando nuovi e ancora più complessi problemi229.

Era necessario sviluppare quindi degli strumenti di penetrazione più raffinati e meno pervasivi230. Ed i tatari rispondevano brillantemente a questa esigenza231. Tradizionalmente erano state le valli ad inviare i propri mullah nell’ardito tentativo di convertire nuovi nomadi o di mantenere all’Islam quelli che in apparenza l’avevano fatto. Ora la zarina promosse la conversione dei kazaki attraverso l’invio di mullah tatari proprio con lo scopo di ridurre i legami con i centri religiosi della valli, Bukhara in particolare232. Negli ultimi anni di regno infine vennero persino edificate le prime moschee, madrase e caravanserragli gestiti dai tatari233, a segno di una prima, in apparenza promettente, trasformazione dei costumi locali.

Nel mentre, venne per il momento riconosciuto ai kazaki il diritto di mantenere la legge tradizionale (adat), mentre i loro territori vennero sottoposti all’autorità dell’Assemblea d’Orenburg234. Ma si trattava ancora di meri atti formali, dato che il controllo del territorio era incompleto e le popolazioni che si contrapponevano alla Russia estremamente sfuggenti. Ciononostante lo stesso Ablai, dopo aver orgogliosamente rifiutato nel 1762 degli accampamenti creati appositamente per lui ed il suo seguito attorno a Petropavlosk, si rivelò molto più accondiscendente e pragmatico quando la zarina inviò nel 1764 una donazione di grano e alcuni contadini per insegnare ai kazaki a coltivare. Se certamente esistevano già delle piccole comunità kazake dedite all’agricoltura, tradizionalmente lungo il Syr Darya, più di recente delle nuove si erano formate a ridosso della linea dei forti a settentrione. Gli sconvolgimenti politici dell’area, il rigido ostacolo al movimento migratorio rappresentato dalle fortificazioni russe e l’isolamento commerciale avevano infatti spinto alcuni nomadi ad abbracciare uno stile di vita che, pur disprezzabile, era ora divenuto molto più affidabile per la sopravvivenza. D’altronde, dal punto di vista dei russi, se la diffusione dell’agricoltura sarebbe probabilmente rimasta parziale tra i kazaki, essa avrebbe comunque rappresentato un notevole risultato strategico: vincolati da un nucleo abitato stabile, i movimenti sarebbero stati infatti molto più limitati e con ciò la possibilità stessa di compiere razzie a danno di mercanti russi235.

228 Quest’ultimo risultato venne ottenuto grazie alla spartizione della Polonia con Prussia e Austria nel 1795 (A.Brown et al, op.cit, pp.95-97) 229 E. Allworth (op.cit, pp.9-10) enfatizza giustamente l’unità di intenti e azioni di tutte le popolazioni centrasiatiche in questa fase. 230 La Commissione Bouver, istituita da Caterina per trovare soluzione al problema dei nomadi svilupperà conclusionic si riveleranno essenziali per le politiche russe successive. Punto di partenza dei lavori fu la constatazione che la costruzione delle linee fortificate aveva privato i nomadi di tradizionali pascoli “di sfogo” in cui erano soliti recarsi durante le periodiche variazioni di rotta in caso di carestie. La soluzione proposta divenne la creazione di aree di pascolo prefissate per ogni aul e la creazione di scuole tataro-russe (M.B. Olcott, op.cit, p.42). 231 S. Soucek, op.cit, pp.196-197 232 E. Allworth, op.cit, p. 4 233 M.B. Olcott, op.cit, pp. 46-47 234 Alexander Bennigsen & Chantal Quelquejay, L’Islam en Union Soviétique, Payot Paris 1969, p. 27 235 M.B. Olcott, op.cit, p.42

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Un particolare evento assume un significato rilevante in quegli anni e dimostra

l’ormai irreversibile interazione tra russi e kazaki: la rivolta di Pugachev del 1773-74. Se le sue cause più profonde son da ricondurre esclusivamente a questioni di politica interna, cioè i rivolgimenti nella Russia zarista in una fase di rapida modernizzazione, le vicende che ne hanno scandito l’evoluzione sono legate alla problematica gestione di un territorio in crescita, dalle periferie lontane e difficili. Infine questo avvenimento, seppure coinvolse maggiormente la Piccola Orda che la Media, sarà un autentico spartiacque nella storia di entrambe, accellerandone di lì a poco il declino.

La Piccola Orda trarrà un immediato vantaggio dalla repressione russa immediatamente seguita alle sollevazioni, dato che potè così accedere ai territori oltre l’Ural, altrimenti difesi dall’esercito. Per salvaguardare la situazione Nur Ali prese a a inviare uomini e a dare rifugio ai feriti di Pugachev, fino a che l’assedio di Orenburg da parte dei ribelli sembrava rivelare concrete possibilità di successo. Fallito questo, Nur Ali smise di supportare i ribelli e si riavvicinò ai russi, pur rifiutando di inviare delle truppe. Se un aiuto nella repressione degli ultimi manipoli di ribelli sarebbe stata premiata ampiamente dai russi, un numero crescente dei suoi uomini prese a criticare il tradimento. Il momento di difficoltà dei russi venne infatti interpretato come proficuo per una sollevazione collettiva e il loro definitivo allontanamento. Raggiunte proporzioni di massa, la spinta anti-russa venne catalizzata dal sultano Dos Ali, capo delle tribù più vicine agli Urali e quindi maggiormente interessate a quei pascoli, che trasgredì gli ordini di Nur Ali, proseguendo le proprie offensive fino almeno all’arresto di Pugachev nel 1775. Anziché interrompersi, la sollevazione nella Piccola Orda assume proporzioni senpre maggiori ed è altrettanto rivolta contro Nur Ali. Nuove tribù si mobilitarono fino al punto che nemmeno Dos Ali fu capace di condurre alla resa quando apparve ormai chiara l’impossibilità di una vittoria. La sua invocazione d’aiuto a Nur Ali si rivelò improduttiva, così che furono gli stessi russi a dover intervenire236.

La totale incertezza nel quadro politico e sociale della Piccola Orda, indipendentemente dalla mutevole personalità di Nur Ali, ormai ridotto a debole interprete di uno ruolo ormai decaduto, porterà da questo momento a continue rivolte che scandiranno il declino della figura dei khan di quest’Orda, fino all’abolizione nel 1824237.

Il fallimento della rivolta aveva dimostrato l’impossibilità di abbattere la Russia e

questo fece cambiare i piani di Ablai Khan. Come già visto, egli si era ormai assicurato i pascoli della zungariia grazie all’alleanza con i Ching e questo gli aveva fornito un considerevole vantaggio nel confronto con i russi, aveva consentito di allocarvi un consistente numero di aul e esiliare di fatto Abu’l Muhammad, mentre il proprio seguito continuava ad occupare la fascia a ridosso delle fortificazioni russe. Negli ultimi anni di 236 Ivi, pp.37-39 237 Ivi, pp.44-53. In particolare, meritano di essere ricordate la rivolta di Sirim Batir nella Piccola Orda (anni ’80 e ’90 del secolo), Isatai Tamin uli della cosiddetta Orda Interna, creata per decreto imperiale nel 1801 e a cui vennero affidati i pascoli transuralici (anni ’30 e ’40 del secolo successivo), e infine Kenisary Qasimov dell’Orda Media (anni ’40 e ’60 del XIX sec.). Con maggiore riferimento al periodo considerato, la rivolta di Sirim Batir assume un particolare rilievo, sia per la portata militare della sua azione, che minacciò la stessa presenza russa nell’area oltre che una vera e propria guerra civile tra i kazaki di tutte le appartenenze, ma soprattutto per le istanze “rivoluzionarie” di cui egli si fece portatore. Membro del kara suiuk, egli propose la definitiva abolizione della figura del khan e la gestione della vita della propria Orda esclusivamente attraverso il consiglio degli anziani (anch’essi non-nobili). La sua lotta “di classe” tuttavia fallì: egli non poteva rivendicare il titolo di khan in quanto non ak suiuk, mentre i consigli degli anziani, pur convocati, non riuscirono mai a trovare soluzioni corali ai vari problemi. Il suo avvicinamento ai russi, che intendevano attuare legislativamente le sue proposte per riappacificare l’area, lo obbligò a fuggire al sud verso Khiva, dove morì probabilmente assassinato per volontà del khan locale che ne temeva la carismatica concorrenza.

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vita decise di sfruttare la propria posizione richiedendo alla zarina il riconoscimento del proprio titolo di khan e una rendita in denaro. Ma Caterina accondiscese a fatica solamente alla prima richiesta e rifiutò fino all’ultimo la seconda. Anche se non minacciarono il suo potere sostanziale, la venuta a patti con i russi e l’ancora recente ricordo delle orgogliose sollevazioni bastarono a mettere in discussione autorità e autorevolezza dell’ormai anziano khan.

Così alla sua morte nel 1781 il figlio Vali non potè ereditarne né il prestigio, né i risultati politici. Il controllo diretto delle aree in prossimità dei russi, se era stato motivo di vanto per Ablai e segno concreto della sua forza, divenne per il figlio causa di umiliazione e allo stesso tempo di sopravvivenza, posto che egli potè continuare a governare solo grazie all’aperto aiuto russo. Essi di fatto controllavano ora un quarto dei territori che furono di Ablai, mentre la zungariia rimase un’entità separata governata da khan locali sotto protezione cinese (gli eredi di Qayip, sultano ribelle della Piccola Orda) e i territori meridionali furono assorbiti dalla Grande Orda, anch’essa ormai protetta dalla Cina.

Per quanto vennero mantenuti buoni rapporti con le altre due Orde e le ostilità si limitassero ormai solamente al confine con i turkmeni, gli autentici problemi stavano ora all’interno di quel che rimaneva dell’Orda. Il breve tentativo di avvicinamento ai Ching spinse alcuni sultani a giurare autonomamente fedeltà ai russi, cosicchè il potere del khan fu di fatto distrutto. Da questo momento i russi tentarono di disciplinare da vicino la vita sociale dell’Orda, istituendo un tribunale congiunto russo-kazako a Petropavlosk nel 1798 e nominando un secondo khan nel 1816. La morte di entrambi nei due anni successivi sancì la formale abolizione del titolo di khan238.

Prima fase del dominio russo (1822-1865) Nella prima metà del XIX sec. gli amministratori russi dovettero quindi per la prima

volta confrontarsi in maniera sistematica con i problemi delle steppe kazake. Inzialmente si preferì lasciare in vigore la legge tradizionale (adat)239, seppure ormai priva di effettive capacità di regolamentazione, data la disgregazione del potere khanico. La gestione della vita quotidiana venne così esclusivamente delegata alle varie autorità claniche locali, cioè i sultani ma ancor di più i bii. L’assenza di un’autorità superiore condusse perciò all’abuso di strumenti tradizionali di composizione delle controversie, come i raid punitivi contro pascoli e accampamenti (barymtas) e le uccisioni arbitrarie di ladri e assassini a titolo di risarcimento (kun)240.

Assieme alla degenerazione dei meccanismi giuridici tradizionali, permaneva il problema dell’accesso ai mercati indiani, cinesi, centrasiatici e persiani241, strutturalmente vincolato alla sicurezza delle vie carovaniere in territorio kazako. Questo insieme di fattori spinse definitivamente i russi ad introdurre nuove forme di amministrazione per le steppe.

Già nella seconda parte del regno di Caterina II, cioè dopo la rivolta di Pugachev e durante la rivolta di Sirim, un primo breve ed infruttuoso tentativo (1787-1790) di imporre meccanismi di amministrazione delle steppe era stato introdotto dall’incaricato imperiale Igelstrom. Questo prevedeva l’abolizione del khanato della Piccola Orda e la sua spartizione in tre sotto-segmenti (uno occidentale, uno centrale ed uno meridionale), 238 M.B. Olcott, op.cit, pp. 43-44 239 A.Bennigsen & M.Broxup, op.cit, p. 20 240 M.B. Olcott, op.cit, pp. 15-16 241 La guerra con i montanari caucasici richiederà infatti ancora qualche decennio (data convenzionale: 1864) per potersi dire conclusa. I traffici con la Persia attraverso il Caucaso perciò tutto ancora erano, fuorchè fluidi (A. Ferrari, op.cit, pp. 261-267). In aggiunta, va considerata la maggiore accessibilità per scambi sistematici del territorio kazako, pur attraverso il deserto turkmeno, il Kopet Dag e le lunghe distanze, rispetto al Caucaso, che porterà a preferire ancora a lungo il Kazakistan.

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ciascuno amministrato da un consiglio dei bii. Per quanto questa idea formalizzasse la già avvenuta fine del potere khanico e potesse porre fine ai raid del potente Sirim di cui rispecchiava le richieste, esso venne osteggiato dai discendenti di Abu’l Khayr, così come dai khan dell’Orda Media e dall’imperatrice stessa, nel mentre intimorita dagli avvenimenti della Rivoluzione Francese e ora pronta a supportare tutti i “monarchi legittimi” delle popolazioni assoggettate242.

Nel 1822 le riforme del governatore generale della Siberia, Michael M. Speransky, cercarono di dare risposta ai problemi appena descritti. I territori dell’Orda Media in particolare, dove il potere khanico era stato di recente già abolito, vennero accorpati all’amministrazione civile della Siberia occidentale. L’unità amministrativa elementare divennero gli aul, composti di circa 15 famiglie e guidate da un bii eletto. Gruppi di famiglie etnicamente omogenei (volost) sarebbero stati amministrati da sultani eletti dai bii. Al di sopra dei volost stavano dei distretti, detti okrug, quattro in tutto e governati da un consiglio (prikaz), presieduto da un sultano e di composizione mista russo-kazaka. Seppure la funzione di polizia venivano ora affidate ai cosacchi, si può facilmente notare come non si intendesse sostituire con la legge civile russa quella consuetudinaria kazaka, ritenuta da Speransky incredibilmente adatta a divenire il paradigma per la disciplina delle questioni giudiziarie di tutte le popolazioni nomadiche dell’area. Una commissione di studio sull’argomento venne infine istituita nel 1842 e la legge consuetudinaria kazaka venne condificata negli anni Sessanta.

Altro punto essenziale di queste riforme sarà la questione della sedentarizzazione dei nomadi. A tal fine, vennero stabiliti svariati incentivi: l’assegnazione di terre, che sarebbero divenute di proprietà esclusiva di un capo famiglia, e la distribuzione di sementi e attrezzi da lavoro; estensioni di terra maggiori sarebbero proporzionalmente stati concessi a bii e sultani. Complementarmente si posero misure restrittive per le migrazioni: ai membri degli okrug che avrebbero mantenuto uno stile di vita nomadico sarebbero stati imposti dei confini che non sarebbero potuti essere superati senza autorizzazioni. Queste iniziative servirono semplicemente a incrementare il caos già esistente: la divisione in ciascun okrug tra nomadi e agricoltori alle prime armi non limitò gli sconfinamenti e persino la violazione delle consolidate divisioni tra i pascoli di un’Orda e delle altre.

Successivamente queste condizioni vennero estese alla Piccola Orda. Come l’Orda Media dipese da Petropavlosk, analogamente il centro amministrativo divenne in questo caso Orenburg. La differenza principale consistette nella maggiore frammentazione già creatasi all’interno di quest’Orda, per cui venne ripresa l’idea delle precedenti riforme di Igelstrom e il territorio venne diviso tra i maggiori sultani locali in un’area centrale, occidentale e orientale. Mentre ad Orenburg venne istituita una commissione mista russo-kazaka per stabilire le direttive di governo, alcuni reggimenti di cosacchi vennero affiancati a ciascun signore locale per implementarle.

Pur attraverso varie modifiche e perfezionamenti, la riforma Speranskii venne mantenuta fino alla totale riorganizzazione amministrativa seguita alla conquista dei territori della Grande Orda. Tuttavia, per quanto i vari signori locali fossero adesso affiancati da truppe russe e inglobati in strutture amministrative congiunte, la loro base di potere era erosa a tal punto che tutte le previsioni di effettivo controllo del territorio fallirono puntualmente nei quarant’anni successivi243 e le steppe degenerarono stabilmente in una condizione di guerra civile244.

In altre parole, per qualche decennio ancora l’intervento burocratico sarà preferito a

quello propriamente militare; allo stesso modo, non vennero attuate vere e proprie 242 M.B. Olcott, op.cit, p. 47 243 Ivi, pp. 58-62 244 Ivi, pp. 62-69

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politiche di assimilazione culturale. Le uniche popolazioni slave a metter piede in territorio kazako rimanevano i cosacchi qui inviati con funzione di polizia, mentre la religione non rappresentava ancora un elemento di discriminazione: moschee e madrase poterono lentamente continuare ad aumentare, mentre i diritti del clero islamico non vennero per il momento limitati245.

Tuttavia, in particolare la posizione dell’aristocrazia rimase piuttosto ambigua, in questo momento e fino almeno alla fine dell’Impero246. Da un lato, tutti i membri dell’ak suiuk poterono mantenere il proprio titolo, seppure non vennero mai assimilati alla nobiltà russa, nonostante prestassero analogamente servizio nella burocrazia dell’Impero247. Per giunta, nello stesso istante questo privilegio veniva invece concesso ai ben più ostici nobili del Caucaso o agli europei, sia cattolici che protestanti, che prestavano servizio a corte in qualità di tecnici248. Il differente peso strategico dei nobili kazaki tuttavia non determinò un trattamento fiscale eccessivamente svantaggioso: per quanto privati di un qualsiasi potere politico concreto, essi rimanevano gli alleati dei russi in loco e il benessere rimaneva la migliore precondizione per la fedeltà. Infine, venne concesso ai loro figli di frequentare le scuole militari di Omsk e Orenburg, aperte rispettivamente nel 1813 e nel 1825. Potè così iniziare fin dalle primissime fasi un processo di progressivo avvicinamento alla cultura occidentale, che sarà una delle principali differenze con le popolazioni delle valli determinata dalla prolungata presenza russa nell’area249.

Allo stesso modo, l’anticipata penetrazione commerciale comincerà in quest’epoca a

produrre i primi effetti. Se fino a quel momento qualsiasi transazione si era svolta in via informale, l’emergente industria russa imponeva un più massiccio accesso ai mercati asiatici che implicava un maggiore attivismo da parte statale. In particolare, data la scarsa qualità dei beni tessili prodotti dall’industria russa, questi non potevano competere con i già più raffinati prodotti tessili disponibili sui mercati europei250, al contrario di come sarebbero stati in grado di fare con i beni prodotti con le tecniche artigianali tradizionali251. A tal fine la penetrazione amministrativa si trasformò in un semplice strumento per rafforzare i commerci: tutti i beni in entrata necessari all’economia russa come cotone grezzo, medicine, pesci e bestiame erano sottoposti a dazi minimi, mentre tutti quelli che vi potevano concorrere erano deliberatamente sovrattassati. Tuttavia, anche se vennero consolidate le vie commerciali, stabilite sulla base dei precedenti percorsi esplorativi, esse rimanevano infrequenti, date le grandi distanze e le perturbazioni estive e invernali; infine, i rischi connessi ai viaggi si riflettevano sui prezzi estremamente alti252.

Se così non è azzardato affermare che l’ambiente stesso funzionò in maniera tale da sfavorire una penetrazione eccessivamente rapida e traumatica, è altrettanto vero che l’interazione commerciale con i russi produsse fin dalla seconda metà del XVII sec. i primi effetti sull’economia locale, prima sui commerci e poi sullo stesso nomadismo per loro tramite.

245 A.Bennigsen & M.Broxup, op.cit, pp.20-21 246 Ivi, pp. 23-24 247 M.B. Olcott, op.cit, p. 60 248 A.Bennigsen & M.Broxup, op.cit, pp. 14-16 249 Ivi, pp. 20-21 250 M.A. Khan, op. cit, p.x 251 M.B. Olcott, op.cit, p. 57 252 Normalmente esse avevano cadenza periodica, una o poco più in un anno. In particolare, esse potevano circolare solo nella bella stagione che, per quanto comunque ostile, permetteva il transito al contrario delle ghiacciate invernali. Ogni carovana era normalmente composta da centinaia di cammelli e il raggiungumento della destinazione richiedeva in media due mesi (Ivi, pp. 69-71).

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In particolare la composizione e le percentuali dei beni scambiati sono sintomatici dei massicci cambiamenti sottostanti. Così se nella prima metà del secolo gli animali maggiormente richiesti erano i rinomati cavalli kazaki, che potevano essere facilmente suppliti dalle tecniche tradizionali di allevamento, nella seconda metà essi vennero progressivamente sostituiti dalle greggi di ovini. Nel mentre si faceva lentamente strada l’allevamento di bovini, sconosciuto fino a quel momento e particolarmente inadatto al territorio steppico. Agli albori del XIX sec. il cavallo venne praticamente escluso dagli scambi, anche grazie al completamento della penetrazione in Siberia, dove i cosacchi erano in grado di allevarli in prossimità dei propri accampamenti. Di contro, per quanto riguarda i beni in entrata nell’economia kazaka, l’approvvigionamento di grano e altri beni agricoli si ridusse progressivamente nello stesso lasso di tempo253. Questa variazione coincide con la maggiore penetrazione russa nell’area ed è probabilmente da attribuire al venir meno della necessità di utilizzare i beni agricoli come strumento per conquistarsi le grazie di khan o sultani locali da parte di S.Pietroburgo.

Ovviamente, la carenza di beni così preziosi, specialmente per l’Orda Piccola e Media, più distanti in tutti i sensi dalle valli, ebbe forti ripercussioni sull’economia locale e sulle necessità della popolazione. La sedentarizzazione che ne seguì è tuttavia solo indirettamente legata al problema del sostentamento. I kazaki intuirono da subito gli estremi potenziali dell’allevamento dei bovini e dimostrarono una considerevole capacità di adattamento in questo senso. Tuttavia, i pascoli a disposizione si erano nel mentre ridotti e i bovini richiedevano quantitativi di foraggio ben superiori a quelli degli altri animali. In questa fase di transizione perciò la sedentarizzazione e l’agricoltura furono piuttosto indotti dalla necessità di garantire il nutrimento ai nuovi animali. In assenza di altri interlocutori commerciali, esclusivamente i russi avrebbero supplito grano e altri beni agricoli, rendendo molto più dipendenti le popolazioni settentrionali dalle esportazioni russe254.

Inoltre, le fiere e i mercati stagionali che avevano luogo nelle sempre più ampie e popolose città russe ai bordi delle steppe, così come le incursioni di mercanti sarti dal Turkestan o tatari provenienti da Kazan, permisero l’introduzione dei nuovi beni di fattura industriale anziché artigianale, creando bisogni fino ad allora sconosciuti. Questi erano essenzialmente attrezzi in metallo per i campi ed in minor misura beni di lusso, specialmente abiti femminili e variopinte stoffe in seta o cotone per la decorazione interna delle yurte, che conobbero una diffusione notevole in pochi anni.

Infine, vi fu un’inusuale crescita del lavoro artigianale; la competenza dei nomadi nel lavorare il cuoio, in particolare per produrre selle e legamenti per i cavalli, si rivelarono estremamente competitivi sui nuovi mercati. Tuttavia, l’incremento di queste produzioni tradizionali, non in competizione con la nascente industria russa, erano spesso vissute dagli interessati, alla pari della pesca o dell’agricoltura coltivazione, come un espediente momentaneo, finalizzato al proprio riscatto come allevatori255.

In altre parole, l’importanza dei beni prodotti dall’economia kazaka tradizionale scemò inizialmente a favore del cotone e degli altri beni agricoli provenienti dai khanati meridionali. In seguito l’economia kazaka dovette progressivamente trasformarsi per non essere relegata al semplice al ruolo di intermediaria, abbandonando le produzioni più tipiche in favore di nuove, estranee e meno compatibili dal punto di vista dell’equilibrio ambientale. Questa trasformazione tuttavia permise ai russi di svolgere al nord la funzione che per secoli avevano svolto le valli a sud: luogo di destinazione delle merci prodotte, centro di scambio, punto di riferimento inevitabile e complementare all’economia kazaka. La differenza essenziale fu che i centri delle valli non avevano

253 G.J. Demko, op.cit, p. 31 254 M.B. Olcott, op.cit, pp. 84-85 255 E.E. Bacon, op.cit, pp. 93-95

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mai dispiegato una capacità espansiva e di penetrazione paragonabile a quella russa in quegli anni.

In conclusione, questo periodo di transizione dalla semplice collaborazione commerciale, improntato sulla prudenza strategica, al dispiegamento delle prime effettive funzioni di controllo è caratterizzato da una semplice quanto essenziale catena di fattori. La riduzione dei pascoli non era stata del tutto compensata dal commercio e rimanevano molte ragioni di insoddisfazione tra la popolazione, anche tra quella più disponibile al cambiamento; di contro, la dipendenza commerciale dei kazaki dai beni russi e dalle esportazioni verso i loro mercati non era ancora in grado di sostituire a pieno le fonti di sopravvivenza tradizionali; la debolezza del potere politico impediva adeguate forme di resistenza a queste trasformazioni. L’evoluzione di questo stato di cose non sarà tanto dettato da una qualche strutturata reazione della popolazione kazaka, i cui membri agiranno ormai in maniera del tutto indipendente e diversificata, ma piuttosto dalla decisione unilaterale dell’Impero russo di rafforzare la propria presenza nelle steppe.

La conquista della Grande Orda e delle valli (1865-1905) La Grande Orda, la più antica, la meno numerosa e la più fortunata per la bontà dei

pascoli, era anche quella stanziata nei primi territori conquistati dal nascente popolo kazako e la più distante dal futuro dominatore russo. Per questo stesso motivo essa fu anche l’ultima ad entrarvi in sistematico contatto (inizi del XIX sec.) e solamente a seguito dell’avanzamento “amministrativo” tra le altre due Orde. Durante il pluridecennale travaglio della Piccola e della Media Orda, essa si trovò invece a diretto contatto con gli altri grandi soggetti esterni dell’area, i zungari a oriente e i regni delle valli a sud. Le dinamiche che seguirono furono in parte simili e in parte assolutamente originali rispetto al resto della popolazione kazaka. Da un lato, la Grande Orda fu l’ultima ad essere attaccata dai zungari, ma anche la prima a sottomettervisi e a giurare fedeltà ai cinesi, quando questi ne presero il posto nel 1756. Dall’altro, sempre più cospicui segmenti di popolazione erano emigrati a nord ed avevano giurato fedeltà alla Russia, così come altri vennero invece assorbiti di volta in volta dai vari khanati meridionali. All’alba della conquista russa, la Grande Orda si poteva considerare divisa in maniera del tutto analoga a quella delle altre due: una parte godeva dei preziosi pascoli zungari; un’altra aveva assunto uno stile di vita semisedentario nei pressi di Tashkent e divenne suddita di Kokand; l’ultima infine aveva occupato i territori più ad occidente e per questo era riuscita a mantenersi ben più indipendente.

Il principale contendente dei russi per la supremazia nell’area era al momento Kokand, analogamente impegnata in uno speculare sforzo di assorbimento delle popolazioni kazake. Per giunta, il supporto di Bukhara e Khiva ebbe buon gioco nel rafforzare le mire espansionistiche di Kokand in nome dell’Islam e della resistenza all’invasore infedele. I kazaki erano divisi sul da farsi: da un lato, l’ak suiuk supportava la protezione di Kokand in quanto garantiva loro il mantenimento delle tasse sul bestiame che contribuivano al loro benessere, mentre il kara suiuk veniva sottoposto ad una doppia tassazione, cioè la zakat e l’ushur del diritto islamico affianco a quelle tradizionali. Ma per quanto la storiografia sovietica abbia enfatizzato queste ragioni “materiali”, pare molto più sensato credere che la maggior parte dei kazaki della Grande Orda supportassero i khanati meridionali, grazie alla cui vicinanza il processo di islamizzazione aveva conosciuto i maggiori risultati tra la popolazione kazaka256.

Ciononostante, la fazione occidentale nel tentativo di salvaguardare la propria indipendenza chiese aiuto alla Russia, cui giurò fedeltà nel 1818. Le norme della 256 La Semirechia, con i mausolei della città di Turkestan, l’attuale Tashkent, rimane tutt’oggi un’area centrale per il culto islamico locale.

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riforma Speranskii vennero rapidamente estese ed adattate, mentre solo pochi anni più tardi un distaccamento cosacco si insediava nel nuovo territorio e nuove fortificazioni venivano edificate lungo i bordi meridionali delle altre due Orde257. Di lì a poco vennero assorbiti in maniera del tutto pacifica il resto dei territori e anche la Grande Orda seguirà il destino delle altre, venendo formalmente abolita dai russi nel 1848 ed infine sottoposta nel 1854 alla guberniia di Semipalatinsk. Con l’abolizione dell’ultima Orda si può considerare concluso il periodo di guerra civile in atto nel corso dei tre decenni precedenti, cosicchè le maggiori minacce alla sicurezza provenivano ora solamente da meridione258.

La conquista della Grande Orda e dei suoi territori, la Semirechia e l’alto Syr Darya,

assumeva anche un notevole significato simbolico e strategico, posto che la conquista dei territori kazaki più difformi per caratteristiche ambientali e forme di stanziamento, gli stessi definiti in precedenza il limen tra sedentari e nomadi, fu preliminare alla rapida conquista delle valli, così che per tempi e modalità possono essere correttamente assimilati e percepiti come un unico fenomeno.

E di fatto la popolazione della Grande Orda fu il primo pretesto di scontro frontale tra i khanati meridionali e Russia. Dimenticata la sconfitta patita ai tempi di Pietro I, una nuova spedizione venne inviata verso Khiva nel 1839 con il deliberato intento di conquistarla259. La cocente sconfitta patita dalla missione Perovskii interromperà per alcuni decenni qualsiasi intento d’ulteriore avanzamento, ma rappresenterà allo stesso tempo un punto di svolta cruciale nella strategia russa, che in particolare spinse all’accellerazione della creazione di una linea di forti lungo il Lago d’Aral, il Syr Darya e l’Ili, del tutto analoga a quella settentrionale e quella intrasteppica di recente formazione260.

Nel mentre le rapide evoluzioni dello scenario internazionale divennero il principale pretesto per una maggiore dinamicità in Asia Centrale. Innanzitutto, le “clausole del Mar Nero”, sancite durante il Congresso di Vienna, impedivano alla Russia di muovere guerra nel Meditterraneo attraverso questo accesso261. La successiva posizione di predominanza inglese sul Meditterraneo orientale ne fece il “tutore” più influente dell’ormai decadente Impero Ottomano, i cui stretti (Bosforo e Dardanelli) rappresentavano invece un’ambizione dei russi fin dai tempi di Pietro I. Così la Guerra di Crimea (1853-56) esacerbò ulteriormente gli attriti con gli inglesi, che imposero un embargo totale sui russi per i preziosi approvvigionamenti di cotone262. Ma proprio a seguito di questa rovinosa sconfitta la corte e gli ambienti militari russi videro in un’azione militare di successo la soluzione per rilanciare l’immagine del paese263.

Nel mentre la rivoluzione americana aveva privato la Gran Bretagna della sua colonia più importante e intendeva ora sostituire il cotone ivi prodotto, così importante per la propria industria tessile, attraverso una crescente influenza sui khanati centrasiatici via India e Afghanistan264, fatto questo che poneva un ulteriore problema rispetto all’altrettanto antica e frustrata ambizione russa sulla stessa India (ormai indiscutibilmente colonia inglese). Infine, la Guerra Civile americana negli anni Sessanta del secolo, determinò una totale sospensione delle esportazioni e nuovamente un drastico taglio sui rifornimenti di cotone russi265. 257 M.B. Olcott, op.cit, pp. 71-72 258 S. Soucek, op.cit, pp. 197-198 259 E. Allworth, op.cit, pp. 6-7 260 M.B. Olcott, op.cit, pp. 72-73 261 A.Brown et al, op.cit, p. 99 262 M. A. Khan, op.cit, p.x 263 M.B. Olcott, op.cit, p. 74 264 E. Allworth, op.cit, p. 8 265 M. A. Khan, ibidem

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L’Asia Centrale si poneva quindi come l’unico settore strategico penetrabile dati gli accordi e la situazione europei, oltre che quello dove si profilava la minaccia più concreta, cioè quella dell’avvicinamento britannico266. Ma allo stesso tempo era quello che poteva comparativamente ed indirettamente offrire i maggiori vantaggi: attraverso questa annessione si riteneva infatti che la Russia avrebbe potuto svolgere in Asia il ruolo che diveniva della Francia in Africa, con il vantaggio aggiunto di potersi porre come un rivale “continentale” della “marittima” Gran Bretagna, data la diretta, per quanto ampia, continuità territoriale. Infine, si ritenne che un’accresciuta importanza ad oriente avrebbe probabilmente bilanciato il vantaggio britannico nella Questione Orientale e aiutato ad ottenere gli ambiti Stretti Turchi267.

Per quanto si intendesse evitare per il momento uno scontro diretto per le possibili reazioni di Cina e Gran Bretagna, oltre che per pianificare adeguatemente le strategie e mobilitare adeguate risorse, di lì a poco la situazione precipitò rapidamente: l’improvvisa offensiva di Kokand sul forte di Vernyi (la futura Alma Ata) nel 1861 fece emergere il problema delle competenze amministrative nell’area. Le reazioni dei governatori generali di Orenburg e Petropavlosk, parimenti autorizzati ad un’eventuale rappresaglia, furono opposte e mostrarono una certa debolezza e inaffidabilità al rivale, colpito solamente su alcuni forti dagli uomini di Orenburg, mentre Petropavlosk cercava di riallacciare i rapporti. Il trattato anglo-afgano dell’anno successivò moltiplicò le paure di Alessandro II, mentre la repressione della rivolta polacca nel 1863 determinò un ulteriore perdita di prestigio in Europa, per cui lo zar ordinò la stesura di un piano d’attacco congiunto per il 1864. La conquista non pianificata di Tashkent nel 1865 per l’avventata iniziativa del generale Chernaiev pose non pochi problemi diplomatici con gli inglesi, pur blanditi dalla sua rimozione dall’incarico268. Questa azione rispondeva comunque ad un bisogno strategico ben preciso, cioè garantire la maggiore sicurezza possibile ai confini meridionali kazaki, di cui Tashkent era il naturale sigillo. Non è un caso quindi che sia la data di questa conquista a segnare convenzionalmente il completamento della conquista del Kazakistan, seppure non la fine della campagna centrasiatica. Seppure la diplomazia russa continuasse a optare per delle relazioni pacifiche con i tre khanati, nel giro di soli tre anni inizieranno nuove offensive, poi destinate a produrre i propri effetti altrettanto rapidamente con la conquista di Khiva e Bukhara nel 1873 e infine di Kokand nel 1876, compiutamente sconfitte nel 1884269 e pacificate nel 1895 con la sconfitta delle tribù turkmene270. Nel complesso, la temuta resistenza centrasiatica o le reazioni diplomatico-militari della Gran Bretagna furono molto inferiori al previsto. Il numero di morti da parte russa fu molto contenuto, così come la Gran Bretagna si lasciò rassicurare da pochi impegni formali. I khanati meridionali erano già stati indeboliti dall’isolamento commerciale e dalla divisione politica, che si erano poi tradotti in truppe inefficienti ed armamentari arretrati. Infine, la crisi economica aveva reso le popolazioni diffidenti e disaffezionate ai propri governanti. Tutto apparve infine propenso ad una rapida ed efficace “civilizzazione”271.

266 Il valore dell’area per i rapporti tra la Russia e la Gran Bretagna rimase inalterato fino) alla Prima Guerra Mondiale (Hélène Carrère d’Encausse, Systematic Conquest. 1865 to 1884, pp. 149-150 in Allworth, op.cit.). L’assenza di significative potenze concorrenti lasciava questo settore asiatico un “affare privato” russo-britannico, così che vi sarebbe stato possibile intervenire senza alcun coinvolgimento di altre potenze europee, al contrario di un impegno “europeo” come ad esempio accadrà con la Guerra di Crimea nell’800. 267 G.J. Demko, op.cit, pp. 35-36 268 M.B. Olcott, op.cit, pp. 74-76 269 S. Soucek, op.cit, pp. 198-199 270 G.J. Demko, op.cit, p. 40 271 H. Carrère d’Encausse, op.cit, p. 149

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Ma la nuova acquisizione pose immediatamente sconosciuti problemi di ordine amministrativo per un’area sempre più estesa, distante dalla madrepatria e ormai differenziata al proprio interno. Dal 1866 al 1898 il complesso dell’area centrasiatica, kazaka e non, conobbe notevoli rivolgimenti nell’organizzazione amministrativa, determinata innanzitutto dalla profonda ignoranza della regione e delle sue popolazioni. In maniera esattamente speculare al Caucaso o ai tatari, stimarono di eccessivo valore alleati come (prima i khan e poi) l’aristocrazia nelle steppe kazake, privi di potere reale e ormai tenuti “in naftalina” dalla stessa presenza russa. Questo impedì spesso di cogliere le reali aspirazioni delle popolazioni conquistate, costringendo a continui adattamenti e ritocchi legislativi man mano che questa realtà cominciava a essere compresa in maniera via via più esatta.

Uno dei fattori furono le stesse modalità della conquista centrasiatica nel suo complesso: neppure in Kazakistan la conquista militare fu preceduta, come nel caso siberiano o in parte caucasico, da un significativo movimento di poveri contadini russi alla ricerca di nuova terra. Dopo un fugace tentativo agli inizi del diciassettesimo secolo l’intera regione rimase ben protetta dall’incursione di cosacchi o contadini. Questo ebbe essenzialmente due conseguenze: la conquista (al contrario della Siberia272) fu essenzialmente “politica”, cioè basata esclusivamente sul dialogo tra le gerarchie militari russe vincitrici e le diversificate ed irrequiete popolazioni locali, quindi senza un momento di confronto “sociale” pregresso a far da mediatore e fornire esperienza dei nuovi interlocutori. Contemporaneamente, questo consentì alla Russia di disporre inizialmente in maniera del tutto libera del nuovo territorio, senza trovarsi cioè a gestire il pressante problema di coloni da proteggere o ammansire, ma piuttosto a determinarlo in un secondo momento273.

Già da qualche anno prima della conquista, commissioni e spedizioni erano state istituite per valutare nuove possibilità di organizzazione amministrativa del territorio. Era evidente infatti che l’organizzazione bicefala Orenburg-Petropavlosk poneva quotidianamente problemi di ordine pratico che le nuove acquisizioni avrebbero semplicemente moltiplicato. Tuttavia, è solo a seguito dell’effettiva conquista di Tashkent che alcuni mesi dopo venne isituita una commissione di studio, detta “delle Steppe”, composta da quattro membri e presieduta dal colonnello Giers. Dopo essersi recata sul posto, essa consegnerà ufficialmente i propri suggerimenti due anni più tardi274. La Commissione ebbe l’incarico di redigere le bozze di due statuti distinti, uno per le steppe kazake ed uno per le valli. Nel mentre, circostanza non casuale, uno statuto militare provvisorio rappresentò il primo paradigma per l’amministrazione dei nuovi territori, secondo il quale questa doveva essere improntata sulla minima interferenza possibile nelle questioni locali275.

272 Il paragone è tricefalo (Kazakistan, Siberia e Volga) e merita una distinzione tra conquista e “gestione”. Anche la valle del Volga venne prima occupata da gruppi cosacchi, ma questi non spodestarono le popolazioni locali come nel caso siberiano, né avrebbero potuto dato che i regni tatari erano delle compiute entità statali. Diverso il caso siberiano: all’epoca i cosacchi erano già stati affiancati dall’esercito imperiale e l’unico barlume di potere politico centrale, il khanato appunto di Sibir, venne precocemente sconfitto dopo le prime incursioni. Infine, gli antichi legami con il mondo tataro-mongolico (come rivelato dallo stesso caso di Ivan IV) non resero nevralgica una prima conquista o penetrazione “informale”. Inoltre, la Siberia era al contrario della valle del Volga un territorio ampissimo e maggiormente ostile, in cui le comunicazioni erano più difficili e che perciò facilitava la divisione politica. La penetrazione metro per metro da parte di agguerriti manipoli militari si rivelò plausibile, mentre la sua “gestione” unitaria richiedeva un potere politico estremamente forte e dotato economicamente. Probabilmente lo stesso afflusso e deflusso commerciale determinato da questi territori rese capace la Russia di farsene carico. 273 Hélène Carrère d’Encausse, Organizing and Colonizing the Conquered Terriories, p. 151, in Allworth (a cura di), op.cit. 274 M.B. Olcott, op.cit, p. 78 275 H. Carrère d’Encausse, op.cit, pp. 151-152

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Le conclusioni della Commissione partirono da specifici presupposti e giunsero ad alcune conclusioni estrememante significative per le evoluzioni a venire. Per quanto concerneva i kazaki si espresse l’idea che rappresentassero una popolazione assolutamente definita e a sé stante per discendenza, lingua, religione e stili di vita. Di conseguenza si doveva sviluppare una soluzione amministrativa unitaria per questa popolazione, dato che l’assetto allora vigente era assolutamente deficitario e inadatto a causa della divisione di competenze tra Orenburg e Petropavlosk. L’altro assunto essenziale era che i kazaki rappresentassero ormai una popolazione dell’Impero a tutti gli effetti in virtù della lunga conquista e che quindi un’amministrazione russa dovesse qui essere istituita, pur se ancora nel rispetto delle specificità della popolazione. Da tali assiomi non poteva che discendere l’inesorabile corollario dell’assimilazione culturale, seppure da intraprendere in maniera estremamente prudente.

Dal punto di vista istituzionale, le proposte avanzate furono essenzialmente due: l’organizzazione del territorio kazako come una provincia (guberniaa) a sé stante e il mantenimento della legge penale russa affianco a quella civile tradizionale, sia per le norme, che le procedure da seguire e gli organi incaricati a farle valere. Dal punto di vista sociale, venne invece proposta la sedentarizzazione della popolazione, seppure sempre in maniera graduale e non violenta. Il problema essenziale era il controllo di movimenti da una parte all’altra della guberniia di cospicue masse di nomadi, seppure vennero contemporaneamente riconosciuti tutti i problemi esistenti, la scarsa competenza kazaka come agricoltori e l’inadeguatezza del territorio a tale conversione, affinchè una tale svolta potesse essere spontanea e non traumatica276.

I kazaki infatti erano soliti seminare senza irrigare regolarmente e abbandonavano i campi una volta che essi si erano esauriti277, in maniera non dissimile dal passato, quando si limitavano a raccogliere le erbe spontanee cresciute lungo i fiumi. Disponevano poi esclusivamente di utensili di legno, cioè di un materiale abbastanza raro da reperire, rapidamente deteriorabile se utilizzato come attrezzo nei campi e perciò inefficiente per la quantità di lavoro che ci si poteva compiere, ed anti-economico in quanto doveva essere sostituito dopo un breve utilizzo. Solamente tra i neosedentari del nord si diffondevano attrezzi da lavoro in metallo, ottenuti dagli scambi nei mercati dei forti russi. Per giunta, anche quando gli agricoltori kazaki settentrionali “più evoluti” erano in grado di coltivare efficacemente la terra, non erano altrettanto capaci di piazzare adeguatamente la merce, solitamente acquistata sottocosto da spregiudicati mercanti russi o tatari278. Infine, seppure l’area degli insediamenti russi si ponesse ora come un nuovo “polo della sedentarizzazione”, analogamente a quanto svolto in passato dal limen costituito dai fiumi a meridione e ormai in “competizione” con questo, è anche vero che la diffusione dell’agricoltura non si traduceva questa volta necessariamente in sedentarizzazione. Per quanto alcuni kazaki avessero accettato le lusinghe dei russi per la costruzione di stalle per gli animali, magazzini per il cibo ed il grano o abitazioni in legno e persino pietra, questo non significò che queste strutture non venissero momentaneamente abbandonate per seguire le mandrie. Molte delle pratiche tradizionali riuscirono così flessibilmente a sopravvivere per qualche decennio e l’agricoltura potè essere praticata senza la necessità di definire dei diritti di proprietà sulla terra, la cui stessa idea era totalmente estranea ai kazaki.

Rimaneva poi valida l’intuitiva constatazione che i terreni fossero molto più adatti ai pascoli che ad uno sfruttamento agricolo, così come il bestiame rappresentava un bene comparativamente molto più utile per l’economia imperiale, oltre che complementare al grano prodotto nella madrepatria e perciò facilmente scambiabile. Infine, l’esperienza

276 M.B. Olcott, op.cit, p. 77 277 Marco Buttino, La Rivoluzione capovolta. L’Asia Centrale tra il crollo dell’impero zarista e la formazione dell’URSS, L’Ancora del Meditteraneo Ed, Napoli 2003, p. 56 278 E.E. Bacon, op.cit, p. 95

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più recente dimostrava come buona parte dei rivoltosi negli anni Trenta e Quaranta fossero stati nomadi costretti a praticare l’agricoltura pur di sopravvivere.

Ma seppure i dubbi della Commissione riflettessero un’esitazione diffusa tra i tecnici russi e mai tramontata dall’epoca delle riforme Speransky, si decise di proseguire sulla strada della sedentarizzazione indotta. Certamente non agirono in questo senso semplici fattori economici, in quanto piuttosto prevalse l’antica e mai confermata convinzione che l’agricoltura e la sedentarizzazione fossero comunque il presupposto per una maggiore possibilità di controllo di una popolazione nomade279.

Le conclusioni della Commissione vennero accolte da un apposito comitato, detto

“Comitato Speciale”, composto dal ministro degli Interni e degli Esteri e presieduto da quello della Guerra. Un lungo e acceso dibattito portò a molteplici trasformazioni degli statuti provvisori del 1867 (Türkestan) e del 1868 (steppe), che pure continuarono a regolamentare l’amministrazione locale per alcuni decenni. Solo nel 1886 venne dato un assetto definitivo alla guberniaa del Turkestan (Türkestan Kray) e nel 1891 a quella “delle Steppe” (Steppnoy Kray), che alterarono in buona parte il carattere “pacato” e pragmatico dei lavori della Commissione, oltre che portare a diverse riorganizzazioni delle strutture amministrative vigenti280. Nel frattempo, l’amministrazione provvisoria di questi territori si era rivelata difficoltosa, specialmente sia nell’attrarre validi funzionari imperiali e la corruzione, specie a medio e basso livello, era divenuta estremamente diffusa contribuendo ai riassestamenti di giurisdizioni e competenze tra l’una e l’altra provincia. Complementarmente, le spese supereranno entrate e risorse messe a disposizione da S.Pietroburgo, rendendo impossibile garantire tutti i sussidi e gli incentivi all’agricoltura in precedenza promessi ai kazaki281.

Tuttavia nell’intero periodo, sia a legislazione provvisoria che in seguito, venne mantenuto il carattere militare della nuova amministrazione (anziché civile come nel resto del paese) e vennero conferiti poteri eccezionali ai governatori in virtù della lontananza delle nuove province. Questi due elementi vennero completati dal mantenimento di un terzo elemento suggerito dalla Commissione, cioè la non-ingerenza in tutte le questioni locali che non avessero carattere politico. Questo implicò il mantenimento di un doppio sistema giudiziario russo-kazako e di meccanismi di elezione di rappresentanti per l’apparato burocratico locale282. Tuttavia, vennero apportate alcune significative modifiche: la riorganizzazione territoriale alla base del nuovo assetto amministrativo, giudiziario e fiscale, le politiche sulla terra e quelle verso i musulmani.

I territori kazaki vennero complessivamente suddivisi in sei regioni (oblast). Due di questi, Semirechia e Syr Darya, entrarono a far parte della provincia delle valli, separandosi così dal resto del territorio popolato da kazaki. Ogni oblast era suddiviso in province (uezd), con a capo dei funzionari russi (nachal’nik). Questi, nominati dal governatore generale dell’oblast, erano solitamente dei militari e divennero gli autentici mediatori con le popolazioni locali. Le uezd vennero nuovamente divise in distretti (volost’), sotto controllo di ufficiali kazaki (upravitel), eletti ogni tre anni da un’assemblea di aqsaqal e confermati dal nachal’nik. Anche gli aul, composti ciascuno da 100-200 famiglie (kibitka), sopravviveranno come l’unità amministrativa più semplice nel nuovo assetto. L’amministrazione a livello locale garantiva una cospicua rappresentanza indigena e in apparenza non era molto dissimile da quella tradizionale: ogni aul era sempre guidato da un aqsaqal, il cui diretto interlocutore erano ora gli amministratori russi degli uezd, anziché i bii.

279 M.B. Olcott, op.cit, pp. 83-86 280 H. Carrère d’Encausse, op.cit, p. 152 281 M.B. Olcott, op.cit, p. 86 282 H. Carrère d’Encausse, ibidem

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Ma i nomadi non vennero suddivisi tra aul in base alla loro appartenenza tribale o ad eventuali alleanze, ma rispetto ai luoghi in cui avevano degli insediamenti stabili. Questo alterò la natura stessa del potere degli aqsaqal e specialmente degli upravitel. Questi ultimi divenivano i rappresentanti di una comunità stanziata in un determinato territorio e non più di un clan, come i bii del passato. Di contro, tale carica era particolarmente ambita, dato che consentiva di agire da interlocutori dei russi e conferiva parecchio potere. La competizione che si scatenava al momento dell’elezione tra le varie tribù concorrenti rese quindi il sistema particolarmente vulnerabile alla corruzione attraverso versamento di denaro, brogli elettorali o semplici violenze283. Nelle aree più “arretrate”, quelle in cui il nomadismo manteneva una sua ragione d’essere e il ricordo della tradizione non era ancora completamente sfocato, l’autorità dei capi locali, aqsaqal e upravitel, venne ulterioremente umiliata dal fatto di non poter assegnare autonomamente la terra rispettivamente alle kibitka ed agli aul. Di contro, qualsiasi avanzamento di posizione per sé ed il proprio clan non era più determinato da qualche merito politico o militare, ma esclusivamente dalla connivenza con i russi. Così la pur debole meritocrazia vigente nella società tradizionale, la stessa che aveva permesso l’ascesa di alcuni khan e ribelli “storici”, venne ora ulteriormente “sterilizzata” dall’inaudito meccanismo della “nomina” da parte russa, che condizionava dal principio la già alterata farsa elettorale. Nel mentre era preclusa a priori la possibilità di accesso alle cariche medio-alte, assegnate dal potere centrale esclusivamente a funzionari e militari russi284. A sigillo di questo impianto amministrativo, denso di implicazioni politiche, rimaneva il fatto ineluttabile che i funzionari kazaki, per quanto “fedeli” e vicini ai russi che fossero, mancavano di qualsiasi competenza o visione d’insieme del nuovo sistema amministrativo per poter assumere incarichi medio-alti.

Queste trasformazioni si fondavano logicamente su una nuova concezione giuridica della terra, che venne dichiarata di proprietà statale. Nella tradizione l’idea di proprietà della terra non era poi così estranea: ogni tribù occupava un determinato territorio, entro cui ciascun aul aveva il diritto di migrare. E quando sia guerre, che carestie non obbligavano ad alterare i processi migratori, gli aul occupavano le stesse aree come accampamenti invernali e seguivano gli stessi percorsi. Quindi per quanto esistesse un semplice diritto di usufrutto, e non di proprietà, l’idea di un legame stabile con un determinato appezzamento di terra non era del tutto assente. In seguito, nella fase di transizione in cui all’influenza russa si sommò quella di uzbeki e tagiki spossessati, i kazaki cominciarono spontaneamente a riconoscere la proprietà privata della terra. Inizialmente essa era legata alla costruzione di campi invernali permanenti: su di essi e sui territori circostanti una famiglia poteva vantare dei diritti di proprietà, trasferirli in eredità o venderli. Successivamente questo trattamento venne esteso ai campi coltivati285.

Ma poco più in là, al termine di questo processo, l’ultimo intervento legislativo russo alterò definitivamente questo quadro pre-giuridico (cioè basato su vaghe convenzioni non codificate). La proprietà statale delle terre ne rendeva l’utilizzo una magnanima concessione del potere centrale russo che, sottoponendo questi territori allo stesso trattamento giuridico del resto dei territori imperiali, presumeva di potervi anche esercitare lo stesso tipo di controllo. Così gli aul vennero organizzati su base territoriale e censiti, divenendo unità migratorie indivisibili e limitate negli spostamenti. Gli oblast divennero il territorio più ampio entro cui migrare, mentre era necessaria un’autorizzazione per varcare persino i confini del volost. Ovviamente i kazaki trasgredirono regolarmente queste prescrizioni, almeno fino al momento in cui i russi

283 M. Buttino, op.cit, pp. 61-62 284 M.B. Olcott, op.cit, p. 104 285 E.E. Bacon, op.cit, p. 99

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non poterono implementarle efficacemente con l’arrivo massiccio di coloni nella seconda metà del secolo286.

Per qualche tempo ancora rimarrà infatti una certa separazione tra le popolazioni non russe e quelle russe o slave in genere, sia sul piano giuridico (e legislativo), per cui i centrasiatici vengono ancora considerati stranieri (inorodtsy), che su quello sociale (ed amministrativo) della quotidianità dei rapporti, per cui non si assiste ad un’eccessiva frammistione delle due popolazioni287. Questo stato di cose rispondeva a considerazioni pragmatiche e circoscritte. Una conseguenza essenziale della condizione giuridica differenziata dei centrasiatici fu l’esonero dalle pesanti condizioni del servizio militare vigenti nell’Impero. Ovviamente questo non era dettato da preoccupazioni filantropiche, quanto piuttosto dallo specifico intento di impedire che vi fosse qualcuno tra essi in grado di utilizzare armi moderne. La stessa capacità dei limitati manipoli russi di mantenere l’ordine contro le ricorrenti rivolte era appunto una spiccata superiorità tecnologica che compensasse lo svantaggio demografico288.

Questa distinzione tra sudditi si rispecchia anche sull’amministrazione della giustizia, che come s’è detto, si basa fin dagli anni Venti su giurisdizioni separate, penale o civile, imperiale o tradizionale, sulla base della nazionalità, russa o kazaka. Per il vero, questo criterio imponeva che in qualsiasi controversia che coinvolgeva un cittadino russo, slavo od europeo, questi venisse giudicato da una corte russa secondo le leggi dell’Impero. Esclusivamente nel caso di controversie civili tra i kazaki i normali meccanismi giuridici potevano avere effetto.

Va poi notato come dalle riforme Speranskyi in poi, sulla base della profonda suggestione esercitata dai costumi kazaki sugli amministratori russi ai tempi del grande riformatore, sia stato la stessa cornice amministrativa russa a permettere il mantenimento artificioso di parte di queste tradizioni. In realtà, questo stesso processo si fonda sulla prima codificazione orale (detta Jhety Jharga) fattane dal khan Tauke tra XVII e XVIII sec. nell’estremo tentativo di salvaguardarli. Fu così già da quest’epoca, cioè in pieno sconvolgimento delle steppe, che il processo di amministrazione della giustizia conobbe la maggiore alterazione per il fatto stesso che la sua codificazione ne irrigidiva pratiche e procedure, altrimenti flessibili e mai identiche289.

Da questi cambiamenti emerse una nuova figura di bii, non più l’anziano capo di un lignaggio eletto a mediare le controversie tra più aul, ma un vero e proprio giudice che nel nuovo quadro amministrativo russo divenne in tutto e per tutto un funzionario pubblico. Ma al pari dei khan, anche la figura dei bii era stata ampiamente sopravvalutata. La stessa nomina dall’alto dei giudici, per giunta in maniera permanente, introduceva un criterio di selezione sconosciuto alla tradizione e che li rendeva particolarmente vulnerabili alla corruzione e imparziali. Fino ad allora, il loro giudizio era rispettato per l’autorevolezza di chi lo pronunciava, appositamente consultato dalle parti; da questo momento invece sempre più spesso le sentenze non venivano accettate, le controversie gestite con la violenza e conseguentemente giudicate da tribunali penali russi composti da giudici russi che applicavano la legge russa290. Vi fu così un imprevisto ulteriore indebolimento del valore reale della giurisdizione kazaka.

Infine, il rafforzamento dell’apparato burocratico permise persino di esercitare, pur tra mille difficoltà e problemi pratici, uno dei tratti essenziali della sovranità, cioè il prelievo fiscale, impossibile fino a quel momento ed ora facilitato dalla sedentarizzazione indotta e dalle limitazioni dei movimenti. L’ammontare, un tanto

286 M.B. Olcott, op.cit, pp.76-79 287 H. Carrère d’Encausse, op.cit, p. 159 288 Ivi, p. 162 289 M.B. Olcott, op.cit, pp. 14-16 290 E.E. Bacon, op.cit, p. 98

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fisso per yurta che aumentò puntualmente ogni anno, doveva coprire interamente tutti i costi di mantenimento dell’apparato burocratico291. Questa incomprensibile forma di prelievo forzava, al pari dei commerci al nord, all’utilizzo della moneta come strumento di scambio e intaccava l’autosufficienza dei nuclei famigliari, sempre più dipendenti da mercati esterni per la vendita di beni o servizi attraverso cui corrispondere al prelievo monetario. Per giunta, l’utilizzo della yurta anziché del bestiame come criterio di tassazione fu particolarmente iniquo, poiché se un nucleo famigliare occupava sempre una sola yurta indipendentemente dal numero dei suoi componenti, questo criterio non era indicativo del suo effettivo benessere292.

La colonizzazione del Kazakistan Nella metà del XIX sec. la Russia si trovava esattamente al bivio tra modernizzazione

e arretratezza. Nonostante i forti legami diplomatici, economici e ormai culturali con il resto d’Europa, un cospicuo numero di “rigidità sistemiche” impedivano la definitiva trasformazione della società tradizionale.

Se fino a quel momento, la semplice dimensione, demografica o territoriale, e la capacità di organizzazione militare erano stati sinonimo di “potenza” ed “espansione”, la crescente industrializzazione ridefiniva le regole del gioco politico e militare internazionale, consentendo la “moltiplicazione” delle risorse disponibili, se adeguatamente messe a frutto. Fattori fisici complicavano ulteriormente la transizione: un clima rigido che riduceva drasticamente qualsiasi attività umana per molti mesi all’anno; un terreno di difficile lavorazione che limitava la produzione agricola complessiva; risorse del sottosuolo difficilmente estraibili per le tecnologie esistenti all’epoca; grandi distanze che ostacolavano le comunicazioni ed i trasporti, limitando i mercati all’ambito dei villaggi e delle comunità agricole; dispersione delle risorse fruibili che incrementava i costi della loro accumulazione per lo sfruttamento industriale. Inoltre, se fino a quel momento la crisi ottomana e la frammentazione tedesca avevano facilitato il ruolo da “gigante” continentale per la Russia, la conclusione del processo espansivo in Asia Centrale rivela le difficoltà già emerse ai tempi della Guerra di Crimea, durante la quale le forze anglo-russe ebbero la meglio sull’esercito “pre-industriale” russo grazie ad eserciti più esigui nel numero, ma meglio equipaggiati ed addestrati, e a flotte meglio armate e all’avanguardia per le comunicazioni e gli approvvigionamenti293.

Il futuro militare del paese era allora strettamente connesso con il suo sviluppo socio-economico. Ma la Russia era un caso pressochè unico in Europa per l’esistenza di una grande maggioranza della popolazione contadina ancora in condizione servile. Questo stato di cose era l’esito di un processo secolare che aveva specularmente altrettanto definito e irrigidito la posizione dei nobili. Inoltre, la popolazione aumentava con una velocità di circa il 3% all’anno che manteneva la Russia il paese più popoloso d’Europa. Infine, tecnologie e forme di organizzazione del lavoro antiquate, come la semplice rotazione tri-fasica delle terre padronali e la suddivisione delle terre comuni per il sostentamento dei lavoratori incrementarono drasticamente le condizioni di povertà della servitù della gleba294.

Le sollevazioni aumentavano conseguentemente in maniera sensibile, così come l’improduttività e i debiti dell’aristocrazia. L’economia era in stallo e la nobiltà ne era il freno principale: essa si limitava a fornire il proprio servizio rituale presso l’amministrazione imperiale, mentre lo sfruttamento dei servi non poteva tradursi in

291 M.B. Olcott, op.cit, p. 79 292 E.E. Bacon, ibidem 293 Tom Kemp, L’industrializzazione in Europa nell’800, il Mulino Bologna 1988, pp. 159-165 294 G.J. Demko, op.cit, pp. 52-55

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aumento di produzione e la mancanza di iniziativa privata spontanea impediva il miglioramento delle tecniche produttive a danno di terreni sempre più depauperati.

Questo stato di cose aveva drammaticamente rallentato il promettente processo di industrializzazione russo e rendeva necessaria una drastica svolta. Lo zar Alessandro II (1855-81), pur fedele custode dell’ancien regime, non potè che varare pesanti riforme. Nel 1861 venne proclamata l’emancipazione della servitù: a partire da questo momento nessun contadino sarebbe più formalmente appartenuto ad un nobile. Se l’assegnazione di terra ai contadini e il rimborso parziale dei nobili bastarono a garantire parte della produttività e sedare eventuali nuovi malumori, essi non furono sufficienti ad ammodernare l’economia nazionale. I contadini dovettero infatti pagare ingenti somme per riscattare la terra, mentre venne limitata la loro libertà di movimento attraverso la creazione di comuni di contadini. Questa forma organizzativa era particolarmente funzionale dal punto di vista amministrativo, cioè dell’organizzazione della giustizia e per il prelievo fiscale, e rispettava l’organizzazione comunitaria tradizionale. Ma allo stesso tempo rimaneva assolutamente irrazionale dal punto di vista economico: i contadini non erano mai in grado di riscattare completamente la terra e per giunta, se maschi, erano obbligati ad un servizio militare di ben 25 anni. Infine la maggior parte dei beni agricoli erano destinati all’esportazione, cosicchè le carestie continuavano a flagellare periodicamente la popolazione più povera295.

La migrazione verso aree periferiche dell’Impero divenne perciò una soluzione intuitiva e naturale, che riduceva le possibilità di controllo da parte del potere centrale e incrementava le speranze di migliorare le proprie condizioni di sopravvivenza. Il Kazakistan in particolare, la frontiera per eccellenza in quegli anni, metteva a disposizione ampie distese di terra scarsamente popolate e assolutamente inutilizzate fino a quel momento per scopi agricoli296. Queste, talvolta note anche come “terre vergini”, si concentravano nella zona semidesertica del Dashti-Kipchak orientale, specie attorno all’Altopiano Kazako e lungo l’Irtysh297, mentre le aree paludose e i terreni salini attorno al Caspio, specialmente la penisola del Mangyshlak, erano sostanzialmente inadattabili298. Nel complesso, esse erano anche meno fruibili delle grandi valli meridionali, dove ad una lunga tradizione di tecniche di irrigazione elaborate si sommava un territorio comunque più favorevole. Tuttavia, anche in Kazakistan la disponibilità di fiumi di piccola e media grandezza, se opportunamente utilizzati, avrebbe consentito di sfruttare adeguatamente il chestnuts, discretamente fertile e adatto, congiuntamente al clima secco, a coltivazioni preziose come quella del grano e di altri cereali.

Inoltre, al contrario delle valli, in Kazakistan le forze cosacche esercitavano da un tempo maggiore effettive funzioni di controllo, pur ancora parziali, e le nuove strutture amministrative, anche se scarsamente radicate, fornivano in ogni caso una cornice di sicurezza e “civiltà” ritenuta sufficiente per tale avventura. E proprio la vicenda degli eserciti cosacchi può essere a ragione considerata il precedente dell’attuale emigrazione colonizzatrice della gleba russa di fine XIX sec. Anch’essi essenzialmente contadini in fuga dallo sfruttamento nobiliare, i cosacchi se ne distinguono tuttavia per la conclusione della loro vicenda: inglobati dall’apparato militare russo, essi continuarono fino almeno alla fine del secolo in corso a prestare servizio in cambio di una serie di privilegi, come il diritto di insediarsi attorno ai forti e di coltivarne i terreni. Tuttavia, nonostante questi avessero fondato città, fossero organizzati come le comuni agricole europee e avessero ormai preso possesso di quasi un settimo dell’intero territorio kazako, erano essenzialmente un corpo militare e semi-nomade, incapace di un’effettiva

295 A.Brown et al, op.cit, pp. 99-100 296 G.J. Demko, op.cit, p. 31 297 L. Krader, op.cit, pp.10-12 298 M.B. Olcott, op.cit, p. 85

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conversione a costumi sedentari. Anche occupando le aree migliori, cioè quelle collocate attorno ai fiumi e destinazione tradizionale delle migrazioni nomadiche (principalmente Urali, Siberia e Semirechia), essi si preoccuparono maggiormente di difenderle dalle rivendicazioni dei nativi, anziché metterle stabilmente a frutto. Questo portò a crescenti rappresaglie, come lo sterminio di kazaki nella Semirechia negli anni Sessanta, mentre la costituzione di veri e propri latifondi nelle loro mani non ne determinò automaticamente un utilizzo razionale. Più in particolare, l’ancora scarsa presenza slava e le tecniche di coltivazione estremamente povere, cioè basate sulla semplice semina e raccolta senza infrastrutture per l’irrigazione, consentivano solamente uno sfruttamento estensivo ed inefficace299. Seppur non gli unici proto-colonizzatori delle steppe, dato che sia uighuri e dungani dalla Cina che uzbeki stabilirono colonie agricole rispettivamente lungo i fiumi Chu e Ili e lungo i bordi meridionali delle steppe negli anni Settanta e Ottanta300, furono principalmente i cosacchi ad insegnare ai nativi queste rudimentali forme di agricoltura. Queste, pur finalizzate al nutrimento delle bestie e non al sostentamento della popolazione, cominciarono ad essere applicate su aree sempre più estese, alterando così i costumi locali. E queste dinamiche vennero ulteriormente accentuate dalla crescente pratica di affittare la terra ai nativi, priva di giustificazione sia logica che pratica fino a quel momento, o di affidare in concessione ai coloni le terre su cui nel frattempo i cosacchi si erano guadagnati dei diritti di proprietà.

In conclusione, se l’arrivo dei coloni sarà principalmente determinato dalle nuove politiche del potere centrale verso i contadini, è anche vero che i cosacchi “prepararono il terreno” per l’insediamento successivo di coloni “civili”. Da un lato, essi supplirono alla fino ad allora carente funzione di mediazione con le popolazioni locali e le “pacificarono”; dall’altra diedero inizio alla loro trasformazione ed a quella dei terreni. Infine, l’arrivo massiccio dei coloni negli anni Novanta coincise fortuitamente con un calo “fisiologico” del numero dei cosacchi, che ne facilitò l’insediamento. Innanzitutto, lo stanziamento militare era già terminato da circa un decennio. Inoltre, una percentuale significativa era stata decimata dai lunghi periodi di servizio militare e dalle pessime condizioni di vita. Infine, i rimanenti si erano congedati dall’esercito per tentare in tutto e per tutto l’avventura agricola e sedentaria301.

I cosacchi avrebbero così rappresentato una classe di possidenti terrieri decisamente

sui generis, oltre che in inesorabile declino, che avrebbe certamente preferito affittare le proprie terre a degli slavi, anziché ai nativi. Allo stesso modo, il loro controllo militare e amministrativo sulle periferie era ancora sufficientemente debole per controllare in maniera capillare gli spostamenti della popolazione. E specialmente di quella popolazione che trasgrediva alle laboriose procedure imposte dal 1824 dal potere centrale per il reinsediamento: permessi di fuoriuscita dalla comune d’appartenenza, certificati di accettazione dalla comune d’arrivo, estinzione di tutti i debiti prima di partire, particolarmente quelli più esosi legati all’emancipazione.

Il fenomeno dell’emigrazione fu quindi all’inizio in gran parte illegale: le popolazioni rurali russe, ormai indotte alla fuga dalla disperazione, accettavano il rischio di un così ampio spostamento per raggiungere queste valli, le cui leggende si inseguivano con sempre maggiore intensità. La clandestinità di queste dinamiche limitò necessariamente i volumi di spostamenti almeno fino al 1881, quando lo Stato prese a promuovere sistematicamente l’emigrazione. Venne eliminato il certificato di accettazione e mantenuto solo il permesso di fuoriuscita, create delle stazioni di sosta lungo i maggiori percorsi migratori per assistere i migranti regolari e stabiliti dei comitati governativi per 299 G.J. Demko, op.cit, pp. 40-49 300 E.E. Bacon, op.cit, p. 94 301 G.J. Demko, ibidem

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migliorare la legislazione sull’emigrazione. Tuttavia, le nuove norme non vennero mai pubblicizzate, così che in pochi ne vennero a conoscenza continuando a emigrare illegalmente302.

A cavallo del decennio successivo viene a delinearsi una svolta significativa: il governo non assisterà più semplicemente ad un movimento spontaneo di persone, cercando di incanalarlo o regolamentarlo, ma lo sosterrà attivamente. Nel luglio 1889 verrà sancito il diritto per ciascun nucleo famigliare contadino di richiedere il trasferimento, all’unica condizione della disponibilità di terra nel luogo di destinazione303. L’estensione dei territori assegnati variava dalle 15 alle 30 dessyatine (40-80 acri circa) a seconda della zona, una misura cospicua che avrebbe inizialmente ridotto la necessità per gli emigranti di pagare un fitto ai cosacchi o ai kazaki. All’assegnazione della terra si accompagnarono incentivi fiscali ed economici, come l’esenzione dalle tasse per i primi tre anni e l’obbligo di pagare solamente la metà dell’importo dovuto per i successivi tre anni o prestiti senza interessi. Inizialmente queste provvisioni riguardavano gli oblast di Akmolinsk, Semirechia e Semipalatinsk, ma tra il 1891 e il 1892 vennero estesi a quelli di Uralsk e Turgai. In tutti vennero tutelate le posizioni giuridiche e le proprietà di coloro che si erano insediati in precedenza, cosacchi o emigrati illegali, ad esclusivo discapito dei kazaki che vedevano ridursi l’ammontare di terra non occupata legalmente304. In altre parole, la proprietà statale della terra non negava la possibilità del riconoscimento della proprietà dei privati. Tuttavia, fu apertamente discriminatorio il processo che seguì: alla popolazione russa verrà riconosciuta la proprietà su quegli stessi terreni che fino a poco tempo prima prendevano in affitto dai kazaki, mentre solo ai più benestanti tra questi verrà riconosciuto un analogo diritto305. Per il resto della popolazione kazaka, quella non avvicinatasi ai costumi russi e la più numerosa, la sola possibilità concessa di accapparrarsi della terra divenne così il suo utilizzo stabile e l’edificazione di strutture permanenti, come case, stalle o magazzini.

E proprio in quegli anni arrivò probabilmente l’aiuto più formidabile all’insediamento slavo, cioè lo stesso Statuto delle Steppe del 1891, che incidentalmente coincise con la drammatica carestia del 1891-1892 in Europa. Esso ribadiva la proprietà statale della terra e i meccanismi di acquisizione per i nativi stabiliti dallo Statuto del 1868, ma aggiungeva una piccola, significativa modifica, cioè il limite massimo di 15 dessyatine (circa 40 acri) da accordare ad ogni nucleo famigliare. Inoltre, l’articolo 120 del provvedimento imponeva che tutta la terra “in eccesso” in mano kazaka venisse consegnata all’amministrazione locale divenendo proprietà statale. Molteplici dubbi scaturirono sulla legalità del concetto di “terra in eccesso”, così come dal punto di vista pratico quelli relativi al relativo criterio di individuazione. Inoltre, quale che fosse il criterio utilizzato, le autorità locali potevano requisire legalmente con la forza la terra306.

Ridefinito il quadro legale dei diritti sulla terra, si trattò semplicemente di attendere il dispiegarsi degli effetti dell’accresciuta immigrazione: se nei novant’anni precedenti la nuova legislazione si stima un afflusso per lo più illegale di circa 700.000 contadini slavi, nei 25 anni successivi calcoli ben più documentati stimano un afflusso di circa 4 milioni di individui. L’epoca dei pionieri agricoli era terminata e i benefici di esser parte di un grande Impero cominciarono a farsi sentire307. E infatti uno strumento essenziale per l’incremento migratorio fu la costruzione della Transiberiana, l’arteria ferroviaria che avrebbe collegato S.Pietroburgo e la Russia europea alla più remota periferia

302 Ivi, p. 58 303 M.B. Olcott, op.cit, p. 87 304 G.J. Demko, op.cit, pp. 58-59 305 E.E. Bacon, op.cit, p. 100 306 M.B. Olcott, op.cit, pp. 86-88 307 G.J. Demko, op.cit, p. 74

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siberiana, dal cui snodo di Omsk si cominciò a costruire nel 1892 una deviazione in direzione Orenburg308.

Completata a tempo di record nel 1896, essa avrebbe sensibilmente ridotto rischi e tempi dell’attraversata degli Urali. Inoltre, l’organismo governativo incaricato della sua costruzione, il Comitato per le Ferrovie Siberiane, ricevette anche l’incarico della sua amministrazione ed attuò delle politiche che influirono pesantemente sulla migrazione. In particolare, ingegneri e lavoratori specializzati vennero inviati a partire dal 1893 in Siberia e nel Kazakistan del nord per costruire dighe, pozzi, strade ed altre infrastrutture lungo i due lati della linea ferroviaria. Lo scopo era costruire dei siti particolarmente confortevoli per gli emigranti che avrebbero difeso con la loro stessa presenza fisica la linea ferroviaria309. Infine, venne costituita all’interno del Ministero per gli Interni un’amministrazione separata per le questioni dell’emigrazione nel 1896 con il compito di pubblicizzare le “nuove terre”, come mai realmente fatto fino ad allora. Questi provvedimenti prepararono alla formalizzazione nel 1904 della libertà di movimento dei sudditi attraverso l’Impero310. Infine, vennero create 12 regioni di insediamento nella Russia asiatica, di cui 5 in Kazakistan. Di lì a poco, constatata la progressiva conversione dei kazaki alla sedentarietà, venne notevolmente incrementata la percentuale di “terra in eccesso”: poche centinaia di dessyatine vennero lasciate ai nativi, mentre ben 12 milioni vennero dichiarate a disposizione dei coloni311.

Così l’immigrazione slava trasformerà progressivamente un’area etnicamente omogenea e autosufficiente in una periferia imperiale ormai sconvolta dalla ridefinizione degli equilibri demografici312. Questo fenomeno sarà solo parzialmente corretto dal ritorno di circa uno dei quattro milioni di emigranti giunti in Kazakistan e che, incapaci di adattarsi alle nuove condizioni di vita, mossero nuovamente verso l’Europa313. L’impatto dei tre milioni di slavi stanziatisi in pochi decenni, specialmente nel nord, delineò ugualmente uno degli elementi maggiormente caratterizzanti lo scenario politico del Kazakistan moderno e contemporaneo.

Conseguenze socio-economiche La perdita di controllo sulle “proprie” terre era iniziata con l’Aqtaban Shubirindi del

XVIII sec. A partire da questo momento le terre a disposizione per i pascoli non raggiungeranno mai più le estensioni precendenti, né saranno più sufficienti per la popolazione kakaza. La povertà e l’insicurezza determinate dalle lotte tra nomadi portarono ad una prima sedentarizzazione spontanea della popolazione come espediente provvisorio per la sopravvivenza, secondo le consolidate modalità previste dalla tradizione. Ma di lì a poco l’avanzata russa lungo i margini settentrionali del paese limitò la possibilità di sconfinamenti alla ricerca di pascoli migliori nei momenti di difficoltà per l’ormai già debole e diviso popolo kazako. Man mano che l’amministrazione russa si andò radicando sul territorio steppico, il confronto e lo scontro trovarono in essa il nuovo interlocutore.

Per motivi politici l’agricoltura venne promossa tra i nomadi; specialmente quelli più vicini alla linea dei forti settentrionale cedettero spontaneamente alle lusinghe dell’agricoltura. Dopo il 1822, quando furono ormai palesi i primi segni delle trasformazioni economiche indotte dalla presenza russa, la semina di piante divenne una necessità per supplire al crescente numero di bovini richiesti per le esportazioni.

308 M.B. Olcott, op.cit, p. 92 309 G.J. Demko, op.cit, pp. 59-60 310 M.B. Olcott, op.cit, p. 88 311 G.J. Demko, op.cit, pp. 60-61 312 M.B. Olcott, op.cit, p. 96 313 G.J. Demko, op.cit, pp. 81-86

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Tuttavia, il nomadismo dimostrò ancora una volta una considerevole flessibilità e capacità di adattamento a delle nuove condizioni: la sedentarizzazione fu parziale e molte delle tecniche produttive tradizionali poterono essere mantenute tra la Piccola e Media Orda. Dopo il 1865, a conquista completata, l’adattamento socio-economico alle nuove condizioni accellerò drasticamente, fino a che a partire dall’ultimo decennio del secolo larga parte della popolazione kazaka praticava ormai l’agricoltura.

Quest’ultima fase coincide beffardamente con l’ingresso di un massiccio numero di coloni slavi, destinato ad assestare il colpo definitivo al nomadismo accellerando le dinamiche già innescate. Le trasformazioni sociali di un territorio, che pur conquistato da tempo era rimasto sostanzialmente “kazako” dal punto di vista demografico, sono un “anello di congiunzione” essenziale tra questi avvenimenti e le rivolte dei primi decenni del XX sec314.

Inizialmente il paese non venne interessato nella stessa maniera da questi fenomeni.

Vi furono significative differenze tra l’una e l’altra parte, determinate principalmente dalla presenza o assenza di infrastrutture: se le steppe occidentali, cioè gli oblast di Uralsk e Turgai, potevano già contare su sistematici scambi con i mercati della Russia attraverso la Transiberiana, le cose furono diverse per il resto del paese. La Siberia occidentale, Akmolinsk e Semipalatinsk, erano raggiungibili essenzialmente via fiume, cioè risalendo l’Irtysh e i suoi defluenti. Al contrario gli oblast kazaki del Türkestan, cioè Syr Darya e Semirechia, erano scarsamente accessibili e i più lontani dal controllo e l’influenza russi.

Nel primo, la linea ferroviaria facilitò la “russificazione economica” e alla fine del periodo coloniale russo poteva già vantare una significativa esportazione di grano, oltre che ospitare la popolazione kazaka di maggior successo nell’allevamento dei bovini (cresciuta di ben quattro volte tra il 1906 e il 1914). Al contrario delle aspettative, si preferì procrastinare la creazione di infrastrutture verso il Dashti-Kipchak orientale, comunque raggiungibile nonostante le difficoltà e relativamente prossimo alla linea dei forti, in favore di una maggiore penetrazione nelle steppe315. La costruzione della tratta ferroviaria Orenburg-Tashkent, aperta nel 1906, servì a privare i kazaki dell’area semidesertica del monopolio della mediazione verso le aree meridionali316, ma rispose soprattutto a precise motivazioni strategiche. In particolare, essa consentì di assicurarsi definitivamente il controllo sulle valli in un momento delicato per le architetture diplomatiche internazionali come i primi decenni del XX sec. E nonostante il relativo ritardo gli effetti furono qui immediati e massicci, tanto che si calcola che all’alba della Rivoluzione ben l’80% della popolazione praticasse l’agricoltura, seppure come integrazione ai consueti metodi di sopravvivenza.

Diversa la situazione all’est: fino all’apertura di una deviazione ferroviaria tra il 1926-1927, il processo di apprendimento delle tecniche agricole o l’introduzione di utensili più efficaci fu molto limitata. Pochi potevano vantare grosse greggi o una conversione integrale all’agricoltura. A occidente, dove le conseguenze erano più palesi, queste rimasero comunque proporzionali alla vicinanza ai russi fino alla costruzione del segmento ferroviario del Türkestan. Per tutto questo periodo si venne perciò a formare una striscia verticale attraverso l’intero paese, sostanzialmente desertica, equidistante da qualsiasi centro agricolo, russo o centrasiatico che fosse, e dove la qualità dei terreni, chestnuts non compensato da sufficienti approvvigionamenti idrici, era relativamente meno adatta all’agricoltura. Da qui migrarono la maggior parte degli aul kazaki alla ricerca di nuovi pascoli verso nord e sud. Lontani da qualsiasi esperienza tradizionale o di recente apprendimento per tramite russo delle tecniche di coltivazione, essi dovettero 314 M.B. Olcott, op.cit, p. 83 315 Ivi, pp. 89-99 316 E.E. Bacon, op.cit, p. 95

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in gran misura convertirsi all’agricoltura come braccianti, una volta che non poterono trovare collocazione né a sud, dove buona parte dei terreni utilizzabili erano già stati convertiti grazie all’influenza di Kokand, né a nord, dove la massiccia presenza russa aveva già condotto alla limitazione delle migrazioni. Normalmente questi non andarono incontro ad alcun successo né come allevatori, né come agricoltori e ingrossarono le fila degli autoctoni caduti in disgrazia e divenuti semplici lavoratori salariati. In altre parole, se al nord la vicinanza russa aveva persino consentito ad una limitata schiera di “fortunati” di assumere gli stili di vita europei grazie agli inusitati guadagni che il commercio di bovini recava, questa fu abbondantemente compensata da una cospicua mole di ex nomadi, ormai destinati a formare una sorta di proto-proletariato ben distante dalle limitate e alterabili differenze di censo e status sociale che vigevano nella società tradizionale.

La situazione più a sud fu invece meno drammatica, almeno fino alla costruzione della Orenburg-Tashkent: il numero degli allevatori di successo era molto limitato, così come dei lavoratori salariati ridotti in quasi totale indigenza. La conversione all’agricoltura fu piuttosto indotta dagli sfollati uzbeki o tagiki, dungani o uighuri, le cui tecniche risultavano essere comunque molto meno invasive da un punto di vista sociale o ambientale. Il ritardo del processo non impedì comunque la produzione di effetti significativi.

Già nell’anno della conquista si svilupparono progetti per l’irrigazione del Dashti-Kipchak, che da un punto di vista simbolico fu il terreno di incontro tra il tradizionale passato agricolo, basato su tecniche rudimentali e artigianali, e il futuro agricolo russo, basato su pianificazione degli interventi e della produzione, la creazione di ampie infrastrutture idriche (nuovi pozzi, dighe, diversioni di fiumi, etc.), l’introduzione di nuove tecniche di coltivazione317. Solo una forte centralizzazione politica poteva d’altronde farsi carico della coordinazione di una tale impresa, mentre solamente un entità politica sufficientemente ricca, cioè capace di drenare e accumulare ampie risorse, poteva concretamente realizzarla.

Infine, nuove attività economiche vennero introdotte o incentivate, così come apparvero nuovi mestieri. Gli investimenti britannici nelle nuove promettenti terre dell’Impero russo consentirono di scoprire nuove miniere di rame e carbone nel nord e in Siberia, in cui si calcola lavorassero nel 1916 ben 18.000 kazaki, seppure come semplici lavoratori stagionali spesso per accumulare il denaro necessario al matrimonio318. Analogamente, solo le risorse e le esigenze occidentali potevano portare all’individuazione di miniere di sale e incentivare la pesca, prevalentemente estranea alla vita economica tradizionale319. Ma se fino a quel momento la pesca aveva rappresentato una risposta alle mutate condizioni economiche analoga ai primi tentativi spontanei di coltivazione, da questo momento i russi spingeranno intere comunità a fare della pesca la propria esclusiva occupazione320. Verranno in questo modo a mancare i presupposti della capacità di adattamento insita nelle pratiche economiche tradizionali e si applicherà un modello capace di produrre rigidità simili alla monocoltura. Ancora, quando i lavoratori specializzati inviati tra le steppe per la costruzione di infrastrutture ebbero necessità di manovalanza qualificata, introdussero una limitatissima percentuale di kazaki ai segreti del mattone e del vetro, del metallo e del legno. Frequentemente gli stessi kazaki divenirono così i veicoli di queste novità nelle steppe tra le comunità di appartenenza321. Non si trattava cioè più di un recupero di attività artigianali tradizionali, come la lavorazione del cuoio o l’intagliatura di ossa, e della loro

317 M.B. Olcott, op.cit, pp. 89-99 318 E.E. Bacon, ibidem 319 M.B. Olcott, ibidem 320 E.E. Bacon, ibidem 321 M.B. Olcott, ibidem

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diffusione artificiosa per ragioni di mercato, ma dell’introduzione di saperi rifiutati fino a quel momento e tecnologicamente molto più evoluti di quelli disponibili nelle valli.

Conseguenze culturali e politico-identitarie In altre parole, appaiono chiaramente in questo periodo i primi tentativi di

assimilazione e viene progressivamente superata l’inattività istituzionale che vige invece ancora nella neoprovincia del Türkestan. Quì il primo governatore Von Kaufman teorizza un’attiva indifferenza delle istituzioni verso le questioni socio-religiose locali, così da ridurre al minimo i costi della presenza nell’area322. In Kazakistan invece la situazione era ormai evoluta rapidamente: tutte le delegazioni ufficiali russe inviate tra i nomadi per rendere note le nuove leggi, tasse e meccanismi d’elezione dei rappresentanti, vennero puntualmente attaccate nel timore servissero a implementare con la forza prelievo fiscale e limitazione dei movimenti e causarono nuove e sempre più ampie rivolte323. Queste si concentrarono negli oblast di Uralsk e Turgay, dove le popolazioni non erano abituate a pagare tributi a Kokand o già ai russi come i kazaki orientali e meridionali324, e dove assunsero rapidamente il preoccupante carattere di una guerra di religione, richiedendo un ampio dispiegamento dell’esercito per essere sedati325. La suddivisione della popolazione nei vari aul e volost si era quindi rapidamente rivelata insufficiente a deteriorare un’unità culturale e materiale verso la quale l’Islam stava ora rapidamente ed inaspettatamente agendo come collante, dopo essere stato autorizzato ed incentivato dagli stessi russi. Inoltre, mentre l’autorità delle istituzioni tradizionali superstiti venne progressivamente erosa dalla collaborazione con i russi infatti, la legge religiosa islamica (sharia) si sostituiva informalmente alla legge consuetudinaria nell’amministrazione locale. Infine, una volta deluse le aspettative di miglioramento delle condizioni di vita causate dal nuovo dominatore, l’Islam kazako conobbe un’ascesa tale da non poter più essere trascurata326. Se fino all’inizio del XIX secolo infatti i kazaki potevano essere considerati musulmani solo formalmente, la generica benevolenza dimostrata qualche anno prima da Caterina II comincerà a dispiegare rapidamente i propri effetti. Già negli anni Venti e Trenta i mullah tatari, di fatto inviati dell’Impero, vennero progressivamente accolti nel seguito dei sultani. Questo diede inizio ad una più approfondita islamizzazione dell’aristocrazia, tra la quale si diffusero rapidamente pratiche musulmane, come la parziale seclusione delle donne, o

322 La posizione di Von Kaufman fu in realtà molto meno banale. Si basava innanzitutto su estremo pragamatismo e capacità d’osservazione. I problemi di ordine pratico erano la distanza dalla madrepatria e la necessità conseguente di ben più ampie risorse di quelle disponibili. La capacità di osservazione riguardò tanto l’area governata, cioè le valli del Türkestan, quanto le stesse steppe kazake. L’esperienza kazaka aveva infatti fornito con circa vent’anni d’anticipo elementi per comprendere le future dinamiche nel meridione. Il problema principale divenne allora la dirompente posizione dei tatari e dell’Islam, contro i quali l’unico effettivo strumento rimasto fu a suo avviso l’indifferenza delle istituzioni, cioè evitare che i predicatori tatari disponessero di un avvallo ufficiale per la propria azione di proselitismo, senza però che questa fosse impedita causando un clima da persecuzione o incoraggiata dall’invio di missionari ortodossi. Tuttavia, la “compressione temporale” degli avvenimenti al sud, dove le rivolte religiose iniziarono solamente negli anni Novanta e la colonizzazione un decennio più tardi (in Kazakistan entrambi dagli anni Sessanta), oltre che le differenti linee seguite dai suoi successori, esarcerbarono rapidamente i rapporti impedendo di poter valutare oggi l’eventuale efficacia di queste idee (H. Carrère d’Encausse, op.cit, pp. 159-163). 323 M.B. Olcott, op.cit, pp. 79-82 324 E.E. Bacon, op.cit, pp. 97-98 325 H. Carrère d’Encausse, op.cit, p. 153 326 Ivi, pp. 159-160

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il desiderio di compiere l’hajj. Ma l’islamizzazione spinse soprattutto i sultani a promuovere la costruzione di scuole religiose. Così se nella prima metà del secolo l’Islam locale era ancora fondato sulla semplice acquisizione di pratiche e liturgie ma alieno a qualsiasi conoscenza dogmatica o teologica, la situazione pare essersi considerevolmente trasformata almeno dagli anni Settanta. La maggiore consapevolezza religiosa divenne presto un sentimento di appartenenza e distinzione. Per giunta, erano stati incorporati i territori meridionali, sottoposti all’autorità di Kokand per un significativo periodo prima della conquista, durante il quale era stato attivamente promosso per ragioni politiche un Islam molto conservatore e particolarmente ostile ai futuri conquistatori infedeli327.

L’assetto definito nel 1891 per le steppe tenne ampiamente conto del mutato scenario

religioso e segna un sostanziale cambiamento dalla non-ingerenza verso gli affari religiosi dell’area proposta dalla Commissione. Il numero di mullah venne limitato ad uno solo per volost, mentre l’edificazione di scuole religiose o moschee, sconsigliata dal potere centrale ai deboli upravitel, richiedeva una loro specifica autorizzazione. Tutte le strutture religiose erano poi sottoposte all’autorità del muftiato di Orenburg, a sua volta dipendente dagli Interni328. La politicizzazione delle questioni religiose venne poi simbolicamente completata dalla rescissione del legame formale con lo shayk ottomano, concesso ai tatari in segno di tolleranza.

Ma nonostante l’assenza di risorse pubbliche, i divieti, la burocrazia e l’aperta ostilità dei russi, il muftiato di Orenburg continuò a perseguire i propri progetti finanziando privatamente scuole clandestine. Per giunta, il clero si era dovuto adeguare alla natura testardamente nomadica di buona parte della popolazione kazaka, cosicchè non possedeva alcuna terra tassabile e censibile ed era particolarmente predisposta ad agire all’insaputa del potere politico329. Questo inaudito scenario di ostilità tra i tatari e l’establishment russo fu determinato da svariati fattori. I governanti russi intendevano ormai convertire i kazaki al Cristianesimo Ortodosso330. Per giunta questa eventualità, evitata fin ad allora per pura prudenza politica, venne facilitata in quegli anni dalla crescente immigrazione che ridefiniva gli equilibri demografici, così che slavizzazione e cristianizzazione potevano facilmente supportarsi a vicenda. Ma ancora di più veniva avvertita l’impellente necessità di limitare la posizione dei tatari nelle steppe.

Pur fedeli servitori dell’Impero, questi erano tuttavia ormai capaci di perseguire interessi propri grazie agli ingenti guadagni legati ai commerci. La stessa Orenburg non era tanto un possente avamposto militare russo ai confini delle steppe, quanto la capitale tatara su di esse. Inoltre, difficilmente gli upravitel o i russi, cioè coloro che maggiormente avevano contatto con entrambe le popolazioni, erano dei letterati capaci di conoscere rispettivamente il russo o il kazako331. Complementarmente i tatari erano ritenuti i sudditi dell’Impero più adatti ad un ruolo di mediazione con i nomadi, per le reciproche affinità linguistiche ed etniche. Questo diede loro un ruolo strategico essenziale nell’amministrazione e non più solamente di semplici commercianti e uomini di religione. Nonostante i nuovi divieti, i vincoli burocratici diretti ed indiretti o l’aperta ostilità, il ruolo dei tatari era ormai divenuto insostituibile. Non solo: questo non era politicamente neutro, cioè conferiva ai tatari, ricchi e colti, una possibilità inaudita di unire e pilotare le masse kazake.

Era quindi necessario stabilire degli stabili legami che prescindessero dalla mediazione tatara e stimolassero la fiducia e la fedeltà kazake. L’amministrazione

327 M.B. Olcott, op.cit, pp. 101-104 328 Ivi, p. 79 329 Ivi, p. 102 330 Ivi, p. 79 331 E.E. Bacon, op.cit, p. 99

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promosse così studi storici e antropologici, mentre i poemi orali della tradizione vennero trascritti. In maniera alquanto farsesca la ripresa delle tradizioni locali venne quindi promossa da coloro che maggiormente avevano contribuito alla sua estinzione. Ma d’altronde proprio in quegli anni andava diffondendosi negli ambienti di corte russi un vezzoso atteggiamento di compassione per questi eroi romantici, i nomadi liberi e indomiti, che favorì questa parentesi nostalgica332.

Ma ancora più importante fu la nascita di scuole miste russo-kazake in sostituzione a quelle religiose. Sorte inizialmente per l’esclusivo impegno economico dei nobili locali, le prime scuole elementari si diffonderanno rapidamente negli anni Settanta e Ottanta dall’area del Turgai e degli Urali proprio per volontà dell’amministrazione russa333. In esse a partire da un ukase del 1870 vennero sistematicamente applicate le idee del pedagogo russo Il’minski, che già era stato il promotore dell’utilizzo dell’idioma nazionale tra i tatari dopo i disastrosi tentativi di passaggio al russo. In Kazakistan, l’utilizzo di un idioma nazionale, che verrà formalizzato proprio da uno dei suoi allievi in quegli anni, implicherà l’esclusione del tataro e dei tradizionali contenuti religiosi di cui era portatore. Così le nuove scuole fornirono un’istruzione più “secolare”, principalmente finalizzata alla formazione di quadri intermedi, interpreti e impiegati, fedeli allo Stato centrale. Tuttavia, alla rimozione dell’istruzione islamica coincise una sorta di iniziazione all’ortodossia cristiana. Lo scopo immediato di questa scelta era evitare che dei musulmani disponessero di strumenti di istruzione avanzati. In secondo luogo, nello scambio con competenze moderne, i russi intendevano far sì che i kazaki contraccambiassero il “dono” ricevuto agendo da mediatori tra i propri simili della nuova religione. In questo modo essi avrebbero ampiamente contribuito al compimento di un passo pressochè definitivo verso la “civilizzazione”, ora che la politica di sedentarizzazione cominciava a dare risultati concreti. In questa direzione agiva anche la necessità si sviluppare finalmente un idioma nazionale scritto334.

Tutte queste iniziative produrranno effetti significativi, benchè non previsti alla pari della “islamizzazione di Stato”. In primo luogo, la trascrizione dei poemi epici della tradizione portò alla codificazione di un linguaggio kazako “letterario”335. Come lingua orale essa già rappresentava un sufficiente elemento di distinzione dalle popolazioni circostanti, oltre che un valido elemento di comunicazione e coesione sociale, posto che le scarse differenziazioni dialettali esistenti consentivano una facile comprensione dall’una all’altra parte del paese. Ora questo sostituì le due principali lingue letterarie dell’epoca, il tataro di Kazan e il chaghathay, e venne utilizzato come “lingua civilizzante” anche per i kirghizi del Tian Shan336. La trascrizione facilitava la lettura, cioè la diffusione di idee non tradizionali e non adatte alla semplice diffusione orale, mentre ufficializzava un simbolo particolarmente forte di un’identità che non era né tatara, né russa, ma squisitamente e originalmente kazaka. In secondo luogo, nonostante le limitatissime possibilità d’accesso all’istruzione russa, emerse un pur piccolo gruppo di intellettuali kazaki. Composto principalmente da figli dell’aristocrazia formatisi

332 A. Bennigsen & M. Broxup, op.cit, p. 21 333 Nel 1823 Zhangir Khan impose l’istituzione di corsi elementari nel periodo estivo; nel 1841 venne fondato il primo istituto superiore nelle steppe. Tra gli anni Settanta e Ottanta vennero creati dormitori e corsi per la formazione di insegnanti kazaki. Risale al 1887 il primo dormitorio per le ragazze kazake. Nel 1913 furono contate solamente 267 scuole elementari a livello di aul e 157 scuole miste russo-kazake, mentre rimanevano pochissimi i ragazzi meritevoli e benestanti che frequentavano istituti superiori russi nelle regioni confinanti. Tuttavia, le statistiche sul numero effettivo di studenti nelle scuole civili sono estremamente parziali dato il ruolo svolto dalle scuole religiose, istituzionali o clandestine (E.E. Bacon, op.cit, pp. 100-101). 334 A. Bennigsen & C. Quelquejay, L’Islam en Union Soviétique, pp. 33-34 335 H. Carrère d’Encausse, The Stirring of National Feeling, pp. 174-175, in E. Allworth (a cura di), op.cit. 336 A. Bennigsen & C. Quelquejay, op.cit, pp. 31-32

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presso le scuole militari di Omsk e Orenburg secondo gli standard russi e occidentali più che propriamente kazaki, questi agirono comunque da intermediari tra il mondo delle steppe e quello russo, introducendo nelle prime le idee occidentali. In terzo luogo, non solo i russi non riusciranno a sostituirsi ai tatari, ma avevano ampiamente contribuito alla maturazione intellettuale e nazionalista della società kazaka. In questo magma di istanze religiose e civili, elitarie o popolari, si era comunque venuto a formare un barlume di “opinione pubblica”, specie nei centri urbani. Da un lato, l’istruzione secolare formò persone in grado di leggere e scrivere e che diverranno pubblico e autori della prima pubblicistica nazionale. Non solo: la diffusione della lingua kazaka rimarrà l’unico elemento di congiunzione tra l’educazione secolare russa, che la promosse, e quella religiosa tatara, che comunque la accettò, incentivandola perché compatibile con le proprie istanze ideologiche e funzionale alla lotta al dominatore infedele. Inoltre, non tutti gli individui formatisi negli istituti russi abbandonarono l’Islam: disponendo ora di un livello di istruzione relativamente elevato, essi poterono fruire di libri complessi e partecipare del dibattito modernista in corso nel mondo islamico dell’epoca, così come dei più ampi dibattiti ideologici di inizio secolo, rompendo l’isolamento religioso tradizionale. Di contro, la mancata alfabetizzazione delle masse era stata in parte sostituita dall’islamizzazione, come deducibile dai poemi e dalle canzoni popolari di quest’epoca. E proprio l’Islam popolare, sempre più dottrinale e indottrinato, cominciò a premere per il riconoscimento di maggiori diritti e libertà religiose, di cui la libertà di movimento per compiere l’hajj era semplicemente la più sonora e palese337.

La classe intellettuale kazaka Il ruolo svolto dalle elites intellettuali dell’epoca è di difficile valutazione. Tre di

questi, Shoqan Shingis-uli Valiqhan-uli (Valikhanov, 1835-1865), Ibray Altynsarin (1841-1889) e Abay Quananbay-uli (Kunanbaev, 1845-1904), mantengono tutt’oggi la loro fama nel pantheon culturale del paese, ma il cui successo venne promosso dai sovietici che ne declamarono l’azione “progressista”, cioè filo-russa.

Il primo era un discendente dei khan dell’Orda Media e dopo la prima formazione ad Omsk, si trasferì a S.Pietroburgo come militare, dove visse a lungo come un autentico dandy europeo dell’epoca. Già fervente ammiratore del mondo russo, il periodo di S.Pietroburgo gli permise di sviluppare sistematici contatti con preminenti figure dell’epoca come Dostojevskij e di entrare a far parte della Società Geografica Russa. In nome dei suoi interessi antropologici egli compì numerosi viaggi nel Türkestan russo e cinese, che gli permisero di riavvicinarsi alla sua cultura d’origine. E’ a lui che si devono le più antiche ricostruzioni storico-antropologiche sul Kazakistan, sviluppate secondo attendibili metodi scientifici. La sua produzione, interamente in lingua russa, rivela l’estrema fiducia nell’azione “purificatrice” che l’influenza culturale russa avrebbe svolto contro l’Islam, ritenuto una forza conservatrice. Morì tuttavia prima di poter valutare gli esiti delle riforme del 1868338.

Il secondo, fu prevalentemente un educatore. Apprendista del pedagogo russo V.I. Il’minskii, divenne un attivo promotore dell’istruzione nella provincia del Turgaj, in qualità prima di pianificatore, poi di amministratore e infine di ispettore scolastico. Ma è soprattutto ricordato per i suoi meriti nel campo linguistico: trascrivette per primo il kazako basandosi sull’alfabeto cirillico e lo introdusse assieme al russo al posto del tataro nelle istituzioni scolastiche che amministrava ed in cui insegnava. Da questo momento la sua riforma verrà estesa al resto del paese, permettendo la diffusione

337 M.B. Olcott, op.cit, pp. 101-108 338 Ivi, pp. 104-106

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dell’idioma nazionale e dello stesso russo339. Fu anche il primo ad utilizzarlo per dei brevi racconti, basati essenzialmente sulla tradizione e che rappresentarono il primo caso di “prosa secolare” in tutta l’Asia Centrale. Compilò inoltre la prima grammatica ed il primo dizionario russo-kazako. Come Valikhanov, egli avvertì l’influenza russa come positiva e nella sua opera l’istruzione divenne l’unico strumento per la diffusione di quelle competenze tecniche che avrebbero fornito al popolo kazako la possibilità di sopravvivere340.

Abay Qunanbay iniziò gli studi in una madrasa del Semipalatinsk e continuò i propri studi superiori presso un istituto russo. Abile parlatore in arabo, persiano e russo, oltre che profondo conoscitore della letteratura occidentale, egli tradusse in kazako classici orientali come Le Mille e una Notte od occidentali come opere di Lermontov, Pushkin, Goethe e Byron (!). La sua produzione saggistica riflette di contro una profonda conoscenza della letteratura classica greca, così come della produzione occidentale moderna e contemporanea, da Spencer a Spinoza fino a Darwin (!!). Pur privi dell’ampollosità formale della poesia persiana, i suoi versi erano particolarmente versatili per il canto dei bardi (aqyn)341. Le fonti sovietiche confermano l’estrema diffusione di questi versi mentre l’autore era ancora in vita. La posizione russa pare giustificabile in virtù dell’azione “progressista” e filo-russa svolta anche da questo intellettuale. Tuttavia, a differenza dei suoi due predecessori di cui era più giovane, egli ebbe modo di apprezzare i dissesti della modernizzazione nelle steppe, sviluppando osservazioni critiche sulla povertà e il degrado della popolazione che lo avvicineranno per certi versi all’azione dei successori. Ciononostante il suo giudizio complessivo sulla cultura russa rimase positivo, né elaborò mai una posizione anti-russa342.

Ma partire dagli anni Novanta delle posizioni critiche cominciarono a raccogliersi attorno alla Kirgizskaia Stepnaia Gazeta/Dala Vilayeti, supplemento settimanale bilingue dell’Akmolinskie Vedomosti, pubblicato dal 1890 al 1906. Questa gazzetta includeva articoli di storia ed etnografia, racconti inediti e supporti tecnici per gli inesperti agricoltori kazaki. Gli autori dichiaravano l’urgenza di un’istruzione secolare e dell’allontanamento del clero tataro. Ma nonostante l’impianto filo-russo, secolarista e modernizzatore, apparvero anche una serie di articoli dal titolo “Fame nelle Steppe” che, anche grazie al loro successo, possono essere considerati il segno del passaggio da posizioni acritiche a posizioni più indipendenti e ponderate.

Un secondo gruppo di intellettuali è oggi ricordato come Zar Zaman (“Tempi Difficili”). Shortambai Kanai uli (1818-1881), Dulat Babatai uli (1802-1871), Murat Monke uli (1843-1906) e Abubakir Kerderi (1858-1903) si impegnarono apertamente in un’azione di propaganda per la salvaguardia degli stili di vita e produzione tradizionali. Nella loro proposta politica l’Islam veniva visto come il sistema di valori che meglio raggiungeva questo scopo primario. I russi invece divennero i principali responsabili dell’assedio politico ed economico da cui la società kazaka doveva difendersi a tutti i costi. Alcuni di essi scelsero la militanza al fianco di Kenisary Kasimov, l’ultimo grande ribelle kazako. Dulat, che non si lanciò nell’avventura militare, vi partecipò invece indirettamente, ma in maniera non meno importante: i suoi poemi, tra cui in particolare “Ablai Khan” divenne un vero e proprio inno tra le fila della resistenza kazaka di quegli anni.

Il passaggio di decennio segnò anche il passaggio dall’idea dell’Islam come elemento di chiusura difensiva per la comunità kazaka ad elemento di apertura verso il mondo esterno, con lo stesso scopo ultimo di preservare la comunità dallo smembramento modernista. L’assenza stessa di un clero “antico” e radicato d’altronde facilitò l’apertura

339 H. Carrère d’Encausse, op.cit, p. 177-178 340 M.B. Olcott, ibidem 341 E.E. Bacon, op.cit, pp. 102-103 342 M.B. Olcott, ibidem

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mentale e dottrinale, fino all’ultimo la più peculiare implicazione sociale della tardiva islamizzazione kazaka. Infine, il fatto stesso che gli intellettuali kazaki stessero consapevolmente sperimentando sulla propria pelle l’analoga esperienza conosciuta dal resto del mondo musulmano favorì la diffusione delle correnti ideologiche che scuotevano in quegli anni il resto del mondo islamico, non solo ottomano: riforma jadidista, pan-turchismo e pan-islamismo343.

La prima, premessa indistinguibile delle due successive, non venne a svilupparsi all’interno dell’Impero ottomano, ma nel ricco mondo intellettuale tataro. Ismail Bey Gaspirali (Gasprinsky 1851-1914) era un tataro della Crimea ormai spopolata e colonizzata344 che si formò in Russia, Francia e Turchia. Da queste esperienze ricavò l’idea che fosse innanzitutto necessario intervenire nella sfera dell’educazione, seppure la sua instancabile azione di giornalista e linguista riveli motivazioni e implicazioni politiche ultime della sua azione. L’assioma essenziale del suo pensiero fu la compatibilità tra conoscenze tecnico-scientifiche occidentali ed Islam. Da quì prese ispirazione la sua opera di riformatore nel campo dell’educazione che lo spinse a proporre un metodo nuovo negli strumenti e nei contenuti (usul-i cedid) e sperimentarlo in prima persona. All’arabo dell’istruzione religiosa tradizionale egli affiancò un tataro depurato dalle variazioni dialettali e dalle influenze persiane o russe e comunque comprensibile da tutte le popolazioni di origine turca. In questo modo egli intendeva limitare la posizione di russo e francese come lingue internazionali, accettate dal clero conservatore. Di contro, la diffusione della sua principale testata in questo idioma, Tercüman (Interprete), dimostrano la sostanziale correttezza della sua intuizione. I contenuti delle sue opere ed articoli assumeranno ben presto precisi connotati pan-turchi, in opposizione alla Russia ed al clero tataro conservatore345.

In Kazakistan, dove queste idee si diffonderanno in maniera estremamente rapida, apparve di lì a poco ben chiaro che la conciliazione tra Islam e conoscenze tecnico-scientifiche occidentali non sarebbero bastate a garantire una ripresa politica e culturale dell’intero mondo turco-musulmano dinnanzi ai conquistatori346. Così come accaduto in altre realtà musulmane dell’epoca347, le idee secolariste e progressiste vennero pragmaticamente adattate al contesto locale. I kazaki colti di seconda e terza generazione avevano ormai sviluppato una solida consapevolezza circa l’unitarietà culturale kazaka. L’immediata implicazione di questi presupposti, difficoltà contingenti e unitarietà culturale, divenne il delinearsi di un rinnovato sentimento di appartenenza nazionale, nel pieno senso occidentale del termine, cioè un’appartenenza che aveva precise implicazioni politiche di autodeterminazione e autogoverno rispetto al territorio e alla popolazione di appartenenza. Ben presto l’appello politico nazionalistico, almeno tra gli intellettuali, fece riferimento ad uno stato “a la occidentale” e non più a generiche amalgame di clan o tribù348.

Rivoluzioni e rivolte. I primi decenni del XX sec. Il nuovo secolo è visibilmente un momento di bilancio, sia per gli osservatori

dell’epoca che per gli storici di oggi. Il quadro delle posizioni definitosi non cambierà nella sostanza fino alla caduta del regime zarista e del primo periodo coloniale. 343 M.B. Olcott, op.cit, pp. 107-108 344 A.Bennigsen & M.Broxup, op.cit, pp. 18-19 345 Jacob M.Landau, Pantürkism. From Irredentism to Cooperation, Indiana University Press, Bloomington 1995, pp.9-11 346 M.B. Olcott, op.cit, p. 108 347 Il caso della Turchia è il più eclatante: abbandonate le speranze di una ripresa dell’Impero, gli sforzi nazionalistici converranno progressivamente verso uno stato nazionale “turco” (J.M. Landau, op.cit, pp. 20-21), seppure il più lontano dai luoghi d’origine dell’etnia. 348 H. Carrère d’Encausse, op.cit, pp. 174-175

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Tuttavia, i pochi anni che separano le popolazioni kazake da questo avvenimento registrano una significativa accellerazione, indicativa della precoce maturazione di questo contesto.

Appare ormai chiaro che la presenza russa nell’area è garantita dalla superiorità militare e tecnologica e non da una qualsivoglia autorevolezza morale. Certamente i russi avevano ottenuto qualche successo nella politica di sostituzione dei tatari attraverso la formazione di intemerdiari locali bilingue, ma questo non aveva migliorato i rapporti tra le due popolazioni o consentito alla istanze kazake di trovare maggiore ascolto presso i russi, e non solo per disinteresse di questi ultimi. Spesso corrotti o incompetenti, gli intermediari locali divennero infatti persecutori del proprio interesse alla pari degli ultimi khan o dei primi “imprenditori” di successo nel commercio. Le restrizioni e i dislocamenti determinati dai coloni esacerbarono poi i rapporti, cosicchè se per qualche tempo non si assistette a sollevazioni organizzate, furti di bestiame ed uccisioni a danno degli slavi divennero la quotidianità.

Teoricamente i kazaki disponevano ora di maggiori strumenti per far valere le proprie rivendicazioni entro i binari di uno “Stato di diritto”. Di contro, la stessa diffusione dell’Islam aveva fornito nuovi canali di coesione, ma incrementava contemporaneamente il fastidio verso i conquistatori349. Da parte russa, con il nuovo secolo aumentarono i timori: dalle rivolte di fine secolo era ormai chiaro che perfino nel Türkestan, teoricamente meno “tatarizzato” e più autonomo dal punto di vista religioso, la popolazione era esasperata e poteva rapidamente raccogliersi attorno ai clerici più riottosi350. Infine, pur con scarso successo di pubblico, le idee pan-turchiste si erano infine radicate in profondità anche tra gli intellettuali turkestani, nonostante gli sforzi del clero conservatore vicino ai russi e la liberale indifferenza di questi ultimi351. Così se al sud questo insieme di paure portò all’abbandono della non-curanza istituzionale verso le questioni religiose, al nord fece sì che al trattamento giuridico restrittivo da “nativi” venisse applicato anche quello più discriminatorio riservato all’interno dell’Impero ai musulmani. La capacità di conciliazione tra contenuti islamici e strumenti secolari da parte kazaka (e centrasiatica in genere) e l’incapacità di muoversi con arguzia da parte russa sono le due variabili essenziali del momento.

Gli eventi in Russia nel 1904-1905352 rimasero inizialmente un’eco lontana, almeno

per le masse: diversi erano i canali ideologici e le basi sociali di questa rivolta rispetto a

349 M.B. Olcott, op.cit, pp. 109-111 350 H. Carrère d’Encausse, Organizing and colonizing (…), pp. 163-171 351 H. Carrère d’Encausse, The stirring of (…), pp. 176-177 352 Diversi fattori contribuirono all’esplosione. Sullo sfondo rimaneva l’improvvisa sconfitta patita per mano giapponese nel 1904, che frantumava l’immagine di uno stato solido e prospero, quale comunemente percepita dai più fino a quel momento. Dal punto di vista sociale, è opportuno distinguere tra contesto rurale e contesto urbano. Il primo comprendeva la maggior parte della popolazione, per cui la “liberazione” dalla servitù del 1864 non aveva portato a considerevoli cambiamenti delle condizioni di sopravvivenza. Per giunta nel 1905 la produzione del grano ebbe un drastico ribasso che esasperò ulteriormente fame e povertà. Il mondo urbano, pur limitato, cominciava a comprendere ora i lavoratori industriali (limitati quasi esclusivamente a S.Pietroburgo e Mosca) e soprattutto gli studenti, sempre più frustrati nel dissidio tra ambizioni e condizioni concrete di vita, istruzione e apertura mentale e un mondo “fossilizzato”, politicamente e socialmente. Entrambi si fecero portatori delle idee più estremiste (pur ancora immature in questo momento e destinate al successo per una concorrenza di fattori in seguito): le idee socialiste di varia declinazione i lavoratori e quelle anarchiche e ancor più eversive i secondi. Nel 1904 gli scioperi nelle fabbriche raggiunsero dimensioni di massa, mentre nello stesso anno sarebbe stato ucciso il Ministro degli Interni. Il governo apparve debole e la polizia disorientata, facilitando la dimostrazione popolare del gennaio 1905 di fronte al Palazzo d’Inverno a S.Pietroburgo. Composta da lavoratori in preghiera e guidata da un prete (e agente della polizia), padre Gapon, essa porse pacificamente allo zar (che non era lì) le proprie petizioni: convocazione di un’assemblea costituente, graduale riforma agraria e un più equo regime salariale. Quando la folla non si disperse la polizia aprì indiscriminatamente il fuoco, uccidendo almeno 200 manifestanti. Dopo la Domenica di Sangue la rivolta

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quella ancora latente in corso in Kazakistan. Quì l’Islam sembrava aver già scelto da tempo la via dell’illegalità, assorbendo a sé i nuovi strumenti messi a disposizione dall’istruzione, cioè la carta stampata. I russi, sorpresi dall’inaudita diffusione di richiami alla mobilitazione e pamphlet, intervenirono nel modo più rapido e inutile, cioè ispezioni aul per aul e incarceramenti. Inoltre, gli slavi presenti rimanevano una minoranza, per quanto importante. Questo implicava una certa fedeltà al sistema che li proteggeva dai nativi. I coloni disponevano poi di quantitativi di terra pro-capite molto maggiori dei loro pari in Europa. In altre parole, i maggiori motivi di insoddisfazione riguardavano i problemi legati alla coltivazione dei campi, essendo estremamente limitata la presenza di un proletariato industriale353.

Tuttavia, pochi anni prima piccoli moti proletari di varia inclinazione ideologica si erano diffusi nella Transcaspia, nel Mughodzar e sostanzialmente in tutte le regioni attraversate dalla ferrovia. Si scoprì all’improvviso come piccoli manipoli organizzati di lavoratori fossero stati sistematicamente in grado di portare anche alla periferia dell’Impero le stesse idee che ne scuotevano il centro. Ai pochi lavoratori industriali si affiancarono nella rivolta gli immigranti dell’ultima ondata, cioè coloro che erano arrivati clandestinamente quando buona parte della terra era già stata assegnata. Il problema delle assegnazioni non poteva più essere risolto tramite la semplice espulsione dei nativi o la confisca dei terreni e la maggior parte dei nuovi arrivati si accumulava nelle città rimanendo senza lavoro e abitazioni. A questo “sotto-proletariato senza industria” si sommarono infine i militari di stanza lungo la ferrovia. Questi erano come d’uso criminali efferati e negli ultimi anni anche studenti ritenuti di idee troppo liberali. Inoltre, questi non disponevano di caserme, dormitori, mense e in generale strutture separate dal resto della popolazione slava dei lavoratori e delle loro famiglie. Questa “promiscuità” di civili e militari, finalizzata esclusivamente a separare dalla popolazione nativa, facilitò una pronta e precoce reazione rivoluzionaria nel 1905. Ma nonostante queste sollevazioni portarono a parziali miglioramenti delle condizioni di lavoro anche dei nativi, esse rimasero rivolte essenzialmente “slave”, estranee alla popolazione indigena che vedeva di cattivo occhio qualsiasi presenza esogena nell’area e aveva un impiego marginale nel settore industriale, e paradossalmente facilitate dalla stessa “cittadinanza privilegiata” di chi le portava avanti354.

Infine l’inattesa sconfitta russa da parte giapponese aveva costituito un precedente di portata planetaria, poiché una potenza bianca e cristiana era stata per la prima volta sconfitta da una extra-europea. Per gli abitanti dell’Asia Centrale l’avvenimento era ancora più importante, dato che coinvolgeva il proprio conquistatore. Questo da un lato riattivò sopite speranze di rivalsa, dall’altra spazzò via buona parte della fiducia nell’istruzione tecnica di matrice russa, specie tra quegli studenti che ne avevano visitato o frequentato le città e gli istituti scolastici. I successivi eventi del 1905 constrinsero ad una drastica revisione di prospettive ed orizzonti programmatici. In particolare, divenne necessario sviluppare nel più breve tempo possibile una concreta e praticabile linea operativa, sia per esprimere il malcontento sociale, sia per indirizzare le corrispondenti riforme che apparvero oramai possibili355. E se in un primo momento i primi tafferugli avevano determinato un’istintiva e disarticolata violenza da parte kazaka, specie nel Syr Darya dove dovettero addirittura intervenire truppe di rinforzo, le

si estese a macchia d’olio: gli scioperi industriali proseguivano, ora organizzati dai soviet, bloccando la vita economica; alcune unità della flotta si unirono alla sollevazione e apparve chiaro che la via della repressione, per quanto ancora praticabile, sarebbe stata del tutto controproducente (A.Brown et al, op.cit, pp. 103-104). 353 M.B. Olcott, ibidem 354 H. Carrère d’Encausse, op.cit, pp. 179-183 355 Ivi, pp. 178-179

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più influenti figure intellettuali di parte secolarista e religiosa si incontrarono ad Orenburg e Vernyi per definire una strategia comune356.

La creazione della Duma fu una nuova occasione per dimostrare la maturità raggiunta

dai politici kazaki, nonostante i fallimenti incontrati. Nella prima delle convocazioni del neonato parlamento infatti, gli oblast kazaki vantavano otto rappresentanti, quattro russi e quattro kazaki. Tutti i rappresentanti kazaki si allinearono al partito dei Cadetti357 ed erano membri dell’Unione Musulmana358, ma nessuno di essi riuscì a far approvare una sola delle proposte di legge avanzate. Un progetto di riforma della distribuzione delle terre nelle Steppe, supportato dai Cadetti, dai pan-turchisti e perfino dagli Ottobristi, venne bloccato dal Consiglio dei Ministri di Stolipyn (governo: 1906-1911). Pur ancora impossibilitato sul fronte delle riforme come da sua ambizione, il nuovo Primo Ministro iniziò una sistematica azione di repressione di qualsiasi dissidenza nei primi anni di governo359, cosicchè anche gli intellettuali kazaki patirono la stessa sorte360.

Nella seconda Duma (gennaio-giugno 1907) la delegazione kazaka contava ben otto russi e cinque kazaki e si alleò nuovamente con cadetti e pan-turchisti, ma senza ottenere una reale attenzione verso le questioni delle steppe. Per la terza (1907-1912) e quarta (1912-1917) convocazione il governo negò infine ai kazaki (così come alle altre nazionalità non-slave dell’Impero) il diritto ad una rappresentanza361, ma cionondimeno i grandi proprietari terrieri, i “secolaristi”, riformatori e conservatori religiosi compilarono nuove proposte di legge sulla limitazione della colonizzazione e riuscirono a farle perorare in parlamento o presso la corte, pur senza successo.

La “via istituzionale”, pur fallita, aveva quindi certamente aiutato a far maturare le strutture politiche kazake e la propria auto-coscienza nazionale. Certamente si trattò di un compiuto processo di apprendimento delle procedure e delle strategie della vita 356 M.B. Olcott, ibidem 357 Il Kadet era nato essenzialmente dalla parziale soddisfazione verso l’ukase dello zar Nicola II, noto come Manifesto d’Ottobre. Questo documento, pur sancendo alcune libertà essenziali, come quella di stampa, e rinnovando l’archittettura istituzionale, ad esempio con l’introduzione della Duma, non incontrò il totale appoggio dei liberali. Pur moderati nelle richieste e avendo ottenuto molti degli scopi propostisi, riforme e rappresentanza parlamentare, oltre che l’esclusione dei rivoluzionari, rimasero però colpiti dalla palese contraddizione rappresentata dai metodi di repressione dei ribelli utilizzati, tipicamente dispotici come da tradizione e tutt’altro che liberali. Si vennero così a creare due frange, quella dei ceti medio-alti più conservatori, fedeli allo zar ed alle sue riforme e definiti non a caso Ottobristi, e quella, meno accondiscendente ma pur fedele alle nuove istituzioni, riunitasi appunto nel Kadet (A.Brown et al, op.cit, p. 104). 358 Già nel 1904 durante degli incontri clandestini si erano riuniti a Kazan le principali personalità centrasiatiche, türkestane e kazake, e tatare che fonderanno al’inizio del 1905 l’Unione Musulmana (Ittifak al Muslimin). L’infaticabile azione di propaganda dei giornalisti e politici panturchisti tatari, di cui Gaspirali fu solo l’illustre punta dell’iceberg, aveva infatti consentito di raggiungere rapidamente anche il Türkestan dove le idee pantürkiste avevano trovato spazio nonostante la clandestinità e gli sforzi congiunti di russi e clero conservatore (H. Carrère d’Encausse, op.cit, p. 149). Dal Kazakistan provenivano invece apporti più secolaristi, ma cionondimeno dissidi e differenze vennero ora accantonati con lo specifico intento di approffittare del momento di crisi seguito alla sconfitta giapponese. Pur rimanendo nella sostanza una creatura tatara, essa divenne l’unico punto di incontro di tutte le istanze, religiose e conservatrici, oltre che secolariste del mondo musulmano, così da divenire il principale movimento pan-turchirsta nelle nuove istituzioni parlamentari. Inoltre l’Unione credette fermamente in questo primo momento nel lealismo istituzionale come lo strumento più opportuno per portare avanti il proprio programma di parificazione dei sudditi slavi e non-slavi dell’Impero (A. Bennigsen & C. Quelquejay, op.cit, pp. 51-53). 359 A.Brown et al, op.cit, p. 104. 360 A. Bennigsen & C. Quelquejay, op.cit, p. 55 n.2 361 A.Brown et al, op.cit, pp. 104-105. Sfruttando l’art.87 delle recenti Leggi Fondamentali, Stolipyn sospese la Duma, così da poter varare le proprie riforme evitando il periglioso passaggio in Parlamento. Attraverso questo espediente egli potè anche alterare la legge elettorale nel 1907 così da garantirsi l’appoggio della Destra e degli Ottobristi, ridurre la presenza del Kadet ed escludere tutte le forze nazionaliste e socialiste nelle successive convocazioni.

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parlamentare. Inoltre, l’esperienza di S.Pietroburgo fece comprendere la complessità della situazione politica ed etnica dell’Impero. Se questo facilitò l’emersione dell’Unione Musulmana come il solo movimento capace di esprimere le istanze dei musulmani di Russia (primato che conseverà ancora per pochi anni), il fallimento della linea collaborazionista si rivelerà altrettanto centrale per il “movimento secolarista”362. Certamente i rivolgimenti del 1905 riguardarono inoltre questioni politiche a livello “di Impero”, cioè gli assetti istituzionali del potere centrale, e solo collateralmente la vita nelle steppe363. Inoltre, la comprensione di questi avvenimenti rimase circoscritta alle minoranze aristocratico-intellettuali e religiose. Entrambi dovevano infatti fare i conti con un persistente sentimento di appartenenza etnica e tribale delle masse, che pur svuotato nei fatti della sua ragion d’essere, rimaneva la forma di reazione più intuitiva contro le aggressioni esterne364.

Nel mentre, erano state le componenti religiose le uniche ad ottenere dei risultati concreti. Le continue manifestazioni popolari organizzate nella prima fase della Rivoluzione avevano spinto il governo in difficoltà ad ampie concessioni. Le più importanti furono l’introduzione dell’istruzione religiosa in lingua kazaka nelle scuole primarie nel 1905 e la creazione di un muftiato distinto per le steppe nel 1906. Ma i risultati ottenuti non bastarono a pacificare la popolazione. In particolare, l’Unione Musulmana rimase clandestinamente attiva attraverso piccole cellule ad Orenburg, Omsk, Petropavlosk, Semipalatinsk e Vernyi anche dopo l’esclusione dalla vita parlamentare. Diritto universale di pellegrinaggio, eliminazione della possibilità di veto per l’edificazione di moschee, cessazione dell’attività missionaria ortodossa, parificazione dello status del clero ortodosso ed islamico: queste erano le richieste presentate con sempre più insistenza, coesione e consapevolezza durante le continue sollevazioni365.

Fallita la via istituzionale e panturchista rappresentata dall’Unione Musulmana, colpita dalla repressione conservatrice stolipyana nel 1908, i movimenti anti-coloniali locali assunsero un connotato più spiccatamente nazionalistico. In Kazakistan questo portò anche ad un allontanamento dei “secolaristi” dai religiosi. Già nelle prime riunioni congiunte alla vigilia della rivoluzione, erano emerse alcune figure di intellettuali particolarmente influenti: Ali Khan Bukeikhanov (1869-1932) e Ahmed Baytursin-uli (1873-1937). Il primo, storico, economista ed esperto di folklore, di sicure origini chinghisidi e aristocratiche, era stato a lungo collaboratore del Governatore Generale delle Steppe. Il secondo, poeta, linguista e pedagogo, anch’egli di nobili origini, si era invece dedicato da tempo ai problemi politici kazaki366. Quest’ultimissima generazione di intellettuali kazaki riflette, anche alla luce delle imprese portate a segno in seguito, un’ulteriore maturazione nel discorso politico. L’estremità delle nuove posizioni si definisce sia in riferimento alla distanza dal contesto politico tradizionale, che rispetto al quadro delle posizioni che andava delineandosi in Russia, dove alla vigilia del 1905 il partito democratico-costituzionale dei borghesi richiedeva semplici riforme, mentre gli studenti erano travolti dalle idee anarchiche, populiste e marxiste strutturalmente anti-sistemiche367.

362 A. Bennigsen & C. Quelquejay, op.cit, pp. 55-56 363 M. Buttino, op.cit, p. 125 364 A. Bennigsen & C. Quelquejay, ivi, p. 32 365 M.B. Olcott, ibidem 366 A. Bennigsen & C. Quelquejay, op.cit, pp. 53-56 367 A.Brown et al, op.cit, p. 103. Si noti come non è casuale il mancato utilizzo del termine intelligencija, peraltro assente anche in quasi tutte le fonti utilizzate. Per quanto estremamente diffuso nella lingua corrente, esso sarebbe applicabile solo nel senso più vago e di tarda diffusione di “classe intellettuale”, mentre sarebbe fuorviante nel suo implicito riferimento al coevo caso russo. Tuttavia vi sono interessanti elementi di affinità destinati ad avere le loro implicazioni sul piano dello svolgimento dei fatti.

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Dal primo punto di vista, essi eranno aperti occidentalisti. Questo portò a rinnegare in toto il pan-islamismo, sbeffeggiato come “utopia orientale”, e trascurare il panturchismo, invece fiorente tra i religiosi. Dal secondo punto di vista, cioè lo schieramento nell’orizzonte politico pre-rivoluzionario russo, la maggior parte di questi intellettuali si schiererà con i liberali del partito democratico-costituzionale. Tuttavia, essi andranno costituendone la “sinistra”, molto più esigente verso il potere centrale. Lo stesso Alash Orda, la principale formazione partitica secolarista fondata in occasione della prima elezione dei rappresentanti locali nel dicembre 1905 ad Uralsk, pur sempre allineato con il partito democratico-costituzionale ed inizialmente vicina all’Unione Musulmana, era un movimento fortemente nazionalista. Se il quadro complessivo rimase quello del rinnovamento e non dell’abbattimento delle istituzioni, l’idea portata avanti dai secolaristi kazaki sarà comunque la parificazione dei diritti di slavi e non-slavi368. Dopo la Duma maturarono posizioni ancora più ferme rispetto ai russi a rimarcare la distanza dalle ideologie di matrice tatara e religiosa. Il programma rivendicava la totale auto-gestione kazaka della propria popolazione e del proprio territorio, terre e risorse del sottosuolo incluse. Bukeikhanov, ormai leader dell’Alash Orda, divenne un instancabile difensore delle ragioni kazake. Nelle sue pubblicazioni egli paleserà la propria ostilità allo zar e la convinzione che lo sfruttamento del

Nel suo contesto originario l’intelligencija rappresentava una classe sociale non definita da criteri di censo ed estranea alla gerarchia ufficiale per l’impiego nell’amministrazione statale. Essa era perlopiù costituita da figli di nobili decaduti e pochi giovani provenienti dalle campagne, il cui solo elemento in comune era l’aver compiuto studi superiori nelle grandi città dell’Impero. Questi furono i testimoni consapevoli delle contraddizioni dello sviluppo socio-economico russo: rigidità sociali e pretese di sviluppo economico. In particolare, essi videro nel potere zarista il principale ostacolo al dispiegamento spontaneo degli effetti della prima industrializzazione ottocentesca. Assunsero infine posizioni radicali, principalmente focalizzate all’abbattimento del potere esistente ed all’eguaglianza sociale. Gli intellettuali kazaki erano invece per lo più pochi privilegiati, figli della nobiltà tradizionale in un contesto in cui l’appartenenza famigliare continuava ad avere una notevole importanza. Essi erano cioè distinti da una posizione socio-economica, indipendentemente dalla loro vicinanza reale alla società d’origine. Se i rappresentanti della “prima generazione” rimasero parecchio distanti dalle steppe, quelli delle successive poterono contare su questo prestigio “ascritto” quando cominciarono la propria azione di mobilitazione delle masse. Questa differenza sociologica è probabilmente la principale tra i due movimenti: l’intelligencija russa composta dagli “orfani” della modernizzazione non aveva “nulla da perdere”, mentre i primi movimenti politici kazaki organizzati intesero mantenere le proprie posizioni entro i binari della legalità e delle riforme, anche a causa dell’improvvisa esplosione delle rivolte e le differenze di status tra slavi e non, che suggerivano una maggiore prudenza operativa. Più significative le analogie sul piano ideologico e politico, specialmente dopo il 1905. Innanzitutto, entrambi i movimenti guardavano con ammirazione al contesto occidentale europeo, assunto a modello dei cambiamenti. Questo spingeva all’idea che tutti i sudditi o cittadini dovessero godere di pari diritti ed opportunità. Anche i secolaristi kazaki assunsero spiccate posizioni anti-sistema, ma in contrapposizione alla dualità del trattamento dei sudditi dell’Impero ed in misura minore in riferimento ad astratti ideali di “giustizia”. La dominazione russa era semplicemente una realtà che doveva essere accettata e per certi versi la posizione kazaka fu molto meno “progressista”, in quanto orientata al mantenimento di alcuni caratteri della società tradizionale. Lo stesso ascendente “occidentale” ebbe una valenza molto più ideologica e utopistica tra i giovani universitari russi, mentre per i giornalisti e propagandisti kazaki “Occidente” era maggiormente sinonimo di un complesso di innovazioni tecnologiche e culturali più ampio e generico. L’Occidente “dei russi” era poi prabilmente l’Europa coloniale e delle crescenti democrazie dell’epoca, quello “dei kazaki” rimase piuttosto la Russia stessa in contrapposizione alle istanze locali più tradizionaliste e conservatrici. Esistono poi affinità e differenze sul piano operativo. Anche i kazaki cercheranno di agire da educatori delle masse e nella stessa misura falliranno nei propri intenti, essendo il campo dell’educazione popolare essenzialmente monopolizzato dai religiosi. Infine va considerato come l’apparente coincidenza di posizioni e strategie sarà la causa delle ambiguità della partecipazione kazaka alla rivoluzione bolscevica, erede dell’intelligencija ottocentesca (Spunti e riflessioni da: Victor Zaslavsky, Storia del Sistema Sovietico. L’ascesa, la stabilità, il crollo, Carocci Roma 2001, pp. 41-49). 368 A. Bennigsen & C. Quelquejay, op.cit, pp.55-56

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Kazakistan non fosse più limitato alla sfera economica, ma sistematicamente concepito per l’eliminazione della stessa cultura del proprio popolo. Qualsiasi moderazione teorica era stata superata e Bukeikhanov pagherà in prima persona per le proprie idee durante le repressioni del governo Stolipyn, venendo incarcerato due volte.

Le molteplici testate emerse a seguito della liberalizzazione della stampa ebbero spesso vita breve. Ciononostante segnarono una vitalità intellettuale rimasta nascosta sino a quel momento. Firme secolariste e religiose si divisero il campo sulle pagine di Serke, Kazakstan, Alash, Ai Kap, Kazak e altri. Ma non si trattava di un’effettiva competizione. Come aveva dimostrato la parentesi parlamentare esistevano ampi margini di collaborazione, nonostante le differenti vedute strategiche. Si potevano assumere posizioni più o meno tolleranti verso le istituzioni russe, più o meno conservatrici in religione, ma l’intento comune era ormai chiaro e la destinazione ultima dell’azione politica era la mobilitazione delle masse. All’apice della modernizzazione pareva insomma che si stesse giocando su un altro campo una lotta antica: quella tra le aristocrazie per guadagnarsi l’autorevolezza necessaria a guidare il popolo. Non erano più i pascoli l’oggetto del contendere, ma idee completamente nuove che richiamavano all’orgoglio identitario, sopito da tempo o mai conosciuto con tale intensità.

Certamente la dominazione russa era stata determinante in questo processo e non più contraddittoria della tardiva islamizzazione. L’effetto complessivo sarà però l’emergere di un popolo musulmano che desiderava ormai organizzarsi autonomamente da poteri esterni secondo standard occidentali acquisiti e ormai interpretati come positivi. Nello stesso campo dell’economia, fondamento dell’edificio culturale tradizionale, si riconobbe l’inevitabilità della modernizzazione. Ma sedentarizzazione e agricoltura cominciarono ad essere interpretate come tappe di un percorso comune a tutte le popolazioni del pianeta, studiate o visitate in prima persona, e non come una giustificazione plausibile per la subordinazione politica e lo snaturamento culturale. La mentalità tradizionale, con i suoi ricordi e le sue leggende, la sua organizzazione sociale e i valori sottostanti, continuava a dimostrare la propria flessibilità. L’abbandono del nomadismo non giustificava l’asservimento, ma era una necessità per conoscere nuovamente un benessere economico sostenibile e diffuso. L’organizzazione statale poteva essere riempita di valori e forme sociali tipicamente kazake, non esclusivamente russe o islamiche, secolariste o religiose369.

La situazione complessiva delle steppe peggiorò ulteriormente prima della Grande

Guerra. Specialmente negli oblast di Syr Darya e Semirechia si conobbero gli effetti della tardiva, e per questo ancora più rapida e violenta, espropriazione delle terre. Eppure le avvisaglie di rivolta non furono intuite nel Türkestan, dove fino al 1916 gli amministratori locali parlavano di una popolazione “assolutamente pacifica”370, con la stessa lucidità con cui vennero intraviste nelle steppe, in cui già nel 1913 le autorità locali avvertivano di non poter controllare la situazione se si fosse continuato ad espropriare la terra e discriminare i nativi.

Ma le condizioni economiche negative vennero ulteriormente esacerbate dallo sforzo militare dopo l’ingresso in guerra nel 1914, che ebbe ampie ripercussioni sul fronte internazionale ed interno. Sul piano dei rapporti internazionali il conflitto vedeva la Russia schierata contro l’Impero Ottomano ed affianco a Gran Bretagna, Francia ed infine Stati Uniti, ormai emergente potenza internazionale. La contrapposizione all’Impero Ottomano accendeva un irrisolubile conflitto per i musulmani delle valli, legati da lunghe relazioni amichevoli con il califfo ottomano, ultimo rappresentante politico di un’unità tra musulmani, e per i più devoti kazaki del sud, genericamente impossibilitati a schierarsi contro dei correligionari affianco a degli infedeli. Ma persino 369 M.B. Olcott, op.cit, pp. 114-115 370 H. Carrère d’Encausse, The Fall of the Czarist Empire, p. 208, in E. Allworth (a cura di), op.cit.

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in piene steppe kazake, dove il legame storico con la Turchia era assai più debole, il clero musulmano seppe invocare il jihad come strumento di mobilitazione delle masse371. E proprio la sollevazione popolare in Türkestan e Kazakistan per molti versi fu la prima breccia ad aprirsi nella monoliticità del regime zarista372.

Infatti, all’interno dell’Impero la prima conseguenza della guerra fu la sospensione delle vie di comunicazione, così che gli scambi si ridussero ad una dimensione estremamente locale. Questo condusse inevitabilmente al crollo del prezzo dei bovini, il cui mercato era immediatamente saturato dal limitato consumo locale, e ad una crescente carenza dei beni provenienti dalla Russia. Benchè esenti dal servizio militare, in quanto ancora inorodtsy nonostante le riforme, ai kazaki furono richiesti svariati sacrifici: donazioni di carne, pelli e cuoio; di cavalli per la cavalleria; lavoro gratuito nei campi e nelle abitazioni degli slavi chiamati sul fronte. Nel mentre, aumentò la pressione fiscale, venne sequestrato del bestiame senza contropartita, si continuò nella confisca di terra.

Nel giugno 1916 l’esercito imperiale già pativa gravi sconfitte, legate specialmente alla carenza di approvvigionamenti. Venne allora sancita la costituzione di brigate di lavoro obbligatorio formate dai lavoratori indigeni, l’unica forza-lavoro ancora disponibile. La coscrizione interessò tutta la popolazione maschile dai 18 ai 43 anni di Caucaso, Steppe e Türkestan. In Kazakistan verranno infine prelevati 87.000 uomini dalla Semirechia, 60.000 dal Syr Darya, 50.000 da Uralsk, 40.000 da Akmolinsk, 60.000 da Turgai e 8.500 da Semipalatinsk373.

Così come gli effetti della crisi economica vennero amplificati dall’arbitraria fissazione dei prezzi da parte dei commercianti russi, allo stesso modo gli effetti della convocazione vennero peggiorati dalla sua interpretazione e applicazione374. Più in particolare, enormi problemi furono determinati dalla lettera ambigua del decreto, che rendeva incomprensibile ai nativi chi ne fosse colpito e chi dovesse materialmente occuparsi della scelta e dell’organizzazione della forza lavoro, facilitò una lettura arbitraria, differenziata caso per caso ed estremamente discriminatoria. La reazione fu immediata non appena la notizia si diffuse tra gli aul, ma nonostante l’ampio dispiegamento dell’esercito il vero successo dell’operazione dipendeva dalla collaborazione di aqsaqal e mullah. E nonostante si preferisse in un primo momento risparmiare gli individui oltre i trentun’anni, la situazione cambiò in proporzione all’utilizzo politico che essi ne fecero. Negli aul dove più spiccata era la competizione per il potere, i capi in carica inserirono puntualmente tutti i giovani conformi della fazione rivale, escludendo però famigliari ed alleati. Questi divennero le prime vittime della violenza, seppure la portata degli avvenimenti successivi distolsero i più dal continuare la collaborazione con i russi.

La rivolta esplose il 2 luglio in Semirechia e Syr Darya e di lì a poco nel resto della guberniia: il 4 a Samarcanda, l’11 a Tashkent e poi nel Fergana. L’arrivo della rivolta a Tashkent segnò il primo coinvolgimento dei nomadi kirghizi e kazaki. Nel mese di Agosto gruppi organizzati di qualche migliaio di persone e composti da kirghizi, kazaki e uzbeki presero di mira le vie di comunicazione. Dapprima la linea ferroviaria Orenburg-Tashkent; poi le stazioni telegrafiche e gli uffici postali lungo la strada che univa Tashkent e Vernyi; infine per tutto il mese l’intera rete stradale rimase sotto la minaccia di imboscate. Ma in settembre nove compagnie dell’esercito e quattro distaccamenti cosacchi guidati dal generale Lavrent’iev riportarono l’ordine con la forza. Nei due mesi successivi vennero compiuti rastrellamenti aul per aul per scovare chiunque si fosse opposto alla coscrizione. Interi villaggi, giudicati collaborazionisti,

371 M.B. Olcott, op.cit, pp. 118-120 372 H. Carrère d’Encausse, op.cit, p. 207 373 M.B. Olcott, ibidem 374 H. Carrère d’Encausse, op.cit, pp. 209-210

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vennero bruciati. Alla fine di ottobre si contavano alcune migliaia di morti e circa 300.000 sfollati. Alcuni rimasero al sud in attesa di essere riaccampati, alcuni si spinsero al nord per unirsi agli scontri, ma circa un terzo della popolazione migrò in Cina375.

Tra i kazaki si distinse negli scontri attorno a Vernyi Tokash Bokin. Come Turar Ryskulov egli sarà in seguito uno dei protagonisti della presa del potere bolscevica nelle steppe. Quest’ultimo sarà uno tra i primi kazaki dopo la sollevazioni a Tashkent a far ritorno per organizzare la rivolta nelle steppe, dove a partire da metà luglio consigli di aqsaqal si riunirono periodicamente ed assunsero la guida della sollevazione. A cominciare da settembre si può parlare di una resistenza organizzata ed efficiente anche per il settentrione, seppure già ad ottobre la resistenza venne smorzata dall’arrivo dei rinforzi provenienti dal Türkestan del generale Lavrent’iev.

Mentre anche i collaborazionisti del nord venivano inseguiti e giustiziati e la masse costrette ai lavori, il cuore della rivolta si spostò a occidente, nell’area oltre l’Ural. Qui Amangendy Imanov (1873-1919) riuscì a mobilitare e coordinare un esercito di ben 20.000 uomini che portò a segno il maggiore risultato strategico della rivolta con l’assedio di Turgai. Isolata completamente, la città venne tenuta in scacco dalla metà d’ottobre per un intero mese. Ma alla fine di novembre ancora le truppe di Lavrent’iev avevano già disperso i combattenti, dopo aver falciato tutte le resistenze incontrate lungo il cammino.

Dal canto loro, dopo una breve esitazione iniziale che gli aveva visti appoggiare lo zar in guerra e osteggiare la sollevazione popolare, anche i nobili intellettuali kazaki dovettero convertirsi alla causa della rivolta per non esserne travolti. Essi temevano infatti la concorrenza di aqsaqal e mullah che palesarono in quest’occasione la capacità di coagulare consensi e malcontento in presenza di condizioni favorevoli. Tuttavia, se l’appoggio esterno e logistico alla sollevazione si fece sempre più palese e determinante, rimase importante fino all’ultimo non cadere nella trappola della censura. L’approccio editoriale non potè che essere prudente, imperniato su una linea che ribadisse le ragioni kazake pur condannando gli eccessi di violenza di entrambe le parti. Questa moderazione giocò a favore delle autorità russa che fino all’ultio enfatizzarono la disponibilità a collaborare di alcuni settori della società in rivolta. Tuttavia, i più giovani tra gli intellettuali seppero abbondantemente riscattare la categoria attraverso un massiccio supporto logistico ed organizzativo, che spesso si rivelò essenziale per la durata e le proporzioni della lotta.

Alla vigilia dell’abdicazione di Nicola II (27 febbraio 1917), la rivolta nazionalista era stata pressoché completamente smantellata, nonostante il supporto totale da parte della popolazione e delle sue “avanguardie”. La repressione fu puntuale e massiccia, benchè di difficile valutazione. Alle perdite legate direttamente agli scontri, vanno sommate quelle determinate dalle fughe di belligeranti e non verso le zone più ostili e inabitate del paese, deserti e montagne, così come ai lunghi percorsi migratori verso la Cina o le valli. La permanenza nelle prime garantiva scarse possibilità di sopravvivenza, mentre non sempre gli sfollati poterono trovare una nuova collocazione o essere accolti dalle popolazioni locali. Le perdite legate all’abbandono di terre e alla morte di bestiame spinsero poi i più volenterosi e validi a tentare la via del ritorno dopo che la rivolta era stata sedata. Pochi riuscirono nell’impresa e questi dovettero ammirare il desolante scenario delle proprietà distrutte per vendetta dai russi o dei campi ulteriormente spartiti e occupati da estranei. Con un pizzico di cinismo si potrebbe quindi conclusivamente affermare che il contributo kazako alla sconfitta dello zarismo sarà del tutto indiretto, involontario e non pianificato: le perdite complessive in termini di produzione agricola e soprattutto allevamento furono infatti così massicce che, pur scaturite dai sacrifici

375 M.B. Olcott, op.cit, pp. 120-121

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richiesti per sostenere lo sforzo bellico, contribuirono paradossalmente alla definitiva crisi militare prima e poi politica del regime376.

Quest’ultimo capitolo della politica delle steppe sotto lo zarismo sarà infine caratterizzato da una pesante repressione. L’intento delle autorità russe locali era fornire una dimostrazione pubblica di come la non-fedeltà al regime zarista non fosse accettabile. L’istituzione poi di tasse collettive per ogni aul aveva il fine di obbligare gli aqsaqal sopravvissuti o collaborazionisti a sviluppare un maggiore controllo sui proprio sottomessi. Infine, anche grazie alla collaborazione di questi ultimi i pochi ribelli sopravvissuti e non ancora incarcerati furono catturati e condannati a morte, benchè il precipitare degli eventi consentì l’esecuzione solamente di una loro parte. E coloro che sfuggirono all’incarceramento, non scamparono ai lavori forzati per l’esercito ancora in piena guerra.

Dal canto suo, l’amministrazione russa non ricavò dalle recenti esperienze suggerimenti per una revisione della politica delle steppe. Rafforzò piuttosto le proprie convinzioni sull’inciviltà dei sottomessi e l’importanza di uno sfruttamento razionale delle preziosissime steppe. Nel breve periodo di tempo che separa questi avvenimenti dal crollo dello zarismo, si potè allora assistere a nuovi esperimenti amministrativi e sociali. Questi erano basati sull’assunto che fosse necessario separare fisicamente la popolazione kazaka e russa, cosicchè ai primi vennero assegnate le aree più isolate dell’Altopiano e le aree desertiche più lontane da infrastrutture e corsi d’acqua. Lo spostamento stesso dei 200.000 nativi di ritorno dalla Cina o banditi dalle aree “russe” fu facilitato dal volume delle perdite umane patite. L’apparente razionalità del progetto pareva ora aver scoperto le differenze economiche esistenti tra le due popolazioni ed averle accettate: ai russi sedentari vennero garantite le terre più adatte all’agricoltura, mentre gli altipiani e deserti erano oggettivamente funzionali solo per l’allevamento. Tuttavia la reclusione ora imposta ai kazaki negava la caratteristica chiave del nomadismo tradizionale, cioè la transumanza e l’accesso ai pascoli migliori, ormai convertiti alla coltivazione e stabilmente occupati da “estranei”.

Infine, il bilancio politico di quegli avvenimenti dimostrò come i leader tradizionali non fossero ormai in grado di guidare una rivolta vincente, nonostante l’inattesa coesione sociale. E nonostante la crisi del regime, la povertà pregressa e poi esasperata dalle rivolte, la decimazione conseguente al conflitto e alla sua repressione, rendevano ormai il regime russo un nemico palesemente superiore alle oggettive capacità kazake. Ciononostante la leadership emergente, la giovane classe degli intellettuali, faticava a guadagnarsi la stima incondizionata della popolazione rurale, diffidente verso i suoi metodi di lotta, i suoi raffinati codici comunicativi, le sue ambigue posizioni di mediazione tra le parti e nonostante il supporto alle recenti lotte. Si dovevano ora attendere nuovi eventi, per lo più esterni all’Asia Centrale, per il superamento della crisi delle leadership377.

376 Non si può certo affermare che sia stata la sollevazione kazaka a determinare il crollo dello zarismo. Certo è che questa si sviluppò in un momento particolare inserendosi in un’amalgama di fattori: la guerra stessa, l’arretratezza tecnologica, la crisi economica e il malcontento politico semplicemente acutizzati dal conflitto. Tuttavia, il mancato sostegno kazako all’approvvigionamento di beni come cavalli, pelli e carne, ed il loro rifiuto di costituire le milizie di lavoratori loro imposte e il massiccio dispiegamento di truppe per la repressione, privarono senz’altro il fronte vero e proprio di molteplici energie. 377 M.B. Olcott, op.cit, pp. 118-126

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Capitolo 3. Ascesa e negazione del nazionalismo (1917-1953)

Il periodo sovietico rappresenta un’ulteriore tappa del processo di trasformazione

della società kazaka tradizionale e sicuramente la più incisiva tra quelle precedenti l’indipendenza. Se il compito di questo lavoro è valutare le premesse storiche dell’attualità politica in Kazakistan, evidenziandone gli effetti di lunga durata, il periodo sovietico merita di essere trattato con estrema accuratezza, allo scopo sia di enfatizzarne il lascito immediato sulla fase contemporanea, sia i palesi elementi di continuità con le fasi descritte in precedenza. I kazaki superstiti dovranno infatti ora confrontarsi con un regime che risponde perfettamente al paradigma di “totalitarismo moderno", di cui l’Europa della prima metà del Novecento pullulava seppure in forme spesso più blande378. In particolare, si viene così a creare un sistema di regolamentazione della vita sociale che non solo non è in grado di attuare le utopie comuniste, ma attraverso varie trasformazioni ripiega verso un nuovo regime autocratico, estremamente simile alla recente tradizione zarista. La differenza essenziale risiede negli strumenti ideologici e tecnologici di cui ora questo potrà disporre, a seguito della significativa accelerazione industriale voluta da Stalin. La capacità di pervadere la vita individuale supera di gran lunga qualsiasi forma di sudditanza sperimentata in passato, così come la capacità di controllo delle minoranze nazionali o politiche anche nelle zone più periferiche379.

Ma il 1917 non sarà per il Kazakistan solamente l’anno dell’Ottobre. Proprio per capirne la reale portata è necessario tenere a mente la paradossale convergenza di due dinamiche in apparenza opposte: la repressione militare, il tratto più pesante dell’amministrazione russa, ma anche l’emergere di un discorso nazionalistico maturo, per quanto scarsamente tutelabile data la debolezza economica e ormai anche di risorse umane e militari. Da un lato, il 1917 sarà semplicemente l’apice degli avvenimenti degli ultimi decenni, durante i quali le terre erano state ancora espropriate senza adeguate ricompense, le rivolte popolari pesantemente represse e l’economia schiacciata, a piena conferma della natura coloniale del regime. Dall’altro, i primi decenni del nuovo secolo hanno anche visto sia i nobili che le masse kazake protagonisti di eventi assolutamente significativi, anche se destinati a fallire. E seppure il governo dell’Alash appaia probabilmente oggi all’esterno come fenomeno di folklore nazionalistico e allo storico distratto come una breve e fortunata parentesi nelle aspirazioni di una ristretta cerchia proto-borghese, la sua stessa esistenza testimonia qualcosa in più.

Certamente la cruda realtà politica ridimensionerà rapidamente le ingenue aspettative e le promesse bolsceviche dei primi giorni, contraddicendone la propaganda a favore dell’autodeterminazione nazionale. Il ripristino di semplici meccanismi coloniali tradirà la promessa rivoluzionaria dell’eguaglianza e di un nuovo assetto sociale in Asia Centrale. Il mondo tradizionale verrà definitivamente alterato, ma ad esso si sostituirà un apparato burocratico solo in parte dissimile da quello degli ultimi decenni nelle sue caratteristiche sostanziali. Il periodo sovietico inciderà a fondo nel DNA socio-politico dell’intera regione, così come in quello economico-ambientale. Tuttavia, la non-unilinearità di tutte le dinamiche storiche ci impone di valutare, pur marginalmente, tutti

378 La scienza politica distingue tra totalitarismo e autoritarismo, in funzione della maggiore o minore capacità “totalizzante” di controllo, includendo all’unanimità il regime sovietico (specie nella fase staliniana) nella prima categoria. Ma in questo contesto la distinzione è tra “moderno” e “antico”, a enfatizzare le novità “strumentali” a disposizione. 379 Michael Karpovich, Precedenti storici del controllo sovietico sul pensiero, pp. 26-32, in Waldemar Gurian (a cura di), L’Unione Sovietica. Presupposti, ideologia, realtà politica, La Nuova Italia, Firenze 1954; Victor Zaslavsky, Storia del Sistema Sovietico. L’ascesa, la stabilità, il crollo, Carocci Roma 2001, pp.5-11

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gli elementi che rompono la monoliticità del quadro. E la sfida di questo capitolo risiede esattamente nel tentativo di argomentare come la società “tradizionale”, un miscuglio di pregressi elementi clanico-nomadici e ben più recenti sentimenti di appartenenza islamica, si siano in qualche maniera adattati, trasformandosi a loro volta in una nuova originale sintesi.

Certamente, queste risposte dipenderanno in buona parte dagli input provenienti dal centro e questi a loro volta dalla percezione variabile dei problemi legati alla nazionalità avuti da Mosca, così come dalle ridefinizioni ideologiche o operative che le lotte al potere al Cremlino hanno autonomamente determinato. Perciò, come compiuto per il periodo russo, l’analisi delle oscillazioni dell’orientamento di Mosca rispetto al problema delle nazionalità rimane una necessità insostituibile, che agirà in maniera più o meno evidente nel corso di tutta la trattazione. Ma se convenzionalmente si riconosce la più classica periodizzazione tra periodo leninista, staliniano, brezhneviano e gorbacioviano, valida da ultimo anche per le politiche delle nazionalità380, le necessità argomentative di questo lavoro impongono di soffermarsi principalmente sulle prime due. Da ultimo un’importante specificazione riguarda proprio la periodizzazione e la scelta di considerare il periodo sovietico come conclusivo dell’intero lavoro.

Questo conduce direttamente ai latenti problemi di metodo, categorizzazione ed analisi che deliberatamente si è deciso di escludere da questo lavoro381, ma che ne rappresentano l’implicita cornice e si presumono strumenti compiutamente a disposizione di chiunque si occupi di analoghi problemi politologici. In questa sede, bastano le seguenti considerazioni. Innanzittutto, rimane corretta l’intuitiva considerazione per cui uno stato è tale dal momento in cui è in grado di esprimere la propria sovranità all’interno ed all’esterno del paese, cioè garantirsi “il monopolio della forza” per l’ordine interno e la gestione delle dispute, nonché provvedere alla difesa da eventuali attacchi esterni. Questo è assolutamente corretto anche per il caso kazako e condurrebbe teoricamente (almeno) fino al 1991, anno del crollo del URSS e dell’indipendenza non-combattuta delle repubbliche sovietiche centrasiatiche. Nel periodo sovietico infatti esse erano sottoposte ad un regime interamente coloniale, con una forma istituzionale stabilita da Mosca, vertici scelti da Mosca, una presenza militare dipendente da Mosca e una totale assenza di potestà circa le scelte di politica estera. Questi limiti erano infine solo in parte giustificabili con la forma federale del regime sovietico.

Tuttavia, un territorio e la corrispondente popolazione non hanno necessariamente sperimentato il formarsi di un apparato statale in relazione all’indipendenza territoriale, come l’esperienza degli stati-nazione europei indurrebbe a credere. In essi il percorso di formazione della nazione è stato strumentale alla formazione dello Stato e venne poi rappresentato come coincidente dal punto di vista temporale. Anzi: lo Stato, una volta garantita in vario modo la maggiore omogeneità etnica possibile, è stato presentato come una conseguenza fisiologica dell’esistenza di una nazione. Ogni popolazione insediata in un dato territorio ha dato così apparentemente origine ad una corrispondente (e necessaria) entità politica autonoma e (in senso ampio) definita etnicamente, cioè per tradizioni, lingua, cultura, storia comune, etc. Ciò non toglie che spesse volte anche nella patria europea dello Stato-nazione le minoranze più irriducibili siano state assorbite da un apparato statale “etnicamente disomogeneo”, in cui cioè maggiore dignità giuridica è stata riconosciuta all’etnia prevalente. I loro diritti sono stati normalmente a lungo repressi, sia come individui che come gruppi di persone.

380 Geetha Lakshmi, Ethnic Conflict in Central Asia. A comparative Study of Tibet and Kazakhstan, New Dehli 2003 pp. 25-35 381 Nella seguente argomentazione ha svolto un ruolo rilevante la parte metodologica dell’opera di Katrin Benner (Die vielvölkerstaat Kasachstan, Ethnische Heterogenität in friedlicher Koesistenz, Lit Verlag, Hamburg 1996, pp.11-20), significativamente riferita al caso kazako.

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Solamente nel lungo periodo, se sopravvissuti, essi hanno potuto ottenere dei riconoscimenti. Ma l’esperienza stessa dello Stato è stata cionondimeno essenziale per la successiva affermazione o negazione delle proprie specificità culturali.

Infine, va tenuto a mente che per quanto rilevanti le evoluzioni sul piano giuridico-istituzionale, interessa qui registrare i cambiamenti e la maturazione sul piano della coscienza politica del popolo kazako. Ed innegabilmente il periodo sovietico avrà su di essa un effetto definitivo. Gli assetti politici ed amministrativi sono il pretesto, il dato di partenza da cui ricavare quali fossero i cambiamenti culturali sottostanti o conseguenti. L’organizzazione stessa di una repubblica kazaka separata fin dal principio sottolinea il riconoscimento ai kazaki di alcune peculiarità distintive. Non si trattò cioè più solamente di riconoscere delle differenze geografiche, quindi storiche od etniche, di ritagliare un territorio amministrativo in funzione del grado di resistenza armata o culturale al nuovo conquistatore. Si trattò ormai di prender atto della capacità di mimesi della cultura kazaka, come d’altronde la precedente esperienza autonomista di governo aveva recentemente palesato. E la scelta staliniana di ritagliare i confini delle repubbliche centrasiatiche sulla base delle etnie prevalenti in un dato territorio (probabilmente il tratto più caratteristico dell’esperienza coloniale sovietica in Asia Centrale) semplicemente rafforzerà in Kazakistan un’evoluzione che si era già definita in precedenza in maniera spiccata.

Gli effetti della Rivoluzione di Febbraio La Rivoluzione di Febbraio (Marzo 1917) era iniziata come un movimento spontaneo,

non guidato da alcuna forza politica specifica, né al di sotto di qualsivoglia stendardo ideologico. Essa rappresentava il culmine fisiologico di una crisi ben più vasta, dato che gli insuccessi, le morti e le perdite territoriali degli ultimi mesi servirono solamente a portare al definitivo collasso l’economia nazionale382. Come nel caso della Rivoluzione del 1905 questi eventi furono assolutamente indipendenti dai territori centrasiatici, dai loro problemi e perfino dalle recenti rivolte: la crisi del regime scaturì dal suo cuore, la Russia, e da qui andò diffondendosi nel resto dell’Impero383.

Nell’immediato, l’avvenimento venne accolto in maniera estremamente positiva dai kazaki: esso non aggiungeva nuovi morti o danni materiali, mentre sospendeva la repressione zarista seguita alla sollevazione dell’anno precedente384. Infine accendeva la speranza che il logorante conflitto potesse conoscere una rapida fine, mentre la caduta del regime potenzialmente apriva nuovi spiragli alla revisione della politica delle steppe385. Al contrario, tra i coloni, il clero e gli amministratori russi, accanto al differente coinvolgimento emotivo o politico per la caduta del regime, prevalse unanimamente il timore di perdere posizione, prestigio e proprietà in tutta l’Asia Centrale. Un nuovo istinto di unitarietà prese piede a livello locale e specie tra coloro che, come amministratori o militari, erano stati tra i promotori o esecutori delle recenti rappresaglie e punizioni386. Le due principali componenti della popolazione del Kazakistan si osservavano con diffidenza in attesa di passi falsi e maggiori certezze sull’evoluzione degli eventi a Pietrogrado. Nessun “abbraccio” aveva sigillato la caduta del regime tra queste due popolazioni, che si sentivano parimenti legittimate ad occupare la stessa terra, senza che la sua occupazione per il breve tempo di una sola

382 V. Zaslavsky, op.cit, pp. 51-53 383 Marco Buttino, La Rivoluzione capovolta. L’Asia Centrale tra il crollo dell’impero zarista e la formazione dell’URSS, L’Ancora del Meditteraneo Ed, Napoli 2003, p.105 384 Martha Brill Olcott in The Kazakhs, Hoover Institution Press, Stanford 1995, p. 130 385 M. Buttino, op.cit, p. 106 386 Hélène Carrère d’Encausse, The Fall of the Czarist Empire, p. 215 in Edward Allworth (a cura di), Central Asia. A century of Russian Rule, Columbia University Press, New York – London 1967

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generazione potesse essere stato sufficiente a farle sentire parte di un’entità distinta e separata dalle lontane, spazialmente o storicamente, comunità d’origine, cui entrambe continuavano a fare riferimento. D’altronde, l’assenza stessa di un “colore politico” nei distanti avvenimenti appena occorsi, così come di specifici vincitori (come accadrà invece nel novembre successivo) dinnanzi all’unico sconfitto certo, lo zarismo, impedì contraccolpi violenti a livello regionale, portando piuttosto ad un clima di attesa. Tutte le differenze politiche tra sostenitori e avversari dello zar sfocavano poi agli occhi dei nativi, quotidianamente indeboliti dalla presenza di un unico “straniero”, indistinguibile nella sua omogenea e materialissima occupazione delle risorse locali. Specularmente, nessuna differenziazione ideologica tra i russi, fossero questi cadetti, marxisti o socialisti rivoluzionari, apriva autentici spiragli verso le ragioni delle popolazioni indigene387.

Sia per l’esattezza storica che per cogliere l’autentica dinamica degli avvenimenti successivi, le loro conseguenze politiche devono essere valutate almeno da tre distinti punti di vista che, più o meno direttamente, determineranno specifiche conseguenze all’interno del Kazakistan: quelle a livello “di Impero”, cioè di sistema e valide per tutte le popolazioni prima sottoposte allo zar; quelle per le popolazioni musulmane “di Russia” nel loro insieme e come portatrici di interessi comuni; infine in termini di prettamente locali, cioè delle specifiche conseguenze per il popolo e il territorio kazaki.

Nel primo caso, la principale conseguenza nel periodo di tempo che separa dalla Rivoluzione di Ottobre è la precarietà politica incarnata dal Governo Provvisorio. Questo era stata il principale lascito di quegli avvenimenti, senza alcuna possibilità per le colonie di influenzarne la formazione e l’indirizzamento politico: dal cuore dell’Impero era giunta la crisi, dallo stesso sarebbero ora dovute provenire le indicazioni per la sua gestione istituzionale. Dal canto suo, il nuovo organo doveva ponderare le istanze di democraticità intrinseche nella rivolta e “la questione delle nazioni”, cioè il problema delle colonie: aree e popolazioni fino ad allora in posizione subalterna388. La debolezza intrinseca del Governo lo renderà presto incapace di gestire le varie etnie non-russe, di norma collocate alla periferia dell’Impero e verso le quali l’intento di russificazione era mediamente fallito (almeno come acquisizione passiva di una forma mentale “esogena”). Per giunta, la decisione di proseguire il conflitto fece ulteriormente rinviare la soluzione di tutti i principali problemi conseguenti il cambiamento di regime alla convocazione di un’assemblea costituente389. Era infatti necessario non inimicarsi i vari “leader etnici” ed altrettanto mantenere l’appoggio delle comunità slave locali390.

A differenza delle altre popolazioni centrasiatiche e al di là delle questioni

istituzionali (assetto del nuovo stato, etc.) o politiche (status delle minoranze, etc.), il principale problema kazako rimaneva quello della terra: bloccare la colonizzazione e 387 I borghesi optavano per un’opzione moderata, che implicasse una redistribuzione di diritti e possedimenti, che si doveva rivolgere principalmente contro i nobili del regime defunto, pur senza compromettere le poche posizioni economiche loro riconosciute fino a quel momento e piuttosto consentendo una emersione politica impossibile fino ad allora. I marxisti tutti, non ancora distinguibili in menscevichi e bolscevichi, identificavano come propria base sociale il proletariato, secondo il dettato marxista, con i contadini in una posizione di fatto subalterna. Infine, persino i socialisti rivoluzionari, pure i più vicini al mondo non-urbano, si rivolgevano comunque ad un mondo agrario e non ad uno residualmente pastorale e semi-nomadico. Le specificità della questione kazaka sfuggivano alle maglie delle ideologie. 388 M. Buttino, ibidem 389 H. Carrère d’Encausse, op.cit, p. 214. Un decreto governativo del 19 marzo sanciva una generica uguaglianza per tutti i cittadini, come primo passo verso le future e più sistematiche riforme civili. In linea di principio questo avrebbe potuto sancire, anche solo teoricamente, l’equiparazione tra russi e non. Tuttavia, la questione pendente era quella del riconoscimento delle specificità culturali di “gruppi di persone”, le nazionalità appunto, a cui accordare più o meno ampi diritti e prerogative. 390 M. Buttino, op.cit, p. 127

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garantire ai nativi la terra. Ma negli oblast kazaki come in Russia, dove il Governo non attuò la tanto attesa riforma agraria, esso fu altrettanto incapace di assumere decisioni definitive riguardanti l’amministrazione delle steppe. Il Governo si limitò piuttosto a spedire un proprio rappresentante che doveva riferire della situazione in questa periferia dell’Impero, ma privo di reali poteri di intervento, se non quello di organizzare incontri regionali per ottenere supporto popolare alle cause della Rivoluzione di Febbraio. Così mentre gli alti ufficiali zaristi venivano allontanati (o si dileguarono) senza essere completamente rimpiazzati, a livello locale la vita quotidiana nei villaggi russi o kazaki non subì autentiche modifiche391.

Solamente in aprile venne istituito un comitato governativo per il Türkestan a Tashkent, le cui strutture e competenze rimasero tuttavia indefinite fino alla Rivoluzione di novembre392, mentre le Steppe rimasero invece sotto il diretto controllo statale. Le ragioni di questa scelta non sono di difficile valutazione: accanto alla maggiore vicinanza al cuore dell’Impero, la sommossa del 1916 non era ancora stata completamente sedata in alcune aree steppiche allo scoppio della Rivoluzione di Febbraio393, circostanza allarmante per il debole Governo, per giunta ancora impegnato nella Grande Guerra. Per ragioni pratiche veniva così ribadita la precedente divisione amministrativa tra sud e nord, anche se le rispettive popolazioni kazake erano accomunate dai medesimi problemi. Ed infatti, nonostante i residui di rivolta a nord-ovest fossero infine stati sedati e nonostante l’interruzione dei lavori forzati, atto dovuto per guadagnare la popolazione alla causa della nuova amministrazione, sia al nord che al sud laddove la situazione concreta era più tesa trovarono nuovamente spazio azioni di violenza contro gli slavi ed i loro possedimenti.

Anche per evitare nuove sollevazioni, due milioni e mezzo di ettari vennero rapidamente restituiti agli aul kazaki in Semirechia, da cui la rivolta era scoppiata. Ma la questione della terra non verrà mai sottoposta ad un’analisi sistematica: le steppe potevano infatti ancora funzionare come territorio “di sbocco” per un’ulteriore emigrazione slava che riducesse la pressione sociale nel cuore dell’Impero, comunque gravato dagli sforzi bellici e dalla disperazione che ne seguiva. Il desiderio dei kazaki di avere un controllo pieno sui propri territori era eccessivamente ambizioso ed il debole Governo non disponeva delle risorse per accondiscendere ad una decisione tanto coraggiosa.

Ma neppure quando il Governo dichiarò le steppe area di emergenza potè far fronte ai necessari interventi e la condizione del popolo peggiorò ancora in totale assenza di potere centrale. Erano ancora una volta gli aqsaqal a cercare invano di supplire alle urgenze quotidiane con i pochi mezzi disponibili. Si dovette attendere il settembre di quell’anno perché venissero prese le prime decisioni di “contingentamento”: tutte le aree confiscate, ma non ancora assegnate dovevano essere restituite all’utilizzo precedente; ulteriori lotti di terra vennero riaffidati ai nativi in Semirechia perché troppo onerosi per l’irrigazione; infine, vennero stanziati 11 milioni di rubli, con una media di 100 rubli per nucleo famigliare. Ma se questi interventi rivelano una crescente attenzione verso le steppe ed una maggiore disponibilità di mezzi, giunsero senz’altro con eccessivo ritardo rispetto alla prossima presa del potere bolscevica.

Nel tentativo di non vanificare le deboli iniziative intraprese, il Governo Provvisorio selezionò infine alcuni indigeni come funzionari governativi per le steppe e per il

391 H. Carrère d’Encausse, op.cit, pp. 221-222 392 M.B. Olcott, op.cit, pp. 130-131. Si capì che fosse necessario individuare un centro da cui svolgere inizialmente le funzioni di governo e a partire dal quale si sarebbe potuto estendere il controllo reale sul territorio ed accrescere gradualmente la legittimità del nuovo governo su tutta l’Asia Centrale. La città eletta a tale scopo divenne Tashkent, non troppo lontana dal cuore dell’Impero e abbastanza vicina alle estremità più meridionali. 393 H. Carrère d’Encausse, op.cit, pp. 213-215

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Türkestan. In entrambi i casi questi non poterono che essere i secolaristi, che nonostante i recenti fallimenti a livello centrale (in particolare, l’elezione di Tinynshbaev a Ministro dell’Agricoltura), erano i più consapevoli tra le forze in campo dei codici politici e maggiormente affidabili per la passata esperienza parlamentare, oltre che quindi per la moderazione dimostrata fino a quel momento. Così gli sforzi kazaki in questa fase non potevano che essere distribuiti su entrambe le amministrazioni: Bukeikhanov e Baytursinov, tra gli altri, divennero i funzionari indigeni del debole Governo nelle Steppe, ma il primo fu anche uno dei quattro musulmani al Comitato del Türkestan che sostituì il governatorato. Ma si trattava ancora nella forma di un’organizzazione “russa”, dipendente dai residui dell’apparato imperiale, e nella sostanza di una struttura troppo debole394. La “via kazaka” verso lo Stato non poteva ancora compiutamente esprimersi.

Nel mentre, il nuovo clima di libertà politiche e civili che la caduta dello zarismo

aveva determinato consentì un intenso fervore intellettuale e politico che ricordava da vicino il clima che aveva scosso l’Impero nel 1905. Amministratori, militari, operai, intellettuali, clero musulmano e ortodosso, tutti si sentivano chiamati a prendere parte al dibattito in corso sul futuro assetto politico. Per tutto l’intervallo tra le due Rivoluzioni questa atmosfera rimarrà, con i problemi delle steppe in Kazakistan, la principale caratteristica in tutta l’Asia Centrale. Tuttavia, lo status coloniale e il regime militare rafforzato dalle recenti rivolte rendeva molto più complicato svolgere qualsiasi ruolo reale nel processo decisionale395.

Ciononostante sia tra i kazaki del nord che del sud la ripresa dell’attività di stampa ed il fiorire dei circoli dei giovani intellettuali consentirono in questo breve periodo un’ulteriore significativa maturazione della riflessione e dell’autocoscienza nazionalista. E su tutti la precedente generazione di intellettuali-attivisti ebbe un ascendente notevole396. Questa era sopravvissuta alle repressioni stolypiane e, ricostituitasi in un circolo nazionalista già nel 1912 (subito dopo la morte del Primo Ministro nel 1911), aveva riunito gli sforzi dei propri componenti sulle colonne della nuova testata Qazaq, fondata l’anno successivo397. Sia le posizioni più radicali che quelle più moderate che emergeranno nell’estate del 1917 troveranno puntualmente spazio su Qazaq, che si guadagnerà così un notevole prestigio come principale, seppure non esclusiva, arena politica nazionale. Ma nonostante l’autorevolezza di questi pensatori, nessuno era in grado di chiudere l’agenda del frenetico discorso politico di quel momento o imporre la direzione delle riflessioni, posto che si tardava a trovare posizioni definitive e che non dovessero essere riviste continuamente in base alle incerte risposte del Governo e all’irregolare reazione popolare398.

Certamente in questa primissima fase tutte le elites secolarizzate emersero quindi notevolmente rafforzate. Esse rappresentavano un tramite inevitabile per tutti coloro che consapevolmente (sempre più numerosi per l’accresciuta istruzione ed alfabetizzazione, ormai di terza-quarta generazione) intendevano ottenere “l’autodeterminazione” e necessitavano perciò di tramiti competenti e dotati di esperienza diretta (quella nella Duma) per essere iniziate alle “questioni di potere” dell’Impero non-zarista, decadente ma ancora integro territorialmente nel 1917. D’altronde, la stessa natura della sollevazione, non violenta e indolore, e l’apparente clima di legalità sembrava rendere ancora una volta possibile, come era accaduto nel 1905, poter perseguire le proprie ragioni politiche in un quadro di dialogo, concessioni contro collaborazione. E proprio

394 M.B. Olcott, op.cit, p.129-130 395 M. Buttino, op.cit, pp. 105-106 396 M.B. Olcott, op.cit, p. 131-135 397 M. Buttino, op.cit, p.129 398 M.B. Olcott, ibidem

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la posizione da assumere verso il Governo Provvisorio rimase la questione centrale da risolvere in questa effimera fase. Questa dipendeva ovviamente dalla sua disponibilità a concedere ai kazaki la gestione delle risorse del paese e a rimettere a disposizione le terre confiscate arbitrariamente negli ultimi 25 anni, a consentire cioè un’ampia autonomia amministrativa. L’ipotesi di una separazione o ancor di più di un’alterazione discriminatoria dello status giuridico degli slavi non era minimamente presa in considerazione. Ma d’altronde, né il Governo poteva imporre una soluzione con la forza, né i kazaki guidare un forte movimento separatista, per assenza di seguito popolare e di risorse economiche sufficienti. Per di più l’esercito era ancora impegnato in guerra e i kazaki erano stati anch’essi decimati negli scontri di qualche mese prima.

Ma la vera novità risiedeva nel fatto che la caduta dello zarismo aveva consentito di

riprendere il dialogo tra le popolazioni kazake del Steppnoj Kraj e dei due oblast meridionali di Semirechia e Syr Darya al di fuori degli spazi angusti della clandestinità e della separazione amministrativa399. Le idee veicolate da Qazaq si erano da tempo diffuse anche al sud400, dove pure emergevano testate locali e i nomadi avevano da tempo un’importante posizione politica, come gli eventi del 1916 avevano d’altronde dimostrato. Anche al sud erano poi emerse delle figure ampiamente assimilabili ai patroni di Qazaq e in stretto legame con loro, un’elite intellettuale molto limitata in numero, ma dalle caratteristiche molto simili. Ancora una volta si trattò di persone di origini aristocratiche e che avevano potuto usufruire di un’istruzione superiore, spesso di natura tecnica401.

399 Ritengo non vada trascurato lo Zeitgeist di quegli anni, seppure i suoi legami con gli eventi qui trattati siano difficilmente ponderabili. Il primo conflitto mondiale stava portando all’emergere sullo scenario internazionale di concetti nuovi come la wilsoniana “autodeterminazione dei popoli”, che spingeva a ragionare in termini di unità etnica (si veda in proposito il caustico Karl E. Meyer, La Polvere dell’Impero. Il “grande gioco” in Asia Centrale, Corbaccio Ed. Milano 2004, pp. 25-26). Numerosi fuoriusciti centrasiatici parteciparono a varie conferenze relative al problema denunciando gli abusi russi sulle minoranze, come la Conferenza di Losanna del 27-29 Giugno 1916. Anche il kazako Ahmad Safar vi partecipò esprimendo per il suo popolo il desiderio ad una considerevole autonomia, seppure non all’indipendenza (Hélène Carrère d’Encausse, The Fall of the Czarist Empire, pp. 207-208, in Edward Allworth (a cura di), Central Asia. A century of Russian Rule, Columbia University Press, New York – London 1967). Non va infine dimenticata l’influenza “indipendentista” o “auto-determinista” anche delle idee di Lenin (Alexandre Bennigsen & Chantal Quelquejay, Les Mouvements Nationaux chez les Musulmans de Russie. Le Sultangalievisme au Tatarstan, Mouton & Co. Paris 1960, p.65), in realtà precedenti le stesse formulazioni wilsoniane. 400 M. Buttino, op.cit, pp. 128-129. Anche al sud l’Alash ebbe i propri organi di stampa, tra cui Birlik Tuuy in particolare assurse ad una posizione molto simile a quella di Qazaq (M. Buttino, op.cit, pp. 138-139). 401 I più carismatici rappresentanti dei secolaristi del sud furono Muhammad Tinyshbaev e Mustafa Chokaev. Il primo nacque da una ricca famiglia, da lungo tempo impegnata nella mediazione con gli indigeni per conto dell’amministrazione. Dopo aver ricevuto la propria formazione superiore a Vernyi, ebbe modo di studiare ingegneria a Pietroburgo, così da essere uno dei pochi tecnici indigeni al suo ritorno in patria e uno dei principali supervisori della costruzione della linea ferroviaria della Semirechia. L’iniziazione politica risale al 1905, quando su invito di Bukheinkhanov prese parte alla fondazione dell’Alash Orda, divenendone presto il principale rappresentante al sud, oltre che rappresentante nella Seconda Duma. In occasione degli eventi del 1916 assume una posizione perfettamente in linea con il resto del movimento nazionalista laico, risorto nel 1912: calmare le rivolte, su cui non si aveva alcun ascendente, e garantire condizioni di arruolamento più favorevoli, che avrebbero consentito di avanzare maggiori diritti in caso di vittoria. Membro della delegazione che si recò a Pietrogrado ed ottenne la visita del presidente Kerenksij in Türkestan, all’arrivo del generale Kuropatkin in Türkestan, ne divenne collaboratore, offrendosi come interprete e mediatore con le popolazioni locali. Difensore fino all’ultimo della sollevazione popolare, secondo lui causata dagli abusi ai livelli medio-bassi dell’amministrazione, egli ritenne comunque salutare l’influenza russa per la modernizzazione dei costumi tradizionali. Gli stessi abusi, erano perfettamente disgiungibili dai benefici già apportati alla popolazione locale e causati da degenerazioni più recenti, come l’usurpazione della terra. Quando infine divenne l’unico membro turkestano del Comitato locale del Governo Provvisorio, la sua autorevolezza sia presso la popolazione

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Ma accanto ai tentativi dell’Alash Orda di rappresentare i kazaki come un singolo popolo unito da ataviche tradizioni comuni e soprattutto dal medesimo meccanismo di predominanza nobiliare, ora non più militare ma intellettuale, si palesò la distanza che sessant’anni di dominio russo avevano determinato tra popolazioni settentrionali e meridionali, sottoposte a due amministrazioni distinte e protagoniste di eventi in parte diversi402. La principale differenza sociale risiedeva nel ruolo minore svolto fino ad allora dal clero conservatore al nord, dove invece il dibattito intellettuale apparteneva ai secolaristi403.

Le fonti riportano che già nel corso di uno dei primi incontri ad Uralsk, si consentì un’ampia partecipazione popolare, così da renderlo quanto più rappresentativo possibile. Ma la via della democraticità quasi diretta divenne impercorribile, e non solo per i più intuitivi motivi pratici, ma in quanto rifletteva differenti idee di politicità stessa. I convegni erano infatti stati organizzati dai secolaristi, che avevano promosso la presenza delle donne. Questo causò lo scandalo nel clero musulmano, che rifiutò di parteciparvi finchè queste non fossero state messe a sufficiente distanza da loro e ben lontane dall’agorà vera e propria. Allo stesso modo si opposero ai costumi occidentali dei loro interlocutori “laici”. Questi piccoli episodi, che semplicemente impedirono l’emergere di proposte concrete, lasciano comprendere le difficoltà inerenti alla stessa società come presupposto dell’azione politica e alle sue ferite trasversali di appartenenza culturale e sociale404.

Analogamente nell’oblast di Turgai (2-8 aprile) il dibattito politico venne promosso dai secolaristi. Vennero raccolti ben 300 delegati provenienti da differenti aree e perciò sufficientemente in grado di rappresentare l’intera popolazione. Tuttavia, in questo caso vennero preventivamente inclusi solamente coloro che guardavano ai problemi correnti in un’ottica di unità storico-culturale di tutti i kazaki, così che l’intero dibattito potesse muovere nella direzione desiderata e portare a proposte politiche concrete. Presieduto infine dai già citati Ahmed Baitursunov, Bukheikhanov e Dulatov esso arrivò a comprendere anche le componenti religiose più aperte al dialogo e alle riforme. La presenza stessa dei primi rendevano le decisioni di quei giorni organicamente connesse alla precedente esperienza dell’omonimo partito, fondato in occasione della Duma. E di contro, al contrario della precedente e fallimentare esperienza, le soluzioni quì adottate nel campo degli affari religiosi, dell’economia, della guerra possono essere a ragione considerate la piattaforma da cui mosse il futuro governo autonomo dell’Alash Orda.

Dal punto di vista delle autonomie religiose, venne rilanciata l’idea del muftiato di Orenburg come legittimo organo degli Interni per gli affari religiosi centrasiatici, purchè

che il Governo stesso, lo resero una delle figure cruciali di questa pur breve fase (M. Buttino, op.cit, pp. 128-133).

Analogamente Mustafa Chokaev, di una decina d’anni più giovane, era nato da una famiglia di capi della tribù Kiptchak. Dopo aver frequentato il ginnasio russo a Tashkent studiò legge a Pietroburgo. Origine e formazione avranno un ruolo determinante nella sua rapida ascesa politica. L’impegno politico inizierà all’epoca dell’esclusione kazaka dalla terza Duma, a partire da cui entrerà infatti in sistematico contatto con Bukeikhanov. Membro della commissione della Duma che accompagnerà il presidente Kerenskij in Türkestan, divenne infine uno dei principali protagonisti anche sul fronte del dibattito regionale e nazionale (M. Buttino, op.cit, pp. 133-134). 402 M.B. Olcott, ibidem 403 H. Carrère d’Encausse, op.cit, p. 213. Buttino (op.cit, pp. 125-127) parla in riferimento al Türkestan Kraj di tre influenze e accorpamenti politici: gli intellettuali di cultura secolare, di alte origini sociali e formatisi negli istituti superiori russi, che erano principalmente tatari e kazaki; gli intellettuali jadid responsabili della rinascita culturale del Türkestan e in stretto contatto con le vicende del resto del mondo ottomano, ma con scarse esperienze politiche; gli ulema conservatori, contrari alla modernizzazione delle tecniche e delle idee, ma ora convocati dalla stessa caduta dello zarismo ad un ruolo politico attivo di conduzione delle masse e di edificazione di una “nuova società” libera dalle influenze russe o tatare. 404 M.B. Olcott, op.cit, pp. 132-133

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i kazaki potessero in esso avere maggiore rappresentanza rispetto al passato e i delegati dovessero essere esclusivamente eletti dal popolo. Veniva poi proposta l’abolizione di qualsiasi limite nel numero dei funzionari religiosi, esclusivamente funzionale al numero di moschee, a loro volta liberamente edificabili previa richiesta delle popolazioni locali. Pur sancendo la separazione tra chiesa e stato, veniva tuttavia ribadita la necessità di una gestione congiunta delle questioni dell’istruzione. Quest’ultima veniva dichiarata obbligatoria e sancito l’obbligo dello stato di finanziare il clero per lo svolgimento di queste funzioni.

Le conclusioni riguardanti il problema delle terre rivelavano una certa comprensione per i problemi del Governo Provvisorio, al quale in attesa di un sistematico intervento legislativo venne però richiesta la restituzione di tutte le terre sequestrate illegalmente, mentre i russi potevano provvisoriamente continuare l’utilizzo di quelle confiscate nel rispetto del quadro legislativo esistente sotto lo zarismo. Infine, la conferenza invocò la convocazione di una commissione speciale per la questione delle steppe; quest’obiettivo sarà fino all’ultimo la principale destinataria degli sforzi di mediazione a Pietrogrado.

La conferenza considerò anche la questione del conflitto ancora in corso. Esattamente come in occasione degli eventi dell’anno precedente anche questo convegno dei secolaristi espresse piena solidarietà alle autorità centrali405. Era infatti loro sincera convinzione che l’adempimento fedele dei propri obblighi di (ex-sudditi e ormai di) cittadini avrebbe consentito di guadagnare credito presso i russi, ottenere pari ricompense in caso di vittoria e avere più peso nella richiesta di nuovi diritti406. Alla riconosciuta necessità di proseguire nell’impopolare conflitto e perciò stesso di fornire forza lavoro, vennero però contrapposte delle salvaguardie per la popolazione: miglior trattamento sul lavoro e assistenza sanitaria; impossibilità di convocare coloro che erano i soli a provvedere al mantenimento di nuclei famigliari poco numerosi; una remunerazione corrispondente al lavoro svolto407.

Infine, nello stesso mese, si svolse ad Orenburg il primo congresso pan-kazako, in cui trovarono rappresentanza tutte le componenti sia meridionali che settentrionali e sembrò imporre la linea dei secolaristi sui religiosi e gli ambienti più ostili alla Russia. Ma accanto alla decisione di appoggiare il Governo nella guerra, nessuna vera decisione sembrò scaturire da questo incontro: i leader kazaki richiesero una debole autonomia e nel campo della cultura si limitarono a rivendicare l’uso esclusivo del kazako per l’istruzione, l’amministrazione pubblica e la giustizia408. Nonostante i numerosi incontri regionali che avevano preceduto il Congresso pan-kazako, le differenti posizioni non riuscirono a collimare o una a prevalere sulle altre. Si dovevano ancora aspettare altri eventi di quella primavera: la nascita del Centro Musulmano ad aprile ed infine la rottura nel Congresso dei Musulmani di Russia di maggio. Entrambi porteranno risultati concreti: la definizione delle diverse posizioni, autonomia culturale in uno stato accentrato russo versus autonomia politica in uno stato federale, ancora confuse fino a quel momento; la definizione del quadro delle possibili alleanze regionali, cioè con le altre colonie musulmane.

Il principale contributo türkestano agli eventi in corso in Kazakistan sarà

rappresentato dal Primo Congresso dei Musulmani del Türkestan (16-23 aprile), nel corso del quale verranno definendosi delle posizioni che, se da un lato risulteranno condizionate dalla stessa produzione intellettuale di Qazaq e dalla presenza di importanti esponenti dell’Alash (come Chokaev, Tinynshbaev e Bukeikhanov), a sua

405 M.B. Olcott, ibidem 406 M. Buttino, op.cit, pp. 129-130 407 M.B. Olcott, ibidem 408 H. Carrère d’Encausse, op.cit, p. 222

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volta rappresenterà un momento di riflessione significativo anche del dibattito nazionalista kazako.

Promosso essenzialmente dal dinamismo dei pensatori jadid, organizzati attorno all’associazione Shuro-i-Islamiya, esso incluse anche figure di spicco del clero conservatore come Said’Ali Lapin, ormai leader degli ulema tradizionalisti, raccoltisi nello Jamait-i-ulema. Le conclusioni del dibattito mancheranno di autentici punti fermi; ciononostante le sue conclusioni verranno rapidamente assimilate fino a rappresentare il paradigma di riferimento anche in Kazakistan una volta che le sue conclusioni verranno riferite in patria. Sui problemi istituzionali emersero varie posizioni: le più radicali optavano per una federazione di stati presieduta dalla Russia, ma con fortissime autonomie locali; altri preferirono assumere posizioni più moderate, nella fiducia che il nuovo corso democratico avrebbe trovato tempi e spazi per un’adeguata revisione dello status delle colonie. Tra i primi si schierarono Ahmed Zeki Velidi Togan (Toganov 18-19), leader del movimento nazionale bashkiro (ed appena iscrittosi al partito socialista-rivoluzionario), e il già noto Tinynshbaev; tra i secondi invece Mustafa Chokaev e Ali Khan Bukeikhanov. Sulle questioni coloniali si richiese una cessazione dell’ulteriore immigrazione slava e la restituzione delle terre. Infine, sui problemi religiosi, per quanto il testo contenente le conclusioni del Congresso sia andato disperso, pare siano state accettate le generiche affermazioni di principio degli ulema, cioè il riconoscimento delle autorità religiose e la costruzione del nuovo ordine nel rispetto della legge islamica. Si preferì probabilmente evitare immediate rotture sui punti più difficili e mantenere l’unitarietà dell’organo nato proprio in quest’occasione. La nascita del Türkestan Millî Shuras (Centro Nazionale dei Musulmani del Türkestan) può infatti essere considerata il principale risultato del Congresso. Suo compito era promuovere unitariamente l’attività politica nel kraj in vista dell’assemblea costituente e sviluppando sistematici contatti con le altre organizzazioni musulmane della Russia e principalmente con l’Alash Orda. Intrinsecamente esso intendeva da ultimo porsi come punto di riferimento di tutti i musulmani dell’Asia Centrale ex-zarista e portare ad una rappresentanza unica delle comuni istanze a Pietrogrado409.

Poco più in là, venne convocato a Mosca dall’1 all’11 maggio un nuovo Congresso

dei Musulmani “di Russia”, il primo dopo il disfacimento dell’Unione Musulmana da parte di Stolypin. L’incontro, promosso ancora una volta dai tatari di Kazan, aveva evidentemente lo scopo di valutare il ruolo che le varie minoranze musulmane potevano unitariamente assumere nel quadro politico post-zarista410. I più di 900 delegati che vi presero parte, di cui 300 clerici, rappresentavano le associazioni culturali, quelle giovanili e quelle di beneficienza, oltre che ogni nazionalità in proporzione alla rispettiva popolazione ed indipendentemente dall’orientamento politico, così che vennero comprese tutte le posizioni dall’estrema sinistra socialista alla borghesia moderata. Quest’ultima intendeva orientare l’azione politica musulmana verso una soluzione moderata, come quella che sembrò prevalere nella creazione del Governo Provvisorio. Tuttavia, prevalsero posizioni ben più estremiste, anche di ispirazione bolscevica, specie tra i tatari promotori del dibattito e principali ispiratori delle conclusioni del Congresso: sulla base dell’ideologia leninista del soviet di Pietrogrado si rivendicò il diritto delle popolazioni d’Europa, Asia e Africa di disporre di sé stessi411. Ma se non sorprende che i tatari, ossia la popolazione musulmana più benestante e occidentalizzata dell’Impero, avessero già conosciuto una maggiore influenza delle emergenti idee socialiste412 e che anche i kazaki furono tra le prime popolazioni

409 M. Buttino, op.cit, p. 133,136-137; H. Carrère d’Encausse, op.cit, pp. 216-217 410 M.B. Olcott, op.cit, p. 132 411 A. Bennigsen & C. Quelquejay, op.cit, pp. 63-65 412 Ivi, pp. 42-62

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musulmane sottomesse e maggiormente occidentalizzate413, il loro ruolo nei fenomeni in corso in Kazakistan merita di essere fortemente ridimensionato, specie in riferimento all’eccessiva enfasi posta su questo punto dalle fonti sovietiche. Sicuramente anche le elites kazake furono esposte in maniera crescente all’influenza socialista, ma le istanze estremiste emerse in occasione del Congresso Musulmano di Mosca devono comunque essere valutate in un paradigma esclusivamente nazionalistico. Ed in questo modo devono essere interpretate le posizioni di Halel Dos Muhammadov, il più influente rappresentante kazako in questa seduta e che sostenne la necessità che fossero riconosciute ai musulmani forti diritti territoriali, anziché una semplice autonomia per le questioni culturali, come la lingua ufficiale per l’istruzione, organizzazione religiosa, etc. Ancora, la riunione stessa, convocata per ribadire la primazia tatara, ne segnò invece la fine, a dimostrazione della maturazione indotta (e non solo in Kazakistan) dai significativi eventi di inizio secolo. Si venne infatti creando una fazione composta da azeri, bashkir ed altri, cui presero prontamente parte anche i rappresentanti kazaki, per ponderare la presenza tatara, da sempre superiore in numero e qualità dei rappresentanti414.

Infine, come nel caso dell’incontro ad aprile in Türkestan, anche l’incontro pan-islamico portò alla fondazione di un’associazione, detta Consiglio Centrale Nazionale (Milliy Markaziy Shora). Il suo compito principale era la coordinazione di tutti i musulmani in vista dell’assemblea costituente, ma a questa dichiarazione di intenti non seguirono sistematici incontri in tale direzione, cosicché questo progetto, per quanto destinato a continuare ad esercitare forti suggestioni anche sui nazionalisti kazaki, sarà destinato a fallire415. Per il momento, dal punto di vista dei kazaki il Congresso non aveva comunque portato i risultati sperati, cioè un aiuto concreto per le questioni della terra. Per questo motivo nessuna rappresentanza kazaka parteciperà al secondo Congresso Musulmano svoltosi a Kazan in luglio, preferendo ripiegare esclusivamente sull’acceso dibattito “interno” di quei giorni416. Il conseguente isolamento delle componenti religiose derivatone, facilitò probabilmente anche nelle steppe la monopolizzazione del discorso politico da parte degli intellettuali.

Solamente nel secondo congresso kazako (21-28 luglio) emersero con chiarezza due

posizioni prevalenti e antitetiche, attorno ai cosiddetti principi di nazionalità e territorialità. Il primo implicava il riconoscimento della specificità culturale di ciascuna minoranza e il mero conseguimento di una forte autonomia locale. Il secondo invece individuava come unico risultato accettabile l’indipendenza. Dulatov e Baitursinov divennero i maggiori punti di riferimento per coloro che puntavano alla separazione da Pietrogrado, mentre Bukheikhanov sostenne l’idea della partecipazione ad una federazione russa democratica e parlamentare, di futura creazione. Anche questa posizione, apparentemente più moderata, rilanciava la decisione ultima alla futura evoluzione degli avvenimenti e alle scelte del Governo. La fedeltà a quest’ultimo non era né cieca, né dettata da questioni ideologiche, ma solamente da un estremo senso pratico, la cui vera variabile era l’effettiva capacità di leadership sulle masse che si sarebbe riuscita a sviluppare o preservare in seguito per mantenere la propria posizione all’interno del paese. Nonostante queste divisioni, le risoluzioni approvate in questa sede andarono a costituire il programma di un vero e proprio partito, erede legittimo dell’Alash Orda nazionalista dell’epoca delle prime Duma. Ma ancora più importante, venne scelta la data del 21 novembre per dichiarare la nascita delle repubblica autonoma del Kazakistan.

413 M. Buttino, op.cit, p. 125 414 M.B. Olcott, ibidem 415 H. Carrère d’Encausse, op.cit, p. 218 416 Ivi, p.222

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Il nucleo del nuovo programma era rappresentato ovviamente dagli interventi d’emergenza sulla terra. L’ulteriore immigrazione slava doveva essere sospesa, almeno in attesa di un censimento che consentisse di avere un quadro preciso dell’effettiva disponibilità di spazi inutilizzati; le terre confiscate o non ancora riassegnate dovevano essere immediatamente restituite ai precedenti titolari; anche i territori già riassegnati, ma non ancora messi a frutto, dovevano essere liberati; erano da proibire ulteriori confische. Dovevano poi essere rimborsati i kazaki le cui terre erano state occupate dopo le migrazioni seguite ai fatti del 1916 e gli spazi comuni non utilizzati dovevano essere affidati a nuove comuni di prossima istituzione.

Le conclusioni riguardanti i diritti civili e politici rivelano la profonda occidentalizzazione, ma anche il forte contenimento delle istanze religiose, pure rappresentate al convegno dal clero più progressista. Le donne dovevano ricevere pieni diritti legali; i matrimoni si potevano compiere esclusivamente con il consenso di entrambe le parti ed entrambe dovevano aver raggiunto la maggiore età; le vedove sarebbero dovute essere libere di sposarsi nuovamente e solamente la prima moglie poteva autorizzare la poligamia del marito. Le corti religiose popolari sarebbero dovute essere rimpiazzate da un nuovo sistema giudiziario, che pure non avrebbe esautorato completamente, ma affiancato la giurisdizione religiosa. L’istruzione sarebbe dovuta essere obbligatoria e di esclusiva competenza dell’autorità civile. I primi due livelli di studio sarebbero stati esclusivamente in kazako, trascritto però in arabo anziché in cirillico, così da allontanare ulteriormente sia l’influenza russa, che tatara, prevalente nella trascrizione fonetica. L’istituzione di un muftiato indipendente a Orenburg avrebbe infine sancito la definitiva emancipazione dall’influenza tatara, già emersa qualche mese prima e ribadita proprio in quei giorni dalla mancata rappresentazione al secondo Congresso dei Musulmani di Russia (17 luglio-2 agosto)417.

Tuttavia, merita di essere ribadita a questo punto la natura stessa della futura “emancipazione” politica e culturale da russi e kazaki. In entrambi i casi non si tratta di una scelta verso l’isolamento, ma di una scelta verso l’originalità identitaria. La presa di coscienza delle proprie specificità culturali, oltre che la fiducia nei mezzi di cui ormai si dispone, la stampa per la formazione dell’opinione pubblica e l’esperienza politica per la gestione dell’amministrazione, portano ora ad una “separazione nazionalistica”, ma, esasperando i termini di paragone che proverranno dal nascente Novecento, non xenofoba o autarchica. D’altronde, come vedremo, la questione della rappresentanza unitaria dei musulmani dell’Impero rimase cara ai kazaki, purchè fossero chiarite le rispettive posizioni delle varie componenti. Analogamente, la “dichiarazione di indipendenza” pianificata per il successivo novembre, altro non sarà che l’istituzione de facto, cioè senza autorizzazioni o conferme dall’alto, di un oblast autonomo, ma non di uno stato indipendente in seno ad una confederazione od una federazione, nè tanto meno l’istituzione di uno stato separato e a sé stante. Tuttavia, due sono gli elementi proposti ad Orenburg che definiscono la specificità della nuova proposta, accanto alla novità della “gestione nazionale”: l’istituzione di una milizia kazaka per la difesa e l’ordine pubblico ed una nuova archittettura amministrativa a livello locale, dove si intendeva sostituire i funzionari indigeni eletti o nominati dal governo con organi assembleari elettivi (zemstvo). Pur nell’ambito dell’autonomia, si venne quindi definendo in quei giorni una soluzione completamente originale, dettata dalle contingenze del momento e non ancora emersa in precedenza.

Accanto alle misure programmatiche, vennero sancite anche delle iniziative per incrementare il supporto popolare alla futura autonomia e, così facendo, legittimarla. In particolare, si stabilì che solamente rappresentanti eletti a livello di oblast e uezd 417 Questo convegno era in realtà tricefalo: accanto all’incontro propriamente politico, vi fu anche un congresso religioso, dal 21 luglio al 2 agosto, ed uno militare, dal 17 luglio al 2 agosto (A. Bennigsen & C. Quelquejay, op.cit, pp. 78-82).

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potessero partecipare a novembre alle sedute istitutive del governo. Purchè eletti, i rappresentanti di tutte le componenti politiche, religiose o laiche, conservatrici o progressiste, avrebbero potuto prendervi parte. Tuttavia, era precisa speranza dei convenuti di Orenburg che emergesse un’Assemblea compatta, se non unanime. Questo avrebbe fatto assumere un maggiore peso alle delegazioni inviate a Pietrogrado a rappresentare i kazaki presso il Governo, all’assemblea costituente di futura convocazione e presso il Consiglio Nazionale dei Musulmani di Russia. Un maggiore peso all’esterno, stabilmente cementato dal consenso interno, avrebbe quindi consentito il mantenimento della nuova entità amministrativa “pan-kazaka” 418.

Il Governo dell’Alash Orda e l’opposizione Esattamente come gli eventi del 1905 o del Febbraio dello stesso anno, anche la

Rivoluzione di Ottobre (24-25 novembre) discese sugli abitanti dell’Asia Centrale senza che questi potessero aver influito su di essa o potessero avere sufficiente conoscenza degli eventi successivi419. Senza dubbio però, a causa dell’evanescenza del potere destituito (il Governo Provvisorio), le implicazioni “a livello di Impero” furono molto meno facili da valutare. Si era innanzitutto trattato di un Putsch messo in atto da un manipolo di persone e che aveva causato solamente una quindicina di morti e non di una sollevazione di massa come nel Febbraio420 e data la scarsa presenza sociale o intellettuale in Kazakistan di tutte le forze socialiste (rivoluzionarie, mensceviche o bolsceviche), non vi fu inizialmente alcuna alterazione delle leadership politiche esistenti.

Ma per quanto quegli avvenimenti avrebbero richiesto tempo per dispiegare compiutamente i propri effetti, la presa del potere bolscevica avvenne appena una settimana prima del nuovo Congresso pan-kazako che, come deciso a luglio, avrebbe dovuto dichiarare l’autonomia della regione. Per quanto il cambio al vertice non ne impedisse lo svolgimento, la sua stessa ratio ne risultò inevitabilmente alterata. Di fatto tutte le proposte elaborate fino a quel momento presupponevano il Governo Provvisorio: esso era l’estensione logica delle idee emerse con la caduta dello zar e nei suoi esponenti potevano riconoscersi le stesse leadership kazake. Per istruzione, censo e impegno politico, i secolaristi kazaki avevano potuto lavorare fianco a fianco con tutti i riformisti e contribuire all’elaborazione stessa di quelle idee che ne avevano orientato le faticose iniziative. L’autonomia stessa era infine un modo per aiutare la presenza del Governo nelle Steppe: senza un controllo diretto e stabile della regione, come avvenuto in quegli ultimi mesi, l’anarchia e la povertà che ne sarebbero derivate sarebbero infatti sfuggite di mano a Pietrogrado e quindi alle stesse elités locali. Ma da un lato la caduta del Governo e dall’altra lo scarso appeal del socialismo nel paese, riaprivano completamente il dibattito: indipendenza o autonomia? Mentre Qazaq ribadiva l’intenzione di rimanere entro il quadro delle richieste definite in precedenza, un nuovo congresso ad Orenburg (5-13 dicembre) ribadiva la necessità di un governo kazako che godesse della fiducia del popolo. I secolaristi ritenevano sempre di più di essere la sola forza capace di farsi carico di quest’onere e le disposizioni finali segnarono puntualmente una nuova presa di posizione.

L’ex Steppnoj Kraj, ribattezzato ora Alash, avrebbe disposto di un organo esecutivo collegiale (Alash Orda) composto da 25 membri, di cui 10 russi o di altre minoranze, così che queste potessero essere salvaguardate fin dai primissimi istanti. Il nuovo governo avrebbe poi disposto di una corpo di polizia per riscuotere le tasse, avrebbe potuto contrarre debiti, condurre negoziazioni diplomatiche autonome, stilare una 418 M.B. Olcott, op.cit, p.136 419 M. Buttino, op.cit, p. 105 420 V. Zaslavsky, op.cit, pp.52-53

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propria carta fondamentale e farsi garante delle elezioni a livello locale per l’assemblea costituente. Si può facilmente notare come il baricentro degli equilibri tra centro e periferie sia considerevolmente slittato a favore delle seconde in queste ultime formulazioni. La stessa parola “autonomia”, almeno come intesa nel corrente lessico politico italiano, indica piuttosto una condizione federale estremamente flessibile ed eccentrica.

Si raggiunse poi un accordo unanime attorno alla questione dei confini: anche gli oblast di Syr Darya e Semirechia sarebbe dovuti essere inclusi nella giurisdizione del nuovo governo. Questo però implicava un nuovo problema: da un lato, la contrattazione con le autorità del Türkestan, dall’altro il problema di come avrebbero potuto reagire le popolazioni del sud. Di fatto, anche nel caso in cui i kazaki avessero accettato unanimamente la nuova soluzione, essi costituivano una delle molteplici componenti etniche presenti. La questione dei confini portò ad una nuova divisione sulle strategie da seguire, posticipando così anche l’insediamento del governo stesso. Da un lato le popolazioni di Uralsk, dell’Orda Interna e del Syr Darya affermavano che si dovesse dichiarare immediatamente l’autonomia e che le popolazioni del sud si sarebbero volontariamente unite subito dopo: un’entità politica stabile sarebbe stata l’indiscussa alternativa vincente all’anarchia in cui esse versavano e l’appello all’unità politica di conseguenza irresistibile. Dall’altro le fazioni rimanenti, cioè la maggioranza, preferiva aspettare l’esito delle future negoziazioni, fatto che avrebbe anche consentito di costituire la milizia in tempo per la formazione del governo. Emerse infine un compromesso che rinviava di un solo mese l’ormai inesorabile autonomia, ma garantiva al “padre del nazionalismo” Bukeikhanov, stavolta parte della minoranza, la presidenza. In questo mese, infine, lo stesso Bukeikhanov avrebbe potuto spostarsi da Orenburg verso Semipalatinsk, scelta come sede del nuovo governo.

La vera questione rimase la formazione della milizia. Quasi per definizione, era necessaria un’entità dipendente dal potere centrale che monopolizzasse la forza per mantenere l’ordine interno e lo difendesse da eventuali aggressioni esterne. I singoli oblast avrebbero disposto di un contingente composto e foraggiato dai rispettivi uezd, ma armato direttamente dal governo centrale. C’era grossa aspettativa circa il ruolo che i cosacchi avrebbero potuto svolgere nel nuovo esercito. Lo stesso successo dell’esperimento dipendeva in buona sostanza dalla capacità di garantirsene la fedeltà e disporne come addestratori di reclute ed ufficiali421.

E’ difficile valutare con esattezza l’azione complessiva dell’Alash Orda: i fatti relativi

alla sua esistenza si sono dispersi tra i giudizi e la censura politica sovietica, specie dopo il giro di vite staliniano negli anni Trenta. Interi archivi tuttora sigillati impediscono di avere accesso alla copiosa documentazione all’epoca, atti ufficiali dei convegni e le numerose testate giornalistiche, che con quasi totale certezza hanno registrato fedelmente e continuamente informazioni e dettagli sull’accaduto.

Vaghe notizie riguardano la composizione del principale organo esecutivo del governo, formato da otto membri, uno per oblast, uno per l’Orda Interna e il Presidente Bukeikhanov, e ben quindici deputati non-kazaki. A questo si affiancavano degli organi regionali o provinciali, cioè dei comitati governativi per ciascun oblast. Nel febbraio del 1918 il governo era certamente responsabile delle popolazioni kazake dei quattro oblast settentrionali ed in misura minore di quelli meridionali422, dove il potere effettivo

421 M.B. Olcott, op.cit, pp. 137-140 422 Più avanti, in piena crisi dell’alleanza con i cosacchi, il governo riuscì comunque a prendere delle decisioni importanti: in risposta al potere bolscevico vennero dichiarati nulli per il territorio delle steppe e la popolazione kazaka tutti gli accordi da questo stipulati; vennero istituiti dei tribunali speciali in caso di tradimento; venne stabilita la proprietà privata della terra, ma la proprietà statale sull’acqua; venne creato un tribunale speciale per le dispute sulla terra (M.B. Olcott, op.cit, pp. 147-148).

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continuava ad essere condiviso con i suoi detentori vecchi e nuovi, cioè gli ulema e le forze socialiste, che già dopo la Rivoluzione di Febbraio potevano vantare un radicamento decisamente superiore che al nord423.

Tuttavia, la stessa vitalità ed effettività dell’esperimento del governo autonomo tra le due Rivoluzioni risente pesantemente, nel bene o nel male, della complessiva situazione nelle steppe. Gli sforzi bolscevichi contro le crescenti offensive tedesche sul fronte occidentale e la necessità di lasciare la “missione rivoluzionaria” nella periferia nelle mani dei loro seguaci locali condizionarono pesantemente gli eventi successivi. Possono essere rinvenute due dinamiche distinte, o meglio distinguibili ma estremamente interrelate: la resistenza alla presa del potere bolscevica delle forze controrivoluzionarie e l’azione delle forze socialiste ostili al governo al sud.

La generica apparizione di fazioni bolsceviche in territorio kazako risulta in definitiva un esito distinto dal processo di propaganda e maturazione intellettuale indotto o facilitato dal “movimento Qazaq”, data la scarsa base sociale della nuova ideologia, lo scarso livello di industrializzazione e l’ostilità che persino le popolazioni slave in territorio kazako potevano potenzialmente nutrire verso i bolscevichi. Ma si è anche fatto riferimento alla sovrapposizione di personalità e problemi provenienti dal sud: nel momento in cui il discorso nazionalista ha nuovamente trovato spazio pubblico dopo il 1912, l’ambizione di farsi portavoce di tutta la popolazione nazionale, all’interno e all’esterno del kraj delle Steppe, ha reso del tutto naturale l’inclusione di “notabili locali” kazaki del Türkestan (Tinynshbaev e Chokaev tra tutti) che, per formazione, origini e ambizioni, poterono facilmente identificarsi nella proposta politica avanzata dagli “anziani” del nazionalismo kazako. Questo processo però incluse una serie di “personaggi minori”, cioè persone difformi rispetto all’idealtipo di nazionalista kazako delineato fino a questo momento. Questa difformità è sia “personale”, cioè relativa all’estrazione sociale di chi se ne fece portavoce, che “sociale”, in riferimento ai problemi e alla popolazione che si intendeva rappresentare nell’arena politica. Le differenze “di metodo”, cioè di ideologia ed azione politica, sono forse da attribuire alla semplice necessità di porre un’alternativa efficace al preponderante circolo Qazaq del nord424. La resistenza al monopolio del discorso politico ebbe infatti un forte radicamento territoriale: tutte le istanze di opposizione all’Alash provenivano puntualmente dal sud ed in minor misura dal nord, da tutte quelle realtà, come l’Orda Interna, comunque difformi per formazione, collocazione territoriale ed esigenze immediate. In realtà, in questa fase conflitti sociali pregressi trovarono nuove forme per la propria espressione: l’Orda Interna, ad esempio, in virtù della sua vicinanza al centro dell’Impero e della sua formazione storica peculiare, intendeva rifiutare l’egemonia dei kazaki “orientali” dell’Alash.

423 E’ certamente difficile credere che le dottrine socialiste e rivoluzionarie, potessero trovare anche in Türkestan un radicamento sociale effettivo, posto che esso era estremamente esiguo nella stessa Russia, relativamente ben più industrializzata. Piuttosto l’ascendente di queste correnti di pensiero va forse rinvenuta nel loro approccio radicalmente anti-sistemico, cioè di abbattimento dello stato in tutte le sue forme pre-esistenti; nella suggestiva ma fortuita coincidenza di programmi comunisti nel campo economico e le tradizioni comunitarie dei nomadi; o forse, più probabilmente, erano semplicemente l’esito di un bisogno ben più violento di rompere i ponti con il passato tra quelle persone che in prima persona e per primi avevano preso parte alle rivolte del ’16 e che ora si trovavano a fare i conti con una soluzione politica inaccettabile (quella “borghese” del Governo Provvisorio) nei suoi margini di compromesso con il potere centrale. 424 E’ importante enfatizzare che questa interpretazione “sociologica” è sottintesa nell’unico lavoro sufficientemente dettagliato su questo episodio della storia nazionale kazaka, cioè l’opera monografica della Olcott (op.cit, p.136-137,141). Nella maggior parte delle opere, infatti, il periodo di tempo qui analizzato viene incluso in una più generale panoramica della transizione dallo zarismo ai soviet in tutta l’Asia Centrale e tutt’al più assurge al rango di episodio significativo, ma fallimentare, del nazionalismo kazako. Pur nel corretto ridimensionamento di quest’esperienza, l’Alash rappresenta un segnale inequivocabile del raggiunto maturamento del nazionalismo kazako.

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I soviet (consigli elettivi dei lavoratori) cominciarono ad essere organizzati anche al nord: Akmolinsk, Semipalatinsk, Petropavlosk, Kustanai, Turgai tra i principali. Seppure la somma delle forze bolsceviche, mensceviche e socialiste-rivoluzionarie potesse disporre di un seguito estremamente limitato rispetto ad Orenburg o Tashkent, è anche vero che la loro azione si orientò ben presto contro l’Alash, contribuendo ad una disomogeneità politica imprevista. Composti principalmente da slavi, già in aprile avevano esplicitamente dichiarato l’intenzione di separarsi dal resto del Kraj e porsi sotto l’amministrazione di Astrakhan. Infine, i soviet riuscirono a raccogliere consensi specie dopo la Rivoluzione bolscevica, a causa delle promesse (mai attuate nelle colonie) di riformare la legislazione sulla terra.

La convergenza di intenti tra le minoritarie fazioni bolsceviche e insoddisfatti segmenti sociali dei nativi emerge in maniera assai più chiara analizzando la vicenda di Kolbai Togusov, il cui movimento politico rimase l’unico ad aver significativamente contestato il campo agli intellettuali Qazaq. Già all’epoca del Primo Congresso dei Musulmani di Russia (maggio 1917) questa aveva costituito una delegazione separata per il sud, composta da tre tatari, tre kazaki e tre uzbeki, che ruppe “pubblicamente” la monoliticità delle pretese nazionalistiche dell’Alash Orda. All’epoca il suo leader, di etnia bashkir, era appena entrato tra le fila del partito socialista-rivoluzionario. Nell’estate del 1917 poi, questa fazione fu attiva nella “lotta per il consenso popolare” che precedette la programmata indipendenza di novembre. A tale scopo, venne creato il giornale Alash, di cui Togusov fu fondatore ed editore. Attorno a questo, egli riuscì a raccogliere il consenso non guadagnato a sud da Qazaq e ad organizzare i primi movimenti politici dei kazaki del Türkestan. Nonostante fosse fallita in un primo momento la mediazione con i türkestani filo-bolscevichi, quando egli fondò il partito-movimento Ust Zhuz (Tre Orde), da subito ostile al futuro governo, le dirigenze bolsceviche del Türkestan cercarono di sfruttarlo per ridurre il suo consenso e dar spazio alla nuova ideologia sia tra i kazaki sia tra i russi. L’Ush Zhuz fu l’unica componente politica kazaka a schierarsi apertamente con i bolscevichi ed a prender parte, pur marginalmente, all’attività dei soviet centrasiatici. Quando infine il nuovo governo riuscirà a istituire dei comitati a livello regionale, il movimento verrà disciolto con l’accusa di parteggiare per i socialisti rivoluzionari, per essere comunque incluso in un secondo momento nelle gerarchie bolsceviche locali, nonostante il limitatissimo ruolo nelle vicende decisive della guerra civile425. L’azione di questo gruppo facilitò tutt’al più la mancanza di radicamento del governo al sud, che ne limitò di fatto l’autorità ai precedenti territori del Kraj. Ma proseguiamo con ordine: si è già accennato all’importanza riservata nei discorsi di preparazione all’indipendenza alla milizia nazionale. Si è anche accennato al fatto che il successo di questo operazione fosse intrinsecamente legato alla possibile reazione dei cosacchi, le uniche truppe qualificate della regione, dotate di armamenti avanzati e dell’esperienza per formare il futuro esercito nazionale. L’accettazione da parte loro del nuovo governo era un’idea azzardata, ma non impossibile nel quadro nebuloso del dopo-Febbraio. Il problema dell’ordine, specie se attento anche alle minoranze come ambiva ad essere l’Alash, era prioritario per tutti, diffidenti e slavi compresi. E l’Ottobre altro non fece che giocare a favore di un’alleanza tra nazionalisti kazaki e cosacchi, ormai parte della coalizione anti-bolscevica, detta dei “bianchi”.

La nazionalizzazione del bestiame e delle terre promessa dai bolscevichi infatti ben presto causò loro la più aperta ostilità nelle steppe sia tra i nativi che tra i russi. I cosacchi426 si resero allora promotori di piccole entità di autogoverno locale: un potere

425 M.B. Olcott, op.cit, pp. 136-137;141 426 Nel precedente capitolo si accennato al declino, innanzitutto demografico, dei cosacchi, cioè dei discendenti di quelle bande armate che avevano contribuito all’avanzata siberiana o di coloro che nel ‘800 erano penetrati nelle steppe in seno alla progressiva conquista del Kazakistan. Dopo la colonizzazione di

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cosacco per la Siberia venne istituito ad Orenburg, capace di esercitare un ampio controllo sull’oblast di Uralsk; analogamente un altro governo cosacco venne istituito ad Akmolinsk; infine, un breve tentativo funzionò anche nel Türkestan. L’istituzione di questi frammentari governi cosacchi, rappresentava una considerevole insidia al nascente governo kazako. Di per sé questo era debole per le poche risorse che era in grado di mobilitare, dal punto di vista della difesa e a causa degli inevitabili tempi necessari per la creazione di un apparato amministrativo praticamente ex novo. In caso di contrapposizione frontale, esso non avrebbe certamente potuto resistere all’avanzata cosacca su più fronti. Ma proprio questa deformazione della guerra civile nelle steppe facilitò infine l’esistenza stessa dell’Alash: preoccupazione centrale dei gruppi cosacchi era l’abbattimento dei bolscevichi, intesi come usurpatori del governo legittimo; a tale scopo, le energie dovevano essere concentrate contro di loro ed i loro seguaci nelle periferie. Un impegno contro i kazaki nello stesso momento avrebbe considerevolmente complicato la situazione, mentre si apprezzò invece lo sforzo dell’Alash di cercare di mantenere l’ordine nelle steppe. Si venne così a creare un’implicita divisione delle sfere giurisdizionali su base etnica, così che i cosacchi gestirono la popolazione slava e l’Alash, nello stesso momento e sullo stesso territorio, la popolazione kazaka. Ovviamente, questa soluzione era sostenibile solamente nell’eccezionale situazione del conflitto. Il problema della terra venne accantonato, ma paradossalmente questa necessaria collaborazione portò comunque i cosacchi ad occuparsi in prima persona della difesa dell’Alash stesso. In un secondo momento infine vennero stipulati veri e propri accordi militari tra kazaki e cosacchi, che ne sancirono la collaborazione bellica. Tuttavia, i cosacchi non accettarono mai l’onere di addestrare i kazaki: il fenomeno indipendentista era ben visto nella contingenza del conflitto, ma nessuna autentica necessità pratica o ideologica spingeva i russi a supportarlo attivamente. L’aiuto militare kazako contribuì indubbiamente, tra la primavera e l’estate 1918, ai nuovi successi militari che portarono il conflitto nelle steppe al suo apice. Ma queste stesse vittorie condussero il governo Alash verso la propria rovina.

Da un lato, nel tentativo di interrompere l’idillio tra la popolazione russa e kazaka nelle steppe, i bolscevichi avevano aperto trattative separate con questi ultimi427. Gli autentici contenuti di questi incontri appaiono oggi compromessi dalla propaganda e dalla censura, ma appare ragionevole accettare che i bolscevichi avessero promesso all’Alash soldi, comunque rifiutati, ed una nuova legislazione sulla terra, cui non si diede credito. In un primo momento, quindi, i bolscevichi continuarono a non avere presa sulle steppe.

Ma nello stesso momento i cosacchi, per quanto scarsamente organizzati e divisi, avevano guadagnato nuovi centri abitati. La posizione cosacca di netta predominanza al

fine XIX sec. questo termine prese però ad indicare un sottogruppo della complessiva etnia slava presente in Kazakistan, che mantenne ovviamente un ruolo di rilievo nell’esercito e nell’economia, così da farsi ora promotori della Controrivoluzione. 427 La stessa formulazione della cosiddetta “prima costituzione sovietica” del 10 luglio 1918 conferma quanto appena affermato. Questo documento, stilato in piena guerra civile ed in assenza di confini certi, esprime evidentemente più una dichiarazione di intenti che un autentico fondamento di una nuova struttura istituzionale. Tuttavia, si intese proprio propagandare un progetto del nuovo ordinamento politico che si intendeva realizzare, così da “attrarre alla rivoluzione” sia i territori zaristi perduti, che eventualmente gli stati occidentali con cui ancora si era in guerra (l’Austria, in particolare). Proprio per questo, alcuni punti avrebbero potuto particolarmente allettare i popoli centrasiatici. Già nella prima parte del documento, la “dichiarazione dei diritti dei popoli” stilata dal georgiano Stalin, il principale incaricato della questione delle nazioni, viene affermata la libertà “di propaganda religiosa” che, implicitamente, era estendibile a qualsiasi credo, Islam compreso. Infine, per quanto chiaramente questo documento non potesse ancora definire l’assetto organizzativo dei territori centrasiatici, ancora in mano “bianca”, è significativo che nella sua seconda parte si proclami la lusinghiera libertà per questi territori di aderire o meno al nuovo stato (Corrado Barbagallo, La Russia comunista (1917-1939), Einaudi, Torino 1945, pp.81-84).

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nord, tra l’Akmolinsk e la Siberia, permise ai nazionalisti kazaki di intuire i rischi connessi anche ad un’eventuale vittoria anti-bolscevica: il mantenimento della primazia russa e l’impossibilità di rivedere lo status delle terre. In caso di sconfitta dei bolscevichi, i giochi sarebbero stati infatti decisi a favore dei cosacchi, contro i quali il governo non poteva certamente schierare un esercito adeguato. Per giunta, le carestie rimanevano il problema principale, che obbligavano a mobilitare grandi quantità di risorse spostandole da una parte all’altra del paese, ma anche richiedendo un inevitabile sforzo maggiore da parte della popolazione contadina russa.

Questo rese particolarmente dannoso l’incidentale interruzione delle vie di comunicazione, in quanto interi segmenti del territorio e comitati locali del governo kazako si trovarono de facto divisi da questo, privi di rifornimenti e costretti a gestire separatamente conflitto ed amministrazione. In particolare, i territori occidentali si trovarono separati da quelli orientali, dove aveva sede il governo (Semipalatinsk). Per questo motivo, e per il rifiuto dei contadini russi di cedere i propri raccolti per approvvigionare territori tanto lontani, non appena l’Armata Rossa venne dispiegata sul fronte orientale, l’occidente kazako (Uralsk) fu il primo a cadere (ottobre 1919). Già nel gennaio del ’20 le steppe potevano essere considerate nuovamente sotto controllo russo428.

Certamente il caso dell’Alash Orda non fu un unicum tra le colonie, posto che sia

Khiva, che Bukhara e i türkmeni daranno origine a esperimenti simili durante il conflitto429. Ma esso fu comunque l’esito di un’iniziativa e di un percorso peculiari, nonostante la non-curanza residua di buona parte della popolazione e le divisioni con gruppi politici a base localistica. Lo stesso supporto popolare al nuovo progetto, per quanto parziale (ma certamente non minacciato da alcuna presa delle idee bolsceviche, come stereotipato in seguito nella tradizione storiografica sovietica) rappresenta il maggiore risultato. E’ certamente difficile quanti soggetti avessero la possibilità concreta di occuparsi o di avere un giudizio sulle scelte politiche dei vertici. Certamente buona parte della popolazione era stata coinvolta nel progetto nel corso di quell’estate, quando la situazione si fece quanto mai critica e la propaganda fu abile nel presentare gli intellettuali borghesi come le uniche forze in grado di mettere ordine al caos esistente. Ma accanto al pragmatismo popolare che inevitabilmente ne condizionò il successo, non vanno dimenticati i circa 25 anni di impegno politico quasi ininterrotto dei più anziani difensori della causa kazaka, come Bukeikhanov. Se l’istruzione pubblica ottocentesca, pur scarsamente diffusa, aveva dato inizio al processo, l’attivismo politico ne aveva in seguito orientato le scelte, portando un potenziale sociale informe verso un progetto concreto e, per quanto idealizzato in seguito, almeno percorribile nell’immediato. Infine, vanno enfatizzati i “binari invisibili” percorsi dal treno della coscienza kazaka e cioè le sue strutture, mentali e sociali, innate e in buona parte immutate. Si è già accennato all’ascendente che le origini famigliari degli attuali leader esercitavano sulla popolazione comune, conferendo loro legittimità sufficiente a mettersi a capo di una nuova “resistenza”. Certamente poi l’Alash Orda conteneva in sé i germi dei più avanzati programmi politici europei (semi-parificazione giuridica di donne e uomini; istruzione obbligatoria; etc.), spingendo così ben più lontano gli immaginari confini della “tradizione”. Infine, pur ridimensionata la portata sociale del fenomeno, rimane innegabile il suo significato simbolico per le esperienze nazionalistiche future.

428 M.B. Olcott, op.cit, pp. 151-154 429 H. Carrère d’Encausse, The national Republics lose their independence, pp. 225-236, 241-253, 254-259 in Allworth, op.cit.; A. Bennigsen & C. Quelquejay, op.cit, pp. 137-143

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Gli anni Venti Il problema della gestione dei territori periferici, colonie dell’Impero fino a qualche

istante prima, poneva enormi problemi di ordine teorico e pratico. La lettera marxista aveva solamente definito un vago paradigma rivoluzionario per un tipico piccolo stato occidentale. Non solo non era contemplata la rivoluzione in uno stato tardo-feudale (in questo le infiltrazioni dell’anarchismo russo, cioè il populismo), ma non era considerata l’eventualità della gestione della rivoluzione da parte di una complessa entità multietnica ed in specie basata fino a quel momento sulla disparità tra i sudditi in base all’etnia di appartenenza. La questione delle nazionalità d’altronde era strutturalmente considerata meno influente della divisione in classe, trasversale tra le nazioni ed “universale” per il genere umano tutto. E proprio in virtù di questo principio, si dibatteva nei primi anni dopo la Rivoluzione sulle modalità della “sollevazione mondiale”430.

Ma ciononostante proprio Lenin era stato il primo leader novecentesco ad aver posto l’accento sul concetto di “autodeterminazione nazionale”, seppure con una slancio ben diverso da quello wilsoniano. Si trattò in definitiva di una scelta propagandistica che accompagnò l’azione politica nella fase di abbattimento del regime zarista. Da un lato, egli riteneva che le minoranze non sarebbero mai state realmente in grado di ottenere e mantenere l’indipendenza, date le difficili condizioni socio-economiche in cui versavano, e specialmente in quegli anni. Dall’altro, la proposta stessa dell’indipendenza, rigidamente strutturata in termini separazione-inclusione, negava l’eventualità di soluzioni intermedie. In particolare, veniva negata de facto qualsiasi autonomia territoriale, cioè l’adesione alla nascente Unione con forti prerogative in termini di poteri e giurisdizioni per le minoranze. Così l’inclusione avrebbe automaticamente implicato obbedienza e sottomissione assoluti. Le esitazioni e le apparenti concessioni dei primi tempi non devono perciò trarre in inganno: la medesima simulazione doveva essere mantenuta in attesa di stabilizzare il regime.

A livello centrale il Narkomnet (il Commissariato del Popolo per le Questioni Nazionali) sarebbe stato coadiuvato a livello locale dai partiti comunisti nazionali. Specialmente questi ultimi richiedevano dei lunghi periodi di trattativa per logorare rapporti e alleanze preesistenti. Proprio per facilitare la convergenza tra stato e partito a livello locale e centrale, d’altronde, vennero rapidamente fondate le prime Repubbliche Sovietiche ai primordi del decennio. Venne infine coniata la formula “nazionali nella forma, ma socialiste nei contenuti”, simbolo dell’azzardo leninista di sintesi tra marxismo e questione etnica431.

La politica culturale leninista assicurava la parificazione degli altri linguaggi e culture a quella russa. E di fatto l’uso degli idiomi nazionali non venne negato, così come non vennero censurati i simboli più esteriori dell’appartenenza etnica tra la popolazione o le pubblicazioni degli intellettuali. In altre parole, le varie culture locali, se non rafforzate, non vennero inizialmente neppure represse, mentre vennero permessi e promossi arditi tentativi di sintesi432 ed avviata l’azione di indottrinamento ideologico. Si confidava infatti nella funzione “pedagogica” che partito ed ideologia avrebbero potuto svolgere verso le etnie più “primitive”, così da portare ad un avvicinamento spontaneo e sincero al nuovo regime, in particolare attraverso la formazione di cadrés locali (Korenzatsiia). Infine, questo era anche funzionale alla necessità di legittimare una rivoluzione “slava ed urbana”, in un paese prevalentemente agrario e multi-etnico433.

430 V. Zaslavsky, op.cit, pp.83-85 431 G. Lakshmi, op.cit, pp. 28-30 432 Per il mondo musulmano centrasiatico di Russia basta l’esempio emblematico di Sultan Galiev (in particolare, A. Bennigsen & C. Quelquejay, op.cit, pp. 110-128) 433 G. Lakshmi, op.cit, pp.29-30

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Proprio la creazione della repubblica kazaka nel 1920 aprì la strada alla riorganizzazione dell’Asia Centrale sulla base del principio della nazionalità secondo i principi leniniani. Contemporaneamente, il nuovo assetto doveva anche contrastare la speculare minaccia di un’unificazione amministrativa delle popolazioni musulmane centrasiatiche, diffusa almeno fino al 1924. La prudenza di Lenin impedirà fino all’ultimo di sistemare unilateralmente questi problemi ed addirittura degli organi specifici, cioè il Consiglio Economico dell’Asia Centrale e l’ufficio regionale del Partito Comunista, potevano agire in maniera tale da difendere unitariamente gli interessi centrasiatici contro i russi locali e di Mosca. In realtà, anche questa soluzione a sua volta confliggeva con le aspirazioni dei alcuni gruppi locali di costituire delle entità amministrative che comprendessero tutti i territori abitati dalla propria etnia (“il grande Kazakistan”, “la grande Kirghizia” ed “il grande Uzbekistan”)434.

Quando fu poi chiaro che la Siberia e l’Ucraina non avrebbero subito la stessa sorte delle province baltiche, della Finlandia e della Polonia, un secondo documento costituzionale arrivò a sigillare il nuovo assetto geo-politico. La Seconda Costituzione (6 luglio 1923) costituiva l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS), la cui geometria e gerarchia interna cambiò svariate volte fino alla Terza Costituzione (11 maggio 1925), e dopo. Nel complesso, al “nocciolo duro” slavo (federazione russa, Ucraina e Russa Bianca) si affiancavano le cosiddette Repubbliche Autonome e, in posizione subordinata, i Territori Autonomi435. Per quanto specialmente la porzione asiatica della Federazione sarà sottoposta ai maggiori rimaneggiamenti di confini e status in virtù della sua complessità etnica, tra il ’24 e il ’26 verrà definita l’architettura istituzionale dei territori centrasiatici436.

I primi anni Venti in Kazakistan sono allora scanditi proprio dal tentativo di edificare

il “nuovo ordine”. Ma dato che neppure in Russia all’organizzazione di un apparato militare vittorioso contro i bianchi corrispondeva ancora un assetto politico-amministrativo ed economico-fiscale coerente, sussisteva una capacità di intervento minima nelle periferie. La soluzione più economica era limitarsi ad individuare tipicamente dei “collaboratori locali” e delegare loro molte delle scelte, specie in politica economica.

In linea di massima, in tutta l’Asia Centrale questo ha seguito pressappoco il seguente meccanismo: forze locali hanno preso ad organizzare soviet cittadini, più o meno nello stesso periodo dello scontro civile. Questi compromisero la chiusura dell’intera regione, nonostante la linea cosacca al nord rendesse difficili i collegamenti. Ma non si trattava tuttavia di rapporti ideologicamente organici e sistematici dal punto di vista organizzativo, posto che talvolta non si fondavano su alcun contatto personale con i “bolscevichi di Russia”. Questi filo-bolscevichi, spesso pseudo-comunisti, avevano semplicemente costituito dei gruppi antagonisti ai poteri locali. Come accennato, i kazaki ostili all’Alash si organizzarono prima al sud e successivamente presero a diffondersi, con minimo appoggio popolare, anche nei centri urbani del nord nella seconda fase gli scontri armati, cioè quando il potere sia cosacco che dell’Alash cominciava visibilmente a creparsi e perdere unità. Una volta conquistata l’area ed edificate le prime Repubbliche Autonome, questi sono spesso stati allontanati dal 434 H. Carrère d’Encausse, op.cit, pp. 254-259 435 C. Barbagallo, op.cit, p. 128-130. La Dichiarazione dei Diritti dei Lavoratori costituì poi invariabilmente il preambolo di entrambi i documenti. Rispecchiate le idee leniniste (parità dei popoli; mantenimento dell’idioma nazionale nell’amministrazione; leader nazionali nei vertici locali), la Dichiarazione forniva quelle linee-guida verso cui tutti i territori federati dovevano convergere. 436 Stalin, già ai vertici del partito e in lotta per il potere di fronte ad un Lenin sempre più debole e malato (A.Brown et al, op.cit,), ne aveva già apertamente criticato la politica, affermando la necessità di ridimensionare la questione etnica (V. Zaslavsky, ibidem). In questo momento però ancora giurava il rispetto degli impegni presi in nome di tutta l’Unione (H. Carrère d’Encausse, op.cit, p. 259).

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potere, mentre elementi russi o slavi prendevano il loro posto. Solamente le più disponibili al compromesso sono state in seguito nuovamente cooptate ai vertici437.

In Kazakistan, invece lo scenario politico interno sarà in buona parte differente: prima d’allora le idee socialiste non erano minimamente penetrate in maniera spontanea; le steppe erano state l’ultimo territorio centrasiatico dove s’erano diffusi dei soviet e questo era avvenuto sotto l’imminente conquista militare bolscevica; la recente resistenza cosacca rendeva impossibile gestire con la medesima violenza anche la popolazione kazaka, per giunta per natura più incline al dialogo e decimata; la stessa esperienza di autogestione, per quanto fortuita, aveva palesato alla popolazione per un breve periodo la possibilità dell’indipendenza; al contrario che al sud non esistevano poteri conflittuali come il clero e la poca popolazione consapevole delle dinamiche politiche era abituata a identificare l’Alash come proprio rappresentante. Solamente parte della leadership Alash, cioè gli amministratori delle regioni nord-occidentali rimaste separate dal governo durante la guerra, erano già stati costretti dalle circostanze ad un certo avvicinamento ai bolscevichi, pur senza ripensamenti ideologici. Inoltre, nonostante la natura prettamente militare della “riconquista russa”, i bolscevichi preferirono fare delle distinzioni tra i rivali sconfitti, specie in Kazakistan dove gli slavi erano più numerosi. Fecero così piazza pulita di coloro tra i russi che avevano

437 Baymirza Hayit, Soviet Russian Colonialism and Imperialism as an example of the soviet type of colonialism of an Islamic people of Asia, 1965, pp.28-35. Un po’ come nel caso degli jadid, idee provenienti da oltre gli Urali, Volga o Russia europea, “scavalcheranno” le steppe, per poi averci accesso “dal basso”, cioè attraverso la mediazione delle valli. Pur essendo il tramite fisico inevitabile tra questi terminali della “distribuzione delle idee”, il mondo kazako sembra sempre esserne rimasto in buona parte impermeabile. In realtà, quella “grande oasi” lungo il percorso commerciale e culturale rappresentata dal Kazakistan, si è già tempo delineata come un’area capace di produrre autonomamente le proprie visioni e stabilire la propria posizione politica. Tutt’al più essa ha fino ad adesso drenato qua e là le idee che risultavano più funzionali alla propria causa (come l’istruzione tecnica, giuridica o letteraria occidentale; il panturchismo o il panislamismo di matrice tatara). Ma bisognerebbe forse interrogarsi sulla natura spiccatamente strumentale di queste acquisizioni e le sue implicazioni sul piano ideologico e politico. Il panturchismo o il richiamo religioso hanno agito nel primo Novecento come un mezzo per consolidare alleanze contro un nemico “massimo” come la Russia; ma già d’allora l’identità kazaka difficilmente avrebbe accettato un’effettiva organizzazione politica che non ne riconoscesse l’autonomia. Analogamente, un richiamo religioso o di “politica internazionale” (il raccoglimento attorno all’Impero Ottomano), non ha mai avuto autentico appeal su un’elite ormai ampiamente secolarizzata e mai concretamente avvantaggiatasi del lontano prestigio ottomano. E di fatto, nonappena le condizioni “sistemiche” lo permetteranno, il fenomeno nazionalista emergerà in tutta la sua portata, ponendosi come l’unica vera acquisizione dall’esterno, l’unica funzionale o adattabile alla storia kazaka ed alla corrispondente autocoscienza derivatane. Certamente l’influenza russa, tramite l’istruzione, appare più palese, mentre quella tatara è solamente più mediata, meno esplicita. I tatari hanno posto il modello “umano”, cioè l’esempio di una popolazione musulmana ricca, istruita ed occidentalizzata, ma ancora indipendente, intellettualmente attiva e propositiva, arguta e critica in politica; la rappresentazione vincente del compromesso con la “modernità” (ma i tatari e i kazaki sono popolazioni ben diverse!). In tutta apparenza, al contrario, i russi possono apparire come il modello acriticamente imitato dalle leadership kazake, come rappresentanti dell’intera “occidentalità”, principalmente a causa dell’ambizione kazaka di costituire in questi decenni uno “stato-nazione”. Ammesso poi che la cultura politica occidentale si limiti alle istituzioni statali, che i russi siano stati di contro un loro semplice tramite (mentre paradossalmente è solo con il totalitarismo sovietico che la Russia dopo secoli si pone in linea con un trend politico europeo) ed infine i kazaki abbiano consapevolmente o acriticamente assunto formae mentis esogene. La stessa esperienza parlamentare nel quadro simil-democratico o pre-rivoluzionario del 1905 e del 1917 aveva visto emergere un’elite moderata, in quanto si riteneva che in quel contesto le specificità del caso kazako, terra ed identità, potessero essere opportunamente valorizzate.

Anche la diffusione del comunismo va probabilmente vista in quest’ottica quasi “utilitaristica”. La differenza principale attiene al fatto che nei primi due casi si è trattato di influssi provenienti dall’esterno, proposti o imposti alla popolazione locale, che ne ha poi pubblicamente rilanciato la propria interpretazione. Nell’ultimo caso, quello socialista, sono state singole individualità centrasiatiche che, nella lotta per le leadership, hanno consapevolmente abbracciato un’ideologia e una posizione di opposizione per poter assumere un ruolo in essa.

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appoggiato la fazione controrivoluzionaria, mentre ancor prima della conquista proposero un armistizio ai leader dell’Alash Orda438.

Di contro, fino a quando i bolscevichi mancheranno dell’effettivo controllo delle steppe, la piccola minoranza dei loro seguaci avrà un peso relativo ben maggiore che al sud, proprio in virtù della contrattazione-contesa in corso con i nazionalisti Alash. Tra questi emersero i leader dell’Ush Jüz, come Amangeldi Iman-uli, condottiero mai battuto durante le sollevazioni del 1916, o Alibii Jangeldin, che trascinò con sé alla causa bolscevica buona parte del suo seguito dell’antica tribù kipchak. Quest’ultimo in particolare era riuscito già nel marzo 1919, cioè prima della definitiva conquista bolscevica, ad ottenere la collaborazione di rappresentanti Alash di primo piano, come Baytursin-uli ed altri leader “occidentali”. Dopo che Iman-uli mori di lì a poco in battaglia e dato che Jangeldin era in grado di esercitare il proprio potere esclusivamente tra i membri del proprio clan, l’intero vertice Alash tornò ad essere reputato di grande valore strategico per la pacificazione delle masse. Anche se talvolta sopravvalutato, ad esempio quando non fu in grado di garantire la fedeltà agli ufficiali russi dei reggimenti inquadrati fino a poco tempo prima al comando dei cosacchi, esso rimase il solo vero rappresentante della popolazione, il cui supporto era essenziale per legittimare il nuovo potere.

Così vennero loro inizialmente offerte numerose rassicurazioni. Prima fra tutte, il mantenimento dell’indipendenza per cui si erano battuti ed a livello personale la certezza di poter ancora ricoprire incarichi di rilievo, sia nel partito che nello stato. Nel gennaio 1920 alla Baytursin ed altri leader Alash vennero inclusi nel comitato rivoluzionario, embrione del futuro governo locale ed appena riorganizzato dopo la sconfitta ufficiale dei contro-rivoluzionari (appunto includendo sia i seguaci indigeni della prima ora che gli autonomisti). Ma già nel marzo lo stesso organismo decise di liquidare l’intero apparato amministrativo ereditato dal governo kazako. Nonostante questi ostacoli i suoi ex membri continueranno a svolgere un ruolo di primo piano per le decisioni politiche e nelle strutture amministrative, come loro promesso da Lenin stesso. Il 26 agosto venne istituita la Repubblica Socialista Sovietica Autonoma del Kazakistan; il suo primo governo includeva tanti russi, quanti kazaki ed altrettanti europei. Secondo le promesse bolsceviche, essa doveva inserirsi in un quadro federale (di stampo sovietico, pur ancora di incerta definizione), ma mantenendo un forte margine di autonomia, politica ed identitaria, analogamente alle altre repubbliche centrasiatiche.

Ma già le discussioni di settembre segnano le prime crepe nell’alleanza Alash-bolscevichi: si palesa il desiderio di rimuovere i persistenti notabili locali, privandoli del diritto di voto nella futura assemblea costituente kazaka. Ma la presenza degli Alash era ancora numericamente integra, così come il prestigio dei suoi capi, che puntualmente catalizzarono lo sdegno di ben più di metà dell’assemblea (circa 700 convenuti) che il mese successivo avrebbe dovuto formalizzare la proposta dei bolscevichi più intransigenti. La posizione degli Alash era al momento salva e la stessa assemblea costituente sembrava esaudire le più rosee aspettative a conferma dell’effettiva autodeterminazione: il 20 ottobre venne dichiarata sospesa l’immigrazione slava. Ancora, nell’aprile dell’anno successivo si decise perfino per l’esproprio delle terre usate da cosacchi e coloni. Infine, nel giugno si ottenne l’annessione di Akmolinsk e Semipalatinsk, ancora sotto controllo della Repubblica Sovietica di Siberia, mentre venne rifiutata quella dei kirghizi, che rimasero sotto l’autorità della Repubblica del Türkestan439.

Ma quale che fosse la conformazione del nuovo potere politico o l’organizzazione

amministrativa locale, i veri problemi rimanevano di natura economica per i russi e 438 M.B. Olcott, op.cit, p.154 439 H. Carrère d’Encausse, Civil wars and […], pp. 238-241

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specialmente per la popolazione kazaka. Per quest’ultima gli avvenimenti che avevano anticipato (le rivolte del 1916), accompagnato (gli sforzi prima bellici e poi autonomisti) ed ora seguivano il conflitto mondiale (le carestie del ’20-’21), rappresentavano semplicemente l’apice dei 25 anni di colonizzazione sistematica, espropri forzati e confische mai compensate adeguatamente, l’unico autentico elemento di continuità tra passato e presente.

La guerra civile aveva sfaldato l’intero mercato interno dell’ex Impero. I kazaki non sapevano più a chi vendere i pochi capi di bestiame che si riusciva ancora faticosamente ad allevare. La principale innovazione economica introdotta dai russi, il passaggio dall’allevamento per il nomadismo a quello per il commercio, si rivoltò ora contro coloro che l’avevano accettato. Coloro che invece si erano convertiti per intero all’agricoltura videro i propri campi devastati dagli scontri, mentre l’isolamento economico impediva di recuperare sementi o piazzare un ipotetico raccolto. Infine, più di tutti patirono coloro che, la maggioranza della popolazione, avevano adottato uno stile di vista “misto”, cioè semi-nomadico. L’impossibilità di avere dei raccolti si ripercuoteva sulla dimensione delle greggi, diventate troppo esigue per costituire delle sufficienti riserve di cibo e consentire il ripristino dello stile interamente nomadico del passato. Lo sfruttamento della vegetazione spontanea per le bestie rimaneva infatti l’unica soluzione ragionevole. Ma l’inverno del ’20-’21 fu particolarmente rigido e letale per uomini, bestie e vegetazione; a questo si sommavano i nuovi insediamenti russi illegali che sfruttavano il vuoto di controllo esistente ed avrebbero ostacolato il libero vagare delle mandrie.

I nativi affamati presero ad accalcarsi in accampamenti, stazioni e villaggi lungo i binari delle linee ferroviarie, gli unici posti dove si poteva sperare di raccattare del cibo. Involontariamente quindi l’effetto non preventivato di tale disperazione sociale sarà un’ulteriore, pressoché definitiva sedentarizzazione della popolazione nativa. Infine, tutto ciò che era stato piantato nel 1920 venne consumato, lasciando senza sementi per l’anno successivo, e nel 1921 non ci fu praticamente raccolto. Le richieste d’aiuto caddero inascoltate e solamente nel 1922 vennero inviate alcune tonnellate di grano per nutrire la popolazione e facilitare nuovi raccolti. Date queste informazioni, pur in assenza di statistiche certe, non c’è infine ragionevolmente motivo di credere che i morti, per fame o malattie, siano stati tra centri urbani e campagne meno di un milione solamente in questo biennio440.

La definitiva vittoria bolscevica nella guerra civile fece venir meno la necessità di

mantenere gli sforzi compiuti nel periodo del comunismo di guerra. Gli stessi contadini, i pochi operai ed i settori dell’esercito che avevano supportato i bolscevichi nella presa del potere in Russia, non erano più disposti a sostenere le fatiche compiute in nome della difesa del paese e le ingerenze dei commissari dei soviet. Le antiche promesse di Febbraio vennero rispolverate e da più parti si rinnovava la richiesta di istituire l’assemblea costituente, mentre le campagne esplodevano seguite da isolate rivolte dei militari. Seppure queste forze non trovarono mai un punto di incontro capace di orientarne l’operato come avvenuto nel novembre attorno ai bolscevichi, la situazione non poteva a lungo essere tollerata. Era necessario garantirsi il supporto della popolazione russa per mantenere in piedi il regime economico che si intendeva creare, a sua volta chiave di volta del corrispondente assetto politico441.

440 M.B. Olcott, op.cit, pp. 158-160 441 Se il legame tra una visione marxista, o che si rifà al marxismo, e la sfera economica sono fuori discussione, così che inevitabilmente la stessa politica economica attuata da un regime di ispirazione marxista (più o meno ortodossa) rivela per suo tramite la stessa adesione al marxismo, resta da chiarire quanto la politica economica sovietica degli anni Venti fosse effettivamente dettata da fattori ideologici e “teorici”. In altre parole, se quanto attuato in seguito sia effettivamente l’esito del nuovo ordine socialista

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La NEP non venne concepita come un semplice espediente di breve periodo per riorganizzare l’economia e con questo garantirsi il supporto popolare. Essa ambiva a rispondere all’intento di ben più ampia portata di indurre il paese ad una rapida modernizzazione. Tecnologia ed istruzione di massa avrebbero consentito di rimediare al carente sviluppo capitalistico che aveva preceduto la Rivoluzione e secondo i paradigmi marxisti poteva minacciare il successo della dittatura proletaria. Di contro, la ristabilizzazione politica post-bellica in Europa non permetteva più di credere nella possibilità di esportare rapidamente la rivoluzione, di usufruire dell’aiuto del proletariato dei paesi più sviluppati o di sfruttare le interconnessioni tra i sistemi economici nazionali. Il nuovo obbiettivo, funzionale al mantenimento del nuovo ordine, doveva contare esclusivamente sugli sforzi “interni”442.

Rimaneva ora la decisione sulle aree e sulle popolazioni da coinvolgere in questo progetto e sui termini del nuovo “patto sociale”. La questione delle nazionalità e dei territori coloniali complicava la realizzazione di un ordine rivoluzionario, che ambiva a negare le discriminazioni di ceto sussistite sotto lo zar. E’ evidente poi che alla dialettica centro-periferia si intersecava la questione ancora più complessa della presenza di popolazione russa in quest’ultima. In Kazakistan, infine, era meno incidente nella popolazione nativa la classica contrapposizione tra coloro che erano disposti, per interesse o pragmatismo, a collaborare con i russi e coloro che vi si opponevano a priori. L’unico interlocutore maturo era l’Alash e questo parlò per la popolazione, che questa vi si identificasse o meno, ma esprimendo di fatto il malumore diffuso per le questioni più urgenti per tutti.

Seppure la carenza iniziale di impegno nelle periferie non avesse causato le medesime rivolte che in Russia, ed in specie tra la popolazione centrasiatica stremata, la fedeltà al nuovo regime avrebbe pesantemente risentito della sua capacità di migliorare in fretta le condizioni di sopravvivenza. Da un lato, come già detto, i proclami di parità tra le popolazioni dell’Impero appena riconquistato in avversione al “vecchio” regime ed alle sue discriminazioni. Dall’altro, il trauma di dover gestire un paese reale, immenso, dall’economia distrutta e diversificata per tradizioni e condizioni ambientali. La priorità concessa infine alla popolazione slava “del centro” non è solamente l’esito di una quasi inevitabile politica di discriminazione verso i non-slavi. Semplicemente per saziare le città dovevano innanzitutto essere rimesse in piedi le regioni granifere. Il futuro Kazakistan, almeno nella sua attuale porzione steppica, non era tra queste.

Così la creazione in itinere della futura economia sovietica rischiava di rendere ancora più anonime le richieste kazake. Per quanto si sostenesse infatti l’importanza di che si intendeva istituire. E’ forse troppo facile enfatizzare gli elementi di continuità tra le politiche zariste e sovietiche senza tener conto di come la lettera stessa del marxismo avesse previsto in buona parte gli assetti economici successivi. La deriva post-populista dell’operato eterodosso di Lenin e compagni, cioè i tempi e i metodi della creazione del presunto ordine comunista, probabilmente non inficiarono cioè le immediate scelte in campo economico (V. Zaslavsky, op.cit, pp.61-63). 442 V. Zaslavsky, op.cit, pp.75-77. Il caso della NEP rappresenta un momento particolarmente significativo e contraddittorio dell’instaurazione del nuovo regime. Essa agì di fatto come liaison tra gli sforzi eccezionali del comunismo di guerra e la “normalità” delle prime pianificazioni, a regime stabilizzato. Circostanze significative sono le stesse dichiarazioni ed azioni di Lenin in proposito: dapprima, egli cercò di ritardarla il più possibile ed una volta attuata ne sottolineò il carattere di assoluta provvisorietà. Ed in effetti si trattò di una linea politica in certo qual modo imbarazzante dal punto di vista ideologico, che alcuni critici non esitano a descrivere come una “parentesi borghese” (C. Barbagallo, op.cit, 106-107). Di fatto, pur vista come semplice premessa del futuro orientamento economico (redistribuzione della terra e riforma agraria, nonchè direzione statale dell’economia), essa fu o finì per essere una parziale concessione alle regole del libero mercato. Questa si riflesse in Kazakistan in alcuni elementi, come la proprietà privata sulla terra (pur parziale) o la libertà di iniziativa personale, che senz’altro faranno emergere forze vitali della società e dell’economia, ma contribuiranno a rendere ancora più drastica la futura repressione, dopo aver doppiamente ingannato e sfruttato le aspettative. Infine, nella stessa contraddizione tra i limiti della pianificazione e della centralizzazione emergenti e l’eccentricità delle forze locali risiede da ultimo la causa prima del fallimento di questa fase economica sperimentale.

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vivificare la spinta rivoluzionaria nelle periferie, il Kazakistan, sia come produttore di capi di allevamento come nel passato, sia in un eventuale nuova posizione in un sistema industrializzato, era ormai strutturalmente dipendente da un centro economico produttivamente florido e da un’efficace rete per la distribuzione. Se nel biennio 1920-’21 le steppe vennero così lasciate a loro stesse, di lì a poco invece si sarebbe rapidamente istituito un rapporto pesantemente gerarchico e predatorio tra il centro slavo e la periferia, non solo musulmana o centrasiatica.

Ma per il momento, nella totale latitanza di qualsiasi autorità statale, i meccanismi della sussistenza e della solidarietà tradizionale trovarono puntualmente spazio. Ovviamente si trattava ancora una volta di un equilibrio in buona parte nuovo, posto che la situazione appena descritta non consentiva l’automatico ripristino dello status quo sociale tra dominatori e dominati. L’autorità dei khan era ormai dimenticata, né vi erano per il momento possibilità di collaborazione in qualità di intermediari per i nobili, come nel passato zarista (l’azione dell’Alash era cosa ben diversa, trattandosi qui dei “quadri” intermedi della passata amministrazione). Ciononostante, colpisce ancora una volta come la freschezza e flessibilità di una cultura millenaria e di una popolazione secolare sia stata puntualmente tacciata di “resistenza alla modernizzazione” dai dominatori.

A ben vedere, questa forma di reazione sociale spontanea altro non fece che riempire gli spazi lasciati vuoti dal potere statale, proprio nel momento di massima vulnerabilità del mondo tradizionale, trasformato nelle gerarchie, nell’ambiente di insediamento, ridotto a fame e ridotto numericamente. Ma la riemersione delle autorità tradizionali non era certamente un esito previsto, una variabile che poteva essere presa in considerazione da chi così poco conosceva l’ambiente sociale in questione; e questo fu il primo motivo di allarme. Tuttavia, gli stessi documenti russi contemporanei riconoscono che la situazione in Kazakistan era particolarmente critica. Non doveva quindi ragionevolmente meravigliare che si riattivassero spontaneamente tutte le energie ancora disponibili: clan, aul e singole famiglie. E in particolare, proprio l’azione degli aqsaqal fu essenziale per contenere un ulteriore collasso demografico; ma questa azione di contingentamento non aveva a sua volta alcuna capacità propulsiva, innovativa o sovversiva.

Dal punto di vista prettamente economico, l’unico vantaggio dell’ultima Rivoluzione (dopo la riconquista) fu la parziale riapertura delle vie di commercio ed il ripristino delle forze di mercato durante la NEP, che rese l’allevamento nuovamente profittevole. I kazaki cercarono semplicemente di compiere il ruolo economico che avevano svolto fino al momento della sfaldatura del regime zarista. Ma proprio questo riaccese l’istintivo timore di una ripresa dello stile di vita nomadico, complementare a quello della ripresa delle autorità tradizionali sul piano squisitamente socio-politico. Come ai tempi di Caterina II, venne così prepotentemente incentivata l’agricoltura, a discapito dell’allevamento. Ma la realtà rimaneva che, come descritto, anche tra coloro che per primi poterono nuovamente contare su dei profitti notevoli, nessuno era ormai più in grado di abbandonare le terre utilizzate per i pascoli, faticosamente preservate e rimesse a frutto. Il semi-nomadismo degli ultimi decenni rimaneva ben altra cosa al confronto del nomadismo tradizionale.

Ma se la politica non era in grado di proporre soluzioni attivamente, poteva comunque in questo fasullo clima di liberalità economica decidere di rinunciare ad alcune azioni, se queste erano adatte alla ripresa economica. Particolarmente rilevanti saranno allora le esenzioni o le forti riduzioni delle tasse su lana e carni. Questa decisione consentiva chiaramente il raggiungimento del livello di sostentamento attraverso la vendita di un numero minore di capi. Si potevano così risparmiare le bestie più giovani e farle giungere all’età dell’accoppiamento, incrementando la velocità di riproduzione. Ed ecco che l’unica azione (involontariamente) positiva compiuta dal governo venne rapidamente soffocata da nuovi (e infondati) timori. Si cominciò a vociferare che i

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kazaki speculassero sui prezzi trattenendo parte dei capi di bestiame, mentre invece vi era dietro questa scelta un’evidente motivazione tecnica. E questo piccolo episodio dà nuovamente il segno di come spesso anche l’autorità sovietica agirà di istinto, quasi di superstizione, ogni qualvolta la popolazione nomade kazaka darà segni di ripresa.

A dimostrazione poi del fatto che i kazaki non intendessero abbandonare l’equilibrio semi-nomadico raggiunto, stanno le numerose richieste presentate nonappena lo stato varerà campagne di prestiti o sbandiererà il vessillo di terre inutilizzate e di prossima assegnazione, nel tentativo di reindirizzare gli sforzi dalla temuta riemersione dell’allevamento all’agricoltura. Ma così come i prestiti non potevano essere appoggiati da sufficiente capitale liquido, analogamente era difficile rinvenire quali terre fossero a disposizione o meno, posto che i kazaki avevano cambiato i brevi percorsi migratori durante la guerra ed analogamente interi insediamenti russi si erano spostati illegalmente in zone diverse da quelle assegnatele. Così, salvo poche eccezioni, la terra inutilizzata disponibile era semplicemente quella abbandonata durante la terra in quanto rovinata dal conflitto.

Piuttosto, le maggiori conseguenze delle dinamiche economiche della prima metà degli anni Venti sono proprio di natura politica. La diffidenza verso l’iniziativa popolare, lo scarso intervento o gli interventi selezionati e prudenti impedirono alle nuove autorità di cavalcare la ripresa con uno sforzo minimo e di legittimarla così come un esito della rivoluzione. Di contro, venne così involontariamente accantonato in pochi mesi un risultato pluridecennale: i leader nazionalisti, sempre più fagocitati dal nuovo apparato, apparvero definitivamente sconfitti agli occhi dei redivivi leader tradizionali, per il resto mai completamente sedotti dalla partigianeria nazionalista. La ricostituzione degli aul come semplici soviet, rappresentò l’ultimo espediente formale per la sopravvivenza, ormai equidistante da qualsiasi forza politica. Il non-stato sovietico aveva in altre parole delegittimato l’unica componente sociale con cui potesse sviluppare un dialogo proficuo e per il cui tramite penetrare nella vera società, quella rurale e non appariscente. Di conseguenza, gli Alash rimasero incastrati tra l’assenza di concreti strumenti di intervento economico e la conseguente incapacità di condizionare effettivamente le scelte di Mosca. In questo modo, si preparò involontariamente il terreno alla rimozione di qualsiasi rappresentanza locale, che sarebbe diventata in seguito un esplicito obbiettivo politico.

La chiusura localistica fu poi facilitata dalla NEP, che aveva concesso una proprietà privata limitata dei campi. Ma questo a sua volta rilanciava il problema, già affrontato ma non risolto dall’Alash, della redistribuzione delle terre. Se nei mesi dell’autonomia e nei primi del nuovo regime si era pensato all’esproprio forzato dei territori occupati dagli slavi, questa soluzione era divenuta in realtà impraticabile. Piuttosto, rimanevano (ben pochi) lotti ancora inutilizzati e confiscati dalle precedenti amministrazioni e aperta la questione di come e se assegnarli ai russi o ai kazaki indigenti. Ben poche indicazioni specifiche provenirono dal centro, che piuttosto delegò a ciascuna guberniia l’onere di istituire dei comitati specifici per decidere delle singole situazioni. Non pare infine esservi stata alcuna significativa redistribuzione di terra ai privati in Kazakistan, ma piuttosto l’utilizzo in alcune aree delle terre pubbliche come terre comuni per i pascoli. A queste nel 1923 si affiancarono le scarse aree boschive, dopo circa cinquant’anni di inaccessibilità per i nativi.

Inoltre, la questione della redistribuzione della terra andava di pari passo con la stabilità dei rapporti tra russi e kazaki: dare una svolta definitiva alla sedentarizzazione significava assicurarsi l’attaccamento alla terra dei kazaki ancora legati a pratiche semi-nomadiche. Per fare questo era necessario garantire loro l’utilizzo indiscusso e giuridicamente tutelato della terra, ma questo avrebbe privato i coloni russi di terre vecchie o nuove. A complicare i rapporti stava il rifiuto categorico dei kazaki di rinunciare alle proprie terre, specie se queste appartenevano alle famiglie nomadi, che

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poi erano spesso le stesse degli esponenti locali del nuovo regime. Ed analogamente fu avversata la contraddizione per cui si dovevano corrispondere esose tassazioni per ricevere poi prestiti e vari servizi di assistenza economica: l’antica diffidenza ben suggeriva di accumulare tutta la ricchezza disponibile e provvedere da soli alla propria ripresa.

Nonostante tutti questi problemi, l’economia steppica riuscì a riprendersi. Già nel 1925 una produzione di circa due terzi dei raccolti e del bestiame del periodo pre-bellico era stata recuperata. La principale differenza –come prevedibile- stava nella percentuale di kazaki impiegati in agricoltura, che dal 15% della forza lavoro totale era passata ora al 25%, su una popolazione nel complesso drasticamente ridotta in numero. Infine, la lentezza nel ripristinare le infrastrutture limitò la distribuzione al consumo locale, pur rallentando la produzione totale443.

In Kazakistan la ripresa economica incoraggiava il regime. Tuttavia, anziché lasciare

libera l’economia di continuare a stabilizzarsi con le proprie forze, Mosca decise di stringere la propria presa sulla comunità locale. Questo in parte rifletteva semplicemente gli eventi in corso a Mosca, cioè la lotta per il potere e la revisione della NEP444. Dall’altra, fu l’esito delle consuete difficoltà del nuovo potere con la comunità locale. Entrambe condurranno all’inesorabile riemersione di un approccio coloniale puro.

Le politiche attuate in Kazakistan poi non furono inizialmente estese al resto dell’Asia Centrale, considerata ben più restia e refrattaria. Al contrario, i kazaki, a lungo popolazione di confine e ben più a lungo esposti all’influenza russa, erano considerati molto più malleabili ed aperti al dialogo. Ma soprattutto, una volta costituitasi come

443 M.B. Olcott, op.cit, pp. 160-165 444 I maggiori cambiamenti tuttavia sarebbero indirettamente stati determinati nella seconda metà del decennio dalla morte per malattia di Lenin nel gennaio 1924, proprio nel momento della stabilizzazione del regime. Già dal 1922 la malattia aveva impedito al leader ed ideologo bolscevico lo stesso attivismo del passato e in molti dibattono sul ruolo della malattia sulle ultime scelte, politiche e ideologiche. Resta il fatto che già nell’aprile del ’22 Stalin era divenuto segretario generale del partito centrale, con piena approvazione dello stesso Lenin, che però alla fine dello stesso anno aveva espresso i propri ripensamenti a proposito in un documento per il congresso del partito, che Stalin riuscì ad intercettare e bloccare. E proprio questo episodio dimostra come il ruolo istituzionale e il peso politico avessero reso Stalin già prima della morte di Lenin la figura più influente del nuovo regime.

Trotsky, anch’egli ideologo e stratega della Rivoluzione fin dalle prime ore affianco a Lenin, si era ormai fatto troppi nemici: le sue origini ebree e i suoi metodi dispotici lo rendevano una figura scomoda nel partito controllato da Stalin. Dalla parte opposta stava la destra di Bukharin, principale ideologo e difensore della NEP e delle ultime volontà di Lenin. Quest’ultima componente venne inizialmente manipolata contro la sinistra. Infine, ai vertici del partito, Stalin venne affiancato da Zinoviev e Kamenev, rapidamente esautorati sul finire del 1925, dopo essersi alleati con Trotsky contro la crescente dittatura staliniana. L’allontanamento dal partito e dal paese di Trotsky nel ’27 e nel ’28 fu a quel punto un atto quasi ovvio e di cui le controversie ideologiche (Rivoluzione Mondiale versus Rivoluzione in un solo paese) erano probabilmente il semplice rivestimento ideologico. Eliminato il principale rivale, anche la destra di Bukharin diveniva pericolosa, seppure per ragioni più pratiche che ideologiche. In particolare, Bukharin difendeva l’idea degli ultimi scritti di Lenin che la NEP dovesse durare per generazioni, così da ridurre le distanze materiali e culturali tra città e campagne. Ma la situazione nel paese era andata rapidamente cambiando: se già nel 1925 era stato raggiunto il livello di produzione agricola dell’anteguerra, i beni di prima necessità cominciarono a scarseggiare nelle città. Erano infatti trattenuti dai contadini, non più disposti a rinunciarvi in cambio di un’adeguata ricompensa in denaro o prodotti industriali. Ma non v’erano ancora praticamente industrie operative sul suolo nazionale. Collettivizzazione agricola e industrializzazione forzata divennero allora inevitabili. La prima avrebbe garantito il controllo statale sulle campagne e l’afflusso di beni primari nelle città; la seconda avrebbe migliorato la produttività nel suo complesso. Stalin optò infine per un’imposizione forzosa della nuova politica economica, che costò milioni di vite nei primi cinque anni della pianificazione tra tutti coloro che nelle campagne vi si opposero. Ai vertici questo implicò l’esautorazione della destra di Bukharin e la fine della NEP nello stesso 1929 (A.Brown et al, op.cit, pp. 110-111).

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repubblica della federazione sovietica e annessi gli oblast meridionali, la sua rilevanza in termini di strategia economica crebbe considerevolmente, specie per il crescente contributo nella produzione di grano. Ma l’integrazione economica implicava un’obbedienza politica assoluta. I problemi cui si andava incontro in Kazakistan erano due: un’identità politico-culturale definita e una leadership nazionale altrettanto definita e radicata.

In linea di massima, la NEP e l’atteggiamento di Lenin verso le minoranze avevano rappresentato le due facce, quella economica e quella culturale, della stessa medaglia, il cui scopo era accorciare le distanze tra centro e periferia, mondo slavo e non, attraverso l’integrazione commerciale e valori politici condivisi. Ma la resistenza culturale dei kazaki aveva fornito da tempo un esempio paradigmatico del fallimento di questa linea ed indotto a vere e proprie campagne di sovietizzazione per iniziare ai valori del socialismo. Già nel 1920 “l’illuminismo sovietico” si era rivolto contro alcuni istituti dell’adat: il kun, cioè la vendetta di sangue per l’uccisione o il ferimento di un proprio famigliare, il kalym, il “prezzo della sposa” da corrispondere alla famiglia della donna, e così molti altri vennero dichiarati fuori-legge445. Persistevano poi tutti i problemi inerenti alla gestione di popolazioni musulmane, come quello dei beni waqf o il conflitto con la sharia. Lo status dei beni del clero confliggeva crescentemente con il problema della proprietà collettiva della terra, mentre nessuno sottoponeva spontaneamente le proprie controversie ai tribunali sovietici446.

Altro problema fu quello dell’educazione: l’analfabetismo venne visto come il problema-chiave da superare per favorire l’industrializzazione, cui la NEP era strumentale. Nel 1922 tutti gli intellettuali kazaki vennero mobilitati in una massiccia campagna di istruzione nelle campagne. Le intenzioni politiche di questa scelta ricordano da lontano la fallimentare “andata al popolo” di fine ottocento dei populisti russi. Ed in uno strano gioco di somiglianze e rimembranze, i russi commisero analogamente un nuovo errore “proveniente dal passato”. Nell’ansia di incrementare l’istruzione in un contesto povero di mezzi, umani e strutturali, vennero infatti mobilitati persino gli educatori islamici (muallim). Ma sempre come accaduto nell’Ottocento, ben presto questi rappresenteranno un circuito alternativo e semi-illegale di idee politiche, che anziché affiancarsi all’istruzione pubblica, entrò in competizione con essa, spesso sostituendovisi.

Sul piano dell’indottrinamento politico, invece, erano state istituite le cosiddette Carovane Rosse, cioè dei gruppi itineranti che diffondevano principi e dogmi del marxismo e del partito. Sul piano dell’assistenza sociale, anche le Yurte Rosse seguivano i processi migratori della popolazione, ma erano specificamente indirizzate alle donne, cui intendevano fornire l’alfabetizzazione di base negata nelle scuole religiose. Queste fornivano infine assistenza medica e medicinali, anche se pare intuitivo che non potessero “inseguire” tutti i singoli gruppi migratori e che la carente assistenza medica derivatane non colmò le perdite per epidemie o carestie di quegli anni (nonostante la crescente ripresa economica).

A livello di elites, invece, il semplice indottrinamento non era affatto plausibile, posto che esse erano perfettamente in grado di argomentare e difendere le proprie posizioni, a loro volta esito di una riflessione sufficientemente originale e caratteristica. Già nel dicembre del ’24 era stata “ufficializzata” la situazione di difficoltà del nuovo regime. Alla conferenza del partito locale dell’aprile del 1925 venne poi stabilito che era

445 M.B. Olcott, op.cit, pp. 170-174 446 H. Carrère d’Encausse, National Republics lose […], p. 254-259. Stalin, già ai vertici del partito e in lotta per il potere di fronte ad un Lenin sempre più debole e malato (A.Brown et al, op.cit, p.110), ne aveva già apertamente criticato la politica, affermando la necessità di ridimensionare la questione etnica (V. Zaslavsky, op.cit, pp.83-85). In questo momento però ancora giurava il rispetto degli impegni presi in nome di tutta l’Unione (H. Carrère d’Encausse, op.cit, p. 259).

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necessario allontanare i leader locali da tutte le posizioni di comando, a favore di russi ed ucraini. Il riconoscimento di questa presunta maggiore maturità politica degli slavi rispetto ai kazaki era in realtà funzionale alla prima elezione di massa dei delegati per il Soviet Supremo, che si sarebbe dovuta tenere nel dicembre successivo. Questa elezione doveva evidentemente costituire un organismo omogeneo, coeso e capace di riflettere acriticamente le direttive del vertice del partito, su cui Stalin guadagnava indiscutibile potere. Le questioni delle nazionalità, in particolare, dovevano essere fortemente ridimensionate e le ragioni di coloro che si contendevano il potere centrale prevalere a qualsiasi costo, indipendentemente dalle reciproche ostilità447. Lo stesso Stalin aveva pesantemente manipolato composizione e scelte del Congresso Sovietico Popolare del 1925448, il quale aveva poi stabilito la necessità dell’elezione popolare dei propri componenti. In quella stessa sede, venne segnato il declino della NEP in favore del maggiore controllo dello stato sull’economia e dell’industrializzazione forzosa. Tuttavia, il 90% degli eletti erano candidati non iscritti al partito: questo costrinse ad una più intensa azione di sovietizzazione del paese, che condusse ad escludere i non-membri del partito per le elezioni degli anni successivi.

Il periodo 1925-1929 segnerà così la crescente dipendenza del governo centrale di quello locale e dal vertice del partito del Kazkraikom (il comitato regionale del partito comunista). Le deliberazioni dell’aprile 1926 di quest’ultimo segnarono infatti le prime iniziative contro aqsaqal e nazionalisti. Contro i primi, si iniziò a rivedere lo status giuridico degli aul. I secondi venivano invece sempre più attaccati pubblicamente e con loro le loro tesi. Qualsiasi tentativo di tutelare i residui di nomadismo sopravvissuti vennero aggrediti. Qualsiasi considerazione tecnica, come lo scarso rendimento delle steppe se convertite ad agricoltura, venne deliberatamente accantonate. Lo scopo unico era rimuovere i leader Alash rimanenti, che del mondo tradizionale rappresentavano l’insidia maggiore, essendo quella parte di società che aveva maggiormente dimostrato capacità di mediare tra vecchio e nuovo.

Eliminati definitivamente gli oppositori, Stalin si dedicò a ricostituire la completa

autorità del governo centrale trasformando la Federazione Russa nel cuore dell’Unione. La Collettivizzazione, che scosse il paese fino al 1937, doveva garantire la maggiore coesione tra centro e periferia, ma in maniera ben diversa dalla “docile” NEP. Compito della nuova politica economica era sviluppare un controllo costante dell’economia, controllando a sua volta costantemente gli sviluppi dell’economia stessa. In particolare, bisognava purgare l’erigendo ordine socialista dalle impurità capitalistiche ancora esistenti nel campo della produzione, sia agraria che industriale ed artigiana. Nel mentre, le espropriazioni di grano ed altri prodotti avevano già provveduto a “sovietizzare” la distribuzione, cioè tutti i commerci effettuati da e tra privati. A tal fine, la Pianificazione avrebbe provveduto al secondo scopo. L’industrializzazione forzosa invece avrebbe consentito la disponibilità delle maggiori tecnologie necessarie al primo, ma solo se prontamente affiancata dalla collettivizzazione delle campagne449.

La “necessaria liberalità” di Lenin venne rapidamente accantonata. La repressione delle identità locali e la loro convergenza verso il modello dell’etnia gran-russa divennero prioritari. L’introduzione obbligatoria dell’alfabeto russo, il cirillico, per tutti gli idiomi nazionali e la riscrittura di tutte le storie nazionali per enfatizzare il carattere “progressivo” dell’imperialismo russo furono le principali e più palesi azioni intraprese da Stalin per rafforzare lo chauvinismo russo e ripristinare la centralità dell’etnia gran-russa.

447 M.B. Olcott, op.cit, pp. 165-166 448 A.Brown et al, op.cit, p.110 449 C. Barbagallo, ibidem

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Dal punto di vista culturale, la “necessaria liberalità” di Lenin venne rapidamente accantonata. La repressione delle identità locali e la loro convergenza verso il modello dell’etnia gran russa divennero prioritari. L’introduzione obbligatoria dell’alfabeto russo, il cirillico, per tutti gli idiomi nazionali e la riscrittura di tutte le storie nazionali per enfatizzare il carattere “progressivo” dell’imperialismo russo furono le principali e più palesi azioni intraprese da Stalin per rafforzare lo chauvinismo russo e ripristinare la centralità dell’etnia gran russa.

L’immediata identificabilità nazionale del popolo kazako e l’appetibilità del suo immenso territorio, li avevano resi precoci e principali vittime di tutte le decisioni di Mosca, dalla costituzione delle repubbliche (la prima di tutta l’Asia Centrale nel 1920) alla Collettivizzazione (in nuce già dal 1926, ai tempi dei primi provvedimenti “frontali” contro gli aqsaqal)450. Se già nel periodo leninista molti degli istituti tradizionali erano stati considerati eccessivamente barbarici, la prima vittima degli attacchi staliniani sarà il “rivestimento” sovieticheggiante dato fino a quel momento agli aul ed alle altre strutture sociali. L’astio verso le elites politiche locali e, più in generale, la nascita stessa dell’economia centralizzata negava la possibilità di riconoscere dei “casi particolari” da sottoporre a regole specifiche e distinte da quelle del resto del paese, salvo correre il rischio di creare precedenti pericolosi. Perciò stesso l’intera popolazione kazaka doveva essere impegnata nella produzione di grano, esattamente come tutta la popolazione della neonata Unione.

Tuttavia, politiche poco accorte accompagnavano queste scelte. Nel 1926 si registrò il primo raccolto pari a quello precedente la guerra. L’incremento era stato notevole, posto che un terzo di questo risultato venne ottenuto negli ultimi dodici mesi. In un certo senso, gli sforzi davano i loro frutti e le direttive parvero rispettate. Tuttavia, lo stato decise di mantenere per sé una piccolissima parte della produzione ed immettere la restante sul libero mercato a prezzi altissimi, quasi proibitivi. Al contrario, l’anno successivo questi subirono una riduzione tale da rendere la vendita sconveniente. Quindi nelle periferie si preferì utilizzare i raccolti per il nutrimento delle mandrie e molto meno grano raggiunse le città, mentre l’agricoltura era stata involontariamente scoraggiata per l’ennesima volta.

Le oscillazioni e gli effetti indesiderati del libero mercato imposero la definitiva collettivizzazione delle campagne: quì la terra perdeva qualsiasi connotato di proprietà privata a favore delle cooperative di agricoltori, mentre le direttive centrali dovevano disciplinare la produzione e garantire la distribuzione verso le città. Premessa logica inevitabile dei programmi di industrializzazione, la collettivizzazione nelle campagne rappresenterà il pilastro del primo Piano Quinquennale, approvato nel dicembre 1927. E da questo momento iniziarono anche le spedizioni punitive di lavoratori dalle città alle campagne per la requisizione forzosa del grano.

Normalmente i kazaki preferivano bruciare il raccolto, anziché consegnarlo al Kazkraikom. Con l’intento di fornire un segnale esemplare delle conseguenze di gesti analoghi, si iniziarono ad espropriare tra il ’26 e il ’27 le greggi dell’ak suyuk per ridistribuirle tra il kara suyuk. In piena logica marxista poi, si ritenne che, una volta privatili dei mezzi di produzione, essi avrebbero perduto qualsiasi ascendente sulla popolazione. Se molti di essi preferirono migrare verso le valli, il Volga, la Siberia o la Cina, in Kazakistan quest’azione non condusse ai risultati sperati tra la popolazione comune. Il ruolo della nobiltà infatti non era mai stato messo in discussione fino ad allora, la sua ricchezza non era oggetto di invidia e la popolazione continuava a vedere in essa un legittimo punto di riferimento, senza accusarla della decadenza attuale.

450 G. Lakshmi, op.cit, pp. 30-31

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Qualsiasi confisca di terra o bestiame alla nobiltà era anzi vista come un attacco all’intera comunità451.

Questo attacco alle proprietà nobiliari coinciderà poi con il loro definitivo allontanamento dalle posizioni di comando nel partito e nel governo. Le prescrizioni di requisizione di grano erano da questi state interpretate principalmente contro gli slavi e l’intervento di Mosca non potè che essere celere. In coincidenza con la bocciatura delle mozioni del blocco Trotskyi-Zinoviev, anche i nazionalisti vennero tacciati di “eterodossia” e cacciati. La propaganda si occuperà poi di far apparire come concausali questi due avvenimenti, cioè l’allontanamento dei nobili kazaki e la pulizia di vertice a Mosca. Si trattò invece di una palese coincidenza: i tempi erano maturi per quella convergenza tra i quadri centrali e locali di cui si è detto. I notabili locali vennero puntualmente sostituiti da funzionari slavi provenienti da Mosca, poi rimpiazzati dall’armeno C.I. Mirzoyan, cui vennero affiancati funzionari europei, cioè principalmente tedeschi.

Tuttavia, l’allontanamento dai meccanismi decisionali tolse l’ultimo vigore alla resistenza locale. Privata delle risorse materiali tradizionali e ridotta la popolazione alla fame, venne ora meno anche il segno formale di una sovranità sempre più svuotata, cioè la compartecipazione al processo decisionale. La sostenibilità di un nuovo conflitto era scomparsa già da tempo; anche la resistenza politica e intellettuale tremerà ora, fino alla sparizione fisica dei suoi sostenitori (1935)452.

Ma allontanati l’Alash e la sua conoscenza della realtà locale, venne persa l’autentico vantaggio connesso a questa improbabile alleanza. La maggior parte dei nuovi decisori politici erano infatti slavi e non avevano mai messo piede personalmente in quest’area, né vi dedicarono mai alcuno sforzo, salvo quello di ridurla ad obbedienza. La cognizione che ne ebbero i bolscevichi venne allora inevitabilmente distorta dalla precedente esperienza russa, se non ereditata direttamente per tramite del personale amministrativo ormai allontanato, attraverso i documenti da questo lasciato e ancor di più dai pregiudizi diffusisi in quel periodo. Fu in estrema sintesi la non-conoscenza degli usi e dei costumi del luogo, che salvo rari casi, neppure sessant’anni di dominio erano riusciti a migliorare, il principale elemento di continuità tra la politica zarista e quella sovietica453.

A partire dal ’25-’26, al Partito Comunista Kazako spetterà l’incarico della requisizione del grano. Infine, gli venne affidata l’applicazione del nuovo Codice Civile del 1925, che imponeva lavori forzati per chiunque avesse continuato ad applicare l’adat. Ma gli scarsissimi appelli popolari alla giustizia sovietica, così come tutte le osservazioni compiute da etnografi ed antropologi russi dell’epoca, convergono sulla conclusione che la capacità di trasformare la cultura locale fosse in realtà minima. Anzi, per alcuni versi essa ne risultò rafforzata, data la presenza di maggiori infrastrutture a collegare le steppe al resto del mondo islamico “dei fiumi”, fossero questi il Volga o quelli centrasiatici.

In realtà, se proprio la questione delle infrastrutture avvicinava i poli islamici del mondo sovietico, esse erano ancora insufficienti ad avvicinare il centro moscovita alle steppe, laddove non potevano esistere pregressi binari culturali paragonabili a rendere più fluida l’interazione. L’inizio dell’effettiva sovietizzazione delle steppe dev’essere allora rimandato agli anni Trenta, quando ancora una volta non saranno le leggi o gli assetti amministrativi, l’economia o l’istruzione itinerante a produrre effetti, ma bensì, come ai tempi della prima penetrazione russa, una ben più solida rete ferroviaria. Ripristinati quei segmenti che dagli Urali conducevano al Türkestan, una nuova

451 M.B. Olcott, op.cit, pp. 199-170; Elizabeth E. Bacon, Central Asians under Russian Rule. A study in cultural Change, Cornell University Press, Ithaca, New York 1966, p. 118 452 H. Carrère d’Encausse, op.cit, pp. 259-261 453 M.B. Olcott, op.cit, pp. 157-158

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direttrice prese a collegare il Türkestan direttamente alla Siberia, contribuendo all’integrazione economica delle steppe sia ad ovest che ad est.

Analogamente, se gli anni Venti segneranno la ripresa economica, in buona parte da imputare ai “liberi” sforzi locali, sarà a partire dagli anni Trenta che la zona registrerà un surplus per l’esportazione, o forse semplicemente una maggiore capacità di estorsione da parte del centro. Per il momento il raggiungimento dei livelli di produzione ante bellum, non cambiano la natura semi-nomadica dell’economia kazaka. Se aumenta il numero di coloro che tra i nativi si dedicano all’agricoltura, è anche vero che i territori messi a frutto sono spesso terre marginali, che non riducono il fabbisogno lasciando inalterata la pressione sulla terra.

Certamente i costi dell’integrazione economica secondo le direttive di Mosca, cioè come area produttrice di grano, saranno altissimi: non solo i sovietici non avevano risorse sufficienti per imporsi nelle campagne, non solo mancavano le conoscenze per delle politiche sociali efficaci, non solo mancavano idee per delle politiche economiche non contraddittorie, ma il Kazakistan rimaneva oggettivamente un territorio di difficile ammaestramento. Dal punto di vista culturale, i kazaki erano quanto mai estranei al mondo agricolo e sedentario; quanto raggiunto a partire dagli anni Venti del secolo precedente era stato in parte dimenticato dopo gli sfollamenti di qualche anno prima. Ed anche allora il compromesso si era chiuso in pareggio, con una soluzione economica “mista”, cioè semi-nomadica, non tanto dettata dalla capacità russa di penetrazione locale, quanto dal suo stesso essere “Impero”, cioè limitare spazialmente i popoli nomadi e fornire una cornice economica asfissiante. Dal punto di vista ambientale, le steppe rimanevano territori ostili alla sedentarietà, a confermare in maniera del tutto superflua la sagacia delle forme di insediamento perfezionate in secoli di tempo rispetto agli sforzi degli ultimi decenni.

Ed anche nell’ipotesi di un massiccio invio di sementi, utensili ed tecnici, rimane il pertinente dubbio che questi non sarebbero bastati a trasformare le steppe in oasi. L’acqua, concentrata in alcune zone e in alcune fasi dell’anno, rimaneva il principale problema. Edificare un accampamento attorno ad un pozzo poteva significare sempre doverlo abbandonare di punto in bianco perché si era esaurito, senza certezza alcuna che le piogge dell’inverno entrante potessero riempirlo o delle fonti vicine potessero bastare ad affrontare il tempo che separava dalla stagione umida. Una “rivoluzione ambientale” di tale portata non sarebbe certamente potuta dipendere dagli sforzi dei soli kazaki. Solo un ampio programma di infrastrutture idriche, basato a sua volta su una massiccia industrializzazione, avrebbe forse potuto cambiare l’ordine imposto da latitudine e longitudine, distanza dal mare ed altitudine454.

L’economia staliniana Nel novembre 1929 Stalin varò la Collettivizzazione per l’intera Unione, a due anni di

distanza dall’annuncio della Prima Pianificazione (dicembre 1927). Pilastro essenziale era la proprietà collettiva delle “imprese agricole” nelle campagne. Questa censurava la proprietà privata parziale concessa dalla NEP, pur non rappresentando un’innovazione così assoluta. Subito dopo la Rivoluzione infatti i bolscevichi avevano immediatamente tentato la nazionalizzazione della terra, prontamente abbandonata a causa della sua impopolarità. La parziale proprietà privata della terra concessa dalla NEP intendeva in qualche maniera rimediare a queste reazioni negative. Così fin dal 1918 uno sfaccettato regime di istituzioni ibride aveva disciplinato la proprietà della terra: la comune pura e semplice, in cui i membri condividevano prodotti e risorse; i TOZ, in cui la terra veniva lavorata in comune, ma la proprietà dei capi di bestiame rimaneva separata; gli artel, in

454 M.B. Olcott, op.cit, pp. 167-175

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cui accanto ad una gestione prevalentemente comunitaria rimanevano dei margini per la proprietà privata di terra e animali; infine, i sovkhozy erano dei terreni di proprietà statale in cui lo stato pagava i contadini come veri e propri salariati. Dal 1925, i primi segni della ripresa economica avevano consentito di incentivare le forme di proprietà collettiva, così funzionali ai bisogni del nuovo regime di incarnarne i valori più autentici.

E’ difficile individuare le esatte percentuali della terra gestita in comune in Kazakistan. La proprietà privata era certamente prevalente, nonostante tutte le limitazioni di quantità e di corrispondenti diritti, e tutte le fonti concordano in questo. Di contro, si calcola che la percentuale di terre gestite collettivamente ammontasse in certe ragioni già al 18% nel 1929, fatto che –compiute le dovute approssimazioni per l’intero territorio nazionale- già soddisfaceva l’intento staliniano di portarne la percentuale al 12% in tutti i territori dell’Unione entro il ’32, data di scadenza del Primo Piano Quinquennale (ma una percentuale più bassa era riservata all’Asia Centrale)455. Teoricamente, la prima pianificazione non avrebbe dovuto perciò colpire in maniera drastica il paese.

Tuttavia, quest’organizzazione del lavoro era principalmente diffusa tra gli slavi e contribuiva in minima parte alla produzione complessiva del paese. I nomadi, semi-nomadi ed agricoltori kazaki sembravano essersi ormai rassegnati al principio della divisione in piccoli appezzamenti separati e virtualmente “inaccessibili” gli uni agli altri per lo sfruttamento economico. La proprietà collettiva della terra, lo sfruttamento delle semplici risorse messe a disposizioni di stagione in stagione dalla natura e la competizione per il loro accaparramento, “diplomatico” o militare, erano d’altronde già stati superati. Ma –come accennato- per la sua conformazione il Kazakistan non poteva rimanere escluso dall’ampio intervento statale nell’economia in programma. Inoltre, il nomadismo in tutte le sue declinazioni, misto o puro, doveva essere abolito perché troppo sfuggente, come sempre fin dall’inizio della colonizzazione russa, a qualsiasi forma di controllo giuridico, fiscale o culturale. Tanto più ora che era in vista una rivoluzione sociale a tutti gli effetti. Questa sacca di potenziale deriva anarcoide, ai confini del cuore dell’Impero e tra esso e gli ancora remoti confini sud-orientali, non poteva essere lasciata senza briglie456.

Dinnanzi alla nuova ideologia, l’assetto socio-economico attuale poteva davvero apparire come una conversione al “capitalismo borghese”, assai dolorosa nel passato, ma certamente più intuitiva di un anomalo e anonimo sacrificio in nome di Mosca e delle sue industrie fantasma. Dall’economia alla cultura iniziava adesso il preannunciato passaggio da un imperialismo ottocentesco ad un totalitarismo novecentesco, in una delle sue attuazioni storiche più esemplari. La libera iniziativa, l’azione individuale senza riferimento al gruppo di appartenenza, l’accumulo di denaro e bestiame, l’ingiustificata ascesa sociale di pochi determinata dai profitti e non dal merito militare, erano ora anch’essi minacciati. Se a livello macroscopico il periodo sovietico fu il perfezionamento del colonialismo russo, a livello micro-sociale ne fu la più drastica negazione. Le differenze tra i due modelli di colonialismo sono meglio descritte dalle perdite umane e dai danni ambientali, avvenute però in maggior numero in un arco di tempo molto più contenuto nel secondo caso.

Prima del 1929 esisteva inoltre un ancor più drastica differenza tra regioni granifere e

non. Si calcola infatti che non vi fosse ancora alcuna proprietà comune delle terre al nord, dove d’altronde la situazione sostanziale non era mutata dall’inizio del decennio. Quando il piano quinquennale venne poi rivisitato dopo i cocenti fallimenti del biennio ’29-’30, che portarono a realizzare l’impossibilità di collettivizzare uniformemente e 455 M.B. Olcott, op.cit, pp. 176-178 456 E. Bacon, op.cit, pp.117-118

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rapidamente l’intero paese, si identificarono tre distinte categorie di regioni nell’Unione. Queste dovevano essere collettivizzate rispettivamente entro la primavera del ’31, del ’32 e del ’33. Il Kazakistan venne così suddiviso: nessun territorio entrò a far parte dell’area di primissima collettivizzazione, essenzialmente ridottasi oramai all’area slava, storicamente agricola e etnicamente “omogenea” al regime; il sud, difforme etnicamente ma omogeneo dal punto di vista economico, venne inserito tra le regioni che dovevano essere collettivizzate nel medio periodo; il nord invece tra quelle aree da collettivizzare per ultime.

Indipendentemente dall’effettiva disponibilità di terra da assegnare ai nomadi da sedentarizzare, la collettivizzazione procedette a ritmi frenetici: al 1 febbraio si calcola che il 35% della popolazione fosse stata inserita in un “gruppo di proprietari-produttori”; al 1 marzo si era già giunti al 42% (!). Inizialmente, questi risultati vennero resi possibili nell’unico modo possibile, nonchè quello già praticato nel tentativo di diffondere il verbo rivoluzionario: i comunisti slavi “di città” e gli studenti kazaki “più progressisti” si erano sparpagliati nelle campagne, per poi essere affiancati da rinforzi di circa 25.000 uomini inviati da Mosca ed infine persino dalla polizia segreta sovietica.

E’ difficile ricostruire fasi, caratteristiche e peculiarità dell’ultima fiera resistenza spontanea della popolazione rurale kazaka, spesso anche assai efficace e ben organizzata. Essa fu ovviamente la vittima privilegiata della successiva censura, che tutt’oggi sembra scoraggiare studi sistematici su questa fase (al contrario di quanto disponibile per periodi di rivolta ben più remoti). Certamente, gli scontri nelle campagne di questi anni hanno visto una controparte, quella dei comunisti slavi e dei “progressisti indigeni”, che almeno inizialmente ricorda da vicino l’avanzata in direzione opposta dei cosacchi verso oriente. Di fatto lasciati a se stessi, seppure non certamente vagabondi o privi di un vertice organizzativo, essi dovettero però affrontare la popolazione locale “a mani nude”, prima dell’intervento di un “esercito” di volontari di cui si è detto prima. Anche per la violenza di queste prime fasi è plausibile ritenere che i risultati ottenuti andassero ben al di là delle stesse concrete aspettative di Mosca e che in qualche maniera la spinta alla collettivizzazione sia rimasta senza controllo, fino a svilupparsi perfino più rapidamente che nella stessa Russia. Sta di fatto che per la fine del ’33 è possibile individuare i seguenti valori: le aree granifere meridionali e i territori settentrionali in cui tradizionalmente era più forte la presenza slava (cioè “cosacca”) potevano vantare una percentuale di collettivizzazione del 70%, mentre ancora una volta tutta l’area compresa tra queste, pressoché inaccessibile, una percentuale ben inferiore di circa il 20%. La recente costruzione della linea ferroviaria avvantaggiava per il momento solamente i terminali, mentre la direttrice occidentale tradizionalmente non faceva scali intermedi nella zona semi-arida, di suo ben poco funzionale all’agricoltura.

Una volta effettuata la “conversione” si poneva un secondo problema: la collettivizzazione, come detto, era infatti la semplice cornice giuridica della pianificazione, il presupposto dell’integrazione economica. In altre parole, ogni comune doveva ora produrre secondo le direttive di Mosca. La libertà di iniziativa economica era infatti completamente da dimenticare. Tuttavia, il radicamento sociale dell’apparato di partito nel Kazakistan, specie quello “centrale”, era così superficiale che nessuno avrebbe potuto vigilare realmente sul rispetto delle direttive. Inoltre, le campagne di alfabetizzazione maschile e femminile avevano raggiunto risultati poco più che nulli, così che lo stesso aqsaqal, cioè ormai il capo-comune, non poteva di certo applicare i comandi ricevuti se lasciato a sé stesso, anche nella più assoluta buona fede. I quadri di partito erano poco più preparati al cambiamento e così parecchi raccolti vennero sequestrati a casaccio ed altrettanto bestiame macellato per errore457.

457 M.B. Olcott, op.cit, pp. 179-184

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Non è quindi difficile affermare che gli anni della prima collettivizzazione costarono caro al popolo kazako più che a ogni altra popolazione dell’Unione. Il numero dei nuclei famigliari si dimezzò tra il 1929 e il 1934, passando da circa 1.233.000 a soli 565.000, mentre la popolazione scese di circa 900.000 individui nello stesso periodo. Esattamente come nel periodo pre-bellico, questo è altrettanto da imputare alle carestie dovute alle dislocazioni economiche ed agli scontri armati, ed in misura minore alle conseguenti emigrazioni verso Uzbekistan e Turkmenistan, Cina e Afghanistan. Nonostante la faticosa ripresa dalle perdite in bestiame durante il conflitto mondiale, il numero di ovini scese nuovamente da 27.200.000 a 2.261.000, i cavalli da 4.200.000 a 221.000, cioè pressappoco di un rapporto di 20 a 1 per entrambe, ancora una volta la riduzione più drammatica tra tutte le regioni nomadi e persino superiore a quella registrata per l’intera Unione. La prima fase della metamorfosi era compiuta: l’allevamento era stato abbandonato, la popolazione vincolata ad un determinato appezzamento di terra458.

Come sempre accade, “provvidenzialmente” le carestie intervenirono a ridurre la pressione sulle risorse e ripristinare un qualche ordine sociale, senza bisogno di reali miglioramenti nell’organizzazione collettiva. Inoltre, la maggiore stabilità complessiva dell’Unione consentiva una maggiore circolazione di beni, strumentali e di consumo, consentendo a sua volta un migliore approvvigionamento dei beni di prima necessità. Nonostante una maggiore percentuale della popolazione fosse ora costretta a praticare l’agricoltura, si registrò un lento incremento anche del bestiame, pur con le consuete differenze tra aree a maggior presenza slava e l’interno del paese. Non era comunque più sostenibile la formazione di greggi delle dimensioni del passato: la popolazione aveva in parte modificato i propri costumi alimentari, nutrendosi in misura crescente di vegetali e la maggior parte di questi non poteva essere destinata al nutrimento delle bestie, ma veniva prelevata per consumo o esportazione.

Fino a quel momento la popolazione indigena era vissuta prevalentemente in artel, dove accanto alla produzione agricola comune, i singoli nuclei famigliari potevano coltivare piccoli appezzamenti di terra, principalmente destinati all’allevamento di poche bestie e responsabili del lieve incremento di bestiame dopo il Primo Piano Quinquennale. Tuttavia, questi sforzi residuali dedicati all’allevamento preoccupavano Mosca, in quanto riducevano le prestazioni agricole e privavano del dovuto controllo su un settore dell’economia. Così il Secondo Piano Quinquennale (‘34-‘39) raggiunse l’apice del paradosso. Era innanzitutto precisa intenzione dei vertici di Mosca ripristinare l’allevamento, ora che la popolazione era stata incatenata alla terra, privata dei diritti su di essa e si avvertiva la carenza delle carni tradizionalmente fornite dalle steppe (comunque ritenute un bene di lusso rispetto al pane). In assoluta buona fede, si riteneva che solamente la gestione collettiva anche dell’allevamento avrebbe consentito lo sprigionamento delle migliori e maggiori forze produttive, pur senza compromettere l’accrescimento dei livelli produttivi in campo agricolo. Ma quest’ultimo scopo poteva essere raggiunto solamente tramite una riorganizzazione delle comuni, cioè l’accorpamento di più nuclei famigliari in ogni comune, ma lo scoppio del nuovo conflitto mondiale lo impedì. Al contrario, la collettivizzazione delle pratiche di allevamento nelle comuni già esistenti poté essere realizzato nei consueti limitatissimi tempi prima che lo sforzo bellico destinasse altrove le energie459.

458 H. Carrère d’Encausse, op.cit, p. 118-119 459 M.B. Olcott, op.cit, pp. 184-187

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Statificazione compiuta Il secondo conflitto mondiale fu l’evento nodale del periodo staliniano. La capacità di

mobilitare gli sforzi e le intenzioni nazionali durante lo scontro, nonostante l’iniziale penetrazione nazista e l’avvicinamento giapponese, confermarono e legittimarono i risultati economici ottenuti nella prima fase appena descritta. La vittoria infine, oltre che esorcizzare il fantasma della precedente sconfitta, palesò all’esterno il peso del leader, con inevitabili effetti di feedbacking anche all’interno, così che il periodo post-bellico è all’unanimità considerato distintamente. Il ruolo ufficiale di eroe e difensore anche delle periferie (nonostante tale difesa non fosse mai stata richiesta, né vi fosse alcuna reale partecipazione in esse alle questioni del conflitto) contribuì a renderne inamovibile e incontestabile la figura. Il compimento della stalinizzazione ha poi avuto una principale conseguenza, cioè il preannunciato completamento della sovietizzazione, coincidente con le vicende dell’incontestato leader460, in tutto il territorio nazionale461.

La guerra vide intrecciarsi un insieme di problemi sistemici e locali. Innanzitutto, la guerra stessa aveva strappato con l’avanzata tedesca del ’41 ben il 40% della popolazione complessiva ed il 38% della terra utilizzata per la produzione di grano ed altrettanta di quella utilizzata per i pascoli. Era in altre parole richiesto uno sforzo straordinario alla popolazione rimanente: produrre maggiormente con minori risorse umane. Il Kazakistan divenne il polmone di questa fatica ed ancora una volta la geografia ne segnerà il fato. Innanzitutto, la distanza fisica sia dal fronte occidentale che da quello orientale lo resero ben presto una vera e propria “oasi” di sicurezza, dove concentrare buona parte degli sforzi produttivi che avrebbero dovuto sostenere la resistenza bellica. La centralità così ottenuta determinò un movimento di uomini e risorse dimenticato dai secoli precedenti, a conferma di tutte le peculiarità geopolitiche e deterministiche descritte in precedenza e che il conformarsi del conflitto hanno incidentalmente riproposto.

Di conseguenza, lo sforzo richiesto alla popolazione sia russa che kazaka della Repubblica Kazaka sarà immenso e peculiare. Innanzitutto, proverranno da quì ben 450.000 uomini diretti al fronte. I 302.000 rimanenti e fisicamente validi non erano chiaramente sufficienti per svolgere tutte le mansioni lasciate scoperte. Inoltre, questi erano spesso inesperti e male addestrati. Le donne e i ragazzi dovettero come sempre svolgere incarichi che normalmente non gli competevano. Le donne in particolare non solo divennero la principale forza lavoro sui campi, ma svolsero persino lavori pesanti, come la conduzione di trattori e altri pesanti macchinari agricoli. Ricoprirono talvolta anche importanti funzioni tecniche (come veterinarie, mediche, agronomiste), giustificate in quella misura esclusivamente dalle condizioni di guerra anche tra la popolazione slava. Tuttavia, gli incarichi decisionali rimasero in mano agli uomini, anche se spesse volte anziani funzionari richiamati in servizio (dai capi-comune ai supervisori di distretto). Solo il 20% degli uomini costituenti i quadri non erano stati convocati a combattere e quasi tutti i tecnici (meccanici, autisti di mezzi, etc.) erano stati chiamati nelle zone calde di confine.

460 E’ intuitiva la distinzione rispetto all’opera di Lenin e ai risultati da questi realmente conseguiti. In breve, Lenin fu il leader del movimento rivoluzionario: la sua vicenda personale incarna la resistenza allo zarismo, i suoi scritti lo sforzo di fornire un’ideologia proficua alla rivoluzione, la sua azione destinata alla loro applicazione. Tuttavia, sarà Stalin a raccogliere quanto seminato dal maestro, e non senza altrettanti sforzi ideologici e politici: egli porterà ad istituzione la neonata creatura politica, con caratteristiche e difetti a lui principalmente imputabili. 461 Un’ulteriore precisazione: comunemente ci si riferisce ad un “territorio nazionale” con riferimento generico ai territori di uno stato. Tuttavia, il passaggio logico omesso è rappresentato dall’implicito assunto che i confini politici coincidano con la distribuzione della comunità che vi fa capo. Ma per quanto appena argomentato, cioè il compimento della sovietizzazione, è opportuno da ora parlare di un territorio nazionale per tutti quelli dell’Unione indistintamente.

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Su tutto, pesavano alcuni problemi strutturali dell’economia sovietica. L’integrazione economica consisteva di fatto in una convergenza dei beni agricoli verso le città per il consumo, ma soprattutto per l’esportazione. In altre parole, il movimento delle merci era per lo più unidirezionale, dalle campagne verso le città, e solo marginalmente vi era movimento di beni tecnologici, come ausilio al lavoro nei campi, in direzione opposta. In altre parole, le comunità rurali erano votate alla totale autosufficienza: esse destinavano una parte del raccolto per la semina a venire e disponevano del raccolto unicamente in misura del bisogno riconosciuto loro dalle autorità locali, in pieno rispetto della gerarchia agricoltura-industria prevista dalla Pianificazione. In pieno conflitto questa situazione non poteva di certo essere sovvertita e quando una percentuale maggiore del raccolto venne consumata in loco non fu possibile rimediarvi inviando sementi dalle parti dell’Unione non occupate. Analogamente il basso livello di meccanizzazione divenne ora preoccupante. Le poche ed arretrate macchine presenti vennero utilizzate fino allo stremo, ma nessun ricambio poteva essere reperito o eseguita alcuna manutenzione. Più in generale tutta la neonata industria pesante venne convertita da scopi civili a scopi militari e i carriarmati sostituirono la produzione di macchinari e mezzi agricoli come i trattori.

Questi limiti nella mobilità dei beni economici non impedirono invece il rapido spostamento degli sfollati occidentali verso le immense distese kazake. I circa 400.000 sfollati, principalmente donne e bambini, quasi pari al numero degli uomini locali chiamati al fronte, cercarono di rimettere a frutto i campi abbandonati. Come le persone, anche le bestie sopravvissute all’invasione vennero spedite ad est, ma di circa 900.000 capi meno della metà sopravvisse.

Il reale elemento di attrazione nella Repubblica non era solamente il suo isolamento, ma l’integrità delle risorse del suo sottosuolo. Le industrie minerarie furono le uniche che si trasferirono qui, portando con sé macchinari pesanti ed esperti, gli unici maschi adulti a muoversi in questa direzione durante il conflitto. Improvvisamente i giacimenti di carbone, ferro ed alluminio non erano troppo distanti per essere sfruttati e i costi dell’edificazione di impianti nelle steppe furono dimenticati. E d’altronde proprio questi investimenti, più che azzardati ed irrazionali in altri tempi, erano gli unici che avrebbero consentito di recuperare le risorse già conosciute e utilizzate a occidente. In particolare, l’estrazione del carbone raggiunse tre volte i livelli previsti per lo stesso arco di tempo prima della guerra.

A conflitto concluso, venne ripresa la Pianificazione interrotta attraverso la prevista estensione delle comuni agricole e la collettivizzazione degli allevamenti. L’accorpamento delle prime ridusse il numero “statistico” delle comuni, ma non divenne garanzia di maggiore efficienza. O meglio: gli sforzi congiunti incrementarono la produttività, ma questa sarà a metà anni Cinquanta ancora ben lontana dalle aspettative delle Pianificazioni. Tuttavia, i minori risultati ottenuti sono difficilmente imputabili all’organizzazione collettivistica del lavoro, quanto piuttosto alla rinnovata stabilità regionale ed alla ricostruzione post-bellica. Quest’ultima in particolare consentirà il ritorno di molti combattenti, l’incremento dei macchinari a disposizione e la restaurazione di molte strutture civili, strade, campi e fattorie.

Al contrario, per quanto la nuova organizzazione sociale frenasse l’allevamento a favore del lavoro agricolo, e nonostante le distruzioni patite di recente, l’allevamento conobbe un sì lento, ma pure costante recupero. Tuttavia, fu orientato alla pura e semplice sopravvivenza comunitaria, posto che pochissimi animali venivano macellati o ceduti. Era infatti preferibile sfruttare a lungo la stessa bestia per la produzione di latte, che correre il rischio di mantenerne un’altra che si sarebbe potuta rivelare più debole a quelle difficili condizioni. Infine, proprio per il fatto che la sopravvivenza continuava ad essere vincolata a forme “private” di organizzazione economica, la politica staliniana fallì anche in uno dei suoi ultimissimi obiettivi strategici, cioè l’urbanizzazione dei

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kazaki. Erano così pochi i beni che la popolazione poteva o aveva interesse a vendere, che l’assembramento nei centri abitati (ancora pari solo all’8% nel ’53) avrebbe unicamente ostacolato l’attività sia agricola che d’allevamento462.

In conclusione, per quanto la trasformazione della società nativa sarà messa a punto nelle successive fasi del regime sovietico, l’epoca staliniana ha talmente accelerato ed indirizzato il processo, da considerare il periodo fino al ’53 come il punto di “non-ritorno” dello sradicamento sociale in corso. Tuttavia, ancor prima di valutare le implicazioni sociali e politiche di questo passaggio, appare opportuno soffermarsi brevemente su alcune considerazioni scaturenti dall’analisi delle cifre sulla produttività nelle due fasi del periodo staliniano, cioè prima e dopo la guerra. La pianificazione economica, le nuove infrastrutture e la riorganizzazione del lavoro non sapranno di fatto riportare i livelli di produzione a quelli del periodo pre-bellico, quindi a quelli precedenti la collettivizzazione. In altre parole, se il conflitto ha accelerato l’assestamento del vertice politico, altrettanto fece nella sfaldatura del tessuto economico, sociale e ambientale. Paradossalmente, il prezzo del controllo politico, attuato nelle forme “inventate” dalla dirigenza staliniana, rende al paragone più razionale ed efficiente il periodo del relativamente debole controllo zarista. Questa maggiore determinazione o rigore, o forse semplicemente il segno dei tempi e di quel secolo in particolare, consentirono infine di riuscire laddove la politica zarista era fallita. La sedentarizzazione dei nomadi era infatti stata un’ossessione dei russi fin dai tempi di Caterina II, cioè da quando ci si era cominciati ad occupare realmente dei nomadi, al di là del loro marginale ruolo di mediatori commerciali con le valli.

Come descritto, la politica culturale stalinista mise da parte tutta la prudenza della

prim’ora. La principale vittima del nuovo corso stalinista divenne inevitabilmente la Chiesa Ortodossa, potere concorrenziale nell’accentramento del potere in patria, minaccia alla solidità del nucleo sociale russo dell’Unione ed ideologicamente antitetica all’erigendo ordine socialista. In Asia Centrale, la vera resistenza all’indottrinamento culturale fu quindi innanzitutto rappresentato da quella popolazione slava ed europea che si trovava ora a resistere alla demonizzazione di qualsiasi culto religioso. Per quanto riguarda la popolazione locale, la vera urgenza della prima ora fu rappresentata dalla loro riduzione ad obbedienza per incrementare la produttività economica.

In Kazakistan, l’indottrinamento politico presentava un ulteriore ostacolo di rilievo, cioè la scarsa alfabetizzazione delle masse. Il processo di crescente alfabetizzazione in corso nell’Ottocento, attraverso le scuole prima e la stampa in seguito, era stata infatti ormai completamente interrotta da almeno una generazione e quel patrimonio collettivo era andato distrutto ben prima dell’allontanamento dei nazionalisti dal potere. La traumatica esperienza storica con le popolazioni musulmane, e quelle nomadi in particolare, suggeriva poi l’importanza di un sistema scolastico che, insegnando a leggere e scrivere, rendesse le popolazioni locali ricettive della nuova ideologia e prescindesse dalla mediazione di soggetti esterni, come gli ormai temuti tatari nel passato. Come si vede, gli errori più palesi del passato zarista erano stati metabolizzati anche dal nuovo establishment, al contrario delle erronee strutture mentali che invece le avevano fondate, intatte nell’eredità dal vecchio al nuovo regime.

Quindi, dovevano ancora essere individuati quei “mediatori locali” verso i quali era fallita la politica di apertura di Lenin. Questi nuovi quadri statali dovevano essere fedeli al regime e per questo venire formati in maniera tale da interrompere i tradizionalmente forti legami con la società di appartenenza attraverso, ancora una volta, delle “scuole di stato”. Queste dovevano deliberatamente strappare i ragazzi più giovani dalle famiglie così che la socializzazione politica e la loro formazione come funzionari di governo

462 M.B. Olcott, op.cit, pp. 187-193

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potesse iniziare molto presto, interrompendo i legami di lealtà con l’intera comunità di appartenenza.

Ma per strappare i futuri quadri alla comunità di appartenenza divenne inevitabile perseguire nelle politiche già avviate ai tempi di Lenin di “alfabetizzazione itinerante”, anche delle donne e delle bambine. I principali oppositori di queste politiche furono i muhallim. E sebbene per molto tempo non si fosse improntata una sistematica politica contro questi ultimi, già nel 1926 l’alfabeto arabo venne sostituito da quello latino per la trascrizione dell’idioma nazionale (nel 1940 infine venne assunto il cirillico moderno, con lo stesso intento “russificante” delle primissime trascrizioni ottocentesche). Di lì a poco, a partire dal 1928, erano iniziate le requisizioni dei bais nobiliari, che colpirono in egual misura i beni waqf del clero. Infine durante la collettivizzazione, moschee, madrase ed altri istituti religiosi vennero chiusi, come in tutta l’Asia Centrale. Questo avvenne però ovviamente nelle città, dove venne anche arrestato il maggior numero di religiosi ribelli. Ma se questi dovevano qui essere puniti in maniera esemplare affinché non aizzassero il malcontento popolare contro i governanti e i militari di stanza, la situazione era ben più difficoltosa nelle campagne. Come detto, qui la penetrazione di soggetti estranei, e tanto più delle idee di cui si rendevano portatori, era presumibilmente limitata463.

Ma anche laddove erano maggiori i risultati della propaganda, difficilmente la cultura locale poteva essere sradicata attraverso la semplice rimozione del clero. Ancora di più in Kazakistan, dove l’Islam era rimasto per molti versi un elemento scarsamente elaborato a livello popolare, spesso identificabile nelle pratiche più esteriori del quotidiano e sicuramente confusosi con la cultura nomadica preesistente. E’ inoltre significativo come il comunismo fosse stato assimilato ad una nuova religione. Erano infatti tante e tali le questioni anche della vita quotidiana che il regime intendeva disciplinare, che specie a paragone con un monoteismo pervasivo come l’Islam, l’associazione risultò presumibilmente immediata ed intuitiva. Così come Maometto prima, anche Lenin venne considerato un profeta e, in quanto tale, confusamente assimilato agli altri spiriti normalmente rispettati dalla gente comune464. Quindi, nonostante la povertà avesse ormai reso puramente simboliche pratiche ancora più antiche come il kalym, la loro testarda sopravvivenza è proprio indicativa del loro radicamento. Infine, finché non sarebbe emersa una generazione di persone esclusivamente formatasi nelle scuole di regime, difficilmente alcun funzionario di partito sarebbe stato totalmente estraneo a piccole involontarie “superstizioni”, come la circoncisione per i propri figli o la sepoltura secondo le regole islamiche. Così, quando infine anche la sharia (come l’adat all’inizio del decennio) venne dichiarata fuori-legge nel 1929, risulta dubbio che essa potesse essere estirpata per via legislativa dal modo di pensare locale465.

Questi sforzi vennero portati avanti fino al momento della collettivizzazione, a partire

da cui tutti gli sforzi dovettero essere riversati nel settore economico. Inoltre, quando il “Gran Terrore” degli anni Trenta prese a preparare il terreno contro chi si opponeva ai nuovi indirizzi di politica economica, non solo diminuirono le risorse allocate per l’istruzione, ma gli stessi rarissimi insegnanti locali ne divennero le vittime, spesso per sospetti legami con ciò che rimaneva dell’Alash (anch’essa sradicata definitivamente alla metà del decennio). Al di là delle fobie del regime, si ripropose probabilmente la strutturale tensione tra istruzione e sottomissione politica, persino nel caso dell’ultima generazione di persone istruite. Queste infatti, al contrario delle precedenti, avevano avuto ben minori possibilità di accesso all’istruzione superiore in Russia e, tramite la 463 M.B. Olcott, op.cit, pp. 193-196 464 B. Hayit, op.cit, pp.41-45 465 M.B. Olcott, op.cit, pp. 196-198

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stessa apertura sancita o concessa dagli stessi zar, alle idee perfino provenienti dal suo esterno466.

Dopo il ’34 anche la politica scolastica seguì lo spirito “scientifico” della pianificazione. Manipoli di esperti pedagoghi vennero inviati nelle steppe ad indagare la situazione effettiva delle scuole. Per poi scoprire quanto poco fosse stato effettivamente raggiunto. Gli edifici fatiscenti erano la logica cornice di istituti in cui, sebbene fosse ufficialmente iscritta più dell’80% della popolazione in età scolastica, poco meno della loro metà poteva esimersi dallo svolgere un qualche lavoro per la famiglia. E al di là delle apparenze e dei proclami ufficiali, i muhallim erano ancora gli unici in grado di dare qualche barlume di istruzione e di trattenere per qualche tempo i ragazzi. Ormai parte di queste società, cioè prodotto di un processo di formazione locale senza importazioni di sapere dall’esterno, essi erano anche gli unici istruttori adatti alle condizioni di vita comunitaria più estreme e capaci di essere accettati superando il muro della diffidenza, che colpiva invece qualsiasi novità proveniente dall’esterno. Così era sempre accaduto per secoli ed altrettanti secoli erano stati necessari all’Islam per fare breccia tra le mura dell’auto-referenzialità steppica. Poteva realmente il mondo sovietico prescindere da questo lungo iter?

Ciononostante alla repressione dei primissimi tempi seguì un ampio dispiegamento di insegnanti, sia slavi che locali. Mediamente si trattava di persone non eccessivamente qualificate, senza esperienza e a malapena un’istruzione superiore. Ma l’utopia della modernizzazione chiedeva una mobilitazione ancora più massiccia e vennero aperti i primi corsi di studio universitari, specialmente scientifici, e svariati istituti tecnici, ovviamente a disposizione sia di slavi che di russi. Accanto a questi enti andavano diffondendosi anche vere e proprie strutture educative di partito, come l’Università Comunista, la prima, fondata nel 1930 e presto seguita dalla Scuola Superiore di Partito nel ’36. In tutti i dieci istituti presenti nel paese alla fine del decennio, vennero infine istituiti dei corsi per la propaganda politica, i cui studenti dovevano specificamente occuparsi dell’indottrinamento politico dei locali.

La stampa fu un terreno di attività dove fu relativamente più facile rimettere in azione manovalanze e impianti. Un forte impulso venne poi dato alla pubblicazione di testi di ogni sorta (alcune centinaia di migliaia l’anno) in supporto alla sempre più crescente propaganda. La stampa si affiancava ora alle scuole, come già era stato durante l’Ottocento russo, nel diffondere idee e paradigmi valoriali. Come allora, questi moderni supporti tecnici lanciavano con successo la propria sfida al mondo tradizionale. Ma con una piccola differenza, cui s’è già fatto cenno. Nel passato infatti l’essere parte di un Impero aveva dato vita a molteplici rapporti culturali anche con popolazioni non-slave, come i tatari o i bashkir, contribuendo indirettamente alla maturazione identitaria dell’intera popolazione kazaka. In questo momento, invece, il controllo politico è molto più pervasivo: i rapporti tra singole regioni dell’Unione, più o meno affini culturalmente e potenzialmente minacciose dal punto di vista politico, sono ridotte al mero folklore di regime; i rapporti con l’esterno sono invece completamente filtrati, se non del tutto impediti.

Ma l’alfabetizzazione acritica, cioè la creazione di un pubblico anonimo di lettori privi di voce politica, è -come si sa- parte integrante del processo di edificazione di un potere totalitario. Esso implica una comunicazione unidirezionale senza possibilità di replica o contestazione. Forte dell’esperienza passata, Stalin pose decisamente fine a qualsiasi forma di intelligentsia locale autonoma. Ma la drammaticità del caso kazako rimane peculiare. Anziché inserirsi in un processo di lungo periodo, in quanto basato sui parziali risultati ottenuti nel periodo russo, l’alfabetizzazione di massa qui si basò invece sulla tabula rasa creatasi nel vuoto di potere dei primi anni post-rivoluzionari.

466 M. Karpovich, pp. 26-32, in op.cit, Waldemar Gurian (a cura di)

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Esattamente come nel campo economico, anche la politica culturale venne cioè riattivata improvvisamente e senza potersi fondare su una graduale sedimentazione pluri-generazionale.

I successi della sovietizzazione culturale e delle politiche anti-religiose sono estremamente dubbi. Le stime del governo alla fine del periodo staliniano furono trionfanti: 76% di alfabetizzazione complessiva, il 98% di affluenza maschile per la scolarizzazione primaria e ben il 66% di quella femminile (pur senza distinzione alcuna di etnia per la regione). Ma in generale, pare legittimo il dubbio su queste cifre. Tra gli spiragli della censura e anzi dall’esistenza stessa di una censura ferrea su questi avvenimenti pare molto più plausibile che fosse stata trascurata la capacità di resistenza acefala della popolazione, cioè spontanea e senza eccessivi apparati organizzativi. Un primo motivo di dubitare delle stime in questione è che difficilmente era possibile osservare sistematicamente la vita nelle campagne: funzionari statali, osservatori o giornalisti potevano facilmente essere evitati e sporadicamente persino uccisi467. Il quadro complessivo della fine del periodo staliniano è così estremamente fosco. Tuttavia, rimane evidente la diarchia tra potere ufficiale e potere informale, città e campagna, ideologia di stato e cultura materiale.

Epilogo Nel periodo successivo, verranno portati a compimento gli obiettivi della politica

sovietica definita da Stalin. E nonostante le molteplici correzioni di rotta lungo il cammino, a ragione si può affermare come, fino almeno al periodo gorbacheviano, l’ombra di Stalin abbia orientato buona parte delle politiche sovietiche in Kazakistan. La formazione delle alte cariche del partito locale e dell’amministrazione nelle scuole pubbliche; l’emersione di una sorta di potentato locale nelle mani di un unico funzionario fedele a Mosca, Kunaev, ininterrotto per decenni fino alla destituzione del ’85; l’industrializzazione e la difficile accelerazione dello sfruttamento agricolo con i suoi disastrosi effetti ambientali; l’urbanizzazione e il precario equilibrio etnico.

Tuttavia, la fase staliniana porterà con se anche i segni inequivocabili e contraddittori dell’esperimento sovietico sulle nazioni assoggettate. Il caso sovietico rimane infatti l’unico nella storia di uno stato multietnico in cui si è evitata la disintegrazione della cultura di origine (l’assimilation a la francese) o il suo parziale mantenimento nonostante o attraverso la frammistione con le altre culture (il melting pot statunitense). Nell’Unione si è portata avanti l’ardita politica di stimolare la lealtà verso un centro (teoricamente) sopranazionale e contemporaneamente la singola appartenza “nazionale”. Questa scelta in parte assecondava un trend già in corso in alcune delle future repubbliche dell’Unione prima della Rivoluzione, specie nella sua porzione europea. Al contrario, in Asia Centrale questa tendenza era estremamente recente e scarsamente strutturata468. Elementi di comune appartenenza localistica, specialmente religiosa, svolgevano ancora un ruolo estremamente importante.

Anche in Kazakistan la fedeltà al mondo russo sarà parziale e riguarderà la sola popolazione slava e tutt’al più la popolazione indigena della fascia più settentrionale (e sottoposta dopo la guerra alla diretta amministrazione russa). Al contrario, il processo di identificazione nazionale aveva raggiunto i maggiori risultati –secondo i paradigmi occidentali dello stato-nazione- proprio in Kazakistan, dove la minore influenza islamica era stata in qualche modo sostituita da quella secolarista.

Così mentre si formavano le altre repubbliche nazionali del Türkmenistan, di Bukhara e Khiva (che con il senno di poi definiremmo proto-uzbeke, ma ancora divise secondo 467 M.B. Olcott, ibidem 468 Preziosi spunti sulla politica delle nazioni sovietica in Ajay Patnaik, Nations, Minorities and States in Central Asia, Maulana Ed, Kolkata 2003, pp.11-13

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le linee dei khanati), testimoniano di una fusione etnica non ancora compiuta come in Kazakistan, dove invece sarà comunque necessario l’intervento sovietico per incorporare i territori meridionali e l’Ust-Yurt occidentale. Ma proprio collocando l’esperimento dell’Alash come un precedente della Repubblica Autonoma, se ne coglie forse meglio tutta la rilevanza storica. E’ infatti pur vero che il motivo del supporto sovietico alle istanze pan-kazake seguiva altre motivazioni di ordine strategico, ma questa scelta porterà a compimento un punto programmatico mai realizzato dall’Alash, ma motivato storicamente ed etnicamente.

Infine, la stessa intuitiva identificabilità etnica e geografica del paese e della sua popolazione rappresenterà il punto di forza e distinzione della sua evoluzione. Certamente le linee del fallimento sovietico saranno le stesse degli altri paesi dell’Unione, tanto da suggerire per quasi tutte le Repubbliche la formula “socialista nella forma, nazionalista nei contenuti”. Ma altrettanto sicuramente il presente kazako non può semplicemente essere visto come l’aritmetico esito delle politiche sovietiche o russe. Certamente, elementi come la specificità del problema ambientale o, subito dopo l’indipendenza, il problema del disarmo sono imputabili ad una industrializzazione pianificata da Mosca; i problemi di confini e delle relazioni con protettori vecchi (Russia) o nuovi (USA) sono in generale da ricondurre al problema di definire ex novo una sfera di rapporti quasi inesistente fino a poco tempo prima (anche se il Kazakistan sovietico poteva già godere di una visibilità estera inconsueta), ma ricordano drammaticamente la dipendenza innanzittutto psicologica verso un qualsivoglia centro, cui far riferimento. Ma per ciò che attiene alla sfera politica interna, dall’assetto istituzionale alla convivenza pacifica di molteplici etnie, appare troppo semplicativo imputarne il successo al solo “pugno di ferro” di eredità sovietica. Il precario equilibrio locale si fonda e mantiene su dinamiche di contrattazione antiche. E non si tratta della sola quadri-spartizione di cariche tra ciascuna delle tre Orde e la comunità slava (più strutture semi-partitiche che semplici lobbies private, nonostante la censura di “movimenti etnici”) di contorno alla sostanziale gestione personalistica del potere. Il successo stesso del pur indubitabilmente abile gruppo al potere si fonda su un passato ben preciso e (dal punto di vista occidentale) insolitamente presente nell’autocoscienza della cittadinanza locale.

Lo stesso Islam trova ora un ruolo nuovo solamente in quanto Islam nazionale, cioè “religione di stato”, sia dal punto di vista amministrativo che ideologico. Questo non implica uno slancio verso la cooperazione regionale e tanto meno connivenza o tolleranza dell’estremismo religioso, puntualmente perseguitato. Ma difficilmente la stessa repressione dell’I

slam dev’essere imputata alla censura o alla persecuzione. Queste sono probabilmente azioni di contingentamento, dato che la “nazione” può muovere su pre-esistenti canali non religiosi per edificare la propria convivenza. Probabilmente, qualsiasi presa dell’Islam politico sarà legata, esattamente come ai tempi dell’Ush Jhuz, più alla necessità di individuare un’ideologia alternativa a quella monopolizzata dai detentori del potere, essendo in seconda istanza la religione l’unica capace di poter coagulare consenso, magari facendo presa su supporti esterni.

Ma ben altri sono i “supporti esterni” su cui può oggi contare il paese. L’apertura verso l’esterno di accademici, specie occidentali, in movimento verso il paese e viceversa di studenti di cittadinanza kazaka verso l’esterno; l’apertura a molteplici azioni di cooperazione internazionale, pur molto spesso non supportate da organiche azioni governative; la relativa disponibilità di materiale editoriale e multimediale; la generica prudenza diplomatica e l’accorta candidatura alla Nato, dimostrano ancora oggi un’inalterata versatilità della popolazione e una spregiudicatezza lungimirante delle elites, che forse testimonia di quella precoce (pur parziale, numericamente e

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qualitativamente, pur dolorosa e contraddittoria) modernizzazione che ebbe inizio nell’800.

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