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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO’” URBINO Corso di FINANZA E IMPRESAProf. Bruno Pirozzi Anno accademico 2009-2010 Riservato ad uso didattico con circolazione limitata ed autorizzata dall’estensore rel. 1-2009 FACOLTÀ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE Corso di laurea Curriculum aziendale Lingue e cultura per l’impresa

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “CARLO BO’” URBINO

Corso di “FINANZA E IMPRESA”

Prof. Bruno Pirozzi

Anno accademico 2009-2010

Riservato ad uso didattico con circolazione

limitata ed autorizzata dall’estensore

rel. 1-2009

FACOLTÀ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE

Corso di laurea

Curriculum aziendale

Lingue e cultura per l’impresa

FINANZA E IMPRESA materiale didattico preparato dal docente prof. Bruno Pirozzi

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PROGRAMMA DEL CORSO

MODULO 1

1. le rilevazioni contabili delle operazioni di gestione e la capacità segnaletiche del bilancio: riepilogo dei principali concetti

pagg. 4-90

2. La struttura finanziaria dell'Impresa, la riclassificazione dello stato

patrimoniale, l’ analisi finanziaria attraverso gli indicatori : riepilogo dei principali concetti. Il capitale circolante e i riflessi sulla gestione aziendale. pagg. 91-111

3. Il mercato monetario e finanziario: gli intermediari finanziari. Esame dei principali prodotti finanziari presenti sul mercato destinati alle imprese e ai privati pagg. 112-159

4. Il mercato dei capitali : la borsa e gli investitori istituzionali. il private equità e fondi di investimento. Cenni sui metodi di valutazione pagg. 160-181

MODULO 2

5. Il fabbisogno finanziario dell’impresa: principi e modalità di calcolo delle necessità finanziarie pagg. 182-216

6. Le fonti finanziarie correnti: i prestiti bancari a breve termine. Le operazioni di finanziamento alle imprese a lungo termine, le operazioni di leasing e factoring pagg. 217-243

7. Il business plan per la richiesta di finanziamento. La valutazione del merito di credito alla luce della normativa di Basilea 2, pagg. 244-263

8. L’internazionalizzazione delle imprese e le principali forme di regolamento e finanziamento nel commercio internazionale. pagg. 264-300

9. I finanziamenti agevolati e la creazione di nuova imprenditorialità pagg. 301-321

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Premessa

In questa breve dispensa andremo ad esaminare la “Finanza d’Impresa”, cioè quell’insieme di

decisioni e tecniche adottate dall’imprenditore per ottimizzare la gestione della risorsa

“denaro”.

Poiché lo scopo dell’impresa è quello di creare valore, la corretta gestione delle risorse è

fondamentale per la gestione d’impresa, ne consegue che la Finanza è la funzione aziendale

che si occupa dell’acquisizione e dell’impiego dei capitali necessari per lo svolgimento del

processo produttivo e per la realizzazione degli investimenti a lungo termine, scegliendo tra le

forme di finanziamento disponibili quelle meno onerose e più adeguate alle esigenze

dell’impresa.

Risulta utile e propedeutico per la comprensibilità dell’insieme delle attività aziendali

riprendere alcuni concetti “aziendalistici” in particolare la rappresentazione contabile

rappresentata dal bilancio,

Infatti tali informazioni dovrebbero aiutarci a dare una risposta a quesiti quali:

in quali attività di lunga scadenza dovrebbe investire l’impresa, come poter trovare il denaro

per far fronte all’investimento e come gestire il flusso d cassa di breve periodo prodotto dalla

gestione.

Saranno quindi esaminate le tecniche per la determinazione del fabbisogno finanziario

d’impresa, e la valutazione delle possibili scelte di finanziamento, in particolare sarà analizzato

il rapporto con la principale fonte finanziaria presente sul mercato e rappresentata dalle

banche.

La crisi che nel 2008 e 2009 ha colpito le economie mondiali, originata dalla crisi finanziaria

degli Usa con i cosiddetti mutui subprime, e la conseguente stretta creditizia operata dalle

banche italiane servirà da spunto di riflessione per affrontare la valutazione del merito

creditizio delle imprese alla luce della normativa europea di Basilea 2 e comprendere meglio

l’importanza che la risorsa denaro rappresenta per il sistema delle imprese.

CAPITOLO 1

LE RILEVAZIONI CONTABILI DELLE OPERAZIONI DI GESTIONE E LE CAPACITA’ SEGNALETICHE DEL BILANCIO

RIEPILOGO DEI PRINCIPALI CONCETTI

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1.1 Alcuni concetti di economia aziendale Riprendiamo insieme alcuni concetti di economia aziendale relativi alla nascita delle aziende L’azienda è la risposta che l’uomo ha ideato per far fronte ad un problema economico (bisogni dell’uomo infiniti a fronte di risorse limitate). E’ necessario quindi operare una scelta tra mezzi scarsi per soddisfare i bisogni iniziali sfruttando anche i loro usi alternativi. Le attività economiche svolte per soddisfare i bisogni possono essere di vari tipi: Produzione (di beni o servizi). Scambio (di beni o servizi con altre imprese). Consumo (per ottenere i beni o i servizi da mettere sul mercato). Le imprese sostanzialmente si suddividono in due categorie:

Imprese Commerciali.

Imprese Industriali.

Imprese Commerciali: Non operano una trasformazione fisica delle materie prime; si limitano a svolgere operazioni di intermediazione o di scambio. Imprese Industriali: Il ciclo di produzione delle imprese industriali si svolge in tre fasi principali: - acquisizione delle materie prime. Trasformazione fisica delle materie prime. Produzione di un prodotto finito da collocare sul mercato.

Gli elementi costitutivi di un’azienda vengono solitamente suddivisi in due categorie: Condizioni di funzionamento dell’azienda. Fattori della produzione.

Le condizioni di funzionamento di un’azienda sono tutte quelle condizioni tali che, se non ci fossero, non avrebbe senso parlare di azienda. Il numero di queste condizioni è molto variabile a seconda delle varie teorie; quelle principali però sono: Aggregazione di individui; tra cui vi possono essere legami economici o non economici. In un’azienda l’aggregazione comprende i dirigenti, gli operai, le segretarie e tutti coloro che lavorano per l’azienda. Criterio di scambio nel mercato; si tratta di atti di negoziazione di tipo oneroso o non oneroso che devono essere remunerativi per chi offre il servizio. Economicità (efficacia strategica);

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i ricavi ottenuti al termine dell’esercizio devono essere remunerativi almeno per ripagare i costi sostenuti, indipendentemente dal fatto che ci siano stati dei ricavi (guadagni) o dei costi (perdite). Assoggettamento ad influssi esterni ed interni; l’azienda deve essere pronta a far fronte a modificazioni nei rapporti con il mercato esterno (influsso esterno) e con i propri dipendenti (influsso interno). I Fattori produttivi; possono essere materiali o immateriali e sono tutti quegli elementi che un’azienda usa per arrivare ad un prodotto finito. Possono essere le materie prime, un marchio, la fedeltà dei dipendenti … Risorse intangibili; si tratta di tutte quelle risorse difficilmente valutabili in termini monetari. Ne sono un esempio la bravura di un certo dirigente, l’abilità dei proprio dipendenti Tempo; riguarda il tempo impiegato per passare dall’ideazione alla produzione e alla collocazione sul mercato di un certo prodotto. Questo tempo può influenzare le modalità di pagamento delle materie prime o dei servizi usati dall’azienda. Autonomia decisionale; l’azienda deve essere libera di decidere per proprio conto come organizzarsi internamente ed esternamente. Un’azienda può essere definita come un insieme di relazioni tra i suoi elementi costitutivi infatti:

I fattori della produzione sono tutti quegli elementi, materiali o immateriali, fisici o di personale che cooperano per arrivare alla produzione di un prodotto finito. Questi si distinguono in base a: Influenza sul processo economico; ogni fattore economico ha una rilevanza diversa all’interno di un’azienda. Un fattore produttivo può essere determinante per un’azienda tanto che, nel caso in cui questo fattore venisse a mancare, l’azienda non avrebbe più ragione di esistere. Opportunità di acquisizione alla combinazione produttiva; se un bene è importante per un processo produttivo l’azienda deve cercare di ottenerlo. Necessità di loro remunerazione; i fattori produttivi vengono remunerati in modo diverso ma, in ogni caso, vanno remunerati; le materie prime vengono pagate con capitale proprio o di terzi, il fattore lavoro viene pagato con il salario Possibilità di loro misurazione secondo il metro monetario; si tratta di una valutazione del contributo alla produzione che viene dato da quel fattore produttivo.

Cambio negli elementi costitutivi.

Cambio nelle relazioni.

Cambia l’azienda, più o meno drasticamente.

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La gestione aziendale viene definita come complessa ed unitaria; unitaria in quanto ogni fase del processo produttivo è una fase a sé stante; e complessa in quanto tutte le varie fasi cooperano per uno stesso fine aziendale. Le varie fasi del processo produttivo sono fasi collegate sequenzialmente che si ripetono ciclicamente. CICLO IMPIEGHI / FONTI DELL’AZIENDA INDUSTRIALE:

Acquisizione di mezzi monetari.

Impiego dei mezzi monetari nell’acquisizione dei fattori

produttivi materiali e immateriali.

Trasformazione fisico-tecnica dei fattori produttivi.

Recupero mezzi monetari attraverso la collocazione sul mercato dell’output.

Proprietari Terzi

Finanziamenti Rimborsi di finanziamenti

Investimenti (Uscite immediate o differite per acquisto di

fattori della produzione)

Trasformazione fisico-tecnica

Disinvestimenti (Entrate immediate o differite per vendite di

prodotto o servizi)

Gestione

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Finanziamenti: Consistono nell’immissione di capitali nell’azienda. Per finanziarsi un’azienda può ricorrere a : Capitale proprio (o sociale); viene messo a disposizione dall’imprenditore o dai soci. Capitale di terzi; viene messo a disposizione da banche o istituti di credito e dà origine a debiti

dell’azienda verso terzi. Capitale reinvestito; si tratta di ricavi dell’esercizio precedente che vengono reimmessi nel ciclo produttivo come

investimenti. I finanziamenti sono richiesti sia nel momento iniziale della vita dell’impresa, sia ogni volta che siano necessari all’impresa mezzi monetari per effettuare investimenti. Investimenti: Consistono nell’acquisizione dei fattori produttivi (materiali e immateriali) necessari allo svolgimento del processo aziendale. L’acquisizione dei fattori produttivi può avvenire con due distinte modalità: Cessione di mezzi monetari. Pagamenti successivi (debiti commerciali dell’azienda).

Trasformazione fisico-tecnica: Operazioni interne all’azienda (che non danno origine a flussi economici o finanziari) che consentono di trasformare i fattori produttivi che entrano nell’azienda (input) in prodotti o servizi venduti dall’azienda (output). Disinvestimenti: Operazioni finalizzate a cedere le produzioni ed i servizi ottenuti. La cessione di questi prodotti e servizi consente di disinvestire i mezzi finanziari, ottenuti dai finanziamenti. I disinvestimenti possono avvenire con: Acquisizione di mezzi monetari se i clienti pagano subito. Incassi successivi (crediti commerciali dell’azienda). Rimborsi (o remunerazioni): Con i mezzi monetari ottenuti dai disinvestimenti l’azienda può procedere alle operazioni che consentono di: Remunerare i soci pagando i dividendi sul capitale sociale. Remunerare i fornitori di capitale di terzi. Rimborsare i debiti nei confronti di terzi (debiti di finanziamento) Rimborsare ai soci i finanziamenti in esubero, sotto forma di capitale sociale.

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SISTEMA DEI VALORI AZIENDALI: IMPIEGHI FONTI DI FINANZIAMENTO

Impieghi Fonti

Destinazione dei

mezzi finanziari acquisiti

Acquisizione di fattori specifici (beni durevoli o

non durevoli)

Provenienza mezzi finanziari Origine delle fonti di finanziamento Interne (gestione

Esterne Capitale di terzi Capitale di rischio

LEGAMI TRA FONTI ED IMPIEGHI: Con le disponibilità finanziarie vengono acquistati i fattori della produzione che, in questo grafico, sono rappresentati dal Lavoro, dalle Materie Prime e dai Beni di Uso Durevole. Come Beni di Uso Durevole si intendono tutte quelle infrastrutture, materiali e immateriali, che servono per ottenere il prodotto finale (fabbricati, macchinari) e che vengono utilizzati per più cicli produttivi. Come Combinazione Produttiva si intende la modalità in cui vengono uniti i vari fattori della produzione per arrivare ad un prodotto finito (bene o servizio). Nelle attività individuali le fonti di finanziamento possono essere: il capitale individuale o il finanziamento di terzi. Il rischio economico ricadrà solamente sull’imprenditore che risponderà illimitatamente con il suo patrimonio personale. Nelle attività economiche svolte sotto forma di società il finanziamento può avvenire tramite il capitale sociale conferito dai soci o tramite il capitale di terzi. Nelle società di capitali il rischio economico graverà solo sulla società ovvero i soci rischieranno soltanto il capitale da loro conferito. Nelle società di persone, invece, i soci potrebbero dover rispondere con il loro capitale, nel caso il capitale sociale non bastasse a ripagare i debiti della società.

Capitale Proprio

Capitale di Credito

Disponibilità Finanziaria

Lavoro Materie Prime

Beni di Uso Durevole

Combinazioni Produttive

Output

Cessioni

Disponibilità Finanziarie

Remunerazione Capitale Proprio

Remunerazione Capitale di Credito

(Restituzione)

Autofinanziamento

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CICLO DI GESTIONE: Il ciclo relativo alle operazioni economiche consiste nel collegare tra di loro le operazioni economiche fondamentali. Nel Ciclo di Gestione Operativa si prendono in considerazione solo le operazioni economiche che danno origine ad investimenti e disinvestimenti, ovvero acquisto di fattori produttivi e vendita di prodotti e servizi. Il Ciclo di Gestione Integrale è dato dalla sequenza delle operazioni economiche che iniziano con i finanziamenti e, dopo, aver sviluppato investimenti e disinvestimenti, terminano con rimborsi e remunerazioni. La fase di finanziamento iniziale è quella fase in cui un’azienda si procura i capitali necessari per svolgere il processo produttivo. I mezzi monetari acquisiti possono essere certi (entrata di denaro in azienda) o assimilati (crediti di finanziamento).

Sorgere di debiti di finanziamento. Emissione di quote del capitale sociale.

Entrate di mezzi

monetari o assimilati.

Acquisto fattori della

produzione. Uscite di mezzi monetari o assimilati.

Lavorazione dei fattori produttivi.

Entrate di mezzi monetari o assimilati.

Vendita dei prodotti finiti.

Uscite di mezzi monetari o assimilati.

Rimborso dei debiti di finanziamento (interessi passivi, dividendi).

Ciclo di Gestione Operativa.

Ciclo di Gestione Integrale.

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L’emissione di quote di capitale sociale consiste in un finanziamento da parte dei soci (soggetto giuridico) a titolo di capitale di rischio. Finanziandosi un’azienda fa sempre sorgere dei debiti di finanziamento, verso i soci (a cui dovrà pagare dei dividendi) o verso i terzi (a cui dovrà pagare degli interessi). Un imprenditore, finanziandosi, si troverà a dover scegliere quale tipo di finanziamento utilizzare (capitale proprio o capitale di terzi); potrà fare ricorso ad entrambi questi tipi di finanziamento secondo una percentuale che dipenderà dal tipo della sua società. Dovrà poi scegliere se eseguire l’intero ciclo produttivo in proprio (ciclo produttivo integrato) o se ricorrere a dei terzisti che svolgeranno per lui una parte del ciclo produttivo. Nella fase di investimento si ha la scelta della complessità del ciclo di gestione. Nella fase di vendita si hanno costi diversi a seconda che il prodotto sia venduto in proprio o tramite un distributore. Il prezzo di vendita viene deciso dal mercato; il risultato della vendita deve essere sufficiente a rimborsare tutti coloro che avevano fornito all’azienda i capitali all’inizio del ciclo produttivo. Il fallimento si ha quando le entrate non sono sufficienti a pagare i debiti contratti dall’azienda.

Necessità di liquidità

Investimento Produzione Magazzino Vendita

Entrata monetaria

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CICLO DEL PROCESSO PRODUTTIVO DI UN’IMPRESA INDUSTRIALE: Il ciclo totale del processo produttivo inizia con la data di acquisto dei fattori produttivi, ovvero con la data in cui sorge l’investimento nei fattori produttivi, e termina con la data in cui avviene l’incasso della vendita dei prodotti. La durata del ciclo totale indica l’intervallo di tempo fra il momento iniziale di decisione dell’investimento ed il ritorno monetario dell’investimento. Il ciclo economico-tecnico inizia con il processo di acquisto, ovvero con l’investimento, e termina con il processo di vendita dei prodotti, ovvero con il disinvestimento. La durata del ciclo economico-tecnico indica l’intervallo di tempo fra la decisione dell’investimento ed il momento del disinvestimento, a prescindere dal ritorno monetario dell’investimento. Il ciclo tecnico inizia con il prelievo dal magazzino delle materie prime e termina con il versamento dei prodotti nel magazzino prodotti finiti. La durata del ciclo indica l’intervallo di tempo fra l’inizio e la fine del ciclo di trasformazione tecnica o produttiva detto anche ciclo di lavorazione o fabbricazione. Il ciclo monetario o ciclo di cassa (cash) inizia con il momento in cui avvengono i pagamenti ai fornitori e termina con il momento in cui avvengono gli incassi dai clienti. La durata del ciclo

Investimento

Acquisto materie prime

Magazzino materie prime

Processo di trasformazione

Magazzino prodotti finiti

Vendita prodotti finiti

Disinvestimento

Incasso da clienti Pagamento a fornitori

Ciclo tecnico

Ciclo monetario o Ciclo di cassa (cash)

Ciclo economico-tecnico

Ciclo totale del processo produttivo

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monetario indica l’intervallo di tempo per il quale l’impresa deve disporre di finanziamenti che consentano di pagare i fornitori prima di avere incassato dai clienti. All’acquisto delle materie prime si ha un esborso monetario (pagamento dilazionato) costituito dall’investimento dei capitali forniti dai soci o da terzi. Quando il processo produttivo dura per più di un anno si parla di lavori pluriennali. Le fonti di finanziamento vengono impiegate per l’acquisto delle materie prime e per il ciclo produttivo. Fintantochè i prodotti finiti rimangono in magazzino, l’azienda ha lavorato gratuitamente in quanto non ha fatto altro che investire i finanziamenti. Una volta che i prodotti sono usciti dal magazzino si hanno dei crediti nei confronti dei clienti (l’azienda non è ancora stata pagata). Il ciclo produttivo finisce soltanto nel momento in cui l’azienda incassa i crediti che ha nei confronti dei clienti. Se il magazzino prodotti finiti di un’azienda è molto basso vuol dire che questa è organizzata molto bene in quanto produce in proporzione a quanto vende. Il Direttore di Produzione si occupa di tutte quelle operazioni che vanno dall’investimento dei finanziamenti all’ottenimento dei prodotti finiti. La sua bravura starà nell’avere pochi scarti di produzione, nell’acquistare una giusta quantità di materie prime e nel mantenere fluido il processo produttivo. I problemi a cui si può trovare a dover fare fronte saranno quelli relativi all’età delle macchine, all’efficienza del ciclo produttivo. Il Direttore Vendite, invece, si occupa di tutte le problematiche relative alla vendita dei prodotti finiti. La sua bravura sarà quella di avere un basso magazzino prodotti finiti e di incassare nel minor tempo possibile. Ai venditori vengono spesso pagate delle provvigioni; le provvigioni vengono però date ai venditori solo al momento dell’incasso. Un’azienda può ridurre a zero il magazzino delle materie prime inviandole immediatamente ad un terzista che eseguirà parte del processo di trasformazione per lei. Un’azienda potrebbe anche non svolgere il processo di trasformazione, trasformandosi in un’azienda commerciale. Alcune multinazionali acquistano le materie prime per tutte le loro filiali (per ottenere prezzi più bassi) e poi le distribuiscono.

Acquisto materie prime

Magazzino materie prime

Processo produttivo Prodotto finito

Entrate

Ciclo tecnico

Prodotto finito

Magazzino prodotti finiti Crediti

Incasso clienti (Banca)

Materie prime.

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Combinazioni produttive: La combinazione produttiva è data dal rapporto fra i diversi fattori produttivi impiegati nel processo di trasformazione. In qualsiasi genere di attività ci si trovi impegnati, ad un certo punto nasce la necessità di verificare gli effetti delle azioni intraprese: insomma, di formulare dei bilanci. A questa regola non poteva certo sottrarsi l'imprenditore, per due fondamentali motivi: • per l'esigenza di verificare i risultati conseguiti e tenere costantemente sotto controllo

l'andamento dell'attività; • perché la redazione del bilancio è un preciso obbligo di legge, almeno per le società di capitali. L'aspirante imprenditore, dal canto suo, ha - o dovrebbe avere - una terza necessità: quella di redigere il bilancio preventivo per i primi tre anni di attività, che costituisce la parte più importante del business plan. Il bilancio delle imprese, tuttavia, è un documento scritto con un linguaggio particolare: quello della contabil ità. Quindi, la sua redazione, lettura ed interpretazione passano attraverso la conoscenza del linguaggio contabile e delle regole di costruzione ad esso sottese. Questo capitolo affronta l’argomento su tre livelli: 1) la contabilità e il bilancio); 2) la redazione del bilancio preventivo ; 3) il "cruscotto direzionale": gli indici di bilancio L'obiettivo è quello di comprendere la logica di costruzione del bilancio, prescindendo da tutte le alchimie contabili che vi sono alla base, nel tentativo di fornire le chiavi di lettura più appropriate per una sua più corretta interpretazione.

Materie

prime

Impianti

Lavoro

umano

Materie

prime

Impianti

Lavoro

umano

Materie

prime

Lavoro umano

Impianti

Combinazione produttiva normale

Combinazione produttiva

“Labour Intensive”

Combinazione produttiva

“Capital Intensive”

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1.2. La contabilità e il bilancio

Un aspetto molto delicato del piano d'impresa è rappresentato dal passaggio dai termini descrittivi ad un «sistema di valori», cioè a cifre sulle quali ragionare concretamente. Far questo è impossibile se non si conosce la tecnica contabile; al d i là di questo, una conoscenza minima di concetti quale il bilancio, la contabilità, ecc., è comunque indispensabile.

Il bilancio: l'impresa in numeri Cos'è il bilancio Il «lavoro» degli amministrativi consiste nel produrre informazioni sulla vita e sullo stato di salute dell'impresa. Queste informazioni vengono prodotte «misurando» l'attività che viene svolta con un «metro» del tutto particolare, ma quanto mai efficace: la moneta. In sostanza ogni fatto di gestione viene tradotto in numeri. Chiaramente lo sforzo di “traduzione”viene posto in essere «filtrando» la realtà aziendale attraverso dei processi di semplificazione, che consentono di rappresentare in forma sintetica quanto accade nell'impresa. Il bilancio non è altro che uno dei risultati - certo il principale - di questo processo di «filtro» e di «traduzione». Esso, in concreto, è la sintesi di quelle che sono le vicende di gestione; vicende di gestione che, appunto, vengono descritte in termini «quantitativo-monetari». Il bilancio, in sostanza, è uno strumento di interpretazione sintetica dei comportamenti aziendali, un modello delle vicende di gestione racchiuse in chiave simbolica. Lo stato patrimoniale: uno schema fonti/impieghi Iniziamo con lo stato patrimoniale e vediamo cosa cerca di raccontarci. Che cosa fa un imprenditore di solito? Prende del denaro, in parte suo ed in parte di altri, e lo utilizza per effettuare degli investimenti. Il momento fondamentale di questo primo passo dell'attività di impresa è dunque rappresentato da questo accumulo di capitale, che può essere osservato sotto due punti di vista: quello della sua «raccolta» e quello del suo «utilizzo».

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Il momento base è l’accumulo di capitale. Praticamente, lo stato patrimoniale cosa dice?

Come viene investito il denaro Da dove viene il denaro

Stato patrimoniale

Attività Passività

Impianti Debiti vs banche

Immobili Debiti vs fornitori

Merci Debiti vs dipendenti

Cassa e banca

Crediti vs clienti vs clienti

CAPITALE NETTO

Fa vedere, da una parte, da dove viene questo denaro. E' ovvio che vi troveremo in parte debiti e in parte denaro dell'imprenditore, ovvero i mezzi propri (o capitale netto). Quindi il lato di destra, la sezione del passivo risponde alla seguente domanda: da dove viene il denaro che l'imprenditore ha a sua disposizione? Ci dobbiamo chiedere, poi, come il nostro imprenditore abbia investito il denaro raccolto. A questa seconda domanda - come è investito il denaro - risponde, pertanto, la sezione dell'attivo dello stato patrimoniale. Vi troveremo merci, impianti, ma anche crediti e disponibilità di contanti. Lo stato patrimoniale ci dice, in sostanza, quali siano le fonti finanziarie a disposizione e come sono stati impiegati i capitali raccolti. E', in altre parole, una « fotogr af ia i stantanea » d i quel le che sono, in un determinato momento, le risorse a disposizione dell'impresa per la gestione futura. E' un po' «il punto di partenza dell'attività dell'anno prossimo». Più in dettaglio, lo stato patrimoniale raccoglie, tecnicamente, le attività, le passività e il capitale netto. Le attività esprimono investimenti o «impieghi di risorse» e sono rappresentate da:

I valori finanziari attivi (crediti verso clienti, cassa, conti correnti bancari attivi, ecc.);

valori economici relativi a beni acquistati (costi) ma non ancora interamente utilizzati (impianti, rimanenze di prodotti, ecc.).

Le passività esprimono finanziamenti o «fonti di risorse» esterne e consistono in:

valori finanziari passivi (debiti verso fornitori, finanziamenti bancari, ecc.); (Ai fini civilistici e fiscali al 31 dicembre, per la maggior parte delle aziende).

valori economici relativi a ricavi già conseguiti ma che interessano anche gli anni futuri.

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Normalmente le attività sono superiori alle passività e la loro differenza costituisce il cosiddetto «capitale proprio» dell'azienda, detto anche «capitale netto», che va annotato sotto il totale delle passività. Esso esprime, come già visto, i finanziamenti di proprietà dell'imprenditore. Se l'azienda è in passivo la differenza tra il totale delle passività e il totale delle attività costituisce il cosiddetto «deficit patrimoniale», che va annotato sotto il totale delle attività. Nel caso in cui l'azienda sia costituita in forma societaria, il capitale proprio può essere suddiviso in: • capitale sociale dell'impresa, costituito dalle risorse messe a disposizione

dell'azienda dai soci; • fondi di riserva, che derivano da utili conseguiti ma non distribuiti tra i soci;

utile di esercizio (detto anche reddito) che eventualmente si realizza, e che costituisce un'ulteriore fonte di finanziamento (fino a che non venga distribuito tra i soci).

La rappresentazione tradizionale dello stato patrimoniale è la seguente Stato patrimoniale

ATTIVITÀ PASSIVITÀ

Cassa

5 Banche c/c passivi 310

Banche c/c attivi

40 Debiti verso fornitori 450

Crediti verso clienti

220 Debiti vari 50

Crediti vari

175 Mutui passivi 600

Rimanenze finali di magazzino

320 Fondo svalutazione crediti 10

Terreni

140 Fondo T.F.R. 140

Fabbricati

700 Fondo ammort. fabbricati 70

Impianti e macchinari

700 Fondo ammort. imp. e macch. 320

Mobili

150 Fondo ammort. mobili 100

Brevetti

50

Fondo imposte 50

Marchi

100

Totale passività 1950

Patrimonio netto 500

Capitale sociale 250

Fondi di riserva 150

Utile di esercizio 100

Totale attività 2.600 TOTALE A PAREGGIO 2.600

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Vediamo ora, con maggior dettaglio, le voci contenute nello stato patrimoniale (dette tecnicamente «poste»).

Attività • Cassa e banche c/c attivi: rappresentano l'insieme dei mezzi liquidi a disposizione dell'azienda. • Crediti verso clienti: sono crediti relativi ad operazioni di vendita che non sono state ancora regolate: si tratta cioè di somme da incassare. Possono essere rappresentati da cambiali, e in tal caso avremo il conto «Cambiali attive». • Crediti diversi: sono crediti di varia natura (verso l'Erario, i dipendenti, ecc). • Rimanenze finali di magazzino: si tratta di investimenti in attesa di realizzo figurano anche nella sezione ricavi del conto economico. • Terreni, fabbricati, impianti, macchinari, mobili, arredi, automezzi: rappresentano le cosiddette immobilizzazioni materiali: sono beni che daranno la loro utilità in più esercizi. Quindi il loro costo deve essere ripartito tra i vari periodi in cui saranno utilizzati, con un procedimento detto di «ammortamento economico». • Brevetti e marchi: sono immobilizzazioni immateriali: anche il loro costo deve essere suddiviso in più esercizi.

Passività Banche c/c passivi: sono i debiti verso le banche per finanziamenti ottenuti (a breve termine). Debiti verso fornitori: sono debiti verso i fornitori relativi ad operazioni d'acquisto effettuate, ma non ancora regolate. Nel caso in cui siano rappresentati da cambiali, troveremo il conto «Cambiali passive». Debiti diversi: sono debiti dell'azienda verso vari soggetti (Erario, istituti previdenziali, ecc.). Mutui passivi: si tratta di finanziamenti a medio -lungo termine ottenuti da banche o altri istituti di finanziamento. Fondo svalutazione crediti : corregge i l valore nominale dei credit i in previsione di rischi di insolvenza. Si incrementa con le quote che annualmente vengono destinate a tale scopo nel conto economico. Fondo imposte: rappresenta il debito per imposte ancora da versare. Tale voce è collegata con quella «Imposte sul reddito» figurante nel conto economico.

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Fondo T.F.R. (Trattamento Fine Rapporto): è il debito totale accumulato dall'impresa verso i dipendenti per indennità di liquidazione. Nasce dalla somma delle quote maturate nell'esercizio attuale e in quelli precedenti. Fondi ammortamento: è una voce che rettifica il costo delle immobilizzazioni per la perdita di valore che esse subiscono col tempo, a causa del logorio fisico e del superamento tecnologico. Il suo valore è dato dalla somma delle quote di ammortamento calcolate anno per anno. Il Conto Economico: diamo un «valore» agli «attori» della gestione Al 1˚ gennaio lo stato patrimoniale ci fa vedere quali sono le risorse (investimenti) e i vincoli (finanziamenti di terzi) che ci troviamo di fronte. Il nostro imprenditore, poi, con quanto si trova a disposizione, inizierà la sua attività. Infatti l'imprenditore non ha posto in essere questi investimenti tanto per fare ma perché ha intenzione di utilizzarli - e quindi di «consumarli» - per ottenere determinati risultati. E le vicende di gestione, quello che accade durante l'anno, ce le racconta il conto economico, cioè il secondo prospetto di bilancio. Quali sono gli «attori» dell'attività di gestione dal nostro punto di vista? Sono due:

le risorse che vengono consumate, che noi esprimiamo in valore (da un lato, infatti, il conto economico evidenzia quale sia il valore delle risorse che abbiamo consumato nel corso dell'esercizio; quali sono, appunto, i «costi di esercizio»);

i risultati che si riescono ad ottenere combinando insieme le risorse consumate, e che noi valorizziamo (e mettiamo nell'altro lato del conto economico: il valore dei risultati ottenuti è rappresentato, appunto, dai «ricavi di esercizio»).

Cosa è stato consumato? e per cosa ottenere ?

Conto economic o

Costi: Ricavi:

valore valore

delle dei

risorse risultati

consumate ottenuti

Chiaramente se i risultati ottenuti sono, in termine di valore, maggiori dei costi avremo un utile, altrimenti una perdita. Se ora ci spostiamo sull'asse dei tempi dal 1˚ gennaio al 31

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dicembre, vediamo che: • si parte con un certo stato del patrimonio (che sarà composto da attivo, passivo e netto); • poi nel corso dell'anno effettuiamo un'attività di gestione che ci viene raccontata, in termini

di consumi di risorse e di risultati ottenuti, dal nostro conto economico; • e, infine, si arriva ad un nuovo stato del capitale che sarà diverso in termini di ricchezza

netta (e di qualità e quantità dell'attivo e passivo) rispetto a quello redatto il 1˚ gennaio; ciò in quanto la gestione ha prodotto un certo risultato, modificando di conseguenza la composizione dell'intero capitale di funzionamento.

Quindi il bilancio al 31 dicembre - composto appunto da stato patrimoniale e conto economico - ci dice come abbiamo lavorato nei 12 mesi precedenti, e ciò che abbiamo a disposizione per gli anni futuri. Fra i due prospetti di bilancio, pertanto, il più orientato al futuro è lo stato patrimoniale. Il conto economico, invece, raccoglie risorse consumate e ricavi conseguiti, cioè costi e ricavi «morti». Ci racconta quello che è successo, non ciò che succederà (anche se noi possiamo comunque estrapolare da esso dei dati per avere qualche indicazione sul futuro). Come si è già fatto per lo stato patrimoniale vediamo ora in modo più analitico le voci o «poste» che rientrano nel conto economico, anch'esso visto nella sua impostazione tradizionale. Conto economico _________________________________________________________________

Costi Ricavi

Rimanenze iniziali di magazzino 300 Ricavi di vendita 2500

Costi di acquisto 1200

Costi del personale 450 Proventi vari 50

Spese generali 150 Proventi finanziari

Spese per prestaz. servizi 250 Plusvalenze e proventi straordinari

50

Oneri finanziari 100 Resi su acquisti

Ammortamenti 200 Abbuoni e sconti attivi 30

Quota Fondo T.F.R. 30 Rimanenze finali di

magazzino

320

Quota Fondo svalutazione crediti

10 Totale ricavi 2950

Minusvalenze e oneri straordinari

10

Oneri diversi 10

Resi su vendite 5

Abbuoni e sconti passivi 5

Imposte sul reddito 130

Totale costi 2850

Utile netto di esercizio 100

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In dettaglio le principali voci che compongono il conto economico sono le seguenti.

Costi Rimanenze iniziali di magazzino: si tratta delle giacenze (merci, prodotti finiti,

semilavorati, prodotti in corso di lavorazione, materie prime, imballaggi, scorte di consumo) esistenti in magazzino all'inizio dell'esercizio; come precisato, sono costi ereditati dall'anno precedente.

Costi di acquisto: riguardano le merci, gli imballaggi, le scorte di consumo, i semilavorati acquistati nell'esercizio.

Costi del personale: sono i costi sostenuti per salari e stipendi corrisposti ai dipendenti, comprensivi dei contributi previdenziali e assistenziali a carico del datore di lavoro.

Spese generali: sono i costi sostenuti per prestazioni di servizi in genere: spese postali, cancelleria, utenze varie (telefono, luce, ecc.), assicurazioni, trasporti, consulenze, pubblicità, ecc.

Oneri finanziari: sono gli interessi passivi che maturano su debiti di diversa natura: verso le banche, verso i fornitori, ecc.

Ammortamenti: rappresentano la quota del costo d'acquisto di alcuni beni aziendali che si fa incidere sul reddito dell'esercizio. I beni sono costituiti dai cosiddetti «investimenti pluriennali» (edifici, impianti, mobili, ecc.), che daranno il loro contributo alla produzione per periodi superiori a un anno. L'ammortamento rappresenta la parte di tali beni consumata nell'anno.

Accantonamenti nei «Fondi spese future» e nei «Fondi rischi»: rappresentano quote di costi che si fanno pesare sul reddito d'esercizio in previsione di eventi che accadranno (sicuramente o probabilmente) nel futuro. Si ricordano:

quota Fondo T.F.R. (Trattamento Fine Rapporto): rappresenta la quota di costo per indennità di liquidazione maturata nell'esercizio;

quota Fondo svalutazione crediti: è un costo presunto che si fa gravare prudenzialmente sul reddito di esercizio, in previsione di eventuali insolvenze dei clienti.

Minusvalenze e oneri straordinari: si tratta di costi legati a fatti straordinari di gestione (vendita di un impianto a prezzo inferiore al suo valore, furti dalla cassa, danni provocati da incendi o calamità naturali, ecc.).

Oneri diversi: si tratta di costi di natura accessoria o patrimoniale.

Resi su vendite: si tratta di valori derivanti da restituzioni di merci vendute (materie prime, prodotti). Essi correggono indirettamente i ricavi delle vendite.

Abbuoni e sconti passivi: costituiscono riduzioni dei prezzi di vendita riscossi dai clienti.

Imposte sul reddito: sono le imposte (già versate o ancora da versare) che colpiscono il reddito conseguito nell'esercizio. Le imposte ancora da versare, come richiesto dalla normativa fiscale, verranno pagate al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi.

Ricavi

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Ricavi di vendita: rappresentano il fatturato relativo ai beni o servizi venduti in corso d'esercizio.

Proventi vari: rappresentano rendite di i varia natura (accessoria patrimoniale): ne sono un esempio i «fitti attivi», cioè i canoni di affitto di beni concessi in locazione.

Proventi finanziari: sono gli interessi attivi maturati sui conti correnti bancari e postali o sui crediti (verso clienti o soggetti diversi).

Plusvalenze e proventi straordinari: s i tratta di r icavi legati a fatti eccezionali di gestione (la vendita di un impianto a prezzo superiore al suo valore, un debito che cade in prescrizione senza essere stato pagato, ecc.).

Resi su acquisti: si tratta di valori derivanti da restituzioni di merci e materie prime acquistate dai fornitori. Essi correggono indirettamente i costi degli acquisti.

Abbuoni e sconti attivi: costituiscono riduzioni dei prezzi di acquisto pagati ai fornitori.

Rimanenze finali di magazzino: sono le giacenze di merci, prodotti, ecc esistenti in magazzino al termine del periodo amministrativo. La rimanenza finale di un anno costituisce la rimanenza iniziale dell'anno successivo.

La determinazione del valore della rimanenza di magazzino è di fondamentale importanza per il calcolo del reddito derivante dalla compravendita dei prodotti. Per rendercene conto consideriamo il seguente esempio. Supponiamo che l'azienda: • abbia acquistato tre prodotti a 100 Euro l'uno; • ne abbia venduto uno a 200 Euro. Il totale dei costi di acquisto dell'anno è pari a 300 Euro, mentre il totale dei ricavi ammonta a 200 Euro. La semplice differenza di tali costi e ricavi evidenzierebbe una perdita di 100 Euro. Questa conclusione è sbagliata, perché nasce dal confronto fra dati non omogenei. Sull'unico prodotto venduto l'azienda ha guadagnato in realtà 100 Euro. I due prodotti in rimanenza a fine anno non sono ancora stati utilizzati: dunque il loro costo non deve essere considerato nel calcolo del reddito dell'esercizio, ma rinviato all'esercizio successivo. La rettifica del costo dei prodotti acquistati non deve però avvenire direttamente: il totale dei costi d'acquisto deve figurare chiaramente in bilancio. La correzione allora si effettua inserendo come ricavo, anche se non si tratta propriamente di un ricavo, il valore di costo delle rimanenze. E' chiaro quindi che più alto è il valore attribuito alle rimanenze, più elevato è l'utile conseguito.

1.3. La contabilità generale Non è possibile redigere il bilancio, ed in particolare il conto economico, senza tenere la contabilità. La contabilità generale è un sistema di registrazione delle vicende aziendali. In particolare permette di tenere memoria di tutti i rapporti di scambio (vendite, acquisti, incassi, pagamenti, ecc.) fra l'azienda e l'ambiente esterno. Scopo della contabilità generale è quello di arrivare al bilancio di esercizio, e quindi di misurare: • il reddito prodotto dall'azienda ogni anno, ossia il guadagno o la perdita derivanti dallo svolgimento della gestione;

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• il capitale a disposizione, ovvero il complesso degli investimenti in un dato momento da un lato, e l'insieme dei finanziamenti (debiti e mezzi propri) dall'altro. La partita doppia La contabilità generale è tenuta con il metodo della partita doppia. Esso richiede che i fatti aziendali siano esaminati sotto due aspetti: • l'aspetto finanziario; • l'aspetto economico. Nell'aspetto finanziario si osservano le operazioni di gestione in termini di entrate ed uscite di moneta che esse provocano. Tali movimenti possono essere in denaro contante o rappresentati temporaneamente dal formarsi di crediti e debiti. Questi non sono altro che movimenti di denaro contante spostati nel tempo. Nell'aspetto economico l'attenzione è rivolta ai valori degli elementi chiave del processo produttivo: fattori produttivi e prodotti. Si indicano come costi i valori dei fattori produttivi acquistati e come ricavi i valori dei prodotti venduti. L'aspetto economico rappresenta, per così dire, la causale, la motivazione in senso produttivo, dei movimenti monetari. Per la registrazione dei suddetti aspetti delle operazioni aziendali la contabilità generale utilizza particolari tabelle dette conti. I conti si distinguono, pertanto, in due grandi classi: conti finanziari e conti economici. I primi raccolgono i valori di entrate, uscite, debiti e crediti. I secondi quelli dei costi e dei ricavi. Così, ad esempio, il conto «cassa» indicherà il valore dei movimenti di denaro contante derivante dalle operazioni di gestione; il conto «fornitori» i valori di debito che l'impresa ha verso i propri fornitori; il conto «impianti» il valore del fattore produttivo impianti; il conto «merci c/vendite» il valore dei prodotti venduti. La tenuta delle scritture secondo il metodo della partita doppia richiede che le rilevazioni contabili vengano redatte in due appositi registri: • libro giornale; • libro mastro. Nel libro giornale vengono annotati, giorno per giorno, i movimenti contabili relativi ad ogni singola operazione di gestione. Nel l ibro mastro sono raccolti i prospetti relativi a tutti i conti impiegati dall'impresa. In esso vengono dunque riportati i movime nti dei conti, corrispondenti alle registrazioni del libro giornale. Se l'attività dell'impresa non richiede l'impiego di molti conti, le scritture contabili in partita doppia possono essere redatte utilizzando un unico registro chiamato «giornalmastro», il quale costituisce una sorta di fusione dei due libri sopra indicati. Dalla contabilità al bilancio: un passaggio delicato Al 31 dicembre l'impresa deve «tirare le fila» delle rilevazioni contabili, al fine di determinare il reddito prodotto dalla gestione ed evidenziare il capitale utilizzato a questo scopo. Il reddito è indubbiamente la grandezza «più importante». La sua determinazione, sulla base dei valori raccolti nei conti, non è tuttavia immediata. Vediamo il perché, riflettendo su alcuni esempi. Durante l'anno l'imprenditore acquista un impianto per l'importo di centomila Euro. Contabilmente ciò darà luogo ad un movimento finanziario (esborso) da un lato e ad un

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costo dall'altro. Tuttavia il costo sostenuto per l'impianto non può essere considerato interamente come costo dell'anno. L'impianto, infatti, verrà utilizzato come mezzo di produzione per diversi anni. Il suo costo, dunque, deve essere suddiviso fra i vari anni in cui l'impianto è utilizzato, e pertanto considerato solo in parte «di competenza» dell'esercizio. Supponiamo che l'azienda abbia dei dipendenti. Quando essi cesseranno il rapporto di lavoro, l'azienda sarà tenuta per legge a versare loro la «liquidazione». Quest'ultima costituisce evidentemente un costo per l'impresa. L'esborso finanziario corrispondente a tale costo avviene nell'anno in cui cessa il rapporto di lavoro. Tuttavia tale costo non può essere considerato tutto di competenza dell'anno in cui si manifesterà: per quote, esso appartiene anche agli anni precedenti. Come è noto infatti, l'importo della liquidazione dipende dalla durata del rapporto di lavoro: matura cioè periodo per periodo. Al termine di ogni anno, allora, l'impresa deve conteggiare fra i propri costi la quota di costo per liquidazione maturata, anche se ancora non ha comportato esborsi finanziari. Cosa ci dicono questi esempi? • Alcuni costi ed alcuni ricavi che hanno avuto manifestazione finanziaria sono eccedenti rispetto a quanto compete all'anno. Essi devono quindi essere decurtati, ripartendoli fra gli anni di competenza: questa operazione è detta «rettifica».

• Alcuni costi, pur non essendo stati sostenuti durante l'anno, devono essere inclusi tra i costi dell'anno; ugualmente alcuni ricavi devono essere inclusi tra i ricavi dell'anno, pur non essendo stati conseguiti in tale periodo: questa operazione è detta «integrazione». Considerazione : il reddito non si può determinare come semplice somma algebrica dei ricavi e dei costi rilevati durante l'anno, né tanto meno come differenza tra entrate e uscite verificatesi nell'anno. Le operazioni di rettifica e di integrazione sono di fondamentale importanza per costruire correttamente il conto economico e lo stato patrimoniale che formano il bilancio dell'impresa. “Ripensare” il bilancio Contabilità, bilancio, ecc. ci si potrebbe chiedere a che cosa servono? Certo! Il bilancio non è, come credono alcuni, una pura formalità amministrativa. Un bi lancio ben fatto è una radiogr afia: consente di control lare l o «stato di salute» dell'azienda. Ma perché ciò sia possibile, i prospetti di bilancio devono essere rielaborati in modo da renderli più utili ai fini di analisi della gestione.

1.4 Lo stato patrimoniale riclassificato Lo stato patrimoniale riclassificato fornisce un'adeguata rappresentazione degli impieghi (attività) e delle fonti di capitale (passività) dell'impresa. Il criterio seguito per ripartire i valori dello stato patrimoniale è quello finanziario, che si basa sulla velocità di trasformazione in denaro (incassi-pagamenti) dei diversi valori.

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Seguendo questo criterio, le attività sono riordinate in modo da esprimere le diverse forme di investimento; le passività ed il netto sono riordinati in modo da evidenziare le varie fonti da cui si sono attinti i finanziamenti. In particolare, le attività sono ripartite in due grandi classi: • attività correnti (o capitale circolante lordo); • attività immobilizzate (o capitale fisso). Le prime esprimono investimenti destinati a ritornare in moneta in tempi brevi; le seconde, l'entità degli investimenti durevoli. All'interno delle due classi si possono poi eventualmente operare ulteriori suddivisioni e raggruppamenti. I valori delle passività e del netto sono suddivisi nelle seguenti classi: • passività correnti (o a breve termine); • passività consolidate (o a lungo termine); • capitale netto (o proprio). Le prime indicano il complesso dei debiti a breve scadenza; le seconde, quello dei debiti a medio -lungo termine. La riclassificazione di alcune poste dello stato patrimoniale merita comunque di essere puntualizzata. • Le poste rettificative dell'attivo, quali il fondo ammortamento, il fondo svalutazione crediti, ecc., sono portate direttamente in detrazione delle poste attive alle quali si riferiscono; per cui gli impianti sono al netto dei rispettivi fondi ammortamento. • Le giacenze di magazzino sono considerate attività correnti. • I debiti a medio- lungo termine, oggetto di rimborso secondo rate periodiche, vanno distinti in due quote:

- le rate che scadono entro un anno; - le rate restanti. Le prime devono essere incluse fra le passività correnti.

• Considerazioni analoghe valgono per i fondi spese future. Ove possibile, occorre distinguere le quote che avranno presumibilmente manifestazione nell'anno successivo dalle altre di più lontana scadenza.

La tavola seguente riassume ed esemplif ica quanto sopra, offrendo una rielaborazione dello stato patrimoniale già visto in precedenza.

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Stato patrimoniale riclassificato

INVESTIMENTI FINANZIAMENTI

Liquidità immediate: 45 Passività correnti 810

Cassa 5 Banche c/c passivi 3 1 0

Banche c/c attivi 40 Debiti verso fornitori 450

Liquidità differite 385 Debiti vari 50

Crediti verso clienti 220 Passività differite a MLT 790

Crediti vari 175 Mutui passivi 600

-Fondo svalutazione crediti -10 Fondo T.F.R. 140

Rimanenze: Fondo imposte 50

Rimanenze finali di magazzino 320 Totale passività 1600

Immobilizzazioni materiali nette: 1.300

Terreni e fabbricati 840

- Fondo ammort. fabbricati -70

fabbricati 770

Impianti e macchinari 700 Patrimonio netto 500

- Fondo ammortamento imp. e macch. -320 Capitale sociale 250

Impianti e macchinari 380 Fondi di riserva 150

Mobili 150 Utile di esercizio 100

- Fondo ammortamento mobili -100

Beni mobili 50

Brevetti e marchi 150

Totale attività 2.100 Totale Passività a pareggio 2.100

TOTALE IMPIEGHI TOTALI FONTI

Il conto economico riclassificato Il conto economico da noi presentato evidenzia solo il risultato della gestione complessivamente svolta (utile o perdita di esercizio). E' però utile conoscere anche i risultati della gestione ordinaria (o corrente), distinti da quelli della gestione straordinaria. La gestione ordinaria (o corrente) comprende tutte le normali operazioni e si articola, a sua volta, in:

gestione caratteristica, da cui derivano costi e ricavi relativi all'attività tipica dell'azienda;

gestione accessorio-patrimoniale, che comporta costi e ricavi dovuti alle attività accessorie rispetto all'attività tipica;

gestione finanziaria, da cui dipendono gli oneri dovuti al governo dei mezzi

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monetari. La gestione straordinaria comprende costi e ricavi che derivano da fenomeni di carattere episodico. Esempi di tali costi sono i furti, gli incendi, ecc.; esempi di ricavi straordinari sono le vendite di «cespiti ammortizzabili» come macchinari, impianti, ecc. E' chiaro che è diverso ricevere un utile dalla gestione ordinaria o dalla gestione straordinaria: nel secondo caso è improbabile che l'utile si ripeta l'anno successivo! Per questo dobbiamo conoscere, distintamente: 1) il reddito operativo, ossia quello prodotto dalla gestione caratteristica; 2) il reddito prodotto dalla gestione ordinaria; 3) il reddito prodotto dalla gestione straordinaria. Non esiste uno schema di riclassificazione unico. Si offre qui di seguito una rielaborazione del conto economico, ottenuta utilizzando la configurazione detta «a valore aggiunto». Essa evidenzia un ulteriore risultato intermedio rispetto a quelli già menzionati: il valore aggiunto. Questo viene calcolato come differenza tra il valore della produzione ottenuta nell'esercizio ed il costo dei fattori produttivi (materie prime e servizi) acquisiti all'esterno ed impiegati per ottenere quella produzione. La sua determinazione consente di valutare quanto valore l'impresa, attraverso i propri processi produttivi, è riuscita ad aggiungere alle risorse comprate da altri soggetti.

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Conto economico riclassificato a valore aggiunto

_________________________________________________________ Ricavi vendita prodotti 2500 -Abbuoni e sconti passivi 5 -Resi su vendite 5 _________________________________________________________ Ricavi netti di vendita (produzione venduta) 2490 - Rimanenze iniziali semilavorati 100 + Rimanenze finali semilavorati 120 -Rimanenze iniziali prodotti finiti 100 + Rimanenze finali prodotti finiti 100 _________________________________________________________ Produzione ottenuta nell'esercizio 2510 -Consumi materie prime (rimanenze iniziali materie prime 100 + acquisti materie prime 1200 - rimanenze finali materie prime 100 - sconti e abbuoni attivi 30 - resi su acquisti) 1170 -Spese generali e per prestazioni di servizi 400 _________________________________________________________ Valore aggiunto 940 -Costo del personale 450 -Quota Fondo T.F.R. 30 -Ammortamenti 200 -Quota Fondo svalutazione crediti 10 _________________________________________________________ Reddito operativo caratteristico 250 -Oneri diversi (di tipo accessorio e patrimoniale) 20 + Proventi vari (di tipo accessorio e patrimoniale) 50 -Oneri finanziari 100 + Proventi finanziari 0 _________________________________________________________ Reddito della gestione ordinaria 180 Proventi straordinari 50 Costi straordinari _________________________________________________________ Reddito al lordo delle imposte 230 Imposte sul reddito 130 _________________________________________________________

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Reddito netto di esercizio 100 Il conto economico può essere «ristrutturato» anche in modo diverso: ad esempio «a margine di contribuzione». Va altresì ricordato che in termini gestionali è necessario determinare i l «punto di pareggio», la soglia critica cioè di produzione e vendita da superare se vogliamo sperare di guadagnare qualcosa. Per determinare questa soglia è necessario distinguere i costi in fissi e variabili. Ecco allora l'utilità di un conto economico che non solo individui il reddito operativo - il quale resta comunque il fulcro di ogni conto economico riclassificato - ma che sappia anche separare i costi in relazione al loro grado di variabilità. Attraverso un tale conto economico, il calcolo del punto di pareggio sarà possibile. Anche se estremamente utile, il conto economico a margine di contribuzione non è di facile costruzione. E questo perché non è facile distinguere in modo esatto i costi variabili dai costi fissi. Occorre pertanto «arrangiarci», sempre ovviamente nei limiti della ragionevolezza. A tal fine possiamo pensare di considerare fisse le seguenti voci di costo: • salari e stipendi; • ammortamenti; • fitti, canoni, ecc.; • spese generali e di amministrazione, pubblicità, formazione, ricerca e sviluppo Tutti i restanti costi li potremo considerare sostanzialmente variabili. Si badi bene comunque: il conto economico a margine di contribuzione non è «migliore» del modello a valore aggiunto. Ogni modello offre informazioni per rispondere a domande diverse. • Evidenziando il margine di contribuzione si punta l'indice sul «fatturato

critico». E' comprensibile quanto sia importante per un aspirante imprenditore conoscere tale soglia. In quanto attraverso la scomposizione tra costi fissi e variabili si riesce a determinare quale sia il contributo della gestione, dopo aver fatto fronte ai costi variabili, alla copertura dei costi fissi e di struttura.

• Evidenziando il valore aggiunto, invece, si pone in evidenza la differenza di valore che

esiste fra il «pane» e la «farina» con cui è fatto quel pane. Il pane infatti è prodotto con la farina, ma se è fatto bene ha un valore superiore a quello della farina.

Quindi, quanto più valore riusciamo ad aggiungere alle materie - la farina - e ai servizi impiegati nella produzione, tanto più saremo in grado di «coprire» tutti gli altri costi che comunque la produzione comporta, e assicurarci un congruo profitto. Al contrario se il nostro pane vale meno (o poco più) della farina con cui è fatto. Perciò ogni imprenditore deve conoscere bene anche quanto valore aggiunto è in grado di creare.

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Una metodologia molto usata per determinare la capacita della gestione di produrre una margine positivo, tra l’altro facilmente desumibile dai dati di bilancio, è Il conto economico a Margine operativo lordo. (MOL). Lo schema utilizzabile è il seguente : Conto economico a Margine operativo lordo

Valore della Produzione ( ricavi tipici - r.f.

di prodotti finiti + r. iniziali di prodotti finiti) (V P)

meno Consumi (r.i MP+acquisti MP –R.f. MP)

meno Altri costi di gestione esterna

Uguale Valore aggiunto (VA) meno Costo del lavoro

Uguale Margine operativo lordo ( MOL) o EBITDA meno Ammortamenti

meno Altri accantonamenti

Uguale Reddito Operativo o Margine operativo netto (MON) EBIT

Meno/più Oneri e proventi gestioni accessorie

Meno/più Oneri e proventi finanziari

Meno/più Oneri e proventi straordinari

Uguale Utile ordinario prima delle imposte meno Imposte

Uguale Utile netto

2.5 LE INTERPRETAZIONI E LE NORME DEL BILANCIO Per comprender al meglio il legame tra i dati contabili, la loro rappresentazione analitica e potere effettuare le analisi necessarie per comprender le dinamiche della gestione aziendale e i relativi risultati è opportuno ricordare alcuni concetti base. In termini essenziali possiamo definire il Bilancio d’esercizio un documento formale nel quale, ricorrendo ad apposite metodologie di calcolo e di rappresentazione,si descrivono i risultati economici a cui ha condotto la gestione

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Si riflette nel

Capacità di lettura potenziata lettura Metodologie di analisi analisi

Altri concetti da ricordare sono la definizione di Capitale di funzionamento come l’insieme organico di risorse dato da: fonti di finanziamento utilizzate nella gestione (capitale proprio e di terzi) investimenti che sono stati attuati impiegando tali fonti Nella pratica amministrativa il Capitale di funzionamento è anche denominato patrimonio, mentre gli investimenti sono definiti impieghi o attività, il capitale di terzi passività e al capitale proprio ci si riferisce parlando solitamente di capitale netto. Il Reddito di esercizio è l’incremento (utile d’esercizio) o il decremento (perdita di esercizio) che il capitale netto subisce per effetto della gestione svoltasi in un determinato periodo amministrativo (esercizio che è solitamente l’anno solare) I flussi finanziari sono le variazioni di quelle attività e di quelle passività che determinano il livello di Autonomia finanziaria corrente dell’impresa. Le parti che compongono il bilancio rappresentano in realtà la sintesi dei concetti di cui sopra per cui Il conto economico descrive come si sia generato il reddito di esercizio (utile o perdita) lo stato patrimoniale illustra quali siano e in che cosa consistano le attività, passività e il capitale netto il rendiconto finanziario per mezzo del quale si evidenziano come si siano generati e a quanto ammontano i flussi finanziari generati dalla gestione. Al di là degli obblighi di legge lo scopo principale del bilancio è quello di conoscere l’andamento e gli esiti della gestione.. Ne consegue che l’oggetto del bilancio consiste nel calcolo e nella rappresentazione di come si sia originato il reddito di esercizio e a quanto esso ammonti, e di come sia composto il capitale di funzionamento e quanto valga,almeno alla data cui fa riferimento il bilancio (chiusura dell’esercizio”.

GESTIONE

BILANCIO

INTERPRETAZIONI INFORMAZIONI

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I DATI INFORMATIVI DEL BILANCIO Il bilancio è una fotografia periodica dello stato di un’impresa. Per analizzare la redazione di un bilancio si possono analizzare vari elementi: - Finalità. Composizione. Destinatari. Regole di redazione. Principi di redazione. FINALITÀ: La finalità è la realizzazione di una costruzione intellettuale di derivazione contabile per la rappresentazione chiara e corretta della realtà aziendale sotto il profilo patrimoniale, finanziario ed economico. Come profilo patrimoniale si intende la contrapposizione tra ATTIVITÀ e PASSIVITÀ – PATRIMONIO NETTO. Come profilo economico si intende la contrapposizione tra i COSTI ed i RICAVI. Il profilo finanziario si ricava, invece, dalla lettura dei documenti che compongono il bilancio d’esercizio. MODELLO: Il modello del bilancio dell’esercizio è un sistema di valori ordinato al calcolo del reddito d’esercizio e del derivato capitale di funzionamento. Il bilancio è composto da: - Sottosistema contabile del reddito (Conto Economico). - Sottosistema contabile del patrimonio (Stato Patrimoniale). - Sottosistema integrativo ed esplicativo (Nota Integrativa). Nel sottosistema contabile del reddito (ovvero il Conto Economico) vengono poste le fonti di finanziamento indirette (ovvero i ricavi) e gli impieghi consumati in un certo periodo di tempo (schema obbligatorio di Conto Economico previsto dall’art. 2425 del Codice Civile). Nel sottosistema contabile del patrimonio (ovvero lo Stato Patrimoniale) vengono poste le fonti di finanziamento dirette e gli impieghi esistenti (ovvero quelli non consumati) in un certo istante, ossia quello terminale del periodo di osservazione (schema obbligatorio di Stato Patrimoniale previsto dall’art. 2424 del Codice Civile). Il sottosistema integrativo ed esplicativo (ovvero la Nota Integrativa) integra ed esplicita il contenuto dei prospetti numerico- tabellari dello Stato Patrimoniale e del Conto Economico (contenuto obbligatorio previsto dall’art. 2427 del Codice Civile). DESTINATARI: I destinatari del bilancio sono tutti coloro che hanno un interesse nei confronti dell’impresa (ovvero gli Stakeholders). I destinatari / utilizzatori del bilancio potranno essere: - Interni (soci, amministratori, dipendenti). - Esterni. Il bilancio deve soddisfare le attese minime di informazioni di tutti i soggetti interessati. REGOLE DI REDAZIONE: Le regole di redazione si suddividono in: Regole contabili;

sono individuate dalla ragioneria e dall’economia aziendale. Principi contabili;

sono individuati dalle professioni contabili (nazionali ed internazionali). Norme di legge;

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sono contenute nel Codice Civile. Norme di legge di carattere tributario. Giurisprudenza. Direttive comunitarie.

Regole di autorità di vigilanza e controllo; sono fissate dalla Consob, per le società quotate, e dalla Banca d’Italia, per le banche.

OBBLIGHI DI LEGGE Il Codice Civile agli articoli 2423 e 2435 bis stabilisce appunto degli obblighi informativi precisi ed in particolare fornisce lo schema della composizione del bilancio e le modalità con cui le singole voci vengano inserite. Si riportano le principali norme 2423. Redazione del bilancio. [2423] Gli amministratori devono redigere il bilancio di esercizio, costituito dallo stato patrimoniale, dal conto economico e dalla nota integrativa [disp. att. 111undecies]. Il bilancio deve essere redatto con chiarezza e deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio. Se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo. Se, in casi eccezionali, l’applicazione di una disposizione degli articoli seguenti è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta, la disposizione non deve essere applicata. La nota integrativa deve motivare la deroga e deve indicarne l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico. Gli eventuali utili derivanti dalla deroga devono essere iscritti in una riserva non distribuibile se non in misura corrispondente al valore recuperato. Il bilancio deve essere redatto in unità di euro, senza cifre decimali, ad eccezione della nota integrativa che può essere redatta in migliaia di euro [disp. att. 223undecies, 223octiesdecies]. 2423 bis. Principi di redazione del bilancio [2423bis]. Nella redazione del bilancio devono essere osservati i seguenti principi: 1) la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività, nonché tenendo conto della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo considerato; 2) si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell’esercizio; 3) si deve tener conto dei proventi e degli oneri di competenza dell’esercizio, indipendentemente dalla data dell’incasso o del pagamento; 4) si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo; 5) gli elementi eterogenei ricompresi nelle singole voci devono essere valutati separatamente; 6) i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro.

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Deroghe al principio enunciato nel numero 6) del comma precedente sono consentite in casi eccezionali. La nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico (1). 2423 ter. Struttura dello stato patrimoniale e del conto economico. [2423ter] Salve le disposizioni di leggi speciali per le società che esercitano particolari attività, nello stato patrimoniale e nel conto economico devono essere iscritte separatamente, e nell’ordine indicato, le voci previste negli articoli 2424 e 2425. Le voci precedute da numeri arabi possono essere ulteriormente suddivise, senza eliminazione della voce complessiva e dell’importo corrispondente; esse possono essere raggruppate soltanto quando il raggruppamento, a causa del loro importo, è irrilevante ai fini indicati nel secondo comma dell’articolo 2423 o quando esso favorisce la chiarezza del bilancio. In questo secondo caso la nota integrativa deve contenere distintamente le voci oggetto di raggruppamento. Devono essere aggiunte altre voci qualora il loro contenuto non sia compreso in alcuna di quelle previste dagli articoli 2424 e 2425. Le voci precedute da numeri arabi devono essere adattate quando lo esige la natura dell’attività esercitata. Per ogni voce dello stato patrimoniale e del conto economico deve essere indicato l’importo della voce corrispondente dell’esercizio precedente. Se le voci non sono comparabili, quelle relative all’esercizio precedente devono essere adattate; la non comparabilità e l’adattamento o l’impossibilità di questo devono essere segnalati e commentati nella nota integrativa. SONO VIETATI I COMPENSI DI PARTITE. 2424. Contenuto dello stato patrimoniale. [2424] Lo stato patrimoniale deve essere redatto in conformità al seguente schema. ATTIVO: A) Crediti verso soci per versamenti ancora dovuti, con separata indicazione della parte già richiamata. B) Immobilizzazioni, con separata indicazione di quelle concesse in locazione finanziaria: I - Immobilizzazioni immateriali:

1) costi di impianto e di ampliamento; 2) costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità; 3) diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno; 4) concessioni, licenze, marchi e diritti simili; 5) avviamento; 6) immobilizzazioni in corso e acconti; 7) altre.

Totale. II - Immobilizzazioni materiali:

1) terreni e fabbricati; 2) impianti e macchinario; 3) attrezzature industriali e commerciali; 4) altri beni; 5) immobilizzazioni in corso e acconti.

Totale.

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III - Immobilizzazioni finanziarie, con separata indicazione, per ciascuna voce dei crediti, degli importi esigibili entro l’esercizio successivo:

1) partecipazioni in: a) imprese controllate; b) imprese collegate; c) imprese controllanti; d) altre imprese;

2) crediti: a) verso imprese controllate; b) verso imprese collegate; c) verso controllanti; d) verso altri;

3) altri titoli; 4) azioni proprie, con indicazione anche del valore nominale complessivo.

Totale. Totale immobilizzazioni (B); C) Attivo circolante: I - Rimanenze:

1) materie prime, sussidiarie e di consumo; 2) prodotti in corso di lavorazione e semilavorati; 3) lavori in corso su ordinazione; 4) prodotti finiti e merci; 5) acconti.

Totale. II - Crediti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l’esercizio successivo:

1) verso clienti; 2) verso imprese controllate; 3) verso imprese collegate; 4) verso controllanti; 4bis) crediti tributari; 4ter) imposte anticipate; 5) verso altri.

Totale. III - Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni:

1) partecipazioni in imprese controllate; 2) partecipazioni in imprese collegate; 3) partecipazioni in imprese controllanti; 4) altre partecipazioni; 5) azioni proprie, con indicazioni anche del valore nominale complessivo; 6) altri titoli.

Totale. IV - Disponibilità liquide:

1) depositi bancari e postali; 2) assegni; 3) danaro e valori in cassa.

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Totale. Totale attivo circolante (C).

D) Ratei e risconti, con separata indicazione del disaggio su prestiti. PASSIVO: A) Patrimonio netto:

I - Capitale. II - Riserva da soprapprezzo delle azioni. III - Riserve di rivalutazione. IV - Riserva legale. V - Riserve statutarie. VI - Riserva per azioni proprie in portafoglio. VII - Altre riserve, distintamente indicate. VIII - Utili (perdite) portati a nuovo. IX - Utile (perdita) dell’esercizio. Totale.

B) Fondi per rischi e oneri: 1) per trattamento di quiescenza e obblighi simili; 2) per imposte, anche differite; 3) altri. Totale.

C) Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato. D) Debiti, con separata indicazione, per ciascuna voce, degli importi esigibili oltre l’esercizio successivo:

1) obbligazioni; 2) obbligazioni convertibili; 3) debiti verso soci per finanziamenti; 4) debiti verso banche; 5) debiti verso altri finanziatori; 6) acconti; 7) debiti verso fornitori; 8) debiti rappresentati da titoli di credito; 9) debiti verso imprese controllate; 10) debiti verso imprese collegate; 11) debiti verso controllanti; 12) debiti tributari; 13) debiti verso istituti di previdenza e di sicurezza sociale; 14) altri debiti. Totale.

E) Ratei e risconti, con separata indicazione dell’aggio su prestiti. Se un elemento dell’attivo o del passivo ricade sotto più voci dello schema, nella nota integrativa deve annotarsi, qualora ciò sia necessario ai fini della comprensione del bilancio, la sua appartenenza anche a voci diverse da quella nella quale è iscritto. In calce allo stato patrimoniale devono risultare le garanzie prestate direttamente o indirettamente, distinguendosi fra fideiussioni, avalli, altre garanzie personali e garanzie reali, ed indicando separatamente, per ciascun tipo, le garanzie prestate a favore di imprese

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controllate e collegate, nonché di controllanti e di imprese sottoposte al controllo di queste ultime; devono inoltre risultare gli altri conti d’ordine. È fatto salvo quanto disposto dall’articolo 2447septies con riferimento ai beni e rapporti giuridici compresi nei patrimoni destinati ad uno specifico affare ai sensi della lettera a) del primo comma dell’articolo 2447bis (1). 2424 bis. Disposizioni relative a singole voci dello stato patrimoniale. [2424bis] Gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente devono essere iscritti tra le immobilizzazioni. Le partecipazioni in altre imprese in misura non inferiore a quelle stabilite dal terzo comma dell’articolo 2359 si presumono immobilizzazioni. Gli accantonamenti per rischi ed oneri sono destinati soltanto a coprire perdite o debiti di natura determinata, di esistenza certa o probabile, dei quali tuttavia alla chiusura dell’esercizio sono indeterminati o l’ammontare o la data di sopravvenienza. Nella voce: «trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato» deve essere indicato l’importo calcolato a norma dell’articolo 2120. Le attività oggetto di contratti di compravendita con obbligo di retrocessione a termine devono essere iscritte nello stato patrimoniale del venditore. Nella voce ratei e risconti attivi devono essere iscritti i proventi di competenza dell’esercizio esigibili in esercizi successivi, e i costi sostenuti entro la chiusura dell’esercizio ma di competenza di esercizi successivi. Nella voce ratei e risconti passivi devono essere iscritti i costi di competenza dell’esercizio esigibili in esercizi successivi e i proventi percepiti entro la chiusura dell’esercizio ma di competenza di esercizi successivi. Possono essere iscritte in tali voci soltanto quote di costi e proventi, comuni a due o più esercizi, l’entità dei quali vari in ragione del tempo (1). 2425. Contenuto del conto economico. [2425] Il conto economico deve essere redatto in conformità al seguente schema: A) Valore della produzione:

1) ricavi delle vendite e delle prestazioni; 2) variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti; 3) variazioni dei lavori in corso su ordinazione; 4) incrementi di immobilizzazioni per lavori interni; 5) altri ricavi e proventi, con separata indicazione dei contributi in conto esercizio. Totale.

B) Costi della produzione: 6) per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci; 7) per servizi; 8) per godimento di beni di terzi; 9) per il personale:

a) salari e stipendi; b) oneri sociali; c) trattamento di fine rapporto; d) trattamento di quiescenza e simili; e) altri costi;

10) ammortamenti e svalutazioni: a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali;

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b) ammortamento delle immobilizzazioni materiali; c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni; d) svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide;

11) variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci; 12) accantonamenti per rischi; 13) altri accantonamenti; 14) oneri diversi di gestione. Totale.

Differenza tra valore e costi della produzione (A - B). C) Proventi e oneri finanziari:

15) proventi da partecipazioni, con separata indicazione di quelli relativi ad imprese controllate e collegate;

16) altri proventi finanziari: a) da crediti iscritti nelle immobilizzazioni, con separata indicazione di quelli da imprese

controllate e collegate e di quelli da controllanti; b) da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non costituiscono partecipazioni; c) da titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni; d) proventi diversi dai precedenti, con separata indicazione di quelli da imprese

controllate e collegate e di quelli da controllanti; 17) interessi e altri oneri finanziari, con separata indicazione di quelli verso imprese

controllate e collegate e verso controllanti; 17bis) utili e perdite su cambi. Totale (15 + 16 – 17 + – 17bis).

D) Rettifiche di valore di attività finanziarie: 18) rivalutazioni:

a) di partecipazioni; b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni; c) di titoli iscritti all’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni;

19) svalutazioni: a) di partecipazioni; b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni; c) di titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni.

Totale delle rettifiche (18-19). E) Proventi e oneri straordinari:

20) proventi, con separata indicazione delle plusvalenze da alienazioni i cui ricavi non sono iscrivibili al n. 5);

21) oneri, con separata indicazione delle minusvalenze da alienazioni, i cui effetti contabili non sono iscrivibili al n. 14), e delle imposte relative a esercizi precedenti.

Totale delle partite straordinarie (20-21). Risultato prima delle imposte (A - B + - C + - D + - E);

22) imposte sul reddito dell’esercizio, correnti, differite e anticipate; 23) utile (perdite) dell’esercizio (1).

2425bis. Iscrizione dei ricavi, proventi, costi ed oneri. [2425bis] I ricavi e i proventi, i costi e gli oneri devono essere indicati al netto dei resi, degli sconti, abbuoni e premi, nonché delle imposte direttamente connesse con la vendita dei prodotti e la prestazione dei servizi.

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I ricavi e i proventi, i costi e gli oneri relativi ad operazioni in valuta devono essere determinati al cambio corrente alla data nella quale la relativa operazione è compiuta. I proventi e gli oneri relativi ad operazioni di compravendita con obbligo di retrocessione a termine, ivi compresa la differenza tra prezzo a termine e prezzo a pronti, devono essere iscritti per le quote di competenza dell’esercizio (1). LE PLUSVALENZE DERIVANTI DA OPERAZIONI DI COMPRAVENDITA CON LOCAZIONE FINANZIARIA AL VENDITORE SONO RIPARTITE IN FUNZIONE DELLA DURATA DEL CONTRATTO DI LOCAZIONE (2). 2426. Criteri di valutazioni. [2426] Nelle valutazioni devono essere osservati i seguenti criteri: 1) le immobilizzazioni sono iscritte al costo di acquisto o di produzione. Nel costo di acquisto si computano anche i costi accessori. Il costo di produzione comprende tutti i costi direttamente imputabili al prodotto. Può comprendere anche altri costi, per la quota ragionevolmente imputabile al prodotto, relativi al periodo di fabbricazione e fino al momento dal quale il bene può essere utilizzato; con gli stessi criteri possono essere aggiunti gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi; 2) il costo delle immobilizzazioni, materiali e immateriali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione. Eventuali modifiche dei criteri di ammortamento e dei coefficienti applicati devono essere motivate nella nota integrativa; 3) l’immobilizzazione che, alla data della chiusura dell’esercizio, risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato secondo i numeri 1) e 2) deve essere iscritta a tale minore valore; questo non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti meno i motivi della rettifica effettuata. Per le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate che risultino iscritte per un valore superiore a quello derivante dall’applicazione del criterio di valutazione previsto dal successivo numero 4) o, se non vi sia obbligo di redigere il bilancio consolidato, al valore corrispondente alla frazione di patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio dell’impresa partecipata, la differenza dovrà essere motivata nella nota integrativa; 4) le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate possono essere valutate, con riferimento ad una o più tra dette imprese, anziché secondo il criterio indicato al numero 1), per un importo pari alla corrispondente frazione del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio delle imprese medesime, detratti i dividendi ed operate le rettifiche richieste dai principi di redazione del bilancio consolidato nonché quelle necessarie per il rispetto dei principi indicati negli articoli 2423 e 2423bis. Quando la partecipazione è iscritta per la prima volta in base al metodo del patrimonio netto, il costo di acquisto superiore al valore corrispondente del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio dell’impresa controllata o collegata può essere iscritto nell’attivo, purché ne siano indicate le ragioni nella nota integrativa. La differenza, per la parte attribuibile a beni ammortizzabili o all’avviamento, deve essere ammortizzata. Negli esercizi successivi le plusvalenze, derivanti dall’applicazione del metodo del patrimonio netto, rispetto al valore indicato nel bilancio dell’esercizio precedente sono iscritte in una riserva non distribuibile; 5) i costi di impianto e di ampliamento, i costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità aventi utilità pluriennale possono essere iscritti nell’attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale e devono essere ammortizzati entro un periodo non superiore a cinque anni. Fino a

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che l’ammortamento non è completato possono essere distribuiti dividendi solo se residuano riserve disponibili sufficienti a coprire l’ammontare dei costi non ammortizzati; 6) l’avviamento può essere iscritto nell’attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale, se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto e deve essere ammortizzato entro un periodo di cinque anni. È tuttavia consentito ammortizzare sistematicamente l’avviamento in un periodo limitato di durata superiore, purché esso non superi la durata per l’utilizzazione di questo attivo e ne sia data adeguata motivazione nella nota integrativa; 7) il disaggio su prestiti deve essere iscritto nell’attivo e ammortizzato in ogni esercizio per il periodo di durata del prestito; 8) i crediti devono essere iscritti secondo il valore presumibile di realizzazione; 8bis) le attività e le passività in valuta, ad eccezione delle immobilizzazioni, devono essere iscritte al tasso di cambio a pronti alla data di chiusura dell’esercizio ed i relativi utili e perdite su cambi devono essere imputati al conto economico e l’eventuale utile netto deve essere accantonato in apposita riserva non distribuibile fino al realizzo. Le immobilizzazioni materiali, immateriali e quelle finanziarie, costituite da partecipazioni, rilevate al costo (1) in valuta devono essere iscritte al tasso di cambio al momento del loro acquisto o a quello inferiore alla data di chiusura dell’esercizio se la riduzione debba giudicarsi durevole; 9) le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolato secondo il numero 1), ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore; tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi. I costi di distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione; 10) il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli: «primo entrato, primo uscito» o: «ultimo entrato, primo uscito»; se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa; 11) i lavori in corso su ordinazione possono essere iscritti sulla base dei corrispettivi contrattuali maturati con ragionevole certezza; 12) le attrezzature industriali e commerciali, le materie prime, sussidiarie e di consumo, possono essere iscritte nell’attivo ad un valore costante qualora siano costantemente rinnovate, e complessivamente di scarsa importanza in rapporto all’attivo di bilancio, sempreché non si abbiano variazioni sensibili nella loro entità, valore e composizione (2). 2427. Contenuto della nota integrativa. [2427] La nota integrativa deve indicare, oltre a quanto stabilito da altre disposizioni (1): 1) i criteri applicati nella valutazione delle voci del bilancio, nelle rettifiche di valore e nella conversione dei valori non espressi all’origine in moneta avente corso legale nello Stato; 2) i movimenti delle immobilizzazioni, specificando per ciascuna voce: il costo; le precedenti rivalutazioni, ammortamenti e svalutazioni; le acquisizioni, gli spostamenti da una ad altra voce, le alienazioni avvenuti nell’esercizio; le rivalutazioni, gli ammortamenti e le svalutazioni effettuati nell’esercizio; il totale delle rivalutazioni riguardanti le immobilizzazioni esistenti alla chiusura dell’esercizio; 3) la composizione delle voci: «costi di impianto e di ampliamento» e: «costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità», nonché le ragioni della iscrizione ed i rispettivi criteri di ammortamento;

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3bis) la misura e le motivazioni delle riduzioni di valore applicate alle immobilizzazioni materiali e (2) immateriali [di durata indeterminata] (2), facendo a tal fine esplicito riferimento al loro concorso alla futura produzione di risultati economici, alla loro prevedibile durata utile e, per quanto rilevante (2), al loro valore di mercato, segnalando altresì le differenze rispetto a quelle operate negli esercizi precedenti ed evidenziando la loro influenza sui risultati economici dell’esercizio *e sugli indicatori di redditività di cui sia stata data comunicazione] (2) (3); 4) le variazioni intervenute nella consistenza delle altre voci dell’attivo e del passivo; in particolare, per le voci del patrimonio netto, per i fondi e per il trattamento di fine rapporto, la formazione e le utilizzazioni; 5) l’elenco delle partecipazioni, possedute direttamente o per tramite di società fiduciaria o per interposta persona, in imprese controllate e collegate, indicando per ciascuna la denominazione, la sede, il capitale, l’importo del patrimonio netto, l’utile o la perdita dell’ultimo esercizio, la quota posseduta e il valore attribuito in bilancio o il corrispondente credito; 6) distintamente per ciascuna voce, l’ammontare dei crediti e dei debiti di durata residua superiore a cinque anni, e dei debiti assistiti da garanzie reali su beni sociali, con specifica indicazione della natura delle garanzie e con specifica ripartizione secondo le aree geografiche (3); 6bis) eventuali effetti significativi delle variazioni nei cambi valutari verificatesi successivamente alla chiusura dell’esercizio (4); 6ter) distintamente per ciascuna voce, l’ammontare dei crediti e dei debiti relativi ad operazioni che prevedono l’obbligo per l’acquirente di retrocessione a termine (5); 7) la composizione delle voci «ratei e risconti attivi» e «ratei e risconti passivi» e della voce «altri fondi» dello stato patrimoniale, quando il loro ammontare sia apprezzabile, nonché la composizione della voce «altre riserve». 7bis) le voci di patrimonio netto devono essere analiticamente indicate, con specificazione in appositi prospetti della loro origine, possibilità di utilizzazione e distribuibilità, nonché della loro avvenuta utilizzazione nei precedenti esercizi (6); 8) l’ammontare degli oneri finanziari imputati nell’esercizio ai valori iscritti nell’attivo dello stato patrimoniale, distintamente per ogni voce; 9) gli impegni non risultanti dallo stato patrimoniale; le notizie sulla composizione e natura di tali impegni e dei conti d’ordine, la cui conoscenza sia utile per valutare la situazione patrimoniale e finanziaria della società, specificando quelli relativi a imprese controllate, collegate, controllanti e a imprese sottoposte al controllo di queste ultime; 10) se significativa, la ripartizione dei ricavi delle vendite e delle prestazioni secondo categorie di attività e secondo aree geografiche; 11) l’ammontare dei proventi da partecipazioni, indicati nell’articolo 2425, numero 15), diversi dai dividendi; 12) la suddivisione degli interessi ed altri oneri finanziari, indicati nell’articolo 2425, n. 17), relativi a prestiti obbligazionari, a debiti verso banche, e altri; 13) la composizione delle voci: «proventi straordinari» e: «oneri straordinari» del conto economico, quando il loro ammontare sia apprezzabile; 14) un apposito prospetto contenente (7): a) la descrizione delle differenze temporanee che hanno comportato la rilevazione di imposte differite e anticipate, specificando l’aliquota applicata e le variazioni rispetto

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all’esercizio precedente, gli importi accreditati o addebitati a conto economico oppure a patrimonio netto, le voci escluse dal computo e le relative motivazioni; b) l’ammontare delle imposte anticipate contabilizzato in bilancio attinenti a perdite dell’esercizio o di esercizi precedenti e le motivazioni dell’iscrizione, l’ammontare non ancora contabilizzato e le motivazioni della mancata iscrizione; 15) il numero medio dei dipendenti, ripartito per categoria; 16) l’ammontare dei compensi spettanti agli amministratori ed ai sindaci, cumulativamente per ciascuna categoria; 17) il numero e il valore nominale di ciascuna categoria di azioni della società e il numero e il valore nominale delle nuove azioni della società sottoscritte durante l’esercizio; 18) le azioni di godimento, le obbligazioni convertibili in azioni e i titoli o valori simili emessi dalla società, specificando il loro numero e i diritti che essi attribuiscono; 19) il numero e le caratteristiche degli altri strumenti finanziari emessi dalla società, con l’indicazione dei diritti patrimoniali e partecipativi che conferiscono e delle principali caratteristiche delle operazioni relative; 19bis) i finanziamenti effettuati dai soci alla società, ripartiti per scadenze e con la separata indicazione di quelli con clausola di postergazione rispetto agli altri creditori; 20) i dati richiesti dal terzo comma dell’articolo 2447septies con riferimento ai patrimoni destinati ad uno specifico affare ai sensi della lettera a) del primo comma dell’articolo 2447bis; 21) i dati richiesti dall’articolo 2447decies, ottavo comma; 22) le operazioni di locazione finanziaria che comportano il trasferimento al locatario della parte prevalente dei rischi e dei benefici inerenti ai beni che ne costituiscono oggetto, sulla base di un apposito prospetto dal quale risulti il valore attuale delle rate di canone non scadute quale determinato utilizzando tassi di interesse pari all’onere finanziario effettivo inerenti i singoli contratti, l’onere finanziario effettivo attribuibile ad essi e riferibile all’esercizio, l’ammontare complessivo al quale i beni oggetto di locazione sarebbero stati iscritti alla data di chiusura dell’esercizio qualora fossero stati considerati immobilizzazioni, con separata indicazione di ammortamenti, rettifiche e riprese di valore che sarebbero stati inerenti all’esercizio (8) (9). 2427bis. Informazioni relative al valore equo «fair value» degli strumenti finanziari Nella nota integrativa sono indicati: 1) per ciascuna categoria di strumenti finanziari derivati: a) il loro fair value; b) informazioni sulla loro entità e sulla loro natura; 2) per le immobilizzazioni finanziarie iscritte a un valore superiore al loro fair value, con esclusione delle partecipazioni in società controllate e collegate ai sensi dell’articolo 2359 e delle partecipazioni in joint venture: a) il valore contabile e il fair value delle singole attività, o di appropriati raggruppamenti di tali attività; b) i motivi per i quali il valore contabile non è stato ridotto, inclusa la natura degli elementi sostanziali sui quali si basa il convincimento che tale valore possa essere recuperato. 2. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni del comma 1, sono considerati strumenti finanziari derivati anche quelli collegati a merci che conferiscono all’una o all’altra parte contraente il diritto di procedere alla liquidazione del contratto per contanti o mediante altri strumenti

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finanziari, ad eccezione del caso in cui si verifichino contemporaneamente le seguenti condizioni: a) il contratto sia stato concluso e sia mantenuto per soddisfare le esigenze previste dalla società che redige il bilancio di acquisto, di vendita o di utilizzo delle merci; b) il contratto sia stato destinato a tale scopo fin dalla sua conclusione; c) si prevede che il contratto sia eseguito mediante consegna della merce. 3. Il fair value è determinato con riferimento: a) al valore di mercato, per gli strumenti finanziari per i quali è possibile individuare facilmente un mercato attivo; qualora il valore di mercato non sia facilmente individuabile per uno strumento, ma possa essere individuato per i suoi componenti o per uno strumento analogo, il valore di mercato può essere derivato da quello dei componenti o dello strumento analogo; b) al valore che risulta da modelli e tecniche di valutazione generalmente accettati, per gli strumenti per i quali non sia possibile individuare facilmente un mercato attivo; tali modelli e tecniche di valutazione devono assicurare una ragionevole approssimazione al valore di mercato. 4. Il fair value non è determinato se l’applicazione dei criteri indicati al comma precedente non dà un risultato attendibile. 5. Ai fini dell’applicazione del presente articolo e dell’articolo 2428, comma 2, numero 6bis) per la definizione di strumento finanziario, di strumento finanziario derivato, di fair value e di modello e tecnica di valutazione generalmente accettato, si fa riferimento ai principi contabili riconosciuti in ambito internazionale e compatibili con la disciplina in materia dell’Unione europea. 2428. Relazione sulla gestione. [2428] Il bilancio deve essere corredato da una relazione degli amministratori sulla situazione della società e sull’andamento della gestione, nel suo complesso e nei vari settori in cui essa ha operato, anche attraverso imprese controllate, con particolare riguardo ai costi, ai ricavi e agli investimenti. Dalla relazione devono in ogni caso risultare: 1) le attività di ricerca e di sviluppo; 2) i rapporti con imprese controllate, collegate, controllanti e imprese sottoposte al controllo di queste ultime; 3) il numero e il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o quote di società controllanti possedute dalla società, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona, con l’indicazione della parte di capitale corrispondente; 4) il numero e il valore nominale sia delle azioni proprie sia delle azioni o quote di società controllanti acquistate o alienate dalla società, nel corso dell’esercizio, anche per tramite di società fiduciaria o per interposta persona, con l’indicazione della corrispondente parte di capitale, dei corrispettivi e dei motivi degli acquisti e delle alienazioni; 5) i fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio; 6) l’evoluzione prevedibile della gestione. 6bis) in relazione all’uso da parte della società di strumenti finanziari e se rilevanti per la valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell’esercizio: a) gli obiettivi e le politiche della società in materia di gestione del rischio finanziario, compresa la politica di copertura per ciascuna principale categoria di operazioni previste;

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b) l’esposizione della società al rischio di prezzo, al rischio di credito, al rischio di liquidità e al rischio di variazione dei flussi finanziari (1). Entro tre mesi dalla fine del primo semestre dell’esercizio gli amministratori delle società con azioni quotate in mercati regolamentati devono trasmettere al collegio sindacale una relazione sull’andamento della gestione, redatta secondo i criteri stabiliti dalla Commissione nazionale per le società e la borsa con regolamento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. La relazione deve essere pubblicata nei modi e nei termini stabiliti dalla Commissione stessa con il regolamento anzidetto. Dalla relazione deve inoltre risultare l’elenco delle sedi secondarie della società (2). 2429. Relazione dei sindaci e deposito del bilancio. [2429] Il bilancio deve essere comunicato dagli amministratori al collegio sindacale, con la relazione, almeno trenta giorni prima di quello fissato per l’assemblea che deve discuterlo. Il collegio sindacale deve riferire all’assemblea sui risultati dell’esercizio sociale e sull’attività svolta nell’adempimento dei propri doveri, e fare le osservazioni e le proposte in ordine al bilancio e alla sua approvazione, con particolare riferimento all’esercizio della deroga di cui all’articolo 2423, quarto comma. Analoga relazione è predisposta dal soggetto incaricato del controllo contabile. Il bilancio, con le copie integrali dell’ultimo bilancio delle società controllate e un prospetto riepilogativo dei datti essenziali dell’ultimo bilancio delle società collegate, deve restare depositato in copia nella sede della società, insieme con le relazioni degli amministratori, dei sindaci e del soggetto incaricato del controllo contabile, durante i quindici giorni che precedono l’assemblea, e finché sia approvato. I soci possono prenderne visione. Il deposito delle copie dell’ultimo bilancio delle società controllate prescritto dal comma precedente può essere sostituito, per quelle incluse nel consolidamento, dal deposito di un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell’ultimo bilancio delle medesime (1). 2435bis. Bilancio in forma abbreviata. [2435bis] Le società, che non abbiano emesso titoli negoziati in mercati regolamentati, possono redigere il bilancio in forma abbreviata quando, nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti: 1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 3.125.000 euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 6.250.000 euro; 3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 50 unità. Nel bilancio in forma abbreviata lo stato patrimoniale comprende solo le voci contrassegnate nell’articolo 2424 con lettere maiuscole e con numeri romani; le voci A e D dell’attivo possono essere comprese nella voce CII; dalle voci BI e BII dell’attivo devono essere detratti in forma esplicita gli ammortamenti e le svalutazioni; la voce E del passivo può essere compresa nella voce D; nelle voci CII dell’attivo e D del passivo devono essere separatamente indicati i crediti e i debiti esigibili oltre l’esercizio successivo. Nel conto economico del bilancio in forma abbreviata le seguenti voci previste dall’articolo 2425 possono essere tra loro raggruppate: voci A2 e A3 voci B9(c), B9(d), B9(e) voci B10(a), B10(b),B10(c) voci C16(b) e C16(c) voci D18(a), D18(b), D18(c)

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voci D19(a), D19(b), D19(c) Nel conto economico del bilancio in forma abbreviata nella voce E20 non è richiesta la separata indicazione delle plusvalenze e nella voce E21 non è richiesta la separata indicazione delle minusvalenze e delle imposte relative a esercizi precedenti. Nella nota integrativa sono omesse le indicazioni richieste dal numero 10 dell’articolo 2426 e dai numeri 2), 3), 7), 9), 10), 12), 13), 14), 15), 16) e 17) dell’articolo 2427 e dal numero 1) del comma 1 dell’articolo 2427bis (1); le indicazioni richieste dal numero 6) dell’articolo 2427 sono riferite all’importo globale dei debiti iscritti in bilancio . Qualora le società indicate nel primo comma forniscano nella nota integrativa le informazioni richieste dai numeri 3) e 4) dell’articolo 2428, esse sono esonerate dalla redazione della relazione sulla gestione. Le società che a norma del presente articolo redigono il bilancio in forma abbreviata devono redigerlo in forma ordinaria quando per il secondo esercizio consecutivo abbiano superato due dei limiti indicati nel primo comma (2). DOCUMENTI CHE COMPONGONO IL BILANCIO

stato patrimoniale: indica il saldo delle componenti attive e passive del patrimonio della società. conto economico (profitti e perdite): indica i ricavi e i costi sostenuti dalla società nel corso dell’anno e per differenza, l’utile o la perdita d’esercizio. nota integrativa: atta a fornire spiegazioni e informazioni sui dati del bilancio. relazione SULLA GESTIONE: evidenzia la politica gestionale della societa’ relazione del collegio sindacale. ove prevista, testimonia l’applicazione dei corretti principi contabili al bilancio RENDICONTO FINANZIARIO se previsto

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STRUTTURA OBBLIGATORIA DELLO STATO PATRIMONIALE (ART. 2424 DEL CODICE CIVILE): .

ATTIVO

A) CREDITI VERSO SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI.

PATRIMONIO NETTO E PASSIVITA’

PATRIMONIO NETTO. I) Capitale sociale. II)..VII) Riserve. VIII) Utili (Perdite) portati a nuovo. IX) Utile (Perdita) dell’esercizio.

B) IMMOBILIZZAZIONI. I) Imm. Immateriali. II) Imm. Materiali. III) Imm. Finanziarie.

C) ATTIVO CIRCOLANTE. I) Rimanenze. II) Crediti. III) Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni. IV) Disponibilità liquide.

D) RATEI E RISCONTI ATTIVI

B) FONDI PER RISCHI E ONERI.

C) TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO.

D) DEBITI.

E) RATEI E RISCONTI PASSIVI.

TOTALE ATTIVO TOTALE A PAREGGIO

MACROCLASSe

categoria

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Le immobilizzazioni sono tutti quegli investimenti che hanno una durata superiore ad un esercizio. Esempi di immobilizzazioni immateriali sono: costi di ricerca e di pubblicità (sito web), concessioni, licenze, marchi, avviamento Esempi di immobilizzazioni materiali sono: terreni, fabbricati, impianti, macchinari, attrezzature varie Esempi di immobilizzazioni finanziarie sono: partecipazioni, crediti In genere le immobilizzazioni non si possono rivalutare; perché ciò avvenga sono necessari dei decreti legislativi. Come attivo circolante si definiscono quegli elementi attivi del patrimonio aziendale che si prevede di liquidare durante l’esercizio successivo. Come riserve si definisce l’utile non distribuito tra soci della società. Come utili (o perdite) portate a nuovo si intendono gli utili (o le perdite) dell’esercizio precedente. Come utili (o perdite) dell’esercizio di intendono gli utili (o le perdite) dell’esercizio appena trascorso. Nel caso in cui vi sia una causa pendente (una richiesta per danni pari a 50) al termine dell’esercizio si potranno avere due casi: - Perdita sicura Andrà scritto in bilancio un debito pari a 50. - Perdita incerta Andrà segnato 50 nel fondo per rischi e oneri. Il trattamento di fine rapporto (voce presente solo in Italia) o TFR è una remunerazione differita accordata ai lavoratori dipendenti. I debiti possono essere verso banche, fornitori, finanziatori, erario … L’avviamento fa parte delle immobilizzazioni immateriali e rappresenta gli utili che chi vende, per esempio, un immobile vuole vedersi riconosciuti. Le rimanenze sono uno degli indicatori dello stato di un’impresa; se sono molto alte sono uno dei segnali che indicano che l’impresa si trova in un momento di crisi, un’impresa che avrà molto magazzino avrà anche molti debiti dovendo pagare le materie prime, il personale per cui non incassando potrebbe trovarsi in difficoltà.

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GRANDEZZE DEL CONTO ECONOMICO: STRUTTURA OBBLIGATORIA DEL CONTO ECONOMICO (ART. 2425 DEL CODICE CIVILE) : Il struttura del conto economico è di forma scalare a risultati intermedi. Nell’analisi del conto economico di una società un primo indicatore della sua situazione economica è la differenza tra il valore e costi della produzione (A – B); nel caso fosse negativo vorrebbe dire che l’impresa non riesce, con i suoi ricavi, a far fronte ai costi.

A) VALORE DELLA PRODUZIONE 1) Ricavi delle vendite e delle prestazioni. 2) Variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione. 3) Variazioni dei lavori in corso su ordinazione. 4) Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni. 5) Altri ricavi e proventi

B) COSTI DELLA PRODUZIONE 6) Per materie prime, sussidiarie e di merci. 7) Per servizi. 8) Per godimento di beni di terzi. 9) Per il personale. 10) Ammortamenti e svalutazioni. 11) Variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci. 12) Accantonamenti per rischi. 13) Altri accantonamenti. 14) Oneri diversi di gestione.

DIFFERENZA TRA VALORE E COSTI DELLA PRODUZIONE (A – B) = REDDITO OPERATIVO

C) PROVENTI E ONERI FINANZIARI 15) Proventi da partecipazioni. 16) Altri proventi finanziari. 17) Interessi e altri oneri finanziari.

D) RETTIFICHE DI VALORE DI ATTIVITA’ FINANZIARIE 18) Rivalutazioni. 19) Svalutazioni.

E) PROVENTI E ONERI STRAORDINARI 20) Proventi 21) Oneri

RISULTATO PRIMA DELLE IMPOSTE (A – B + C + D + E)

22) Imposte sul reddito dell’esercizio.

23) UTILE (PERDITA) DELL’ESERCIZIO = REDDITO NETTO = RISULTATO NETTO

IMPIEGHI CONSUMATI

Investimenti in fattori produttivi consumati (costi). TOTALE IMPIEGHI CONSUMATI

FONTI CONSUMATE

Produzioni ottenute e vendute (ricavi).

TOTALE FONTI CONSUMATE

=

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I terreni di norma non vengono ammortizzati in quanto si suppone che non perdano valore con il passare del tempo Ogni volta che il costo di un’immobilizzazione è inferiore al prezzo di mercato, nel bilancio, andrà indicato il prezzo di mercato. Le imposte vengono pagate a rate; gli acconti si basano sull’utile dell’esercizio precedente mentre il saldo viene fatto dopo l’approvazione del bilancio dell’esercizio appena concluso. Variazioni delle rimanenze di Prodotti Finiti (voci A2 e A3) = Rimanenze Finali – Rimanenze Iniziali. Variazioni delle rimanenze di Materie Prime (voce B11) = Rimanenze Iniziali – Rimanenze Finali. L’utile ricavato dalla vendita di un prodotto è dato dalla differenza tra: (PREZZO DI VENDITA – PREZZO DI ACQUISTO DELLE MATERIE PRIME) – COSTI DI PRODUZIONE I sindaci di una società sono interni alla società stessa e sono responsabili della verità e della correttezza di quanto viene scritto nel bilancio. I revisori di una società possono anche essere esterni alla società e controllano la regolare tenuta della contabilità sociale di società per azioni e della sua attendibilità. Il bilancio deve essere approvato dal soggetto giuridico entro 4 mesi dalla chiusura dell’esercizio.

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RIEPILOGO DI CONCETTI DI CARATTERE “AZIENDALE” GESTIONE MONETARIA: La gestione monetaria è quell’aspetto della gestione caratterizzato dal Cash Flow. Il Cash Flow è un criterio che serve per trovare un collegamento tra le uscite monetarie e le entrate monetarie. Si vuole quindi valutare l’equilibrio monetario di un’azienda. Se vi è un Cash Flow negativo vi sarà una perdita e questo potrebbe portare al fallimento dell’azienda. Un mastrino è una tabella in cui vengono contrapposti i costi ed i ricavi dell’azienda all’interno di un Ciclo Produttivo. Nel caso di un taxista il mastrino sarebbe di questo tipo: Un ricavo si ha quando vi è un incasso, incasso che può essere monetario o a titolo di credito. Un’entrata si ha quando viene reso liquido il ricavo. L’utile (o reddito d’esercizio, o margine) è la conseguenza dello scopo di lucro dell’impresa. E’ dato dalla differenza tra Ricavi e Costi . L’utile è ottenuto dall’azienda impiegando le sue risorse. Come risorsa si intende un finanziamento che viene investito per l’acquisto di beni durevoli e non durevoli. All’interno del mastrino l’utile viene posto dalla parte dei costi per avere un equilibrio tra le due parti. Il patrimonio di un’impresa può avere delle variazioni economiche o delle variazioni numerarie. Come variazioni economiche si intendono i costi ed i ricavi. I costi, numerariamente parlando, sono rappresentati da uscite monetarie (variazione numeraria certa) o dai debiti (variazione numeraria assimilata). I ricavi, numerariamente parlando, sono rappresentati dalle entrate monetarie (variazione numeraria certa) o dai crediti (variazione numeraria assimilata). Nell’ambito del capitale è possibile distinguere il patrimonio numerario, questo è composto da:

- Contante in cassa. - Crediti numerari (crediti temporanei in attesa di un’entrata in cassa).

Costi Autovettura benzina Bollo …

200

Utile 100

Ricavi 300

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- Debiti numerari (debiti temporanei in attesa di un’uscita di cassa).

Il patrimonio numerario subisce delle variazioni numerarie per effetto delle operazioni economiche che riassorbono sia le operazioni finanziarie (variazione dei debiti e dei crediti), sia le variazioni monetarie (variazioni di cassa). Le variazioni numerarie possono essere: - Variazioni numerarie certe; variazioni monetarie; variazione del contante in cassa. - Variazioni numerarie assimilate; variazioni finanziarie relative a crediti e debiti espressi nella moneta di conto (Euro). - Variazioni numerarie presunte; variazioni finanziarie espresse in valuta estera da convertire alla fine dell’anno nella valuta di

conto. Le variazioni numerarie assimilate e presunte devono diventare certe il più presto possibile attraverso l’incasso. CICLO MONETARIO: + - + - Il Cash Flow rappresenta la liquidità creata o distribuita ed è dato dalla somma tra: Finanziamenti + Investimenti + Disinvestimenti + Rimborsi. Il Cash Flow, come si può facilmente intuire, è influenzato dalle variazioni numerarie certe. Un Cash Flow positivo permetterà all’impresa di rimborsare i finanziamenti ottenuti, di pagare gli interessi relativi e di distribuire i dividenti relativi al capitale di rischio.

Finanziamenti Investimenti Disinvestimenti Rimborsi

Flussi di

entrate

Flussi di

uscite

Flussi di

uscite

Flussi di

entrate

Cash Flow

Cash Flow Negativo

Cash Flow Positivo

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Se il Cash Flow è negativo, invece, vorrà dire che ci sono state più uscite che entrate monetarie. L’impresa avrà quindi bisogno di ulteriori finanziamenti per reiniziare il ciclo produttivo.

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Il ciclo monetario può essere riassunto così: Variazioni numerarie: monetarie e finanziarie

Finanziamenti

Entrate - Fonti Uscite – Investimenti Impieghi

Ciclo di gestione Vendita – Ricavo

Disinvestimento (Fase monetaria)

Fonte di liquidità Investimenti

Rimborsi

Operazioni di gestione straordinaria o extragestione

Operazioni economiche

Operazioni di gestione ordinaria esterna

Aspetto finanziario monetario

Aspetto economico

Variazioni numerarie

Assimilate

Certe Presunte

Cash Flow

Fonti e Impieghi =

Capitale

Natura operazione

Aspetto

Tipologia di valutazione

Quantità d’azienda

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Come operazioni di gestione straordinaria o extragestione si intendono quelle operazioni che non necessariamente generano un’operazione economica. Ne sono un esempio:, la trasformazione, la fusione, la scissione/scorporo e la liquidazione. Come operazioni di gestione ordinaria esterna si intendono tutte quelle operazioni economiche che hanno un peso nel Cash Flow. Ne sono un esempio: i finanziamenti, gli investimenti, i disinvestimenti, le remunerazioni ed i rimborsi. L’aspetto economico è quell’aspetto della gestione aziendale che riguarda le cause che provocano le variazioni monetarie o finanziarie nelle operazioni economiche. L’aspetto finanziario monetario riguarda i pagamenti e gli incassi effettuati da un’azienda. Partita doppia / sistema del reddito: Metodo usato per rilevare le variazioni numerarie e non numerarie di un’azienda man mano che queste si verificano, in modo da poter redigere un bilancio alla fine dell’anno. Le società di capitali hanno l’obbligo della redazione del bilancio che dovrà essere depositato presso la Camera di Commercio al fine di rendere i dati ivi contenuti pubblici e messi a disposizione dei terzi . ANALISI DELLA GESTIONE AZIENDALE: La gestione aziendale riguarda quel complesso di operazioni aziendali, tra loro coordinate, poste in essere per il raggiungimento dei fini aziendali. - Analisi della gestione sotto l’aspetto finanziario ed economico

In un sistema di rilevazione contabile per ogni operazione di gestione vanno rilevati sia gli aspetti finanziari che quelli economici. - Analisi della gestione sotto l’aspetto oggettivo o soggettivo - Analisi della gestione sotto l’aspetto temporale

ASPETTO FINANZIARIO (Asp. Originario) Entrate / Uscite (Immediate o Differite) Manifestazione numeraria: possibilità di valutare monetariamente la variazione. Sorgere di un debito / credito verso un terzo. Entrata / uscita monetaria.

ASPETTO ECONOMICO (Asp. Derivato) Ricavi / Costi Sostenimento di un onere per l’acquisizione di un fattore della produzione.

Quali operazioni porre in essere per raggiungere il fine aziendale.

Come sono intraprese.

OPERAZIONE DI COSTITUZIONE

OPERAZIONI CONTINUATIVE OPERAZIONE DI

CESSAZIONE

- Costituzione. - Acquisizione risorse. - Acquisizione risorse.

- Approvvigionamento dei fattori produttivi. - Pagamento fornitori. - Vendite output. - Realizzo crediti.

- Liquidazione beni. - Estinzione passività. - Ripartizione del residuo.

ASPETTO OGGETTIVO ASPETTO SOGGETTIVO

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L’operazione di cessazione può essere volontaria o forzata. SISTEMA DEI VALORI DI BILANCIO: GRANDEZZE DELLO STATO PATRIMONIALE:

IMPIEGHI FONTI

In essere in un determinato istante.

STATO PATRIMONIALE

ATTIVITA’ Attività immobilizzate.

Attività correnti o circolanti.

Fonti di finanziamento di terzi = PASSIVITA’ Fonti di finanziamento proprio = PATRIMONIO NETTO (cap. sociale + utili non distribuiti o perdite non coperte).

Debiti veri e propri, componenti del patrimonio netto,

fonti per rischi e oneri.

Consumati in certo periodo di tempo.

CONTO ECONOMICO

COSTI DI ESERCIZIO RICAVI DI ESERCIZIO

UTILE di Esercizio

(se Impieghi consumati < Fonti consumate) PERDITA di Esercizio (se Impieghi consumati > Fonti consumate)

IMPIEGHI IN ESSERE

Investimenti in fattori produttivi non esauriti. Produzioni in corso non ultimate. Produzioni ultimate non vendute (magazzino prodotti finiti). Produzioni ultimate e vendute ma non incassate (crediti verso clienti) Denaro in cassa o depositato in c/c

TOTALE IMPIEGHI IN ESSERE

FONTI IN ESSERE

Finanziamenti di soci ottenuti e non restituiti. Finanziamenti di terzi ottenuti e non restituiti. Investimenti non ancora pagati (debiti verso fornitori.

TOTALE FONTI IN ESSERE

=

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ESERCIZIO SVOLTO

1) Nel corso di un anno un’impresa paga ad un dipendente 12 stipendi: variazioni numerarie: 24 (ogni mese vi sarà un debito verso il dipendente e un

pagamento di quel debito). variazioni non numerarie: 12

Per ogni operazione di gestione andranno fatti i mastrini relativi alle variazioni numerarie e non numerarie connesse a quell’ operazione. Nel caso del pagamento degli stipendi si avrà una situazione di questo tipo: a) Formazione di un debito verso il dipendente:

b) Pagamento del debito:

Valori non numerari

Dare Costi

Avere Ricavi

Valori numerari

+ Entrate Attività Crediti

- Uscite

Passività Debiti

Debito verso il dipendente.

-

100

+

+

100

-

Costo dipendente

+

100

-

100

+

-

100

Debito verso il dipendente. Banca

= 0

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esempio 2) Acquisto materie prime. Prima fase registro costo e debito vs fornitore Seconda fase pagamento fornitore tramite banca

3) Bolletta telefonica.

4) Finanziamento bancario di 300 e successivo rimborso di 150.

In questo caso non vi sono variazioni non numerarie. 5) Vendita merci per 100 e successivo incasso.

+

150

- 300

+ 300

-

150

Finanziamento bancario di 300

Sezionale debiti Banca

Rimborso finanziamento di 150

= 150 =150

Vendita

+ 100

-

100

+

- 100

+

100

-

Crediti verso clienti Conti non numerari Banca

Incasso

Acquisto materie prime

Sezionale debiti fornitori

Conti non numerari (costi)

Banca

+

100

- 100

+ 100

-

+

-

100 Pagamento debito

Debito verso Telecom

Sezionale debiti Conti non numerari Banca

+

500

- 500

+ 500

-

+

-

500 Pagamento debito

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Un contratto preliminare non dà origine né a variazioni numerarie né a variazioni non numerarie. Lo stato patrimoniale riassume tutte le variazioni numerarie avvenute durante l’anno trascorso. Il conto economico è suddiviso in due parti; nella prima si trova la somma di tutti i sezionali in dare mentre, nella seconda, si trova la somma di tutti i sezionali in avere (ovvero i ricavi). Nella maggior parte dei casi si ha una situazione del genere: Ne è un esempio l’acquisto di una materia prima; all’inizio si ha l’acquisizione del fattore produttivo (variazione non numeraria) a cui segue un debito verso il fornitore (variazione numeraria assimilata) a cui segue il pagamento del fattore produttivo (variazione numeraria certa). Un’impresa ha la proprietà di un fattore produttivo (es. una materia prima) a partire da un certo momento, concordato con il fornitore; in genere ciò avviene quando la società entra in possesso del materiale. Nel momento in cui la società ha la proprietà sorgono i costi e nasce il debito verso il fornitore. Il Principio di competenza fa sì che tutte le variazioni non numerarie (costi e ricavi) di un esercizio (ovvero di un anno) confluiscano tutte in un unico conto economico.

Esercizio svolto Anche nel caso in cui una bolletta relativa ad un periodo compreso tra 01/01 e 31/01 arrivasse nel mese di febbraio le variazioni (numerarie e non numerarie) relative alla nascita del debito con la Telecom andrebbero comunque registrate nel mese di gennaio. I fattori produttivi possono essere di due tipi: - Fattori produttivi a lento utilizzo. Fattori produttivi a veloce utilizzo.

I fattori produttivi a lento utilizzo sono quei fattori produttivi che durano per più di un anno. Danno origine ad una attività di bilancio e ad un costo (variazione non numeraria) relativo alla quota di ammortamento (uso annuale). I fattori produttivi a veloce utilizzo sono fattori produttivi annuali. Danno origine solo ad un costo dell’esercizio. Il personale può essere collocato in questa categoria.

Variazione non numeraria.

Variazione numeraria assimilata.

Variazione numeraria certa.

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I beni a lungo termine vengono ammortizzati in un certo numero di anni e quindi non vengono registrati una volta sola nel bilancio d’esercizio della società. In realtà il primo anno avrò il pagamento (esborso numerario o creazione di un debito) mentre gli anni successivi avrò la possibilità di considerare come costo una quota convenzionale di uso, perdita del valore del bene che viene detta ammortamento Un’auto, per un taxista, è un’immobilizzazione materiale (attività di bilancio) e non incide completamente sul conto economico. 1° Anno:

2° Anno:

Fattori produttivi

Pluriennali Annuali

Impiegati nelle

Attività

Servizio Prodotto Ricavo

Ricavo

Variazione non numeraria.

Credito

Variazione numeraria.

Acquisto auto

Var. num. pluriennale Var. non numeraria Banca

+

100

- 5000

4900

+

-

100

+

- 5000

Ammortamento auto

=

+

100

- 4900

4800

+

-

100 Ammortamento auto

Var. num. pluriennale Var. non numeraria

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Ricapitolando: In questo ciclo sono presenti soltanto variazioni non numerarie e variazioni numerarie assimilate; non c’è stata nessuna variazione monetaria. Il reddito dell’esercizio è dato dalla differenza tra i ricavi ottenuti per effetto dell’impiego del capitale ed i costi relativi ai fattori produttivi annuali e si chiama utile (valore positivo) e perdita (valore negativo). REDDITO DELL’ESERCIZIO = RICAVI ANNO – COSTI ANNO

Fonti di Finanziamento Capitale di rischio

Dividendi (No è oneroso di interessi)

Capitale di terzi (Capitale di debito)

Var. numerarie (debito verso

banca, liquidità)

Var. non

numerarie

Costo (interessi passivi)

Fattori Produttivi

Acquisizione

Pluriennale Non Pluriennale (Annuale)

Costo

Ciclo di Produzione

Magazzino

Ricavi Prodotto Servizio

Debito (Var. numeraria

assimilata)

Var. non numeraria

Var. non numeraria

Debito (Var. numeraria

assimilata)

Var. non numeraria

Credito

Credito

=

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Il reddito dell’esercizio caratterizza lo scopo di lucro; si tratta infatti di quell’utile / perdita che controbilancia le attività e le passività. I costi relativi all’esercizio comprendono i costi annuali di quell’esercizio e l’ammortamento dei costi pluriennali (Costi pluriennali / durata prevista dell’investimento pluriennale). Il capitale è definito come l’insieme delle variazioni numerarie che si originano come conseguenza dell’impiego / investimento delle fonti di finanziamento. Un fattore produttivo pluriennale può essere valutato sostanzialmente sotto due punti di vista: Contabile. Economico. La valutazione contabile di un fattore economico tiene conto dell’ammortamento; si tratta quindi di una valutazione del valore effettivo del bene, rispetto al prezzo di acquisto. La valutazione economica viene fatta, invece, in base al valore di mercato del bene; al momento della valutazione viene fatta una perizia che tiene conto di tutti i fattori che potrebbero aver fatto svalutare o rivalutare il bene. ESERCIZIO SVOLTO Costituzione di una società e scrittura del bilancio. In data 28/12/2007 viene costituita una società, da parte di due persone fisiche (PF1 e PF2). La tipologia di società scelta è la srl, ed il fine è la commercializzazione di scarpe da tennis (si tratta quindi di una società commerciale). Il capitale sociale è costituito da 2 quote dal valore nominale di € 100.000 l’una. Il primo fatto di gestione è la costituzione della società. I due soci vanno quindi da un notaio per la costituzione della società. Dal notaio dovranno versare un minimo di € 60.000 (pari ai 3/10 del capitale sociale). Se verseranno soltanto € 60.000 sorgerà un credito della società verso i soci pari a € 140.000. Se invece vengono versati subito tutti i € 200.000i si avrà una situazione del genere: Non ci sono ancora stati né costi né ricavi, soltanto una variazione numeraria certa ed una assimilata (debito verso i soci). Collegato alla costituzione della società c’è poi il costo per il notaio (€ 10.000); si tratta del primo costo dell’attività d’impresa. Si tratta di una immobilizzazione immateriale in quanto è un onere accessorio all’esercizio, ad utilità pluriennale. Le immobilizzazioni immateriali non possono essere trasferite e concorrono alla formazione del reddito tramite l’ammortamento.

STATO PATRIMONIALE

Cassa: 200.000 Cap. Sociale: 200.000

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Giunti al 31/12/2007 bisogna redigere il bilancio relativo al 2007. Il Reddito dell’esercizio è dato da: REDDITO DELL’ESERCIZIO = RICAVI - COSTI Il Patrimonio netto è dato da: PATRIMONIO NETTO = ATTIVITÀ – PASSIVITÀ = REDDITO DELL’ESERCIZIO + CAPITALE SOCIALE L’anno successivo la società inizierà ad intraprendere l’attività d’impresa. Impiegando € 190.000 in cassa dovrà istituire i vari uffici che si occuperanno delle varie problematiche d’impresa al fine di avere un reddito dell’esercizio. Nel caso in cui la società riempisse il magazzino di scarpe senza venderne neanche un paio si avrebbe una situazione del genere: NOTA BENE da qui in poi valori in migliaia di euro Le rimanenze finali di magazzino vengono considerate un ricavo per controbilanciare il costo delle materie prime. Il magazzino infatti diventa un costo solo nel momento in cui si ha un ricavo (principio di afferenza o della correlazione tra costi e ricavi). Il costo delle materie prime viene rimandato all’esercizio successivo. L’anno successivo si avrà quindi:

STATO PATRIMONIALE CONTO ECONOMICO

Cassa: 190.000 Costo plurienn. 10.000 TOTALE 200.000

Cap. sociale: 200.000 Reddito: 0 Patrimonio Netto: 200.000

Ufficio Commerciale

Ufficio Logistica (Magazzino)

Ufficio Acquisti

Ufficio Risorse Umane

Ufficio Amministrativo

Affari Generali

Amministratore Delegato

STATO PATRIMONIALE CONTO ECONOMICO

Cassa: 0 Magazzino 200. Totale Attivo: 200

Cap. sociale: 200. Reddito gestione: (300.) Patrimonio Netto: (100.) Debiti: 300 Totale Passivo: 200

Costo vari gestione 300 Costo mat. prime 200 Totale costi: 500

Ricavi: 0 Rimanenze finali: 200 Totale ricavi: 200. Reddito = Perdita :(300)

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CONTO ECONOMICO Si potrebbe invece avere una situazione di questo tipo: a) Assunzione di 2 dipendenti: 10 x 2 = 20. (costo) b) Acquisto materie prime: 150 Pagato: 100 Saldo: 50

c) Ottenimento di un mutuo passivo di 200 interessi passivi del 5% annuo a partire dal 2° anno.

d) Acquisto di mobili-arredi: 50 Pagato: 50 Saldo: 0

e) Acquisto PC e attrezz. 40 Pagato:300 Saldo: 10 f) Ricavi vendite: 30 Incassato: 200 Saldo: 100

In migliaia di € Per calcolare il valore delle immobilizzazioni materiali bisogna considerare il prezzo di acquisto al netto dell’ammortamento. Ad esempio per quanto riguarda il valore dei mobili si avrà: in migliaia

Costo = 50 2007 2008 2009 2010 2011

Ammortamento = 20% annuo: (10) (10) (10) (10) (10)

Valore netto: 40 30 20 10 0 Il totale delle immobilizzazioni materiali sarà quindi: (50-10)+ (40-8) = 40 + 32 = 72 Per redigere il bilancio si inizia dal conto economico e, una volta trovato il risultato della gestione (utile o perdita) lo si inserisce nello stato patrimoniale. La cassa è l’ultimo valore che si ricava e si trova in questo modo:

Rimanenze iniziali: 200

Ricavi: 300.

STATO PATRIMONIALE

Crediti verso clienti: 100 Imm. materiali: 72 Imm. Immateriali (notaio): 8 Cassa: 390 TOTALE Attivo: 570

Cap. sociale: 200 Reddito: 110 Patrimonio Netto: 310 Debito verso personale: 0 Debito materie prime: 50 Mutuo: 200 Debito per arredi: 0 Debito PC: 10

TOTALE Passività: 260 TOTALE Passivo: 570

CONTO ECONOMICO

Costo mat. prime: 150 Costo personale: 20 Ammortam. mobili: 10 Ammortam. PC: 8 Ammortam. imm. immateriali: 2 Totale costi: 190

Utile: 110

Ricavi vendite: 300

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Cassa iniziale 190

+ Mutuo + 200

390

- Personale - 20

- Mat. Prime - 100

- Mobili - 50

- PC - 30

+ Incasso crediti + 200

= Cassa 390 ESERCIZIO SVOLTO : la determinazione della natura delle seguenti operazioni aziendali Acquisto materie prime Rilevazione contabile fornitori-magazzino Impatto economico costo Impatto finanziario creazione di un debito Pagamento fornitore Rilevazione contabile diminuzione fornitori Impatto economico costo Impatto finanziario riduzione debito/uscita cassa-banche Riduzione liquidità Vendita prodotti Rilevazione contabile clienti/diminuzione magazzino Impatto economico ricavo Impatto finanziario creazione credito Pagamento dipendenti Rilevazione contabile debito dipendenti Impatto economico costo Impatto finanziario riduzione debito/uscita cassa-banche Riduzione liquidità Presentazione riba Rilevazione contabile portafoglio attivo Impatto finanziario aumento disponibilità banche Aumento liquidità Accensione mutuo Rilevazione contabile debito finanziario Impatto finanziario aumento disponibilità cassa-banche

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Aumento liquidità Acquisizione macchinario in leasing Rilevazione contabile debito leasing/risconto maxicanone Impatto economico costo Impatto finanziario uscita cassa-banche Riduzione liquidità Vendita macchinario usato Rilevazione contabile riduzione impianti/f. ammortamento Impatto economico ricavo Impatto finanziario aumento disponibilità cassa-banche

Aumento liquidità Pagamento rata mutuo/debito Rilevazione contabile debiti finanziari Impatto economico costo interessi Impatto finanziario riduzione debito/uscita cassa-banche Riduzione liquidità

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ESERCIZIO SVOLTO Valori in migliaia di euro Conto Economico e Stato Patrimoniale

STATO PATRIMONIALE CONTO ECONOMICO

RICAVI COSTI

UTILE 600

B) Imm. Immateriali: Brevetti: 100 Avviamento: 200 TOT Imm. Immat.: 300 Imm. Materiali: Fabbricati: 1500 Imp. – Macchinari: 800 Mobili – Arredi: 100 TOT Imm. Mat.: 2400 C) II) Crediti verso clienti: 10800 TOT Attivo: 13500

Cap. Sociale: 100 Utile dell’Esercizio: 600 Patrimonio Netto: 700 Debiti: Fondo per rischi e oneri: 500 Fondo TFR: 300 Debiti verso fornitori: 12000 TOT Passività: 12800 TOT Passivo: 13500

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Nel caso in cui si dovesse liquidare la società si dovrebbe fare uno schema di questo tipo: In caso di liquidazione dovrà rimanere almeno € 700 di banca e cassa. Se rimanessero € 500 potrebbe voler dire che il bilancio non era corretto; se rimanessero € 10.000 potrebbe anche essere corretto in quanto nella stesura del bilancio viene utilizzato il principio della prudenza. In questo caso la differenza di –800 per quanto riguarda i crediti indica che il bilancio era errato in quanto non si era tenuto conto di un rischio di credito di 800. Il valore di liquidazione ottenuto in seguito alla vendita dei brevetti potrebbe anche essere pari a 0 nel caso in cui non si riuscisse a vendere i brevetti (prodotti vecchi o obsoleti). Il valore di liquidazione ottenuto in seguito alla vendita dell’avviamento è generalmente 0. In seguito alla liquidazione dei fabbricati si ha, in genere, un plusvalore pari a circa una volta il loro valore contabile. Lo stato patrimoniale diventerà quindi:

-800 +10

-200 +1500

-300 0

+210

0 -100

0

+110

CREDITI BREVETTI AVVIAMENTO FABBRICATI IMPIANTI – MACCHINARI MOBILI – ARREDI TOTALE ATTIVO TFR FONDO RISCHI E ONERI DEBITI VERSO FORNIT. PATRIMONIO NETTO

10800 100 200

1500 800 100

13500

(300) (500)

(12000)

700

VALORE CONTABILE VALORE LIQUIDAZIONE

10000 110

0 3000

500 100

13710

(300) (600)

(12000)

810

CASSA 810

STATO PATRIMONIALE

CAP. SOCIALE: 100 UTILE: 600 PLUSVALORE: 110 PATRIMONIO NETTO VALUTATO AL VALORE DI MERCATO: 810

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Come plusvalore si intende la differenza tra la valutazione al costo e la valutazione di liquidazione. ESERCIZIO SVOLTO Si ha una società ABC, costituita il 01/01/1998. L’azionista ha sottoscritto davanti al notaio il capitale sociale (valore nominale di ogni azione pari a 50) versando l’importo complessivo di 40000. Alla data del 31/12/2006 la contabilità generale riporta i seguenti dati: a) Marchi per 3000, sostenuti nel corso dell’anno. Il periodo di ammortamento è di

10 anni. b) Brevetti con costo storico di 3000 e aliquota di ammortamento pari al 10%. c) Debito verso fornitori per 34000. d) Altri crediti per 600. e) Immobilizzazioni materiali pari a 0. f) Crediti verso clienti di 40000. g) Il conto economico presenta un risultato netto pari ad un utile di 1000. h) Debiti verso personale per 1000. i) Debiti tributari per 120. j) L’eventuale necessità di liquidità è coperta mediante l’utilizzo di finanziamenti

bancari. Sulla base delle informazioni riportate si provveda alla predisposizione dello Stato Patrimoniale al 31/12/2006 Nel predisporre il bilancio al 31/12/2006 si può ipotizzare con dati a scelta le voci di stato patrimoniale e conto economico mancanti tenendo in considerazione che: a) In data 03/01/2006 sono state acquisite immobilizzazioni materiali per 30.000,

importo comprensivo di oneri accessori pari a 300. Trattasi di impianto specifico con aliquota di ammortamento del 20%.

b) Il conto economico al 31/12/2006 dovrà contenere, oltre a quanto è desumibile dalle suesposte informazioni, le seguenti voci:

- Altri ricavi e proventi. - Costi per servizi. - Costi per materie prime. - Oneri straordinari. - Sopravvenienze attive. o Imposte e tasse pari al 40% dell’utile ad imposte.

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I Bilanci d’Esercizio dovranno essere redatti secondo lo schema previsto dall’articolo 2425 del Codice Civile. - Stato Patrimoniale al 31/12/2006

ATTIVO PASSIVO

B) I) IMM. IMMATERIALI Marchi 2700 Brevetti 2700 TOT Immobilizzazioni 5400 C) II) Crediti verso clienti 40000 Altri crediti 600 IV) Disponibilità liquide 120 TOT Attivo Circolante 70.720 TOT ATTIVO 76.120

A) Capitale Sociale 40000 IX) Utile 1000 Patrimonio Netto 41.000 D) Debiti Debiti verso personale 1000 Debiti tributari 120 Debiti verso fornitori 4000 TOT Debiti 35.120 TOT PASSIVO 76120

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Conto Economico e Stato Patrimoniale al 31/12/2006 Conto Economico

A) VALORE DELLA PRODUZIONE 1) Ricavi delle vendite e delle prestazioni 26 510 3) Variazioni lavori in corso su ordinazione 6.000 5) Altri ricavi e proventi 4.000

B) COSTI DELLA PRODUZIONE 6) Costi per materie prime 15.000 7) Costi per servizi 8.000 9) Costi per personale 1.000 10) Ammortamenti 6.600

DIFFERENZA TRA VALORE E COSTI DELLA PRODUZIONE 2.910

C) PROVENTI E ONERI FINANZIARI 16) Altri proventi finanziari 600 17) Interessi e altri oneri finanziari -560

E) Proventi e Oneri straordinari 20) Proventi 2000 Oneri -1000

RISULTATO ANTE IMPOSTE (UTILE) 3.950

21) Imposte sul reddito dell’esercizio 1580

22) UTILE dell’esercizio 2.370

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- Stato Patrimoniale

RATEI E RISCONTI: Si dividono in:

- Risconti attivi finali. - Risconti passivi finali. - Ratei attivi iniziali. - Ratei passivi iniziali. - Risconti attivi iniziali.

Risconti attivi finali: Costi manifestatisi numerariamente nell’esercizio ma non imputabili all’esercizio in corso, in quanto avranno il corrispondente ricavo negli esercizi successivi. Risconti passivi finali: Ricavi manifestatisi numerariamente nell’esercizio ma non imputabili all’esercizio in corso, in quanto avranno il corrispondente costo negli esercizi successivi. Ratei attivi iniziali: Ricavi manifestatisi numerariamente nell’esercizio ma attribuibili all’esercizio precedente proporzionalmente al tempo. Ratei passivi iniziali: Costi manifestatisi numerariamente nell’esercizio ma attribuibili all’esercizio precedente proporzionalmente al tempo.

ATTIVO PASSIVO

B) IMMOBILIZZAZIONI I) IMM. IMMATERIALI Marchi 2400 Brevetti 2400 II) IMM. MATERIALI Impianti 24000

TOT Immobilizzazioni 28.800 C) ATTIVO CIRCOLANTE I) Rimanenze 6.000 II) Crediti 35.000 IV) Disponibilità liquide Depositi bancari e postal 20.000 Cassa 9.750 TOT Attivo Circolante 70.750 TOT ATTIVO 99.550

A) PATRIMONIO NETTO Capitale Sociale 40.000 IV) Riserva legale 50 VIII) Utile esercizio precedente 950 IX) Utile esercizio 2.370 Patrimonio Netto 43.370 B) FONDI PER RISCHI E ONERI Fondi per cause legali in corso1.600 Fondi per imposte 2.000 C) TFR 1000 D) Debiti Debiti tributari 1.580 Debiti verso fornitori 40.000 Altri debiti 10.000 TOT PASSIVO 99.550 TOT PASSIVO 72620

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Risconti attivi iniziali: Costi manifestatisi numerariamente nell’esercizio precedente ma attribuibili all’esercizio in corso proporzionalmente al tempo. In conclusione, i Risconti sono costi (risconti attivi) / ricavi (risconti passivi) manifestatisi numerariamente in un esercizio ma imputabili parzialmente all’esercizio successivo; i Ratei sono costi (ratei passivi) / ricavi (ratei attivi) manifestatisi numerariamente in un esercizio ma imputabili parzialmente all’esercizio precedente. CONTABILITA’ ANALITICA: E’ una modalità di riclassificazione dei costi e dei ricavi in base alla destinazione; è di utilità interna all’azienda.

MARGINE LORDO:

unitario Prezzo

prime e materi Costo

vendite Ricavi

venduti Prodotti

vendite Ricavi

MARGINE NETTO: venduti prodotti Numero

Imposte - vendite Ricavi

Gli oneri accessori di un costo pluriennale sono anch’essi pluriennali. Il primo anno gli ammortamenti vengono generalmente considerati con aliquota dimezzata. Si è obbligati a calcolare l’ammortamento solo se il bene è pronto per l’uso; se un bene non viene ammortizzato il relativo costo viene rimandato all’esercizio successivo come costo sospeso finale. Se il risultato della gestione finanziaria (gestione caratteristica) è pari a zero vorrà dire che l’azienda è in grado di autofinanziarsi. PROVENTI E ONERI STRAORDINARI: Possono essere: - Sopravvenienze attive. Plusvalenze. Come sopravvenIenze attive si intendono : gli sconti, i rimborsi assicurativi, il recupero di crediti dati per persi Come plusvalenza si intende la differenza tra il prezzo di vendita ed il valore netto contabile (tenente conto dell’ammortamento) di un bene precedentemente iscritto nello stato patrimoniale. Nello stato patrimoniale i crediti devono essere iscritti al presumibile valore di realizzo (per il principio della prudenza). Valore contabile – Valore presumibile di realizzo = Costo per svalutazione crediti (nel conto economico).

Esercizio X Esercizio X+1

Risconti Attivi Finali Risconti Attivi Iniziali

Risconti Passivi Finali Risconti Passivi Iniziali

Uscita/Entrata + 1^ Parte costo/ricavo 2^ Parte costo/ricavo

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La riserva legale è, come minimo, pari al 5% dell’utile dell’esercizio precedente che, di conseguenza, scenderà al suo 95%. IMPOSTE: Debito per imposte dell’esercizio = Debiti tributari.

Debito per contenziosi fiscali in essere = Fondi per imposte. Se si ha un costo per il personale si dovrà anche avere un fondo per TFR.

ESERCIZIO SVOLTO Si ipotizzi un bilancio al 31/12/2006 formato dalle seguenti voci - Rimanenze di magazzino 1.000 - Altri debiti 300 - Perdita esercizio 100 - Immobilizzazioni materiali 15.000 - Fondo ammortamento immobilizzazioni - materiali 8.000 - Partecipazioni 250 - Risconti attivi su canoni di affitto 50 - Ratei passivi su interessi - passivi per mutuo ________ - Debiti verso fornitori - (valore nominale) 3.000 - Crediti verso clienti 6.000 - Fondo svalutazione crediti 500 - Debiti verso personale 400 - Capitale sociale 1.000 - Riserva legale 100 - Immobilizzazioni immateriali 500 - al netto di ammortamenti cumulati di 200 . Costruire lo Stato Patrimoniale e ricavare la voce mancante. Predisporre il Conto Economico al 31/12/2006 ipotizzando che: - Ricavi 25.000 - Acquisti di prodotti finiti 10.000 - Costi per servizi 5.000 - Oneri diversi di gestione 5.000 - Rimanenze finali di prodotti finiti 600 - Aliquota di amm.to beni mat.li 10% - Aliquota di amm.to beni imm.l 20% Ogni anno, al 30/06, la società paga l’affitto annuale di 100. Al 31/12/2006 sul debito per mutuo maturano interesse semestrali al 10% (con pagamento posticipato). Ricavare il risultato dell’esercizio.

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Stato Patrimoniale al 31/12/2006

Si ipotizza il mutuo come stipulato il 31/10/2006; il rateo sarà quindi relativo ai mesi di novembre e dicembre. 14300 – 4700 (Passività senza mutuo) = 9600

3

banca verso Debito * 10% Banca verso Debito9600

Debito verso Banca = 9290 Ratei passivi (per due mesi) = 310 “Brutta” del Conto Economico al 31/12/2005 in base ai dati in nostro possesso.

B) IMMOBILIZZAZIONI I) IMM. IMMATERIALI 500 II) IMM. MATERIALI 7000 III) Partecipazioni 250 TOT Immobilizzazioni 7750 C) ATTIVO CIRCOLANTE I) Rimanenze 1000 II) Crediti verso clienti 5500 TOT Attivo Circolante 6500 D) RATEI E RISCONTI Risconti attivi (Affitto) 50 TOT ATTIVO 14300

A) PATRIMONIO NETTO Capitale Sociale 1000 IV) Riserva legale 100 IX) Perdita esercizio -100 Patrimonio Netto 1000 D) Debiti Debiti verso banche 9290 Debiti verso fornitori 3000 Debiti verso personale 400 Altri debiti 300 TOT Debiti 12.990 E) RATEI E RISCONTI Ratei passivi (Mutuo) 310 TOT PASSIVO 14.300 TOT PASSIVO 72620

ATTIVO PASSIVO

Interessi per i mesi di novembre e dicembre.

Rimanenze iniziali 1000 Acquisti prodotti finiti 10000 Costi per servizi 5000 Ammortamento imm. materiali 1500 Ammortamento imm. immateriali 140 Canone di affitto 100 Risconti attivi iniziali 50 Interessi passivi 1000 Oneri diversi di gestione 5000 TOT Costi 23790 Imposte esercizio 744

Ricavi 25000 Rinvio costo affitto 50 Rimanenze finali 600 TOT Ricavi 25650 Utile ante imposte 1860 Utile netto 1116

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Il rinvio del costo per affitto all’esercizio successivo bilancia il risconto attivo iniziale. Poiché il canone d’affitto viene pagato annualmente al 30/06 si avranno, al termine dell’esercizio: Risconto attivo iniziale relativo al periodo compreso tra il 30/06/2003 ed il 31/12/2005. Rinvio all’esercizio successivo del costo d’affitto per il periodo tra il 30/06/2005 e il 31/12/2006. Costo per il canone di affitto dal 30/06/2003 al 30/06/2005 Conto Economico al 31/12/2006

A) VALORE DELLA PRODUZIONE 1) Ricavi delle vendite e delle prestazioni 25.000 2) Variazione rimanenze di prodotti finiti -400

B) COSTI DELLA PRODUZIONE 6) Costi per prodotti finiti 10.000

7) Costi per servizi 5.000 8) Costi per godimento di beni di terzi (affitto) 100

10) Ammortamenti 1.640 14) Oneri diversi di gestione 5.000

DIFFERENZA TRA VALORE E COSTI DELLA PRODUZIONE 2860

PROVENTI E ONERI FINANZIARI 17) Interessi passivi 1.000

RISULTATO ANTE IMPOSTE (UTILE) 1860

23) Imposte sul reddito dell’esercizio 744

24) UTILE dell’esercizio 1116

01/01/003 31/12/03 01/01/04 31/12/04

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E’ stato ipotizzato il ricorso ad un mutuo bancario per 10000, con interessi passivi semestrali del 10%. Stato Patrimoniale al 31/12/2006 in base ai dati in nostro possesso.

Completare senza modificare l’Utile dell’Esercizio ed i dati già presenti.

A) PATRIMONIO NETTO Capitale Sociale 1000 IV) Riserva legale 100 VIII)Perdita esercizio prec. -100 IX) Utile esercizio 1116 Patrimonio Netto 2.116 D) Debiti Debiti tributari 2744 Debiti verso banche 10000 TOT Debiti 12.744 E) RATEI E RISCONTI Ratei passivi (Mutuo) 1000 TOT PASSIVO 15.860 TOT PASSIVO 72620

ATTIVO PASSIVO

B) IMMOBILIZZAZIONI IMM. IMMATERIALI 360 II) IMM. MATERIALI 5500

Partecipazioni 250 Immobilizzazioni 6.110

C) ATTIVO CIRCOLANTE I) Rimanenze 600 Crediti verso clienti 4.000 IV) Disponibilità liquide 5.100 TOT Attivo Circolante 9.700 D) RATEI E RISCONTI Risconti attivi (Affitto) 50 TOT ATTIVO 15.860 TOTALE ATTIVO

A) PATRIMONIO NETTO Capitale Sociale 1000 IV) Riserva legale 100 VIII)Perdita esercizio prec. -100 IX) Utile esercizio 1116 Patrimonio Netto 2.116 D) Debiti Debiti tributari 2744 Debiti verso banche 10000 TOT Debiti 12.744 E) RATEI E RISCONTI Ratei passivi (Mutuo) …… 1.000 TOT PASSIVO 15.860

ATTIVO PASSIVO

B) IMMOBILIZZAZIONI I) IMM. IMMATERIALI 360 II) IMM. MATERIALI 5.500 III) Partecipazioni 250 TOT Immobilizzazioni 6.110 C) ATTIVO CIRCOLANTE I) Rimanenze 700 II) Crediti verso clienti 9.000 TOT Attivo Circolante 9.700 D) RATEI E RISCONTI Risconti attivi (Affitto) 50 TOT ATTIVO 15.860

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Valutazioni per il bilancio di esercizio Il principio base della redazione del Bilancio è il Principio del Costo secondo cui tutte le immobilizzazioni e le rimanenze vanno scritte al loro prezzo di acquisto, al netto dell’ammortamento. Le attività non possono essere rivalutate oltre il loro costo di acquisto, a meno che non ci siano delle leggi speciali che lo consentono. Una immobilizzazione partecipa alla formazione del reddito dell’esercizio tramite l’ammortamento. Un immobilizzazione può svalutarsi (perdere valore) per obsolescenza o per senescenza. Come obsolescenza si intende un invecchiamento dal punto di vista tecnologico (PC, macchine). Come senescenza invece si intende un invecchiamento materiale che può riguardare ogni genere di immobilizzazione. Una volta che un bene è stato ammortizzato l’azienda inizia a guadagnare su quel bene in quanto il suo valore di iscrizione in bilancio è 0 come è pari a 0 il relativo costo per l’ammortamento. Una immobilizzazione può svalutarsi nel caso in cui il valore di mercato di un bene sia inferiore al suo costo. Nel bilancio andrà sempre iscritto il minore tra il prezzo di acquisto ed il valore di mercato. ESEMPIO Valore di acquisto: 100 Ammortamento: 20 Valore di mercato: 40 Le azioni come le Partecipazioni non vengono ammortizzate, possono essere adeguate al valore di mercato (se inferiore a quello di acquisto) attraverso la rettifica del valore (svalutazione) I crediti verso clienti si hanno dopo il magazzino e rappresentano dei titoli di credito verso i clienti. Vengono iscritti al loro valore nominale e rappresentano il totale dei beni – servizi venduti ma non incassati. Nel caso in cui ci sia la possibilità di non incassare l’intero ammontare del credito andranno iscritti al possibile valore di realizzo.

ESEMPIO Crediti: 1000 Valore presumibile di realizzo: 800

STATO PATRIMONIALE CONTO ECONOMICO

Imm.: 40 Ammortam.: 20 Svalutaz.: 40

STATO PATRIMONIALE CONTO ECONOMICO

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I ratei ed i risconti si hanno in tutti quei casi in cui il costo / ricavo non coincide con la rispettiva manifestazione numeraria. Se la manifestazione numeraria è posticipata si parla di rateo, se la manifestazione numeraria è anticipata rispetto a quella economica si parla di risconto. VALUTAZIONI PER IL BILANCIO D’ESERCIZIO: Immobilizzazioni materiali ed immateriali: Costo di acquisto, comprensivo degli oneri accessori, o costo di produzione se costruito

internamente.

- Fondo ammortamento complessivo

- Svalutazioni per durevole perdita di valore.

+ Rivalutazioni per recuperi di valore.

= Valore di iscrizione in bilancio.

Crediti:

Valore nominale.

- Fondo svalutazione crediti (Fondo mancato incasso).

= Valore presumibile realizzabile = Valore di iscrizione in bilancio.

Debiti:

Valore nominale.

= Valore di iscrizione in bilancio.

Rimanenze di magazzino: Minore tra: A) Costo di acquisto, comprensivo degli oneri accessori o costo di produzione (se costruite internamente). B) Valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato. = Valore di iscrizione in bilancio. Manifestazione numeraria coincidente con quella economica: Le variazioni numerarie che misurano alcuni costi / ricavi hanno luogo nello stesso periodo amministrativo in cui i costi / ricavi maturano e danno la loro utilità. Variazione numeraria anticipata rispetto a quella economica (Risconto): Le manifestazioni numerarie si manifestano prima della completa maturazione del costo o del ricavo; quota

Crediti: 800 Fondo sval. crediti: 200

Ricavo: 1000

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parte del componente di reddito (positivo o negativo) di competenza dell’esercizio successivo deve essere sospesa dall’esercizio in corso e rinviata a quello successivo.

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ESERCIZIO SVOLTO

Variazione numeraria posticipata rispetto a quella economica (Rateo): Le manifestazioni numerarie si manifestano solo a completa maturazione del costo o del completo conseguimento del ricavo; quota parte del componente di reddito (positivo o negativo) deve essere imputata all’esercizio in quanto già in parte realizzata o sostenuta. Dal punto di vista economico aziendale si parla in tal caso di costo o ricavo da integrare al fine del calcolo del reddito dell’esercizio. ESERCIZIO SVOLTO

ESERCIZIO SVOLTO

Risconto. Assicurazione per 12 mesi a decorrere dal 01/10; pagamento anticipato di 24000 €. 31/12

Quota di costo di competenza dell’esercizio.

1/10 Pagamento premio annuo di assicurazione

Quota di costo non di competenza dell’esercizio. (Risconto attivo)

31/12 30/09

Quota di ricavo di competenza dell’esercizio. (Rateo attivo)

1/10 Concessione affitto.

Ricavo non ancora maturato.

31/12 01/04 Riscossione affitto.

COSTI RISCONTO ATTIVO CASSA

24000 18000 6000

18000 24000

Quota di competenza dell’esercizio.

01/10/n 01/10/n+1 31/12/n

Quota di compet. esercizio n.

Quota da sospendere e rinviare all’esercizio n+1.

=

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In questo caso il risconto è attivo in quanto rettifica un costo. VALUTAZIONI PER IL BILANCIO D’ESERCIZIO: Ratei e Risconti: RATEI ATTIVI: Quote di ricavi di competenza dell’esercizio esigibili in esercizi successivi.

RISCONTI ATTIVI: Quote di costi sostenuti entro la chiusura dell’esercizio ma di competenza di esercizi successivi.

RATEI PASSIVI: Quote di costi di competenza dell’esercizio esigibili in esercizi successivi.

RISCONTI PASSIVI: Quote di ricavi percepiti entro la chiusura dell’esercizio ma di competenza di esercizi successivi.

= Valore di iscrizione in bilancio = Applicazione di un corretto metodo per determinare la quota di costo o di ricavo di competenza dell’esercizio. (ES. “Pro quota temporis” …)

METODO CONTABILE APPLICATO: FUNZIONAMENTO DEI CONTI NUMERARI E DEI CONTI ECONOMICI: CONTI NUMERARI:

ESERCIZIO SVOLTO

Il cliente paga una fornitura pari a 50 CONTI ECONOMICI:

CONTO NUMERARIO

DARE AVERE

Entrate di Cassa Aumenti di Crediti Diminuzioni di Debiti

Uscite di Cassa Diminuzioni di Crediti Aumenti di Debiti

CASSA CREDITI VERSO CLIENTI

50 50

CONTO ECONOMICO DI REDDITO

DARE AVERE

Aumento di costo Rettifiche di ricavo

Aumento di ricavo Rettifiche di costo

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ESERCIZIO SVOLTO

24/05: Vendita prodotti finiti per 300, pagamento il 01/07. ESERCIZIO SVOLTO Contratto assicurativo (Rateo). 01/08/2005 Stipula contratto di assicurazione di 1 anno. Premio = 12000 Il pagamento avviene alla scadenza del contratto (rateo attivo per il cliente, rateo passivo per l’assicurazione). Situazione al 01/08/2006 Situazione al 31/12/2005

5 mesi: 5000

CREDITO VERSO CLIENTI

300

RICAVO DI VENDITA P.F.

300

01/08/n 01/08/n+1 31/12/n

12000

Canoni di assicurazione

12000

Banca

5000

Canoni di assicurazione

5000

Rateo Passivo

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I Conti Numerari ed Economici hanno funzionamento antitetico (ovvero a partita doppia). VALUTAZIONI PER IL BILANCIO D’ESERCIZIO: Fondi per Rischi e Oneri: FONDI PER ONERI: Si tratta di accantonamenti per passività certe, il cui ammontare o la cui data di

sopravvenienza sono indeterminate (è cioè certo che un qualche importo verrà pagato ad una data indeterminata)

FONDO PER RISCHI: L’incertezza non è esprimibile solo in termini di ipotesi alternative di ammontare da corrispondere e di data di sopravvenienza, ma si prevede che si possa anche evitare l’esborso.

= Valore di iscrizione in bilancio = Miglior stima possibile alla data di approvazione del progetto di bilancio da parte degli amministratori della possibile passività (fondo per rischi) o del futuro onere (fondo per oneri).

Un esempio di Fondo per Oneri per una società può essere una raccolta punti di fedeltà con premi finali, mentre un esempio di Fondo per Rischi può essere una causa pendente a fine esercizio.

DARE AVERE

Deficit Netto Diminuzione di Capitale Netto

Capitale Netto Aumenti di Capitale Netto

CONTO ECONOMICO DI CAPITALE

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RIEPILOGO DEFINIZIONI E CONCETTI RELATIVI ALLE VOCI DI STATO PATRIMONIALE E CONTO ECONOMICO I fatti di gestione in precedenza riportati rappresentano un piccolo campionario delle operazioni aziendali correnti. In realtà la gestione può essere analizzata sotto tre diversi aspetti: tecnico economico finanziario L'aspetto tecnico risulta dalla combinazione dei fattori che determinano la produzione di beni e servizi e l'accrescimento dell'utilità preesistente; si manifesta quindi in un'attività di trasformazione fisico- tecnica e di trasferimento di beni nel tempo e nello spazio.

Fattori produttivi

Processo di trasformazione tecnico-economica

Beni prodotti servizi prestati L'aspetto economico è rappresentato : dai costi sostenuti per effettuare investimenti in fattori produttivi (acquisti) da ricavi conseguiti disinvestendo beni o prestando servizi (vendite) L'aspetto finanziario è costituito dall'uscita di mezzi monetari (denaro) o dal sorgere di debiti di regolamento sorti in conseguenza di acquisti dall'entrata di mezzi monetari o dal sorgere di crediti di regolamento sorti in conseguenza di vendite Ciclo tecnico Combinazione di fattori produttivi che da luogo alla trasformazione fisica che si conclude con l'ottenimento dei prodotti o la prestazione di servizi Ciclo economico Inizia con i costi dei fattori e termina con il conseguimento dei ricavi Ciclo finanziario Inizia con i debiti di regolamento e termina con i crediti di regolamento Ciclo monetario Inizia con le uscite monetarie per il pagamento degli acquisti e si conclude con i ricavi delle vendite DEFINIZIONE DI COSTI E RICAVI Ricavi finanziari: Ricavi relativi interessi attivi, plusvalenze su titoli, dividendi etc Ricavi straordinari: Ricavi relativi fatti straordinari (rimborsi assicurativi, vincite etc), Cessione di attività dell'impresa (macchinari, fabbricati) II prospetto riepilogativo dei costi e dei ricavi prende nome di Conto economico. Esercizio: l'insieme delle operazioni di gestione compiute in un periodo amministrativo

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Competenza economica Tale principio prevede che i fatti di gestione determinano il reddito dell'esercizio a cui tali fatti economicamente si riferiscono, indipendentemente da quello in cui si sia verificata la manifestazione finanziaria. Infatti la manifestazione "economica" di un fatto non sempre coincide con quella numeraria o finanziaria per cui il Reddito d'esercizio è dato dalla differenza tra i ricavi e costi di competenza dell'esercizio. Patrimonio aziendale Il patrimonio dell'impresa è l'insieme dei beni economici che, in un dato istante temporale, sono a disposizione del soggetto aziendale. Se riferito alla fine del periodo prende il nome di patrimonio di funzionamento. Tale patrimonio di funzionamento si determina a fine esercizio dopo aver calcolato il reddito di esercizio. Il prospetto che mette in evidenza gli elementi attivi e passivi del patrimonio prende il nome di situazione patrimoniale. In tale situazione gli elementi attivi sono rappresentati da: gli investimenti effettuati nelle immobilizzazioni (per i quali sono stati sostenuti i costi pluriennali) > immateriali quali brevetti avviamento marchi etc > materiali quali fabbricati, macchinari, arredi etc. Attivo circolante in tale voce vengono inserite quelle attività che in caso di necessità l'azienda può dimettere per acquisire liquidità. Pertanto tale voce comprende Magazzino (rimanenze di prodotti finiti, in corso di lavorazione e di materie prime) Crediti verso terzi (clienti per le vendite effettuate ma non riscosse) Cassa / Banche rappresentative della liquidità aziendale Gli elementi del passivo comprendono. I debiti di funzionamento (vs fornitori per acquisti non pagati verso etc) sorti in conseguenza delle operazioni dì gestione I debiti di finanziamento e precisamente il capitale ottenuto da terzi e non restituito II patrimonio netto visto come differenza fra le attività e passività che rappresenta il capitale proprio dell'impresa . Classificazione dei costi Costi Pluriennali Sono i costi generati dall'acquisto di quei fattori produttivi che esplicano una utilità per più anni Costi relativi a immobilizzazioni impianto, ricerca & sviluppo ,brevetti, avviamento

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acquisto beni strumentali (fabbricati- macchinari-attrezzature - automezzi-arredi Costi per le merci Costi relativi a : acquisto materie prime, semilavorati, materiale di consumo Costi per l'acquisto di servizi Costi relativi a energia, trasporti, vigilanza,pubblicità,consulenza,postali e telefonici,informatici,manutenzione,esercizio,automezzi,assicurazione, provvigioni, lavorazioni esterne Costi per godimento beni di terzi Costi relativi a affitti passivi leasing e noleggi Costi del personale Costi relativi a stipendi e salari,oneri sociali,TFR .altri costi del personale Costi finanziari Costi relativi a interessi passivi bancari,interessi su mutui e finanziamenti, interessi a fornitori, commissioni e costi bancari Costi straordinari Costi relativi a fatti straordinari quali sopravvenienze passive (rimborsi a terzi per danni, multe non previste etc) Costi fiscali Costi relativi a tassazione d'esercizio o differita L'insieme dei costi è misurato dalle Uscite Monetarie e Aumento dei Debiti Classificazione dei Ricavi Ricavi di esercizio Ricavi relativi a vendita di merci e per prestazione di servizi Proventi Vari Ricavi relativi a fitti attivi, provvigioni attive, contributi vari incassati nell’anno di riferimento Reddito d'esercizio :il risultato economico della gestione svolta nel corso del periodo Viene calcolato come differenza fra il flusso dei valori economici positivi (Ricavi) e quelli negativi (Costi) scaturiti dalle operazioni di gestione e riferiti allo stesso periodo. Utile = Ricavi – Costi Nel calcolo del reddito di esercizio occorre tener presente quella serie di costi e ricavi che, seppur di competenza del periodo di riferimento, in effetti non hanno presentato la manifestazione finanziaria. Costi e ricavi a manifestazione finanziaria posticipata Ratei Ad esempio: consideriamo la rata di un prestito a scadenza annuale ( 1 -4 ) è evidente che la quota di interessi a carico dell'esercizio terminante il 31-12-è quella relativa al periodo 1-4- 31-12 mentre la restante va conteggiata nell'altro esercizio. Costi e ricavi a manifestazione finanziaria anticipata. In questo caso ci troviamo nel caso opposto (ad esempio un premio assicurativo) Ammortamenti

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Si riferisce alle attività immobilizzate e quindi ad investimenti che hanno una durata di più anni: con il calcolo dell'ammortamento il costo dell'immobilizzazione viene ripartito fra gli anni cui in cui il bene esplicherà la sua utilità.

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ULTERIORI CONSIDERAZIONI SUL RISULTATO DELL’ESERCIZIO: Reddito dell’Esercizio: Valore della Produzione – Costi della Produzione (± altri componenti positivi e negativi di reddito). Valore Aggiunto: Valore della Produzione – Costi dei fattori produttivi acquistati all’esterno dell’impresa. Reddito Operativo: Valore della Produzione – Costi della Produzione. Margine Operativo Lordo: Valore della Produzione – Costi dei fattori produttivi a veloce utilizzo. EQUILIBRIO ECONOMICO: Si ha quando le operazioni economiche in corso e durante la loro vita consentono di ottenere un valore della produzione in grado di: Coprire i Costi della Produzione corrispondenti ed i risultati della gestione finanziaria, patrimoniale, straordinaria e fiscale. Remunerare adeguatamente il capitale investito nell’impresa. Il reddito dell’esercizio indica il contributo positivo o negativo dell’esercizio al raggiungimento dell’equilibrio economico. REDDITO DELL’ESERCIZIO: Si collega all’aspetto economico della gestione; indica il contributo positivo (utile) o negativo (perdita) al mantenimento dell’equilibrio economico della gestione. CONFIGURAZIONI DEL REDDITO DELL’ESERCIZIO: Reddito economico aziendale: Determinato dall’imprenditore, permette una visione globale dell’impresa andando oltre il singolo esercizio. Reddito civilistico: Viene determinato sulla base del Codice Civile; vengono considerati i singoli esercizi separatamente al fine di determinare un reddito che garantisca gli azionisti di minoranza, le banche, i fornitori, i dipendenti. Reddito fiscale: Configurazione di reddito su cui vengono calcolate le imposte sul reddito; i principi ed i criteri per la determinazione del reddito fiscale vengono delineati dalla normativa fiscale. COMPONENTI DEL REDDITO DELL’ESERCIZIO: natura dei componenti Il principio base che caratterizza l’individuazione dei componenti del reddito di esercizio è il principio di competenza; pertanto i componenti del reddito dell’esercizio sono i ricavi ed i costi che competono all’esercizio. Le tipologie di componenti di reddito sono: Valore della produzione e costi dei fattori produttivi (costi per natura). I ricavi ed i costi sono analizzati secondo la natura originaria della produzione venduta e del fattore produttivo utilizzato. Fanno parte del Valore della Produzione: Ricavi di vendita dell’esercizio amministrativo. Variazione delle rimanenze (finali – iniziali) di prodotti finiti e semilavorati. Altre componenti positive di reddito. Fanno parte dei Costi dei Fattori Produttivi:

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Costi della Produzione, analizzati per natura, che competono all’esercizio. Variazione delle rimanenze (iniziali – finali) di materie prime. Altri risultati della gestione finanziaria, patrimoniale, straordinaria e fiscale. Ricavi e costi dei prodotti (costi per destinazione). Differenza tra i ricavi di prodotti e i corrispondenti costi dei prodotti venduti. Non si prende in esame il fattore di produzione (ovvero la natura del costo) ma il motivo per cui è stato utilizzato il fattore produttivo. Il Reddito dell’Esercizio si ottiene quindi contrapponendo ai ricavi dei prodotti venduti i costi per destinazione così suddivisi: Costi industriali dei prodotti venduti. Costi commerciali. Costi amministrativi. Costi di direzione. Altri risultati della gestione finanziaria, patrimoniale, straordinaria e fiscale. Non vengono prese in considerazione le variazioni delle rimanenze. ALTRE DEFINIZIONI Il Capitale: L’insieme dei fattori produttivi e finanziamenti a disposizione di un’impresa per il raggiungimento dei fini istituzionali viene definito patrimonio aziendale; quando si attribuisce un valore ai fattori produttivi ed ai finanziamenti si ottiene il capitale di azienda. Il patrimonio è un insieme di mezzi a disposizione dell’impresa. Il capitale è un valore attribuito ai mezzi in un determinato istante della gestione. Il capitale sociale è il valore della partecipazione dei soci alla società (capitale sotto il profilo giuridico). Sotto il profilo economico aziendale il Patrimonio Netto è dato dalla differenza positiva tra il valore dei fattori produttivi di cui dispone l’impresa (attività) ed il valore dei debiti dell’impresa (passività). Nel caso in cui le passività fossero maggiori delle attività di avrebbe un Deficit Netto. CONFIGURAZIONI DEL CAPITALE D’IMPRESA: Capitale di costituzione: Capitale determinato nel momento in cui viene costituita l’impresa (coincide con il capitale sociale). Almeno i 3/10 del capitale sociale deve essere versato al momento della costituzione della società. Capitale di funzionamento: Capitale determinato nell’ipotesi dell’impresa in continuo funzionamento presente e futuro. Il capitale di funzionamento pur rappresentando il capitale in un momento istantaneo della gestione riflette i risultati della gestione passata e costituisce le premesse per la gestione futura. Capitale di liquidazione: Configurazione determinata al momento dello scioglimento (liquidazione) dell’impresa. Sulla base di tale valore viene effettuato un rimborso del capitale ai soci, dopo aver liquidato le attività e dopo aver estinto i debiti. Il criterio di valutazione utilizzato è quello del valore di realizzo. Capitale di cessione (o economico): Viene determinato quando l’impresa viene ceduta in parte o totalmente a terzi. Rappresenta il valore dell’impresa come complesso economico. Il capitale di cessione non coincide necessariamente con il prezzo di cessione in quanto questo

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risente anche delle diverse motivazioni e del diverso potere contrattuale che hanno il cedente e l’acquirente.

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CAPITOLO 2

LA STRUTTURA FINANZIARIA DELL'IMPRESA, LA RICLASSIFICAZIONE DELLO STATO PATRIMONIALE, L’ ANALISI FINANZIARIA ATTRAVERSO GLI INDICATORI : RIEPILOGO DEI PRINCIPALI CONCETTI. IL CAPITALE CIRCOLANTE E I RIFLESSI

SULLA GESTIONE AZIENDALE

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2.1 PRIMI CONCETTI SU ANALISI E RICLASSIFICAZIONE DEL BILANCIO Il Bilancio rappresenta uno strumento informativo, ma per poter trarre delle informazioni significative sull’aspetto economico, patrimoniale e finanziario dell’azienda è necessario effettuare un’approfondita analisi dei dati di bilancio. Tali dati, così come inseriti nei prospetti contabili, non permettono il calcolo degli indici e dei margini di struttura e la determinazione dei flussi finanziari utilizzati nell’analisi di bilancio ai fini di una corretta interpretazione della realtà aziendale; quindi la necessità di una riclassificazione .

Gli scopi della riclassificazione sono essenzialmente tre 1) permettere la costruzione ed evidenziazione dei parametri e delle grandezze più espressive della gestione (valore aggiunto, reddito operativo, reddito netto ecc.). 2) Rendere omogenei i dati per consentire il loro confronto nel tempo e nello spazio, ossia per più esercizi successivi per la stessa azienda (dimensione temporale) e con aziende dello stesso settore o di settori diversi (dimensione parziale). L'omogeneizzazione è indispensabile per poter effettuare l'analisi comparativa di più esercizi (analisi dinamica) ai fini dell'individuazione dei trends di medio periodo. 3) separare nettamente gli elementi attinenti la gestione caratteristica dell'impresa da quelli che si riferiscono alle gestioni cosiddette accessorie o extra- caratteristiche (finanziaria, straordinaria ecc.) per migliorare la latitudine di comprensione delle problematiche gestionali centrali.

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2.2 GLI SCHEMI DI RICLASSIFICAZIONE Si possono applicare schemi alternativi di riclassificazione, in funzione degli interessi dell’analista e della disponibilità di informazioni aggiuntive rispetto a quelle presenti nel bilancio. Limitiamoci a confrontare due criteri di riclassificazione, che si differenziano soprattutto per il trattamento delle poste patrimoniali: a) Il criterio della liquidità/esigibilità elenca le attività in ordine di liquidità decrescente (partendo dalla cassa e c/c attivi fino ad arrivare alle immobilizzazioni) e le passività in ordine di esigibilità decrescente (dai c/c passivi ai debiti a lungo termine); Mette in primo piano la capacità dell’attivo aziendale di generare la liquidità necessaria per soddisfare gli impegni nei confronti dei creditori (equilibrio finanziario). Richiede una ricognizione dettagliata della natura contrattuale o tecnica delle voci patrimoniali. Trascura i nessi logici e funzionali tra voci patrimoniali e tra voci patrimoniali ed economiche. b) Il criterio funzionale o della pertinenza gestionale aggrega le voci patrimoniali (ed economiche) distinguendo quelle che riguardano il “cuore” dell’attività dall’impresa dalle voci relative ad attività strumentali, accessorie o a carattere straordinario. Mette in primo piano la produzione del risultato operativo mediante l’utilizzo di un complesso di attività d’impresa impiegate nella gestione caratteristica (distinti dalle attività accessorie). Evidenzia inoltre la struttura finanziaria (apporto relativo di creditori e proprietari al finanziamento delle attività d’impresa) e la conseguente ripartizione del risultato operativo tra creditori, proprietari e fisco. Richiede informazioni extracontabili (interne). E’ il criterio appropriato per analizzare la redditività e il rischio delle imprese.

Riclassificazione dello Stato patrimoniale Se si analizza lo Stato Patrimoniale (SP) sotto il profilo CIVILISTICO le informazioni che si ottengono non sono sufficienti a darci una visione completa dal punti di vista finanziario.; Per rappresentare efficacemente il capitale ai fini dell’analisi, lo SP deve mettere in evidenza due aspetti: -provenienza mezzi (FONTI); -destinazione mezzi (IMPIEGHI Infatti l’attivo viene esposto in un ordine di liquidità crescente (prima le immobilizzazioni poi le disponibilità liquide), mentre le passività vanno elencate secondo un ordine di esigibilità crescente (prima il patrimonio netto poi il debiti oltre 12 mesi poi i debiti entro 12 mesi).

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.

IMPIEGHI

FONTI

ATTIVO IMMOBILIZZATO

ATTIVO CIRCOLANTE

CAPITALE PROPRIO

PASSIVITA’ CONSOLIDATE

PASSIVITA’ CORRENTI

L’analisi dello Stato patrimoniale con Il criterio della liquidità/esigibilità Per ottenere maggiori informazioni occorre effettuare inserire la variabile tempo e riclassificare per aree omogenee secondo il criterio di liquidità/esigibilità Aree di valori omogenee: -ampiezza tempo di estinzione (FONTI); -ampiezza tempo di ritorno (IMPIEGHI Tale metodo viene utilizzato per verificare se esiste una corrispondenza tra le scadenze temporali (durate medie) degli investimenti e dei finanziamenti; e consente di valutare: – L’equilibrio finanziario di breve periodo = esborsi adeguati rispetto alla

liquidità generabile dagli attivi patrimoniali; – Solidità patrimoniale = dotazione del patrimonio netto adeguata alle

caratteristiche degli attivi Gli elementi attivi del capitale andranno classificati secondo un criterio di liquidità decrescente mentre quelli passivi andranno classificati secondo un criterio di esigibilità decrescente

Poiché il criterio della liquidità si riferisce al grado di trasformabilità in denaro rispetto al tempo • Gli impieghi vengono classificati secondo l’attitudine a trasformarsi in mezzi monetari all’interno del ciclo operativo • Si assume una durata convenzionale del ciclo operativo: il periodo amministrativo è l’arco temporale entro il quale il ciclo di realizzo di un investimento viene definito a breve termine Attivo Corrente Rientro entro 12 mesi Liquidità Immediate: Disponibilità liquide e attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazione (Cassa, banca). Liquidità Differite: Poste dell’attivo che si renderanno liquide entro 12 mesi (crediti a breve termine). Disponibilità (o scorte di magazzino): Rimanenze di materie prime, prodotti in corso di lavorazione, prodotti finiti, lavori in corso su ordinazione ed acconti. Attivo Immobilizzato Rientro OLTRE l’anno

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Immobilizzazioni immateriali al netto dei fondi ammortamento. Immobilizzazioni materiali al netto dei fondi. Immobilizzazioni finanziarie.

Mentre per il criterio della esigibilità le fonti vengono classificate in relazione alla loro scadenza temporale Per omogeneità con la classificazione degli impieghi, viene individuato nell’anno il periodo temporale di riferimento convenzionalmente adottato per inserire una fonte finanziaria nelle differenti classi Passivo Corrente Pagati entro l’anno Fonti di finanziamento che devono essere rimborsate entro 12 mesi. Passivo Consolidato Scadenza oltre l’anno Fonti di finanziamento che devono essere rimborsate oltre 12 mesi. Capitale Proprio Senza scadenza predefinita Fonte di finanziamento investita in modo permanente nell’impresa dai soci/azionisti. Pertanto l’Attivo rappresenta gli investimenti attuati nella passata stagione dall’impresa (impieghi di capitale).Il Passivo rappresenta i finanziamenti ricevuti dall’impresa nello stesso periodo (fonti del capitale). Il totale dell’attivo rappresenta in termini finanziari il Capitale Investito o l’Impiego di Capitale mentre il totale del Passivo rappresenta in termini finanziari il Capitale acquisito o le Fonti di Finanziamento di Capitale Se dall’Attivo si sottraggono le Liquidità Immediate si ottiene il fabbisogno di capitale; il passivo rappresenta la copertura di tale fabbisogno. Gli impieghi al netto delle liquidità immediate rappresentano i futuri smobilizzi dell’impresa (futura diminuzione del fabbisogno di capitale). Le fonti rappresentano i futuri rimborsi e pertanto misurano la futura diminuzione della copertura del capitale. Di seguito viene riportato lo schema classico. :

IMPIEGHI di capitale FONTI di capitale

Liquidità immediata: Cassa-banche Crediti Magazzino

ATTIVO CIRCOLANTE Immobilizzazioni materiali e immateriali Immobilizzazioni finanziarie

ATTIVO IMMOBILIZZATO

Debiti a breve PASSIVITA’ CORRENTI Mutui Tfr PASSIVITA’ CONSOLIDATE Capitale e riserve Utile in corso

CAPITALE PROPRIO

Capitale investito Capitale raccolto

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Si riporta un esempio di Stato Patrimoniale riclassificato sintetico.

STATO PATRIMONIALE RICLASSIFICATO SINTETICO

Liquidità 448.198 Debiti verso fornitori 950.184

Crediti verso clienti 1.929.519 Debiti tributari 101.218

Rimanenze 910.068 Altri debiti a breve 343.035

Altri crediti a breve 87.926 Debiti verso banche 438.202

ATTIVITA’ CORRENTI 3.375.711 PASSIVITA’ CORRENTI 1.832.639

Immobilizzazioni tecniche 3.286.822 Debiti v/ banche a medio e lungo term. 50.000

Immobilizzazioni finanziarie 30.620 Trattamento fine rapp. dipendenti 238.590

Immobilizzazioni immateriali 4.627 Altri debiti a medio termine 935.614

- Fondi di ammortamento -1.818.341

ATTIVITA’ FISSE NETTE 1.503.728 PASSIVITA’ CONSOLIDATE 1.224.204

Patrimonio netto 1.822.596

CAPITALE INVESTITO 4.879.439 TOTALE FONTI 4.879.439

STATO PATRIMONIALE RICLASSIFICATO ULTRASINTETICO

CAPITALE CIRCOLANTE 3.375.711 CAPITALE DI TERZI 3.056.843

ATTIVITA’ IMMOBILIZZATE 1.503.728 CAPITALE PROPRIO 1.822.596

CAPITALE INVESTITO 4.879.439 TOTALE FONTI 4.879.439

c) Il criterio funzionale

Il criterio funzionale prende in esame le varie area della gestione aziendale quali

Gestione operativa (la più importante);

Gestione finanziaria;

Gestioni accessorie;

Gestione fiscale. La riclassificazione con tale criterio è quella che entra nel cuore della dell’attività dell’impresa (il suo business caratteristico), comprende i processi di approvvigionamento di fattori produttivi (materie prime, componenti, lavoro, servizi), di trasformazione e di vendita di beni/servizi. Richiede pertanto una serie di dati,informazioni aggiuntive che rendono tale analisi più complessa, per cui sarà analizzata in un secondo momento.

La riclassificazione del Conto economico

Per rappresentare efficacemente il REDDITO ai fini dell’analisi, il Conto economico deve mettere in evidenza due aspetti: i valori relativi alla produzione di periodo;

Produzione ottenuta Produzione venduta

i risultati economici intermedi

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• Problema di struttura • Problema di forma • Problema di contenuto

Da considerare che Il Conto economico ex 2425 CC civilistico si fonda su: 1) Evidenziazione del valore della produzione - ricavi - variazione scorte prodotti finiti e prodotti in corso di lavorazione - costruzioni interne 2) Costi per natura (tipologia dei fattori di produzione) 3) Forma scalare Mentre per le esigenze ai fini dell’analisi sono necessarie le seguenti informazioni : la struttura a costi e ricavi per determinare i costi e ricavi della produzione

ottenuta e venduta la forma scalare per determinare i risultati economici intermedi la distinzione dei costi in base ai per distinguere i costi in base alle operazioni fattori produttivi

La forma scalare del Conto Economico ha il grande vantaggio di fornire alcuni risultati intermedi, molto interessanti per comprendere l’andamento dell’impresa. In particolare la complessa gestione è divisa in tre aree:

a) Gestione caratteristica (relativa all’attività tipica dell’azienda) b) Gestione finanziaria (relativa agli interessi sui capitali dati e presi in prestito) c) Gestione straordinaria (relativa alle operazioni una tantum, non rientranti nella normale

attività imprenditoriale, come per esempio l’alienazione di cespiti)

I risultati intermedi riferiti a questi tre grandi settori danno informazioni importanti perché permettono di scomporre il risultato finale (utile o perdita) nelle sue componenti principali e individuare quindi l’area sulla quale eventualmente intervenire. Inoltre, nella gestione caratteristica, è evidenziato un altro interessante risultato intermedio, che è il margine lordo, con il quale si quantifica il dato grezzo del ricarico sulle vendite, ottenuto dalla differenza tra fatturato e costo del venduto (costo del venduto = esistenze iniziali + acquisti – rimanenze finali).

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Di seguito si riporta uno schema riassuntivo

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2.3 l’ANALISI DI BILANCIO PER INDICI : CONCETTI 2.3.1 Le grandezze finanziarie dello stato patrimoniale L’analisi di bilancio per indici ha la scopo di rappresentare,dai dati desunti dal bilancio e opportunamente riclassificati, la situazione economica, patrimoniale e finanziaria di un’azienda, al termine di un determinato periodo amministrativo, cui il bilancio si riferisce. Si tratta perciò di un’analisi svolta a consuntivo, in quanto i dati utilizzati sono di tipo storico, ma possiede una validità prospettica perché ha anche come obiettivo quello di effettuare previsioni per il futuro. Per rendere più significativo questo tipo di analisi e per poter trarre delle informazioni più attendibili è necessario effettuare comparazioni del bilancio della stessa azienda nel tempo oppure comparazioni nello spazio , per confrontare i bilanci di più aziende operanti nello stesso settore. L’analisi per indici si concretizza in confronti tra voci e gruppi di voci sia di Stato Patrimoniale sia di Conto Economico di uno stesso bilancio, che danno origine a rapporti ( indici o ratios ) o a margini strutturali (calcolati in forma differenziale ). Un esempio del percorso di analisi viene sotto riportato:

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.

Attraverso l’analisi delle voci rappresentata dalla Situazione Patrimoniale riclassificata cerchiamo ora di capire in primo luogo : La struttura finanziaria dell’azienda.

Prendiamo ad esempio una situazione Patrimoniale riclassificata

Situazione patrimoniale al 31.12.2006

Attivo = IMPIEGHI di capitale Passivo = FONTI di capitale

Magazzino SCORTE (S) ATTIVO CIRCOLANTE (AC)

Debiti v/fornitori(D) Altri Debiti a breve

PASSIVO CORRENTE

(PB) 100 100

Crediti v/clienti (C) Altri crediti

LIQUIDITA’ DIFFERITA

(Ld)

400 400 150 150

Depositi e cassa LIQUIDITA’ IMMEDIATA

(Li)

Mutui passivi TFR Altri Debiti a medio e lungo termine

PASSIVO CONSOLIDATO (PL

50 50 550 450 450

Immobilizzazioni

materiali immateriali finanziarie

ATTIVO FISSO (AF) Cap. Sociale (CS) Riserve Utile d’esercizio (R) (Perdita d’esercizio)

PATRIMONIO NETTO (PN)*

300 300 250 250

TOTALE ATTIVITA’ (A) Capitale Investito (CI)

TOTALE PASSIVITA’ (P) Capitale raccolto (CR)

850 850

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L’analisi finanziaria attraverso l’esame dei principali indicatori specifici ha l’obiettivo di verificare l’esistenza di una condizione di equilibrio finanziario tra fonti e impieghi e l’attitudine dell’azienda a fronteggiare prontamente i fabbisogni monetari determinati dalla gestione.

Va precisato come nota che per margine si intende la differenza fra due valori, mentre per indice (o quoziente o ratios ) il rapporto tra due valori.

Gli indici, di qualsiasi natura essi siano, esprimono un dato che è fondamentale per interpretare l’andamento dell’impresa, ma che è comunque riferito ad un certo momento. Per avere maggiore attendibilità dagli indici calcolati sui Bilanci riclassificati è opportuno rilevarli, quando possibile, almeno su tre anni consecutivi (cioè sugli ultimi tre Bilanci), in modo d’osservare non la fotografia dell’impresa in un certo istante, bensì il suo andamento nel tempo e verificare di conseguenza il trend (ascendente o discendente) della grandezza che si sta misurando utilizzando quel particolare indice.

2.3.2 ANALISI E INDICI FINANZIARI

1. Un importante concetto è quello del Margine di tesoreria, che è dato dalla differenza: liquidità immediata e differita – passivo corrente, cioè in formula (Li + Ld) – PB .Dal margine di tesoreria si percepisce la probabile situazione di liquidità aziendale, perciò un segno negativo del margine sta a significare che l’impresa non sarebbe in grado, con la sua liquidità di prima e seconda linea, di far fronte agli impegni assunti a breve termine, se questi ultimi scadessero tutti insieme. Trasformando il margine, che è in valore assoluto, in un rapporto, ossia in un valore relativo, avremo:

Indice di tesoreria = (Li + Ld)/PB = (liquidità immediata + liquidità differita)/passivo corrente

Che ci dice quanta parte di 1 euro di impegni a breve l’azienda è in grado di onorare con le proprie disponibilità a breve .

2. Analogamente, dal concetto di Margine di disponibilità (anche detto capitale circolante netto), che è dato dagli stessi termini del margine di tesoreria più le scorte (liquidità immediata e differita + scorte – passivo corrente, cioè in formula (Li + Ld + S) – PB), si ricava un valore della liquidità (o illiquidità) dell’impresa che tiene conto della possibilità di realizzo del magazzino (ovvero della possibile vendita a breve della merce immagazzinata), qualora ciò si rendesse necessario per adempiere gli impegni di prossima scadenza. Anche qui è possibile passare dal margine ad un ratios che ci è più familiare.

Indice di disponibilità = AC/PB = attivo circolante/passivo corrente

Ossia quanta parte di 1 euro di debiti a scadenza ravvicinata siamo in grado di pagare con la liquidità immediata e differita e con la vendita (sempre a breve chiaramente) delle scorte.

3. Per concludere, il Margine di liquidità immediata, dà un’idea della situazione di liquidità aziendale prendendo in considerazione esclusivamente la liquidità monetaria (C/C bancario o postale e denaro in cassa) e i debiti correnti. La formula è Li – PB .

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indice di liquidità immediata = Li/PB = liquidità immediata/passivo corrente

E’ l’indice della liquidità monetaria dell’impresa, perché mostra quanta parte di 1 euro di debiti a breve possiamo saldare con le attività detenute in moneta.

Non possono essere considerati indici finanziari quelli di rotazione dei crediti e debiti fornitori, ma vanno ad incidere sulla liquidità aziendale in quanto, come si vedrà in seguito, l’analisi delle variazioni ci indicherà il maggior o minor fabbisogno monetario dell’impresa.

Indice di durata dei crediti Crediti/clienti-- x 365

Totale crediti/clienti ( sorti nell’anno)

Esprime la dilazione media accordata alla clientela in giorni

Indice di durata dei debiti debiti fornitori x 365

Totale debiti fornitori ( sorti nell’anno)

. esprime la dilazione media riconosciuta dai fornitori in giorni

2.3.3 ANALISI E INDICI PATRIMONIALI

L’obiettivo è quello di verificare il grado di rigidità o flessibilità del capitale impiegato e la composizione dei finanziamenti ottenuti. Gli indici più significativi vengono riportati nella seguente tabella

Negli indici patrimoniali compaiono, sia al numeratore, sia al denominatore, valori tratti dal prospetto patrimoniale.

Occupiamoci prima delle fonti, ovvero della parte in cui sono evidenziate le passività dello Stato Patrimoniale riclassificato.

1. Il primo indice che andiamo a descrivere è necessariamente quello che ci dà una misura della dipendenza da terzi finanziatori.

Grado di autonomia finanziaria = PN/P = patrimonio netto/totale passività

Questa grandezza indica quanta parte di 1 euro di finanziamenti proviene da mezzi propri (dei soci o dell’imprenditore) dell’azienda. Quindi, più è alto e più l’impresa si affida all’autofinanziamento per reperire i fondi da investire negli impieghi elencati tra le attività. Viceversa, più è basso e più l’impresa fa ricorso a fonti esterne per finanziare gli investimenti.

2. Una volta appurato il grado di autonomia finanziaria o, se vogliamo, simmetricamente, quale complemento a 1 dell’indice di cui sopra, il grado di dipendenza finanziaria, può essere interessante rispondere alla seguente domanda: “quanta parte dei finanziamenti esterni deriva dall’indebitamento a breve?”

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Grado di indebitamento corrente = PB/P = passivo corrente/totale passività

Che fornisce il peso dell’indebitamento a breve rispetto al totale delle fonti finanziarie. Vedremo, parlando degli indici finanziari, quanto può essere pericoloso un elevato indebitamento corrente, soprattutto per il fatto che esso va spesso a finanziare investimenti a lungo termine.

3. Passando all’analisi del lato degli impieghi della Situazione Patrimoniale, vediamo l’indice che esprime il loro grado di elasticità.

Grado di elasticità degli impieghi = AC/A = attivo circolante/totale attività

Questo indice evidenzia il peso degli impieghi a breve rispetto al totale degli investimenti e quindi ci dice quanto è elastica la struttura attiva del patrimonio ovvero come reagisce il totale degli impieghi di capitale ad una variazione della sua composizione.

2.3.4 ANALISI E INDICI ECONOMICI

Di seguito si riporta un esempio di riclassificazione del conto economico a costo del venduto. La forma scalare del Conto Economico ha il grande vantaggio di fornire alcuni risultati intermedi, molto interessanti per comprendere l’andamento dell’impresa. In particolare la complessa gestione è divisa in tre aree:

1. Gestione caratteristica (relativa all’attività tipica dell’azienda) 2. Gestione finanziaria (relativa agli interessi sui capitali dati e presi in prestito) 3. Gestione straordinaria (relativa alle operazioni una tantum, non rientranti nella normale

attività imprenditoriale, come per esempio l’alienazione di cespiti)

I risultati intermedi riferiti a questi tre grandi settori danno informazioni importantissime, perché permettono di scomporre il risultato finale (utile o perdita) nelle sue componenti principali e individuare quindi l’area sulla quale eventualmente intervenire. Inoltre, nella gestione caratteristica, è evidenziato un altro interessante risultato intermedio, che è il margine lordo, con il quale si quantifica il dato grezzo del ricarico sulle vendite, ottenuto dalla differenza tra fatturato e costo del venduto (costo del venduto = esistenze iniziali + acquisti – rimanenze finali).

Gli indici economici misurano la redditività dell’azienda, intesa come capacità di realizzare in futuro reddito positivo (utile) e la capacità dell’azienda di realizzare una soddisfacente remunerazione del capitale investito. Sono economici quegli indici che hanno, almeno al numeratore o al denominatore, un valore economico (cioè una voce desunta dal Conto Economico).

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Ricavi delle Vendite (V) 1100 AREA DELLA GESTIONE CARATTERISTICA

- COSTO DEL VENDUTO (CV) Esistenze iniziali 120

- 520

+ Acquisti (Ac)500

- Rimanenze finali (S)100

MARGINE LORDO (ML)580

- Costi commerciali - 20

- Costi amministrativi - 40

- Costi industriali - 15

- Costi del Personale - 70

- Accantonamento TFR - 15

- Ammortamenti (Am) - 10

- Altri costi - 5

RISULTATO OPERATIVO (RO)405

Proventi finanziari (PF) 100 AREA DELLA GESTIONE FINANZIARIA

- Oneri finanziari (OF) 350

SALDO DELLA GESTIONE FINANZIARIA (GF)- 250

Proventi straordinari (PS) 25 AREA DELLA GESTIONE STRAORDINARIA

- Oneri straordinari (OS) 0

SALDO DELLA GESTIONE STRAORDINARIA (GS)25

RISULTATO PRIMA DELLE IMPOSTE (RO +/- GF +/- GS)

180

- Imposte sul reddito (I)95

RISULTATO NETTO D’ESERCIZIO (R)

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I principali indici da prendere in esame sono i seguenti

1. Il ROE esprime la redditività del capitale di rischio.

ROE = R/PN = risultato netto d’esercizio/patrimonio netto

Il ROE indica il rendimento del capitale investito dai soci o dall’imprenditore. In altre parole, è la sintesi dell’interesse maturato, per effetto della gestione, sui mezzi propri investiti in azienda. Perciò il risultato del ROE si ritiene accettabile quando si verifica la relazione: ROE > TASSO REMUNERAZIONE DI INVESTIMENTI ALTERNATIVI A BASSO RISCHIO (titoli di stato)

2. Molto più interessante per capire l’andamento dell’impresa è il ROI, cioè la redditività di tutto il capitale investito.

ROI = RO/A = risultato operativo/totale attività

Il ROI ci dice la redditività della gestione caratteristica (che è il cuore di qualsiasi impresa) riferita alla dimensione aziendale (rappresentata da tutto il capitale investito, anche quindi dal capitale di terzi preso a prestito). Per la sua importanza, il ROI è giustamente considerato il “termometro” della capacità reddituale aziendale. più elevato è il risultato di questo indice, maggiore è la capacità reddituale dell’azienda. La validità di tale indice si misura anche dal confronto con il ROD, cioè l’indice che misura la capacità dell’impresa di remunerare il capitale di terzi. Inevitabilmente, se l’azienda vuole effettuare nuovi investimenti finanziati con capitale di terzi,

dovrà verificarsi la relazione:ROI > ROD Ove il ROD è calcolato come

Oneri finanziari totali x 100

Capitale di credito o terzi

3. Fra il ROE ed il ROI esiste un’interessante relazione, chiamata leverage o leva finanziaria.

ROE = ROI + (ROI – costo del capitale di credito) x (capitale di credito/patrimonio netto)

dove:costo del capitale di credito = oneri finanziari/capitale di credito

La suddetta formula si legge così: la differenza fra il ROI ed il costo del capitale di credito subisce un effetto moltiplicatore in ragione del rapporto (di leva finanziaria) tra capitale di credito e capitale proprio. Per cui se il ROI è maggiore del costo del capitale di credito, il valore positivo, ampliato dal moltiplicatore, si aggiunge al ROI e determina un ROE numericamente più grande del ROI. Se, invece, il costo del capitale di credito supera il ROI, avremo un valore negativo che, una volta ampliato dal moltiplicatore, si sottrae dal ROI e definisce quindi un ROE più basso del ROI. E’ inoltre opportuno notare come, nell’auspicabile caso di valore positivo della differenza ROI – costo del capitale di credito, l’effetto moltiplicatore premia chi ha osato di più, cioè le imprese che hanno un rapporto tra mezzi di

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terzi (finanziamenti ricevuti) e mezzi propri (patrimonio netto) nettamente sbilanciato a favore dell’indebitamento verso l’esterno. Viceversa, nel malaugurato caso di un gap negativo tra ROI e costo del capitale di credito, l’effetto moltiplicatore attenua il danno alle imprese che si sono comportate più prudentemente, cioè che hanno limitato l’acquisizione di finanziamenti da terzi per utilizzare maggiormente i capitali di provenienza interna.

3.3.5 Il Margine di struttura e la posizione finanziaria netta

Dopo aver esaminato i principali indici utilizzabili per un’analisi del bilancio aziendale occorre focalizzare meglio alcuni concetti in merito alla struttura finanziaria.

Il prospetto classico dello stato patrimoniale a sezioni contrapposte verrà quindi ricondotto a tre macroaggregati: margine di struttura, capitale circolante netto, posizione finanziaria netta.

ATTIVO CIRCOLANTE PASSIVITA' CORRENTI

Liquidità immediata Debiti vs banche

liquidità differita debiti vs fornitori

magazzino Debiti vs altri

DEBITI CONSOLIDATI

IMMOBILIZZAZIONI Mutui

immobilizzazioni fisse Tfr

altre immobilizzazioni PATRIMONIO NETTO

Capitale sociale

Riserve + utili in corso

Impieghi Fonti

Queste grandezze sono legate da una semplice relazione matematica:

Margine di struttura--Capitale circolante netto = Posizione finanziaria netta

Lo Stato patrimoniale accoglie nella sezione «attivo» gli investimenti, cioè gli impieghi di capitale; nella sezione «passivo» le fonti di capitale, ovvero le modalità secondo le quali sono state reperite le risorse finanziarie investite: Attivo = impieghi di capitale; Passivo =fonti di capitale

Prima di affrontare il criterio di riclassificazione che presiede allo schema che presentiamo occorre riprendere alcuni fondamentali concetti:

posta finanziaria a breve e a medio/lungo termine, gestione operativa e gestione finanziaria. Un'attività (passività) finanziaria rappresenta una promessa di futura entrata (uscita) di cassa: la posta è a breve se il periodo che passa tra la nascita contabile e la realizzazione in cassa è inferiore all'anno, altrimenti è a medio/lungo termine. Ai fini dell'analisi finanziaria, le poste sono altresì scomponibili, in termini di appartenenza, in poste della gestione operativa e poste della gestione finanziaria.

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Le prime si riferiscono alle modalità di impiego delle risorse finanziarie nell'attività caratteristica dell'azienda (esclusa la cassa), le seconde riguardano i metodi di approvvigiona- mento delle risorse investite. Il margine di struttura accoglie le voci di fonte ed impiego a medio/lungo termine legate sia alla gestione finanziaria sia alla gestione operativa; il capitale circolante netto accoglie le voci di fonte e impiego a breve termine legate alla gestione operativa. La posizione finanziaria netta è costituita dalle voci di fonte e impiego a breve termine legate alla gestione finanziaria.

a. IL MARGINE DI STRUTTURA

Il margine di struttura è la differenza tra i finanziamenti duraturi e gli investimenti in immobilizzazioni operative nette; può essere definito in due modi equivalenti:

margine di struttura = = patrimonio netto + debiti strutturali a medio lungo termine + fondo TFR - immobilizzazioni operative nette =

Le voci che normalmente formano il margine di struttura: + patrimonio netto contabile + finanziamenti a medio/lungo termine1 (prestiti obbligazionari, mutui) + finanziamento soci restituibile + altre fonti a medio/lungo termine - immobilizzazioni tecniche al netto dei fondi di ammortamento - immobilizzazioni immateriali al netto dei fondi di ammortamento - immobilizzazioni finanziarie al netto degli eventuali fondi oscillazione valori o fondi rischi = margine di struttura.

Se positivo il margine di struttura indica un surplus di risorse stabili rispetto agli investimenti a più lento recupero. Tale surplus, indice di solidità della struttura finanziaria, è idealmente impiegato nel finanziamento del capitale circolante o in riserve di attività liquide (di tesoreria o strategiche).

Un margine di struttura negativo indica una struttura finanziaria non equilibrata poiché una parte degli investimenti immobilizzati è finanziata con debiti a breve (strutturali o di tesoreria).

Le immobilizzazioni finanziarie devono essere attentamente analizzate. Ai fini dell'analisi, infatti, devono essere considerate tali solo le partecipazioni, e i relativi finanziamenti a società collegate, controllate e controllanti, che non possono essere facilmente alienabili in quanto strategiche oppure che sono prive di un mercato finanziario con adeguate caratteristiche di liquidità e spessore. Per esempio: un determinato quantitativo di titoli di Stato 2 non costituisce immobilizzazione finanziaria, mentre lo è una partecipazione in una società che svolge attività complementari al «core business» della società che detiene la partecipazione.

1 Escluso il fondo trattamento fine rapporto che, ai fini del metodo di analisi che seguiamo, costituisce una posta

negativa dei capitale circolante netto.

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Ai fini della riclassificazione è vitale stabilire quali forme di attività e di passività, in genere individuate da voci quali «crediti diversi», «cauzioni», «debiti diversi», sono da considerare a breve o a medio/lungo termine. Nella pratica, infatti, è piuttosto frequente trovare poste che a un esame superficiale appaiono a breve, ma non lo sono; a questo riguardo è sempre molto utile ricorrere a tutte le fonti informative extra-bilancio disponibili, in primo luogo alla relazione degli amministratori o nota integrativa, dove talvolta si possono trarre utili indicazioni ai fini dell'analisi qui considerata.

b. Il capitale circolante netto Ai fini dell'analisi finanziaria, gli investimenti aziendali sono classificabili in: capitale fisso e capitale circolante. Il capitale circolante netto 3 (CCN) è la differenza tra attivo e passivo operativo a breve e rappresenta l'investimento legato alla gestione corrente: CCN = investimento nella gestione corrente. Le componenti fondamentali di questo aggregato sono il magazzino, i crediti verso clienti e i debiti di fornitura. Crediti e magazzino so-no investimenti: i primi rappresentano lo spostamento nel tempo di un'entrata di cassa, il secondo l'anticipo di un'uscita. I debiti di fornitura, invece, sono finanziamenti, infatti sono uscite di cassa posticipate. Tuttavia queste voci sono così intimamente connesse che non ha senso considerarle separatamente: si pensi per esempio a come sono influenzate dalla politica commerciale, dal tipo di processo produttivo e dagli usi del settore. La caratteristica fondamentale del CCN è il suo legame con le vendite. Si tratta infatti di un investimento, o di un finanziamento, che cresce o decresce in proporzione al fatturato. Un parametro importante a questo riguardo è il rapporto CCN/Vendite, che rappresenta l'intensità di capitale circolante tipica dell'azienda in esame e dovuta al tipo di settore e alla strategia adottata. Intensità di capitale circolante positiva significa che al crescere delle vendite aumenta l'investimento in circolante, mentre intensità negativa indica che all’aumentare del giro d'affari decresce il capitale circolante, ovvero aumenta il finanziamento. CCNI/fatturato>O: tipologia «Cash-absorber». CCNI/fatturato<O: tipologia «Cash-generator». La tipologia di gestione cash- generator, merita un approfondimento.

2 E’ importante indagare, attraverso la lettura della relazione sulla gestione o della nota integrativa, se tali titoli sono

liberi da vincoli di garanzia: nel qual caso non sono da considerarsi immobilizzazioni finanziarie.

3 Working net capital nella terminologia anglosassone.

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Le aziende cash- generator hanno, per il tipo di posizione competitiva 4, un ciclo finanziario caratterizzato da tempi di incasso e di magazzino inferiori alle dilazioni che ottengono dai fornitori: perciò hanno gestioni caratterizzate da uscite di cassa (pagamenti) posticipate rispetto alle entrate (incassi). In questi casi il capitale circolante netto è negativo (passivo operativo>attivo operativo) e all'aumentare della cifra d'affari cresce anche il volume di risorse finanziarie che vengono generate. Al contrario, quando la cifra d'affari si riduce, il volume di risorse finanziarie viene riassorbito. Il CCN può essere visto come una spugna che assorbe risorse quando si dilata e che libera risorse quando viene «strizzata». Una lista delle voci che costituiscono il CCN è la seguente:

+ magazzino

+ crediti verso clienti

+ effetti attivi

+ crediti vs erario

+ crediti diversi

+ ratei e risconti attivi

- debiti verso fornitosi

- effetti passivi

- fondo imposte

- fondo trattamento fine rapporto 5

- fondo svalutazione crediti

- fondo svalutazione magazzino

- debiti diversi

- ratei e risconti passivi

= capitale circolante netto.

c. La posizione finanziaria netta

La posizione finanziaria netta (PFN) è la somma algebrica delle attività finanziarie a breve (segno positivo) e delle passività finanziarie a breve (segno negativo):

PFN = attivo finanziario a breve - passivo finanziario a breve. La posizione finanziaria netta rappresenta la posizione dell'azienda nei confronti della gestione di tesoreria e del sistema bancario per quanto riguarda i finanziamenti a breve. Indica come sì è ricorsi al finanziamento a breve, data una certa struttura di investimenti e

4 Classico esempio è la grande distribuzione o il dettaglio in genere. 5 Ai fini dei metodo di analisi finanziaria proposto, il fondo trattamento fine rapporto viene considerato una passività operativa in quanto è la contropartita debitoria di una voce accessoria dei costo dei lavoro: voce di costo, per definizione, operativa.

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finanziamenti a medio/lungo termine, rappresentata dal Margine di struttura, e un determinato fabbisogno di capitale circolante. In altri termini, è il prodotto della politica finanziaria seguita. Infatti: PFN = margine di struttura - Capitale circolante netto. Le voci tipiche che concorrono alla formazione dell'aggregato sono le seguenti: + banche attive + cassa + titoli non vincolati facilmente monetizzabili + altri valori - banche passive - banche C/anticipazioni - società di factoring C/anticipazioni - quota a breve di finanziamenti a medio/lungo termine - altri finanziamenti a breve = posizione finanziaria netta. L'indicatore è scomponibile nella posizione di tesorerie (PT), pari a banche attive più cassa meno banche passive, e nella posizione finanziaria a breve, costituita dalle voci residue: Posizione finanziaria netta = posizione di tesoreria + posizione finanziaria a breve. La posizione finanziaria netta ha un valore segnaletico più elevato rispetto alla posizione di tesoreria nel rappresentare la fotografia della cassa a breve, dal momento che, comprendendo le fonti finanziarie attivate, non fornisce in alcun caso un quadro parziale della situazione. A questo scopo occorre ricordare che, per condurre un'analisi finanziaria corretta, non ci si deve affidare alla lettura di un solo indicatore, che offre sempre un'immagine parziale, ma bisogna ricorrere ad un quadro che contempli il maggior numero di aspetti aziendali. La posizione di tesoreria è un elemento determinante ai fini dell'analisi finanziaria: l'esame della variazione nel tempo di questa grandezza costituisce il fulcro dell'analisi dei flussi di cassa.

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Solitamente questo tipo di immobilizzazioni viene ammortizzato con procedimento diretto, e quindi la posta in attivo di Stato patrimoniale indica direttamente il valore netto.

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CAPITOLO 3

Il mercato monetario e finanziario: gli intermediari finanziari. Esame dei principali prodotti finanziari

presenti sul mercato destinati alle imprese e ai privati

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3.1 Definizioni

Un mercato finanziario è un luogo ideale nel quale sono scambiati strumenti finanziari di varia natura a medio o lungo termine. Un mercato finanziario consente il trasferimento del risparmio dai soggetti che lo accumulano (soprattutto le famiglie) ai soggetti che lo richiedono (imprese e stato). Questi ultimi sono definiti "soggetti in disavanzo finanziario" ed emettono strumenti finanziari (depositi bancari, azioni, Buoni Ordinari del Tesoro ecc.) che cedono ai soggetti in avanzo finanziario in cambio di moneta. Lo scambio tra strumenti finanziari e moneta consente la redistribuzione dei rischi economici, perché vengono assunti in parte dagli acquirenti degli strumenti finanziari. È possibile per questi ultimi cedere tali strumenti ad altri soggetti economici, scambiandoli nei mercati appositi. a. Tipi di mercato Esistono quindi mercati azionari, obbligazionari, dei derivati, delle opzioni, dei warrant, ecc. ognuno con proprie regole e proprie caratteristiche. Con riferimento alla natura degli strumenti finanziari si distingue solitamente tra mercato creditizio, mercato mobiliare e mercato assicurativo. Con riferimento alla durata degli stessi si distingue tra mercato monetario e mercato dei capitali. Infine, con riferimento al momento di emissione degli strumenti finanziari, si distingue tra mercato primario e mercato secondario. Altre distinzioni possono essere fatte fra mercati cash e mercati derivati, fra mercato ad asta e market maker, fra mercato fisico e mercato telematico, fra mercato pubblico e mercato privato, fra mercato regolamentato e mercato over the counter. b. Caratteristiche del mercato Un mercato è caratterizzato da: Regole sulle modalità di ammissione degli strumenti finanziari e degli operatori, sullo svolgimento degli scambi; Supervisione: spesso è attribuita alla società che organizza il mercato, che collabora con l'autorità di controllo (in Italia è la Consob). La prima è più attrezzata per il controllo e fa segnalazioni alla seconda. Microstruttura: regole di dettaglio dell'operatività. c. Operatori che partecipano al mercato Un mercato è il punto di incontro di tre attori diversi: Investitori, che acquistano e vendono strumenti finanziari emittenti Intermediari finanziari, che facilitano gli scambi. d. Funzioni del mercato I mercati hanno fondamentalmente 5 funzioni: Finanziamento, cioè permettere agli emittenti di cercare denaro sul mercato Pricing dei titoli: offrire in via continuativa un prezzo ai titoli

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Liquidità dei titoli: offrire la possibilità di uscire dall'investimento Riduzione dei costi di transazione: la competizione spinge i mercati ad essere più efficienti e quindi a diminuire il prezzo della transazione Trasferimento del controllo delle spa, che avviene tipicamente con un'Offerta Pubblica di Acquisto. e. Efficienza del mercato Si distinguono tre forme di efficienza: Tecnica: capacità di avere bassi costi di transazione Funzionale: capacità di far incontrare domanda e offerta. Informativa: capacità di riflettere sui prezzi tutte le informazioni disponibili. Se tutti avessero le stesse informazioni, modalità di interpretazione e propensione al rischio si arriverebbe a un punto deterministico, ma non è così. Un mercato efficiente deve quindi assicurare che nessuno abbia informazioni privilegiate, per questo esistono norme che colpiscono gli insider trading e i market abuse. In base all'efficienza informativa, è possibile distinguere fra Mercati con efficienza debole (in cui i prezzi riflettono solo informazioni storiche), Mercati con efficienza semiforte (in cui i prezzi riflettono tutte le informazioni pubbliche, anche prospettiche) Mercati con efficienza forte (in cui i prezzi riflettono tutte le informazioni, anche quelle private). In sintesi nella definizione di sistema finanziario comprendiamo l’insieme organizzato di mercati, intermediari e strumenti finanziari. Il mercato finanziario, a sua volta, è l’insieme degli scambi finanziari che si realizzano mediante la negoziazione degli strumenti e con l’intervento più o meno rilevante di operatori specializzati definiti Intermediari Finanziari. Di seguito si riporta uno schema sui mercati finanziari che si suddividono in • Mercati Primari e Mercati Secondari • Mercati Monetari e Mercati Finanziari • Mercati Valutari Esaminiamo la definizione di Mercati Primari. Il mercato finanziario primario è il luogo dove sono trattati gli strumenti finanziari di nuova emissione. Cioè il mercato in cui i prenditori di fondi (per esempio, le imprese industriali o le amministrazioni centrali) raccolgono fondi emettendo strumenti finanziari (per esempio, azioni e obbligazioni. Infatti, sono collocate nuove azioni provenienti da un aumento di capitale o da un'offerta pubblica iniziale, obbligazioni di nuova emissione da parte delle società o da parte del Ministero dell'Economia (nel caso dei titoli di Stato).Praticamente sul mercato primario viene raccolta la prima operazione di ogni specifico strumento finanziario, che passa poi a quotarsi sul mercato finanziario secondario Esaminiamo la definizione di Mercati Secondari.

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Il mercato finanziario secondario è il luogo dove sono trattati i titoli già in circolazione, che vi rimangono fino alla loro eventuale scadenza. È logicamente contrapposto al mercato finanziario primario: ogni titolo nasce sul mercato primario e dopo l'emissione e il collocamento passa al secondario, in cui gli strumenti finanziari collocati vengono negoziati tra gli investitori (per esempio MTA, MOT. Per questo motivo la dimensione del mercato secondario sarà chiaramente molto maggiore. I due mercati sono logicamente contrapposti, ma trattano la stessa merce, perciò una maggiore liquidità del secondario permette di accogliere più titoli nel primario. Esaminiamo la definizione di Mercato Monetario È definito mercato monetario l'insieme di negoziazioni aventi per oggetto strumenti finanziari con durata inferiore ai 12-18 mesi. Esso si differenzia quindi dal mercato dei capitali nel quale sono contrattati strumenti con scadenza superiore. La finalità di questa parte di mercato è quella di gestire la liquidità; infatti, data la breve durata dei contratti e la presenza di un mercato secondario, l'investitore ha la possibilità di investire temporanee eccedenze di fondi e l'imprenditore può risolvere temporanei fabbisogni con la possibilità di smobilitare a breve termine l'investimento (per esempio BOT, fondi interbancari, cambiali finanziarie). Esaminiamo la definizione di Mercato finanziario.

E’ definito mercato finanziario quello in cui si negoziano titoli a medio e lungo termine. Esso comprende sia i titoli di credito rappresentativi di capitali investiti nelle imprese (azioni), sia i titoli di debito emessi dalle imprese, dal settore pubblico e dagli altri intermediari finanziari (titoli di Stato e obbligazioni). Il mercato finanziario, e ancor più il comparto azionario, è tipicamente un mercato secondario il cui funzionamento ha significato economico nella misura in cui è condizione per l’esistenza di un solido mercato primario, il quale consente alle imprese e al settore pubblico di ottenere nuove risorse finanziarie a medio e lungo termine.

3.2 Le norme che regolano il Mercato

3.2.1. Lo schema generale e i mercati

Lo schema di funzionamento dei mercati regolamentati è un sistema complesso, composto da istituzioni con compiti di vigilanza e società private con compiti di gestione, che ha il fine di garantire la correttezza e la credibilità dei mercati stessi Per comprendere il sistema e il funzionamento dei mercati finanziari italiani è necessario conoscere i soggetti che organizzano e regolamentano i mercati stessi e quelli preposti a vigilare sul comportamento degli operatori. Parlando di mercati si intenderanno i mercati regolamentati; precisazione necessaria in quanto il testo unico ha ammesso anche la possibilità della creazione di mercati non regolamentati, istituiti nella forma di sistemi di scambi organizzati di strumenti finanziari. In merito ai mercati regolamentati, il Testo unico della finanza (TUF) ha stabilito che l’attività di organizzazione e gestione dei mercati regolamentati di strumenti finanziari abbia carattere di impresa. Le società di gestione sono quindi soggetti privati che devono soddisfare stringenti requisiti organizzativi per ottenere l’autorizzazione ad operare. La Consob, Commissione

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Nazionale per le Società e la Borsa, è l’istituzione incaricata di vigilare su tali società al fine di assicurare la trasparenza, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori. Tra i suoi compiti rientra anche quello di valutare se il regolamento che disciplina le modalità di contrattazione, deliberato dalla società di gestione, sia conforme ai requisiti stabiliti dalla Consob stessa. La Consob, inoltre, tiene un albo con iscritti i mercati regolamentati riconosciuti. Tali mercati sono: il Mercato telematico azionario (MTA), il Mercato telematico dei Securitised derivatives (SeDeX), i Mercati After Hours (TAH e TAHX), il Mercato telematico delle obbligazioni (MOT), il Mercato Espandi, il Mercato MTAX e il Mercato degli strumenti derivati (IDEM) gestiti dalla società Borsa Italiana S.p.A. società nata dalla privatizzazione della Borsa Valori italiana; il Mercato all’ingrosso dei titoli di Stato (MTS), il Mercato Bondvision e il Mercato all’ingrosso delle obbligazioni non governative gestiti dalla società MTS S.p.A. il Mercato TLX gestito dalla società TLX S.p.A.

Le società di gestione, al fine di essere considerate tali, devono principalmente predisporre le strutture e fornire i servizi necessari per creare un mercato regolamentato; devono poi adottare tutti gli atti necessari per garantire il buon funzionamento del mercato, verificando il rispetto del regolamento da parte degli operatori, e adottare le disposizioni e gli atti necessari a prevenire e identificare abusi di informazioni privilegiate e manipolazioni del mercato, comunicando alla Consob le violazioni di cui hanno notizia. Infine, devono provvedere alla gestione e alla diffusione al pubblico delle informazioni e dei documenti di interesse generale relativi alle contrattazioni. La Consob è quindi l’organo deputato a vigilare sulla correttezza dei comportamenti degli operatori al fine di salvaguardare i piccoli investitori e deve coordinare i suoi interventi con la Banca d’Italia, che, però ha competenze di vigilanza in tema di solidità patrimoniale degli intermediari; ad essa sono, infatti, attribuiti i compiti di stabilire le norme prudenziali in ambito di contenimento del rischio nelle attività di investimento degli intermediari. Il TUF ha inoltre previsto, al fine di garantire gli investitori, l’istituzione di sistemi di compensazione e garanzia delle operazioni su strumenti finanziari. Tali sistemi prevedono che la società gestrice del servizio assuma le posizioni contrattuali in proprio, garantendo così i singoli dal rischio di controparte. Tale servizio è svolto dalla società Cassa di Compensazione e Garanzia, società facente parte del gruppo Borsa Italiana, per i contratti trattati nei mercati gestiti da Borsa Italiana e MTS. La Cassa di Compensazione e Garanzia al fine di assicurare l’integrità dei mercati si pone come controparte centrale e garante dell’esecuzione dei contratti. La Cassa diviene, in pratica, controparte di ogni intermediario che immette ordini nel sistema. Infine, a completamento del quadro, non rimane che parlare della società Monte Titoli. La Monte Titoli, anch’essa società del gruppo Borsa Italiana, svolge l’importante ruolo di depositario centrale dei titoli dematerializzati, gestendo i servizi di liquidazione e regolamento.

3.2.2 . La Consob e il regolamento operativo

Nel Regolamento e nelle relative Istruzioni sono raccolte tutte le disposizioni che disciplinano i mercati gestiti da Borsa Italiana S.p.A. e sono relative ai criteri per l'ammissione degli strumenti finanziari alle negoziazioni, alle modalità di negoziazione, alla partecipazione degli operatori e ai servizi strumentali alle negoziazioni Il documento di riferimento sia per chi intende investire nei mercati di Borsa Italiana sia per le società che intendono quotare i propri strumenti finanziari in questi mercati, ossia il documento dove poter reperire tutte le

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informazioni sulle modalità operative di ammissione e di negoziazione degli strumenti finanziari, è costituito dal Regolamento dei mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana S.p.A. corredato dalle relative Istruzioni. Dalla data della sua prima approvazione, 4 dicembre 1998, a oggi, Regolamento e Istruzioni hanno subito numerose modifiche e revisione, al fine di soddisfare le nuove esigenze del mercato e adattarsi ai cambiamenti di una normativa in costante evoluzione. Il Regolamento, per ogni mercato gestito, disciplina:

Le condizioni richieste per l’ammissione degli strumenti finanziari, stabilendo i requisiti degli strumenti stessi e dei relativi emittenti;

Il ruolo e il compito di operatori come sponsor, specialisti e listing partner; La procedura di ammissione; La sospensione e la revoca dalle negoziazioni; Gli obblighi degli emittenti, relativamente ai rapporti con altri emittenti, al Codice di

Comportamento, agli obblighi informativi e alle comunicazioni al pubblico; La modalità di diffusione delle informazioni al mercato; La partecipazione degli operatori alle contrattazioni; Le modalità, le fasi e le proposte di negoziazione; La determinazione dei prezzi; La conclusione e la registrazione dei contratti; I servizi strumentali alle negoziazioni, ossia i servizi di riscontro delle operazioni, i sistemi

di garanzia dei contratti e la comunicazione delle operazioni eseguite fuori dal mercato; La trasparenza del mercato, ovvero le informazioni che devono essere fornite al

pubblico.

3.2.3 Il Testo Unico Finanziario TUF La norma principale del nostro ordinamento in materia di mercati e intermediari finanziari è senza dubbio costituita dal decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, detto anche semplicemente Testo unico della finanza o Tuf ovvero decreto Draghi, dal nome dell’allora Direttore generale del Tesoro e attuale Governatore della Banca d’Italia, padre della riforma Il Tuf rappresenta il punto di svolta della normativa italiana di settore, poiché ha riunificato in una trattazione organica e moderna, in linea con le direttive comunitarie, la precedente regolamentazione, frammentata in numerosi atti normativi. Dalla sua entrata in vigore, 1° luglio 1998, il Tuf ha subito diverse revisioni, l’ultima delle quali risale alle modifiche introdotte dalla legge 28 dicembre 2005, n. 262, nota anche come legge sulla tutela del risparmio. Nella sua versione attuale, il Tuf regolamentando l’attività degli intermediari disciplina gli aspetti operativi e quelli di vigilanza relativi ai cosiddetti soggetti abilitati. 3.2.4 La direttiva MIFID

In ambito comunitario, a seguito dell’adozione del Financial Services Action Plan (FSAP), è in atto negli ultimi anni una riorganizzazione strutturale del mercato finanziario europeo con l’obiettivo di arrivare alla creazione di un mercato realmente integrato e competitivo. Obiettivo ultimo del FSAP è quello di individuare regole europee uniformi ai fini della

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creazione di un level playing field per tutti i soggetti interessati a operare sul mercato. Questa è, infatti, la condizione necessaria per garantire e ottenere uno sviluppo equilibrato e sostenibile dell’exchange industry europea. Tra le direttive rientranti nel FSAP quella che sicuramente riveste maggiore importanza e che sta avendo degli impatti sull'operatività dei mercati finanziari e dei suoi operatori è la nuova direttiva 2004/39/CE sui mercati degli strumenti finanziari, conosciuta meglio con l'acronimo inglese MiFID (Market in Financial Instruments Directive). Tale direttiva, approvata dal Parlamento e dal Consiglio Europeo il 20 aprile 2004,e recepita nel 2007 ha abrogato la prima direttiva 93/22/CE sui servizi di investimento, detta ISD (Investment Services Directive). Il recepimento della direttiva MIFID era originariamente previsto entro l’aprile 2006 ma, considerati i sostanziali impatti sulla legislazione dei singoli Stati Membri, il termine per l'implementazione è stato esteso al 31 gennaio 2007 (direttiva 2006/31/CE). In Italia il Testo Unico della Finanza è stato modificato con il d.lgs 164 del 17 settembre 2007. Inoltre, nel mese di ottobre 2007 la CONSOB ha provveduto ad aggiornare la propria regolamentazione secondaria (Regolamento Mercati ed Intermediari). Infine, a partire dal 1° novembre 2007 (data di entrata della normativa MiFID) tutti gli operatori sono stati chiamati ad applicare e rispettare la nuova disciplina. La MIFID ha tra i suoi obiettivi principali quello di creare un ambiente finanziario competitivo e armonizzato per i mercati regolamentati, le imprese di investimento nonché quello di rafforzare la protezione degli investitori, l’efficienza e l’integrità dei mercati finanziari stessi. Più in particolare, la MiFID introduce delle novità sia nei confronti degli intermediari che dei mercati.

Le principali norme relative agli intermediari riguardano:

i requisiti di organizzazione nonché l’esternalizzazione delle funzioni operative; i conflitti di interessi e le relative politiche di gestione degli stessi; le ricerche in materia di investimenti; la disciplina degli incentivi nonché le informazioni fornite ai clienti; le registrazioni degli ordini e delle operazioni eseguite; le informazioni fornite ai clienti e potenziali clienti; la classificazione della clientela in retail, professional, eligible counterparties; le valutazioni di adeguatezza e appropriatezza dei servizi di investimento prestati ai

clienti; la gestione degli ordini dei clienti (client order handling rules); la consulenza in materia di investimenti; la disciplina della best execution al fine di assicurare la migliore esecuzione degli ordini

ai clienti; le nuove categorie dei servizi di investimento.

Al contrario, le principali norme relative ai mercati sono rappresentate da:

l’eliminazione dell’obbligo di concentrare gli scambi sui mercati regolamentati;

le nuove figure di trading venues, rappresentate dai mercati regolamentati, i multilateral trading facilities (MTF) e gli internalizzatori;

le regole di trasparenza pre-trade e post-trade delle informazioni di mercato;

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specifiche previsioni per l’ammissione degli strumenti finanziari sui mercati regolamentati;

le regole per l’ammissione degli operatori ai mercati regolamentati ed agli MTF;

la disciplina delle comunicazioni delle operazioni alle autorità competenti (transaction reporting);

la disciplina applicabile ai sistemi di clearing e settlement MiFID rappresenta quindi un’importante opportunità e si articola secondo una normativa che punta a rafforzare:

la tutela dei risparmiatori e degli investitori;

l’uniformità di regole di condotta nei rapporti tra intermediari finanziari e clienti;

la trasparenza delle operazioni realizzate dagli intermediari finanziari per conto della clientela, anche in termini di costi.

La tutela dei risparmiatori in particolare è stata attuata dagli intermediari classificando la clientela in tre distinte categorie, elaborate sulla base delle conoscenze in ambito finanziario, associando ad ognuna un appropriato e distinto livello di tutela e di rapporti contrattuali :

clientela privata

clientela professionale

operatore qualificato Quanto sopra è stato realizzato facendo sottoscrivere a tutti i clienti un questionario che ponesse in evidenza :

esperienza e conoscenza in materia di investimenti su strumenti finanziari

obiettivi di investimento

situazione finanziaria

finalità di tutela assicurativa Ne consegue che le proposte di investimento dovranno essere correlate al profilo di rischio dichiarato e sottoscritto dal cliente. Un ulteriore importante innovazione a tutela dei risparmiatori è stata l’introduzione della figura del consulente finanziario indipendente che , a differenza del promotore finanziario , non viene pagato dalla società emittente i prodotti finanziari, ma dal risparmiatore in base ad un preciso rapporto contrattuale. 3.2.5 Gli intermediari finanziari L’espressione intermediari finanziari indica tutti quei soggetti che si interpongo tra investitori e mercato per l’esecuzione delle scelte finanziarie. Fino a qualche anno fa il discorso era limitato alla distinzione tra banche e intermediari finanziari non bancari in generale, mentre dall’approvazione del Testo unico della finanza il quadro si è arricchito di nuovi soggetti, ognuno con proprie competenze ed ambito di operatività ossia: le imprese di investimento, le società di gestione del risparmio (Sgr), le società di gestione armonizzate, le società di investimento a capitale variabile (Sicav), gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 107 del Testo unico bancario (Decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385), ossia intermediari che svolgono un’elevata attività finanziaria, e le banche autorizzate all’esercizio

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dei servizi di investimento. Da non dimenticare poi altre due categorie di soggetti che rientrano tra gli attori dell’intermediazione: gli agenti di cambio e i promotori finanziari. Per imprese di investimento si intendono le società di intermediazione mobiliare (Sim), le imprese di investimento comunitarie e le imprese di investimento extracomunitarie e sono società autorizzate a svolgere i servizi di investimento, ossia operazioni di negoziazione su strumenti finanziari. Le società di gestione del risparmio, le società di gestione armonizzata e le Sicav sono i soggetti a cui è riservata l’attività di gestione collettiva del risparmio. Il comportamento di tutti questi è sottoposto a stringenti regole di vigilanza che hanno per scopo la trasparenza e la correttezza dei comportamenti e la sana e prudente gestione dei soggetti abilitati, avendo riguardo alla tutela degli investitori e alla stabilità, alla competitività e al buon funzionamento del sistema finanziario. La Consob con l’atto R. 11522/1998, regolamenta l’attività dei soggetti che prestano servizi di investimento a terzi assicurando le relative tutele ai sottoscrittori. 3.2.6 La vigilanza La vigilanza è affidata a Banca d’Italia, competente per quanto riguarda il contenimento del rischio e la stabilità patrimoniale e Consob, competente per quanto riguarda la trasparenza e la correttezza dei comportamenti, che esercitano i poteri di vigilanza ognuna sulle materie di competenza, operando, però, in modo coordinato e dandosi reciproca comunicazione dei provvedimenti assunti e delle irregolarità rilevate. L’attività di vigilanza di Consob e Banca d’Italia si sviluppa a tre livelli: regolamentare, informativa e ispettiva. La vigilanza regolamentare riguarda il compito di disciplinare con regolamento l’adeguatezza patrimoniale, il contenimento del rischio, ossia l’obbligo di diversificare gli investimenti finanziari, l’organizzazione amministrativa e contabile, i controlli interni, le modalità di deposito e di sub-deposito degli strumenti finanziari e del denaro di pertinenza della clientela, i criteri e i divieti relativi all’attività di investimento, gli schemi e le modalità di redazione dei prospetti contabili, i criteri e le modalità per la valutazione dei beni e dei valori in cui è investito il patrimonio, il comportamento da osservare nei rapporti con gli investitori e gli obblighi informativi nella prestazione dei servizi. La vigilanza informativa riguarda la possibilità da parte di Banca d’Italia e Consob di chiedere ai soggetti abilitati la comunicazione di dati e notizie e la trasmissione di atti e documenti. Infine, la vigilanza ispettiva riguarda la possibilità di Banca d’Italia e Consob di effettuare ispezioni e richiedere l’esibizione dei documenti e il compimento degli atti ritenuti necessari presso i soggetti abilitati, comunicandosi l’un l’altra le ispezioni disposte affinché l’altra possa chiedere accertamenti su profili di propria competenza. La Banca d’Italia e la Consob possono inoltre chiedere alle autorità competenti di uno Stato comunitario di effettuare accertamenti presso succursali di Sim, di Sgr e di banche stabilite sul territorio di detto Stato. Un ultimo aspetto su cui porre l’attenzione è il possesso, da parte dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo aziendali, dei requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza, stabiliti dal Ministro dell’Economia e delle Finanze. Infatti, il difetto dei requisiti determina la decadenza dalla carica, che viene dichiarata dal consiglio di amministrazione. In dettaglio sarà affrontato al paragrafo 3.7

3.3 La Borsa Valori e gli intermediari finanziari

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Nell’ambito del mercato finanziario particolare rilievo assume il "mercato mobiliare" che si caratterizza proprio per l’attitudine dei titoli negoziati alla circolazione e, quindi, al passaggio da un soggetto economico all’altro, con il conseguente trasferimento della titolarità del credito. La più alta espressione del mercato mobiliare è rappresentata dalla borsa valori, ossia dal mercato organizzato e funzionante secondo regole formali, in cui vengono scambiate azioni di società - per la cui quotazione sono richiesti determinati requisiti - obbligazioni e altri titoli a reddito fisso.

3.3.1 Organizzazione della Borsa Valori

La Borsa è il mercato regolamentato dove si realizzano gli affari di compravendita finanziaria, ossia è il mercato organizzato per la negoziazione e lo scambio degli strumenti finanziari (azioni, obbligazioni e derivati) ad un determinato prezzo, che scaturisce dall’incontro effettivo tra domanda ed offerta. Un mercato regolamentato è l’insieme di tutte le emissioni e delle negoziazioni di titoli rappresentativi di prestiti monetari e di finanziamenti: è un mercato mobiliare basato su una determinata regolamentazione relativa all’organizzazione e al funzionamento del mercato stesso. Secondo la disciplina comunitaria, un mercato può essere considerato regolamentato se possiede specifici requisiti:

La regolarità di funzionamento, ossia gli scambi devono avvenire secondo modalità predefinite, sia riguardo la fissazione del prezzo, sia riguardo il pagamento e/o il trasferimento del bene oggetto dello scambio.

Il rispetto degli obblighi di trasparenza definiti dalla direttiva 93/22/CEE, oltre all’iscrizione, da parte dell’autorità di vigilanza, dello stesso in un apposito albo (come stabilito dalla disciplina comunitaria).

L’approvazione, da parte dell’organo di vigilanza, delle regole e delle condizioni di accesso alle modalità di funzionamento.

La regolamentazione del mercato riguardo gli operatori ammessi alle transazioni, gli strumenti trattati, gli obblighi informativi a cui sono sottoposti i soggetti operanti, il meccanismo di determinazione del prezzo, le modalità di negoziazione, le procedure di liquidazione, hanno come obiettivo fondamentale quello di assicurare un’uniformità organizzativa e la standardizzazione degli strumenti utilizzati. Il mercato regolamentato italiano per eccellenza è è gestito da Borsa Italiana S.p.A. Dal 2008 tale società di gestione, in conseguenza dell’ avvenuta privatizzazione, è passata sotto il controllo del London Stock Exchange , dando vita al piu’ grande mercato borsistico europeo . 3.3.2 Evoluzione dei mercati regolamentati in Italia e costituzione della Borsa Italiana s.p.a. Attraverso la legge n. 1 del 2 gennaio 1991 è stato istituito il Consiglio di Borsa (divenuto operativo nel febbraio 1993) con il compito di gestire il MERCATO MOBILIARE nel suo complesso; tutte le competenze organizzative, tecniche e consultive dei precedenti organi locali sono state accentrate nell’unico organo di "autogoverno pubblicistico" creato, mentre l’attività di vigilanza, gestione e organizzazione dei mercati è rimasta in capo alla CONSOB. Con il Decreto Legislativo EUROSIM, n.415 del 23 luglio 1996, l’attività di organizzazione e gestione dei mercati regolamentati è passata dal controllo di organismi pubblici, ad attività

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d’impresa privata esercitata da società per azioni (art. 46): questo è stato il segnale della trasformazione dei mercati regolamentati da pubblici a privati. La gestione dei mercati regolamentati già esistenti (Borsa valori, il Mercato Ristretto, l’IDEM, l’MTS, e il MIF) è stata affidata a due società di gestione opportunamente costituite e controllate da intermediari finanziari: BORSA ITALIANA S.p.A., MTS S.p.A. Il 7 febbraio 1997 il Consiglio di Borsa ha costituito, dopo approvazione della CONSOB, una società per azioni denominata BORSA ITALIANA S.p.A. il cui azionariato è composto da Banche, SIM, associazioni di emittenti ed altri attori del mercato, e contemporaneamente sono state chiuse le preesistenti Borse valori sul territorio nazionale italiano e tutti gli scambi sono stati concentrati presso la sede di Milano, diventata Borsa valori italiana. A partire dal 1° gennaio 1998 la Borsa Italiana S.p.A. è divenuta una società di gestione dei mercati operativa a tutti gli effetti dal 1° settembre 1998 e retta da uno specifico regolamento (Regolamento dei mercati organizzati e gestiti dalla Borsa Italiana S.p.A.). Attualmente tale società, dopo la sua privatizzazione, è controllata da “ London Stock Exchange group” , gruppo che controlla il mercato di Londra , per cui attualmente gestisce i mercati mobiliari italiani, svolgendo attività organizzative, produttive, commerciali e promozionali per assicurare la competitività e lo sviluppo dei mercati da essa gestiti, con l’obiettivo di massimizzare nel tempo la possibilità per i vari soggetti di negoziare alle migliori condizioni di liquidità, trasparenza e competitività e di sviluppare servizi per la comunità finanziaria, perseguendo la massima efficienza e redditività. In particolare, svolge le seguenti funzioni:

Definizione dell’organizzazione e del funzionamento dei mercati, delle modalità di accesso degli intermediari, nonché attività di vigilanza e di gestione delle situazioni di crisi;

Definizione della disciplina dei requisiti per l’ammissione a quotazione, della sospensione degli operatori e degli strumenti finanziari e revoca della stessa;

Gestione delle procedure e dei rapporti con gli emittenti per i contratti di quotazione; Definizione dei profili organizzativi e stesura del codice di comportamento dei soggetti operanti sui mercati.

Fino al 1991 l’attività di negoziazione è stata esercitata esclusivamente dagli agenti di cambio, anno in cui sono state istituite le Società di Intermediazione Immobiliare (SIM). Oggi, in base all’articolo 3.1.1 del Regolamento dei mercati organizzati e gestiti dalla Borsa Italiana S.p.A. "possono partecipare alle negoziazioni nei mercati organizzati e gestiti dalla Borsa italiana:

gli agenti di cambio;

le banche nazionali, comunitarie ed extracomunitarie autorizzate allo svolgimento dell’attività di negoziazione per conto proprio e/o di terzi ai sensi del Testo Unico della finanza;

le imprese di investimento nazionali, comunitarie ed extracomunitarie autorizzate allo svolgimento dell’attività di negoziazione per conto proprio e/o per conto di terzi ai sensi del Testo Unico della finanza;

i locals (soggetti che svolgono esclusivamente attività di negoziazione per conto proprio e che aderiscono indirettamente agli organismi di compensazione e di liquidazione, nonché di compensazione e garanzia) con sede legale in uno stato comunitario ed autorizzati a negoziare su un mercato comunitario".

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Sempre nel 1991 (il 25 novembre) è stato creato il sistema di contrattazione telematico esteso, nel febbraio 1996, a tutti gli strumenti finanziari quotati. In tale data è stato definitivamente abbandonato il tradizionale meccanismo di contrattazione "alle grida" (o a chiamata): la contrattazione di un titolo avveniva in un determinato momento della seduta di Borsa, durante la quale gli intermediari, intorno ad un recinto (corbeille) gridavano i prezzi ai quali erano disposti a vendere o ad acquistare finché non si trovava una controparte che accettasse la vendita o l’acquisto a quel determinato prezzo. Oggi tutti gli strumenti finanziari vengono negoziati attraverso il sistema telematico della Borsa valori, costituito da una rete di elaboratori e terminali, che permette di gestire automaticamente l’incrocio tra la domanda e l’offerta. Per vendere ed acquistare non è più necessario recarsi in un luogo specifico: lo scambio si perfeziona nel momento in cui una proposta di acquisto, immessa nel sistema telematico tramite un programma elettronico particolare, combaci con una proposta di vendita, anch’essa immessa con lo stesso sistema. In Borsa, oggi, le transazioni si realizzano senza che i venditori e gli acquirenti si parlino o si conoscano e visto che non ci si trova più in un luogo fisico, è possibile riversare nello stesso istante nel sistema borsistico telematico molteplici offerte di vendita e di acquisto, ciascuna relativa ad uno qualsiasi degli strumenti finanziari trattati sul mercato: il programma elettronico provvede a mettere in ordine tutte le proposte, distinguendo quelle di acquisto da quelle di vendita e incrociando quelle coincidenti di segno opposto. Premesso che ci sono diverse modalità per investire nel mercato di borsa:

Investire direttamente, prendendo le decisioni personalmente;

Affidarsi ad un intermediario per una gestione personalizzata dei propri risparmi;

Investire in fondi pensione, assicurazioni vita, affidando ai gestori tutte le scelte e le decisioni;

L’acquisto o la vendita di azioni e più in generale di tutti gli strumenti finanziari, non può essere fatta dal singolo investitore, o dalla generica impresa ma solo dagli intermediari finanziari o dalle SIM autorizzate, questo al fine di garantire la massima sicurezza e trasparenza delle transazioni. La Borsa Italiana S.p.A. gestisce diversi mercati al fine di fornire un efficiente canale di finanziamento adatto a tutte le tipologie di valori quotati; in linea di principio per ogni strumento c’è un mercato diverso. Ad un primo livello, la Borsa Italiana può essere suddivisa in CINQUE grossi segmenti: 1. IL MERCATO AZIONARIO, nel quale si negoziano tutti i tipi di azioni, le obbligazioni

convertibili, i diritti d’opzione, i warrant, i cover warrant e i certificati rappresentativi di quote di fondi chiusi mobiliari ed immobiliari.

2. IL MERCATO TELEMATICO DEI COVERED WARRANTS, nel quale si negoziano i Covered Warrant (su azioni, titoli di Stato, tassi di interesse, valute, indici e merci) e dei certificates quotati in Borsa.

3. IL MERCATO AFTER HOURS, nel quale si effettua la negoziazione di strumenti finanziari in orari successivi alla chiusura del mercato diurno.

4. IL MERCATO DEL REDDITO FISSO, ossia il mercato telematico delle obbligazioni e dei Titoli di Stato

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5. MERCATO DEI DERIVATI, nel quale sono negoziati contratti futures e di opzione aventi come attività sottostante strumenti finanziari, tassi di interesse, valute, merci e relativi indici.

1: IL MERCATO AZIONARIO DI BORSA ITALIANA si articola in tre mercati: il Mercato Telematico Azionario (Mta), il Mercato Ristretto e il Nuovo Mercato. IL MERCATO TELEMATICO AZIONARIO (MTA): è il comparto della Borsa valori italiana in cui si negoziano azioni (ordinarie, privilegiate e di risparmio), obbligazioni convertibili, warrant, diritti d’opzione e certificati rappresentativi di quote di fondi mobiliari e immobiliari chiusi quotati in Borsa (art.1.3 del regolamento dei mercati organizzati e gestiti dalla Borsa Italiana S.p.A.). L’Mta è gestito dalla Borsa Italiana S.p.A. (società di gestione) secondo le norme previste nel regolamento deliberato dall’Assemblea ordinaria della stessa società il 20 dicembre 1999 e approvato dalla CONSOB con delibera n. 12324 del 19 gennaio 2000. Dal 1991 il mercato azionario è divenuto un mercato telematico, e l’adozione di tale modalità di contrattazione ha sostituito quella "alle grida", inizialmente, per una rosa ristretta di azioni, successivamente (aprile 1994), per tutto il listino azionario. L’Mta è un mercato ad asta, in cui le negoziazione e gli scambi degli strumenti finanziari avvengono attraverso un meccanismo d’asta, che fa incontrare domanda ed offerta: lo scambio si compie tra chi offre il prezzo più basso in offerta e chi offre il prezzo più alto in domanda. I titoli sono scambiati attraverso un meccanismo a doppio lato (two side): le offerte di prezzo vengono fatte sia dagli acquirenti che dai venditori delle azioni. Il sistema telematico, gestito dalla SIA, visualizza le proposte di negoziazione all’interno di un libro (book) che compare sui terminali degli operatori autorizzati. A partire dal 2 aprile 2001, con l’avvio dell’operatività del segmento STAR, il Mercato Telematico Azionario è stato suddiviso in base alla capitalizzazione degli strumenti negoziati, nei seguenti segmenti: BLUE CHIPS, è il segmento dedicato alle azioni con capitalizzazione superiore ad un livello attualmente stabilito in 800 milioni di euro, in cui sono comprese tutte le società inserite del Mib30 (i 30 principali titoli per capitalizzazione e liquidità), e le società del Midex (le 25 società successive per capitalizzazione a quelle comprese nel Mib30). STAR, è il segmento che riguarda le aziende con capitalizzazione medio – piccola, inferiore a 800 milioni di euro, che operano nei settori più tradizioali dell’economia; tali aziende, per incrementare la visibilità e la qualità della propria immagine sul mercato e rientrare nel target degli investitori istituzionali, si impegnano a soddisfare requisiti più pressanti legati al flottante, alla trasparenza dell’informativa societaria, al sostegno della liquidità da parte di uno specialista. SEGMENTO DI BORSA ORDINARIO, nel quale sono presenti società che non rientrano nei segmenti precedenti, esso è suddiviso a sua volta in due classi in funzione della loro liquidità, misurata in termini di frequenza e controvalore medio giornaliero degli scambi. MTF, è il segmento su cui si negoziano ETF (Exchange – Traded Funds) e Funds (Aperti indicizzati, SICAV Indicizzate, Fondi chiusi Immobiliari e Mobiliari). Il MERCATO RISTRETTO: è il mercato nel quale si negoziano contratti di compravendita relativi ad azioni, obbligazioni, warrant e diritti d’opzione con requisiti meno stringenti rispetto a quelli previsti per l’ammissione sull’Mta o comunque legati a condizioni particolari, come clausole di prelazione e gradimento. I titoli quotati su tale mercato sono emessi da società di dimensione mediamente inferiore rispetto a quelle presenti sull’Mta; esso svolge funzione di

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banco di prova sia per l’emittente dei titoli sia per l’investitore. E’ stato istituito nel 1977, dopo l’approvazione della legge n.° 49 del 23 febbraio 1977, che ne ha originariamente disciplinato il meccanismo di funzionamento. La sua istituzione aveva una precisa finalità: consentire la quotazione e la negoziazione di strumenti finanziari non ancora "maturi" per essere ammessi sulla Borsa ufficiale, pur facendo registrare numerosi scambi o essendo legati a clausole particolare di prelazione e gradimento, tali da non consentire il regolare svolgimento delle negoziazioni di Borsa. In realtà oggi il Mercato Ristretto non rispecchia le finalità previste dal legislatore e dell’originale previsione mantiene solamente le regole di funzionamento e i requisiti di ammissione semplificati rispetto agli altri mercati. IL NUOVO MERCATO: è il mercato regolamentato organizzato e gestito dalla Borsa Italiana S.p.A., in cui si negoziano, per qualsiasi quantitativo, azioni ordinarie, obbligazioni convertibili, warrants e diritto d’opzione di emittenti nazionali ed esteri con elevate potenzialità di crescita operanti sia in settori innovativi, sia tradizionali purchè caratterizzate da innovazioni di prodotto, servizio o processo ("high growth companies"). Il Nuovo Mercato è stato costituito nel maggio del 1999 al fine di creare un segmento borsistico per rispondere alle specifiche esigenze di finanziamento delle imprese operanti in settori molto dinamici, innovativi e ad alto potenziale di sviluppo. Si tratta di imprese operanti in settori ad alto sviluppo tecnologico, di imprese operanti in settori "tradizionali" ma che puntano sull’innovatività dei processi e dei prodotti, società giovani (start – up) che necessitano di capitali per sviluppare i propri progetti, società già quotate su altri mercati esteri che desiderano allargare la propria base azionaria. I requisiti di ammissione al Nuovo Mercato sono meno stringenti rispetto a quelli del listino principale; basta la pubblicazione ed il deposito di un solo bilancio d’esercizio, senza nessun vincolo minimo di utile, fatturato o dimensione dell’attivo; offerta minima pari al 20% del capitale, con deroga in caso di doppia quotazione (quotazione su 2 o più mercati); l’offerta minima di azioni deve avere un controvalore di almeno 5 milioni di euro (quasi 10 miliardi di lire); patrimonio netto non inferiore a 1,5 milioni di euro. Al Nuovo Mercato generalmente si rivolgono sia società già esistenti e che hanno progetti di espansione, sia società che hanno da poco iniziato l’attività con delle idee da finanziare, ma fatturati ridotti (anche se con forti prospettive di crescita) e forti perdite (legate al sostenimento dei costi di avvio dell’attività). Dal punto di vista operativo il Nuovo Mercato segue gli stessi orari e procedure di negoziazione del segmento principale di borsa, solamente che a differenza di questo non esistono lotti minimi di negoziazione: è possibile acquistare o vendere anche una sola azione, questo allo scopo di facilitare la partecipazione agli investimenti anche al piccolo risparmiatore. In tal senso il Nuovo Mercato offre vantaggi sia alle aziende, le quali hanno una procedura di quotazione più semplice, sia agli investitori, i quali hanno la possibilità di impegnare somme di denaro anche contenute con le stesse garanzie di trasparenza che caratterizza la borsa tradizionale. 2. IL MERCATO TELEMATICO DEI COVERED WARRANTS è il comparto della Borsa valori italiana sul quale sono negoziati covered warrants (su azioni, titoli di stato, tassi d’interesse, valute, indici e merci) e Certificates quotati in Borsa, per quantitativi minimi (lotto minimo) o loro multipli. Esso è un mercato ad asta, in cui la negoziazione e lo scambio degli strumenti finanziari avvengono attraverso un meccanismo d’asta, che fa incontrare domanda ed offerta: lo scambio si effettua tra chi offre il prezzo più basso in offerta e chi offre il prezzo più alto in domanda. Con lo scopo ultimo di rendere più facilmente consultabile il listino dei covered warrant è stata introdotta una segmentazione che, pur non avendo nessuna differenza nelle

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modalità di negoziazione, ripartisce gli strumenti in classi omogenee per tipologia di struttura: segmento plain vanilla, benchmark, certificates e segmento strutturati/esotici. Possono essere ammessi a quotazione sul MCW (in base all’art.2.2.15 del Regolamento dei mercati organizzati) i covered warrant emessi da: società o enti nazionali o esteri sottoposti a vigilanza prudenziale; Stati o enti sovranazionali; società o enti per i quali i rapporti obbligatori connessi all’emissione siano garantiti da un soggetto (garante) che presenti i requisiti specificati nello stesso regolamento. 3. IL MERCATO AFTER HOURS Dal 15 maggio 2000 la Borsa italiana ha dato vita ad una fase di negoziazione serale (Trading After Hours, TAH); questa ha inizio alle ore 18.00 (30 minuti dopo la conclusione della fase diurna) e termina alle 20.30 ( a regime, vi sarà l’estensione di tale orario fino alle 22.00). Attualmente, in tale mercato sono negoziati solo una parte dei titoli quotati alla Borsa italiana e soprattutto solo quelli più liquidi, cioè quelli che fanno parte dell’indice Mib30 e del Midex, ed alcune azioni e covered warrant del Nuovo Mercato. La negoziazione degli strumenti finanziari avviene attraverso un meccanismo ad asta, che fa incontrare domanda ed offerta: lo scambio ha luogo tra chi offre il prezzo più basso in offerta e chi offre il prezzo più alto in domanda. Il progetto della Borsa serale è stato creato sulla base delle nuove esigenze espresse dagli investitori italiani e stranieri ed ha incontrato anche il consenso degli intermediari che possono così ampliare l’offerta dei servizi a risparmiatori ed investitori. Tuttavia la fase serale della Borsa italiana presenta vincoli più restrittivi rispetto a quelli in vigore durante la fase diurna: visto l’aspetto ancora sperimentale di questo mercato e i timori di illiquidità degli scambi (scarsità delle proposte di acquisto e vendita possono causare un’elevata volatilità dei prezzi) la Borsa italiana ha deciso di fissare a +/- 3,5% l’oscillazione massima dei prezzi di contrattazione al prezzo di riferimento registrato durante la fase diurna che fa scattare la sospensione del titolo. Tale vincolo, nonostante sia posto a protezione del risparmiatore, ha limitato il successo di questo mercato in quanto oscillazioni troppo limitate dei prezzi costituiscono un vero e proprio freno all’operatività dei trader. 4. IL MERCATO DEL REDDITO FISSO Il Mercato Telematico delle Obbligazioni e dei Titoli di Stato (MOT) è il comparto della Borsa Italiana S.p.A. in cui si negoziano obbligazioni diverse dalle obbligazioni convertibili e Titoli di Stato, in quantitativi minimi (lotti minimi) o lo multipli (art.4.4.1 del regolamento dei mercati organizzati e gestiti dalla Borsa Italiana S.p.A.); la Borsa Italiana stabilisce i quantitativi minimi negoziabili bilanciando, le esigenze di funzionalità del mercato, l’agevolazione all’accesso al mercato stesso da parte degli investitori istituzionali e l’economicità nell’esecuzione degli ordini. Il MOT è un mercato finanziario al dettaglio, nato nel luglio del 1994 dall’unificazione in un unico mercato telematico delle 10 borse valori italiane. Esso è un mercato ad asta, in cui il sistema di negoziazione è strutturato in maniera da accoppiare gli ordini sulla base del prezzo (la priorità è data a chi è disposto a pagare di più) e delle quantità e, a parità di prezzo, si da la precedenza all’ordine emesso per primo. Le transazioni scaturiscono dall’incrocio di proposte di negoziazioni (PDN); le PDN sono ordinate automaticamente per ciascun strumento in ordine di prezzo, decrescente se in acquisto e crescente se in vendita. Gli strumenti finanziari negoziati sul MOT sono suddivisi in quattro segmenti di mercato, in base alla natura dell’emittente e del tipo di interesse:

BOT, BTP, CTE, CTZ;

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CCT e CTO;

Obbligazioni denominate in euro;

Obbligazioni denominate in altre valute estere. Inoltre, l’art.4.4.2 del Regolamento stabilisce una ulteriore ripartizione degli strumenti di ogni segmento sulla base di indicatori rilevati periodicamente quali il tipo, valore nominale e la liquidità. Gli orari di negoziazione sono diversi per ciascun segmento: la Borsa stabilisce limiti alle variazioni massime di prezzo e altre condizioni per assicurare il massimo ordine nello svolgimento delle negoziazioni. Inoltre queste avvengono in due fasi successive: L’asta di apertura, che ha l’obiettivo di selezionare gli strumenti finanziari negoziabili e di determinare un prezzo iniziale (prezzo di apertura). La negoziazione in continua, che ha il compito di rendere rapido ed efficiente lo svolgimento delle transazioni. Ogni giorno la Borsa Italiana invia e diffonde, tramite supporto informatico, il Listino Ufficiale. 5. MERCATO DEI DERIVATI Il Mercato Italiano dei derivati si suddivide in due segmenti: Il Mercato Italiano dei Derivati Azionari (IDEM – Italian Derivatives Market) Il Mercato Italiano dei Derivati sui tassi di Interesse (MIF) L’IDEM è il mercato regolamentato gestito dalla Borsa Italiana S.p.A., in cui vengono negoziati contratti futures e contratti d’opzione che hanno come attività sottostante indici e singoli titoli azionari. L’IDEM è nato il 28 novembre 1994, con l’avvio delle negoziazioni telematiche sul FIB 30 (future sull’indice MIB30). Le modalità di negoziazione avvengono in un’unica fase "in continua", dalle 9.15 alle 17.40, in cui avviene anche la conclusione dei contratti. Le proposte di negoziazione sono immesse nel "book" in forma anonima e devono contenere specifiche informazioni circa lo strumento oggetto della negoziazione, la quantità , il tipo di operazione, il tipo di conto e le condizioni offerte. Caratteristica principale di questo mercato è che gli scambi possono essere effettuati attraverso la presenza di operatori chiamati "market makers" (iscritti nell’apposito albo), al fine ultimo di garantire la liquidità degli strumenti negoziati. Essi, infatti, sono degli intermediari finanziari che si impegnano a fornire in via continuativa proposte di acquisto e vendita su uno o più strumenti finanziari, quotati sui mercati regolamentati, per un ammontare minimo fissato di tali strumenti. Un investitore che desidera operare sugli strumenti finanziari negoziati sull’IDEM deve rivolgersi ad un intermediario, che confermi la sua adesione come clearing member alla Cassa di Compensazione e Garanzia; in particolare i soggetti abilitati ad operare sull’IDEM sono:

Imprese d’investimento: SIM e imprese d’investimento comunitarie ed extra-comunitarie; Banche, se autorizzate dalla Banca d’Italia;

Agenti di cambio ancora in carica, operanti solo come broker, immettendo ordini solo per i loro clienti e non propri.

I contratti conclusi sono registrati in un apposito archivio elettronico, indicando una serie di informazioni (numero progressivo del contratto, l’ora di inserimento della proposta, la quantità e il prezzo unitario ecc.): tali informazioni sono inviate automaticamente dal sistema di riscontro e rettifica giornalieri al sistema di compensazione e garanzia. Il Mercato Italiano dei Derivati sui tassi di interesse (MIF), è il mercato regolamentato sul quale si negoziano i futures e le opzioni aventi come attività sottostante Titoli di Stato e tassi di interesse (future sul BTP a 10 anni, future sul BTP a 30 anni, future sul tasso EURIBOR a 1 mese e opzione sul BTP future). Il MIF è stato istituito il 18 febbraio 1992 con un decreto del Ministero del Tesoro, abrogato e sostituito dal nuovo decreto del 24 febbraio 1994 con il

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quale si è sancita una convenzione per il funzionamento e si è costituito un Comitato di Gestione. A seguito della privatizzazione dei mercati avvenuta con il decreto legislativo del 23 luglio 1996, nell’anno 1997 è stata costituita la società per azioni MIF S.p.A. , ceduta alla Borsa Italiana S.p.A. nel maggio del 1998. Il funzionamento, l’organizzazione e la gestione del MIF sono disciplinati da un Regolamento che stabilisce:

Le condizioni di ammissione;

L’esclusione e la sospensione dei contratti e degli operatori;

Le modalità di svolgimento delle negoziazioni,

Gli obblighi degli operatori;

La pubblicazione e la diffusione delle informazioni. In base all’articolo 3.1.1 del Regolamento del MIF si stabilisce che possono partecipare alle negoziazioni: Gli agenti di cambio autorizzati alla negoziazione per conto terzi (Testo Unico della Finanza); Le banche nazionali, comunitarie, ed extracomunitarie autorizzate allo svolgimento dell’attività di negoziazione per conto proprio e/o per conto terzi (Testo Unico della finanza); Le imprese di investimento nazionali, comunitarie ed extracomunitarie autorizzate allo svolgimento dell’attività di negoziazione per conto proprio e/o per conto terzi (Testo Unico della Finanza); I locals, con sede legale in uno stato comunitario ed autorizzati a negoziare su un mercato comunitario; La Banca d’Italia, ammessa di diritto alle negoziazioni.

A fine 2007 è partito, con scarsi risultati, un nuovo mercato denominato Mercato Alternativo dei Capitali (MAC) destinato ad agevolare l’accesso dei capitali di rischio da parte delle PMI italiane.

3.4 GLI INTERMEDIARI FINANZIARI

3.4.1 Inquadramento generale Dopo il quadro normativo occorre ricordare che sotto l’aspetto funzionale , il sistema finanziario assolve a tre compiti di natura 1. Monetaria: attraverso la creazione e la movimentazione dei mezzi di pagamento; 2. Creditizia: attraverso il trasferimento delle risorse finanziarie dalle unità economiche in

avanzo finanziario a quelle in disavanzo; 3. di politica monetaria attraverso la trasmissione della politica economica Analizzeremo ora in particolare i principali intermediari finanziari presenti sul mercato effettuando una distinzione “grossolana” in funzione dell’attività svolta . A intermediari abilitati ad offrire servizi d'investimento a privati e persone giuridiche:

(per servizi di investimento si intende l’offerta di prodotti finanziari a terzi al fine di raccogliere disponibilità finanziarie)

società di intermediazione mobiliare (sim) italiane: possono essere autorizzate dalla Consob ad offrire tutti i servizi di investimento. Una verifica può essere fatta nella sezione Intermediari del sito Consob; E' previsto dall'art. 20 del d.lgs. n. 58/1998 e

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contiene:- elenco Sim; sezione imprese extracomunitarie; e sezione speciale società fiduciarie All'albo è allegato l'elenco delle imprese di investimento comunitarie:- con succursale in Italia e- senza succursale

banche italiane: possono essere autorizzate dalla Banca d'Italia ad offrire tutti i servizi di investimento;

società di gestione del risparmio (sgr) italiane: possono essere autorizzate dalla Banca d'Italia all'esercizio dell'attività di gestione individuale di patrimoni; la verifica può essere fatta sul sito della banca d’italia sezione Funzioni di Vigilanza;

intermediari finanziari iscritti nell'elenco previsto dall'art. 107 del Testo Unico bancario e tenuto dalla Banca d'Italia: possono essere autorizzati solo alla negoziazione in conto proprio di strumenti finanziari derivati e al collocamento

banche di paesi comunitari: possono offrire i servizi per i quali sono state autorizzate dall'autorità di vigilanza del paese d'origine; la verifica può essere fatta presso gli uffici della Banca d'Italia;

imprese di investimento di paesi comunitari: possono offrire i servizi per i quali sono state autorizzate dall'autorità di vigilanza del paese d'origine; la verifica può esser fatta nella sezione Intermediari del sito Consob;

banche extracomunitarie: possono essere autorizzate dalla Banca d'Italia ad offrire tutti i servizi di investimento; la verifica può essere fatta presso gli uffici della Banca d'Italia;

agenti di cambio iscritti nel ruolo unico nazionale tenuto dal Ministero del tesoro: possono svolgere l'attività di negoziazione per conto terzi, collocamento, gestione individuale e ricezione e trasmissione di ordini nonchè mediazione; la verifica può essere fatta presso il Ministero del tesoro

I soggetti abilitati operano normalmente presso le loro sedi e dipendenze, dove il risparmiatore si reca per effettuare investimenti. A volte, però, la promozione ed il collocamento di servizi di investimento o prodotti finanziari viene svolta "fuori sede",e quindi anche presso il domicilio del risparmiatore. Il nostro ordinamento ha ritenuto che in questi casi il risparmiatore deve essere particolarmente tutelato, prevedendo che:

i soggetti abilitati si avvalgono di promotori finanziari, iscritti, dopo aver superato un esame, in un albo tenuto dalla Consob consultabile nella sezione "Intermediari " del sito, dove il risparmiatore può verificare l'effettiva iscrizione del promotore;

il risparmiatore ha 7 giorni di tempo dalla sottoscrizione per esercitare la facoltà di ripensamento e recedere dal contratto senza spese.

Nel parlare di servizi d’investimento si focalizza l’attenzione su soggetti che intendono investire le loro attività finanziarie . Poiché nella decisione d’investimento entrano in gioco sia fattori oggettivi che soggettivi standardizzare è difficile per cui è opportuno capire quali fattori vanno tenuti presenti nella scelta di un investimento . B intermediari abilitati ad offrire altri servizi finanziari In questa categoria rientrano tutti gli intermediari finanziari che possono esercitare: le seguenti attività previste dall’art. 106 del T.U.: – assunzione di partecipazioni;

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– concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma; – prestazione di servizi di pagamento (carte di credito) – intermediazione in cambi; – soggetti che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di concessione di

finanziamenti nei confronti del pubblico nella forma del rilascio di garanzie tutto svolto con le caratteristiche professionali In realtà gli intermediari creditizi veri e propri sono quelli orientati al margine da interesse per cui troviamo banche, soc. di credito al consumo,di leasing,di factoring, mentre altri intermediari orientati alle commissioni ma che svolgono attività creditizia sono emittenti carte ,confidi, merchant bank C intermediari abilitati ad offrire servizi monetari e di pagamento L’art. 114-bis del Testo unico bancario ha riservato l’emissione della moneta elettronica alle banche e agli IMEL, prevedendo per questi ultimi una specifica disciplina. Essa è volta a favorire lo sviluppo della moneta elettronica, attraverso l’introduzione di un quadro normativo neutro rispetto alle soluzioni tecnologiche prescelte per la sua realizzazione, e a preservare l’affidabilità degli IMEL attraverso l’adozione di un regime di vigilanza prudenziale calibrato sulle specificità di tali intermediari e ispirato al paradigma della sana e prudente gestione. L’IMEL esercita in via esclusiva l’attività di emissione della moneta elettronica attraverso la trasformazione immediata delle somme ricevute in moneta elettronica. In relazione all’esercizio di tale attività, l’IMEL cura altresì la gestione degli investimenti consentiti a fronte della moneta elettronica emessa. L’IMEL può, inoltre, svolgere attività connesse e strumentali a quella principale nonché prestare taluni servizi di pagamento; ad esso è comunque preclusa la concessione di crediti sotto qualsiasi forma. La moneta elettronica è un valore monetario rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente, memorizzato su un dispositivo elettronico; essa rappresenta uno strumento di pagamento accettato come mezzo di pagamento da soggetti diversi dall’emittente. La moneta elettronica è emessa previa ricezione di somme di valore non inferiore al valore monetario emesso. La ricezione di fondi connessa all’emissione di moneta elettronica non integra la fattispecie della raccolta del risparmio tra il pubblico. Le somme ricevute dall’IMEL a fronte della moneta elettronica emessa non costituiscono depositi della clientela;su di esse, pertanto, non sono corrisposti interessi e le stesse non sono coperte dai sistemi di garanzia dei depositi. Ulteriore caratteristica della moneta elettronica è il riconoscimento al detentore del diritto al rimborso della parte di essa non utilizzata. Il rimborso deve essere effettuato al valore nominale in moneta legale ovvero mediante versamento su un conto bancario, senza applicazione di ulteriori oneri e spese, fatta eccezione per quelli strettamente necessari per l’effettuazione dell’operazione. L’IMEL può prevedere che siano esclusi rimborsi per importi inferiori a 5 euro. La moneta elettronica si distingue sia dagli strumenti di accesso a distanza a depositi bancari sia da altri strumenti di pagamento, quali le carte di credito nonché le carte prepagate emesse da fornitori di beni e servizi e utilizzabili esclusivamente presso gli stessi. La moneta elettronica può avere caratteristiche tecniche e di funzionamento diverse, quali ad esempio: dispositivi basati sull’utilizzo di un supporto fisico o su software; strumenti nominativi o anonimi; ricaricabili o meno. Un caso particolarmente interessante è quello di MOBILMAT spa , primo operatore IMEL in Italia che emette carte prepagate ricaricabili.

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3.4.2 I Principi base per l’investimento di attività finanziarie In materia di risparmio e investimenti occorre tener sempre a mente tre criteri fondamentali: liquidità, sicurezza e rendimento. Naturalmente, l’ideale sarebbe poter conseguire risultati positivi per ciascuno di questi tre fattori, vale a dire ottenere redditi elevati in assoluta sicurezza potendo contare su una disponibilità costante. In realtà questi tre obiettivi sono inversamente proporzionali. Infatti, una maggiore sicurezza va a scapito del rendimento, mentre un rendimento più elevato richiede un compromesso in termini di durata e sicurezza. Solo con una strategia di investimento equilibrata i tre fattori sono equamente ripartiti a seconda della propensione al rischio dell’investitore e delle aspettative di rendimento. Investimenti e rischi Chi auspica un reddito elevato deve essere necessariamente disposto ad accettare maggiori rischi. L’andamento di un investimento è strettamente correlato all’orientamento specifico dell’investimento. I rischi maggiori si corrono investendo in azioni o in valute estere. Per superare indenni eventuali oscillazioni dei corsi, gli investitori devono puntare a un orizzonte temporale pluriennale. Man mano che aumenta la durata dell’investimento si riduce, ma non si esclude, il rischio di perdita. Infine occorre tener presente che i rendimenti passati non sono garanzia di rendimenti futuri

. La figura riportata qui sopra illustra chiaramente il conflitto esistente tra rischio (sicurezza) e rendimento (redditività). È fondamentale sapere che il potenziale di rendimento è direttamente proporzionale al rischio. Il Rendimento

Il rendimento di un prodotto finanziario è dato dal rapporto fra il valore finale dell’investimento e il valore iniziale dell’investimento:

Rendimento = Valore finale/valore iniziale

Il valore finale dell’investimento può essere espresso come somma del valore iniziale dell’investimento e il guadagno (o perdita) maturato nell’intervallo di tempo preso a riferimento:

Si definisce tasso di rendimento il rapporto fra il guadagno (o perdita) maturato nell’intervallo di tempo preso a riferimento e il valore iniziale dell’investimento:

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In genere la letteratura finanziaria utilizza il termine “Rendimento” come sinonimo di “Tasso di rendimento per cui in seguito sarà così utilizzato. Il guadagno di un investimento può esprimersi sotto tre forme generali:

1. Interesse maturato sul valore nominale del prodotto finanziario 2. Dividendi su quote di partecipazione al capitale sociale 3. Capital gain sulla compravendita di prodotti finanziari

Mentre il capital gain è subito determinato come il guadagno derivante dalla differenza fra il prezzo di vendita o di rimborso e il prezzo di acquisto o sottoscrizione del prodotto finanziario, per gli interessi non c’è una forma comune di calcolo e tanto meno per i dividendi una forma di assegnazione. I prodotti finanziari che generano interessi sono definiti titoli di debito: chi acquista un titolo di debito diviene finanziatore della società o dell’ente che l’ha emesso e si ha il diritto a percepire periodicamente gli interessi previsti dal regolamento dell’emissione e, alla scadenza, al rimborso del capitale prestato. I prodotti finanziari che generano dividendi sono definiti titoli di capitale: chi acquista un titolo di capitale diviene socio della società emittente ed ha diritto a percepire annualmente il dividendo sugli utili conseguiti nel periodo di riferimento che l’assemblea dei soci deciderà di distribuire. Conoscere i rischi delle alternative di investimento La scelta di un prodotto finanziario per l’investitore è indirizzata a soddisfare due esigenze: massimizzare il valore atteso del rendimento dell’investimento e nello stesso tempo minimizzare il rischio di disinvestire ad un rendimento molto basso rispetto al rendimento atteso. Il rischio è quindi il principale strumento insieme al rendimento per la valutazione della qualità di un investimento. I principali strumenti utilizzati nell’analisi del rischio di un prodotto finanziario sono tre, ciascuna delle quali mette in luce aspetti diversi del rischio di un investimento: Volatilità, Rendiment at Risk, Value at Risk; La volatilità (s) si rifà al concetto di “scarto quadratico medio” o “deviazione standard” del calcolo statistico e quindi misura lo scostamento medio di una variabile dal suo valore atteso, nel caso del rendimento la volatilità da l’idea di quanto si allontana mediamente (cioè con probabilità del 50%) il rendimento dal suo valore atteso. Il Rendiment at Risk (RaR) misura lo scostamento massimo del rendimento dal suo valore atteso fissato il livello di confidenza. Il livello di confidenza è scelto dall’analista, in genere si sceglie il 95% e rappresenta la probabilità che il rendimento non scenda verso il basso rispetto al rendimento atteso di una quantità superiore al RaR, ossia la probabilità che lo scostamento non superi il RaR. Consegue che se scegliamo un livello di confidenza più grande di 95% il valore RaR diventa più grande e viceversa. Si può osservare che la volatilità in realtà è il RaR con un livello di confidenza del 50%:

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Livello di confidenza

Scostamento dal rendimento atteso

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Il Value at Risk (VaR) misura invece lo scostamento massimo del valore dell’investimento dal suo valore atteso fissato il livello di confidenza. Livello di confidenza

Scostamento dal valore atteso dell’investimento Mentre il RaR da l’idea di quanto possa scendere nei casi più sfortunati il rendimento dell’investimento rispetto al rendimento atteso, il VaR da l’idea di quanto possa scendere nei casi più sfortunati il valore dell’investimento rispetto al valore finale atteso. Il VaR rispetto al RaR riesce a dare una più concreta quantificazione del rischio di un investimento così come il guadagno è più concreto ed intuitivo del rendimento (o meglio del tasso di rendimento). Il VaR è oggi uno degli indicatori di rischio più utilizzati grazie alle nuove metodologie di calcolo e allo sviluppo informatico; l’attenzione per questo indice nasce soprattutto per la facilità nel confrontare il rischio di prodotti finanziari diversi, fra un prodotto e un portafoglio finanziario e gli indici di mercato. Rischio e rendimento Non tutte le soluzioni di investimento sono indicate in uguale misura per gli investitori privati. Conoscere la propria propensione al rischio rappresenta un presupposto assolutamente imprescindibile. Individuare la strategia di investimento ideale non è per niente facile. Un boom delle borse determina una maggiore propensione al rischio, mentre in una fase di stagnazione si propende verso investimenti sicuri. Per definire il proprio profilo di investimento e la propria propensione al rischio occorre porsi domande mirate e successivamente discuterne con il consulente o con l’intermediario finanziario. Al fine di garantire il privato dopo i vari fatti accaduti anche eclatanti come Parmalat e Cirio l’ABI (Associazione bancaria Italiana) ha promosso l’iniziativa “ Patti Chiari” . Tali norme di comportamento, poi adottate da tutti gli operatori prevedono che gli intermediari attraverso una intervista del cliente devono definire il profilo di rischio del cliente e monitorarlo nel tempo. Questo per tutelare il cliente da potenziali operazioni pericolose per il suo profilo .

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: Profili

Obiettivo d’investimento

Descrizione Finalità Profilo di

rischio

Sicurezza Investimenti del mercato monetario e obbligazioni; quota azionaria nulla

Mantenimento del valore con reddito regolare

Rischio minimo

Reddito In prevalenza obbligazioni; quota azionaria ridotta

Mantenimento del valore con reddito regolare e incremento del valore attraverso una quota azionaria ridotta

Rischio ridotto

Equilibrio Composizione del portafoglio equilibrata tra azioni e obbligazioni

Mantenimento del valore con reddito regolare e incremento del valore attraverso una modesta quota azionaria

Rischio medio

Crescita In prevalenza azioni; quota obbligazionaria ridotta

Incremento del valore a lungo termine attraverso una quota azionaria superiore alla media

Rischio superiore alla media

Utile di capitale In prevalenza azioni; quota obbligazionaria nulla

Incremento del valore a lungo termine attraverso una quota azionaria molto elevata

Rischio elevato

Strategia di investimento La strategia di investimento determina la diversificazione, vale a dire la ripartizione dell’investimento tra diverse categorie. Un portafoglio diversificato ha come obiettivo quello di ottimizzare il rapporto tra rischio e rendimento, ripartendo l’intero capitale investito su diverse classi di attività e singoli titoli:

Ripartizione tra diversi strumenti di investimento quali azioni, obbligazioni, titoli del mercato monetario ecc.

Ripartizione tra diverse imprese, settori e Paesi

Ripartizione in base alla valuta

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Gli investimenti in azioni di società differenti saranno caratterizzati da una maggiore stabilità a livello dei corsi rispetto a quelli in azioni emesse da un’unica azienda. In tal modo il rischio specifico (o non sistematico) di un titolo si riduce. Altri fattori determinanti nella scelta della strategia di investimento sono la tolleranza al rischio, la durata dell’investimento, la fase della vita in cui si trova l’investitore e la sua situazione patrimoniale: Tolleranza al rischio In che misura si è disposti a correre un rischio? La tolleranza al rischio è determinata da due fattori che influiscono sulla scelta della strategia di investimento:

Capacità di rischio Propensione al rischio

La capacità di rischio è determinata da criteri oggettivi. Ponetevi le seguenti domande: Avrò bisogno del denaro nei prossimi 10 anni? Devo utilizzare il denaro per la previdenza di vecchiaia?

La propensione al rischio è determinata da criteri soggettivi. Ponetevi le seguenti domande: Sono disposto ad accettare consistenti oscillazioni dei corsi? Seguo attivamente l’andamento dell’economia? Quali sono le mie esperienze nell’ambito delle operazioni su titoli?

A seconda della tolleranza al rischio esiste un’adeguata strategia di investimento:

Tolleranza al rischio elevata Tolleranza al rischio ridotta

Strategia di investimento aggressiva: Orizzonte temporale: 5-10 anni Oscillazioni di valore elevate nel breve periodo Redditi complessivi superiori alla media nel lungo periodo

Strategia di investimento difensiva: Orizzonte temporale: 3-5 anni Oscillazioni di valore contenute nel breve periodo Redditi complessivi più contenuti nel lungo periodo

Durata dell’investimento Più lungo è l’orizzonte temporale, maggiore è la probabilità di raggiungere i propri obiettivi di rendimento. Optando per un investimento con un orizzonte piuttosto lungo è possibile far fronte a rischi più elevati sotto forma di oscillazioni dei corsi. Si corrono rischi elevati soprattutto scegliendo investimenti in azioni e in valute estere. Poiché le variazioni dei corsi possono determinare anche cadute, per gli investimenti più rischiosi gli investitori devono optare per un orizzonte temporale piuttosto lungo. Da alcuni studi è emerso che gli investitori che scelgono soluzioni rischiose con un orizzonte temporale di oltre 8 anni vengono poi ricompensati con rendimenti superiori alla media. Fase della vita L’evoluzione finanziaria può essere suddivisa in tre fasi: La prima fase è caratterizzata dalla costituzione del patrimonio; famiglia e carriera svolgono un ruolo fondamentale. La fase successiva è segnata dall’incremento del patrimonio; spesso si acquista la casa dei propri sogni e si prendono importanti decisioni a livello professionale.

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Durante la terza fase svolgono un ruolo di primo piano la pianificazione previdenziale e successoria nonché strategie di investimento mirate al mantenimento del valore del patrimonio accumulato. In tutte e tre le fasi le persone tendono a prendere decisioni in numerosi ambiti: dalle imposte agli investimenti patrimoniali, dalla carriera al finanziamento della proprietà d’abitazione, dalla costituzione di un’impresa all’educazione dei figli, senza tralasciare la pianificazione previdenziale, le assicurazioni, l’eredità, la pianificazione successoria, ecc. Situazione patrimoniale La scelta della strategia di investimento è legata anche alla propria situazione finanziaria presente e futura, in base alla quale si opta per la forma di investimento ideale (azioni, fondi, ecc.). È opportuno porsi le seguenti domande: Quali saranno la mia situazione patrimoniale e il mio reddito tra 3, 5 o 10 anni? Si prospettano spese ingenti o si prevede l’acquisto di una casa? Nel caso di una coppia in cui entrambe i partner percepiscono un reddito, esiste la possibilità che uno dei due abbandoni o riduca (provvisoriamente) l’attività lucrativa? Sono previste donazioni o eredità che potrebbero migliorare sensibilmente la situazione patrimoniale? Esiste una copertura assicurativa adeguata per i rischi d’invalidità e di decesso? In che modo influisce sul reddito e sul patrimonio? Scegliere la strategia di investimento ideale non è affatto semplice. È una decisione che andrebbe analizzata e discussa con uno specialista del settore.

3.5 Gli strumenti finanziari destinati agli investitori Ai sensi del d. lgs. 58/98 per "strumenti finanziari" si intendono: a) azioni e altri titoli rappresentativi di capitale di rischio negoziabili sul mercato dei capitali; b) obbligazioni, titoli di Stato e altri titoli di debito negoziabili sul mercato dei capitali; c) quote di organismi di investimento collettivo (ossia quote di fondi comuni d'investimento); d) titoli normalmente negoziati sul mercato monetario; e) qualsiasi altro titolo normalmente negoziato che permetta di acquisire gli strumenti indicati nelle precedenti lettere, e i relativi indici; f) contratti "futures" su strumenti finanziari, su tassi di interesse, su valute, su merci e sui relativi indici, anche quando l'esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti; g) contratti di scambio a pronti e a termine (swaps) su tassi di interesse, su valute, su merci nonché su indici azionari (equity swaps), anche quando l'esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti; h) contratti a termine collegati a strumenti finanziari, a tassi d'interesse, a valute, a merci e ai relativi indici, anche quando l'esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti; i) contratti di opzione per acquistare o vendere gli strumenti indicati nelle precedenti lettere e i relativi indici, nonché contratti di opzione su valute, su tassi d'interesse, su merci e sui relativi indici, anche quando l'esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti; j) combinazioni di contratti o di titoli indicati nelle precedenti lettere. In realtà quanto sopra previsto è possibile classificare in quattro segmenti principali :

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A. le azioni; B. le obbligazioni e i titoli di stato C. I fondi comuni e Sicav D. i contratti derivati come futures, swaps, opzioni A Azioni

Un’azione (o titolo azionario) è il riferimento unitario nella partecipazione alla proprietà di una S.p.A. (Società per azioni) o di una S.a.p.A. (Società in accomandita per azioni), nel senso che costituisce quel documento cartaceo nel quale viene attestato il possesso di una quota unitaria del capitale sociale (c.s.) della società. In questo modo, quindi, il possessore di una azione si dice che è proprietario di una unità del c.s. della società, o più brevemente che è proprietario di una quota societaria, e per questo diventa socio della società. Ovviamente, nulla vieta di possedere più di una azione di una stessa società, nonché di diverse società. Tra l’altro, gli elementi contenuti nel documento cartaceo sono dettagliatamente elencati nell’art.2354 del codice civile (c.c.). In realtà va però detto che a partire dal 4/1/99 le azioni non sono più messe in circolazione sotto forma di documenti cartacei, bensì compaiono esclusivamente sotto forma di registrazione contabile presso la società emittente e l’intermediario finanziario. Il capitale sociale di una società non è altro che quella voce (espressa in termini monetari), che compare al passivo del suo bilancio, che contiene l’ammontare complessivo del capitale apportato dai soci. Questa somma è proprio pari al prodotto tra il numero delle azioni ed il loro valore nominale, dove il valore nominale di ogni azione è quello stabilito in fase di emissione uguale per tutte. Successivamente alla nascita della società, il capitale sociale può subire degli aumenti con conseguente emissione di nuove azioni. Da notare che anche per tutte le altre società diverse dalle S.p.A. e S.a.p.A. è possibile definire un capitale sociale, però in questi casi le quote di partecipazione non possono essere costituite da azioni. Una volta che la società nasce, i soci fondatori possono decidere se continuare a detenere il 100% delle azioni (cioè del c.s. della società) oppure metterne in circolazione una parte. In questo secondo caso occorre però distinguere due momenti distinti:

1. l’emissione delle azioni sul mercato primario. Durante questa fase i titoli vengono per la prima volta offerti al pubblico, o perché si è deciso di rendere pubblica una quota della società oppure perché si sta eseguendo un aumento di capitale sociale con conseguente emissione di nuove azioni. In genere, le emissioni sul mercato primario avvengono tramite banche (si pensi, per esempio, alle privatizzazioni di imprese pubbliche tipo l’E.N.E.L. o all’offerta al pubblico di azioni di società private tipo Tiscali);

2. la quotazione delle stesse azioni su qualche mercato secondario. Una volta emesse sul mercato primario, le azioni possono infatti circolare liberamente nei cosiddetti mercati secondari in cui gli investitori che vogliono acquistare o vendere dei titoli si incontrano tramite intermediari finanziari. Sono esempi di mercati secondari le borse ed i mercati telematici.

E’ quindi chiaro come nel caso in cui i soci fondatori continuano a detenere il 100% delle azioni, si tratti di una società non quotata in nessun mercato secondario. Un tipico esempio di

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un tale tipo di società è quello della Ferrero S.p.A. Le azioni possono in generale essere classificate secondo diversi criteri:

1. possono essere nominative o al portatore: sono nominative le azioni che conferiscono al possessore i diritti e gli obblighi

in virtù del fatto che sul titolo stesso è contenuta un’intestazione personale (nel qual caso la stessa intestazione compare anche in un apposito registro della società emittente). In pratica tutte le tipologie di azioni devono essere nominative per legge, con la sola eccezione delle azioni di risparmio;

sono viceversa al portatore le azioni che conferiscono i diritti e gli obblighi ad un qualunque soggetto che si trovi in possesso del titolo. E come già detto, è possibile optare per questa categoria di azioni solo riguardo a quelle di risparmio;

2. possono altresì essere ordinarie, privilegiate, postergate, di risparmio e per i dipendenti:

sono ordinarie le azioni nominative, quotate o non quotate, che conferiscono al titolare i tradizionali diritti di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie (dove ogni azione posseduta vale per un voto) nonché il diritto ad una quota degli eventuali dividendi o ancora ad una quota del patrimonio netto della società in caso di liquidazione, proporzionalmente al numero di azioni possedute rispetto al totale. In questi ultimi due casi, occorre però commisurare i propri diritti a quelli dei possessori delle azioni non ordinarie (per alcune categorie di azioni non ordinarie, infatti, come si vedrà, sono previsti alcuni privilegi nella ripartizione dei dividendi e del patrimonio netto in caso di liquidazione). Esistono poi tutta un’altra serie di diritti e di obblighi per il titolare di azioni ordinarie che esulano dallo scopo di questo testo (ci si può ad esempio riferire agli artt. 2347,2350,2351,2352 e 2354 c.c., nonché al prospetto informativo associato all’emissione);

sono privilegiate le azioni nominative, quotate o non quotate, che conferiscono al titolare il diritto di voto solo nelle assemblee straordinarie. Di contro tali azioni godono di priorità nella ripartizione dei dividendi e del patrimonio netto della società in caso di liquidazione. Da notare però che queste tipologie di azioni possono essere emesse per un ammontare non superiore al 50% di tutto il c.s. della società;

sono postergate le azioni nominative non quotate che conferiscono al titolare sia dei diritti di voto limitati (solo il voto nelle assemblee straordinarie oppure addirittura nessun diritto di voto) che delle limitazioni, in termini di ammontare, nella ripartizione dei dividendi e del patrimonio netto della società in caso di liquidazione. Di contro, però, queste azioni hanno priorità rispetto alle azioni ordinarie nella ripartizione del patrimonio netto in caso di liquidazione della società e nel caso di riduzione del c.s.. Rientrano in questa categoria anche le azioni di godimento;

sono di risparmio le azioni, nominative o al portatore (a scelta del socio azionista), quotate o non quotate, che non conferiscono alcun diritto di voto al

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possessore. Di contro, godono di particolari privilegi patrimoniali come un dividendo annuo minimo garantito, la priorità nel caso di liquidazione del patrimonio netto della società, ecc. Anche l’ammontare complessivo di queste azioni non può superare il 50% di tutto il c.s.;

sono infine per i dipendenti le azioni nominative, quotate o non quotate espressamente definite dall’art. 2349 c.c. Si tratta di azioni che possono conferire o meno delle limitazioni nell’esercizio del diritto di voto, e possono anche conferire dei privilegi patrimoniali. Vengono tuttavia emesse solo in casi particolari ed esclusivamente a favore dei dipendenti della società.

In tutti i casi di azioni quotate, indipendentemente dai diritti che conferiscono, c’è sempre la possibilità di realizzare dei guadagni o perdite acquistando e vendendo tali azioni su qualche mercato secondario. Vanno infine chiariti i significati di:

1. ripartizione di dividendi. I dividendi sono una parte degli utili che la società decide di distribuire ogni anno tra i vari azionisti. E quando capita ciò, si applicano le descritte priorità tra i possessori delle diverse categorie di azioni;

2. ripartizione del patrimonio netto in caso di liquidazione della società. Una società può essere liquidata (sciolta) per tutta una serie di ragioni (fallimento, conseguimento dell’ogget- to sociale o impossibilità nel conseguirlo, ecc.). In ogni caso ciò che importa è il fatto che il suo patrimonio netto (vale a dire l’insieme del c.s., riserve ed utili accumulati durante i vari anni di esercizio) deve essere distribuito tra i vari soci. Nuovamente, quindi, in questa ripartizione si applicano le regole di priorità tra i possessori delle diverse categorie di azioni precedentemente definite;

3. assemblea ordinaria e straordinaria. In genere una società prende le sue decisioni e le mette in pratica tramite degli organi sociali. L’assemblea è proprio uno di questi organi, ed in particolare ha il compito di prendere le decisioni sulla vita della società. Per le decisioni di ordinaria amministrazione (approvazione del bilancio, politiche di gestione della società, ecc.) viene semplicemente convocata l’assemblea ordinaria, mentre per prendere delle decisioni straordinarie (modifiche dell’atto costitutivo, emissione di obbligazioni, ecc.) viene convocata l’assemblea straordinaria. A seconda allora della categoria di azioni che ogni socio possiede, potrà o meno partecipare a queste assemblee per esprimere il proprio voto.

B Obbligazioni L'obbligazione (spesso chiamata con il termine inglese bond) è un titolo di credito emesso da società o enti pubblici che attribuisce al possessore il diritto al rimborso del capitale più un interesse. Lo scopo di un'emissione obbligazionaria (o prestito obbligazionario) è il reperimento di liquidità. Di solito, il rimborso del capitale avviene alla scadenza al valore nominale e in un'unica soluzione, mentre gli interessi sono liquidati periodicamente (trimestralmente, semestralmente o annualmente). L'interesse corrisposto periodicamente è

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detto cedola perché in passato per riscuoterlo si doveva staccare il tagliando numerato unito al certificato che rappresentava l'obbligazione. Se l'emittente non paga una cedola (così come se è insolvente nei confronti delle banche o di creditori commerciali), un singolo obbligazionista può presentare istanza di fallimento. Le tipologie di obbligazioni offerte sul mercato possono essere schematizzate come segue

Obbligazioni convertibili: sono obbligazioni che incorporano la facoltà di convertire, ad una scadenza prefissata, il prestito obbligazionario in azioni secondo un rapporto di cambio predeterminato.

Obbligazioni a tasso fisso: sono obbligazioni che remunerano l'investimento ad un tasso di interesse fisso stabilito prima dell'emissione. All'interno della categoria delle obbligazioni a tasso fisso è tuttavia possibile distinguere almeno due diverse tipologie di obbligazioni, che prevedono che il tasso fisso prestabilito cresca o diminuisca durante la vita del titolo (si tratta, rispettivamente, delle obbligazioni "step up" e "step down").

Obbligazioni a tasso variabile: sono obbligazioni che remunerano l'investimento ad un tasso di interesse variabile. Il tasso varia a determinate scadenze temporali seguendo i tassi di mercato.

Obbligazioni Zero-Coupon (o Zero-Coupon Bonds, abbreviato ZCB): sono obbligazioni senza cedola (coupon) che quindi non liquidano periodicamente gli interessi ma li corrispondono unitamente al capitale alla scadenza del titolo. La duration di uno ZCB è uguale alla sua vita residua.

Obbligazioni strutturate: sono obbligazioni il cui rendimento dipende dall'andamento di un'attività sottostante.

Rendite perpetue: sono obbligazioni che corrispondono perpetuamente una cedola predefinita. Tali obbligazioni non presuppongono nessun rimborso a termine

Senza addentrarci nella tecnica connessa alla valutazione delle obbligazioni ricordiamo che, trattandosi di un titolo di debito emesso da un soggetto giuridico (impresa privata o pubblica, banca o altro) è evidente che il rischio principale corso dal sottoscrittore è quello del mancato rimborso del capitale alla scadenza del prestito. Per cui quello che conta è la qualità (solvibilità) dell'emittente che viene espressa mediante una misura globalmente riconosciuta: il rating. Il rating esprime la classificazione della qualità degli emittenti di un titolo obbligazionario secondo determinati criteri che spaziano dalla solidità finanziaria alla potenzialità dell'emittente. Esistono istituti che propongono differenti notazioni concernenti la qualità dei debitori, tra i più noti vi sono Standard & Poor's e Moody's. Concretamente il rating è una sorta di punteggio ponderato che gli istituti attribuiscono ai differenti emittenti. Le obbligazioni con rating AAA esprimono il più alto grado di qualità dell'emittente. Bond con rating inferiori ingloberanno, nella loro quotazione, una riduzione del corso derivante dall'inferiore qualità dell'emittente I titoli di stato Trattasi di obbligazioni emesse dallo Stato che in Italia assumono le seguenti tipologie in funzione della durata e del tipo di calcolo del tasso di rendimento offerto al per il sottoscrittore.

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BOT Sono titoli di credito a breve termine emessi dal Tesoro al fine di finanziare il debito pubblico, con scadenze a 3, 6 e 12 mesi. Alla scadenza l’investitore riceve una somma di denaro pari al valore nominale complessivo dei titoli posseduti. In altre parole l’incasso a scadenza è noto al momento dell’acquisto dei titoli; essi però non danno diritto ad alcun pagamento di interessi prima della scadenza. Ciò però non significa che tali titoli non fruttano degli interessi, in quanto vengono pagati posticipatamente, ossia alla scadenza quando il titolo viene rimborsato al suo valore nominale. L’investimento avviene acquistando il titolo (tramite intermediari autorizzati: banche, SIM, uffici postali), all’emissione oppure in un istante intermedio tra l’emissione e la scadenza. BTP I Buoni del Tesoro poliennali (Btp) sono titoli rappresentativi del debito pubblico a medio/lungo termine emessi dal Tesoro. Possono essere sia titoli al portatore sia titoli all'ordine a seconda che vengano emessi rispettivamente dalla Tesoreria centrale o dalla direzione generale del Tesoro. Vengono collocati agli intermediari autorizzati dalla normativa vigente (Banche, Sim, Sgr, Poste italiane, etc.), seguendo il meccanismo di asta marginale (ossia vengono assegnati al minimo prezzo accolto in asta) e, in caso di domanda superiore all'offerta, vengono ripartiti proporzionalmente in base alle richieste. Una volta collocati i Btp vengono negoziati in Borsa, previa disposizione della Borsa Italiana, e precisamente sul Mot (mercato telematico delle obbligazioni e dei titoli di Stato); la loro quotazione è espressa al cosiddetto "corso secco", ossia senza considerare i ratei di interessi già maturati. I Btp possono essere emessi alla pari (valore di emissione uguale al valore nominale) oppure sotto la pari (valore di emissione minore del valore nominale) e pagano cedole di interessi a scadenze e tassi fissi; le scadenze presentano lunghezze pari a 3, 5, 7, 10 e 30 anni e il taglio minimo di sottoscrizione è pari a 1000 Euro. Per quanto concerne la fiscalità, i Btp sono esenti dall'imposta successoria mentre sono gravati dall'imposta di donazione sui trasferimenti a titolo gratuito tra vivi e per la costituzione di dote del patrimonio familiare (si deve tenere conto, nel caso di donazioni, della franchigia pari a trecento milioni di lire).I redditi derivanti dai Btp vengono tassati diversamente in base alla natura degli stessi; il Dlgs. 461/97 (entrato in vigore il 1° luglio 1998) distingue fra: 1. Redditi da capitale 2. Redditi diversi di natura finanziaria .I redditi da capitale, come le cedole, non sono fra loro compensabili e vengono tassati al 12,50%; i redditi diversi come le plusvalenze (realizzate) sono fra loro compensabili e vengono tassati sempre ad una aliquota del 12,50%. Vale il discorso dei diversi regimi di imposizione così come mostrati per i Bot. CCT I Certificati di credito del Tesoro (Cct) sono titoli a medio/lungo termine emessi dal tesoro per finanziare il debito pubblico. Possono essere sia titoli al portatore che titoli all’ordine e presentano un rendimento variabile indicizzato al rendimento dei Bot semestrali. Il meccanismo di indicizzazione delle cedole è il seguente:Al momento dell’emissione viene fissato il tasso della prima cedola (che quindi non è variabile);per determinare il tasso delle ced0le successive si considera il tasso dei Bot semestrali registrato nel corso dell’ultima asta tenutasi il mese precedente rispetto alla decorrenza della prima cedola. Al tasso così ottenuto si aggiunge poi una percentuale che va dallo 0,30% all’1% (spread), in relazione alla durata del Cct. I Cct vengono emessi con scadenze pari a 5, 7 e 10 anni e possono essere sottoscritti per

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un importo minimo pari a 1000 Euro. Vengono assegnati agli intermediari autorizzati dalla legge vigente (Banche, Sim, Sgr, Poste Italiane etc.) seguendo il meccanismo d’asta marginale (ossia vengono assegnati tutti al minimo prezzo accolto in sede d’asta).Una volta ricevuto il decreto di emissione, la Borsa Italiana dispone l’ammissione alle quotazioni di Borsa, e precisamente nel Mot (mercato telematico delle obbligazioni e dei titoli di Stato).I cct vengono quotati a “corso secco” ossia senza considerare la parte di interessi (rateo) già maturata dalla decorrenza della cedola in corso, e quindi il prezzo di acquisto si ottiene sommando al corso secco del titolo il relativo rateo d’interessi. Per quanto riguarda la fiscalità dei Cct, si rimanda a quanto detto per i Bot e per i Btp:- sono esenti dall’imposta di successione;- sono soggetti all’imposta di donazione per trasferimenti a titolo gratuito per atti fra vivi e per la costituzione di dote e del patrimonio familiare; sono soggetti ad una ritenuta pari al 12,50% sui redditi da capitale (cedole); sono soggetti ad un’aliquota del 12,50% sui redditi diversi come le plusvalenze realizzate tramite la negoziazione. CTZ I Certificati del Tesoro Zero Coupon (Ctz) sono, come i Bot, titoli a reddito fisso che non pagano cedole durante la loro vita, la quale presenta scadenze pari a 18 e 24 mesi. Ulteriore elemento distintivo fra i Ctz e i Bot riguarda il meccanismo di tassazione dello scarto di emissione. Nei Ctz l’imposta sullo scarto di emissione è applicata (soggetti residenti, persone fisiche) al momento del rimborso e quindi viene decurtato il valore nominale di rimborso di un importo pari al 12,50% dello scarto di emissione; mentre per quanto concerne i Bot l’aliquota del 12,50% va ad aggiungersi al prezzo di acquisto per determinare l’esborso complessivo iniziale (al netto di eventuali commissioni).Per quanto concerne tutte le altre caratteristiche dei Ctz, si rimanda a quanto detto per i Bot. Tra gli strumenti finanziari, di solito a breve termine, vanno inseriti anche i pronto contro termine che gli intermediari offrono alla clientela come investimento temporaneo di liquidità. Tale operazione classificata come un prestito di denaro che il cliente fa all’intermediario trova poi la sua configurazione contrattuale con una doppia operazione in titoli (di solito obbligazionari) PRONTI CONTRO TERMINE Il "pronti contro termine" è una operazione tramite la quale un soggetto compra (vende), da una controparte, un certo ammontare di titoli o di valuta a pronti, con l'impegno di vendere (comprare) a termine (ad un prezzo prestabilito) la stessa quantità di titoli o valuta, alla medesima controparte. Colui che vende a pronti ottiene, in pratica, un finanziamento dal compratore che, a sua volta, riceve un prestito di titoli o di valuta dal venditore. Tale tipo di operazione è nata in Italia nel 1979 per consentire alla Banca centrale il controllo sul quantitativo di base monetaria nel sistema; in seguito tali operazioni si sono diffuse anche presso le aziende e i risparmiatori. Sono operazioni che presentano durata variabile da uno a tre mesi e generalmente si basano sullo scambio di titoli trattati nel mercato monetario oppure di obbligazioni. Tale tipo di strumento viene utilizzato da diversi operatori e con diverse finalità: la banca centrale li utilizza per controllare la massa monetaria nel sistema ed anche come strumento per indirizzare i tassi di interesse; gli intermediari finanziari per gestire i propri impegni di tesoreria e come strumento finanziario per la clientela; le imprese per ottenere finanziamenti a brevissimo termine alle condizioni di tasso del mercato monetario; infine i risparmiatori come forma di investimento

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C. I fondi comuni e il risparmio gestito. Tra le categorie di strumenti finanziari quella di maggior ampiezza come tipologia è quella dei Fondi comuni Il primo fondo fu venduto in Italia nel 1968: era di diritto lussemburghese, si chiamava Fonditalia ed era commercializzato dalla rete Fideuram, l'anno dopo anche il Credito Italiano creò Capitalitalia sempre in Lussemburgo. Entrambi sono ancora sottoscrivibili. Fonditalia fu creato dall'americano Bernie Cornfield, il quale creò anche la rete di vendita piramidale di Fideuram, che nonostante varie vicessitudini rappresenta ancora oggi la prima rete di vendita in Italia. Fideuram era di proprietà della IOS (Investors Overseas Services) che a sua volta era di proprietà di Cornifield. Questo sino al 1972, data in cui entrò in crisi per delle scorrettezze contabili. Intervenne la Banca d'Italia in difesa dei risparmiatori italiani che avevano partecipato al fondo per 200 milioni di dollari e Fideuram passò all'Imi, che allora era una banca pubblica. Nel 1983 quando il legislatore dovette redigere una legge di permesso per i fondi di diritto italiano, si ispirò alla vicenda di Fonditalia. Anche Capitalitalia costituisce un'esperienza ultra decennale nel panorama italiano ed è stato capace di attraversare trent'anni di crisi, dal 69 al 99, riuscendo ad avere un rendimento medio annuo composto dell'11,2% contro un rendimento delle azioni italiane dell'8%. Fondi e sicav di diritto lussemburghese erano l'unica forma di investimento collettivo nel panorama del risparmio gestito venduti agli italiani prima della legge del 1983. Di questi ancora in Italia ce ne sono una cinquantina e sono del tutto identici ai fondi comuni di investimento di diritto italiano anche sul piano fiscale Il valore giornaliero della quota incorpora la tassazione fiscale del 12,5% -diversamente dalle quote delle sicav di diritto estero che sono al lordo e il prelievo fiscale viene attuato al momento della vendita se si è verificata una plusvalenza Fondi aperti I fondi comuni aperti sono così definiti perchè i suoi partecipanti o sottoscrittori, hanno il diritto di chiedere, in qualsiasi momento, il rimborso delle quote secondo le modalità previste dalle regole di funzionamento del fondo. In un fondo aperto è facile entrare o uscire, in qualsiasi momento, visto che il valore delle quote viene riportato giornalmente anche sui principali quotidiani nazionali. I fondi comuni aperti sono divisi in categorie, la più riconosciuta è quella patrocinata da Assogestioni, come riportata di seguito: Fondi azionari Fondi settoriali o specializzati Fondi flessibili Fondi bilanciati Fondi obbligazionari Fondi monetari Sulla scia dei Fondi Aperti oggi sono offerti sul mercato anche altri prodotti similari che sono Sicav SICAV – Società di Investimento a Capitale Variabile - società per azioni a capitale variabile, avente per oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante

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l’offerta al pubblico di proprie azioni. La principale differenza tra un fondo comune ed una Sicav è che per partecipare alla gestione, il risparmiatore, non deve acquistarne delle quote, ma delle azioni. Quindi, acquistando delle quote di una Sicav, si acquistano le azioni della società e di conseguenza si diventa soci della stessa, questa è la grande differenza: diventando soci si gode dei diritti acquisiti come l’esercizio del diritto di voto, sulle vicende sociali e sulla politica di investimento della società, facoltà che non viene mai esercitata dall’investitore-socio. Comunque sia, per il risparmiatore non cambia molto tra l’investimento in una Sicav ed in un Fondo Comune d’Investimento, tranne che per il trattamento fiscale. Infatti, nonostante siano fondi di diritto estero, pagano l’imposta prevista in Italia del 12,5% sulle plusvalenze, come per i fondi di diritto italiano, ma a differenza di quest’ultimi, per i quali il calcolo fiscale deve essere fatto giornalmente, con la possibilità di accantonare le perdite per controbilanciare le plusvalenze future, le quote delle sicav sono contabilizzate al lordo dell’imposta fiscale, la quale viene calcolata solamente al momento del riscatto da parte del cliente, se si sono verificati dei guadagni. E’ plausibile pensare che in certi momenti di mercato favorevole, le sicav possono – a parità di rendimento – avere risultati migliori rispetto i fondi di diritto italiano, in quanto non sono gravati del 12,5 % sulle plusvalenze e nel lungo periodo questa piccola differenza può incidere sul rendimento dell’intero capitale; nel senso che, le sicav godono della rivalutazione di quanto non sono tenuti a versare alle casse dell’erario giornalmente, come per i fondi di diritto italiani. Per chi volesse scegliere di investire in una sicav, non deve certo farsi influenzare da questa considerazione: la bravura del gestore è ben più importante che la possibilità di non pagare giornalmente il capital gain. Fondi chiusi I fondi chiusi sono l’alternativa ai fondi aperti. Nei fondi aperti si può uscire ed entrare in qualsiasi momento mentre è molto difficile uscire dai fondi chiusi, se non a scadenze predeterminate e nella maggior parte dei casi è penalizzante per l’investitore che volesse disinvestire nei primi anni dell’investimento. Un’altra differenza è che i fondi chiusi possono investire oltre l’80% del patrimonio in gestione in società che non sono quotate. I fondi chiusi possono essere immobiliari (investono solamente in beni immobili) e mobiliari. Questi ultimi si differenziano in fondi chiusi di venture capital, che investono in società in fase di start up, seguendole dalla costituzione della società alla realizzazione del progetto di business e quelli detti di private equity che hanno come fine quello di finanziare progetti già in essere per aiutarli a crescere fino raggiungere obiettivi importanti come la vendita della società a gruppi più grandi o alla quotazione della stessa in borsa. L’acquisto di questi fondi è consigliata a chi si può permettere di fare un investimento a lungo termine, almeno dieci anni. I fondi immobiliari chiusi sono adatti maggiormente e spesso sono riservati solamente agli investitori privati come banche, sim, agenti di cambio, fondi pensione, società di gestione del risparmio, fondazioni bancarie ecc..Agli investitori privati sono riservati i fondi chiusi Fondi immobiliari I fondi immobiliari possono essere solamente chiusi. Questa caratteristica fa sì che non sia molto facile uscirne, anche se ultimamente sono presenti sul mercato fondi immobiliari il cui valore delle quote sono giornalmente riportate nei giornali specializzati nonostante sia richiesta di legge solo una valorizzazione del patrimonio in gestione ogni sei mesi e la conseguente pubblicazione su almeno tre quotidiani nazionali. I fondi immobiliari investono principalmente in immobili (palazzi, uffici, terreni, ecc.) e sono particolarmente adatti a chi

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non avendo sufficienti soldi per un investimento in mattoni o il tempo di seguirne l’acquisto, la manutenzione e l’affitto, vuole comunque destinare parte del suo patrimonio al mercato immobiliare. E’ un investimento di lungo periodo, chi acquistasse le quote di un fondo immobiliare deve preventivare di lasciare i soldi nella gestione per almeno dieci anni. Una particolare categoria di prodotti è quella compresa nelle GPM (sotto si riporta la definizione) con la quale l’investitore da pieno mandato all’intermediario di gestire le sue disponibilità dando solo delle linee guida ma lasciando totale libertà al gestore. Gestioni patrimoniali mobiliari Le gestioni patrimoniali mobiliari (gpm) sono delle gestioni individuali fatte dal gestore su mandato del cliente direttamente in titoli azionari e/o obbligazionari. Anche per le "gpm" bisogna individuare il profilo di rischio del cliente e scegliere tra le diverse linee che comunemente sono almeno tre: obbligazionaria, bilanciata e azionaria. All’interno della gestione ci possono essere anche quote di fondi comuni d’investimento, ma non necessariamente. La somma minima per accedere a questi tipi di servizi di solito parte da € 50.000 ma in realtà è indicata a chi ha un patrimonio liquido superiore. In quanto maggiore è la cifra maggiore per il gestore è la possibilità di muoversi nei diversi mercati internazionali applicando una corretta scelta dei titoli rispettando il concetto di diversificazione e del conseguente abbassamento del rischio. D i contratti derivati Quando si parla di strumenti derivati si fa riferimento a qualsiasi titolo normalmente negoziato che permetta di acquisire altri strumenti finanziari come sottostante ed i relativi indici; alcuni esempi sono: i contratti "futures" su strumenti finanziari, su tassi di interesse, su valute, su merci e sui

relativi indici, anche quando l'esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti;i contratti di scambio a pronti e a termine (swaps) su tassi di interesse, su valute, su merci nonché su indici azionari (equity swaps), anche quando l'esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti;

i contratti a termine collegati a strumenti finanziari, a tassi d'interesse, a valute, a merci e ai relativi indici, anche quando l'esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti;

i contratti di opzione per acquistare o vendere gli strumenti indicati nelle precedenti lettere e i relativi indici, nonché contratti di opzione su valute, su tassi d'interesse, su merci e sui relativi indici, anche quando l'esecuzione avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti;

ed infine le combinazioni di contratti o di titoli indicati nelle precedenti lettere.

Forwards I Forwards sono contratti a termine per l'acquisto o la vendita di una attività a condizioni, quali il prezzo e la data di consegna, prestabilite. Non vengono trattati in una Borsa e quindi non presentano le caratteristiche standard tipiche dei Futures (anch'essi contratti a termine). In pratica un contratto Forward non è altro che un accordo privato fra due contraenti, dove uno si impegna a comprare una certa attività ad un prezzo e per consegna stabiliti contrattualmente, e l'altro ovviamente si impegna a vendere la stessa attività alle stesse

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condizioni contrattuali. La data di consegna viene scelta dai contraenti e generalmente è unica, contrariamente a quanto accade per i Futures. Altra peculiarità dei contratti Forwards risiede nel fatto che generalmente il contratto viene chiuso alla scadenza, con la consegna dell'attività negoziata, dietro pagamento della somma pattuita (non viene in pratica applicato il meccanismo di liquidazione giornaliera proprio dei contratti Futures, ossia il "Mark to Market"). I contratti forwards più comuni, sono i contratti forward su valute ed i contratti forward su tassi (Forward rate agreement "Fra"). Futures I Futures sono, come i Forwards, contratti a termine per l'acquisto o la vendita di una certa attività ad un prezzo prefissato al momento della stipula del contratto. Si differenziano dai contratti Forwards in quanto vengono trattati in mercati organizzati e centralizzati, e presentano caratteristiche di elevata standardizzazione come la definizione delle date di consegna e il taglio minimo del contratto. Altra peculiarità del mercato dei Futures è la presenza di una "Clearing House" che in Italia prende il nome di Cassa di Compensazione e Garanzia (CC&G), la quale ha il compito di eliminare il rischio di insolvenza della controparte ricoprendo la figura di contraente necessario in ogni transazione ed introducendo dei sistemi di garanzia quali il sistema dei margini e il meccanismo della liquidazione giornaliera delle posizioni (Mark to Market). A seconda della natura del bene sottostante al contratto, si distinguono due categorie di contratti Future: I "Commodity Futures", ovvero i contratti aventi per oggetto merci; I "Financial Futures", ovvero i contratti aventi per oggetto attività finanziarie Swaps Uno "swap" può essere definito come un contratto tramite il quale due contraenti si scambiano, per un certo periodo, dei flussi di cassa. Tale scambio avviene in mercati non regolamentati (over the counter), seguendo tempi e modalità stabiliti contrattualmente. Tali caratteristiche fan si che questo strumento finanziario possa essere considerato alla stregua di un insieme di contratti a termine (forward), ciascuno riferito ad ogni periodo nel quale avviene la regolazione dello scambio dei flussi. Sono strumenti molto utilizzati dagli operatori, in quanto sono molto utili nella gestione dei rischi finanziari. Le tipologie di swaps più utilizzate e quindi diffuse risultano essere gli Swaps su tassi di interesse (Irs) e gli Swaps su valute. Options Le opzioni appartengono alla categoria degli strumenti derivati in quanto derivano il loro valore da quello dell'attività su cui sono scritte. Esistono opzioni che garantiscono al loro acquirente la facoltà di acquistare l'attività sottostante (opzioni call), ed esistono anche opzioni che conferiscono all'acquirente la facoltà di vendere l'attività sottostante (opzioni put). Altri elementi che caratterizzano le opzioni sono il prezzo di esercizio (strike price), e la scadenza. Il primo rappresenta il prezzo al quale avrà luogo l'acquisto (call) o la vendita (put) dell'attività sottostante su cui è scritta l'opzione nel caso che quest'ultima venga esercitata; il secondo rappresenta invece la durata dell'opzione ossia il tempo di vita della stessa. E' importante distinguere fra opzioni che possono essere esercitate solo alla scadenza (opzioni di tipo europeo), oppure opzioni che possono essere esercitate in qualsiasi istante prima della scadenza (opzioni di tipo americano).Possiamo definire quindi le opzioni come strumenti

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finanziari mediante i quali l'acquirente assume la facoltà (non l'obbligo) di esercitare un diritto di acquisto o di vendita dell'attività sottostante ad un prezzo e ad una data prefissate. Per acquistare una opzione si paga un premio (prezzo dell'opzione) e questo è un fattore distintivo rispetto ai contratti derivati quali i "forwards" o i "futures" in quanto per questi ultimi l'unico esborso iniziale è dato dal versamento di un deposito di garanzia (margine iniziale).L'attività sottostante (su cui è scritta l'opzione), può avere natura finanziaria oppure reale; nel primo caso parleremo di opzioni su valute, su titoli azionari, su indici di Borsa, su tassi di interesse e su altri strumenti derivati, mentre nel secondo caso avremo a che fare con opzioni su attività reali. Le principali tipologie di strumenti finanziari trattati nei mercati Italiani che ricadono nella categoria generale delle opzioni sono: - Warrant - Covered Warrant - Opzioni (Iso- e Mibo30) - Mercato Premi

3.6 Prodotti finanziari per le imprese

1. Prodotti finanziari offerti dalle banche 2. Leasing 3. Fonti di capitale proprio 4. Factoring 5. Obbligazioni 6. Strumenti derivati Le imprese sono destinatarie di una serie di prodotti essenzialmente collegati alla copertura del fabbisogno finanziario per cui verranno specificamente esaminati nei capitoli 4 e 6.

3.7 Gli Organi di controllo sul sistema finanziario

Gli organi di controllo sui mercati finanziari sono vari, forse anche troppi, in quanto sono accaduti fatti in cui il mancato controllo si è verificato proprio per un conflitto di competenze. Di seguito si riporta un prospetto di riepilogo.

Organo funzioni

C.I.C.R organo di vertice con poteri di indirizzo e di regolamentazione Presidente del C.i.C.R (Ministro Economia e Finanza)

Ministero dell’economia e finanze (MEF)

responsabile della spesa e controllo funzioni di emissione di Bankitalia

BANKITALIA emissione moneta e governo del credito vigilanza sugli intermediari creditizi e mobiliari

U.I.C attuazione della politica valutaria e monitoraggio operazioni

CONSOB regolamentazione e controllo dei mercati mobiliari

ISVAP/COVIP vigilanza sulle assicurazioni private/fondi pensione

ANTITRUST autorità garante della concorrenza

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Il CICR Istituito nel 1947, il Comitato interministeriale per il credito e il risparmio è composto dal Ministro dell’economia e delle finanze, nella qualità di presidente, e dai titolari dei dicasteri aventi competenze economiche. In particolare, ai sensi dell’art. 2 del TUB (d.lgs. n. 385/1993) essi sono: il Ministro delle attività produttive, il Ministro delle politiche agricole e forestali, il Ministro delle infrastrutture e trasporti e il Ministro per le politiche comunitarie. Alle sedute del CICR partecipa anche il Governatore della Banca d’Italia. Il presidente può invitare altri ministri a intervenire a singole riunioni. Il CICR è validamente costituito con la presenza della maggioranza dei suoi membri e delibera con il voto favorevole della maggioranza dei presenti. Il direttore generale del Ministero dell’economia e delle finanze svolge funzioni di segretario. Il CICR determina le norme concernenti la propria organizzazione e il proprio funzionamento. Per l'esercizio delle proprie funzioni il CICR si avvale della Banca d'Italia: ciò esclude la possibilità da parte del Comitato di effettuare interventi diretti sulle banche o su altri intermediari finanziari. Al CICR compete l’alta vigilanza in materia di credito e di tutela del risparmio, di cui sono destinatari le banche, i gruppi bancari e gli intermediari finanziari. I criteri ispiratori dell’azione del CICR, così come quelli sanciti per le altre autorità di vigilanza creditizie, fanno riferimento “alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario, nonché all’osservanza delle disposizioni in materia creditizia”. Per quanto concerne la natura degli atti posti in essere dal CICR, si distinguono atti amministrativi e provvedimenti amministrativi: i primi rappresentano dei pareri, i secondi dei veri e propri provvedimenti di tipo normativo, di natura regolamentare, che il Comitato è chiamato a emanare. Ad esempio il CICR stabilisce limiti e criteri, anche con riguardo all'attività e alla forma giuridica dei soggetti, in base ai quali non costituisce raccolta del risparmio tra il pubblico quella effettuata presso soci e dipendenti o presso società controllanti, controllate o collegate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile e presso controllate da una stessa controllante. Al CICR sono inoltre conferiti poteri decisionali in ordine ai reclami contro provvedimenti adottati dalla Banca d’Italia nell’esercizio dei poteri di vigilanza. Il Ministero dell'economia e delle finanze (ex Ministero del tesoro) Al Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) sono attribuite competenze nei settori della politica economica, finanziaria e di bilancio, da esercitare anche in funzione del rispetto dei vincoli di convergenza e di stabilità derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea dell’Italia. In termini di politica economica e finanziaria il MEF ha competenze in materia di problemi economici, monetari e finanziari nazionali e internazionali, vigilanza sui sistemi finanziari e sul sistema creditizio. In particolare, nell’ambito bancario il MEF, oltre a convocare e presiedere il CICR, propone l’oggetto delle deliberazioni non di esclusiva competenza della Banca d’Italia e può, in caso di urgenza, sostituirsi al CICR stesso. Più operativi, tuttavia, sono gli interventi del Ministero in tema di: determinazione dei requisiti di onorabilità e professionalità dei soci e degli esponenti aziendali delle banche (art. 25-26 TUB), nonché di quelli dei soci e degli esponenti aziendali delle società di intermediazione mobiliare (SIM), delle società di gestione del risparmio (SGR), delle società di gestione dei mercati regolamentati e dei promotori finanziari; apertura, con decreto, dei procedimenti di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta delle

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banche, nonché delle SIM, delle SGR e delle società di investimento a capitale variabile (SICAV); determinazione dei criteri generali cui devono uniformarsi i fondi comuni di investimento con riguardo all'oggetto dell'investimento, alle categorie di investitori cui è destinata l'offerta delle quote, alle modalità di partecipazione ai fondi aperti e chiusi con particolare riferimento alla frequenza di emissione e rimborso delle quote, all'eventuale ammontare minimo delle sottoscrizioni e alle procedure da seguire, all'eventuale durata minima e massima, alle condizioni e alle modalità con le quali devono essere effettuati gli acquisti o i conferimenti dei beni (sia in fase costitutiva sia in fase successiva alla costituzione del fondo) nel caso di fondi che investano esclusivamente o prevalentemente in beni immobili, diritti reali immobiliari e partecipazioni in società immobiliari (decreto 228/1999); individuazione di ulteriori soggetti da sottoporre alle norme relative alla trasparenza bancaria (art. 115 TUB);applicazione di sanzioni amministrative previste per gli esponenti aziendali; individuazione delle caratteristiche dei mercati all’ingrosso (art. 61 TUF). La Banca d’Italia La Banca d’Italia rappresenta sicuramente l’autorità di vigilanza più importante nel panorama del nostro paese. Si tratta di una istituzione che avuto origine nel 1893 della fusione di tre dei sei istituti di emissione allora operanti (Banca nazionale nel Regno d’Italia, Banca nazionale toscana e Banca toscana di credito per le industrie e il commercio d’Italia). Nel 1926 si giunse poi alla definitiva unificazione della funzione di emissione in seno alla sola Banca d’Italia. Le funzioni della Banca d’Italia «Credibilità, indipendenza e responsabilità, così come espresso dalla stessa istituzione sul suo sito, sono i valori base della tradizione istituzionale e organizzativa della Banca d’Italia, che da oltre un secolo si pone al servizio dell’Italia con l’intento di contribuire al suo sviluppo economico e sociale». Nello svolgimento dei suoi compiti l’Istituto agisce in condizioni di autonomia e indipendenza. Concorre ad assicurare la stabilità del valore della moneta e opera per l’efficienza del sistema finanziario, obiettivi irrinunciabili di uno Stato moderno e democratico. L’equilibrio delle azioni di politica economica presuppone l’indipendenza della banca centrale, rafforzata dalla norma costituzionale a protezione del risparmio, funzione coerentemente affidata alla Banca d’Italia. Ma quali sono concretamente le principali funzioni (per un più ampio esame si rimanda al sito www.bancaditalia.it) della Banca d’Italia? Bisogna innanzitutto osservare che la tradizionale funzione di politica monetaria è stata ceduta a partire dal 1° gennaio 1999 a favore del Sistema europeo delle banche centrali (SEBC); la Banca d’Italia, nel nuovo contesto istituzionale, è chiamata a svolgere un duplice compito che prevede da un lato la partecipazione al processo decisionale e alle determinazioni del SEBC, e dall’altro, secondo il principio di sussidiarietà, gli interventi in ambito nazionale. In pratica, sul mercato italiano, la Banca d’Italia dà attuazione alle decisioni prese dal Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE) in materia di politica monetaria e del cambio, di gestione delle riserve in valuta, di sorveglianza e gestione del sistema dei pagamenti, di emissione delle banconote. La Banca d’Italia resta però impegnata nell’esercizio di talune funzioni già svolte in passato; in particolare essa vigila sulla sana e prudente gestione e sulla stabilità sistemica delle banche e

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degli intermediari finanziari in generale, tutela la concorrenza tra banche e vigila sul sistema interbancario e su quello dei titoli di Stato, svolge il servizio di Tesoreria dello Stato. La politica monetaria e del cambio nel quadro istituzionale europeo I compiti di politica monetaria sono quelli che più direttamente evocano la banca centrale. Con l’adesione al Sistema europeo di banche centrali (SEBC), il ruolo della Banca d’Italia in difesa della stabilità monetaria si inscrive nel contesto istituzionale europeo. La Banca concorre, con la presenza del Governatore nel Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE), a determinare le decisioni di politica monetaria per l’intera area dell’euro; attua nel mercato nazionale, in linea con i princìpi di decentramento e di sussidiarietà stabiliti a livello europeo, le decisioni assunte dal Consiglio direttivo; partecipa, con propri rappresentanti a vari livelli, ai numerosi Comitati e Gruppi di lavoro costituiti nell’ambito del SEBC per l’analisi delle questioni attinenti ai compiti istituzionali del Sistema. Il Sistema europeo di banche centrali (SEBC) è composto dalle Banche centrali nazionali (BCN) degli Stati membri dell’Unione europea e dalla Banca centrale europea (BCE). L’Eurosistema è costituito dalle BCN dei paesi che hanno adottato l’euro, tra cui l’Italia, e dalla BCE. L’organo di vertice dell’Eurosistema è il Consiglio direttivo, composto dai Governatori delle BCN e dai membri del Comitato esecutivo della BCE. L’Eurosistema ha il compito di definire la politica monetaria unica. Il capitale della BCE è sottoscritto dalle BCN. Secondo quanto stabilito dal Trattato di Maastricht, gli obiettivi della politica monetaria sono, in primo luogo, il mantenimento della stabilità dei prezzi e, in subordine, il sostegno alle politiche economiche generali nell’area dell’euro. Nel perseguimento di questi obiettivi, le BCN e la BCE devono restare indipendenti dalle istituzioni e dagli organi comunitari, dalle autorità nazionali e da qualsiasi altro organismo. Le decisioni riguardanti la politica monetaria dell’Eurosistema vengono attuate dalle BCN, secondo il principio del decentramento operativo, attraverso una vasta gamma di strumenti. Tra questi figurano le operazioni di rifinanziamento principali, quelle a più lungo termine, le operazioni attivabili su iniziativa delle controparti (istituzioni finanziarie), quelle di fine tuning, la riserva obbligatoria. Gli interventi sul mercato dei cambi possono essere eseguiti dalla Banca d’Italia e dalle altre BCN. Per lo svolgimento di compiti attuativi della gestione delle riserve ufficiali nazionali in valuta, la Banca d’Italia si avvale anche dell’Ufficio italiano dei cambi (UIC), ente strumentale della Banca stessa. Per quanto attiene ai compiti di vigilanza creditizia e finanziaria, il quadro disciplinare è stabilito, innanzitutto, dagli artt. 4 e 5 TUB e dall’art. 5 del TUF, nei quali sono specificate le finalità che devono presiedere all’esercizio della vigilanza. Al riguardo, come osservato, è aperto il dibattito sull’ampiezza dei compiti di vigilanza della Banca d’Italia, e ciò anche in ragione del fatto che nel nostro paese le funzioni di vigilanza e di supervisione da essa svolte si sovrappongono talora ai compiti di istituzioni già esistenti quali la CONSOB, con cui, peraltro, la Banca d’Italia deve collaborare. In particolare, la cosiddetta vigilanza per finalità, che attribuisce responsabilità distinte ad Autorità diverse, non trova ancora coerente e completa applicazione. Ciò è dovuto anche alla crescente integrazione operativa tra i diversi intermediari presenti sul territorio: banche operanti nel settore assicurativo, assicurazioni che costituiscono una banca all’interno del proprio gruppo, società di intermediazione e società finanziarie di vario genere che si trasformano in banche sono ormai all’ordine del giorno. Collaborazione tra autorità di vigilanza e segreto di ufficio

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Ai sensi dell’art. 4 del TUF, la Banca d'Italia, la CONSOB, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, l'ISVAP e l'Ufficio italiano dei cambi collaborano tra loro, anche mediante scambio di informazioni, al fine di agevolare le rispettive funzioni. Dette autorità non possono reciprocamente opporsi al segreto d'ufficio. La Banca d'Italia e la CONSOB collaborano, anche mediante scambio di informazioni, con le autorità competenti dell'Unione Europea e dei singoli Stati comunitari, al fine di agevolare le rispettive funzioni. Al medesimo fine, la Banca d'Italia e la CONSOB possono cooperare, anche mediante scambio di informazioni, con le autorità competenti degli Stati extracomunitari. La Banca d'Italia e la CONSOB possono scambiare informazioni con autorità amministrative e giudiziarie nell'ambito di procedimenti di liquidazione o di fallimento, in Italia o all'estero, relativi a soggetti abilitati; con gli organismi preposti all'amministrazione dei sistemi di indennizzo; con gli organismi preposti alla compensazione o al regolamento delle negoziazioni dei mercati; con le società di gestione dei mercati, al fine di garantire il regolare funzionamento dei mercati da esse gestiti. Anche l’art. 7 del TUB, pur dichiarando che tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Banca d'Italia in ragione della sua attività di vigilanza sono coperti da segreto d'ufficio anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, a eccezione del Ministro dell’economia e delle finanze, presidente del CICR, stabilisce che la Banca d'Italia, la CONSOB, la COVIP, l'ISVAP e l'UIC collaborano tra loro, anche mediante scambio di informazioni, al fine di agevolare le rispettive funzioni. Per quanto attiene alle finalità della vigilanza, l’art. 5 del TUF stabilisce che sui mercati finanziari la Banca d'Italia è competente per quanto riguarda il contenimento del rischio e la stabilità patrimoniale, mentre la CONSOB è competente per quanto riguarda la trasparenza e la correttezza dei comportamenti degli operatori. La Banca d'Italia e la CONSOB esercitano i poteri di vigilanza nei confronti dei soggetti abilitati; ciascuna vigila sull'osservanza delle disposizioni regolanti le materie di competenza. La Banca d'Italia e la CONSOB operano in modo coordinato anche al fine di ridurre al minimo gli oneri gravanti sui soggetti abilitati e si danno reciproca comunicazione dei provvedimenti assunti e delle irregolarità rilevate nell'esercizio dell'attività di vigilanza. Come osservato, la vigilanza sull’attività bancaria persegue gli obiettivi della sana e prudente gestione degli intermediari, della stabilità complessiva, dell’efficienza e della competitività del sistema, dell’osservanza delle disposizioni in materia creditizia. Nell’ambito delle Autorità creditizie, la Banca d’Italia esercita, quale organo di vigilanza, un ruolo centrale, sul piano sia della normazione secondaria sia dell’esercizio dei controlli: emana regolamenti, impartisce istruzioni e assume provvedimenti nei confronti degli intermediari. Svolge una funzione propositiva nei confronti del CICR, alle cui sedute partecipa il Governatore; in questo contesto fornisce, tra l’altro, elementi di risposta al Ministro dell’Economia e delle Finanze, in quanto presidente del CICR, per lo svolgimento di atti di sindacato ispettivo parlamentare in materia creditizia. La vigilanza nel settore dell’intermediazione finanziaria riguarda, in specie, le imprese di investimento e gli organismi di investimento collettivo del risparmio. Si prefigge il rispetto dei criteri di trasparenza, correttezza dei comportamenti, sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, per assicurare la stabilità, la competitività e il buon funzionamento del sistema finanziario. In tale ambito, la competenza della Banca d’Italia concerne gli aspetti del contenimento del rischio e della stabilità degli intermediari. Alla CONSOB, invece, spetta di vigilare sul rispetto delle norme poste a presidio della trasparenza e della correttezza dei comportamenti.

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L’evoluzione delle forme di vigilanza Per comprendere appieno il ruolo svolto dalla Banca d’Italia, è inoltre opportuno osservare come la “filosofia” di intervento della stessa si sia modificata nel corso del tempo. Per oltre cinquant’anni, a partire dal 1936, l’azione della Autorità si è ispirata in sostanza al modello della banca centrale “regista” del mercato finanziario, ossia di chi decideva “le scene e i movimenti degli operatori”. La Banca d’Italia agiva cioè, prevalentemente, secondo un’ottica di vigilanza strutturale, modellando la struttura e l’operato dei soggetti controllati in funzione degli obiettivi generali della politica creditizia, e in special modo perseguendo la stabilità del sistema bancario, spesso a discapito della concorrenza tra intermediari. Le forme di controllo adottate erano dunque di stampo prevalentemente discrezionale e autorizzativo; occorreva ad esempio una specifica autorizzazione per aprire nuove banche o semplicemente nuovi sportelli. A partire dalla fine degli anni 1970 si è assistito a una revisione del modello di vigilanza che ha condotto alla progressiva affermazione di controlli di tipo prudenziale, richiedenti cioè il rispetto da parte dei soggetti vigilati di generali regole di comportamento che costituiscono la cornice entro cui ogni intermediario può svolgere in piena autonomia la propria attività, senza richiedere preventive autorizzazioni. La Banca d’Italia diviene, allora, “arbitro” (e non più regista) della partita. L’azione di supervisione viene ad assumere la veste di attività volta a prevedere, e se possibile prevenire, le irregolarità nelle gestioni bancarie, attraverso strumenti di tipo conoscitivo e adeguate capacità di valutazione. All’obiettivo della stabilità, a cui rispondevano i controlli strutturali, si affiancano allora obiettivi di competitività ed efficienza del sistema bancario/finanziario. Nell’ambito di tale evoluzione si inseriscono le tre tipiche forme di vigilanza svolte dalla Banca d’Italia (e ai sensi dell’art. 5 e seguenti del TUF anche dalla CONSOB): la vigilanza informativa, la vigilanza regolamentare e la vigilanza ispettiva. La vigilanza informativa consiste nella messa a disposizione della Banca d’Italia di un flusso continuo di informazioni sui dati, contabili ed extra-contabili degli enti creditizi. Ai sensi dell’art. 51 del TUB le banche inviano alla Banca d'Italia, con le modalità e nei termini da essa stabiliti, le segnalazioni periodiche nonché ogni altro dato e documento richiesto. Esse trasmettono anche i bilanci con le modalità e nei termini stabiliti dalla Banca d'Italia. La stessa norma viene ripresa dall’art. 8 del TUF, dove si afferma che la Banca d'Italia e la CONSOB possono chiedere, per le materie di rispettiva competenza, ai soggetti abilitati la comunicazione di dati e notizie e la trasmissione di atti e documenti con le modalità e nei termini dalle stesse stabiliti. La vigilanza regolamentare (art. 53 TUB) prevede che la Banca d'Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, emani disposizioni di carattere generale aventi a oggetto, in relazione alle banche: l'adeguatezza patrimoniale; il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni; le partecipazioni detenibili; l'organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni. Inoltre la Banca d'Italia può: convocare gli amministratori, i sindaci e i dirigenti delle banche per esaminare la situazione delle stesse; ordinare la convocazione degli organi collegiali delle banche, fissandone l'ordine del giorno, e proporre l'assunzione di determinate decisioni; procedere direttamente alla convocazione degli organi collegiali delle banche; adottare, ove la situazione lo richieda, provvedimenti specifici nei confronti di singole banche per le materie di competenze. Anche in questo caso, la stessa forma di vigilanza viene ripresa dal TUF, dove si specifica che la Banca d'Italia, sentita la CONSOB, disciplina con regolamento (per quanto riguarda i soggetti abilitati nello svolgimento di servizi di

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investimento e del servizio di gestione collettiva): l'adeguatezza patrimoniale, il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni, le partecipazioni detenibili, l'organizzazione amministrativa e contabile e i controlli interni; le modalità di deposito e di sub-deposito degli strumenti finanziari e del denaro di pertinenza della clientela; particolari regole applicabili agli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR). Infine, per quanto attiene alla vigilanza ispettiva, è previsto che la Banca d’Italia possa acquisire informazioni sulle banche anche tramite ispezioni presso le stesse, richiedendo l’esibizione dei documenti e degli atti necessari all’espletamento della funzione di monitoraggio. Anche la vigilanza ispettiva, ampliata alla attività della CONSOB, viene ripresa dal TUF (art. 10), dove si ribadisce che la Banca d'Italia e la CONSOB possono, per le materie di rispettiva competenza e in armonia con le disposizioni comunitarie, effettuare ispezioni e richiedere l'esibizione dei documenti e il compimento degli atti ritenuti necessari presso i soggetti abilitati (qui non solo banche ma anche altri intermediari che possono svolgere servizi di investimento). Ciascuna autorità comunica le ispezioni disposte all'altra autorità, la quale può chiedere accertamenti su profili di propria competenza. La Banca d'Italia e la CONSOB possono, inoltre, chiedere alle autorità competenti di uno Stato comunitario di effettuare accertamenti presso succursali di SIM e di banche, stabilite sul territorio di detto Stato ovvero concordare altre modalità per le verifiche. Viceversa, le autorità competenti di uno Stato comunitario, dopo aver informato la Banca d'Italia e la CONSOB, possono ispezionare, anche tramite loro incaricati, le succursali di imprese di investimento e di banche comunitarie dalle stesse autorizzate, stabilite nel territorio della Repubblica. Se le autorità di uno Stato comunitario lo richiedono, la Banca d'Italia e la CONSOB, nell'ambito delle rispettive competenze, procedono direttamente agli accertamenti ovvero concordano altre modalità per le verifiche. La Banca d'Italia e la CONSOB possono concordare, per le materia di rispettiva competenza, con le autorità competenti degli Stati extracomunitari modalità per l'ispezione di succursali di imprese di investimento e di banche insediate nei rispettivi territori. Ricordiamo poi che, ai sensi dell’art. 20 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, la Banca d’Italia è l’Autorità garante della concorrenza nel settore del credito, ossia svolge il ruolo di Antitrust nel sistema bancario. La concorrenza viene tutelata e promossa quale condizione necessaria di efficienza e di solidità del sistema bancario e finanziario. Nell’ambito di questa attribuzione, la Banca d’Italia dispone di strumenti specifici sia per evitare che le operazioni di concentrazione costituiscano o rafforzino posizioni dominanti nei mercati nazionale e locali, sia per intervenire nei casi di abuso di posizione dominante e di collusione fra intermediari. Le decisioni della Banca d’Italia per la tutela della concorrenza sono tuttavia assunte tenuto conto del parere espresso dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi (UIC), inoltre, sono impegnati, anche in sede internazionale, a contrastare il riciclaggio dei capitali attraverso il sistema bancario e finanziario. L’ordinamento attribuisce alla Banca d’Italia e all’UIC i compiti di: analizzare sotto il profilo finanziario le operazioni sospette; effettuare studi e analisi del fenomeno del riciclaggio ai fini della prevenzione; collaborare, per gli aspetti di competenza, con l’autorità giudiziaria per la repressione dei fatti illeciti. In tale ambito, la Banca d’Italia emana istruzioni per gli intermediari bancari e finanziari che contengono le regole organizzative e procedurali in materia di antiriciclaggio, nonché una casistica delle operazioni e dei comportamenti anomali da segnalare all’UIC.

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La Banca d’Italia collabora con gli organi dello Stato nella prevenzione e nella repressione del fenomeno dell’usura. A tal fine, effettua insieme con l’UIC una rilevazione trimestrale del “tasso effettivo globale medio” praticato dalle banche e dagli intermediari finanziari per diversi tipi di operazioni. LE ALTRE AUTORITÀ DI VIGILANZA Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) La CONSOB è stata istituita con la legge 7 giugno 1974, n. 216. È un'autorità amministrativa indipendente con il compito di controllare il mercato degli strumenti finanziari italiano. La sua attività è rivolta alla tutela degli investitori, all'efficienza e alla trasparenza del mercato. La Commissione è un organo collegiale, composto da un presidente e da quattro membri nominati con decreto del Presidente della Repubblica, adottato su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri. Per quanto attiene più specificamente al funzionamento dei mercati regolamentati italiani, la CONSOB approva il regolamento delle società mercato (Borsa Italiana spa e TLX spa) per l'ammissione, l'esclusione e la sospensione degli strumenti finanziari dal mercato regolamentato. Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (ISVAP) L'ISVAP è un ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico ed è stato istituito con legge 12 agosto 1982, n. 576, per l'esercizio di funzioni di vigilanza nei confronti delle imprese di assicurazione e riassicurazione nonché di tutti gli altri soggetti sottoposti alla disciplina sulle assicurazioni private, compresi gli agenti e i mediatori di assicurazione. L'ISVAP svolge le sue funzioni sulla base delle linee di politica assicurativa determinate dal Governo. Organi dell'ISVAP sono il Presidente, che oltre ai poteri di rappresentanza esercita anche le funzioni di direttore generale, e il Consiglio, le cui attribuzioni riguardano sia l'ambito organizzativo interno sia quello dei rapporti esterni. La normativa ha attribuito all'ISVAP funzioni di controllo e di regolamentazione, qualificando l'Istituto come un'amministrazione indipendente, dotata di autonomia giuridica, patrimoniale, contabile, organizzativa e gestionale, che dispone di specifica competenza tecnica e ampi strumenti operativi. L'obiettivo dell’ISVAP è quello di assicurare la stabilità del mercato e delle imprese nonché la solvibilità e l'efficienza degli operatori, a garanzia degli interessi degli assicurati-consumatori e in generale dell'utenza. Funzione primaria dell'Istituto è, dunque, l'esercizio della vigilanza nei confronti delle imprese di assicurazione, che si esercita attraverso il controllo sulla loro gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale e contabile, verificandone la rispondenza alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative vigenti. In particolare, l'ISVAP provvede ad autorizzare le imprese all'esercizio e all'estensione in altri rami dell'attività assicurativa nonché a svolgere tutte le attività connesse con il rilascio di tale autorizzazione, verificando la sussistenza delle previste condizioni di esercizio. Nell'ambito dei compiti di supervisione prudenziale demandati all'ISVAP e volti a garantire la sana e prudente gestione dell'impresa assicurativa, assume un rilievo particolare la vigilanza finanziaria, che consiste nel costante controllo della situazione patrimoniale e finanziaria dell'impresa, con riguardo, in particolare, al possesso del margine di solvibilità e di riserve tecniche sufficienti in rapporto all'insieme dell'attività svolta nonché di attivi congrui alla loro integrale copertura. Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP)

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La Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP) è un organismo dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, istituito dalla legge con lo scopo di perseguire la corretta e trasparente amministrazione e gestione dei fondi pensione per la funzionalità del sistema di previdenza complementare. La COVIP esercita l'attività di vigilanza sui fondi pensione e in tale ambito: autorizza l'esercizio dell'attività dei fondi pensione; approva gli statuti e i regolamenti dei fondi, nonché le relative modifiche; autorizza le convenzioni per la gestione delle risorse dei fondi con gli intermediari abilitati; valuta l'attuazione dei principi di trasparenza nei rapporti con i partecipanti ai fondi; esercita il controllo sulla gestione tecnica, finanziaria, patrimoniale e contabile dei fondi, anche mediante ispezioni; pubblica e diffonde informazioni utili alla conoscenza della materia della previdenza complementare. La Commissione, istituita nella sua attuale configurazione agli inizi del 1996, è un organo collegiale formato dal Presidente e da quattro commissari. Le deliberazioni della Commissione sono adottate a maggioranza dei votanti e comunque con non meno di tre voti favorevoli. Il dibattito in corso sulle autorità di vigilanza L’analisi dei ruoli e dei compiti svolti dalle principali autorità di vigilanza presenti nel sistema bancario e finanziario italiano ha messo in luce – così come nelle parole usate dal Ministro dell’economia e delle finanze nella sua relazione al Parlamento sull’attività della CONSOB – che «l’attuale frammentazione delle competenze e le modalità del loro esercizio inducono a una riflessione sulla necessità di ricondurre i poteri a un’unica autorità preposta alla tutela del risparmio». Ecco dunque rispuntare il dibattito sull’unificazione delle funzioni/autorità di vigilanza, teso a ridimensionare il ruolo di alcune di esse, in particolar modo della Banca d’Italia. Le affermazioni del Ministro Giulio Tremonti hanno ovviamente scatenato una serie di reazioni da parte di chi, da un lato, sostiene (anche all’interno della maggioranza) il ruolo storico della Banca d’Italia, e di chi, dall’altro, pretendendo “giustizia” per il risparmio truffato dai recenti scandali finanziari, invoca una revisione dell’impalcatura che regola e vigila sui comportamenti degli operatori bancari/finanziari. Sono dunque in cantiere diverse proposte di legge che prevedono una ridefinizione dei compiti di vigilanza e un nuovo ruolo per la Banca d’Italia: alcuni propongono la creazione di un’unica Authority competente su banche, assicurazioni, promotori e fondi pensione; altri chiedono semplicemente di ricondurre all’Antitrust la tutela della concorrenza nel credito lasciando invariato l’attuale assetto della Banca d’Italia (si veda al riguardo Un’Autorità unica per il risparmio, in Il Sole 24 Ore del 23 ottobre 2003). Nel dibattito in corso, peraltro, non sono decisivi le scelte compiute in altri paesi europei e negli Stati Uniti: sembra infatti non esservi un trend preciso, almeno allo stato attuale, sulla conformazione ideale della vigilanza sui mercati finanziari e sugli intermediari che in essi sono attivi. Ad esempio, in Inghilterra si è optato per un modello di regolamentazione estremamente piramidale e integrato sotto il cappello della “onnipotente” FSA (Financial Services Authority), e similmente sembra accadere in Francia con la creazione della Authoritè des marchès financiers. Negli Usa invece operano più organi (SEC, Federal Riserve, New York Stock Exchange, Office of the Comptroller of the Currency ecc.) incaricati del controllo di diversi operatori finanziari, contemperati però da un maggior ricorso all’autoregolamentazione.

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Qualunque sia la scelta (per forza di cose politica) a cui si dovesse e volesse arrivare, è a nostro avviso necessario che la discussione non scada, come spesso accade in Italia, in uno scontro di poteri istituzionali e in una conseguente soluzione di compromesso che salvi lo status quo. Alcuni aspetti essenziali della normativa attualmente in vigore, specie quelli inerenti l’integrazione del settore bancario/assicurativo/finanziario, richiedono una veloce chiarificazione. Ciò anche al fine di meglio tutelare l’interesse dei risparmiatori-investitori e di rendere più fluido il funzionamento e l’operatività degli intermediari.

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Capitolo 4

Il mercato dei capitali : la borsa e gli investitori istituzionali. il private equità e fondi di

investimento. Cenni sui metodi di valutazione

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4.1 I n t r o d u z i o n e

L’eccessivo indebitamento limita non solo il tasso di sviluppo ma anche la capacità netta di autofinanziamento e tutte le leve competitive e finanziarie successivamente attivabili. Le tardive operazioni di ristrutturazione finanziaria non potranno, dopo che si è caduti nella “trappola del debito”, creare dal nulla tutto il valore che in precedenza tale tipo di crescita ha portato a perdere. Ne deriva, quindi, la necessità di impiegare capitale qualitativamente, oltre che quantitativamente, idoneo: strada che in fin dei conti solo il capitale di rischio può garantire. I canali di copertura del fabbisogno finanziario di capitale permanente sono essenzialmente due: a) fondi propri cioè fondi destinanti all’aumento del capitale proprio b) fondi di terzi destinati alla copertura del fabbisogno duraturo ma che devono essere

restituiti. L’apporto dei fondi sub a) di noma è effettuato dai soci ma può anche essere effettuato da “soci finanziari” attraverso la sottoscrizione di aumenti di capitale I mezzi finanziari sub b) di norma sono forniti da terzi finanziatori (banche o investitori o amici ) attraverso la sottoscrizioni di obbligazioni o la concessione di prestiti a m/l termine . nel caso di obbligazioni vi possono essere forme ibride come le obbligazioni convertibili che danno la facoltà di convertire il capitale,che dovrebbe essere restituito, in azioni dell’azienda e quindi in capitale proprio. alcune categorie di Investitori terzi

Anche denaro "estraneo" di banche, investitori o amici fa parte del capitale proprio a patto che si tratti di capitale di rischio o di capitale sociale i cui ricavi - a differenza di prestiti - dipendono dunque dal successo dell’impresa.

Venture capital

Certe società finanziarie si sono specializzate nella concessione di capitale di rischio (o venture capital). Queste cosiddette società di venture capital partecipano al capitale sociale e sperano in grandi utili in caso di successo dell'impresa o di ingresso in borsa. Esse mettono a disposizione i propri mezzi senza avere a disposizione sicurezze tradizionali. Tuttavia, dopo la disfatta degli anni Novanta, gran parte delle società di capitale di rischio sono diventate molto più selettive .Praticamente, ad avere delle chance sono solo le giovani imprese con una prospettiva forte crescita, con larghe aspettative di fatturato e necessità di vari milioni di euro. Legata alla concessione di capitale di rischio di norma c’è una governance ad hoc e un’assistenza al management. Il venture capitalist è da considerare come un accompagnatore durante la fase di costituzione del progetto finanziario. A compito adempiuto, di norma, si ritira e vende la partecipazione a nuovi investitori.

Business Angel

Una categoria particolare di investitori, da tempo presente in altri paesi e da qualche tempo anche in Italia, è rappresentata dai cosiddetti business angels, cioè imprenditori, ex titolari di

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impresa o ex manager che dispongono di mezzi finanziari (anche limitati), di una buona rete di conoscenze e di una solida capacità gestionale da impiegare in piccole e medie imprese. Tali investitori sono per lo più interessati al finanziamento di start up tecnologici, che coinvolgano un ammontare medio di risorse non superiore ai € 300.000 e la cui sede operativa sia, generalmente, vicina all'area dove operano e risiedono.

Si capisce da sé che sia le società di venture capital sia i Business Angel vengono sommersi da richieste di concessione di capitale. Per questo motivo è estremamente importante allestire o presentare la propria documentazione in maniera tale che il fornitore di capitale riesca ad avere rapidamente una visione globale del progetto. L'imprenditore deve essere in grado di convincere che nel suo progetto è racchiuso un grande potenziale di plusvalore. Solo in questo modo i Business Angel hanno la possibilità, dopo un paio d'anni, di vendere le proprie quote di partecipazione e investire i guadagni riportati in nuovi progetti. Tuttavia, anche a condizioni così restrittive i fornitori di capitale di rischio riescono a moltiplicare il capitale impiegato solo in un caso su 4 o 5.

.

Agli inizi degli anni Ottanta, con il termine venture capital si definiva l'apporto di capitale azionario, o la sottoscrizione di titoli convertibili in azioni, da parte di operatori specializzati, in un'ottica temporale di medio-lungo termine, effettuato nei confronti di imprese non quotate e con elevato potenziale di sviluppo in termini di nuovi prodotti o servizi, nuove tecnologie, nuove concezioni di mercato. Nell'ambito di tale definizione, la partecipazione veniva generalmente intesa come temporanea, minoritaria e finalizzata, attraverso il contributo congiunto di know how non solo finanziario, allo sviluppo dell'impresa, all'aumento del suo valore ed alla possibilità di realizzazione di un elevato capital gain in sede di dismissione. Nel corso degli anni, pur rimanendo invariati i presupposti di fondo, le caratteristiche dell'attività di investimento istituzionale nel capitale di rischio sono mutate, diversificandosi in funzione del sistema imprenditoriale di riferimento e del grado di sviluppo dei diversi mercati e offrendo, oggi, una più variegata gamma di possibilità di intervento. Di fatto, il comune denominatore rimane l'acquisizione di partecipazioni significative in imprese, in ottica di medio lungo-termine, e il conseguente obiettivo di sviluppo finalizzato al raggiungimento di una plusvalenza sulla vendita delle azioni, ma la presenza delle ulteriori caratteristiche ha assunto connotati molto variabili.

4.2 Le più recenti evoluzioni terminologiche Da un punto di vista strettamente terminologico, il concetto di investimento istituzionale nel capitale di rischio ha assunto, in passato, connotati differenti fra Stati Uniti ed Europa. Negli USA, questo concetto, definito della sua globalità "attività di private equity", è distinto, in funzione della tipologia di operatore che pone in essere il finanziamento, tra venture capital e buy out. Alla prima categoria corrispondono due tipologie specifiche di investimenti: - l'early stage financing, ovvero l'insieme dei finanziamenti (seed financing e start up financing) a sostegno delle imprese nei primi stadi di vita; - l'expansion financing, ovvero quella serie di interventi effettuati in imprese già esistenti che necessitano di capitali per consolidare e accelerare la crescita in atto. Al contrario, in Europa, il termine venture capital era in passato esclusivamente riferito alle operazioni finalizzate a sostenere la nascita di nuove imprese,

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mentre con il termine private equity si intendeva l'insieme delle operazioni poste in essere per sviluppare attività esistenti o risolvere problemi connessi con la proprietà di un'impresa, incluso il fenomeno del passaggio generazionale. Oggi, a seguito di un processo di standardizzazione metodologica, anche in Europa e in Italia si aderisce alla definizione utilizzata negli Stati Uniti.

4.3 Il ruolo dell'investimento in capitale di rischio in un moderno sistema finanziario

Il ruolo che l'investimento in capitale di rischio ha in un moderno sistema finanziario è rilevante sotto numerosi profili. Innanzitutto, sul fronte dell'impresa, la possibilità di far riscorso ad operatori specializzati nel sostegno finanziario finalizzato alla creazione di valore, consente alle stesse di reperire capitale "paziente", che può essere utilizzato per sostenere la fase di start up, piuttosto che piani di sviluppo, nuove strategie, acquisizioni aziendali, passaggi generazionali o altri processi critici del loro ciclo di vita. In particolare, tale capitale può essere utilizzato dall'impresa per sviluppare nuovi prodotti e nuove tecnologie, per espandere il circolante, per finanziare acquisizioni, o per rafforzare la struttura finanziaria di una società. Il private equity può anche essere impiegato per risolvere problemi connessi con la proprietà di un'impresa o con il fenomeno del passaggio generazionale. Inoltre, è lo strumento privilegiato per la realizzazione di operazioni di buy out / buy in, effettuate da manager esperti. Poiché, inoltre, il supporto dell'investitore istituzionale non si esaurisce nella mera fornitura di capitale di rischio, un ulteriore vantaggio deriva dalla disponibilità di know how manageriale che l'investitore mette a disposizione dell'impresa per il raggiungimento dei suoi obietti di sviluppo. Ciò si traduce anche nella possibilità di supporto alla crescita esterna, attraverso contatti, investimenti, collaborazioni ed altro, con imprenditori dello stesso o di altri settori. Spesso la crescita attraverso fusioni e/o acquisizione offre sensibili vantaggi in virtù della tempestività con la quale è possibile entrare in nuovi settori o guadagnare nuove quote di mercato. Il socio istituzionale possiede una profonda esperienza basata su una moltitudine di realtà imprenditoriali diverse e, pertanto, gode di un invidiabile esperienza cui la società può accedere. L'investitore istituzionale nel capitale di rischio ha, per esempio, solitamente esperienza anche in tema di accompagnamento alla quotazione, capacità preziosa in tale delicato processo e che può essere d'aiuto nel definire il timing e le procedure interne ottimali. È poi comprovato che alle imprese partecipate da investitori istituzionali siano riconducibili performance economiche superiori rispetto alle altre realtà imprenditoriali, apportando un beneficio a livello di sistema. L'attività di investimento nel capitale di rischio contribuisce, dunque, notevolmente allo sviluppo del sistema industriale e dell'economia nel suo complesso, selezionando imprese a rapido tasso di crescita e fornendo loro il capitale necessario per svilupparsi.

4.4 Gli obiettivi dell'investitore istituzionale L'obiettivo dell'investitore istituzionale è quello di realizzare, nel medio termine, un importante guadagno di capitale (capital gain) attraverso la cessione della partecipazione acquisita. Per guadagno di capitale si intende l'incremento di valore della partecipazione maturato dal momento dell'assunzione della partecipazione a quello della cessione e monetizzazione della stessa. In generale, il buon esito dell'intervento è determinato dalla capacità dell'investitore di contribuire a creare valore all'interno dell'impresa, generando,

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così, nella maggior parte dei casi, ricchezza anche per l'intero tessuto economico e imprenditoriale del Paese. L'investitore istituzionale nel capitale di rischio è, per definizione, un socio temporaneo, seppur di medio -lungo termine, che, come tale, dovrà prima o poi cedere la partecipazione acquisita per realizzare il proprio obiettivo.

4.5 Le imprese target dell’investitore istituzionale L'investitore istituzionale concentra la sua attenzione sui progetti caratterizzati da un elevato potenziale di sviluppo, cioè su iniziative per le quali l'apporto di capitale e di competenza professionale da parte sua possa accelerare il processo di creazione di valore. L'investitore, in particolare, tenderà a privilegiare: imprese con un valido progetto di sviluppo e con prospettive di crescita sia

dimensionale, che reddituale. Si tratta quindi di imprese con un prodotto/servizio di successo, caratterizzato da scarsa imitabilità e bassa sostitituibilità rispetto ai prodotti concorrenti, il cui mercato di riferimento presenti ancora elevate potenzialità di espansione;

imprese guidate da un imprenditore valido, che si dimostri determinato, ambizioso e corretto nella realizzazione del progetto di sviluppo. L'imprenditore deve quindi perseguire obiettivi di sviluppo dell'impresa e di affermazione personale impegnativi, ma realistici, tali da suscitare fiducia nell'investitore;

imprese con un buon management, formato da persone con consolidata esperienza e con conoscenza specifica del settore;

imprese per le quali sia possibile prevedere in prospettiva una modalità di disinvestimento, che consenta di facilitare il realizzo del capital gain.

4.5.1 I criteri di selezione Oltre agli strumenti utilizzati nelle operazioni tradizionali di finanziamento (analisi dei bilanci, modelli di analisi finanziaria, analisi d'azienda), l'investitore nel capitale di rischio: giudica innanzitutto la competenza dell'imprenditore e del management, investendo nel

team che ha maggiori capacità di realizzare un progetto di sviluppo, piuttosto che nel progetto stesso;

valuta l'andamento del mercato e le reazioni della domanda all'introduzione di una nuova tecnologia o di un prodotto/servizio innovativo, al fine di capirne lo sviluppo potenziale;

cerca di stimare le tendenze, osservando con attenzione l'evoluzione dei settori più competitivi e ascoltando le opinioni degli esperti. L'obiettivo è di selezionare le iniziative imprenditoriali "vincenti", che consentano di realizzare un guadagno elevato nel medio termine.

4.5.2 Il rapporto tra investitore e impresa L’investitore istituzionale partecipa alle scelte strategiche dell'azienda, limitando il suo intervento alle decisioni che possono modificare la combinazione prodotto/mercato/tecnologia su cui si basa l'azienda e alle decisioni di investimento più

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significative . Lascia al socio imprenditore e/o al gruppo dirigente piena autonomia nella gestione operativa quotidiana dell'azienda; nel rapporto con l'imprenditore, vuole la disponibilità ad un colloquio leale, aperto e costruttivo, ed una totale trasparenza, nell'interesse dello sviluppo aziendale. A differenza delle tradizionali forme di finanziamento, come il ricorso al capitale di debito, la partecipazione al capitale di rischio di investitori istituzionali richiede uno stretto rapporto di collaborazione tra l'imprenditore e l'investitore istituzionale che condivide il rischio d'impresa ed è cointeressato al successo dell'impresa. Oltre al capitale, l'investitore apporta competenze professionali strategiche, finanziarie, di marketing, di organizzazione, manageriali e offre una rete di contatti utili, finanziari e non, in ambito nazionale e internazionale. Il rapporto costruttivo tra imprenditore ed investitori istituzionali è fondamentale per esaltare queste competenze. L'apertura del capitale di un'impresa ad un socio istituzionale, determina, generalmente, una serie di cambiamenti importanti, specialmente nel caso di imprese a carattere famigliare. Per raggiungere il suo obiettivo, infatti, l'investitore eserciterà un'azione tendente ad elevare la trasparenza e la qualità nella comunicazione dell'impresa, a professionalizzarne la gestione e l'organizzazione, a far introdurre od evolvere sistemi di pianificazione e controllo e di monitoraggio dei risultati aziendali. Sarà necessario, magari gradualmente, realizzare: la netta separazione tra il patrimonio famigliare e quello aziendale; la revisione del bilancio; l'introduzione di sistemi di budgeting e di controllo di gestione; la predisposizione di relazioni periodiche sulla performance dell'impresa. Oltre agli apporti più strettamente finanziari, per l’impresa vi sono alcuni specifici vantaggi che possono essere ottenuti grazie alla partecipazione al capitale di un investitore istituzionale: collaborazione nel tracciare una strategia di sviluppo e nel perseguirla, sfruttando le

occasioni di crescita esterna, attraverso acquisizioni, fusioni, concentrazioni, joint venture con altre imprese del settore;

maggiore funzionalità della compagine sociale, che facilita anche la eventuale liquidazione dei soci che non sono più interessati a partecipare all'impresa, senza drenare risorse dalla società;

un contributo alla realizzazione di una gestione più professionale e manageriale, attraverso l'attenuazione degli eventuali condizionamenti che provengono dalla sfera degli interessi personali e familiari e, comunque, la migliore o più professionale regolamentazione dei rapporti impresa-famiglia;

crescita del potere contrattuale dell'impresa, grazie alla presenza dell'investitore come azionista di rilievo;

miglioramento dell'immagine dell'impresa nei confronti delle banche e del mercato finanziario, che eleva l'affidabilità finanziaria dell'impresa e agevola il reperimento di finanziamenti anche per lo sviluppo del capitale circolante;

maggior capacità di attrarre management capace ed esperto.

4.6 Le forme di finanziamento a confronto

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All'imprenditore sono generalmente note le "regole" del finanziamento di tipo tradizionale, ottenibile, ad esempio, da un istituto di credito. Egli sa, dunque, che la capacità di ripagare il debito, sottoforma di quote di capitale e di interessi, è garantita dal patrimonio aziendale e, talora, dai suoi beni personali. Nel caso in cui risulti impossibile il rimborso del prestito, la banca può chiedere che l'azienda venga messa in liquidazione e può rivalersi sul suo attivo. L'investitore nel capitale di rischio, invece, non chiede garanzie, ma si accolla una parte del rischio di impresa come gli altri azionisti. Le banche, d'altra parte, in qualità di fornitori di capitale di debito, non sono direttamente interessate al processo di creazione di valore dell'impresa, ma solo alla solvibilità finanziaria, mentre l'investitore, che condivide con l'imprenditore l'incremento di valore della partecipazione, farà di tutto per aiutare la crescita

Capitale di rischio Capitale di debito Finanziamento a medio e lungo termine

Finanziamento a breve, medio e lungo termine

Non prevede scadenze di rimborso ed il disinvestimento avviene di norma con cessione al mercato od a terzi, senza gravare l'impresa

Prevede precise scadenze di rimborso a prescindere dall'andamento dell'impresa e nel caso di finanziamento a breve è revocabile a vista

È una fonte flessibile di capitali, utile per finanziare processi di crescita

È una fonte rigida di finanziamento, la cui possibilità di accesso è vincolata alla presenza di garanzie e alla generazione di cash flow

La remunerazione del capitale dipende dalla crescita di valore dell'impresa e dal suo successo

Il debito richiede il pagamento regolare degli interessi a prescindere dall'andamento dell'azienda ed è garantito da mantenimento del valore degli attivi

L'investitore nel capitale di rischio rappresenta un partner che può fornire consulenza strategica e finanziaria

L'assistenza fornita è di tipo accessorio al finanziamento

4.7 Le modalità di accesso ad una operazione di venture capital Sebbene non esista un imprenditore ideale, vi sono alcuni aspetti legati al suo carattere e alla sua esperienza che costituiscono dei prerequisiti indispensabili per attrarre l'attenzione dell'investitore: la credibilità del proponente l'iniziativa; il know how maturato nel settore in cui vuole operare; la capacità di leadership; il commitment nel progetto imprenditoriale; la disponibilità ad un discorso leale, aperto e trasparente. Di seguito si riportano le ipotesi principali in cui un imprenditore si può avvicinare ad un’operazione sul capitale di rischio.

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4.7.1 Sviluppare un'attività esistente Le imprese già esistenti possono ricorrere all'investimento in capitale di rischio per espandere il proprio business, con l'obiettivo, ad esempio, di aumentare la capacità produttiva o di consolidare l'immagine del proprio prodotto/servizio attraverso l'ampliamento della propria quota di mercato e al fine di rimanere competitive in Europa e globalmente. L'ampliamento della pressione competitiva, anche a livello geografico, richiede, infatti, sempre più il raggiungimento di dimensioni adeguate al contesto internazionale. In questi casi (expansion financing), l'investitore sarà interessato ad intervenire solo se ritiene che esistano buone prospettive per tale espansione in termini economicamente interessanti. In questa fase, l'azienda ha già dimostrato di riuscire a competere sul mercato con profitto, perciò il rischio di insuccesso, quantomeno totale, è più basso. È quindi più facile "convincere" l'investitore, offrendogli informazioni di tipo storico, oltre che previsionale, utili per meglio capire e valutare le potenzialità dell'azienda nella quale egli si accinge a Le esigenze finanziarie dell'impresa in funzione di un progetto di sviluppo, determinano la necessità di procedere ad un aumento di capitale sociale, sottoscritto, in tutto o in parte, dall'investitore istituzionale. 4.7.2 Liquidare i vecchi soci Nelle fasi di espansione e maturità la continuità dello sviluppo aziendale richiede, talora, la riorganizzazione dell'azionariato. In questi casi l'investitore istituzionale può sostituirsi, temporaneamente, a uno o più soci uscenti (replacement capital). In questo modo, si evita che alcuni soci, non più soddisfatti dall'orientamento strategico dell'impresa, o desiderosi di disinvestire per un qualche motivo, frenino lo sviluppo aziendale. L'investitore istituzionale si sostituisce ai soci uscenti sulla base di un nuovo patto di sviluppo, e senza che l'uscita del socio depauperi ed indebolisca l'impresa. 4.7.3 Rilevare l'azienda di famiglia Nel corso della vita di un'impresa famigliare, può avvenire che uno dei membri della famiglia decida di rilevarla, anche alla luce dell'eventuale calo motivazionale nel progetto imprenditoriale da parte degli altri componenti. In questo caso l'investitore istituzionale può rappresentare un partner ideale per la realizzazione dell'operazione di acquisizione (family buy out), non limitando il suo apporto alle sole risorse finanziarie, ma fornendo anche un rilevante contributo di tipo manageriale ed organizzativo. L'investitore istituzionale, preoccupandosi anche della strutturazione tecnica dell'operazione, si occuperà direttamente degli aspetti negoziali con gli azionisti uscenti. 4.7.4 Acquistare l'impresa per cui si lavora In alcuni casi, la continuità dello sviluppo aziendale è subordinata al mutamento della responsabilità imprenditoriale e all'individuazione di una nuova guida. Ecco allora, che l'investitore istituzionale può organizzare l'operazione di finanziamento dell'acquisto della maggioranza dell'impresa da parte del management della stessa (management buy out) o, addirittura, da un più folto gruppo di dipendenti (employee buy out). Spesso, il management può essere interessato ad acquisire rami di azienda non considerati più "strategici" dalla proprietà, ma che possono essere redditizi come attività autonome. La funzione di sostegno si

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concretizza, allora, nell'agevolare il cambiamento parziale della struttura proprietaria e nell'aiutare il management a reperire le risorse necessarie per l'acquisizione. L'investitore può anche supportare un gruppo di manager esperti estranei all'impresa nell'acquisto della maggioranza della stessa (management buy in). 4.7.5 Risanare un'azienda in perdita In questi casi, l'investitore finanziario si inserisce in una situazione di crisi aziendale (turnaround financing), sostituendo chi non è più in grado di proseguire nell'attività e gestendo direttamente tutte le fasi connesse alla ristrutturazione e al rilancio dell'attività. Soprattutto in queste operazioni, l'investitore tende a preferire l'assunzione, almeno temporanea, di quote di maggioranza, per poter prendere decisioni fondamentali per la sopravvivenza dell'impresa (come, per esempio, la sostituzione del management che ha contribuito all'insorgere della crisi). 4.7.6. Gli investitori istituzionali Avviare un'attività, farla crescere, rilevarla, richiede una disponibilità di capitale di rischio non sempre disponibili al soggetto coinvolto. L'individuazione della fonte più appropriata risulta pertanto fondamentale per realizzare il progetto. Esistono diverse tipologie di investitori istituzionali, che si distinguono per la struttura giuridica e organizzativa, per le strategie di raccolta e di investimento dei capitali e per le correlate scelte operative. Un imprenditore che sia alla ricerca di capitale di rischio può trovare numerosi investitori pronti a finanziare il suo progetto imprenditoriale. Tale varietà, se offre opportunità di scelta, può anche determinare difficoltà di scelta. È bene dunque che l'imprenditore si sforzi di individuare l'alternativa più adatta al suo caso, informandosi sulle caratteristiche e sulle preferenze in tema di investimento di ciascun operatore in modo da aumentare le probabilità di riuscita della trattativa. In questa scelta, prezioso può essere il ruolo di professionisti e consulenti. Le società di Venture Capital e Private Equity Diversi sono, dunque, i soggetti che svolgono professionalmente l'attività di investimento nel capitale di rischio. Diverse sono le loro emanazioni, le loro forme organizzative, e, talora, il loro campo d'azione. Le principali categorie degli investitori presenti in Italia sono le seguenti: operatori di emanazione bancaria; fondi chiusi italiani; fondi chiusi ed altri operatori internazionali; finanziarie di partecipazione di emanazione privata o industriale; operatori di emanazione pubblica. Ognuna di queste categorie presenta delle caratteristiche particolari, soprattutto in termini di tipologie di investimenti preferenziali e atteggiamento nei confronti dell'impresa partecipata. Conoscere alcuni di questi particolari, quindi, rappresenta un primo passo verso la scelta dell'interlocutore più adatto. Il fondo chiuso è uno strumento finanziario che raccoglie capitali presso investitori istituzionali (quali imprese, fondazioni, compagnie assicurative, fondi pensione) e presso privati, per investirli in imprese non quotate ad alto potenziale di sviluppo.

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Il fondo viene definito "chiuso" perché non è concesso ai sottoscrittori delle quote di riscattare queste in qualsiasi momento, ma solo ad una scadenza predefinita. Né è consentito a nuovi sottoscrittori del fondo di entrare nello stesso, una volta che la raccolta del capitale programmata è completata. Ciò garantisce ai gestori del fondo la disponibilità di un determinato ammontare di capitali per un periodo di tempo predeterminato e di durata medio-lunga, in modo da poter investire "con tranquillità" in aziende medio-piccole e non quotate. In prossimità della data di scadenza (in genere con un certo anticipo) i gestori provvedono a liquidare gli investimenti precedentemente effettuati, per poi procedere al rimborso delle quote maggiorate dell'eventuale rendimento. 4.7.8 Il Business Plan Il business plan è il piano nel quale il progetto viene sviluppato in termini di linguaggio aziendale. Esso è la base per la richiesta del capitale di rischio e quindi è, spesso, per l'imprenditore il primo strumento di contatto con l'investitore istituzionale. È quindi necessario dedicare cure ed attenzione all'elaborazione di questo documento che rappresenta il biglietto di presentazione dell'imprenditore, dell'impresa e del progetto. Il processo di preparazione del business plan deve coinvolgere tutta l'azienda e deve esplicitare, in termini quantitativi, gli obiettivi da raggiungere e la loro compatibilità con le risorse (finanziarie, tecnologiche, conoscitive e umane) di cui l'impresa dispone o vorrebbe disporre, tenendo conto delle caratteristiche dell'ambiente competitivo in cui l'impresa si misura e del mercato al quale si rivolge. La realizzazione di un business plan da sottoporre a investitori istituzionali nel capitale di rischio, necessita di una particolare attenzione perché: sulla base delle informazioni contenute nel business plan, l'interlocutore deciderà se andare a fondo nell'esame del progetto o se scartarlo; coloro che andranno a discutere il business plan si troveranno di fronte ad attenti e preparati interlocutori, che cercheranno di individuare i punti di debolezza o le eventuali incoerenze presenti nel documento. Nella stesura del business plan il management dovrà quindi considerare che i potenziali finanziatori giudicheranno il lavoro svolto con criteri diversi rispetto a quelli utilizzati dalla direzione aziendale. L'enfasi sarà infatti sulla capacità del business plan di creare valore per l'investitore, e di facilitare la sua successiva uscita dall'investimento. Non poca attenzione sarà inoltre dedicata dall'investitore alla comprensione delle modalità di elaborazione del business plan e alle competenze del management. In questo senso, costituiranno punti di forza non indifferenti: l'aver concepito il business plan come sintesi di una analisi di più scenari possibili (ad esempio, ottimistico - medio - pessimistico) a ciascuno dei quali è stata attribuita una probabilità di verificarsi; l'aver coinvolto l'organizzazione aziendale nel processo di business planning nei termini già discussi e il fatto che sia presente un management motivato, compatto, capace di fare gioco di squadra, con un track record di successo e con competenze riconosciute nel settore.

4.8 Dal contatto all'investimento 4.8.1 I contatti e i tempi dell’esame Dopo avere individuato un investitore che potrebbe essere interessato al proprio progetto di

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sviluppo, l'imprenditore può contattarlo telefonicamente o per lettera. Se si riscontra una ragionevole disponibilità, è bene far pervenire immediatamente un succinto progetto, preliminare al vero e proprio business plan. Di rado, infatti, la selezione delle proposte parte dall'esame di una documentazione fornita dall'imprenditore. Quasi sempre si avvia un colloquio fra le parti e i primi contatti avvengono sulla base di una proposta scarsamente formalizzata. È consigliabile, dunque, inviare inizialmente una sorta di estratto del business plan, che sintetizzi il piano aziendale, piuttosto che l'intero documento, per aumentare la probabilità di ricevere attenzione e non abusare della disponibilità dell'investitore. Se il primo contatto non va a buon fine, si può provare con altre società. È opportuno però riflettere sui motivi del mancato avvio del colloquio ed, eventualmente, ripensare il progetto, rivedendo in chiave critica la sua impostazione e la sua presentazione. Nel caso venga iniziata la trattativa, si deve tenere presente che, generalmente, passano dai tre ai sei mesi dal momento della presentazione del business plan alla decisione da parte dell'investitore di finanziarlo. Tali tempi si restringono in funzione della chiarezza e della completezza dei dati forniti dall'imprenditore, nonché della complessità del business. 4.8.2 Gli accordi Nella fase di stipula del contratto preliminare le parti sottoscrivono un accordo di riservatezza che le impegna a non diffondere le informazioni aziendali se non a quei consulenti esterni, che è necessario coinvolgere per valutare alcuni aspetti dell'investimento. L'impegno sottoscritto riguarda ovviamente le informazioni strettamente aziendali e non quelle inerenti il più vasto mercato su cui l'azienda opera ed il settore in cui compete. L'imprenditore deve impostare la trattativa in modo da massimizzare la probabilità di successo, dal momento che, in caso di fallimento, nulla impedisce all'investitore, né giuridicamente né moralmente, di attivare una ricerca su aziende concorrenti, attive nello stesso settore. Se dalla lettura del documento di presentazione dell'iniziativa l'investitore trae il convincimento di trovarsi di fronte ad una buona opportunità, sottopone all'imprenditore una prima serie di quesiti per approfondire alcuni aspetti chiave dell'operazione in esame. Se, poi, da questa successiva fase emerge una concreta possibilità di accordo, si passa alla firma di una lettera di intenti nella quale vengono definiti gli aspetti economici, legali e societari salienti che dovranno essere ripresi e rielaborati in dettaglio nel contratto di investimento. Tale lettera deve esplicitare tutti gli aspetti che entrambe le parti ritengono essenziali per concludere in modo soddisfacente l'accordo, tra i quali: il valore dell'azienda, la presenza dell'investitore nel Consiglio di Amministrazione, gli obblighi informativi ai quali l'imprenditore deve impegnarsi in caso di investimento e le eventuali clausole previste per il disinvestimento. La lettera condiziona la firma del contratto definitivo ad una serie di accertamenti, aventi natura sia formale che sostanziale, che fanno parte delle analisi e delle verifiche (due diligence) condotte dall'investitore, tipicamente con il concorso di consulenti esterni alla sua organizzazione. 4.8.3 Dalla due diligence al contratto Durante la fase di valutazione dell'opportunità di investimento viene svolta quella che è comunemente definita "due diligence". Il termine, mutuato dalla terminologia anglosassone, può essere definito come quell'insieme di attività, svolte dall'investitore, necessarie per giungere ad una valutazione finale, analizzare lo stato attuale dell'azienda (compresi i rischi potenziali e le eventuali cause di fallimento dell'operazione o "deal breakers") e le sue potenzialità future. Gli

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investitori istituzionali investono solitamente capitali di terzi che l'attività di due diligence contribuisce a tutelare. L'attività di due diligence, seppur presente durante tutta l'attività di negoziazione, s'intensifica durante la fase che segue la firma della lettera di intenti, fino alla stipulazione del contratto vero e proprio. La due diligence può essere svolta direttamente dall'investitore istituzionale oppure, tramite professionisti di sua fiducia che si occuperanno di specifiche aree aziendali e di business. Un buon andamento della due diligence è una garanzia per entrambe le parti di una chiusura della negoziazione in maniera rapida e permette all'investitore di venire in possesso di quelle informazioni necessarie ad effettuare l'investimento in maniera professionale. Inoltre, la due diligence tende ad evitare che, dopo la firma del contratto, insorgano contestazioni o contenziosi. L'attività necessaria per la due diligence richiede un forte impegno sia da parte dell'investitore e dei suoi professionisti che da parte dell'impresa: imprenditore, management (dirigenti e quadri) ma anche, molto spesso, personale esecutivo, saranno tutti coinvolti in prima persona nel collaborare al processo e nel far fronte alle necessarie richieste.Se le analisi effettuate dall'investitore hanno dato esito positivo, si giunge alla firma del contratto che definisce in dettaglio i termini dell'accordo tra la società ed i suoi azionisti da una parte e l'investitore dall'altra. Il contratto di acquisto prevederà le normali clausole a garanzia dell'acquirente sulla correttezza e completezza dei dati e dei fatti rappresentati e sull'inesistenza di passività occulte, nonché le procedure di risoluzione delle controversie. Alcuni accordi che regolano i rapporti tra gli azionisti vengono normalmente inclusi nel contratto d'investimento, che svolge così anche funzione di patto parasociale tra gli azionisti originari e quelli entranti. Tali forme di accordo possono riguardare: la "corporate governance". Quest'area comprende le regole per la nomina ed il

funzionamento degli organi sociali, per il funzionamento del controllo di gestione, per le maggioranze qualificate richieste per atti particolari (come acquisto e cessione di azioni e/o di partecipazioni);

il disinvestimento. Si tratta di accordi sulle regole di disinvestimento e sull'esercizio dei diritti di opzione.

Una volta raggiunto l'accordo sul prezzo e sull'entità della partecipazione da assumere e sugli altri aspetti regolati dal contratto finale, l'operazione si concretizza con il trasferimento delle azioni, il pagamento del prezzo, il rilascio delle garanzie, l'eventuale sostituzione degli amministratori e la firma di eventuali contratti accessori. Da questo momento in poi investitore e imprenditore sono a tutti gli effetti soci della stessa iniziativa e devono cominciare a lavorare insieme per massimizzare la creazione di valore.

4.9 Le forme tecniche di intervento e il periodo successivo L' investitore istituzionale fornisce capitale sulla base di un "pacchetto" finanziario, composto in funzione delle varie esigenze di controllo e redditività che si vogliono soddisfare. L'acquisizione di quote azionarie di nuova emissione o vendute da soci preesistenti rappresenta la modalità tecnica di investimento più frequente. In alternativa, si possono utilizzare forme di finanziamento "intermedie" tra il debito e l'equity con un mix tra le varie forme. 4.9.1 I principali strumenti di finanziamento Equity: definito anche "capitale di rischio", rappresenta il capitale proprio dell'azienda, versato, generalmente, attraverso la sottoscrizione di titoli azionari. La sua remunerazione dipende,

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pertanto, dalla redditività e dal successo dell'iniziativa, sia in termini di utile prodotto e distribuito agli azionisti tramite dividendi, sia in termini di aumento di valore delle azioni. Prestito obbligazionario convertibile: capitale di debito raccolto attraverso l'emissione di particolari obbligazioni, convertibili, entro determinati lassi di tempo e in base a rapporti di cambio prefissati, in azioni della stessa società emittente o di altre società. Le obbligazioni convertibili, pertanto, offrono al loro sottoscrittore la facoltà di rimanere creditore della società emittente (quindi di conservare lo status di obbligazionista), e di ricevere i proventi attraverso il pagamento degli interessi, assumendo, solo in un secondo momento, lo status di azionista attraverso la conversione in azioni delle obbligazioni. Finanziamento mezzanino (mezzanine financing): si tratta di un insieme di strumenti finanziari che presentano caratteristiche tecniche differenti e sono generalmente riconducibili a forme articolate di debito e obbligazioni, il cui rendimento è in parte fisso o comunque determinato (tasso di interesse) e in parte legato all'apprezzamento del valore della società alla quale questo prestito è destinato. Debito subordinato (subordinated debt): si tratta di un finanziamento a titolo di capitale di debito e a medio-lungo termine. Il suo rimborso è privilegiato rispetto al capitale proprio, ma postergato rispetto alle altre forme di debito. Senior debt: rappresenta la forma più classica di capitale di debito a medio-lungo termine, privilegiato, nel rimborso, rispetto a tutte le altre forme di finanziamento. 4.9.2 Il monitoraggio dell'investimento Tale attività è quella che qualifica in modo più specifico l'intervento dell'investitore istituzionale nel capitale di rischio e la sua capacità di collaborare alla creazione di valore per l'impresa. Dopo avere assunto la partecipazione, infatti, l'investitore richiede, di norma, un'informativa dettagliata e costante per poter tenere sotto controllo l'andamento della società e individuare con tempestività i problemi. Il monitoraggio dell'investimento viene effettuato su gran parte degli aspetti che caratterizzano la vita aziendale, sia attraverso l'analisi costante di alcuni indicatori economico-reddituali, sia attraverso la partecipazioni alle riunioni del Consiglio di Amministrazione, alle quali rappresentanti dell'investitore, di norma, partecipano. È importante ricordare che l'investitore non si sostituisce all'imprenditore e quasi mai pretende di partecipare alle scelte operative del management, mentre vuole essere parte attiva nell'ambito delle scelte di carattere strategico e nella verifica dell'andamento, tramite la presenza nel Consiglio di Amministrazione. In realtà, in funzione di alcune variabili (tipologia di investitore, tipologia di operazione, problemi interni all'azienda), l'investitore può assumere un atteggiamento più o meno incisivo nella conduzione aziendale, partecipando in misura maggiore o minore alla vita della stessa. 4.9.3 Il disinvestimento L'investitore istituzionale nel capitale di rischio rappresenta un socio temporaneo dell' imprenditore, interessato a monetizzare il proprio investimento ed a realizzare un guadagno di capitale attraverso la vendita della partecipazione, una volta raggiunti gli obiettivi prefissati. Il disinvestimento consiste, dunque, nella cessione, totale o parziale, della partecipazione detenuta dall'investitore, che, in alcuni casi, può anche decidere di conservare una minima quota di capitale nell'impresa in via più duratura. Il momento dell'uscita dell'investitore dal capitale dell'impresa non è quasi mai predeterminato, ma è funzione dello sviluppo della società. Sempre più spesso, tuttavia, gli

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investitori cercano di prevedere, al momento dell'acquisto della partecipazione, gli eventuali canali di uscita ed i tempi di realizzo, al fine di pianificare al meglio anche questa fase finale dell'operazione. Nei casi di successo, si disinveste quando l'azienda ha raggiunto il livello di sviluppo previsto ed il valore della società, e quindi della partecipazione, si è conseguentemente incrementato. Nell'eventualità in cui l'iniziativa fallisca, perché, ad esempio, il nuovo prodotto o la nuova tecnologia non riescono ad affermarsi sul mercato, si disinveste quando matura la convinzione che non è più possibile risolvere la situazione di crisi che si è creata. In entrambe le situazioni, i tempi e le modalità del disinvestimento sono definiti, di norma, con l'accordo di tutti i soci. Diverse sono le modalità di disinvestimento, dipendenti sia dalla tipologia di impresa e di operazione precedentemente posta in essere, che dai risultati raggiunti. I tipici canali utilizzati dagli investitori per cedere le azioni in loro possesso sono: la quotazione in Borsa dei titoli dell'impresa partecipata; la vendita dei titoli ad un'altra impresa industriale o ad un altro investitore istituzionale; il riacquisto della partecipazione da parte del gruppo imprenditoriale originario. la vendita a nuovi e vecchi soci, risultanti da un'operazione di concentrazione tra diverse imprese

del settore nel frattempo realizzata. È ovviamente da mettere in previsione anche l'ipotesi che tutta l'operazione non vada a buon fine e che, quindi, non si verifichi un vero e proprio disinvestimento, ma un azzeramento del valore della partecipazione. Ciò è più frequente soprattutto nelle operazioni di "start up" di imprese tecnologiche. La quotazione in Borsa Il canale più ambito di disinvestimento è la quotazione in Borsa dei titoli della società partecipata. Dal momento che in Borsa è possibile collocare anche una minoranza del capitale dell'impresa, tale strada permette, all'investitore, di cedere con profitto il proprio pacchetto di azioni, ed all'imprenditore di mantenere il controllo della società. Inoltre, avere un investitore istituzionale come socio nel capitale di rischio vuole dire avere già fatto un percorso importante verso la trasparenza e quindi essere già abbastanza pronti ad affrontare la quotazione. La presenza dell'investitore istituzionale, anticipando molti dei passaggi necessari, contribuisce a mitigare i rischi e gli svantaggi derivanti dal processo di quotazione. Il significato e l'ampiezza dei vantaggi specifici legati alla quotazione e dei relativi oneri dipendono dal soggetto interessato. La cessione delle quote ad un'altra impresa industriale Oltre alla quotazione esistono altre modalità di smobilizzo, e il caso di cessione della partecipazione a un'altra azienda è una delle vie maggiormente seguite. L'offerta di acquisto può presentarsi in modo spontaneo, oppure viene attentamente costruita, cercando potenziali imprese interessate, dall'investitore di comune accordo con l'imprenditore. Questo canale apre una prospettiva di sviluppo per l'impresa, dal momento che l'acquirente può essere un altro gruppo imprenditoriale interessato a sviluppare la propria area di business realizzando sinergie operative e strategiche. La scelta di vendere ad un solo acquirente, inoltre, comporta un impegno di persuasione più ristretto rispetto alla necessità di convincere l'intero mercato e, generalmente, tempi più ristretti. Uno degli svantaggi più rilevanti del trade sale può essere l'opposizione del management, che teme di perdere la propria indipendenza a seguito del cambiamento dei vertici della società. È sempre più frequente, tuttavia, il caso in cui l'azienda acquirente voglia mantenere la stessa struttura organizzativa (e a volte lo stesso imprenditore originario, seppur con quote di minoranza) per non perdere i vantaggi competitivi e le conoscenze maturate nel tempo. La cessione delle quote ad un altro investitore istituzionale

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In alcuni casi il processo di disinvestimento può essere realizzato attraverso il "passaggio del testimone" da un investitore ad un altro. Ciò si verifica soprattutto quando l'impresa non è ancora pronta ad essere affidata al mercato, ma necessita di ulteriori capitali e conoscenze per proseguire il suo processo di crescita. Al tempo stesso, l'investitore originario, potrebbe considerare esaurito il suo compito, preferendo cedere la partecipazione ad un nuovo operatore, magari maggiormente specializzato nelle fasi successive di sviluppo. Il riacquisto delle quote da parte del gruppo imprenditoriale originario L'imprenditore può riacquistare la quota ceduta originariamente all'investitore istituzionale nel capitale di rischio. Tale eventualità può essere prevista contrattualmente fin dall'inizio dell'intervento, affidandone l'attivazione all'imprenditore (call) o all'investitore (put). In tali casi l'investitore istituzionale rappresenta un partner temporaneo che si impegna a "traghettare" l'intera compagine sociale, e non solo l'impresa, verso una dimensione o una struttura più adeguata alle esigenze del mercato. Il riacquisto può però anche essere causato da una performance insoddisfacente, che non rende quindi l'impresa sufficientemente attraente per altri potenziali acquirenti, così come può essere provocato dall'opposizione, da parte dei soci non finanziari, all'intervento di nuovi soggetti nella compagine azionaria. Il default L'attività di venture capital e private equity, come detto, comporta la piena partecipazione al rischio di impresa da parte dell'investitore istituzionale. Quindi, qualora l'iniziativa imprenditoriale fallisca, l'investitore non potrà far altro che annotare la perdita di valore della partecipazione, fino al suo totale azzeramento.

4.10 Le attività dell’investitore 4.10.1 Raccolta

Il processo di raccolta è una fase, oltre che estremamente delicata, molto impegnativa dal punto di vista delle risorse e del tempo; generalmente l'attività di fund raising impegna gli investitori per un periodo di circa un anno. Sulla base di una schematizzazione realizzata dall'European Private Equity and Venture Capital Association (EVCA), è possibile suddividere il processo di raccolta in sette fasi: 1. identificazione del mercato target;2. pre-marketing;3. strutturazione del fondo;4. preparazione e distribuzione del materiale di marketing;5. incontri con i potenziali investitori;6. preparazione della documentazione legale;7. chiusura. Nella fase di identificazione del mercato target, prima di procedere ai contatti con i potenziali investitori, l'operatore identifica quali sono i mercati strategicamente più appetibili per la sua raccolta. È importante che, prima di rivolgersi a investitori internazionali, l'operatore acquisti stima e riscontri positivi presso il proprio mercato nazionale. Successivamente è possibile dare avvio alla fase di pre-marketing, rappresentata da un naturale prolungamento di quanto esposto in precedenza. La scelta dei primi investitori cui rivolgersi, infatti, viene realizzata soprattutto per attrarne altri di dimensioni maggiori e originare così un circolo virtuoso. Esistono anche particolari soggetti, i cosiddetti gatekeepers, che per i fondi chiusi di piccola dimensione rappresentano, spesso, l'unica via per accedere ad alcuni mercati geograficamente lontani dal proprio. Questi soggetti, infatti, sono consulenti, gestori di portafogli di fondi e manager di grandi investitori istituzionali e rappresentano a loro volta un alto numero di investitori. La buona accoglienza presso alcuni di questi soggetti dà una sorta di "marchio di garanzia" per altri potenziali investitori. Tale garanzia è data, in parte,

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dall'esperienza maturata da costoro e, in parte, dalle rigorose e standardizzate procedure di due diligence che essi, data la loro dimensione, possono mettere in atto. Preparandosi al fund raising, che ci si avvalga o meno di una rete di advisors, è necessario che il promotore strutturi il proprio fondo nei minimi dettagli, sotto il profilo tecnico, legale e fiscale. Una volta strutturato il fondo secondo tutte le direttrici, occorre preparare un documento di presentazione (il placement memorandum) che, come una sorta di business plan, costituisce il biglietto da visita dell'operatore. In molti casi il memorandum si rivela non solo la prima, ma anche l'ultima opportunità per attrarre nuovi investitori: un piano di marketing sbagliato può indurre gli investitori a tralasciare un progetto d'investimento buono, ma mal presentato (e quindi non compreso). Nel documento, il management del fondo deve riuscire a sintetizzare ciò che è stato fatto in passato, con le relative performance ottenute, come pensa di agire per mantenere o migliorare tali risultati e quale è il proprio vantaggio competitivo rispetto ad altri soggetti (ciò che dovrebbe indirizzare la scelta verso il proprio fondo). Un esauriente placement memorandum deve, in primo luogo, contenere la descrizione di tutti i termini e delle condizioni, includendo, quindi, dati e prospetti a proposito di: - dimensione del fondo;- dimensione delle quote di partecipazione;- durata del fondo;- politiche di distribuzione dei proventi;- management fee;- costi di organizzazione e struttura;- altri costi;- attività di report verso gli investitori. Quanto realizzato fino a questo punto è ovviamente finalizzato all'incontro con gli investitori, durante il quale essi valutano se proseguire i contatti o se interromperli, nel caso non siano soddisfatti da quanto offerto, o non lo comprendano a fondo. Infine, deve essere predisposta la documentazione legale, rappresentata da tutti gli atti e i contratti necessari per la conclusione dell'investimento, quando ormai la scelta dell'investitore è pressoché fatta e siglati i quali l'attività di fund raising può definirsi conclusa. Tradizionalmente, i principali soggetti erogatori di capitale nel settore del private equity e del venture capital sono, essi stessi, investitori istituzionali. Trattasi, per lo più, di fondi pensione (in particolare nei mercati anglosassoni) e istituzioni bancarie (Europa continentale, Italia compresa), impossibilitati a svolgere direttamente tale attività ma, al tempo stesso, interessati ai ritorni ottenibili nel medio -lungo periodo. Un ruolo via via crescente all'interno del panorama dei soggetti "fornitori" di risorse finanziarie per il mercato del capitale di rischio internazionale lo stanno assumendo i cosiddetti fondi di fondi. Si tratta di veri e propri fondi con disponibilità di capitali molto ingenti, spesso lanciati da banche di investimento, che impiegano le risorse da loro raccolte prevalentemente in quote di altri fondi di private equity e venture capital, invece che direttamente in partecipazioni di imprese.

4.10.2 Le valutazioni dell’investitore sull’investimento L'approccio classico La più classica e diffusa segmentazione del mercato del capitale di rischio, le cui categorie, seppur con minimi adattamenti geografici, sono internazionalmente adottate dagli operatori, dalle associazioni e dai centri di ricerca, anche ai fini statistici, classifica le tipologie di investimento, sostanzialmente, a seconda delle diverse fasi del ciclo di vita dell'impresa target. In tale ottica, si parla di seed (finanziamento dell'idea) e start up financing per individuare gli interventi cosiddetti di early stage, volti cioè a finanziare le primissime fasi di avvio dell'impresa. Successivamente, qualora l'investimento sia finalizzato a supportare la crescita e l'implementazione di programmi di sviluppo di aziende già esistenti, vengono utilizzati i termini expansion financing o development capital, mentre si parla di replacement

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capital (capitale di sostituzione) per riferirsi ad interventi che, senza andare ad incrementare il capitale sociale dell'impresa, si pongono l'obiettivo di sostituire parte dell'azionariato non più coinvolto nell'attività aziendale. Ancora, tutte le operazioni orientate al cambiamento totale della proprietà dell'impresa, sia a favore di manager interni alla stessa società (management buy out) che di manager esterni (management buy in), con il frequente uso della leva finanziaria come strumento di acquisizione (leveraged buy out), vengono generalmente raggruppate nella categoria dei "buy out"; così come si parla di turnaround per indicare gli investimenti di ristrutturazione di imprese in crisi e di bridge financing con riferimento agli interventi finalizzati, sin dal momento della loro realizzazione, nell'accompagnare l'impresa in Borsa. All'interno delle dette categorie sono, a loro volta, individuabili ulteriori tipologie di investimento, a seconda della specifica fase aziendale e dello specifico tipo d'intervento

Una evoluzione La crescente complessità dei settori "merceologici" e delle peculiari problematiche ad ognuno di essi riconducibile (si pensi all'ampio comparto dell'Information Technology ed a quanto sta avvenendo nei sistemi economici più avanzati, dove aziende "neonate" sono già pronte alla quotazione in Borsa) fa sì che, in determinati casi, lo stadio di sviluppo delle diverse imprese, e le esigenze finanziarie ad esso collegate, poco si prestino ad una schematizzazione classica. In più, gli operatori nel capitale di rischio sviluppano di continuo avanzati strumenti di ingegneria finanziaria, sempre più complessi e sofisticati, attraverso i quali si fa uso contemporaneo di diverse leve e che, per questo motivo, sono difficilmente catalogabili. Alla luce di ciò, oggi si adotta una più corretta classificazione, basata sulla macro ripartizione tra le diverse esigenze strategiche dell'impresa, le problematiche ad esse riconducibili e gli obiettivi di soddisfacimento di queste che si pone l'investitore. In tale ottica, gli interventi degli investitori istituzionali nel capitale di rischio possono essere raggruppati, classificati e caratterizzati sulla base di tre principali tipologie: finanziamento dell'avvio; finanziamento dello sviluppo; finanziamento del cambiamento/ripensamento.

la prima categoria viene ricondotta l'attività propriamente detta di venture capital, mentre la seconda e la terza rientrano nel segmento del private equity. Di seguito vengono riportate le tre categorie in dettaglio

Figura 1: le principali categorie di investimento nel capitale di rischio Fonte: A. Gervasoni, F.L. Sattin, Private Equity e Venture Capital, manuale di investimento nel capitale di rischio, Guerini e Associati, Milano 2004

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4.10.3 Il finanziamento dell'avvio All'interno di tale categoria sono ricondotti tutti gli interventi il cui obiettivo è quello di supportare la nascita di una nuova iniziativa imprenditoriale, sia essa ancora nella fase embrionale, che nelle primissime fasi di avvio. Dal punto di vista della domanda (impresa), la richiesta di intervento è generalmente riconducibile a un imprenditore - o aspirante tale - intenzionato a sviluppare una nuova invenzione, o a migliorare/implementare un prodotto/processo produttivo esistente. Prima che la commercializzazione del nuovo prodotto sia avviata e consegua i primi successi, servono spesso ricerche (di base, di mercato, ecc…) o altre attività, le quali richiedono investimenti a volte onerosi. Inoltre, ciò di cui il portatore della nuova idea imprenditoriale ha spesso grande bisogno è un apporto in termini di capacità imprenditoriale, di competenze aziendali e manageriali. Nelle operazioni di avvio, o di early stage, l'uomo necessita spesso, più che di un mero contributo in termini di capitali, di un aiuto nella definizione della formula imprenditoriale e nella riflessione sulla propria posizione competitiva. Al tempo stesso, l'investitore deve necessariamente avere fiducia non solo nelle potenzialità del business, ma anche negli uomini che con lui lo condurranno. Una distinzione deve poi essere effettuata tra il lancio di prodotti e servizi ad alto contenuto tecnologico (high tech) e attività di tipo più tradizionale. La necessità di conoscenze altamente specializzate e ancora non particolarmente consolidate (specie nei paesi dell'Europa continentale), unita alla rapidità di obsolescenza dei prodotti e dei processi tipica dei settore tecnologici, caratterizzano gli investimenti effettuati in tale comparto, soprattutto in termini di necessità di valutazione delle capacità imprenditoriali più che reddituali dell'impresa e di diminuzione dei tempi di permanenza del socio istituzionale nella compagine azionaria 4.10.4 Il finanziamento dello sviluppo La seconda macro categoria di interventi effettuati da investitori istituzionali nel capitale di rischio è riconducibile a tutte quelle situazioni nelle quali, a diverso titolo e secondo diverse modalità, l'impresa si trovi di fronte a problematiche connesse al suo sviluppo. Lo sviluppo di un'attività imprenditoriale che ha già raggiunto un determinato livello di maturità, può essere generalmente perseguito attraverso l'aumento o la diversificazione diretta della capacità

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produttiva (sviluppo per vie interne), l'acquisizione di altre aziende o rami di azienda (sviluppo per vie esterne), oppure l'integrazione con altre realtà imprenditoriali, fermo restando un elevato grado di autonomia operativa delle singole unità (sviluppo "a rete"). Nel primo caso, il contributo dell'investitore nel capitale di rischio sarà prevalentemente di natura finanziaria, anche se, essendo generalmente presenti ancora molte aree di sviluppo inesplorate, soprattutto in termini di diversificazione produttiva e geografica, l'elemento consulenziale potrà rilevarsi estremamente prezioso. Nel caso si intendessero perseguire gli obiettivi di sviluppo attraverso una crescita per vie esterne, particolare importanza è assunta dal network internazionale che l'investitore è in grado di attivare per l'individuazione del partner ideale. In virtù di ciò, questo genere di interventi risulta particolarmente congeniale agli operatori che dispongono di una consolidata esperienza di carattere internazionale e una notevole rete di conoscenze in seno a realtà economiche e industriali di paesi diversi. Nel terzo caso, infine, si fa riferimento ad una tipologia di intervento finalizzata al raggruppamento (cluster) di più società operative indipendenti, integrabili verticalmente od orizzontalmente e caratterizzate da considerevoli similitudini in termini di prodotti, mercati e tecnologie, possedute da una holding svolgente un ruolo di coordinamento strategico e dove la maggioranza è detenuta da una o più società di investimento. 4.10.5 Il finanziamento del cambiamento La terza categoria di interventi in capitale di rischio è finalizzata al finanziamento di processi di cambiamento interni all'azienda, che, seppur fondati su motivi differenti, spesso portano ad una modifica, più o meno profonda, dell'assetto proprietario della stessa. Si tratta della categoria maggiormente indipendente, rispetto alle altre, dallo stadio di sviluppo raggiunto dall'impresa, che invece colloca la necessità di ricorso ad un investitore istituzionale nell'esigenza di un suo "ripensamento". Le motivazioni che si pongono alla base del cambiamento possono risiedere tanto nel cosciente raggiungimento, da parte dell'impresa, di una fase anagrafica, strategica o patrimoniale di "stallo", per il cui superamento è necessario una modifica del suo assetto, quanto nel verificarsi involontario di eventi negativi. 4.10.6 Il disinvestimento La fase dello smobilizzo costituisce la parte finale della sequenza del processo di investimento, una fase estremamente delicata perché è in questo stadio che può realizzarsi un guadagno di capitale, che rappresenta lo scopo ultimo dell'investitore istituzionale nel capitale di rischio. Tale operatore, infatti, non rimane per sua natura legato troppo a lungo alle imprese finanziate (se così non fosse si trasformerebbe in holding di partecipazione), visto che si propone come partner temporaneo e che il suo obiettivo finale è quello di realizzare un capital gain nel medio-lungo periodo. Riassumendo le modalità di disinvestimento in uno schema, esse possono essere distinte nel modo seguente: 1. la vendita delle azioni sul mercato borsistico; 2. la cessione della partecipazione a un socio di natura industriale (trade sale); 3. la cessione della partecipazione a un altro operatore di private equity o venture capital (replacement e secondary buy out) 4. il riacquisto della partecipazione da parte del socio originario (buy back); 5. l'azzeramento della partecipazione a seguito di fallimento (write off).

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La scelta del canale di disinvestimento, seppur indicativamente già definita al momento della negoziazione, deriva da una serie di fattori legati alla tipologia dell'impresa target (dimensioni, settore di attività, caratteristiche organizzative ecc.), ai risultati raggiunti attraverso la collaborazione tra investitore e imprenditore, a elementi congiunturali, nonché alle specifiche volontà e preferenze di tutti gli shareholders. Di fatto, nessuna delle vie sopra indicate è realmente programmabile con un grado di certezza assoluta: tutto dipende dalla qualità del lavoro svolto e dal suo successo. La quotazione dei titoli della società partecipata su un mercato regolamentato rappresenta, nella maggior parte dei casi, la più ambita via di dismissione della partecipazione da parte dell'investitore istituzionale. I principali vantaggi riconducibili alla dismissione tramite IPO sono attribuibili ai seguenti fattori: la possibilità di spuntare un prezzo più alto (estremamente dipendente da elementi

esogeni); la maggior facilità di incontrare le preferenze del management dell'impresa; la possibilità di un guadagno ulteriore derivante dall'incremento del valore, post

quotazione, delle azioni rimaste in portafoglio dell'investitore istituzionale Sul fronte opposto, i principali svantaggi sono rappresentati da: a la dimensione dei costi, maggiore rispetto ad altre alternative di dismissione; b le clausole di lock up che impediscono agli investitori presenti nella compagine azionaria prima della quotazione di cedere immediatamente tutte le partecipazioni detenute; c- l'illiquidità di molti mercati europei; d la necessità, affinchè l'IPO vada a buon fine, di attrarre un vasto numero di investitori; e il fatto che tale opzione sia, in realtà, impercorribile per alcune piccole imprese. Allo stesso tempo, tuttavia, l'ammissione al listino ufficiale di Borsa non è un processo semplice per le imprese minori e, quindi, tale canale può essere inserito in un'ottica di medio-lungo termine, come modalità avente un ragionevole grado di certezza, solo per quelle società che hanno già raggiunto un certo sviluppo e una certa maturità. Nell'ambito della gamma delle possibilità di disinvestimento, la modalità internazionalmente più diffusa è comunque rappresentata dalla cessione delle quote della partecipata a nuovi soci industriali, o dalla fusione con altre società. I principali vantaggi riconducibili a questa tipologia di dismissione sono attribuibili ai seguenti fattori: 1) gli acquirenti possono pagare un prezzo maggiore, riconducibile al premio attribuibile all'importanza strategica che ha per loro l'acquisto dell'impresa target; 2) è possibile liquidare immediatamente il 100% della partecipazione posseduta; 3) si tratta di un'operazione più economica, veloce e semplice rispetto a un IPO; 4) a volte è l'unica opzione per alcune imprese minori; 5) è necessario convincere un solo soggetto acquirente, anziché l'intero mercato. In termini di svantaggi, invece, si sottolineano i seguenti: - spesso il management dell'impresa target è contrario all'operazione; - in alcuni paesi non ci sono molti trade buyers; - alcuni investitori istituzionali non sono disposti a concedere le garanzie tipicamente richieste dagli acquirenti. Oltre alla possibilità di quotazione in Borsa dell'impresa partecipata e al trade sale, altre importanti tipologie di disinvestimento sono rappresentate dalla vendita a un'altra istituzione finanziaria e dal riacquisto delle quote da parte del management o degli altri azionisti. L'azzeramento (write off) della partecipazione a seguito della sua totale perdita di valore non rappresenta di fatto una vera e propria modalità di disinvestimento, in quanto non contiene alcun elemento discrezionale da parte dell'investitore. Il caso di cessione ad altro investitore istituzionale, situazione in passato poco frequente, rappresenta di fatto una tipologia di way out che si sta diffondendo sempre di più, in particolar modo nelle ipotesi di secondary buy out, quando, cioè, è una quota di

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maggioranza o addirittura l'intera azienda che passa di mano da un investitore a un altro. Il riacquisto della quota dell'investitore istituzionale nel capitale di rischio da parte dell'imprenditore è, invece, una modalità di cessione della partecipazione spesso prevista contrattualmente fin dall'inizio dell'intervento partecipativo, affidandone l'attivazione all'imprenditore (call) o all'investitore (put) e può rappresentare un'alternativa offerta all'imprenditore qualora questi non voglia intraprendere un processo di quotazione o cessione della propria quota. 4.11 Fonti di capitale proprio Trattasi di strumenti finanziari destinati al reperimento delle risorse da parte delle imprese. Oltre ai finanziamenti a titolo di capitale di debito, che comportano una remunerazione predeterminata (interessi) e il rimborso del capitale, un’altra classica fonte di finanziamento per un’attività economica è quella a titolo di capitale proprio che può derivare da: conferimenti effettuati dal proprietario o dai soci e che portano un’iniezione di nuove risorse; utili conseguiti con la gestione non prelevati dal proprietario o non distribuiti ai soci; si tratta di una forma di autofinanziamento. Il finanziamento a titolo di capitale proprio(o di rischio) presenta le seguenti caratteristiche: a) non ha una scadenza prefissata: i capitali apportati da soci e proprietari rimangono investiti a lungo termine, fino alla cessazione dell'attività o fino alla cessione dell'azienda o delle quote possedute; b) non comporta l'obbligo di una remunerazione predeterminata: il capitale proprio è remunerato solo se la gestione genera utili e se questi utili non vengono destinati all'autofinanziamento; c) è soggetto al rischio d'impresa: se l’impresa dovesse andare in liquidazione in seguito a vicissitudini negative, i soci recupererebbero il capitale proprio solo subordinatamente al soddisfacimento dei creditori.

Nel caso di aziende aventi forma giuridica di società per azioni, il capitale sociale è costituito da azioni. Quest’ultime possono essere quotate e quindi negoziate sui mercati regolamentati, qualora la società rispetti le condizioni individuate dalla società gerente, ovvero, in Italia la Borsa Italiana S.p.A. Le PMI possono essere quotate su un mercato ad esse dedicato lo “STAR” (Segmento Titoli con Alti Requisiti). L’ammissione alla quotazione è subordinata al rispetto di determinati requisiti fissati dal Regolamento della Borsa Italiana:

esistenza di un flottante pari ad almeno il 35% per l’accesso al segmento e al 20% per la permanenza;

la nomina da parte delle società candidate di un soggetto “specialista” che assicuri liquidità al titolo (impegni quantitativi giornalieri e spread);

l’obbligo di pubblicare i propri bilanci, le relazioni semestrali, le trimestrali e i comunicati sul proprio sito, fornendo anche una versione in inglese;

l’adesione ai principi di corporate governance esposti nel Codice di Autodisciplina di Borsa Italiana;

presenza nella società di un comitato per il controllo interno, composto da un numero adeguato di amministratori non esecutivi, con compito di analizzare problematiche e istruire pratiche rilevanti per il controllo delle attività aziendali;

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parte significativa della remunerazione dei dirigenti deve essere variabile in funzione dei risultati.

nomina da parte della società di un Investor Relator interno che si occupi prevalentemente della gestione dei rapporti con investitori e intermediari.

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MODULO 2

Capitolo 5

Il fabbisogno finanziario dell’impresa: principi e modalità di calcolo delle necessità finanziarie

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5.1 L’attività dell’azienda: le sue implicazioni economiche e finanziarie Redditività e variazione della liquidità. L’introduzione del “tempo “nel ciclo acquisti-trasformazione -vendite porta concettualmente ad analizzare la dinamica dell’azienda dal punto di vista dell’impatto della CASSA. Infatti se considerassimo due fenomeni correnti nelle gestione: credito a clienti dilazione da fornitori Vedremmo subito come la variazione monetaria (della cassa) è influenzata dalla differenza fra : crediti incassati e pagamenti effettuati a fornitori. La definizione di fonte e impiego In azienda ogni attività implica, direttamente o indirettamente, entrate e uscite di cassa sotto forma di movimenti di “conto corrente bancario. In senso lato si può affermare che ogni entrata è una «fonte» e ogni uscita è un «impiego». L'utilizzo di questi termini è dovuto alla natura di risorsa della cassa. Fonti e impieghi sono concetti speculari: ogni riduzione degli impieghi, liberando risorse, è da considerarsi una fonte e viceversa. Esemplificazione la dinamica delle fonti e degli impieghi finanziari

Variazione Effetto monetario Flusso di cassa connesso Incremento di impieghi Riduzione di risorse Flusso di cassa negativo

Decremento di impieghi Aumento di risorse Flusso di cassa positivo

Aumento di fonti Incremento di risorse Flusso di cassa positivo

Riduzione di fonti Decremento di risorse Flusso di cassa negativo

Esempi di

IMPIEGHI DI CAPITALE (RISORSE) La concessione o l’aumento del credito verso clienti (Rappresenta infatti lo spostamento nel tempo di un'entrata di cassa.<Quando un'azienda pratica dilazioni a un cliente rinuncia a un'entrata a pronti in cambio di una promessa di pagamento a termine) Un aumento magazzino Un investimento in immobilizzazioni Un rimborso di un debito Un pagamento di un fornitore

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FONTI DI CAPITALE (RISORSE) Accensione di un debito Un incremento di un debito di fornitura Una dismissione di immobilizzazioni Un rimborso di un credito La vendita di parte del magazzino. La redditività intesa come profitto economico non è automaticamente sinonimo di liquidità. Infatti comunemente si afferma che ..”” l’azienda guadagna ma ha i conti scoperti e utilizza fidi bancari“. In realtà è un fenomeno diffuso che la gestione produca reddito economico ma non liquidità, in quanto le uscite monetarie risultano superiori alle entrate monetarie. Ma è una situazione possibile ? in termini di analisi finanziaria quanto sopra risulta possibile se la redditività risulta ampiamente superiore al costo dell’indebitamento. In altre parole l’azienda qualora abbia un risultato positivo della gestione corrente che consente di far fronte all’esborso delle gestione finanziaria e remunerare il capitale investito in maniera soddisfacente potrà essere considerata “ affidabile” da parte dei finanziatori bancari 5.2 Il Rendiconto Finanziario Il rendiconto finanziario non è espressamente richiesto dalle norme civilistiche sul bilancio d'impresa e consolidato. Tuttavia, dottrina e prassi sono concordi nel ritenere necessaria la sua predisposizione per soddisfare il requisito della rappresentazione veritiera e corretta della situazione finanziaria di un'impresa. Il Principio contabile n. 11 enunciato dai Consigli nazionali dei dottori commercialisti e dei ragionieri, relativo peraltro alle sole imprese industriali e commerciali, definisce il rendiconto finanziario documento fondamentale ai fini della completezza informativa di bilancio. Tale prospetto, infatti, da un lato consente di riassumere in modo organico le informazioni già richieste sinteticamente dalla legislazione, dall'altro rende disponibili informazioni di natura finanziaria altrimenti non ottenibili dallo stato patrimoniale e dal conto economico. Il citato principio contabile prevede la possibilità di non includere nell'informativa il rendiconto finanziario solo per le società di minori dimensioni.I modelli di rendiconto finanziario proposti in dottrina sono molteplici. Il rendiconto finanziario, in generale, al fine di riassumere l'attività finanziaria dell'impresa deve identificare il concetto di risorse finanziarie (fondi) da accogliere a suo fondamento. I significati di tale termine ritenuti dal Principio contabile n. 12 dei Consigli nazionali dei dottori commercialisti e dei ragionieri attualmente validi - per ragioni pratiche e di comparabilità - sono i seguenti:

capitale circolante netto (o attività nette a breve), ossia l'eccedenza delle attività a breve o correnti sulle passività a breve o correnti;

liquidità, ossia disponibilità liquide in cassa e presso banche (cassa e conti correnti bancari attivi) più altri depositi di denaro immediatamente prelevabili senza rischio di cambiamento di valore (ad esempio: conti correnti postali).

Il concetto di risorse finanziarie da utilizzare dipende dall'attività dell'impresa (mercantile, industriale, o di servizi) e dalla significatività delle informazioni ottenibili nelle varie fattispecie. Al rendiconto finanziario di liquidità viene oggi attribuita una crescente capacità segnaletica della situazione finanziaria rispetto al rendiconto di capitale circolante netto, il quale continua

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comunque - secondo il Principio contabile n. 12 dei CNDCR - a conservare la sua validità tecnica.

5.2.1 - Rendiconto finanziario delle variazioni del capitale circolante netto La predisposizione del rendiconto finanziario in termini di variazioni di capitale circolante netto comporta l'evidenziazione delle attività a breve e delle passività a breve. La classificazione delle poste attive e passive ritenuta più appropriata dal Principio contabile n. 12 dei CNDCR per la corretta rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria è basata sul criterio di liquidità delle poste attive e su quello di esigibilità delle poste passive. La classificazione delle poste attive e passive dello stato patrimoniale in gruppi omogenei mette in evidenza gli aspetti tecnici e finanziari delle poste stesse. Con tale classificazione si ottengono delle indicazioni circa il grado di mobilità e di equilibrio finanziario dell'impresa. Più precisamente, si individuano, da un punto di vista tecnico, la diversa funzionalità dei componenti del patrimonio aziendale al processo produttivo e, dal punto di vista finanziario, la diversa attitudine a trasformarsi in numerario. Le attività vanno, pertanto, distinte in due grandi categorie:

attività a breve (o correnti);

attività immobilizzate.

Le passività vanno anch'esse distinte in due grandi categorie:

passività a breve;

passività a medio e lungo termine.

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Per quanto concerne i criteri da utilizzarsi per attuare tale classificazione, il Principio contabile n. 12 dei CNDCR considera opportuno - per esigenze di ordine pratico - effettuare la predetta classificazione sulla base della seguente convenzione:

1. assumere, come regola generale, la durata del periodo amministrativo annuale come criterio per la classificazione dei conti, cioè per la separazione delle poste tra attività e passività a breve e attività immobilizzate e passività a medio e lungo termine;

2. considerare le rimanenze di magazzino come attività a breve. I risultati che ne conseguono sono esposti di seguito.

5.3.3 - Rendiconto finanziario in termini di liquidità Il rendiconto finanziario in termini di liquidità può essere predisposto secondo le seguenti due impostazioni:

il rendiconto finanziario delle variazioni di liquidità, che può essere definito tradizionale, pone l'enfasi sull'esposizione delle variazioni nella situazione patrimoniale e finanziaria in termini di liquidità;

il rendiconto finanziario che espone i flussi di liquidità, che rappresenta l'evoluzione tecnica della prima, invece, pur utilizzando le variazioni nella situazione patrimoniale e finanziaria come strumento di redazione, pone l'enfasi sui flussi di liquidità derivanti da tali variazioni.

L'accezione di liquidità adottata dal principio contabile n.12 dei Consigli dei dottori commercialisti e dei ragionieri è quella di disponibilità liquide in cassa e presso banche più altri depositi di denaro immediatamente prelevabili senza rischio di cambiamento di valore. Nel Principio contabile n. 12 si osserva, al riguardo, che i Principi contabili dello IASC e altri Principi contabili Esteri considerano come concetto di risorse finanziarie anche il "cash equivalents", che include, oltre alle citate attività, anche attività finanziarie a breve termine altamente liquide. L'utilizzo di risorse finanziarie diverse da quelle sopra individuate rende necessario mettere in evidenza le voci componenti tali risorse, nonchè le variazioni subite dalle stesse durante l'esercizio. Per le banche un importante punto di riferimento è rappresentato dall'International Accounting Standard n. 7. Tale principio contabile, infatti, a differenza del principio italiano, riporta un preciso modello del rendiconto finanziario per gli enti creditizi e finanziari. Lo IAS 7 identifica l'accezione di risorse finanziarie in cash e cash equivalents e classifica i cash flows che ne determinano la variazione nell'esercizio di riferimento in:

operazioni della gestione reddituale (operating activities);

attività di investimento (investing activities);

attività di finanziamento (financing activities).

5.2.4 - Rendiconto finanziario dei flussi di liquidità Il rendiconto finanziario di flussi di liquidità previsto dal Principio contabile n. 12 enunciato nel gennaio 1994 dai Consigli nazionali dei dottori commercialisti e dei ragionieri si rifà al Documento n. 7 emesso nel 1992 dall'International Accounting Standards Committee (IASC), a sua volta ispirato dal Documento n. 95 emesso nel 1987 dallo statunitense Financial Accounting Standards Board (FASB).Al fine di riassumere l'attività finanziaria dell'impresa il

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rendiconto finanziario deve necessariamente identificare il concetto di risorse finanziarie (fondi) da porre a suo fondamento. Il significato di tale termine, ritenuto dal Principio contabile n. 12 dei Consigli dei dottori commercialisti e dei ragionieri attualmente valido per le imprese mercantili, industriali e di servizi - per ragioni pratiche e di comparabilità - è quello di cash inteso come disponibilità liquide in cassa e presso banche (cassa e conti correnti bancari attivi) più altri depositi di denaro immediatamente prelevabili senza rischio di cambiamento di valore (ad esempio: conti correnti postali). Nel Principio contabile n. 12 si osserva, al riguardo, che i Principi contabili dello IASC e altri Principi contabili Esteri considerano come concetto di risorse finanziarie anche il "cash equivalents", che include, oltre alle attività sopra individuate, anche attività finanziarie a breve termine altamente liquide. L'utilizzo di risorse finanziarie diverse da quelle sopra individuate rende necessario mettere in evidenza le voci componenti tali risorse, nonchè le variazioni subite dalle stesse durante l'esercizio. Il rendiconto di flussi di liquidità classifica i flussi che determinano le variazioni delle disponibilità liquide in relazione alla tipologia o alla natura dell'operazione che li ha generati, ossia tra:

le operazioni della gestione reddituale;

le operazioni di investimento;

le operazioni di finanziamento.

5.2.5 - Le operazioni della gestione reddituale Le operazioni della gestione reddituale o corrente sono costituite dalle principali attività generatrici di ricavi e dalle altre attività che non siano né di investimento né di finanziamento. Esse riguardano la principale attività gestionale e, pertanto, sono costituite generalmente dalle operazioni relative alla produzione e distribuzione di beni e alla fornitura di servizi. Si riportano, in via esemplificativa, i flussi generati o assorbiti dalle operazioni di gestione reddituale o corrente :

incassi derivanti dalla vendita di prodotti o alla prestazione di servizi;

incassi di royalties, provvigioni, rimborsi assicurativi;

pagamenti per l'acquisto di materia prima, semilavorati, merci e altri fattori produttivi;

pagamenti ai dipendenti;

pagamenti e rimborsi di imposte ;

altri flussi positivi o negativi derivanti da operazioni diverse da quelle di investimento o finanziamento.

I flussi di liquidità generati o assorbiti dalle operazioni della gestione reddituale si determinano con il metodo indiretto, cioè rettificando il risultato dell'esercizio per tenere conto degli effetti delle operazioni che hanno determinato differimenti nelle variazioni di liquidità (ad esempio: aumenti di crediti, di debiti, del magazzino, ecc.). nonchè di quelle operazioni i cui effetti devono essere ricompresi tra i flussi connessi ad operazioni d'investimento o finanziamento (ad esempio: plusvalenze o minusvalenze su cespiti ceduti

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5.2.6 - Le operazioni di investimento Le operazioni di investimento sono costituite dalle attività di acquisizione e di dismissione di immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie. Si riportano, in via esemplificativa, i flussi relativi alle predette operazioni:

erogazione di prestiti o rimborso degli stessi;

acquisti o vendite di fabbricati, impianti, attrezzature o altre immobilizzazioni materiali;

acquisti o vendite di beni immateriali, quali brevetti;

acquisti o cessioni di partecipazioni in imprese controllate e collegate;

acquisti o cessioni di altre partecipazioni e altri titoli, inclusi quelli di Stato e le obbligazioni

5.2.7 - Le operazioni di finanziamento Le operazioni di finanziamento sono rappresentate dalle attività da cui derivano variazioni nell'entità e nella composizione del patrimonio netto e nell'indebitamento a medio- lungo termine dell'impresa. Si riportano, in via esemplificativa, i flussi relativi alle operazioni di finanziamento:

emissione di azioni o di quote rappresentative del capitale di rischio, pagamento dei dividendi o rimborso del capitale (anche sotto forma di acquisto di azioni proprie);

emissione o rimborso di prestiti obbligazionari, accensione o restituzione di mutui;

incremento o decremento di altri debiti, anche a breve o medio termine, aventi natura finanziaria.

Gli interessi ed i dividendi pagati, data la natura delle operazioni da cui scaturiscono, possono essere considerati flussi derivanti da operazioni di finanziamento e gli interessi e i dividendi ricevuti possono essere considerati flussi derivanti da operazioni di investimento. Alternativamente, tutti questi flussi possono essere considerati flussi derivanti dalla gestione reddituale, in quanto rientrano nella determinazione del reddito di esercizio. In ogni caso ciascuno di tali flussi deve essere esposto separatamente nell'ambito della categoria scelta e tale classifìcazione deve essere mantenuta costante nel tempo. In altri termini non può essere esposto un unico ammontare per dividendi e interessi 5.2.8 - Rendiconto finanziario delle variazioni di liquidità Il rendiconto finanziario che espone variazioni nella situazione patrimoniale -finanziaria in termini di liquidità si compone di due parti:

la prima, che espone le variazioni subite durante l'esercizio dalla situazione patrimoniale -finanziaria connesse con movimenti nella liquidità come precedentemente identificata;

la seconda, che mostra tutte quelle altre variazioni che non sono connesse a movimenti finanziari, esclusi i trasferimenti tra conti del patrimonio netto che sono esposti nel relativo prospetto.

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Le fonti e gli impieghi di liquidità possono, indicativamente, essere così riassunti: FONTI:

Flusso di liquidità generato dalla gestione reddituale

Ricavato della vendita di immobilizzazioni (finanziarie, materiali, immateriali)

Assunzione di finanziamenti passivi e incasso di finanziamenti attivi

Aumenti di capitale

IMPIEGHI:

Flusso di liquidità assorbito dalla gestione reddituale

Acquisizione di immobilizzazioni (finanziarie, materiali ed immateriali)

Rimborso di finanziamenti passivi e concessioni di finanziamenti attivi

Diminuzione di capitale

Pagamento di dividendi

Il flusso di liquidità generato dalla gestione reddituale viene determinato aggiungendo algebricamente all'utile netto (perdita) dell'esercizio tutte le poste che nell'esercizio non hanno richiesto esborso, ovvero non hanno originato liquidità. Ad esempio, si aggiunge all'utile netto l'ammortamento dell'esercizio, l'aumento dei debiti verso fornitori, l'aumento dei ratei passivi, la diminuzione dei crediti e del magazzino ecc. e si sottrae l'aumento dei crediti, delle giacenze di magazzino, ecc. Tali aumenti e diminuzioni rappresentano gli scostamenti rispetto ai saldi dell'esercizio precedente. 5.3 Il Fabbisogno finanziario:

note sulle variazioni del CCN e del fabbisogno di cassa Si ringrazia il prof. A. Giampaoli per la possibilità concessa di poter utilizzare il materiale tratto dal suo libro “ Banca e Impresa “ 5.3.1 Il capitale investito Un aspetto finanziario importante della gestione è quello di valutare quanti capitali siano necessari per intraprendere una particolare attività, definita qualitativamente e quantitativamente, e anche quanti capitali saranno necessari per sostenere lo sviluppo desiderato, o richiesto dal mercato, dell'attività aziendale. Detto capitale necessario è parte ideale dei più ampio capitale investito, termine con il quale si indicano anche altri investimenti non afferenti alla gestione caratteristica d'impresa. Di norma la composizione quali- quantitativa del capitale investito viene ricercata tra le attività di bilancio e quindi fa riferimento ai valori contabili in esse riportati. Prescindendo per il momento dalle varie configurazioni elaborate è importante osservare preliminarmente che per quantificare i capitali necessari per intraprendere una particolare attività, i dati di bilancio di un'azienda che svolge attività simile sarebbero di aiuto limitato. Infatti, il capitale investito richiesto da una nuova iniziativa, andrebbe necessariamente

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espresso in moneta corrente mentre, come noto, i criteri di valutazione delle attività di bilancio fanno in buona parte riferimento al costo piuttosto che ai valori correnti.

La differenza tra valutazione al costo e valutazione al prezzo corrente delle attività di bilancio si accentua nei periodi di inflazione e alle distorsioni createsi per tale ragione viene di norma posto rimedio a distanza di tempo con saltuarie e non sempre adeguate rivalutazioni di legge.

Non c'è dubbio che le suddette rivalutazioni siano necessarie per rappresentare meglio il capitale investito a una certa data il quale dovrà necessariamente essere espresso in moneta corrente.

La determinazione dell'ammontare del capitale investito a prezzi correnti può essere necessaria anche nelle decisioni di sviluppo del giro di affari quando, specie nei piani di medio- lungo periodo, si provvede a quantificare l'impegno finanziario che tale sviluppo determinerà al fine di verificare la fattibilità del medesimo in rapporto alla dinamica delle risorse di capitale.

Un'altra osservazione preliminare è quella della relazione esistente tra capitale investito contabile e risultato economico effettivo.

Le aziende con buon risultato economico possono, in certa misura, ridurre l'imponibile per differire le imposte ma, così facendo, riducono il capitale investito contabile; al contrario, le aziende con cattivo risultato effettivo, spesso, per rendere bancabile il bilancio, intervengono alleggerendo il risultato economico di parte dei componenti negativi di reddito sopravvalutando il capitale investito.

Come si vedrà in seguito le politiche di bilancio se da un lato consentono di modificare il risultato economico e conseguentemente il capitale investito, dall'altro non hanno effetto sulla situazione di liquidità di impresa se non limitatamente al differimento di imposte ottenibile contenendo nell'immediato l'imponibile. La configurazione di capitale investito utilizzata è quella data dalla somma tra capitale circolante netto, immobilizzazioni tecniche e finanziarie nette e investimenti finanziari. In tale configurazione l'aggregato del capitale circolante netto comprende i crediti di funzionamento, le rimanenze non speculative e i debiti di funzionamento. Le scorte speculative, cioè quelle acquisite allo scopo di contenere un futuro aumento dei costi di approvvigionamento di materie prime, non facendo parte dei capitale necessario, rappresentano un vero e proprio investimento finanziario da accogliere pertanto in tale classe di valori. Per la stessa ragione l'aggregato del capitale circolante netto non comprende crediti non scaturenti dalla tipica e ordinaria attività d'impresa, né titoli o disponibilità in conti finanziari.

Anche i debiti di funzionamento scaduti vengono esclusi dall'aggregato in quanto di fatto essi assumono la natura di debiti di finanziamento.

I debiti di funzionamento accolti nell'aggregato del capitale circolante netto sono i debiti che sorgono per effetto del pagamento differito delle acquisizioni di merci, servizi e lavoro. Tra i debiti di funzionamento non vengono inseriti i debiti verso i fornitori di immobilizzazioni il cui ammontare viene aggregato quale rettifica nel valore delle immobilizzazioni. Ne deriva che il capitale circolante netto, così configurato, è correlato in modo significativo alla composizione quali- quantitativa del fatturato, alle modificazioni che interessano la durata del ciclo finanziario, alla struttura temporale dei pagamenti connessi ai componenti negativi di reddito e alle politiche di bilancio. Un aggregato degli investimenti finanziari comprende gli impieghi di capitale non afferenti all'attività tipica d'impresa e quelli effettuati in misura superiore a quanto richiesto dal

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normale svolgersi della stessa, se è possibile recuperarli finanziariamente, purché detti impieghi non siano destinati ad altra attività avente rilevanza strategica. Gli investimenti finanziari non vengono indicati in un'unica classe di valori in bilancio; si possono trovare investimenti finanziari nelle disponibilità liquide in banca o conti postali, in titoli, in prestiti, tra le partecipazioni, tra gli immobili e le immobilizzazioni in genere, tra le rimanenze di materie prime. Lo schema generale di riferimento per l'analisi degli aspetti finanziari della gestione, al quale ricondurre la configurazione di capitale investito appena indicata è il seguente: investimenti finanziari + investimenti aventi rilevanza strategica + investimenti nella gestione caratteristica di cui:

nelle strutture produttive

nel capitale circolante netto = capitale investito

- capitale investito creato

+ capitale investito distrutto

= fabbisogno finanziario

= copertura finanziaria di cui:

capitale di credito

capitale di rischio di origine esterna Per rilevare il capitale investito creato o distrutto esistente a una certa data, occorre considerare il segno e l'ammontare di un aggregato composto da alcune parti ideali del capitale di rischio, e precisamente: le riserve di utili, le perdite non ripianate, la riserva di rivalutazione monetaria per la parte eccedente la perdita di potere di acquisto del capitale di rischio di origine esterna, con segno positivo, e, con segno negativo, l'eventuale incapienza della riserva di rivalutazione monetaria a coprire la perdita di potere di acquisto del capitale di rischio di origine esterna. Come si potrà il verificare il capitale investito creato non concorre a determinare il fabbisogno finanziario, e quindi il ricorso alle fonti esterne di finanziamento, e, normalmente, non viene finanziato nemmeno dalla liquidità prodotta dalla gestione. Per quanto attiene al capitale investito distrutto, esso grava interamente sul fabbisogno finanziario.

5.3.2 Il fabbisogno finanziario Il valore delle attività riportato nel bilancio di un'impresa non fornisce il dato del fabbisogno finanziario a una certa data, ma, al netto dei debiti di funzionamento, indica il capitale necessario per sostenere le operazioni tipiche in corso, il capitale impiegato nelle strutture produttive inutilizzate, nonché il capitale impiegato in investimenti finanziari e strategici, cioè in investimenti non afferenti alla gestione caratteristica dell'impresa. Sulla base della configurazione indicata di fabbisogno finanziario emerge una non corrispondenza tra il capitale investito e l'ammontare delle fonti di finanziamento di origine esterna utilizzate a certa data.

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Tra i due aggregati si frappone il capitale creato dalla gestione ancora esistente, cioè quello non distribuito e non annullato da perdite. Ne deriva, che un'impresa potrebbe nel tempo necessario, se a buon andamento economico e se non distribuisse gli utili, pervenire a un fabbisogno finanziario nullo nonostante l'esistenza di un capitale investito più o meno elevato. Risulta evidente la corrispondenza con il concetto di fabbisogno finanziario proprio dell'imprenditore, il quale intende per fabbisogno finanziario il capitale che è chiamato ad apportare o a richiedere ad altri finanziatori per dotare l'impresa dei mezzi finanziari di cui abbisogna. Il capitale investito, considerato spesso come causa esprimente il fabbisogno finanziario, e alla cui copertura si provvederebbe sia con gli utili reinvestiti sia ricorrendo alle fonti esterne di finanziamento non ha, come vedremo, un'integrale valenza finanziaria.

5.3.3 La variazione dei fabbisogno finanziario La struttura dell'analisi della variazione del fabbisogno finanziario coerente allo schema precedente è la seguente: investimenti finanziari + investimenti aventi rilevanza strategica + investimenti nelle strutture produttive afferenti la gestione caratteristica + rivalutazioni monetarie - disinvestimenti - ammortamenti

+ incremento capitale circolante netto

- diminuzione capitale circolante netto

= variazione capitale investito

- utile - rivalutazioni monetarie + dividendo + perdita

= variazione fabbisogno finanziario

= variazione fonti esterne di finanziamento

- incremento capitale di credito

+ diminuzione capitale di credito

= variazione per cassa del capitale di rischio

Questa impostazione, e altre simili, pur mettendo in evidenza alcuni momenti significativi della «gestione finanziaria» non si adatta completamente alle esigenze delle analisi finalizzate alle decisioni finanziarie di breve periodo, quali la verifica della fattibilità finanziaria immediata di nuovi investimenti, di remunerazione del capitale di rischio, di rimborso di un prestito o di rifinanziamento della gestione corrente. Lo schema di analisi degli aspetti finanziari della gestione interessante un particolare periodo dovrà non solo basarsi su momenti finanziari reali, ma anche considerare il modo di pensare la gestione proprio dell'imprenditore.

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Produzione, investimento e raccolta di capitali sono tre momenti significativi della gestione di impresa e la riflessione su di essi riveste notevole importanza sia nelle analisi dell'equilibrio finanziario, sia nelle decisioni di investimento e di finanziamento. Per quanto attiene alla produzione di capitale il Saraceno definisce l'autofinanziamento come «... differenza tra l'investimento netto del periodo considerato e la variazione netta avvenuta nello stesso periodo nell'ammontare complessivo del capitale di cui l'azienda è dotata, sia esso capitale proprio oppure capitale di credito». Dalla definizione emerge innanzitutto il rapporto tra autofinanziamento, investimenti e fonti esterne di finanziamento ma, anche, che la configurazione di autofinanziamento è conseguente a quella assegnata alle altre due grandezze e che, per essere ben definita occorrerà definire a sua volta il contenuto di investimento netto e di capitale di credito. Pertanto la definizione data dal Saraceno consente due diverse configurazioni una delle quali, la più tradizionale, è coerente con una configurazione di investimento netto che accoglie nel proprio ambito la variazione di capitale circolante netto e che quindi porta a definire l'autofinanziamento come utile netto reinvestito. . Coerentemente alla definizione di autofinanziamento data dal Saraceno si potrebbe, per esempio, pervenire ai seguenti aggregati: risultato economico - dividendo

= autofinanziamento; e anche: +…nuovi investimenti tecnici + nuovi investimenti finanziari - disinvestimenti - ammortamenti

+ incremento capitale circolante netto - decremento capitale circolante netto

= investimento netto

e, sottraendo dall'investimento netto l'autofinanziamento, pervenire alla variazione intervenuta nel periodo nelle fonti esterne di finanziamento. Le fonti esterne di finanziamento comprenderebbero in ogni caso, come ben chiarito dal Saraceno, sia il capitale proprio che il capitale di credito.

Il prof. Giampaoli sostiene che lo schema precedente non è adeguato a fornire risposte alle seguenti domande:

• quanti nuovi investimenti. prestiti rimborsati e dividendi, siano stati finanziati in autonomia e quanti ricorrendo a nuovo capitale di credito; • se la gestione corrente abbia contribuito a incrementare il fabbisogno finanziario e ad aumentare il ricorso al capitale di credito; • se la riduzione eventuale dell'esposizione debitoria sia stata ottenuta per effetto di disinvestimenti, o mediante liquidità prodotta dalla gestione corrente; • gli effetti dello sviluppo del fatturato sulla liquidità;

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• gli effetti sulla liquidità dell'intensità del capitale circolante netto in caso di sviluppo del fatturato. Inoltre lo schema precedente può indurre a errori, con gravi conseguenze nelle situazioni aziendali difficili e caratterizzate da un elevato grado di indebitamento. A volte l'imprenditore è portato a ritenere di poter finanziare i nuovi investimenti con gli utili reinvestiti e con gli ammortamenti e di poter ricorrere senza problemi al credito bancario per finanziare eventuali incrementi di capitale circolante. Questa sicurezza, dovuta anche alla particolare cultura finanziaria implicita nel modo di operare di molte aziende di credito, viene meno proprio nelle situazioni difficili, caratterizzate da un alto grado di indebitamento e da redditività incerta, nelle quali gli errori di gestione sono maggiormente destabilizzanti. Nelle suddette circostanze l'impresa potrà contare per nuovi impieghi solo sulla liquidità che effettivamente la gestione avrà prodotto e che non sarà quella misurata dall'utile al lordo degli ammortamenti ma, come si vedrà, da questi più la variazione intervenuta nel capitale circolante netto. Prosegue il Giampaoli che la configurazione di autofinanziamento di maggior significato nelle decisioni finanziarie di impresa sia quella, anch'essa riconducibile alla definizione data dal Saraceno, che pone raffronto il fabbisogno finanziario espresso dagli investimenti nelle strutture produttive e dagli investimenti finanziari, con la variazione intervenuta nelle fonti esterne di finanziamento a titolo di credito e a titolo di rischio. E questo infatti il modo in cui l'imprenditore, di norma, imposta la decisione di investimento, ed è questo, come vedremo, l'approccio che consente di rilevare con maggiore correttezza le reali dinamiche finanziarie espresse dalla gestione. Inoltre, considerando che altri due aspetti finanziari della gestione, la remunerazione del capitale e i disinvestimenti, assumono un rilievo particolare, specie nelle situazioni aziendali non equilibrate, ritengo che il più efficace e corretto schema di riferimento per cogliere l'evoluzione della situazione finanziaria in un dato periodo sia il seguente:

risultato economico + ammortamenti - incremento capitale circolante netto + decremento capitale circolante netto = liquidità prodotta (o assorbita) dalla gestione corrente o reddituale - dividendo - nuovi investimenti tecnici

- nuovi investimenti finanziari

+ disinvestimenti = diminuzione (aumento) fabbisogno finanziario

= diminuzione (aumento) fonti esterne di finanziamento

di cui:

• diminuzione (aumento) capitale di credito

• diminuzione (aumento) per cassa dei capitale di rischio Con il termine gestione corrente si intende fare riferimento alle operazioni di acquisto, produzione e vendita attraverso le quali l'impresa realizza giorno dopo giorno la sua funzione economica.

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La gestione corrente si può identificare anche enucleando dalla gestione complessiva la remunerazione del capitale, i nuovi investimenti, i disinvestimenti, la gestione degli investimenti finanziari e la raccolta di capitale da fonti esterne di finanziamento. In sostanza dallo schema generale di riferimento si ottiene il seguente schema di analisi di cui ho parlato in un mio precedente lavoro e che, con alcune modificazioni dettate da riflessioni ed esperienze successive, riporto di seguito: A) Liquidità prodotta (o assorbita) dalla gestione corrente:

risultato economico + ammortamenti

-(incremento CCN)

+ decremento CCN Totale A

B) Dividendo

C) Variazione investimenti:

investimenti tecnici investimenti finanziari (disinvestimenti) Totale C

D) Variazione fabbisogno finanziario (B + C - A) E) Variazione fonti esterne di finanziamento:

incremento (decremento) finanziamento

incremento capitale sociale per cassa Totale E (= D)

Nota: i valori tra parentesi hanno segno negativo. In questo schema vengono rilevati tre momenti significativi della gestione: la produzione, l'investimento e la raccolta di capitali, la cui conoscenza ha molta importanza nell'analisi dell'equilibrio finanziario e nelle decisioni di investimento e di finanziamento. Inoltre, come è possibile osservare, non appare il capitale investito secondo le configurazioni indicate per le analisi della struttura patrimoniale e finanziaria a una certa data; l'attenzione si incentra sui nuovi investimenti tecnici e finanziari che rappresentano solo una parte ideale del suddetto capitale investito. L’ammontare della variazione del capitale investito è comunque desumibile sommando algebricamente la variazione del capitale circolante netto, l'ammortamento e la variazione degli investimenti. Parallelamente non si rileva quanta parte del capitale investito è stata creata dagli utili prodotti e non distribuiti a fronte dei quali, come vedremo, può non essere sorta alcuna liquidità. Il capitale creato e non distribuito nel periodo amministrativo, sia per la parte che ha determinato incrementi di mero valore del capitale investito, sia per la parte che ha concorso al reale finanziamento del medesimo, può comunque essere rilevato sommando algebricamente il risultato economico e il dividendo. Riassumendo, le informazioni contenute nello stato patrimoniale non consentono all'imprenditore di valutare a sufficienza la possibilità di effettuare nuovi investimenti, di remunerare il capitale di rischio e di ridurre l'esposizione debitoria verso i finanziatori.

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L’imprenditore pone a continuo raffronto l'organizzazione delle risorse in atto con quella da lui ritenuta ottimale in rapporto ai mutamenti previsti sul mercato. L’adeguamento dell'organizzazione economica esistente a quella da lui ritenuta ottimale passa attraverso una serie di interventi, tra i quali gli investimenti in nuove strutture produttive, di modo che è possibile sostenere come, per l'imprenditore, la gestione aziendale venga vissuta polarizzando l'attenzione su due realtà distinte e in rapporto dialettico: la gestione corrente e la gestione dei nuovi investimenti. Come vedremo anche dal punto di vista della gestione delle risorse finanziarie ha senso parlare di una gestione corrente e di una gestione dei nuovi investimenti assumendo ognuna di queste parti, nelle quali viene suddivisa la gestione complessiva, un reale significato finanziario. 5.3.4 capitale circolante netto Il capitale circolante netto è quella parte ideale di capitale investito che sorge e si modifica per effetto dell'asincronismo tra i componenti di reddito e la loro manifestazione numeraria. Esso comprende i crediti di funzionamento, le rimanenze non speculative e i debiti di funzionamento a esclusione dei debiti verso fornitori di immobilizzazioni. Le cosiddette rimanenze speculative, costituite allo scopo di contenere un futuro aumento dei costi di acquisto di materie prime, rientrerebbero nella definizione data, ma, non facendo parte del capitale necessario, ritengo opportuno aggregarle agli investimenti finanziari.

Anche i debiti di funzionamento scaduti, o quelli per i quali è stato negoziato un ulteriore differimento rientrerebbero nella definizione data, ma il rilievo che assume la loro trasformazione di fatto in debiti di finanziamento, consiglia l'aggregazione tra le passività finanziarie. Per praticità infine è consigliabile accogliere nell'aggregato del capitale circolante netto anche i crediti e i debiti sorti per effetto dei sistema di imposizione dell'imposta sul valore aggiunto. Tali crediti e debiti pur non sorgendo da componenti di reddito sono strettamente intrecciati al capitale circolante. Non rientrano nella definizione data di capitale circolante e non ne fanno quindi parte, i crediti e i debiti che sorgono per l'acquisto e per l'alienazione di immobilizzazioni e quelli che sorgono per effetto di operazioni di impiego e di raccolta dì capitali. Il capitale circolante netto è correlato in modo significativo alla composizione quali- quantitativa del fatturato, alle modificazioni che intervengono sulla durata dei cielo finanziario, alla struttura temporale dei pagamenti connessi ai componenti negativi di reddito e, infine, alle politiche di bilancio. Come si vedrà più avanti, per tutte queste ragioni, sdoppiando il capitale circolante netto nella parte attiva, ovvero il capitale circolante lordo, e passiva, ovvero i debiti di funzionamento, e rapportando le due parti al giro d'affari, si ottengono degli indicatori importanti per diagnosticare la situazione aziendale. Quando i due indici aumentano in modo significativo da un esercizio all'altro rivelano quasi sempre l'esistenza di gravi problemi di gestione. Inoltre il capitale circolante netto può variare in modo sensibile nel corso dell'esercizio, questo avviene nelle attività altamente stagionalizzate. In tal caso è importante conoscesse la dinamica infrannuale a motivo dell'influenza che la sua variazione esercita sul fabbisogno finanziario.

Dalla definizione data emerge che i debiti di finanziamento a breve termine non vanno ricompresi nell'aggregato del capitale circolante netto.

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I suddetti debiti vengono infatti contratti per coprire il fabbisogno finanziario man mano che questo si manifesta in rapporto anche alla liquidità prodotta o assorbita dalla gestione corrente nel cui ambito non può quindi essere accolto il ricorso al credito bancario di breve termine. Inoltre i debiti di finanziamento, sia pure di breve termine, non sorgono da componenti negativi di reddito che non hanno avuto manifestazione numeraria e quindi non partecipano alla realizzazione del risultato economico e alla gestione reddituale, pertanto, non devono rettificare in alcun modo il risultato economico per pervenire al risultato di cassa prodotto dalla gestione. Le variazioni del CCN comprendono la variazione intervenuta nel seguente aggregato:

crediti di funzionamento;

rimanenze a esclusione della quota di materie prime aventi natura di investimento finanziario.

Sono tali le rimanenze di materie prime superiori alle necessità di produzione e non determinate da lotti economici di acquisto, ma da acquisti anticipati finalizzati a evitare un possibile e significativo aumento dei prezzi;

ratei e risconti;

debiti di funzionamento verso fornitori di merci e servizi non scaduti. Si considerano scaduti quelli il cui ritardo nel pagamento è superiore ai brevi periodi che talvolta vengono accettati dai for-nitori in particolari settori di attività. I debiti scaduti andranno opportunamente indicati tra le fonti esterne di finanziamento. Nel CCN non vanno inoltre inseriti i debiti verso fornitori di immobilizzazioni la cui variazione va a rettificare i nuovi investimenti al fine di evidenziare l'effettivo esborso di cassa per i medesimi. Un incremento dei crediti verso i clienti, parte ideale del CCN, va a rettificare il risultato economico al fine di misurare il risultato di cassa espresso dalla gestione corrente, in quanto misura le vendite non coperte da equivalenti incassi nel periodo amministrativo. A sua volta una diminuzione del credito verso clienti misura gli incassi eccedenti le vendite effettuate nel periodo amministrativo. I crediti verso i clienti rappresentano una parte ideale del capitale necessario il cui ammontare è più o meno elevato in rapporto all'attività esercitata. Il suo ammontare è correlato in modo significativo all'andamento del fatturato e alla sua composizione e alla tipologia dei clienti. Ne deriva che l'ammontare dei crediti verso clienti è, di norma, fatte salve le attività fortemente stagionalizzate sotto l'aspetto commerciale, consolidato se non crescente. Nelle suddette situazioni considerare i crediti verso i clienti alla stregua di una disponibilità finanziaria, a motivo della possibilità di smobilizzo degli stessi mediante ricorso a determinate forme tecniche di finanziamento è, a volte, illusorio e, sempre, fuorviante per una corretta analisi della situazione aziendale. E’ illusorio considerare i crediti verso clienti alla stregua di liquidità disponibile poiché nelle situazioni aziendali difficili e ad alta tensione finanziaria, l'automatismo: sorgere del credito = nuovo finanziamento bancario, si interrompe a motivo del venir meno della capacità di rimborso dell'impresa. I finanziatori non rinnovano automaticamente le anticipazioni sui crediti a fronte di un indebitamento crescente da lungo tempo, sia in termini assoluti sia in termini relativi, rispetto al capitale di rischio, situazioni queste rilevatrici di uno stato di tensione finanziaria. Considerare i crediti verso clienti al loro sorgere alla stregua di un flusso finanziario in entrata a motivo dell'eventuale anticipazione bancaria conseguita a fronte dei medesimi, offusca la comprensione dell'evoluzione della situazione finanziaria dell'impresa, poiché confonde una

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parte del fabbisogno finanziario con una parte delle fonti di finanziamento utilizzata per la sua copertura. Per rendere il concetto con un'immagine sarebbe come considerare nello stesso stato di salute due persone una delle quali non ha mal di testa e l'altra non lo ha più in quanto è ricorsa a un analgesico. La variazione del credito verso i clienti da portare a rettifica del risultato economico per pervenire al risultato di cassa espresso dalla gestione corrente va considerata, qualora si possiedano le informazioni necessarie, al lordo di eventuali svalutazioni di crediti e accantonamenti al fondo svalutazione crediti effettuati nel periodo. Parallelamente andrà rettificato il risultato economico delle perdite su crediti e degli accantonamenti al fondo svalutazione crediti nella misura in cui detti componenti negativi di reddito, che non comportano manifestazione numeraria, hanno concorso a determinarlo. In altri termini il mancato incasso dei crediti non giunti a buon fine andrà rilevato come differenza tra le vendite e gli incassi nel periodo analizzato. A volte la svalutazione di importanti crediti avviene a distanza di anni in attesa che il conto economico dell'azienda possa consentirne l'imputazione.

In questi casi il peggioramento della situazione finanziaria è già avvenuto in passato ed essa non è destinata a subire ulteriori effetti negativi sul piano finanziario in conseguenza del riconoscimento ufficiale della perdita al momento dell'imputazione al conto economico. La rilevazione delle rimanenze, parte ideale del capitale circolante netto, è determinata dall'esigenza di quantificare il patrimonio aziendale e di rilevare il risultato economico di competenza del periodo amministrativo. La rilevazione delle rimanenze in sé non ha effetti diretti sul risultato di cassa prodotto dalla gestione, infatti, se l'estensore del bilancio dimenticasse di annotare il valore delle rimanenze iniziali e finali o di entrambe, il risultato di cassa varierebbe solo per le diverse imposte eventualmente da liquidare a motivo del diverso imponibile. Pertanto, per pervenire al risultato di cassa prodotto dalla gestione corrente, occorre sottrarre dal risultato economico l'incremento delle rimanenze e aggiungere al risultato economico la diminuzione delle stesse, il che equivale a stornare dal conto economico le esistenze iniziali e le rimanenze finali in quanto rispettivamente componenti negativi e positivi di reddito che non comportano in se flussi di cassa. L’eventuale deflusso di fondi avutosi nel periodo per effetto di acquisti e produzioni effettuati per il magazzino partecipa alla rilevazione del risultato di cassa prodotto dalla gestione nel periodo attraverso il costo degli acquisti e degli altri fattori della produzione che hanno concorso a determinare il risultato economico, nei limiti del loro effettivo pagamento. Il costo degli acquisti e degli altri fattori della produzione liquidati in misura diversa da quelli rilevati nel conto economico, si determina rettificando il risultato economico della variazione intervenuta nei relativi debiti di funzionamento. In sostanza, le esistenze iniziali non determinano un'uscita per l'esercizio che le accoglie; le rimanenze finali rappresentano una posta rettificativa di natura contabile e non avente rilevanza finanziaria in sé. Le rivalutazioni e le svalutazioni che hanno interessato le rimanenze non determinano per loro natura flussi finanziari. La rilevazione sia delle esistenze iniziali sia delle rimanenze finali, interessa il conto economico ma non il conto di cassa ed ecco perché per pervenire al risultato di cassa occorre rettificare il risultato economico dell'eventuale incremento intervenuto nelle rimanenze, con segno negativo, dell'eventuale diminuzione, con segno positivo. La variazione nei debiti di funzionamento, parte ideale dei CCN, va a rettificare il risultato economico per rilevare il risultato di cassa prodotto dalla gestione.

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Per esempio, un incremento nel debito verso fornitori di merci va a rettificare con segno positivo gli acquisti che non hanno avuto manifestazione numeraria nel periodo. Cioè l'incremento dei debito verso fornitori misura gli acquisti non pagati e come tali partecipano al risultato economico ma non a quello di cassa. Come già detto l'analisi del capitale circolante assume un importante rilievo nella valutazione della situazione aziendale. Per quanto attiene l'intensità dei capitale circolante lordo sul fatturato, un suo aumento significativo può essere determinato da una o più delle seguenti circostanze:

crediti divenuti inesigibili il cui valore non è stato imputato al conto economico;

ritardi nelle riscossioni dovuti alla cattiva qualità del portafoglio clienti spesso determinati anche dall'aver forzato le vendite accettando di fornire clienti a rischio;

ritardi nelle riscossioni dovuti alle difficoltà nelle quali vengono inaspettata- mente a trovarsi alcuni Importanti clienti o categorie di clienti;

ritardi nelle riscossioni dovuti al malcontento della clientela per la qualità della merce e dei servizi ricevuti. Si pensi per esempio, ai ritardi nelle consegne;

concessione di termini di pagamento più estesi alla propria clientela quale strumento di promozione commerciale in un mercato sottoposto a intensa competizione;

incremento del magazzino prodotti finiti dovuto a difficoltà di collocamento della merce;

incremento del magazzino prodotti finiti dovuto a errori di programmazione della produzione;

incremento del magazzino prodotti finiti dovuto a produzioni difettose non valutate come tali;

rivalutazione delle rimanenze di prodotti finiti nel rispetto della normativa civilistica e fiscale;

sopravvalutazione delle rimanenze di prodotti finiti finalizzata al maschera- mento delle perdite;

rivalutazione delle materie prime nel rispetto della normativa civilistica e fiscale;

sopravvalutazione delle rimanenze di materie prime finalizzata al mascheramento delle perdite.

Come è possibile dedurre dall'elenco delle circostanze suddette se escludiamo il caso della concessione ai clienti di più alti termini di pagamento finalizzata ad acquisire maggiori quote di mercato sfruttando la propria forza finanziaria, politica questa che può essere adottata solo da aziende particolarmente solide e quindi facilmente riconoscibili con l'analisi di bilancio, l'incremento del capitale circolante lordo non determinato dall'aumento dei fatturato, indica o una situazione gestionale difficile o politiche di bilancio tese a mascherare un risultato economico negativo o, frequentemente, entrambe le situazioni suddette.

L’aumento significativo dell'intensità dei debiti di funzionamento, parte ideale del capitale circolante netto, sul fatturato, può essere un indice o di tensione finanziaria o all'opposto di forza finanziaria dell'impresa.

Naturalmente un'analista non può non saper cogliere le due opposte realtà nel momento in cui si accinge a svolgere il suo lavoro sulla base della situazione complessiva dell'impresa.

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5.3.5 Il ciclo finanziario espresso dalla gestione corrente E’ il periodo di tempo intercorrente tra l'inizio del pagamento dei componenti negativi di reddito a manifestazione numeraria e la riscossione dei ricavi conseguenti alla vendita dei prodotti e dei servizi con essi ottenuti. Esiste quindi una correlazione stretta tra intensità di CCN e ciclo finanziario. L’attività economica delle imprese raramente è caratterizzata da una successione temporale senza sovrapposizione parziale o totale di più cicli finanziari. In altre parole il cielo finanziario di un prodotto, inizia a volte a distanza temporale più o meno breve da quello precedente e, più frequentemente, si sovrappone al ciclo finanziario di altri prodotti. In tal modo si ottengono due importanti risultati: il primo è quello di utilizzare risorse umane e tecniche specializzate nelle varie fasi di trasformazione; il secondo consiste nello stabilizzare, sia pure a più alti livelli, il capitale complessivamente investito nell'impresa riducendo in definitiva l'intensità di capitale investito in rapporto al fatturato. La rilevazione della durata dei ciclo finanziario viene di norma espressa in giorni utilizzando alcuni indici desumibili dal bilancio e precisamente:

- durata dei crediti, che viene misurata dal rapporto tra crediti verso clienti e fatturato giornaliero;

+ permanenza media dei prodotti finiti o delle merci a magazzino, permanenza che è misurata dal rapporto tra prodotti finiti o merci e vendite giornaliere,

+ tempo medio di lavorazione dato dal rapporto tra semilavorati e somma del costo medio giornaliero del consumo delle materie prime con metà del costo medio giornaliero della manodopera diretta; + durata media di permanenza delle materie prime non speculative ottenuta rapportando le rimanenze di materie prime al consumo giornaliero delle stesse; - durata media del debito verso fornitori ottenuta rapportando il debito verso fornitori di merci c/o materie prime agli acquisti medi giornalieri di merci c/o materie prime. La durata del cielo finanziario può essere misurata in tal modo e anche utilizzando indici più precisi e sofisticati, ma è preferibile esaminare l'analisi della variazione dell'intensità dei capitale circolante netto. L’intensità del CCN è infatti strettamente correlata alle modificazioni che interessano il ciclo finanziario e alle sue successioni temporali. L’attenzione da porre alla misurazione dei ciclo finanziario assume diverso rilievo nel caso in cui, operando all'interno dell'impresa, si volessero monitorare alcuni aspetti della gestione al fine di contenere il fabbisogno finanziario. Per esempio, per monitorare la variazione della durata e della qualità dei crediti commerciali, aspetto questo di rilevante importanza per comprendere il rapporto tra azienda, prodotti e mercato, si può procedere nel modo seguente: • i crediti verso i clienti vengono espressi in giorni di vendita, in modo da ottenere l'indicazione della durata media dei termini di incasso; • a tal fine i crediti verso i clienti vanno rapportati alle vendite medie giornaliere realizzate nel periodo di tempo in cui più alta è la correlazione con i crediti in esame;

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• l'indice potrebbe essere suddiviso in questo modo: crediti non scaduti lordi diviso vendita media giornaliera dei periodo, più crediti ceduti pro soluto diviso vendita media giornaliera del periodo, più crediti scaduti lordi (per crediti scaduti lordi si intendono i crediti scaduti comprensivi dei crediti svalutati nel periodo) diviso vendita media giornaliera dei periodo e, nei mesi in cui è disponibile il bilancio infrannuale, ai tre addendi precedenti andrebbe sottratto il rapporto tra crediti svalutati nel periodo (si prende il valore nominale dei crediti stralciati nel periodo) e la vendita media giornaliera del periodo; • i crediti non scaduti verso clienti vengono considerati al lordo degli eventuali crediti utilizzati per anticipazioni finanziarie pro solvendo; • i crediti non scaduti verso clienti vanno considerati al netto degli anticipi da clienti; • le vendite vanno incrementate dell'Iva addebitata ai clienti; • l'analisi del credito potrebbe inoltre essere elaborata con riferimento a ogni importante categoria di clienti. Infine prosegue il prof Giampaoli nel ricordare che nelle imprese la cui attività è caratterizzata da cicli di produzione non sovrapposti, quali a volte la cantieristica, l'attività agricola e l'attività di trasformazione dei prodotti della terra, alla chiusura dei ciclo finanziario, spesso si ha corrispondenza tra risultato economico e di cassa. 5.3.6 Il dividendo L’analisi del fabbisogno finanziario considera anche la remunerazione del capitale di rischio. La decisione di corrispondere un dividendo, laddove non esiste un rapporto rigido con l'economia familiare dell'imprenditore, è rimessa di norma alla decisione degli amministratori in considerazione non solo dei risultati economici conseguiti ma anche della situazione finanziaria complessiva.

L’imprenditore considera quindi, ai fini della decisione della remunerazione del capitale, la liquidità prodotta dalla gestione corrente, di cui si è appena detto, essendo essa la fonte normale per la remunerazione del capitale, anche se non vi sono ragioni per le quali un'azienda a buon andamento economico e non molto indebitata non possa liquidare il dividendo ricorrendo al credito bancario.

Un'azienda il cui risultato economico viene distribuito in tutto o in parte per le esigenze finanziare dell'imprenditore non può comunque affrontare, come vedremo in seguito, elevati tassi di sviluppo e le situazioni economiche negative che dovessero sopraggiungere. I nuovi investimenti, oltre al vincolo economico, sono sottoposti al vincolo finanziario. Il finanziamento di nuovi investimenti, può avvenire mediante ricorso a fonti esterne in previsione di un futuro miglioramento della capacità dell'impresa di produrre reddito e liquidità. In molte situazioni aziendali la realizzazione di nuovi investimenti esercita una influenza importante nel determinare la variazione del fabbisogno finanziario. Nell'apprezzare la situazione di liquidità di un'impresa occorre pertanto considerare l'entità dei nuovi investimenti effettuati in rapporto all'entità e al consumo delle strutture produttive esistenti (ammortamenti), in modo da cogliere quanta parte del sacrificio finanziario richiesto assuma la natura di impegno straordinario. E’ opportuno ricordare che in buona misura l'entità e la manifestazione temporale dei nuovi investimenti sono un fatto discrezionale degli amministratori e, quindi, vengono determinati in rapporto dialettico alle possibilità finanziarie dell'impresa stessa. Un rilievo particolare va dato ai nuovi investimenti finanziari i quali, per

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loro natura, sono facilmente riconsiderabili e quindi non modificano sostanzialmente la situazione finanziaria dell'impresa. Il fatto che gli investimenti finanziari possano essere alienati senza interferire con la gestione caratteristica dell'impresa, fa si che gli stessi potrebbero anche essere considerati a livello di posta rettificativa dei debiti di finanziamento e quindi non concorrere a creare il fabbisogno finanziario. Pur ritenendo tale approccio corretto è normalmente preferibile accoglierli nell'ambito dei nuovi investimenti e quindi considerarli come fattore che concorre alla formazione del fabbisogno finanziario. Nella sezione dei nuovi investimenti, cioè al di fuori della gestione corrente, vanno compresi anche i disinvestimenti. L’imprenditore considera la liquidità liberata da processi di disinvestimento come fattore importante per sostenere nuovi investimenti e/o il fabbisogno di cassa prodotto dalla gestione corrente e/o il rimborso di prestiti. I disinvestimenti possono essere conseguenti a interventi di ristrutturazione dell'attività o semplicemente dovuti al realizzo di investimenti finanziari. In entrambi i casi i suddetti processi producono una liquidità straordinaria che può essere messa a servizio degli altri aspetti nei quali è stata suddivisa la gestione complessiva e cioè la gestione corrente, la remunerazione del capitale, la gestione degli Investimenti, la gestione della raccolta. 5.3.7 La durata dei fabbisogno finanziario li fabbisogno finanziario d'impresa è unico ed è espresso dall'insieme delle operazioni in corso. Che il fabbisogno finanziario sia da intendere nella sua unità lo ha asserito il Caprara con la nota espressione «si finanziano imprese non particolari investimenti»; ritengo però che tale principio possa ammettere una eccezione e cioè il fabbisogno finanziario determinato da investimenti finanziari. Infatti la quota di fabbisogno finanziario dovuta all'esistenza di investimenti finanziari può essere eliminata anche in tempi brevi; non rappresentando gli investimenti finanziari parte del capitale necessario, essi possono essere alienati senza interferire con l'attività caratteristica di impresa. Per durata del fabbisogno finanziario nella gestione d'impresa si intende non tanto iI periodo di tempo in cui il fabbisogno finanziario esistente potrà essere eliminato, quanto il giudizio sul grado di rigidità o di flessibilità del medesimo.

Rigidità e flessibilità dei fabbisogno finanziario dipendono dalle circostanze ambientali, dalle caratteristiche strutturali dell'attività d'impresa e dalle strategie gestionali perseguite dall'imprenditore.

La variazione del fabbisogno finanziario, e quindi la sua flessibilità, sono in stretto rapporto con: - il risultato economico;

- la variazione del ciclo finanziario;

- il fatturato;

- il dividendo;

- i nuovi investimenti;

- gli eventuali disinvestimenti.

L’esistenza di componenti di reddito aventi natura straordinaria può esercitare un'influenza rilevante sull'entità del risultato economico e quindi sulla variazione dei fabbisogno

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finanziario. Anche la variazione del cielo finanziario espresso dalla gestione corrente può avere effetti rilevanti sulla durata del fabbisogno finanziario; essa si rileva rapportando il capitale circolante netto al fatturato a una certa data e confrontando tale incidenza con quella dell'anno precedente. Nelle attività stagionali di produzione e/o di vendita, il fabbisogno finanziario varia in modo significativo nei vari mesi dell'anno. Nelle imprese ad alta intensità di CCN il fabbisogno finanziario subisce rilevanti effetti negativi in conseguenza dell'incremento del capitale circolante netto che sarà tanto maggiore quanto maggiore è il tasso di sviluppo del fatturato; ma tali effetti sono limitati nel tempo in rapporto alla durata dello sviluppo commerciale. In tempi di inflazione quando lo sviluppo del fatturato, dovuto al necessario adeguamento dei prezzi di vendita ai maggiori costi di produzione, è destinato a perdurare per molti anni, le imprese ad alta intensità di CCN possono pervenire a un fabbisogno finanziario consolidato e crescente anche se a buon andamento economico. Per quanto attiene al dividendo si osserva che, quando esso rappresenta una componente rigida del rapporto con l'economia familiare dell'imprenditore, può portare a un fabbisogno finanziario consolidato e crescente nel tempo. La durata del fabbisogno finanziario va vista anche in rapporto all'entità e frequenza dei nuovi investimenti. E’ evidente che, laddove le strutture produttive siano aggiornate sotto il profilo tecnologico e frutto di recenti investimenti, l'andamento del fabbisogno finanziario beneficerà in futuro dei minori impieghi a titolo di investimento. Infine gli investimenti finanziari, o gli investimenti nelle strutture produttive non più utilizzati e quindi alienabili, esercitano un'influenza rilevante sulla flessibilità del fabbisogno finanziario. Il fabbisogno finanziario non va indagato al solo fine di valutarne la durata ma anche, o soprattutto, per valutarne la rischiosità. La rischiosità alla quale i capitali investiti nell'impresa sono esposti non è sinonimo di rigidità di impiego dei medesimi, i due aspetti non procedono necessariamente in parallelo. Il fabbisogno finanziario può essere di breve durata e a basso rischio in aziende a buon andamento economico, a sviluppo limitato nell'ammontare e nel tempo, anche se ad alta intensità di capitale investito per fatturato, purché gli utili prodotti non debbano essere necessariamente distribuiti al soggetto economico.

La rigidità nella remunerazione del capitale è un fattore che grava negativamente sulle caratteristiche del fabbisogno finanziario. Anche lo sviluppo forzoso dovuto a processi inflattivi, nell'impresa ad alta intensità di capitale investito, determina un fabbisogno finanziario consolidato e crescente, a meno che la redditività sia particolarmente elevata. In questo caso, pur trattandosi di fabbisogno finanziario rigido, se l'andamento economico della gestione è positivo, il rischio degli investimenti nell'impresa può considerarsi contenuto.

Sempre facendo riferimento a questa situazione, se fosse incerto l'andamento economico, il fabbisogno finanziario espresso dalla gestione andrebbe considerato ad alto rischio. Le gestioni a cattivo andamento economico sono spesso caratterizzate da un fabbisogno finanziario durevole e ad alto rischio, ma quando il cattivo andamento è dovuto a fattori più o meno facilmente rimovibili e sono in corso reali interventi per il recupero della redditività, anche la durata e il rischio del fabbisogno finanziario saranno qualitativamente diversi. Per stimare il grado di rigidità del fabbisogno finanziario si potrebbe utilizzare il seguente indicatore:

risultato d'esercizio senza componenti straordinari di reddito - incremento CCN determinato da sviluppo obbligato dei fatturato

- dividendo distribuito, se componente rigida

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+ nuovi investimenti eccedenti gli ammortamenti nell'ultimo triennio - ammortamenti eccedenti gli investimenti nell'ultimo triennio = diminuzione (aumento) potenziale dei fabbisogno finanziario L’indice in questione si ottiene rapportando la variazione potenziale dei fabbisogno finanziario al fabbisogno finanziario complessivo di fine esercizio. Se l'indice assume valore positivo indica la potenziale riduzione unitaria del fabbisogno finanziario, se l'indice assume valore negativo indica un fabbisogno finanziario crescente. 5.3.8 Fabbisogno finanziario e Fonti di finanziamento Il fabbisogno finanziario di un'impresa è rappresentato dal volume di risorse finanziarie che sono necessarie all'impresa stessa per acquisire e utilizzare i fattori della produzione utili per lo svolgimento della gestione. Il bisogno di mezzi finanziari deriva dalle eccedenze di uscite monetarie sulle entrate monetarie, in quanto vi è uno sfasamento temporale tra l'epoca in cui si manifestano gli esborsi monetari collegati al sostenimento dei costi dei fattori produttivi e l'epoca successiva in cui si hanno gli introiti monetari relativi ai ricavi conseguiti 'con la vendita dei prodotti. Dette eccedenze sono di fatto permanenti in quanto i cicli economico, tecnico e monetario si ripetono continuamente nella gestione aziendale. Occorre distinguere tra il fabbisogno che dipende dal patrimonio circolante e quello inerente al patrimonio fisso aziendale. Il primo tipo di fabbisogno è collegato alla necessità dell'impresa di finanziare gli investimenti aventi come scopo, data una certa capacità produttiva, l'ottenimento di un determinato volume di vendite di prodotti o servizi. Si tratta degli investimenti in materie prime, materie di consumo, servizi, forza lavoro ecc. Il fabbisogno può crescere a causa dell'aumento dei costi di detti fattori produttivi e per l'allungamento del cielo monetario (ad esempio, perché si ottengono dilazioni di pagamento più brevi dai fornitori). Il fabbisogno relativo al patrimonio fisso è invece dovuto sia dagli investimenti effettuati dall'impresa per rinnovare o ammodernare le immobilizzazioni tecniche, mantenendo inalterata oppure accrescendo la capacità produttiva, sia dagli investimenti in immobilizzazioni immateriali (costi di ricerca e sviluppo, costi di pubblicità ecc.). Il fabbisogno finanziario costituisce quindi l'insieme delle risorse finanziarie di cui l'impresa, per vari moti vi, necessita ai fini dello svolgimento della propria attività. Strettamente correlato al problema della definizione del fabbisogno finanziario vi è quello delle fonti di finanziamento, vale a dire dell'individuazione delle modalità mediante le quali l'impresa deve raccogliere i mezzi finanziari da destinare alla gestione. E’ necessario distinguere tra fonti interne e fonti esterne di finanziamento. Per fonti interne di finanziamento si intendono i fondi generati dall'impresa attraverso la gestione reddituale; rientrano pertanto in tale categoria l'autofinanziamento proprio (accantonamento di quote di utile a riserve) e l'autofinanziamento improprio (quote di ammortamento, TFR, accantonamento a fondi rischi e oneri). Le fonti esterne di finanziamento sono invece rappresentate da mezzi finanziari che pro- vengono dall'esterno dell'impresa; si può trattare di finanziamenti di capitale proprio (aumento di capitale sociale a pagamento) e di finanziamento di capitale di debito (BANCHE)

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Questi ultimi finanziamento - definiti anche finanziamenti di capitale di terzi - si classificano, a loro volta, in debiti di regolamento e debiti di finanziamento; i primi derivano da acquisti di fattori della produzione con regolamento differito (si ha un'entrata immediata di beni o servizi e un'uscita monetaria posticipata); con i debiti di finanziamento invece l'impresa ottiene la disponibilità immediata di fondi che dovrà restituire in un momento successivo. Quando le fonti di origine interna (autofinanziamento) sono insufficienti a coprire il fabbisogno finanziario, si pone per l'impresa il problema della scelta delle fonti esterne di finanziamento. Detto problema non può essere risolto ricercando delle soluzioni universalmente valide; in altri termini ogni impresa è chiamata a trovare la soluzione che meglio risponde alle proprie caratteristiche. E’ tuttavia necessario che si stabilisca all'interno dell'impresa una corretta relazione tra impieghi e fonti di finanziamento. Anche se è vero - come ha affermato il Caprara, uno dei maggiori studiosi italiani di economia aziendale - che l'impresa si finanzia nella sua unitarietà e non si finanziano i singoli investimenti aziendali, vi deve essere una concordanza tra durata dell'investimento e scadenza del finanziamento ottenuto da terzi. Un'impresa si trova in equilibrio finanziario se è in grado di finanziare investimenti in immobilizzazioni tecniche, che generano un ritorno del capitale investito nel medio/lungo termine, con finanziamenti esterni a scadenza protratta, ad esempio mediante aumento del capitale sociale, emissione di un prestito obbligazionario, accensione di un mutuo, conclusione di un contratto di leasing. Invece gli investimenti in fattori della produzione a breve ciclo di utilizzo sono da finanziare attraverso prestiti bancari a scadenza ravvicinata (ad esempio, aperture di credito in c/c, operazioni di smobilizzo di crediti commerciali come il portafoglio s.b.f. relativo a disposizioni elettroni- che di incasso Ri. Ba.). In tal modo l'impresa si troverà in una situazione di equilibrio finanziario, con l'indice di copertura globale delle immobilizzazioni e l'indice di disponibilità maggiori di uno. Un secondo problema che l'impresa deve affrontare riguarda la scelta tra capitale proprio e capitale di debito e quindi la definizione della composizione del passivo patrimoniale (il rapporto tra capitale di rischio e capi- tale di terzi). In presenza di tassi di interesse particolarmente bassi, può risultare conveniente per l'impresa privilegiare l'indebitamento nei confronti del capitale proprio, così come la pressoché completa deducibilità fiscale degli interessi ha sicuramente favorito nel passato il ricorso delle imprese al finanziamento bancario. Un criterio generale elaborato dalla dottrina aziendale allo scopo di poter scegliere tra capitale di terzi e capitale proprio è rappresentato dal collegamento che esiste tra l'onerosità del capitale di debito (i, costo del denaro) e la redditività della gestione caratteristica (ROI). Si ricorre cioè al meccanismo della leva finanziaria: se ROI > i (ROI - i costituisce il "fulcro" della leva), al crescere dell'indice di indebitamento ("braccio" della leva) aumenta il ROE ("lavoro compiuto" dalla leva). Gli aspetti positivi della leva finanziaria possono essere ampliati dall'effetto paratasse (taxes-shield, "scudo contro le imposte"): poiché gli oneri finanziari sono deducibili ai fini del calcolo del reddito fiscale, il ricorso all'indebitamento determina anche minori imposte d'esercizio (IRPEF, IRPEG) rispetto all'ipotesi di finanziamento con capitale proprio e quindi un ulteriore miglioramento della redditività del capitale proprio. Un'impresa che si trova ad avere ROI >.i può pertanto indebitarsi per finanziare i propri investimenti; essa tuttavia non deve perdere di vista i rischi connessi a tale scelta. Quando cresce l'indebitamento, i finanziatori dell'impresa (banche, altri intermediari finanziari, privati)

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tendono ad applicare dei tassi di interesse sempre più elevati in quanto il finanziato si trova in una situazione di sottocapitalizzazione e dà minori garanzie sul piano patrimoniale. L’impresa deve essere quindi in grado di conseguire un ulteriore incremento della redditività del capitale investito in modo tale che ROI si mantenga maggiore del costo del denaro; in caso contrario la redditività del capitale proprio (ROE) diminuisce e con essa la capacità dell'impresa di far fronte regolarmente ai propri debiti in scadenza. Al fine di valutare correttamente l’impresa e la sua capacità di “far fronte agli impegni” attraverso la restituzione dei finanziamenti accordati, la Banca dovrà valutare a fondo la capacità di rimborso ed in generale la liquidità prodotta dalla gestione corrente ( visto in precedenza). Unico problema è la capacità segnaletica dei dati a disposizione. COME MIGLIORARE ? Attraverso la conoscenza dei meccanismi aziendali che ci consenta di comprendere eventuali dati aggiuntivi Attraverso la valutazione qualitativa dell’azienda

5.5 IL FREE CASH FLOW ovvero l’analisi dei flussi di cassa Nei paragrafi precedenti è stato esaminato il rendiconto finanziario dei flussi di liquidità e grazie al contributo del testo del prof. Giampaoli, si è cercato di far comprendere le interrelazioni fra capitale investito, gestione corrente e fabbisogno finanziario passando attraverso il risultato di esercizio e il risultato di cassa prodotto dall’attività. E’ però importante comprendere che il risultato economico si accompagna spesso ad un diverso andamento finanziario,in quanto il principio della competenza economica ci porta a determinare un risultato d’esercizio diverso dall’incremento (o decremento ) della liquidità avutasi nello stesso periodo. La prima metodologia di calcolo del rendiconto finanziario che abbiamo analizzato è quello sopra ricordato che parte dal risultato di esercizio mentre quello che andremo ad esaminare nel presente paragrafo parte dall’EBIT (risultato operativo).

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Metodo 1

Risultato netto

+ ammortamenti

+/- variazione fondi

(A)= Autofinanziamento della gestione reddituale

o +/- variazione CCN

A+B= (C) Flusso di cassa della gestione corrente

+/- Investimenti –disinvestimenti fissi

+/- rimborsi- accensione mutui

+/- dividendi erogati

(D) Flusso di cassa della gestione extrareddituale

C+D = Flusso di cassa totale

Il secondo metodo è utile nell’analisi delle capacità di un azienda di generare flussi di cassa operativa , fondamentale per apprezzare le “performance” aziendali sia nel breve che nel medio lungo periodo, nonché i processi di valutazione della sostenibilità finanziaria delle strategie aziendali. In altri termini tale analisi risulta importante per valutare lo standing creditizio di un impresa, la sua capacità di generare flussi tali da remunerare e rimborsare i capitali, sia di debito che proprio, necessari per finanziare le strategie aziendali ( flusso di cassa al servizio del debito e flusso di cassa al servizio dell’equity). La base di tutto è il flusso generato dalle operations (dalla gestione operativa) che andremo a rettificare con costi e proventi non monetari (ammortamenti/svalutazioni) e variazioni del CCN. Il flusso di cassa così determinato rappresenta il risultato monetario derivante dalla gestione corrente,depurato dal fabbisogno monetario assorbito per finanziare il capitale circolante netto commerciale.

EBIT (risultato operativo)

+ ammortamenti

+ svalutazioni di immobilizzazioni

Autofinanziamento Lordo

- Imposte dell’esercizio

Autofinanziamento netto

+/- Variazione Capitale circolante netto

+/- variazione TFR

+/- variazione altri fondi

Flusso di cassa Operativo corrente (FCOC)

+/- plusvalenze-minusvalenze da alienazioni

+/- variazioni immobilizzazioni (materiali e immateriali)

Free cash flow from Operations

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Il risultato ottenuto indica la capacità dell’ impresa di potersi sostenere con le proprie forze perseguendo il proprio sviluppo in modo autonomo. E’ evidente che lo sviluppo della struttura aziendale è sempre possibile utilizzando risorse acquisite sotto forma di capitale di rischio o di credito ,ma a questo punto occorre ampliare l’ l’analisi al fine di comprendere la capacità di far fronte agli impegni che l’azienda andrà ad assumere. Al risultato di cui sopra, andremo ad aggiungere la gestione finanziaria,in particolare quelle operazioni che determinano uscite monetarie come rimborso di prestiti e pagamento di interessi, o pagamento di dividendi ai soci o altre operazioni sul capitale. Pertanto si potrà determinare il flusso di cassa al servizio del debito che è appunto la capacità dell’impresa di generare risorse da destinare al rimborso di prestiti, cioè in pratica il grado di solvibilità come capacità di far fronte ai propri debiti con risorse interne. Ma tutto ciò in linea teorica non è sufficiente, in quanto l’impresa solvibile non solo dovrebbe essere in grado di rimborsare il debito e pagare gli interessi, ma anche corrispondere i dividendi senza “sacrificare” lo sviluppo degli investimenti relativi alla struttura operativa .Di seguito il rendiconto finanziario completo :

EBIT (risultato operativo)

+ ammortamenti

+ svalutazioni di immobilizzazioni

Autofinanziamento Lordo

- Imposte dell’esercizio

Autofinanziamento netto

+/- Variazione Capitale circolante netto

+/- variazione TFR

+/- variazione altri fondi

Flusso di cassa Operativo corrente (FCOC)

+/- plusvalenze-minusvalenze da alienazioni

+/- variazioni immobilizzazioni (materiali e immateriali)

Free cash flow from Operations

+/- proventi e oneri della gestione finanziaria

+/- variazioni di attività finanziarie

= Flusso di cassa ante proventi ed oneri straordinari

+/- proventi ed oneri straordinari

= Flusso di cassa al servizio del debito

- Oneri finanziari

- Rimborso debiti finanziari a M/l termine

- Rimborso debiti finanziari a breve termine

= Flusso di cassa al servizio dell’Equity

- distribuzione di dividendi/ eventuali rimborsi di capitale sociale

= Fabbisogno (avanzo) finanziario complessivo

+ accensione debiti finanziari a breve e a M/L

+ aumenti capitale sociale effettivamente versati

= variazione saldo cassa

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RIEPILOGO DELLE FONTI DI FINANZIAMENTO DELL’IMPRESA: Capitale di Rischio (o Capitale Proprio): Capitale Sociale. Capitale nominale versato inizialmente e successivamente, in occasione degli aumento di capitale, da parte dei soci. Nelle SRL è rappresentato dalle quote mentre nelle SPA e nelle SAPA è rappresentato da azioni nominative. Aumenti di capitale. Forme di finanziamento che apportano liquidità all’azienda o che riducono le passività. Possono essere: - Aumenti di capitale sociale a pagamento. Oltre all’emissione di nuove azioni al valore nominale può essere previsto un sovrapprezzo emissione azioni che esprime il maggior valore delle azioni rispetto al loro valore nominale. - Aumenti di capitale sociale con offerta pubblica di sottoscrizione ai risparmiatori. - Aumenti di capitale sociale da obbligazioni convertibili. Con la conversione in azioni si trasforma un finanziamento da terzi in un finanziamento di capitale di rischio. - Aumenti di capitale sociale da conversione di debiti. Aumento sottoscritto da un creditore della società con compensazione del debito che la società ha nei suoi confronti. - Autofinanziamento. Riguarda le fonti presenti in un certo momento di vita dell’azienda. Capitale di debito (o Capitale di Terzi): Finanziamenti a medio- lungo termine. Hanno solitamente una durata di 3-5-10 anni . Possono essere: - Prestiti obbligazionari.

Emissioni di titoli con vincolo di credito che prevedono una scadenza fissa per il rimborso ed il pagamento degli interessi. (di solito utilizzati per finanziare assets intangibili o operazioni strategiche )

- Mutui e leasing . Prestiti di durata variabile sino a 20 anni per i quali è prevista una modalità di rimborso e di pagamento degli interessi nel corso degli anni utilizzati per finanziare il capitale fisso

- Altri finanziamenti a medio termine quali leasing o prestiti con rientri mensili ,di solito utilizzati per finanziare beni mobili o attrezzature o piani di sviluppo commerciale)

Finanziamenti a breve termine. Operazioni effettuate dalle banche usualmente connesse con il finanziamento del capitale circolante. Alcuni esempi: - Sconto di cambiali. - Incasso salvo buon fine di ricevute bancarie. - Apertura di credito in c/c. - Anticipi su fatture.

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- Anticipazione in c/corrente. - Riporto (anticipazione garantita) titoli. - Factoring. Il factoring consiste nella cessione di un credito commerciale ad una specifica società a fronte di un costo finanziario più elevato rispetto alla banca.

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5.6 Esercizi svolti . Gli esercizi sotto riportati evidenziano le modalità di calcolo del consuntivo finanziario partendo da una situazione patrimoniale. La redazione del consuntivo finanziario ci fa comprendere le effettive necessità finanziarie che l’impresa ha avuto nel periodo in esame. Ai fini delle determinazione del fabbisogno è interessante utilizzare il metodo in chiave previsiva affinché si possa determinare a priori il fabbisogno connesso alla gestione aziendale o ad una particolare operazione di investimento. I passaggi concettuali da tenere presente sono i seguenti: 1) determinazione della Liquidità prodotta dalla Gestione Corrente i dati da tener presente sono: Cash Flow (Utile + Ammortamenti ) + variazione del CCN (Magazzino+crediti di funzionamento –debiti di funzionamento) Il risultato è quanto la Gestione corrente produce di liquidità effettiva da destinare alle 2) gestioni straordinarie quali: Pagamento del dividendo (remunerazione dei soci ) in base all’utile dell’anno precedente Investimenti/ disinvestimenti gli investimenti (sia materiali che finanziari) rappresentano un impiego di risorse e i disinvestimenti una fonte per cui il saldo rappresenterà l’entità posta a carico dell’esercizio 3) La sommatoria degli esborsi al netto delle fonti di liquidità ci da il fabbisogno finanziario dell’impresa. A questo fabbisogno(surplus ) andrà poi sommato il saldo della Gestione finanziaria tale voce comprende le operazioni a carattere poliennali come l’accensione di un mutuo(finanziamento) o il pagamento di rate . Pertanto il risultato finale ci da l’effettivo fabbisogno finanziario dell’impresa e le modalità della sua copertura. A tal fine basta analizzare le possibili Fonti esterne Le banche e pertanto va esaminata la variazione dei debiti bancari I soci e pertanto va esaminato se ci sono stati aumenti di capitale per cassa Per comprendere quanto è stato effettuato.

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Esercizio n. 1

Stato patrimoniale

t t+1 t t+1

Attivo Passivo

immobilizzazioni

tecniche nette 1.500 2.000 Fornitori 450 1.200

immobilizzazioni

finanziarie 200 500 banche 300 520

Magazzino 300 500 altri debiti a breve 200 320

Crediti Vs. clienti 400 560

mutui e debiti

finanziamento a lungo

termine 800 700

altri crediti e disponibilità 180 300 Capitale sociale 600 700

ratei e risconti 20 30 riserve 100 250

utile di esercizio 150 200

totale 2.600 3.890 totale 2.600 3.890

t t+1 fatti avvenuti t+1

magaz+ cred.funzionamneto 900 1.390 nuovi investimenti tecnici 750

debiti funzionamento 650 1.520 nuovi investimenti finanziari 300

rimborso mutui 100

CCN 250 130- aumento mezzi propri 250

utile di esercizio distribuito totalmente

variazione CCN 380-

Conto economico t t+1 Consuntivo finanzariofatturato 4200 5300

rimanenze finali 300 500

liquidità assorbita

dalla gestione

corrente t+1

rimanenze iniziali -250 -300 utile 200

acquisti di materie prime -1450 -1950 ammortamenti 250

consumi totali -1400 -1750

incremento

cap.circolante 380

costi industriali -400 -450 totale 830

costi generali e -640 -950 A Dividendo 150

costi del personale -1000 -1050 B Investimenti 1.050

accontonamento tfr -100 -100 Disinvestimenti

(pagamento TFR) -50 -50 C

fabb.finanziario (B+C-

A) 370

ammortamenti -150 -250 D

rimborso debiti

finanziamento 100

subtotale -3740 -4600

incrementototale

fabb.finanziario

(B+C+D-A) 470

gestione finanziaria -250 -350 E Copertura

gestione straordinaria -50 -30 nuovi mutui

utile lordo pre tax 160 320 nuovi debiti banche 220

imposte -10 -120 aumento MP 250

utile netto 150 200

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Esercizio n. 2 CALCOLARE CCN E CONSUNTIVO FINANZIARIO

es. 1 es 2 es. 1 es 2

attività correnti Passività correnti 4.060 2.920

Disp.liquide 70 - debiti commerciali 1.800 1.300

Crediti e altre disp. 4.200 3.200 debiti funzionamento 2.260 1.620

ratei e risconti 50 70 Passività consolidate 1.100 900

Magazzino 340 250 tfr 150 150

4.660 3.520 altri fondi 150 150

mutui 800 600

Attività Immobilizzate Patrimonio netto

Imm.immateriali 200 100 capitale 1.000 1.000

Imm. Materiali 2.000 1.800 riserve 500 500

2.200 1.900 utile 200 100

1.700 1.600

impieghi totale 6.860 5.420 fonti totale 6.860 5.420

ulteriori dati

nessun investimento fra es.1 e 2

utile 200 100 CCN 530 600

distribuzione dividendo 50% Delta CCN 70

utile 100

ammortamenti 300

- var.CCN 70

A= Liq.GC 470

B =Dividendi 100

C=Delta Investimenti 0

- A -470

Fabbisogno -370

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Esercizio n.3

Calcolare il CCN della seguente situazione

t t+1 t t+1

Immobilizzi 1000 1200 Patrimonio netto 500 500

magazzino 200 300 debiti di finanziamento 500 1400

crediti 400 600 debiti di funzionamento 700 300

liquidità 100 100

totale 1700 2200 totale 1700 2200

CCN -100 600

Delta 700 Esercizio n. 4 schema di calcolo della LIQUIDITA' PRODOTTA DALLA GESTIONE CORRENTE

Utile 100

ammortamenti 200

- variazione CCN 500

LIQUIDITA' PRODOTTA DALLA GC 800

CALCOLARE LA LIQUIDITA ' PRODOTTA NELL'ESERCIZIO 2

esercizio 1 esercizio 2 esercizio 1 esercizio 2

attività correnti Passività correnti 4.000 3.300

Disp.liquide 20 40 debiti commerciali 1.800 1.500

Crediti e altre disp. 4.100 3.270 debiti finanziamento 2.200 1.800

Magazzino 240 270 Passività consolidate 800 720

4.360 3.580

mutui 800 720

Attività Immobilizzate Patrimonio netto

Imm.immateriali 120 120 capitale 1.000 1.000

Imm. Materiali 2.000 1.800 riserve 380 380

2.120 1.920 utile 300 100

1.680 1.480

impieghi totale 6.480 5.500 fonti totale 6.480 5.500

ammortamento 200 CCN 2.540 2.040

utile 100 Delta 500-

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Esercizio n. 5

La ditta sottorappresentata ha un buon risultato economico

DETERMINARE SE NEL 2007 HA PRODOTTO O MENO LIQUIDITA'

anno anno

31/12/2006 31/12/2007

immobilizzazioni finanziarie

partecipazioni 5.000 25.000

titoli 20.000 38.000

25.000 63.000

Immobilizzazioni materiali

impianti 141.000 155.000

Magazzino

48.000 60.000

crediti commerciali

clienti 129.000 70.000

cred.erario 36.000 25.000

165.000 95.000

liquidità

conti banche 7.000 15.000

debiti commerciali

fornitori 143.000 66.000

altri debiti 4.000 51.000

diversi 80.000 1.000

tributari 26.000 17.000

253.000 135.000

debiti finanziari

banche 53.000 53.000

Patrimonio netto

capitale sociale 20.000 20.000

riserve 10.000 60.000

utile 50.000 120.000

80.000 200.000

totale

attivo 386.000 388.000

passivo 386.000 388.000

utile 120.000

ammortamenti 105.000

ESERCIZIO DA SVOLGERE IN AULA

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Rendiconto finanziario metodo di calcolo flusso di cassa con EBIDT Rif. esercizio 1 mezzi propri sottoscritti ma non versati

anno t 2

EBIT (risultato operativo) 1100

+ ammortamenti 250

+ svalutazioni di immobilizzazioni

Autofinanziamento Lordo 1350

- Imposte dell’esercizio -120

Autofinanziamento netto 1230

+/- Variazione Capitale circolante netto 380

+/- variazione TFR -150

+/- variazione altri fondi

Flusso di cassa Operativo corrente (FCOC) 1460

+/- plusvalenze-minusvalenze da alienazioni

+/- variazioni immobilizzazioni (materiali e

immateriali) -750

Free cash flow from Operations 710

+/- proventi e oneri della gestione finanziaria -350

+/- variazioni di attività finanziarie -300

= Flusso di cassa ante proventi ed oneri

straordinari 60

+/- proventi ed oneri straordinari -30

= Flusso di cassa al servizio del debito 30

- Oneri finanziari 0

- Rimborso debiti finanziari a M/l termine -100

- Rimborso debiti finanziari a breve termine

= Flusso di cassa al servizio dell’Equity -70

- distribuzione di dividendi/ eventuali rimborsi di

capitale sociale -150

= Fabbisogno (avanzo) finanziario complessivo

-220

+ accensione debiti finanziari a breve e a M/L 220

+ aumenti capitale sociale effettivamente versati

0

= variazione saldo cassa 0

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Capitolo 6

Le fonti finanziarie correnti: i prestiti bancari a breve termine. Le operazioni di finanziamento alle imprese a lungo

termine, le operazioni di leasing e factoring

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6.1 Le esigenze finanziarie dell’impresa

Nel capitolo 5 abbiamo visto come determinare il fabbisogno finanziario di un’impresa nel corso del suo funzionamento. Tale fabbisogno potrà essere coperto da A. Fonti interne B. Fonti esterne Le Fonti esterne potranno fornire 1) capitale di rischio 2) capitale di credito . Nel capitolo 4 abbiamo esaminato quali possano essere i soggetti che potrebbero apportare capitale di rischio, oltre i soci, nel presente andremo ad analizzare il capitale di credito e i soggetti che di norma finanziano l’impresa. Il Capitale di credito può derivare da: a) debiti di regolamento si ricollega alle condizioni di pagamento differito in seguito

all’acquisizione di altri fattori produttivi (credito mercantile o debiti di funzionamento) b) debiti di finanziamento quando vengono negoziati nel mercato I debiti di finanziamento seconda la loro scadenza sono coperti da finanziamenti a b.t o m/l termine. E’ evidente che una fonte a m/l t è destinata normalmente a coprire impieghi con analoghe esigenze temporali .

Capitale di rischio Emissione di Azioni ordinarie (aumento c.s) Autofinanziamento Prestiti da soci

Capitale intermedio Debito mezzanino Obbligazioni convertibili e/o cum warrant Azioni privilegiate

Capitale di debito Mutui leasing Obbligazioni MTN(medium terms note) Linee credito standby

Finanziamenti strutturati Project financing Prestiti sindacati

Il capitale intermedio è una forma di finanziamento utilizzato da grandi aziende e intermedio fra capitale di debito e rischio. Vi sono alcuni casi che i finanziatori possano essere soci o terzi non intermediari finanziari. Le forme piu’ semplici di debito verso finanziatori esterni non bancari :

debiti per finanziamento soci (con durata dal breve a m/l termine) i soci concordano con l’azienda la concessione di un vero e proprio prestito che può essere fruttifero o meno di interessi con una modalità di rimborso definita.

Debiti per Emissione di prestiti obbligazionari o altre forme di strumenti finanziari come previsto dalle norme( CC art.2424 e segg)

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Debiti verso altri finanziatori di norma società che esercita azione di controllo e coordinamento, altri finanziatori non bancari

Dopo questa premessa andiamo ad esaminare i finanziamenti che le banche e gli intermediari a natura creditizia mettono a disposizione delle aziende 6.2 La Banca e Il mercato di riferimento La legge Bancaria, L. 385. introdotta dal 1/1/1993, connessa alla graduale liberalizzazione dei mercati imposta dalla CEE ha portato il sistema bancario italiano ad una profonda modificazione. Infatti, fino a tale data l'ordinamento dei sistema bancario era basato sul concetto della specializzazione e sulla netta separazione fra Banca e Impresa. La normativa era volta ad evitare le problematiche registrate dopo la prima guerra mondiale, quando si erano prodotte devastanti crisi bancaria conseguenti alla troppo stretta connessione fa le banche e le imprese clienti. La Legge Bancaria dei 1936 aveva negato alla Banche di partecipare al capitale di rischio delle imprese e aveva specializzato il credito in quello a breve termine e in quello a medio- lungo termine. Poiché il mercato europeo stava operando in senso difforme la Banca di Italia con la revisione della legge Bancaria ha reso possibile un’unitarietà di modalità operative nell'ambito della CEE. Pertanto le Banche italiane possono partecipare al capitale di rischio con determinati limiti (15% dei propri fondi e/o 60% dei propri fondi per cumulo di partecipazioni) e soprattutto oggi operano tranquillamente nell'impiego a medio- lungo termine pur con limitazioni correlate al patrimonio e alla durata della propria raccolta.

Queste limitazioni sono state imposte per mantenere un equilibrio nelle fonti finanziamento delle banche e per regolamentare l’operatività nei vari settori in piena liberalizzazione totale degli sportelli . Quanto sopra ha prodotto un profondo cambiamento del sistema bancario e finanziario italiana attraverso

operazioni di acquisizione, fusione e accorpamenti fra vari istituti di credito la crescita di alcuni gruppi sia a livello nazionale che internazionale (Unicredito, Intesa

San Paolo,Banca monte paschi etc) forte espansione nel retail di tutte le banche con crescita della rete di sportelli ampliamento dei canali distributivi e del numero degli intermediari ( vedi Banco Posta e

altre nuove realtà bancarie)

forte espansione degli impieghi a medio lungo termine (soprattutto con i privati) e conseguente sviluppo delle operazioni di securitation dei crediti.

rilevanza sempre inferiore nei conti economici bancari dei margine interesse.

Si è verificato quindi un cambiamento dello scenario operativo delle banche in conseguenza dei mutamenti strutturali imputabili a:

deregolamentazione

mutamento della natura dei vincoli operativi e di vigilanza

disintermediazione

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A tale cambiamento le banche hanno fronte con

Nuove metodologie di valutazione del merito di credito allineate a Basilea 2.

nuovi strumenti operativi,

modelli di segmentazione della clientela

Nuove strutture organizzative (retail, corporate, private).

Ottenendo così un miglioramento di processo e del proprio business ponendone il focus sulla relazione con il cliente. 6.2.1 La segmentazione della clientela e il mutamento organizzativo L’attività creditizia delle banche, in conseguenza dei mutamenti del mercato e dei processi d’accorpamento del settore, ha subito profonde modificazioni. Infatti, il modello commerciale tradizionale, basato sugli sportelli e sulla copertura di tutte le possibili esigenze rivenienti dal cliente, si è modificato rivolgendo la massima attenzione al “valore “ rappresentato dalla clientela. A tal fine sono stati introdotti nuovi modelli organizzativi e distributivi. Organizzativi Suddivisione della clientela in TARGET: RETAIL (con possibili ulteriori divisioni), rappresentata dalle famiglie produttrici di reddito, liberi professionisti e piccole imprese di norma sino a 5 ml/ € di fatturato CORPORATE (con possibili ulteriori divisioni su base dimensionale) rappresentata dalle imprese Tale suddivisione consente una razionalizzazione delle strutture organizzative dedicate a seguire i vari target (gestori di relazione). Distributivi Al fine di raggiungere il maggior numero di clientela potenziale e seguire al meglio quella esistente, le banche hanno avviato canali distributivi alternativi e complementari alla tradizionale struttura rappresentata dagli sportelli. Pertanto il prodotto bancario è collocato per mezzo di una struttura multicanale quale: Rete di sportelli Promotori e Private Bankers Negozi e/o punti vendita in franchising Internet, con rete distributiva dedicata In base a quanto sopra riportiamo in dettaglio la matrice dei prodotti creditizi di impiego suddivisi per Target di clientela.

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CORPORATE Aperture di credito Affidamenti smobilizzo crediti e factoring. Operazioni a medio- termine e leasing Crediti di firma Operazioni di copertura rischi tasso, cambio etc. Finanza d’Azienda (start up, finanziamenti in pool). Emissione/sottoscrizione obbligazioni RETAIL-PRIVATE Aperture di credito Crediti di firma Prestiti a medio termine Mutui Operazioni connesse ad operatività in derivati e titoli.

6.3 Le “ regole bancarie” nella valutazione e concessione del credito. 6.3.1 Definizioni L’attività creditizia quantunque “deregolamentata” necessita di una classificazione in base alla scadenza, alla tipologia, al rischio e al target di riferimento della clientela.

Scadenza Finanziamenti a breve termine Gli interventi tendono a soddisfare due tipi d’esigenze tra loro molto diverse: Esigenze di natura finanziaria saltuaria e non connesse a piani programmati. Fabbisogno finanziario programmato secondo esigenze prospettiche già definite.

Nel primo caso significa poter disporre di strumenti elastici in grado di garantire disponibilità di risorse finanziarie in tempi brevi, tipico esempio è l’apertura di credito in conto corrente, lo sconto, l’accredito salvo buon fine e lo smobilizzo crediti, nel secondo caso lo sconto di pagherò diretti, l’anticipazione su beni, il factoring, il riporto di banca, la polizza di credito commerciale, l’accettazione bancaria e la cambiale finanziaria.

Finanziamenti a medio- lungo termine La funzione dei finanziamenti a medio- lungo termine è quella di coprire esigenze finanziarie durature, connesse all’investimento in immobilizzazioni o al consolidamento di passività a breve termine. L’ottenimento di tali finanziamenti richiede tempi spesso non brevi e presuppone la concessione d’adeguate garanzie (in genere ipotecarie).

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Gli strumenti più diffusi sono il mutuo, il leasing e l’emissione di titoli obbligazionari.

Tipologia OPERAZIONI PER CASSA Sono gli interventi che consentono al cliente di avere a disposizione una somma di denaro; pertanto le varie forme tecniche tradizionali sono da considerare interventi per cassa. OPERAZIONI DI FIRMA Tali operazioni presuppongono l’assunzione di un impegno di firma da parte della Banca a favore di terzi nell’interesse del proprio cliente. I principali crediti di firma possono essere così classificati: Credito di fideiussione Credito di avallo Credito di accettazione Credito documentario Operazioni connesse a coperture finanziarie (opzioni, I.R.S).

Rischio Le operazioni creditizie sono suddivise secondo categorie di rischio che tengono conto dell’organizzazione della Banca e delle segnalazioni obbligatorie di vigilanza. Il criterio di classificazione adottato in quattro categorie può così essere riassunto:

prima Operazioni che non consentono il controllo dell'utilizzo e senza una specifica fonte rimborso

Operazioni che non consentono il controllo dell'utilizzo.

Operazioni con un’identificata fonte di rimborso ma con incasso non certo.

Operazioni di smobilizzo crediti ad una sola firma

Operazioni a fronte delle quali il patrimonio responsabile è solo quello del richiedente.

seconda Operazioni di smobilizzo crediti con doppia firma, con cessione del credito

terza Operazioni con garanzia reale, ipotecaria e su altri beni.

quarta Operazioni con garanzia reale su denaro, titoli di stato o equiparabili, fideiussione di primaria banca

6.3.2 La metodologia

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L’ISTRUTTORIA L’attività consiste nell’acquisizione e nell’analisi della documentazione necessaria, da parte dei gestori della clientela (addetti della rete e della Direzione Generale al fine di: Effettuare un'adeguata valutazione del merito creditizio del richiedente sotto il profilo

reddituale, finanziario e patrimoniale; Determinare una corretta remunerazione del rischio assunto. Di seguito sono specificati i principi generali d'approccio alla fase istruttoria. Occorre fare una differenziazione fra persone fisiche (privati o produttrici di reddito come da classificazione Bankitalia) e persone giuridiche Documentazione Persone fisiche: Privati Identificazione (documento di identità e codice fiscale ) Situazione personale Con dettaglio delle proprietà personali, degli affidamenti presso

il sistema e degli impegni per mutui leasing, stato civile e regime patrimoniale Richiesta con indicazione della destinazione dell’affidamento. Dichiarazioni fiscali modello unico o mod. 730 del richiedente e/o dei garanti Liberi professionisti Indicazione sull’appartenenza ad albo professionale e descrizione dell’attività.

artigiani Indicazione sull’attività Modello unico bilancio

La richiesta dovrà essere sottoscritta dalla persona fisica, Nel caso di richieste avanzate da:

Minori di età,interdetti,inabilitati,procuratori dovranno essere effettuate valutazioni specifiche di carattere legale. Persone giuridiche: atto costitutivo e statuto sociale con aggiornamenti al fine di determinare i poteri di

firma visura della Camera di Commercio presentazione dell’attività aziendale e del management richiesta con indicazione della destinazione dell’affidamento bilanci approvati degli ultimi 3 esercizi

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budget previsionale dichiarazioni fiscali affidamenti presso il sistema situazione degli impegni a medio termine ( mutui, finanziamenti,leasing ecc.) appartenenza a gruppi societarie business plan analitico (per nuove iniziative o per progetti di investimento poliennale o

di importo considerevole rispetto alle dimensioni aziendali o poliennali).

Ulteriori informazioni Da fonti esterne visure ipo-catastali tramite professionisti incaricati dalla Banca protesti e Bilanci tramite il collegamento con CERVED 1° informazione Centrale Rischi, utilizzando la Procedura

analisi del settore di appartenenza perizie di stima su immobile tramite di professionisti incaricati dalla Banca Da fonti interne eventuali richieste declinate in precedenza e problematiche pregresse situazione dell’andamento del rapporto (per clienti della Banca) informazioni sui collegamenti giuridico -economico con altri soggetti affidati LA VALUTAZIONE In questa fase sulla scorta del sopracitato quadro informativo, da approfondirsi con la validazione e l’interpretazione delle informazioni assunte, si accerta la capacità di rimborso del richiedente il fido, in relazione alla potenzialità economica e reddituale e alla sua capienza patrimoniale. Pertanto dovranno essere presi in considerazione per Persone fisiche le dichiarazioni fiscali la busta paga il patrimonio responsabile, personale o dei garanti la coerenza dell’importo, della forma tecnica e della durata in correlazione alla capacità

di rimborso del richiedente e alla destinazione del finanziamento Persone giuridiche i progetti di investimento e i programmi futuri le capacità di reddito i fabbisogni finanziari attuali e prospettici la situazione finanziaria e patrimoniale l’esposizione diretta e indiretta degli obbligati, nei confronti della banca e del sistema

tenuto conto dell’’andamento del settore economico di appartenenza l’esposizione verso il sistema bancario -finanziario

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le informazioni presenti nel sistema informativo della banca l’eventuale appartenenza ad un gruppo e la relativa esposizione le indicazioni del business plan L’analisi potrà differenziarsi secondo la natura giuridica del richiedente, privati, imprese o gruppi economici. Per quanto riguarda le aziende, la valutazione sotto il profilo economico - finanziario dovrà considerare il posizionamento sul mercato e l’andamento del settore economico d'appartenenza correlato ai dati di bilancio.

Altri aspetti da considerare nella valutazione del merito creditizio sono i seguenti: Vincoli posti dalla normativa di Vigilanza; (gruppo d'appartenenza e limite sui Grandi

Rischi). Rilievi e segnalazioni interne; Dati di lavoro precedenti; Entità dell’esposizione; Risultanze della Centrale dei Rischi; Garanzie offerte. L’importo, la forma tecnica e la durata dell’affidamento devono risultare congruenti con le finalità dichiarate ed in linea con la capacità di rimborso determinata.

La fase di valutazione trova completamento nella PROPOSTA che rifletterà: I risultati dell’attività svolta durante l’istruttoria, le condizioni essenziali per la gestione del rapporto, le eventuali motivazioni strategiche o commerciali sottese alla relazione, legate alle

opportunità di mercato e agli effetti indotti dal radicamento del rapporto. il rischio dell’affidamento misurato con le metodologie definite dalla Direzione e

approvate dal Consiglio d'Amministrazione.

La Delibera L’organo referente in materia deliberativa su tutto il sistema della concessione di credito è il Consiglio d'Amministrazione, il quale, ai sensi di quanto disposto dallo statuto sociale, può delegare parte delle proprie attribuzioni ad altri organi o funzioni aziendali. Questa materia è disciplinata con specifiche delibere, avuto riguardo ai profili di rischio, alle esigenze organizzative e alle competenze operative delle unità delegate. Le Garanzie, Il Perfezionamento E L’erogazione Le garanzie Le garanzie che la Banca potrà acquisire a tutela del rischio assumendo sono normalmente suddivisibili in due categorie:

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Garanzie REALI Pegno Ipoteca Privilegio Garanzie PERSONALI Fidejussione Avallo Esiste un’ulteriore tipologia di tutele intermedie normalmente connesse ad un’operazione specifica:

Altre GARANZIE Cessione del credito Delegazione di pagamento Lettera di patronage Tra le garanzie assimilabili alle garanzie personali va annoverata la fidejussione prestata dai CONFIDI . Tali società, in forza di convenzioni sottoscritte, garantiscono in misura variabile (dal 25% al 100% secondo la tipologia ) le banche per le concessioni di affidamenti (di solito crediti a m/l termine o smobilizzo) ai loro soci. I Confidi, spesso promossi da associazioni di categoria, garantiscono le banche con il loro patrimonio e con fondi ad hoc costituiti anche da soggetti pubblici, sono pertanto un veicolo di accesso facilitato al credito per le aziende più piccole, in particolare artigiani, commercianti e PMI. Con l’introduzione dei criteri selettivi del credito imposti da “Basilea 2” (cfr cap.7) e con la crisi economica finanziaria questo ruolo si è rafforzato, divenendo spesso l’unica possibilità per le imprese di ottenere nuovi finanziamenti. Il perfezionamento e l’erogazione Le linee di credito concesse e deliberate diventeranno operative solo ad avvenuto perfezionamento di quanto previsto nella delibera. A tal fine il servizio competente provvederà direttamente o tramite il gestore della relazione ad acquisire le garanzie previste utilizzando la specifica modulistica e predisporrà lo schema contrattuale richiesto dalla specifica forma tecnica d'erogazione e dalla natura del contraente; coerenti con quelli della delibera di concessione dell’affidamento. A perfezionamento avvenuto la linea di credito sarà messa disposizione per cassa o per firma nella forma tecnica deliberata.

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6.4 Le esigenze di finanziamento del cliente e le forme tecniche

Il ruolo fondamentale di sostegno finanziario alle imprese è svolto dalle banche, le quali rappresentano i tradizionali “prestatori di fondi” nel sistema economico. Il sistema bancario affianca il tessuto produttivo attraverso una politica del credito di ampia liquidità, volta a finanziare sia gli investimenti che il capitale circolante. Le banche hanno, negli anni, sviluppato un’ampia offerta di prodotti capaci di soddisfare le diverse necessità che le imprese incontrano sia nella fase di start up che nella fase di sviluppo in particolare è possibile classificare i tradizionali prodotti finanziari offerti dalle banche sulla base degli obiettivi gestionali e strategici che essi soddisfano:

finanziamenti del circolante finanziamenti per lo sviluppo finanziamenti per operazioni con l’estero crediti di firma e strumenti derivati

Una volta emersa dall'istruttoria, comunque condotta, l'affidabilità del richiedente sarà quindi essenziale approfondire con. Il potenziale cliente le necessità aziendali ed orientare la successiva fase di esame in rapporto alle esigenze prospettate. Sono comunque anche numerosi i casi in cui sia lo stesso funzionario della banca a dover orientare il richiedente verso la giusta risposta alle sue generiche necessità di credito, e ciò in base all'esame della struttura patrimoniale dell'azienda, della sua capacità di reddito, della sua situazione finanziaria. L' azienda richiedente potrà avere delle necessità di investimento in immobilizzi di varia natura, oppure manifestare esigenze di liquidità immediate. Nel primo caso sarà necessario intervenire con operazioni a medio e lungo termine (cioè oltre l'anno), nel secondo si interviene con il credito a breve. 6.4.1.Interventi a breve termine Sono destinati al finanziamento dell'attività corrente di produzione e vendita dell'azienda. Esaminiamo le principali forme tecniche e la loro destinazione. 1 –Apertura di credito in conto corrente. E' la forma più diffusa e in genere gradita dal cliente ma è anche la più pericolosa per la banca e la più onerosa per il cliente. La forma tecnica è destinata a finanziare gli squilibri temporali che si producono nel processo di lavorazione e vendita dei prodotto, e, più precisamente tra il momento dell'esborso di cassa sostenuto per il pagamento della materia prima e il momento dell'incasso dei crediti dal proprio cliente, o, più frequentemente, di smobilizzo presso la banca del credito verso i clienti formatesi con la vendita del prodotto. ESEMPIO Supponiamo di avere un'azienda con un fatturato di 6 milioni di euro annui, che abbia un periodo di lavorazione e immagazzinamento delle merci medio di 80 giorni, un pagamento delle materie prime a 60 gg. e un incasso dei crediti mediamente a 90 gg. In questo caso vi sarà una necessità di copertura finanziaria per 110 giorni (cioè tempi di lavorazione -tempo di

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pagamento della materia prima + tempo di incasso dei crediti) che, se si ricorrerà allo smobilizzo del credito mediante sconto o anticipo su fatture sarà sostenuto per circa 90 giorni dalle linee di credito specifiche per smobilizzo crediti e per circa 20 gg dall'apertura di credito in c/c. Questo cliente quindi dovrebbe necessitare presso il sistema, ipotizzando un andamento delle vendite distribuito regolarmente nel corso dell'esercizio, di fidi in c/c per circa € 300.000 e commerciali per circa € 1.500.000. Il calcolo è valido, quando vi è corrispondenza esatta tra capitale circolante e l’esposizione debitoria a breve, cioè, quando tutta l'attività corrente dell'azienda è finanziata con capitali di prestito a breve. Se una parte è finanziata con mezzi propri o con prestiti oltre il breve, invece, il fabbisogno in c/c diminuirà. Ma se la situazione tra passivo a breve e attivo di realizzo è pressoché in equilibrio, non devono risultare consistenti differenze negli utilizzi in CR rispetto al calcolo sopra esposto; se risultano maggiori utilizzi in c/c, vuoi dire che l'azienda utilizza lo scoperto per finanziare gli immobilizzi, o, peggio, per coprire perdite in corso di esercizio; se invece risultano eccessivi utilizzi per smobilizzo di crediti, può essere il segno di irregolarità nell'emissione di portafoglio o di anticipi su fatture. 2 – Apertura di credito straordinarie e sovvenzioni cambiarie. Sono operazioni di finanziamento equivalenti alle aperture di credito ordinarie in c/c, ma destinate al finanziamento di esigenze straordinarie e stagionali; hanno scadenza fissa, anziché a revoca. Quelle cambiarie, in verità ormai desuete, possono offrire il vantaggio di avere a disposizione in caso di mancato rientro alla scadenza un titolo esecutivo scaduto da azionare, rendendo più spedito l'avvio di eventuali azioni esecutive; per la clientela più sprovveduta, inoltre, assumono forma più cogente per il rispetto della scadenza, non essendo a tutti noto che i titoli diretti non sono protestati, vista l'assenza di firme di girata. 3 - Finanziamenti all'importazione In genere l'acquisto di materie prime dall'estero non consente all'acquirente il ricorso a dilazioni di pagamento, per la difficoltà di una conoscenza diretta tra i due soggetti della vendita; è pertanto richiesto alla banca o un credito di firma per garantire un pagamento dilazionato (aperture di credito all'importazione), oppure di effettuare con fondi propri il pagamento all'estero delle merci acquistate così da consentire all'azienda acquirente di effettuare la lavorazione dei materiali e la vendita del prodotto derivato. Spesso si interviene con entrambi le linee di credito, concretizzando in una prima fase un intervento per credito di firma e trasformandolo poi per cassa all'atto del pagamento. Una volta effettuata la vendita del prodotto trasformato, comunque, il finanziamento deve rientrare o per contanti, se la vendita è avvenuta con pagamento immediato, o mediante l'anticipo del credito cui la vendita ha dato origine. Pertanto la durata del finanziamento deve essere rapportata, nella media, ai tempi consueti per la lavorazione e commercializzazione del prodotto. Le eccezioni devono essere giustificate. 4 - Sconto

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E' l'operazione classica di anticipo su crediti, da tempo in realtà divenuta meno consueta per il costo del bollo sui titoli di credito. Il ricorso alla circolazione cambiaria oggi avviene prevalentemente nei casi in cui la più comune forma di pagamento, la ricevuta, non è onorata dal debitore; ciò è particolarmente vero per le accettazioni, che in genere sono sottoscritte da nominativi in altro modo insolventi. Accanto a questa forma legale è andata sempre più sviluppandosi quella illegale dell'assegno postdatato, che nei fatti evade l'imposta dì bollo, e sulla quale nessuna operazione è possibile. Nel caso dello sconto avviene una regolare cessione del credito tra cliente e banca mediante l'apposizione della firma di gira sui titoli scontati; se si tratta di accettazioni o di tratte accettate, la cessione è anche opponibile al debitore. 5 - Anticipi di crediti non assistiti da titoli di credito. La forma più comune è l'anticipo sbf di ricevute, cartacee o elettroniche. L'operazione è completamente in bianco per la banca la quale tutt'al più può richiedere per controllo copia delle fatture a fronte delle quali sono state emesse le ricevute. L'operazione avviene tecnicamente con modalità diverse; in alcuni casi l'importo della presentazione viene accreditato sul c/c ordinario del cliente con valuta a scadere; si produce così una scopertura per valuta sui prelevamenti che il cliente effettua prima del maturare della valuta, ad un tasso stabilito; in altri casi l'accredito sul conto ordinario del cliente avviene con valuta corrente, mentre la scopertura si produce su apposito conto di servizio, anche solo dì evidenza, per l'intero importo o per gli importi richiesti dal cliente secondo le sue necessità, in modo che il c/c ordinario risulta sempre coperto per valuta; altra possibilità è quella di applicare il fido sbf sul conto unico ove è incardinata l'apertura di credito, cumulando su di esso i due affidamenti e stabilendo tassi differenziati a seconda dei loro limiti. Molto utilizzato è l'anticipo a fronte di fatture, generalmente a carico di primari nominativi che pagano a rimessa diretta; il credito deve essere canalizzato sulla banca che anticipa o tramite mandato all'incasso o tramite cessione del credito. Procedure praticamente analoghe, dopo la liberalizzazione del commercio internazionale, seguono gli anticipi all'esportazione. Per commesse consistenti, prevalentemente estere ma anche nazionali, si può intervenire, naturalmente in percentuali ridotte, anche per finanziare contratti di un certo importo, allo scopo di fornire al cliente accompagnamento finanziario nell'esecuzione di grosse commesse che richiedono tempi di realizzazione notevoli e corrispondente impegno finanziario. Può anche accadere che le imprese ricorrano, pur in presenza di liquidità propria, al finanziamento in valute diverse dall’euro di operazioni di esportazione, a volte anche richiedendo la misura del 100%; tali richieste sono dettate in tal caso dalla volontà di assicurare il ricavo contro il rischio di cambio relativo al periodo di dilazione concesso all'acquirente estero Anche per lo sconto e gli anticipi su crediti l'entità delle linee di credito complessive offerte dal sistema bancario dovrà essere rapportato al fatturato e alla media dei tempi di incasso dei crediti (es. fatturato 1.000 mensile; velocità rotazione crediti 90 gg.; esigenze di fidi di smobilizzo 1000 x3 = 3.000). 6 – Aperture di credito ipotecaria in conto corrente L'A/C ipotecaria vera e propria, da distinguersi dalla semplice apertura di credito in c/c assistita da garanzia ipotecaria, consiste in una linea di credito pluriennale, in genere di

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importo decrescente, da utilizzarsi in c/c specifico ove non possono consentirsi eccedenze. La durata massima è di dieci anni, l'addebito degli interessi trimestrale, la revisione del tasso annuale. La decurtazione dell'a/c è di norma semestrale, ad importi fissi o crescenti. E' un'operazione oltre il breve per le banche, ma date le caratteristiche di elasticità di utilizzo del c/c, assume per le imprese forme assimilabili al credito a breve. E' sempre possibile il rimborso anticipato, ma la cancellazione dell'ipoteca deve essere accordata solo nel caso che non si corrano rischi di revocatoria del pagamento. Il trattamento fiscale dell'operazione è favorevole prevedendo solo un'imposta sostitutiva dell'imposta di bollo e di registro. L'ipoteca, se rispetta le caratteristiche previste dagli articoli 38 e segg. della legge 385, assume le caratteristiche dell'ipoteca fondiaria. 7 - Riporti. La banca si impegna a finanziare il cliente acquistando a pronti titoli di sua proprietà, mentre il cliente si assume l'obbligo di riacquistare a termine titoli della stessa specie a un prezzo maggiorato degli interessi. 8 -Altri strumenti di finanziamento (operazioni in pool). Per clientela di elevata rispondenza e standing sono in uso anche operazioni di finanziamento più complesse e con modalità operative più raffinate. Intanto hanno una certa diffusione le operazioni in pool ove numerose banche concorrono pro-quota ad un'unica operazione di finanziamento organizzata e gestita dalla banca capogruppo; questa, in cambio di una commissione, si occupa della fase gestoria dell'operazione e della sua regolarizzazione contabile, ripartendo i profitti tra le partecipanti. Ciascuna banca partecipa anche per importo differenziato. I tassi possono essere uguali prefissati con rivedibilità in genere trimestrale e ancoraggio a precisi parametri. A volte il tasso fra le banche partecipanti è diverso; in questo caso la società affidata in pool preavvisa una traenza di un determinato importo alla banca capogruppo, la quale utilizza le linee di credito delle banche aderenti partendo da quella che ha offerto il tasso più basso e proseguendo in ordine di tasso crescente, per cui le banche con tassi più elevati potranno non ricevere utilizzi o riceverli in misura ridotta (clausola bid-line, cioè con opzione di offerta). Spesso tali linee di credito comportano anche la clausola che un gruppo di banche, dette sottoscriventi, si impegnano comunque a erogare il finanziamento alla società ad un tasso predeterminato nel caso in cui le banche partecipanti, che costituiscono il secondo gruppo, non offrano tassi più vantaggiosi per assicurarsi l'utilizzo; le sottoscriventi, però, ricevono in questo caso una commissione di mancato utilizzo del credito. Ovviamente le offerte di tasso pervengono singolarmente alla capofila che si impegna a non portarle a conoscenza delle altre banche aderenti all'operazione. Nelle operazioni in pool il rischio è ripartito pro-quota tra le banche aderenti, ciascuna delle quali si impegna a non avviare azioni di recupero senza preavvisare le altre o concordarlo con loro; per l'impresa si ha il vantaggio di un rapporto con più banche amministrato come se fosse un unica linea di credito e con il tasso medio più favorevole disponibile. Le operazioni di questo tipo, ma anche linee di credito consistenti erogate singolarmente dalle banche in unica tranche prefissata, possono essere integrate da clausole particolari che rendono lo strumento più flessibile; tali clausole sono:

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stand-by che è la possibilità di graduazione di utilizzo con predeterminazione del tasso, ancorato a parametri precisi, preavviso e commissione di mancato utilizzo;

evergreen che prevede la possibilità di rimborsi e riutilizzi, sempre con preavviso. 9 . crediti di firma Per fidejussioni passive si intendono le garanzie fidejussorie prestate dalla banca a favore di un terzo nell'interesse di un cliente della banca stessa. Due sono le forme diffuse nell'operatività; fidejussioni a garanzia della solvenza e fidejussione a prima richiesta, o automatiche. Nel primo dei due casi, la banca si rende solo garante della solvibilità del suo cliente. Se ne danno due casi: nel primo, perché la banca sia chiamata a rispondere dovrà prima accertarsi l'insufficienza patrimoniale del cliente, che andrà quindi preventivamente escusso. Nel secondo, più frequente, non è pattuito il beneficio della preventiva escussione; anche in questo secondo caso, comunque, se vi dovesse essere contestazione del credito, la banca si asterrà dal pagare fino alla pronuncia di sentenza avversa al proprio cliente. E' anzi meglio sottolineare con apposita clausola questa circostanza. In pratica fidejussioni di questo tipo richiedono come unica indispensabile valutazione quella circa il merito creditizio del cliente che ne fa richiesta; se esso è sufficiente, e considerando che viene, assunta analoga controgaranzia nei confronti della banca, non dovrebbero esserci particolari problemi. Tra l'altro il rilascio di controgaranzia non è nient'altro che un rafforzamento della previsione di legge relativa all'azione di regresso e non costituisce un vero e proprio impegno fideiussorio correlato al primo, per cui il termine controfidejussione, d'uso comune, è improprio. Sotto il profilo tecnico si è soliti classificare il credito di firma in due categorie, secondo la loro natura: crediti di firma che assistono obbligazioni di fare del cliente, destinati, in sostanza, a

sostituire i depositi cauzionali richiesti da terzi; crediti di firma che facilitano al cliente il soddisfacimento del fabbisogno finanziario, e

che pertanto sono sostitutivi di affidamenti per cassa (es. garanzie a terzi per un finanziamento).

Alcuni crediti della prima categoria sono impegni di firma che hanno in realtà solo l'apparenza del credito di firma, per la loro trasformabilità immediata e certa in esborsi di cassa; tali sono i crediti documentari irrevocabili con pagamento a vista, sui quali la traenza è sotto la potestà di terzi. La banca può assumere nelle operazioni di firma la veste di obbligato diretto, come appunto nei crediti documentari o nelle accettazioni bancarie, o di coobbligato, come nelle fidejussioni, molte delle quali, però, essendo a prima richiesta, hanno praticamente caratteristiche analoghe all'obbligo diretto. Di quest'ultimo tipo sono anche le obbligazioni di avallo. Cerchiamo ora di chiarire più in dettaglio le caratteristiche di queste obbligazioni, partendo dalle più diffuse che sono appunto le fidejussioni passive. L'atto è comunque importante, in quanto in esso il cliente dichiara di prendere attenta, nota dei suoi impegni correlati alla operazione, per cui è di fondamentale importanza che venga esattamente riportato il testo della fidejussione richiesta alla banca e che venga pattuita la durata dell'impegno fino alla restituzione dell'atto rilasciato dalla banca o alla lettera di scarico da parte del garantito. Anche l'atto di controgaranzia è atto impegnativo del patrimonio, e va quindi sottoscritto

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dall'organo competente per la straordinaria amministrazione. Purtroppo la fidejussione a garanzia della semplice solvenza è andata progressivamente rarefacendosi in favore dell'altra forma, la cosiddetta fidejussione automatica o a prima richiesta, che comporta ben altra problematica. Tale forma di garanzia è molto diffusa anche nelle operazioni con l'estero; i rapporti intervengono in questo caso, di norma, tra due banche corrispondenti perciò l'impegno fideiussorio è preso nei confronti di banca estera. 10. Strumenti derivati La banca,direttamente o attraverso società finanziarie, può mettere a disposizione dell’impresa degli strumenti derivati che, secondo una corretta logica di gestione aziendale, dovrebbero essere destinati all’attenuazione o alla copertura del rischio connesso ad altri strumenti finanziari in essere quali contratti di finanziamento, mutui, leasing, di vendita o acquisto. Il termine Strumenti Derivati viene utilizzato per indicare particolari categorie di contratti a termine che “derivano” da attività sottostanti (reali o finanziarie), dalle quali dipende il prezzo dello strumento. Tali contratti appartengono alla categoria dei contratti differenziali, in quanto alla scadenza vengono solitamente conclusi con la semplice regolazione monetaria della differenza tra il prezzo indicato in contratto ed il prezzo corrente. La loro utilizzazione oltre che per fini speculativi e di arbitraggio, viene sovente posta in essere dagli operatori economici per fronteggiare rischi di natura finanziaria e valutaria, così definiti:

Rischio di tasso Il rischio di tasso di interesse consiste nella possibile variazione di valore di un’attività o passività finanziaria al variare dei tassi. Ad esempio nel caso di finanziamenti a tasso variabile lo strumento derivato consente all’operatore economico di definire il futuro costo complessivo dei finanziamenti mediante la copertura del rischio di variazione del tasso di interesse. La copertura dal rischio di tasso consente quindi di stabilizzare la componente di oneri finanziari in capo all’azienda o comunque di fissarne un tetto massimo.

Rischio di cambio Il rischio di cambio è legato a variazioni avverse dei prezzi della valuta estera nella quale si detiene una qualsiasi attività o passività finanziarie. Le imprese operanti in divisa estera sono esposte a possibili fluttuazioni dei cambi e conseguentemente al rischio che ne deriva. Sulla base della propria esposizione al rischio valutario, e compatibilmente col grado di propensione al rischio è possibile impostare un’opportuna strategia di copertura al fine di ottimizzare il proprio profilo di rischio-rendimento. La negoziazione degli strumenti derivati può avvenire sui mercati regolamentati, ove si stipulano contratti standardizzati le cui regole di contrattazione sono ben definite, oppure sul mercato over the counter dove invece il prezzo non sempre è trasparente e dove vi è una quasi totale assenza di controllo, di regole di negoziazione e di procedure standardizzate. I due mercati regolamentati più importanti sono il LIFFE di Londra e il MATIF di Parigi. In Italia operano il MIF (Mercato Italiano Future) e l’IDEM (Italian Derivates Market). Gli strumenti derivati che hanno maggiore diffusione sono Swap, Opzioni, Forward e Future.

Swap

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Lo swap è un contratto col quale due parti si scambiano flussi di cassa a date certe, secondo una modularità predefinita tra di esse. I flussi di cassa possono essere espressi nella stessa valuta oppure in valute differenti. La determinazione della quantità di flussi da scambiarsi richiede la definizione di una variabile sottostante. Le tipologie di swap maggiormente utilizzate dalle imprese sono: Interest Rate Swap. E’ il contratto mediante il quale due parti si impegnano a scambiarsi, a date prestabilite, flussi di cassa, secondo uno schema convenuto. Un tipico schema è quello in cui una parte A s'impegna a pagare all'altra parte, B, flussi di cassa pari agli interessi calcolati ad un prefissato tasso fisso su un capitale nominale, per un certo numero di anni. Contemporaneamente, B, si impegna a pagare ad A flussi di cassa pari agli interessi calcolati ad un tasso variabile sullo stesso capitale nominale, per lo stesso periodo di tempo. Currency Swap Tale forma contrattuale prevede che il capitale e gli interessi espressi in una divisa siano scambiati contro capitale ed interessi espressi in un'altra divisa. Sebbene siano molteplici le possibilità di adoperare gli swap nonché gli obiettivi perseguiti, generalmente, gli swap sono usati per ricoprire o modificare posizioni di rischio e per adeguare un determinato flusso finanziario ad una struttura desiderata.

Forward – Future Il forward è un contratto a termine con cui due controparti si impegnano ad acquistare o vendere, ad una data futura, una determinata quantità di merce o attività finanziaria ad un prezzo prefissato. Una particolare tipologia di contratto forward utilizzato per la copertura del rischio derivante da possibili variazioni del tasso di interesse è il Forward Rate Agreement.

Il FRA è’ un contratto con il quale due soggetti si impegnano a trasferirsi flussi d’interessi facenti riferimento ad importi convenzionali che non vengono trasferiti né all’inizio né alla fine della transazione. Il regolamento degli interessi dovuti avviene in via differenziale:chi acquista un FRA riceverà la differenza, se negativa, fra un tasso d’interesse predeterminato (tasso base) ed un tasso di riferimento; chi vende un FRA pagherà la differenza, se positiva, tra un tasso d’interesse che costituisce la base, ed un tasso di mercato che costituisce il tasso di riferimento. Le imprese che si sono indebitate ad un tasso variabile e che prevedono un forte aumento dei tassi di interresse nel breve periodo, mediante l’acquisto di un forward possono riuscire a fissare il tasso di interesse ad un livello giudicato vantaggioso. I future presentano lo stesso schema contrattuale dei forward ma a differenza di questi ultimi, hanno caratteristiche standard e sono scambiati su mercati regolamentati (in Italia il MIF) nei quali appositi organi di garanzia vigilano sul corretto adempimento delle controparti. Anche per i future l’attività sottostante può essere una merce (commodity future) o un’attività finanziaria (financial future). I financial future possono essere a loro volta distinti in: Currency Future Sono contratti che impegnano a vendere o a comprare a termine valuta ad un tasso di cambio prefissato. La posizione si chiude con l’effettivo ritiro o consegna della valuta a scadenza del contratto, oppure tramite la vendita o l’acquisto dei contratti entro tale data. Interest Rate Future E’ un contratto che rappresenta l’impegno alla cessione o all’acquisto a termine di titoli a reddito fisso o depositi in eurodivise a tasso fisso con caratteristiche determinate ad un prezzo prefissato. La posizione degli operatori si chiude con l’effettiva consegna o l’effettivo ritiro dei titoli in questione alla data di scadenza, oppure tramite la vendita o l’acquisto dei contratti entro tale data.

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Option Le Opzioni sono contratti finanziari che – contro il pagamento di un premio – conferiscono il diritto, ma non l’obbligo, di acquisire (call option) o di vendere (put option) una attività reale o finanziaria ad un prezzo determinato (strike price) ad una certa data predeterminata (opzione europea) oppure entro un certo periodo di tempo prefissato (opzione americana). L’operazione vede la presenza necessaria di due soggetti: colui che acquista il diritto ad esercitare l’opzione (chiamato holder) contro il pagamento di un premio – definito prezzo dell’opzione – ed un soggetto che vende tale diritto (definito writer). Le attività finanziarie sottostanti ad un option sono generalmente le seguenti: titoli, tassi di interesse, divise estere, future.

6.4.2 I finanziamenti a medio lungo termine Mutui fondiari I Mutui , in genere sono concessi a privati per acquisizione/ristrutturazione di immobili , e a imprese per finanziare immobilizzazioni permanenti. Si ricorda che per la loro durata essi richiedono la presenza di garanzie reali, in genere ipoteca, più raramente, per le imprese, privilegio speciale su macchinari. Per esse finanziano investimenti di lungo respiro (stabilimenti, impianti, talora macchinari) che richiedono notevoli esborsi liquidi immediati ma che produrranno benefici reddituali graduali, divisi in più esercizi. Fondamentale per la concessione di questi finanziamenti non è tanto la capienza della copertura ipotecaria (che pure è necessaria) quanto l'analisi della capacità di rimborso, data dalle prospettive di reddito futuro dell'azienda in relazione all'investimento programmato. Nel caso di privati, invece, occorrerà tener conto dei redditi prodotti per valutare la sostenibilità delle rate. A tale scopo, all'esame dei bilanci pregressi dell'azienda richiedente, andrà affiancato quello dei budget futuri, contenenti previsioni attendibili circa gli sviluppi del reddito d'impresa e quindi dei flussi di cassa (cash-flow), dai quali dovranno pervenire i fondi necessari al pagamento delle rate semestrali del mutuo. Ai privati, oltre alla certificazione dei redditi prodotti, si chiederà di indicare le spese mensili e gli eventuali introiti di diversa provenienza, per valutare l'effettiva liquidità disponibile per far fronte agli impegni delle rate. Il credito fondiario è materia per la quale la più recente legislazione ha innovato in modo particolarmente significativo, trasformando radicalmente l'impianto tecnico tradizionale. Le vecchie leggi, infatti, distinguevano tra credito fondiario e credito edilizio; il primo era relativo all'acquisto dei beni immobili già esistenti, il secondo, invece, alla costruzione di nuovi immobili. Il credito fondiario prevedeva la forma tecnica del mutuo ad ammortamento rateale, di norma semestrale, e dell'anticipazione fondiaria a scadenza unica fissa dal 18° mese in poi. L'erogazione di operazioni della specie era demandata ad Istituti di Credito Speciale e alle Sezioni Speciali di banche di diritto pubblico; alla specializzazione degli impieghi oltre il breve termine corrispondeva analoga caratteristica sul versante della raccolta. Alle banche di credito ordinario non era del tutto precluso il comparto operativo oltre il breve termine, ma le loro erogazioni non rientravano nella specifica normativa prevista dal fondiario e, in particolare, non si aveva il consolidamento agevolato, in 10 giorni, dell'ipoteca. La 385 (nuova legge bancaria consente l'operatività nel settore fondiario a tutte le banche, senza più alcuna distinzione, e, di conseguenza, allarga ai vecchi Istituti di Credito Speciale l'operatività nel settore del breve. La LEGGE 385 ha previsto anche una nuova normativa fondiaria, aggiornando e semplificando le vecchie procedure consolidatesi negli anni e prevedendo

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anche l'abrogazione della normativa precedente incompatibile. Che cosa intendiamo per credito fondiario. La risposta sembra essere la seguente: si tratta di un finanziamento, svincolato da precise forme tecniche, ma caratterizzato da durata oltre il breve (cioè oltre i 18 mesi), assistito da garanzia ipotecaria, di importo non superiore a quello determinato dalla Banca d'Italia (80% del valore, elevabile al 100% in presenza di garanzie integrative), con contestualità tra acquisizione della garanzia e concessione del finanziamento. Non è più richiesto che l'iscrizione sia di primo grado, purché si rispetti tra la nuova erogazione e la somma del capitale residuo delle precedenti il limite di finanziabilità sopra ricordato. Per quanto attiene alle garanzie integrative che consentono l'elevamento del limite di finanziabilità dall'80% al 100%, esse sono al momento individuate in fidejussioni bancarie e assicurative, garanzie rilasciate da fondi pubblici di garanzia o da consorzi e cooperative di garanzia fidi, cessioni di credito verso lo Stato, cessioni di annualità o contributi a carico dello stato o di enti pubblici, pegni in titoli di Stato. Altro non è richiesto, perciò l'erogazione è ammessa a qualsiasi soggetto proprietario di immobili, anche imprese, indipendentemente dalla destinazione della somma erogata. Le caratteristiche specifiche che la legge 385 ha attribuito al credito fondiario sono: facoltà per la banca di eleggere domicilio in circoscrizione di Tribunale diversa da quella

ove si trova il bene; consolidamento accelerato dell'ipoteca (10 gg deroga dal codice); esonero dei pagamenti da revocatoria fallimentare; procedimento esecutivo derogato e avvantaggiato; possibilità di modificare il tasso di interesse nel caso in cui si ricorra al doppio contratto

(condizionato e atto di quietanza); possibilità di inserire clausole di indicizzazione, con adeguamento automatico

dell'ipoteca; diritto per, il mutuatario di ottenere riduzione e restrizione dell'ipoteca; diritto alla suddivisione in caso di ipoteca gravante su complessi condominiali; tariffa notarile di favore; possibilità di estinzione anticipata; disciplina particolare del rapporto tra ritardato pagamento e risoluzione del contratto (il

pagamento entro 30 giorni non è ritardo; la banca deve accettare il pagamento fino al 180° giorno; la risoluzione potrà essere da essa richiesta solo dopo il 180° giorno o dopo il sesto pagamento, anche non consecutivo, avvenuto tra il 300 e il 180° giorno dalla scadenza).

prevalenza dell'ipoteca sul privilegio del promittente acquisito con compromesso registrato, se il finanziamento fondiario è stato oggetto di accollo o se è stato utilizzato per l'acquisto del bene compromesso.

b) Il leasing Tipologie di leasing. Come è noto la legge 385, nuova legge bancaria, ha esteso a tutte le banche la possibilità operativa nel campo del leasing, attività finanziaria prima esercitata tramite collegate. Tale possibilità, insieme con un generale ridimensionamento del comparto, collegato anche ad una normativa fiscale meno favorevole in materia, ha spinto molte banche a incorporare le

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finanziarie di leasing appositamente costituite, molte delle quali gravate da perdite di bilancio, e ad esercitare direttamente tale attività. In altri casi, invece, si è preferito mantenere l'autonomia delle finanziarie, inserite nel modello del gruppo polifunzionale; in altri ancora le società di leasing, essendo collegate a più istituti di credito, o avendo raggiunto un rilievo dimensionale notevole, hanno, in forza di ciò, mantenuto una propria struttura indipendente e autonoma. Il leasing in senso moderno è nato negli USA nel 1952, con la nascita della "United States Leasing" ideata da D.P.Boothe Jr. industriale del settore alimentare, per le esigenze di utilizzo di macchinari connesse ad una grossa fornitura commissionatagli dall'esercito; l'attività ebbe subito un notevole successo e un rapido sviluppo. In Europa l'attività fu importata a partire dal 1960 in Gran Bretagna; il paese dove si è raggiunto il maggiore sviluppo tra quelli europei è tuttavia la Francia, dove l'attività ha avuto un notevole impulso per iniziativa del governo anche per le agevolazioni ad essa collegate e per il regime fiscale favorevole anche alle operazioni immobiliari. Con il termine leasing, comunque, si intendono due attività abbastanza diverse tra loro, che costituiscono due sottotipi chiaramente individuabili. Essi sono: - il leasing operativo, forma primitiva, che può essere considerato un contratto di noleggio di beni strumentali di breve durata senza la previsione della possibilità di acquisto da parte del locatario alla scadenza; nel contratto sono compresi tutti i servizi collaterali; di norma tale contratto è stipulato col produttore; - il leasing finanziario ha invece per oggetto qualsiasi bene mobile o immobile occorrente all'azienda locataria per un periodo che, di solito, corrisponde alla durata economica del bene stesso. L'ammontare dei canoni corrisposti è superiore al valore del bene locato, per cui viene stabilita la possibilità di acquisto ad un modesto valore residuo. I servizi collaterali non sono inclusi nel canone. L'operazione si realizza, in genere, mediante una terzo soggetto che ha la veste di acquirente del bene dal produttore e di locante dello stesso all'utilizzatore. Il settore del leasing in Italia ha avuto negli ultimi anni un particolare sviluppo grazie alla crescita del settore immobiliare, infatti occorre ricordare che la normativa “fiscale” consente la detraibilità, come costo, delle rate di leasing se il contratto ha una durata minima di 18 anni. (sino al 2006 era 9 anni) per cui lo strumento diviene alternativo all’operazione di finanziamento immobiliare con mutuo,perché, a parità di interessi , influisce in modo diverso l’ammortamento dell’immobile ( in 33 anni) . Altro settore di sviluppo incentivato dalla normativa fiscale è stato il leasing “nautico” Nel settore automobilistico in sostituzione del leasing è diffuso il Noleggio a Lungo termine (Long rental) . Tale operazione che non rientra nella fattispecie del leasing ha un risultato finale molto simile, in quanto l’utilizzatore finale (azienda) usufruisce dell’auto come in full leasing corrispondendo un canone comprensivo di tutti gli oneri accessori dell’auto (bollo- assicurazione-manutenzione ecc). La dottrina, a proposito di operazioni di leasing finanziario, ha ormai pacificamente acquisito che l'operazione ha appunto la natura di finanziamento a medio e lungo termine e non quella di un contratto di vendita rateale o di locazione. Le caratteristiche che individuano appunto le operazioni della specie si possono così riassumere: tipica operazione di finanziamento, con tutte le spese e gli oneri relativi a carico del

locatario; durata oltre il breve;

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oggetto del contratto: beni mobili o immobili specializzati; presenza di un intermediario finanziario; contratto di locazione irrevocabile (salvo il caso che il locatario corrisponda tutti i canoni

residui al momento del recesso); canoni periodici commisurati al costo del bene; opzioni alla scadenza: acquisto alla somma pattuita ab origine. Altre possibili ma

scarsamente applicate : rinnovo della locazione a canoni molto ridotti, restituzione del bene,

La differenza per l’impresa, in termini di bilancio, tra un’operazione di finanziamento attraverso il leasing e una con il mutuo , è la seguente:

acquisizione immobile strumentale o macchinari

Stato patrimoniale Conto economico

leasing Non presente (solo evidenza) Canoni detraibili e in parte interessi

mutuo Attivo Ammortamento e In parte interessi

Alla scadenza del contratto, in forza del riscatto, la società di leasing venderà all’impresa il ben oggetto del finanziamento, al prezzo prefissato al momento della stipula iniziale, per cui il valore che sarà rilevato in bilancio risulterà molto basso. In realtà per gli immobili con l’operazione di leasing si ottiene un “ammortamento” più veloce e una finanziabilità del 100% del valore e quindi è spesso da preferire al mutuo, con i macchinari che hanno già ammortamenti “veloci” con ammortamento pari alla durata del contratto di leasing la convenienza risiede nella maggiore facilità di accesso al credito e alla componente di servizio collegata al rapporto società di leasing e i produttori di macchinari. All'interno del leasing propriamente detto si sono sviluppati nella realtà internazionale numerosi settori: leasing automobilistico, aeronautico, agricolo, azionario, di container; immobiliare,navale e nautico, di aeromobili. Nel settore immobiliare sta incontrando un certo favore da, quando è stata riconosciuto come operazione fiscalmente consentita, una particolare forma di leasing detta "sale and lease-back" o, più semplicemente, lease-back. Questo contratto consiste nella cessione alla società di leasing di un immobile in uso all'azienda; tale immobile è successivamente locato in leasing alla stessa azienda che l’ha in uso, con riscatto finale al termine del periodo di locazione. Il contratto è caratterizzato in genere da un prezzo di vendita solitamente inferiore al valore di mercato, da un unico complesso contratto ove è definito sia l'aspetto di vendita che quello di locazione, da una durata e importo di canoni correlata al prezzo pagato per l'acquisto, con modico canone di riscatto finale, dal carico al locatario di tutte le spese di manutenzione e oneri accessori, tasse comprese, relative all'immobile.

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I vantaggi sono notevoli per il venditore-locatario, che riesce a smobilizzare finanziariamente un proprio consistente immobilizzo di non sempre facile commerciabilità e comunque in uso all'azienda, conseguendo vantaggi finanziari e, in genere, anche fiscali. Date queste caratteristiche, in sostanza, l'operazione si presenta come un finanziamento a medio e lungo termine che assume a base di garanzia un immobile strumentale; è, in sostanza, un'operazione alternativa al mutuo ipotecario.. 6.4.3 Il factoring Con il termine factoring si definisce un contratto mediante il quale un imprenditore (cedente) si impegna a cedere ad un altro (factor) tutti i crediti derivanti o derivanti dall'esercizio della sua impresa o da una particolare fornitura dietro corrispettivo; il factor, a sua volta, si impegna a fornire una serie di servizi differenziati, come la gestione, la contabilizzazione, l'incasso dei crediti ceduti, la garanzia dell'eventuale inadempimento, la concessione di anticipi parziali o totali. Non tutti i servizi sono collegati ai singoli contratti, non essendo sempre richiesta la garanzia all'inadempimento o l'anticipo. Come si vede il rapporto di factoring giuridicamente integra la fattispecie di un contratto atipico misto, basato sulla prestazione di servizi; la cessione del credito non rappresenta la finalità dell'accordo ma solo lo strumento dell'erogazione dei servizi; non si tratta pertanto di un contratto di garanzia o di sconto di crediti. La cessione è in genere pro-solvendo, cioè senza garanzia dell'incasso; nel caso che avvenga pro-soluto il factoring assume anche la funzione assicurativa dei credito; l'accredito al cedente può essere anticipato, per cui l'operazione ha natura di finanziamento, o avvenire alla scadenza o a una certa data successiva alla scadenza. Come si vede i vantaggi che possono derivare all'impresa cedente sono numerosi, per la possibilità di gestire in modo ottimale la propria creditoria, assicurare i rischi di insolvenza o di ritardo degli incassi, acquisire tramite il factor più facilmente informazioni commerciali sugli acquirenti, economizzare la gestione. Se il factoring non implica la concessione di anticipi, esso viene chiamato "maturità factoring"; diversamente viene detto "credit-cash factoring". Le fatture del cedente possono recare o no la notifica della cessione al factor del credito; in tal caso si parla di "notification factoring". In genere caratteristiche dei contratto di factoring sono: clausola di esclusiva: non sempre presente, che comporta l'obbligo del cedente a non

porre in essere altri rapporti di factoring; obblighi del cedente a trasferire i documenti probatori dei credito, a trasferire le

garanzie e, gli accessori, a sottoporre ad approvazione preventiva del factor le operazioni;

obblighi del factor a esaminare preventivamente i crediti e a fornire eventuali servizi collaterali richiesti, quali informazioni commerciali o ricerche di mercato;

clausola che riconosce al factor la potestà di ridurre o di revocare le approvazioni del credito;

clausola eventuale che consente al factor il controllo sulle scritture, contabili del cedente;

clausola di reciproca rescissione del contratto. Il factor è remunerato, oltre che con gli interessi sugli eventuali anticipi concessi, con una commissione in genere oscillante tra il l% e il 3%; i rapporti si svolgono in c/c. I contratti sono

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regolati dalle norme sulla trasparenza. Sulla materia è intervenuta la legge 52 del 1991 che ha dato una regolamentazione specifica alla cessione dei crediti di impresa, modificando la disciplina civilistica della cessione dei crediti; non ha tuttavia introdotto nel nostro sistema una disciplina strutturata organica del factoring. La legge si applica alle seguenti condizioni: il cedente deve essere imprenditore; i crediti devono sorgere da contratti stipulati nell'esercizio dell'impresa; il cessionario deve avere personalità giuridica e l'acquisto dei crediti deve essere

espressamente, previsto dall'oggetto sociale e il fondo di dotazione non deve essere inferiore a 10 volte il capitale minimo delle Spa.

La legge prevede: - possibilità della cessione anche per i crediti futuri, anche in massa e anche per contratti non

stipulati ma che si stipuleranno nei due anni successivi, in deroga alla normativa civilistica che prevede solo i crediti futuri derivanti da rapporti già esistenti al momento della cessione;

- se la cessione è pro-solvendo, la garanzia di solvenza del cedente vale solo nei limiti del corrispettivo (anticipo) pattuito; il cessionario può rendere la cessione opponibile ai terzi, oltre che con la procedura di notifica prevista dal codice civile, anche in seguito al semplice pagamento in data certa del corrispettivo pattuito, anche se in minima misura, dal cessionario al cedente, cioè con l'effettuazione dell'anticipo;

- il trasferimento del credito ha effetto sul terzo ceduto a prescindere da qualsiasi comunicazione, per cui il factor può pretendere il pagamento alla scadenza; in assenza di comunicazione, però, il pagamento effettuato al cedente è liberatorio per il debitore ceduto; il debitore può opporre al cessionario tutte le eccezioni che derivano dai rapporti precedenti alla cessione, salvo l'incedibilità convenzionale del credito, se non provando che il factor ne era a conoscenza al tempo della cessione.

6.5 Altre forme di finanziamento alle PMI In questi ultimi anni grazie alla riforma del diritto societario alle PMI si sono aperte alcune nuove possibilità. In realtà sono ancora abbastanza poco applicate. Le PMI italiane, come si sa, sono prevalentemente orientate a un finanziamento di tipo bancario, che, sebbene abbia svolto un ruolo primario nella crescita economica delle imprese, non sempre è stato utilizzato in modo equilibrato e corretto. Spesso, infatti, prestiti a breve termine sono stati utilizzati per finanziare investimenti di lungo termine, irrigidendo la struttura del passivo di molte imprese. L’esigenza di una struttura patrimoniale equilibrata è fondamentale per consentire alle PMI di crescere, competere e per affrontare Basilea 2 e i criteri di valutazione basati sul rating, che è legato al grado di solvibilità dell’impresa e al suo livello di capitalizzazione e indebitamento. Per promuovere lo sviluppo della finanza d’impresa diventa quindi necessario, innanzitutto, sviluppare una consapevolezza sulle possibilità di finanziamento alternative. Con la riforma del diritto societario, la riforma fiscale e l’adozione dei nuovi principi contabili internazionali (IAS), sono stati introdotti nuovi strumenti volti a favorire la patrimonializzazione delle imprese. In particolare sono stati puntualizzati gli aspetti relativi ai : conferimenti

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finanziamenti soci Per i conferimenti è stato esteso il concetto di conferibilità a qualsivoglia bene che può essere oggetto di una valutazione economica, comprendendo, per esempio,anche le prestazioni d’opera dei soci, i marchi e i brevetti, purché accompagnato da una relazione giurata di un esperto o di una società di revisori contabili o da una società di revisione iscritta nell’apposito registro albo. Per il finanziamento soci il focus è posto sulla postergazione dei finanziamenti, obbligando l’impresa a formalizzare la rinuncia di rimborso di quei finanziamenti soci diventati con il tempo mezzi propri dell’impresa. In pratica, il principio implica che in caso di rimborso dei finanziamenti soci antecedente allo stato di crisi dell’impresa, il rimborso possa essere “richiamato”. Anche in ambito fiscale sono state introdotte norme volte a contrastare il fenomeno della sottocapitalizzazione (thin capitalization): la limitazione della deducibilità degli interessi passivi derivanti da indebitamenti fiscalmente “anomali” contratti dalle imprese con i propri soci o con parti correlate con i soci stessi. Qualora si verifichi un rapporto fra debiti e patrimonio netto superiore a quello consentito, l’imprenditore deve poter dimostrare che i finanziamenti eccedenti derivano dalla capacità di credito dell’impresa e non da quella del socio. Nel caso non potesse fornire tale prova, ai fini fiscali gli oneri finanziari, riferiti a tale finanziamento, saranno indeducibili. La terza innovazione riguarda invece l’applicazione dei principi contabili internazionali (IAS – International Accounting Standard) che hanno effetto sulla patrimonializzazione e che riguardano:

il leasing finanziario,

gli ammortamenti anticipati

le rimanenze di magazzino. Secondo il metodo finanziario previsto dallo IAS 17, il bene oggetto del contratto di locazione finanziaria non viene più iscritto tra le attività del concedente, bensì tra quelle dell'utilizzatore il quale a fronte di ciò iscrive un debito per l'operazione. Ne deriva che l'utilizzatore imputerà a conto economico le quote di ammortamento del bene e gli interessi passivi che costituiscono la componente finanziaria dei canoni di leasing. Per quanto riguarda la riforma degli ammortamenti anticipati, il principio contabile internazionale prevede che le opportunità e i vantaggi tributari siano gestiti in sede di redazione della dichiarazione dei redditi. Ne consegue che gli ammortamenti anticipati o eccedenti la quota civilisticamente corretta non possono più essere iscritti nel conto economico, ma sono deducibili se indicati nell’apposito prospetto incluso nel modello unico. Infine, la valutazione delle rimanenze di magazzino, secondo la riforma IAS, prevede l’obbligo di valutazione delle rimanenze al minore tra il costo e il valore netto di realizzo. Le metodologie di valutazione del costo considerate valide sono: - costi standard o dei prezzi al dettaglio, - costi specifici, - FIFO o costo medio ponderato escludendo di fatto il metodo LIFO adottato finora in prevalenza da molte imprese italiane e prevedendo un incremento dei valori che concorreranno a formare il reddito in quote costanti nell'esercizio in cui sono iscritti e nei quattro successivi. L’applicazione dei principi IAS al momento è obbligatorio per le imprese quotate e facoltativo per le altre.

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b) I Covenants Tra i nuovi strumenti che assistono le operazione di finanziamento a medio/lungo termine rientra il “”Covenant””. Il covenant è una speciale pattuizione contrattuale a tutela del credito del finanziatore che evita il ricorso a forme di garanzia reale in cambio di clausole contrattuali inserite nei contratti, stipulati di norma per affidamenti a medio/lungo termine e concessi a scopo produttivo e commercial. Tali clausole tendono a fissare dei “paletti” (rapporto indebitamento/patrimonio; ebidta etc) che mirano a far si che l’impresa finanziata, nell’ambito della gestione corrente e per il periodo in cui è in essere il finanziamento, non compia atti che potrebbero pregiudicare l’interesse del finanziatore, o comunque alterare il profilo di rischio rispetto all’assunzione della delibera d’affidamento. Il punto centrale dell’assunzione del credito sta nell’affidabilità e capacità creditizia dell’azienda, da cui discende che la banca finanziatrice nel caso di mancato rispetto dei Covenant potrà rinegoziare o revocare il credito in quanto l’azienda, in sostanza, si era assunta un obbligo di fare (affermative Covenant) o un impegno di non fare (negative Covenant). Le clausole, che vengono rinegoziate secondo necessità, sono riferite al bilancio dell’impresa affidata, analizzando la serie storica delle principali grandezze economiche-finanziarie e fissando dei punti fermi, affinché la struttura patrimoniale e quella finanziaria siano sempre compatibili con il nuovo volume di debiti assunti. c) Gli strumenti offerti dal mercato finanziario Con la legge n. 43 del 13 gennaio 1994, vengono introdotte anche in Italia le cambiali finanziarie, strumento di finanziamento di breve termine, alternativo al finanziamento bancario e particolarmente efficaci per la le PMI con esigenza di copertura di un fabbisogno stagionale o momentaneo. Le cambiali finanziarie sono titoli di credito all’ordine, emessi in serie, con scadenza non inferiore ad un mese e non superiore a diciotto mesi dalla data di emissione e di taglio non inferiore a 10.000 euro. Sono considerate a tutti gli effetti dei valori mobiliari, equiparate giuridicamente alla cambiale ordinaria, tramite le quali, le imprese che le emettono, possono usufruire della raccolta del risparmio presso il pubblico, a costi più contenuti. Come cambiali devono contenere la promessa incondizionata di pagare una certa somma e le informazioni sulle caratteristiche del prestito. In più devono essere indicati il capitale sociale dell'impresa emittente, l'ammontare complessivo dell'emissione di cui la cambiale fa parte e, in caso di emissione da parte di società non quotate, il nome del garante e l'importo della garanzia. Sono girabili esclusivamente con la clausola «senza garanzia» o equivalenti. La remunerazione di un investimento in cambiali finanziarie è data dalla differenza tra valore nominale di rimborso e valore di acquisto. Possono essere emesse da società ed enti con titoli quotati in un mercato regolamentato, come pure da società non quotate, tra cui rientrano le PMI. Nel caso di quest’ultime, l’ammontare dell’emissione non dover superare il limite del capitale più le riserve, i bilanci degli ultimi tre esercizi devono essere in utile e il 50% dell’ammontare delle cambiali emesse deve essere coperto da garanzia bancaria o assicurativa. La rimozione di tali vincoli è prevista nel caso in cui l’impresa emittente sia dotata di rating o abbia i bilanci degli ultimi tre esercizi in utile e certificati da un revisore contabile o da una società di revisione iscritta al registro dei revisori contabili; in tale caso i titoli devono essere assistiti da garanzie

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in misura non inferiore al 25 per cento del loro valore di sottoscrizione rilasciate da soggetti vigilati. Tra gli strumenti di finanziamento di lungo periodo rientrano invece: 1. i prestiti obbligazionari, strumento con cui un’impresa contrae un debito a lunga scadenza con una pluralità di soggetti, per una somma non eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato. Costituisce una valida alternativa al finanziamento bancario tradizionale per quelle imprese aventi una riconosciuta solidità economico - finanziaria, un valido posizionamento di mercato e una riconosciuta affidabilità tali da attrarre la fiducia dei risparmiatori. Gli amministratori hanno il potere di emettere obbligazioni, prestabilendo con una certa flessibilità la durata, i costi e tutte le altre condizioni del prestito, in relazione alla capacità dell’impresa di sopportare il peso degli interessi. È inoltre possibile l’emissione di prestiti obbligazionari convertibili che attribuiscano al sottoscrittore la facoltà di rimanere creditore della società o di convertire, in tempi e modi prestabiliti, l’obbligazione in azione. 2– I prestiti partecipativi sono una forma particolare di finanziamento a medio/lungo termine, che rappresentano una diretta partecipazione al capitale di rischio dell'impresa da parte della banca finanziatrice in quanto il rendimento dipende dal risultato economico dell'azienda. Il tasso di interesse è variabile in funzione della redditività aziendale. In questo modo gli oneri finanziari gravano sull’impresa in misura diversa, a seconda dell’andamento aziendale. In pratica l'istituto di credito accetta di essere remunerato in parte mediante gli utili di esercizio dell'impresa finanziata. Sono, quindi, una sorta di ricapitalizzazione indiretta, che consentono all'impresa di indebitarsi anche per importi rilevanti, per realizzare programmi di sviluppo, ammodernamento, innovazione o ristrutturazione, che ne migliorino sensibilmente i risultati economici e ne accrescano il valore. All’impresa spettano gli oneri finanziari, mentre l’obbligo di rimborso del capitale spetta ai soci. Tali prestiti sono uno strumento che si rileva particolarmente adatto a soddisfare le esigenze delle piccole e medie imprese che vogliono diversificare le fonti di finanziamento senza perdere la propria autonomia di gestione con l'ingresso di nuovi soci. Altre forme di intervento Private Equity e Venture Capital. (vedi cap.4) Il Venture Capital, attraverso l’early stage financing, rappresenta la forma tecnica di investimento maggiormente impiegata a livello internazionale, per garantire la nascita di imprese ad alta tecnologia. Le Private Equity, invece, sono gli investimenti nel capitale di rischio realizzati nelle fasi di vita aziendale successive all'iniziale. Cartolarizzazione dei crediti La Cartolarizzazione dei crediti (Securitization) è una tecnica finanziaria attraverso la quale i flussi di cassa derivanti dal portafoglio di attività (asset) di un’impresa (originator) vengono ceduti ad un soggetto specializzato, la società cessionaria (Special Purpose Vehicle – S.P.V.), che si occupa di presentarli sul mercato sotto forma di titoli (Asset Backed Securities) aventi caratteristiche di rendimento/rischio coerenti con le condizioni prevalenti del mercato stesso

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e quindi collocabili presso gli investitori. Si spostano, pertanto, i flussi finanziari dal mercato del credito al mercato dei capitali. Il processo di cartolarizzazione può avvenire in due modi: 1. - attraverso l’emissione delle quote di partecipazione in fondi comuni specializzati, forma utilizzata principalmente in Francia (i c.d. Fonds communs de créances) e in Spagna (Fondos de Titulizacion Hipotecaria); 2. – attraverso la modalità pay-through, in base al quale gli asset vengono ceduti all’ S.P.V., il quale emette in contropartita titoli sul mercato obbligazionario. Tale possibilità per le PMI è di scarsa potenziale applicazione in primo luogo per i costi connessi all’operatività dello strumento e per il piccolo taglio dei crediti in portafoglio.

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Capitolo 7

Il business plan per la richiesta di finanziamento. La valutazione del merito di credito alla luce della normativa di

Basilea 2

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7.1 Il Business Plan , Il Business Plan o piano d’impresa è uno strumento fondamentale per l’impresa in quanto illustra ai terzi, finanziatori o potenziali soci, quale sia il progetto, gli obbiettivi qualitativi e quantitativi che l’imprenditore si aspetta dalla sua attività. La redazione un piano assolve a varie funzioni come: 1. Stimolare l’imprenditore a riflettere sulla propria idea di business, nonché sulle risorse

da utilizzare e sul mercato in cui operare; 2. Valutare preventivamente la fattibilità del progetto; 3. Facilitare la presentazione dell’idea imprenditoriale all’esterno; 4. Facilitare la valutazione di finanziatori esterni 5. Permettere controllo e monitoraggio. E’ importante soprattutto per il piccolo imprenditore riflettere sulla propria impresa, in quanto allo stesso, a volte, manca la capacità di pianificare, o comunque quella di formalizzare le proprie idee, mentre sono prevalenti in lui le abilità operative. Ed è per questo che la redazione del business plan risulta una delle attività più difficili da intraprendere in particolare nella fase di avvio di un’impresa. Risulta infatti difficile, soprattutto per chi è abituato ad agire operativamente, mettere per iscritto le proprie intuizioni, ma l’operazione più problematica è forse quella di quantificarle in numeri. Nonostante le difficoltà oggettive che si presentano alla redazione di questo documento, in sintesi risulta importante scrivere un piano di impresa poiché questo svolge tre importanti funzioni :

1. Il business plan, grazie al suo carattere analitico, può servire come punto di partenza per sviluppare nuove strategie per gestire l’impresa, evitando così di sperimentare direttamente nuove idee che potrebbero rivelarsi azzardate

2. Poiché prevede la quantificazione degli obiettivi aziendali per un certo periodo di tempo (di solito tre anni), rappresenta un’efficace strumento per monitorare i risultati ottenuti dall’impresa, e nel caso in cui si verifichino degli scostamenti, permette di identificare gli opportuni correttivi da applicare

3. E’ un documento fondamentale al fine di reperire capitali nella fase di start up. I finanziatori di una nuova attività, infatti, possono basarsi solo sulle previsioni riportate nel business plan per decidere se sostenerla o meno. Da qui la necessità di sviluppare un documento che rappresenti l’idea imprenditoriale, le sue potenzialità eccetera in modo chiaro e veritiero.

Va inoltre ricordato che la redazione del business plan non rappresenta una prerogativa delle imprese nascenti, ma può rivelarsi uno strumento molto utile anche per le imprese già esistenti. Una volta elaborato il piano d’impresa, affinché questo mantenga la propria utilità nel tempo, è necessario che venga rivisto periodicamente, soprattutto nei casi in cui

a. L’impresa necessita di nuovi finanziamenti e quindi di finanziatori disposti a credere nell’impresa

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b. Si assiste ad un cambiamento nei mercati-obiettivo: mutamenti nella domanda, nella struttura del mercato e nella concorrenza, per cui è necessario riesaminare il business plan originario

c. Si ha intenzione di sviluppare un nuovo prodotto o una nuova tecnologia produttiva, per cui è necessario inserire nel piano d’impresa anche questa nuova idea

d. L’impresa decide di modificare l’assetto del management, e quindi è importante che i nuovi manager abbiano a disposizione informazioni aggiornate

e. Si sono verificati cambiamenti sostanziali, ad esempio il trasferimento della sede dell’impresa, il raggiungimento di un obiettivo fondamentale o l’ampliamento del personale

Il progetto d’impresa Nel caso della nascita di una nuova impresa. Da questa intuizione dell’imprenditore, deve partire un processo organizzato di verifica dell’idea. Questo processo di analisi porta alla redazione del piano di fattibilità o business plan per verificare se l’idea imprenditoriale ha un mercato e se il prodotto/servizio può essere acquistato dal consumatore e a che prezzo. il capitale necessario per avviare e gestire l’impresa i soci/collaboratori da coinvolgere La forma giuridica più adeguata Gli adempimenti burocratici da espletare Per un’azienda in fase di crescita che magari ha la necessità di finanziare o trovare soci per una nuova iniziativa o uno sviluppo dell’attuale business, il progetto sarà più focalizzato su determinati aspetti essendo l’azienda già operante. Di seguito in sintesi si riportano gli aspetti salienti da riportare nel Business Plan.

Definizione della missione aziendale Attraverso l’illustrazione dell’idea imprenditoriale, lo stato di avanzamento del progetto, le motivazioni, i caratteri distintivi e gli eventuali elementi di innovazione in particolare andranno evidenziati: L’IMPRESA

storia

forma e composizione societaria

presenza di legami con altre imprese

L’IMPRENDITORE O IL NUCLEO IMPRENDITORIALE

caratteristiche generali

esperienze passate (affini o meno al business)

motivazioni

ruolo svolto all’interno dell’iniziativa Nel caso di avvio di nuova impresa illustrare l’idea in modo chiaro da dove deriva; ad esempio la scoperta di una nuova tecnologia, l’espansione della domanda di un prodotto/servizio, la modificazione dei gusti e delle propensioni di acquisto dei consumatori, il successo di altre imprese, l’individuazione di un bisogno e di una carenza del mercato

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Definizione della formula imprenditoriale Va evidenziata il sistema di prodotto/servizio offerto, quale sia il mercato di riferimento, i clienti potenziali o attuali, i concorrenti, l’attività commerciale che sarà svolta, la struttura organizzativa (risorse, organizzazione dell’attività, forma di gestione, ecc) le caratteristiche professionali dei promotori e le loro precedenti esperienze imprenditoriali ( aspetto molto importante nel caso di nuove iniziative). In dettaglio dovranno essere evidenziate : IL TEAM IMPRENDITORIALE • componenti del gruppo • esperienze dei componenti del gruppo • ruoli chiave nel progetto (soggetti preposti per i ruoli chiave – prospettive future di

assetto del team) IL MERCATO DI SBOCCO • descrizione del mercato e suoi segmenti • dimensione e prospettive di sviluppo della domanda • risultati delle ricerche di mercato ( se svolte) • potere contrattuale dei clienti • dimensione e prospettive di sviluppo del/i segmento/i del mercato in cui si opera (tasso

di crescita, determinanti della crescita, stagionalità, ciclicità) LA CONCORRENZA • descrizione della struttura dell’offerta • situazione e grado di turbolenza tecnologica del settore • profilo dei principali concorrenti • grado di competitività del settore • perché i prodotti della concorrenza non soddisfano pienamente le esigenze del mercato • come si pensa di superare le barriere all’entrata del settore • definizione delle barriere all’uscita • barriere all’entrata nei confronti dei concorrenti potenziali • identificazione dei prodotti/servizi sostitutivi I MERCATI DI APPROVVIGIONAMENTO • identificazione delle principali fonti di approvvigionamento • descrizione delle principali caratteristiche delle fonti di approvvigionamento (costanza

dell'offerta, affidabilità dei fornitori, ecc.) • fonti chiave di approvvigionamento • potere contrattuale dei fornitori IL PRODOTTO/SERVIZIO • descrizione del bisogno che si intende soddisfare • descrizione del prodotto/servizio • presenza di eventuali brevetti o licenze • modalità di utilizzo ed elementi di interesse • fase dello sviluppo in cui si trova (crescita, maturità, declino) • tempi, modalità e costi per la messa a punto del prodotto/servizio nuovo (nel caso di

avvio o di programmi di sviluppo) LA COMMERCIALIZZAZIONE • la filosofia di marketing adottata

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• le scelte di prezzo • il piano di comunicazione • i canali distributivi prescelti • la rete di vendita • eventuali accordi di commercializzazione • budget delle vendite • costi di commercializzazione IL PATRIMONIO TECNICO-INDUSTRIALE • politiche di acquisizione dei brevetti, know-how • accordi a livello produttivo • le scelte di produzione interna o di acquisizione presso terzi • le modalità di approvvigionamento • la struttura produttiva • i tempi, i modi e i costi per la predisposizione o per l'adeguamento della struttura

produttiva • composizione e natura dei costi di produzione • la struttura di ricerca e sviluppo • accordi di ricerca e sviluppo • i tempi, i modi e i costi per la predisposizione o per l'adeguamento della struttura di

ricerca e sviluppo • il controllo della qualità NETWORK

• sintesi delle alleanze e degli accordi già raggiunti con altre aziende • identificazione di possibili alleanze future • le relazioni industriali

Le proiezione economiche finanziarie ovvero i numeri attesi Questo aspetto è di particolare importanza perché tocca la fase quantitativa del Business Plan. I potenziali investitori o finanziatori si attendono una previsione dei numeri aziendali sia come ricavi che risultato economico atteso, ma soprattutto vogliono capire come sarà finanziato il piano degli investimenti e quali saranno le risorse finanziarie che i soci promotori dell’iniziativa apporteranno al progetto. Sarà necessario quindi definire il piano degli investimenti, la loro destinazione, Il loro ammortamento al fine di determinare il pay out del medesimo. L’azienda dovrà predisporre anche un Budget analitico dei costi di prodotto al fine di determinare il punto di pareggio nonché un Preventivo del conto economico, con relativa previsione delle entrate e delle uscite e del Fabbisogno finanziario di breve, medio e, lungo periodo con le relative fonti di copertura. In ultima analisi si dovrà dimostrare all’investitore che cosa si offre e che cosa si chiede in cambio. Di seguito si riportano alcuni esempi di tabelle che evidenziano i dati aziendali.

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7.2 La valutazione del merito creditizio alla luce della normativa di Basilea 2

7.2.1 – I l primo accordo di Basilea Nelle politiche del sistema creditizio, nazionale e internazionale, il capitale assume un ruolo centrale. La disponibilità di capitale è fondamentale non solo per far fronte ad eventuali crisi ma anche perché fornisce alle banche un certo livello di flessibilità finanziaria che consente loro di sfruttare al meglio eventuali opportunità di crescita. Un sistema bancario adeguatamente capitalizzato è in grado di fornire credito alle imprese e finanziare opportunità d’investimento che incoraggiano la crescita, l’aumento dell’occupazione e contribuiscono a rendere più solida l’economia. L’importanza del capitale e il ruolo che esso svolge, viene recepito formalmente nel 1974 con la costituzione del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria. Il Comitato opera in seno alla BRI, Banca dei Regolamenti Internazionali, con sede a Basilea, un organismo internazionale che ha lo scopo di promuovere la cooperazione fra le banche centrali, ed altre agenzie equivalenti, per perseguire la stabilità monetaria e finanziaria. Il Comitato è composto dai rappresentanti delle Autorità di Vigilanza dei paesi del G10 (Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Stati Uniti, Svezia e Svizzera).E’ un organismo che non possiede alcuna autorità sovranazionale e le sue conclusioni non hanno forza legale; le raccomandazioni sono formulate nell’aspettativa che le singole autorità nazionali redigano disposizioni operative che tengano conto delle realtà dei singoli stati. Nel luglio del 1988, dopo un processo di consultazione che ha interessato anche le Autorità di Vigilanza dei paesi non appartenenti al G10, il Comitato di Basilea ha proposto l’adozione di un sistema di requisiti minimi di capitale uniformi per le banche comunemente noto come “Accordo di Basilea sul capitale”. Prima della ratifica dell’Accordo del 1988, effettuata da circa 150 paesi, ogni Stato regolava l’adeguatezza del capitale del sistema bancario secondo criteri propri. Negli Stati Uniti alle banche veniva richiesto di finanziare almeno il 5% delle loro attività (escluse le attività fuori bilancio), tralasciando del tutto il rischio; in Francia e nel Regno Unito, dalla fine degli anni 70, venivano introdotti dei sistemi di requisiti patrimoniali con la previsione di esplicite ponderazioni di rischio per le attività bancarie. Anche in Italia erano stati introdotti dal 1987 (delibera del CICR del 23 dicembre 1986) dei coefficienti patrimoniali correlati al rischio. I sistemi di regolamentazione adottati dai vari paesi presentavano comunque sostanziali differenze; queste creavano condizioni di disparità, in termini di concorrenza, tra i sistemi stessi soprattutto a causa del verificarsi, nel corso degli anni 80, di una crescente competizione internazionale fra le banche. L’Accordo di Basilea del 1988, per la prima volta ha stabilito delle regole precise sui requisiti di capitale, che “legano” gli stessi ai rischi creditizi delle banche. Gli obiettivi perseguiti erano principalmente due:

rafforzare la solidità e solvibilità del sistema bancario internazionale attraverso l’introduzione di requisiti minimi di capitale correlati al rischio;

ridurre le differenze competitive fra le banche attive a livello internazionale attraverso l’introduzione di un “approccio standard”.

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Entrambi gli obiettivi perseguivano un'unica finalità: ridurre il verificarsi di crisi bancarie senza minare la concorrenza internazionale all’interno dell’industria bancaria. 7.2.2 I requisiti di capitale Il Comitato ha strutturato i requisiti di capitale attraverso la definizione di tre elementi: 1. Il Capitale di vigilanza: è costituito dalle poste destinate a “coprire” la banca

nell’eventualità’ di perdite. Il capitale di vigilanza viene diviso in due blocchi denominati TIER 1 (patrimonio di base) e TIER 2 (patrimonio supplementare). Il TIER 1 comprende il Capitale Sociale, Utili non distribuiti e Riserve palesi mentre il TIER 2, che non può superare il 50% del TIER 1 (percentuale portata al 100% nelle successive revisioni dell’Accordo), è composto dalle Riserve occulte, dal Debito subordinato, dai Fondi Rischi e dagli strumenti ibridi di capitale e di debito.

2. Il Rischio di Credito: rischio di inadempienza della controparte agli obblighi contrattuali. Il rischio delle varie esposizioni creditizie, sia quelle in bilancio che quelle fuori bilancio, viene quantificato in base a determinate ponderazioni: 0% per le attività considerate a rischio nullo; 20% per le attività a rischio minimo; 50% per le attività a medio rischio e 100% per quelle a più alto rischio.

Tabella 1 – Le ponderazioni di rischio dell’Accordo di Basilea del 1988 Ponderazioni di rischio

Attività“in bilancio” Attività “fuori bilancio”

0 % Contante e valori assimilati, crediti vs. Banche centrali paesi OCSE; titoli di Stato emessi da governi paesi OCSE

Impegni analoghi all’erogazione di credito con scadenza < 1 anno

20 %

Crediti vs. Banche multilaterali di sviluppo o garantiti da tali istituzioni o da titoli emessi dalle medesime; titoli emessi da enti pubblici USA

Impegni di firma legati ad operazioni commerciali (crediti documentari con garanzia reale)

50 %

Mutui integralmente assistiti da garanzia ipotecaria su immobili residenziali occupati dal mutuatario o locati

Facilitazioni in appoggio all’emissione di titoli; altri impegni all’erogazione di credito con scadenza > 1 anno

100 %

Crediti vs. imprese private; partecipazioni in imprese private, crediti vs. Banche e governi di paesi non OCSE

Sostituti diretti del credito (fideiussioni e accettazioni); cessioni di attività pro solvendo con rischio di credito a carico della banca

3. Il rapporto minimo tra il capitale e il rischio: l’accordo prevede che le Banche detengano

capitale in misura pari almeno all’8% delle attività ponderate per il rischio. BANK’S CAPITAL RATIO = TIER 1 + TIER 2 / A* = 8 %

Esempio: su un prestito a PMI di 500 Euro si applicherà una ponderazione del 100% (vedi tabella 1) quindi il capitale che la Banca deve detenere deve essere pari almeno a 40 Euro (40/500 = 8 %); in caso di Mutuo dello stesso importo a soggetto privato garantito da ipoteca

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su immobile residenziale si applicherà un coefficiente di ponderazione del 50% (vedi tabella 1) quindi A* sarà uguale a 250 (500 Euro x 50 %) e il capitale minimo da detenere sarà pari ad almeno 20 Euro (20/250 = 8%). 7.2.3 Osservazioni e critiche I requisiti di capitale previsti dall’accordo di Basilea del 1988 sono stati oggetto di critiche in quanto sin dall’origine e’ emerso che le indicazioni contenute non riflettono il rischio sottostante. In particolare e’ stato sostenuto che: a) la diversità del merito di credito delle controparti, all’interno delle varie categorie, non

era considerata adeguatamente attribuendosi un’eguale ponderazione a banche, imprese e stati sovrani con diversa rischiosità;

b) la scadenza dei crediti non era considerata un fattore di rischio mettendo sullo stesso piano prestiti a breve, medio e lungo termine;

c) il principio di diversificazione del portafoglio era del tutto trascurato; d) non era previsto un adeguato incentivo all’utilizzo di tecniche di mitigazione del rischio

quali, ad esempio, garanzie reali, garanzie personali, credit derivatives e compensazioni di attività “in bilancio”;

e) nella determinazione di A* venivano presi in considerazione esclusivamente i rischi di credito escludendo sia i rischi di mercato che i rischi operativi.

L’evoluzione delle gestioni bancarie negli ultimi anni e, in particolare, dei rischi di credito (si pensi ad esempio ai credit derivatives e alle complesse operazioni di securitisation) che le banche fronteggiano ha indotto il Comitato di Basilea a rivedere l’accordo originario. Attraverso numerose consultazioni si e’ giunti, nel gennaio 2001, alla pubblicazione del “Nuovo accordo di Basilea sul capitale” comunemente definito “BASILEA 2”; con l’attuazione che è partita da 1/1/2008.

7.3 Le regole di Basile 2 L’accordo del 1988 offriva sostanzialmente una sola opzione per misurare l’ammontare di capitale appropriato per le banche, basata su coefficienti fissi. Il Nuovo Accordo presenta invece tre approcci differenti, con diversi livelli di complessità metodologica, sia per la misurazione dei rischi di credito, sia per la misurazione dei rischi operativi. L’impianto è quindi più complesso, ma consente alle banche di utilizzare metodologie di misurazione più sensibili ai rischi effettivamente sostenuti. Gli approcci delineati hanno in particolare due finalità specifiche. La prima e’ quella di saper cogliere nel modo più ampio possibile i rischi dell’attività’ bancaria attivando un sistema di protezione più sensibile alla loro effettiva portata ed eliminando così uno dei principali inconvenienti dell’Accordo del 1988. La seconda e’ quella di mantenere l’attuale livello di capitale regolamentare a livello di Sistema e, andando a differenziare tra le banche, premiare quelle con i portafogli di migliore qualità e penalizzare le altre. Basilea 2 si articola in tre “pilastri” che congiuntamente dovrebbero contribuire alla sicurezza e alla stabilità dei sistemi finanziari: Primo pilastro: requisiti minimi di capitale;

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Secondo pilastro: processo di revisione e controllo prudenziale da parte del regolatore nazionale; Terzo pilastro: disciplina di mercato. Il primo pilastro stabilisce i requisiti minimi di capitale, mantenendo sia la definizione dell’accordo del 1988 di capitale (capitale di base e capitale accessorio – Tier 1 e Tier 2) sia il requisito minimo dell’8% tra capitale ed attivo ponderato per il rischio.

Patrimonio di Vigilanza __________________________ ≥ 8% Attività Ponderate per il Rischio

La novità sostanziale riguarda i miglioramenti nella misurazione dell’attivo a rischio, ossia il denominatore del rapporto. I metodi per la misurazione del rischio di credito sono più elaborati e viene introdotta per la prima volta una misura dei rischi operativi (rischi di perdite dirette o indirette risultanti dall’inadeguatezza o dalla disfunzione di procedure, risorse umane e sistemi interni, oppure da eventi di origine esterna). I rischi di mercato (rischio tasso di interesse e rischio azionario nei portafogli di negoziazione, rischio valutario e rischio sulle posizioni in merci della banca) invece erano già stati presi in esame in occasione delle modifiche apportate nel 1996. Il rischio di tasso di interesse sul banking book viene approfondito nel secondo pilastro. Il Comitato ha formulato le seguenti ipotesi sul peso percentuale dei rischi nel requisito patrimoniale previsto dal nuovo accordo:

Rischio di Credito 72%

Rischio Operativo 20%

Rischio di Mercato 8%. Il secondo pilastro è teso a verificare che ogni banca abbia processi interni validi per valutare l’adeguatezza del proprio capitale, basati su una valutazione comprensiva dei propri rischi. In questo pilastro e’ compresa la validazione, da parte del supervisore, dei sistemi interni di rating e la valutazione di strumenti, strutture organizzative e processi gestionali finalizzati all’utilizzo dei sistemi di misurazione e gestione del rischio di credito. Il controllo prudenziale si fonda sull’applicazione di quattro principi chiave: a) le banche devono disporre di un procedimento per determinare l’adeguatezza

patrimoniale complessiva in rapporto al proprio profilo di rischio e di una strategia per il mantenimento dei livelli patrimoniali;

b) le autorità di vigilanza devono verificare e valutare il procedimento interno di determinazione dell’adeguatezza patrimoniale delle banche e la connessa strategia, nonché la loro capacità di monitorare e assicurare la conformità con i requisiti patrimoniali obbligatori. Le autorità di vigilanza devono adottare appropriate misure prudenziali qualora non siano soddisfatte dei risultati di tale processo;

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c) le autorità di vigilanza devono attendersi che le banche operino con una dotazione patrimoniale superiore ai coefficienti minimi obbligatori e devono avere la facoltà di richiedere alle banche di detenere un patrimonio superiore al minimo regolamentare;

d) le autorità di vigilanza devono intervenire preventivamente per evitare che il patrimonio di una banca scenda al di sotto dei livelli compatibili con il suo profilo di rischio e devono esigere pronte misure correttive se la dotazione di patrimonio non è mantenuta o ripristinata.

Il terzo pilastro punta ad un’accresciuta disciplina di mercato, attraverso una maggiore trasparenza e comunicazione da parte delle banche per quanto riguarda il proprio profilo di rischio e la relativa adeguatezza del capitale detenuto, nonché gli strumenti, le metodologie e i processi implementati.

7.3 L’applicazione di Basilea 2 e i riflessi sull’attività creditizia 7.3.1 La valutazione del merito creditizio :il rating L’applicazione da partire dal 1/1/2008 ha portato le banche ad una riorganizzazione completa dell’attività di concessione del credito e del suo controllo. Lo snodo fondamentale è quello di misurare il merito di credito con un voto, attraverso un metodo di calcolo "Rating" che valuta l'impresa e la sua attitudine a generare nel tempo le risorse necessarie al pagamento dei debiti contratti per l'acquisizione dei fattori produttivi, quindi del loro specifico livello di solvibilità. Può essere valido per un solo anno, per l’intera durata dell’operazione o per quella del rapporto con l’azienda, per permettere sia una diversa attribuzione del rating iniziale, sia un mutamento nel tempo dello stesso. Il Comitato ha consentito alle banche la scelta tra due metodologie per il calcolo dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito:

l’Approccio Standard

l’Approccio dei Rating Interni (IRB), suddiviso in IRB base o Foundation e IRB avanzato o Advanced.

La novità dell’Approccio Standard consiste nell'introduzione di diversi livelli di ponderazione nell’ambito della stessa categoria di soggetti mentre nell’Accordo del 1988, per le imprese, per esempio,era previsto un solo coefficiente di ponderazione di 100%. Le diverse ponderazioni previste dal Comitato all'interno di ogni categoria corrispondono ai diversi livelli di rischio di credito espresso in termini di rating, dalle agenzie di rating specializzate. Le banche che adottano questo metodo, quindi, in presenza di un soggetto dotato di rating esterno potranno immediatamente individuare il coefficiente di ponderazione corrispondente ad un determinato livello di rischio. In Italia non è stata adottata . Ha trovato la sua piena applicazione L’Approccio dei Rating Interni (IRB), che è fondato sullo sviluppo, da parte di ogni banca, di un sistema interno di rating a condizione di possedere alcuni requisiti minimi validati dalle Autorità di Vigilanza nazionali, nel nostro caso la Banca d’Italia. I coefficienti di ponderazione, pertanto, non sono rigidi come nel metodo standard ma vengono calcolati attraverso specifiche funzioni di ponderazione, che, oltre ad essere ripartiti

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in relazione a determinate categorie a tener conto delle diverse caratteristiche delle controparti e della tipologia di attività, dovranno anche essere basati su una molteplicità di parametri quali:

PD- la probabilità di insolvenza della controparte (Probability of Default ), cioè la probabilità che un soggetto diventi insolvente: dipende essenzialmente dalle condizioni economico-finanziarie dell’impresa e del relativo settore;

LGD - il tasso di perdita in caso di insolvenza (Loss Given Default ), cioè la perdita definitiva del credito rispetto all’ammontare erogato, che dipende in misura rilevante dalle garanzie;

EAD- l’esposizione economica al momento del default (Exposure at default );

M- la vita residua dell’operazione (Maturity ) che è di due anni e mezzo nella versione base, mentre nella versione avanzata la maturità viene calcolata sulla singola esposizione;

G- la mitigazione del rischio (Guaranty ), in presenza di garanzie; La nuova normativa considera anche un altro elemento di rischio: il grado di diversificazione del portafoglio impieghi di una banca Granularity), secondo cui le banche, definito un portafoglio di riferimento, devono valutare se il proprio portafoglio presenta un grado di diversificazione migliore o peggiore rispetto al benchmark. Nel caso sia migliore sono previsti “sconti” sui requisiti da applicare alla somma degli attivi del portafoglio bancario; nel caso sia peggiore sono previste delle penalità. L’IRB Base prevede, come regola generale, che le banche stimino internamente solo la probabilità di insolvenza (PD) mentre i parametri relativi alle altre variabili vengono forniti dall’Autorità di Vigilanza (Banca d’Italia); nell’IRB Avanzato invece la stima di tutte le variabili di rischio è lasciata alla banca a condizione che vengano rispettati gli specifici requisiti di cui sopra. Le banche di maggiori dimensioni hanno adottato propri modelli interni (validati da Banca d’Italia) , mentre le banche più piccole hanno utilizzato il modello base. Entrambi i modelli, attualmente messi a punto da parte delle Banche, prevedono la determinazione del valore del parametro PD come risultante di una valutazione effettuata su tre componenti fondamentali: 1 - la “Componente quantitativa” riguarda essenzialmente l’esame del bilancio, effettuato tramite le tecniche degli indici (ratios) e dei flussi. I ratios di bilancio infatti forniscono indicazioni segnaletiche di sintesi sulle condizioni patrimoniali (indicatori di solidità), economiche (indicatori di redditività) e finanziarie (indicatori di liquidità) dell’impresa. L’ esame dei flussi finanziari ( flussi finanziari globali, di capitale netto e di cassa)è pertanto finalizzato a verificare il fabbisogno finanziario dell’impresa. Vengono altresì effettuate analisi quantitative di tipo previsionale per quantificare la capacità di rimborso dell’impresa. In tal caso, dal punto di vista tecnico, gli strumenti utilizzati sono i bilanci prospettici, attraverso i quali si cerca di costruire, a una o più date future, il conto economico e lo stato patrimoniale e, quindi, i redditi previsti ed i fabbisogni finanziari futuri.

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Tabella di riepilogo area indagine quantitativa Basilea 2 Struttura finanziaria Valutazione del grado di coinvolgimento dei vari

portatori di capitale nel finanziamento dell’impresa e degli equilibri tra la struttura del passivo e dell’attivo

PN / (debiti totali – liquidità)

PN/attivo

PN/(debiti finanziari – liquidità)

PN/attivo immobilizzato

Capitali permanenti/

attivo immobilizzato

Gestione del circolante Valutazione degli equilibri fra le masse a breve termine dello SP e delle caratteristiche delle singole componenti del circolante

Liquidità immediata

Liquidità corrente

Durata media scorte

Tempi medi di incasso

Tempi medi di pagamento

Crescita Analisi dell’andamento del fatturato e del risultato della gestione caratteristica, considerando anche l’economia in generale e il settore in particolare

Var.% ricavi vendita

Var.% valore produzione

% valore aggiunto

% EBIDTA (Risultato op.lordo)

Capacità di rimborso del debito

Analisi della capacità dell’impresa di sostenere il peso del debito finanziario e di supportare la propria gestione finanziaria in condizioni di equilibrio.

Cash flow /(debiti finanziari-liquidità)

Oneri finanziari/Ebidta

Capacità reddituali Analisi della capacità dell’impresa di sostenere il peso del debito finanziario e di supportare la propria gestione finanziaria in condizioni di equilibrio

Ebidta /ricavi vendite

Cash flow/ ricavi vednite

Cash flow / attivo

2 - la “Componente comportamentale” basata su dati storici relativi al rapporto Banca-Impresa. Per cui riguarderanno: il rapporto con la banca e il sistema bancario (le movimentazioni del conto corrente, i beneficiari degli assegni emessi, i traenti degli assegni accreditati, le firme, la natura e la regolarità, le scadenze originarie, i rinnovi e i richiami del portafoglio cambiario, le eventuali segnalazioni della Centrale dei Rischi sulla posizione globale di rischio). 3 - la “Componente qualitativa” basata sulla raccolta di informazioni di tipo qualitativo sull’impresa; riguardanti, da un lato, la struttura e l’andamento del settore in cui opera l’impresa e, dall’altro, le caratteristiche generali e le politiche di gestione dell’impresa stessa con particolare riferimento all’andamento dei rapporti con il sistema bancario, nonché la fondatezza dei suoi programmi futuri. Per cui riguarderanno: - la situazione generale del settore in rapporto allo stato della congiuntura economica; - la struttura del settore (tipologia dei prodotti, tecnologia e sistemi di produzione, capacità produttiva installata e utilizzata, i volumi e i costi di produzione, il numero e le dimensioni delle imprese, il grado di concentrazione, il fatturato e le quote di mercato, i prezzi di vendita, i canali di distribuzione, le politiche di marketing e le previsioni sull’andamento del settore); - le caratteristiche generali e le politiche di gestione dell’impresa (la struttura organizzativa e la capacità dei dirigenti, le politiche di produzione, di approvvigionamento e la gestione delle scorte, le politiche di vendita, la posizione dell’impresa nei confronti della concorrenza, la

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valutazione della fondatezza dei futuri programmi e le previsioni sull’andamento delle principali quantità economiche aziendali). Le informazioni rappresentate dalla componente qualitativa sono quelle che un corretto Business Plan dovrebbe fornire. Le principali trasformazioni che l’adozione da parte delle banche del sistema di rating comporterà nel modo di fare impresa, riguarderanno la funzione finanziaria e la comunicazione. Il rating quindi si può definire come il risultato di un articolato processo di analisi delle tre componenti sopra esposte, per cui l’imprenditore sarà chiamato a fornire maggiori informazioni sulla propria condizione operativa, economica e finanziaria. Peseranno pertanto i risultati ottenuti, le scelte strategiche attuate, l’attendibilità dei dati di bilancio, la frequenza e la precisione delle informazioni finanziarie ed economiche a consuntivo e la capacità di elaborare informazioni finanziarie ed economiche a preventivo. La comunicazione passerà sempre più attraverso informazioni di natura contabile ed extracontabile. Cambierà il rapporto banca-impresa, che rappresenterà un’opportunità per introdurre dei cambiamenti organizzativi, sul piano interno e ridisegnerà le reciproche modalità di relazione, su quello esterno. Ma quali sono le misure che le PMI dovrebbero adottare in funzione della valutazione di rating da parte delle banche (processo peraltro in corso e in fase di test): 1 - aumentare la capitalizzazione, potenziando la gestione strategica e finanziaria. Qualsiasi sistema di rating, infatti, prende in esame i dati di bilancio, i mezzi propri utilizzati dall’impresa e il livello di indebitamento. Un buon livello di capitalizzazione, quindi, è la prima condizione da soddisfare per aspirare a un buon giudizio di rating. Per capitalizzazione s’intende il progressivo incremento del patrimonio netto aziendale (o gestione del capitale proprio o mezzi propri) rispetto al totale delle attività/passività, mediante il rafforzamento del capitale sociale, delle riserve di utili, delle riserve di capitale e di rivalutazione. Il patrimonio di un’impresa nasce con l’apporto del capitale sociale, ma dovrebbe poi crescere attraverso l’accumulo degli utili aziendali non distribuiti. Se ciò non dovesse accadere, non è dovuto sempre all’incapacità dell’imprenditore di generare redditi, quanto piuttosto alla sottostima dei componenti positivi del reddito stesso. .Anche se il processo di capitalizzazione in Basilea 2 sostanzialmente riguarda le banche, queste richiederanno, di conseguenza, alle imprese di migliorare il rapporto tra debito e patrimonio. Con la “riforma del diritto societario” il legislatore italiano ha voluto dare una risposta all’esigenza di patrimonializzazione delle Pmi italiane, introducendo delle novità in materia di conferimenti e di finanziamenti soci volte a favorire questa esigenza. Il rafforzamento della struttura finanziaria, invece, consente all’impresa di utilizzare correttamente le fonti finanziarie rispetto ai fabbisogni finanziari (cioè finanziare gli investimenti con prestiti a m/l termine) e ottenere una gestione economica equilibrata, cioè la capacità di remunerare adeguatamente le fonti di finanziamento 2 - migliorare l’organizzazione interna, migliorando, per esempio, il sistema di controllo interno che può garantire una migliore affidabilità dei dati trasmessi all’esterno; 3 - valorizzare le potenzialità positive dell’impresa, come ad esempio, la qualità, il design, elementi che l’impresa deve trasmettere al suo principale referente, la banca appunto. 4 - imparare a comunicare in modo continuo, efficiente e professionale con il sistema finanziario.

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b) La funzione finanziaria e la comunicazione Le PMI italiane sono caratterizzate da un assetto proprietario a forte valenza familiare, con riflessi non secondari sul piano del governo dell’impresa. Per quanto riguarda in particolare la finanza d’impresa, le PMI evidenziano spesso delle carenze nella funzione finanziaria, funzione che non viene percepita dall’imprenditore come strategica, al pari di altre funzioni, come per esempio la funzione produzione o la funzione commerciale. Sul piano operativo, l’assenza di un direttore finanziario distinto dal direttore amministrativo, si potrebbe riflettere in una sostanziale scarsità di strumenti di previsione e di pianificazione, sia di breve che di medio- lungo termine, e nella mancanza di adeguate metodologie di analisi e valutazioni a supporto delle decisioni di investimento e finanziamento. L’adozione da parte delle banche di sistemi trasparenti fondati su una base oggettiva di analisi, capaci di discriminare tra debitori di migliore qualità e debitori con una solvibilità peggiore, dovrebbe indurre le PMI a prestare maggiore attenzione alla funzione finanza, spingendole di fatto a una più attenta auto-analisi e ad attuare una pianificazione strategica e finanziaria. Le PMI in pratica, si dovrebbero rendere conto che hanno la possibilità di affrontare la prova dei rating in modo pro-attivo e non di subirlo passivamente, che hanno, anzi, la possibilità di far leva su questo per accedere al credito a condizioni più favorevoli. Serve la consapevolezza che fare impresa non significa soltanto attuare processi produttivi, ma che bisogna anche saperli organizzare in maniera efficiente, valutando in via preventiva i fabbisogni finanziari che essi generano, individuando le opportune fonti di finanziamento da utilizzare, garantendo nel contempo una congrua remunerazione per i conferenti capitali. Sul piano interno, le PMI dovrebbero provvedere al rafforzamento della funzione strategica e finanziaria attraverso l’implementazione di un sistema informativo aziendale in grado di gestire in modo efficace le informazioni economico-finanziarie che si producono in azienda nelle diverse aree funzionali. La cultura del rating avvantaggerà di fatto quelle imprese che sapranno individuare, analizzare e valutare i propri fattori di rischio, riscontrabili nel settore di appartenenza e nell’ambiente competitivo di riferimento, e a determinare i propri punti di forza e le opportunità da far valere o cogliere, nonché i punti di debolezza e le minacce da affrontare. È pertanto indispensabile introdurre in azienda l’uso di modelli di pianificazione sia di breve che di lungo termine, basati sull’attività di business planning e di simulazione. A livello finanziario, invece, è opportuno integrare un’attività di budgeting di breve periodo alla formulazione di piani previsionali a medio termine e a un sistema di reporting efficace. La pianificazione nel tempo della struttura finanziaria non può, tuttavia, prescindere dallo scenario di mercato e dalle strategie competitive che si intendono adottare. Per quanto riguarda la comunicazione, il sistema di regole delineato dal primo pilastro del Nuovo Accordo evidenzia l’importanza, sul piano relazionale, di una comunicazione di qualità tra le banche e le PMI. Quest’ultime saranno chiamate a cambiare il loro approccio culturale e strutturale nei confronti delle banche e a fornire loro informazioni attendibili in modo continuo, veloce e comprensibile, pena una maggiore percezione del rischio da parte delle banche e, di conseguenza, maggiore difficoltà di accesso al credito. La certificazione del bilancio potrebbe costituire un valido supporto per una crescita qualitativa globale dell’impresa, favorendo allo stesso tempo un rapporto banca-impresa più trasparente e fiduciario e un rating migliore all’impresa. Le PMI dovranno dimostrare al sistema finanziario la validità dei propri progetti, abbandonando, innanzitutto, le attuali politiche di bilancio tradizionalmente volte a

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minimizzare l’imposizione fiscale, causa spesso di scarsa trasparenza dei bilanci attuali. In secondo luogo, l’Accordo intende spingere le imprese a ridurre il ricorso esclusivo al capitale di terzi (indice di sottocapitalizzazione dell’impresa), finalizzato spesso a coprire i fabbisogni dell’impresa e i prelevamenti dei soci, qualora i margini generati dalla gestione non siano adeguati a remunerare e a rimborsare il capitale di terzi. Siccome Basilea 2 impone alle banche la copertura del rischio attraverso mezzi propri, è evidente che le banche, a loro volta, chiederanno alle imprese una maggior presenza di capitale proprio (capitale di rischio) e minore indebitamento finanziario. L’efficienza delle scelte relative alla struttura patrimoniale e finanziaria, nonché la valutazione della capacità di crescita, diventano presupposti fondamentali per l’equilibrata gestione dell’impresa. 1-penalizzazione del finanziamento alle piccole e medie imprese (PMI) in conseguenza dei sistemi di rating interni adottati dalle banche. Le piccole e medie imprese, normalmente dotate di minor capitale di rischio, potrebbero quindi andare incontro a una contrazione dei prestiti all'investimento concessi. Così, gli imprenditori delle PMI a causa di minori garanzie creditizie, vedrebbero peggiorare le condizioni loro praticate con un effetto di compressione della loro capacità di indebitamento e di revisione delle opportunità di indebitamento. In pratica, le banche sarebbero indotte a ridurre il credito destinati alle PMI e, al contempo, ad aumentare i tassi di interesse. 2. problematiche legate alla prociclicità finanziaria: nei periodi di rallentamento economico, l’Accordo avrebbe l’effetto di indurre le banche a ridurre gli impieghi, causa il crescere del rischio, con la potenziale conseguenza di inasprire la crisi stessa; 3. possibile sostenimento di costi aggiuntivi da parte delle PMI nel rapporto con gli intermediari finanziari; 4. possibile spersonalizzazione del rapporto banca-impresa, a causa di un utilizzo maggiore della tecnologia e delle metodologie quantitative. A questi potenziali rischi si contrappongono opportunità, al contrario sono state ipotizzate anche delle opportunità per le PMI quali : a. il miglioramento allocativo delle risorse finanziarie da parte del sistema bancario, evitando il razionamento del credito; b. la significativa riduzione delle distorsione di prezzo (mispricing) tra le PMI “meritevoli” e quelle “non meritevoli”, invece di un aumento generalizzato del costo del credito, per cui il rating diverrà variabile strategica per regolare l’accesso al credito e il relativo costo per le PMI; c. il possibile rafforzamento nel rapporto Banca-Impresa che sarà maggiormente orientato alla trasparenza reciproca. Tale rafforzamento porterà benefici nel medio -lungo termine, determinato dalla accresciuta disponibilità di informazioni; d. la possibilità di individuare, all’interno del macro-segmento PMI, dei micro segmenti sulla base di diverse formule imprenditoriale ed esigenze finanziarie. Un ‘altra possibile variazione potrebbe riguardare Il ruolo dei Confidi

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Il nuovo accordo di Basilea 2 ha suscitato preoccupazioni sulle possibili conseguenze sul finanziamento delle PMI e ha portato in primo piano il problema della validità delle garanzie utilizzabili ai fini della mitigazione del rischio di credito, cioè delle tecniche per ridurre i rischi di credito a cui incorrono le banche. Di conseguenza si pone l’accento anche sul ruolo dei Confidi. Basilea 2, infatti, prevede una serie di criteri e di condizioni specifiche per il riconoscimento delle garanzie ai fini della mitigazione del rischio di credito, che potrebbero portare ad escludere le garanzie di tipo consortile. Mentre in passato, secondo i canoni di Basilea 1 ogni banca godeva di ampia discrezionalità nel decidere il valore da attribuire alla garanzia conferita da un Confidi, nel nuovo contesto questa garanzia ha valore solo nella misura in cui permette di migliorare il rating della controparte interessata. E per determinare questo miglioramento del rating dell’impresa garantita il Confidi deve possedere esso stesso un rating, esterno o interno, più elevato di quello dell’impresa assistita e riuscire a trasmettere il suo rating, più elevato, a beneficio dell’impresa assistita nel rapporto debitore di quest’ultima con la banca. Le garanzie riconosciute utili ai fini della mitigazione dell’assorbimento del capitale sono:

le garanzie reali (financial e physical collateral) che hanno la funzione di ridurre la perdita in caso di insolvenza (Loss Given Default – LGD)

le garanzie personali (rilasciate da persone fisiche o giuridiche);

i derivati di credito, che consentono la sostituzione della probabilità di insolvenza (Probability of Default- PD) del soggetto garantito con quella del garante o per la riduzione della LGD.

Come si vede, tra gli strumenti di mitigazione non vengono esplicitamente riconosciute le garanzie collettive dei Confidi. Tradizionalmente hanno operato per rendere più agevole e meno oneroso l’accesso al credito da parte delle PMI ed hanno giocato un ruolo importante per lo sviluppo di determinate aree geografiche e/o per l’attenuazione di problemi concernenti specifiche fasce di prenditori, sebbene attraverso un’offerta largamente diversificata. Non a caso la loro funzione si è andata rafforzando nei periodi in cui determinati fattori esogeni (crisi congiunturale, recessione economica, inflazione, normative con effetti restrittivi sul credito) hanno reso maggiore l’onerosità dell’indebitamento o del razionamento del credito nei confronti di prenditori marginali. A titolo esemplificativo si ricorda che i Confidi prestano garanzie alle banche convenzionate sui finanziamenti che le banche erogano agli associati dei Confidi. A garanzia dell’assolvimento dell’impegno fideiussorio di solito limitato dal 30% al 50% del rischio dei credito i Confidi costituiscono:

i fondi rischi monetari, il fondo collettivo di garanzia, è costituito dai contributi versati dagli associati, sia fissi che in percentuale, alla garanzia ottenuta. Tale fondo viene utilizzato dai Confidi per far fronte alle richieste effettuate dalle banche finanziatrici circa la copertura totale o parziale delle perdite originate da insolvenza degli associati. Secondo Basilea 2 tale forma di garanzia non soddisfa i requisiti per una deduzione delle ponderazioni, in quanto tale garanzia ha solo la capacità di ridurre le perdite sopportate in caso di insolvenza dell’affidato. Secondo le attuali convenzioni tra banche e Confidi, è previsto, per esempio, che il fondo monetario copra il 50% delle perdite generate dai prestiti garantiti, non producendo di fatto alcuno sconto. Anche secondo

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Basilea 2 le garanzie dei Confidi non sono direttamente inquadrabili come garanzie reali o personali, in quanto non possiedono i requisiti oggettivi (minimi e operativi) e i requisiti soggettivi del garante caratteristiche che le garanzie dei Confidi dovrebbero rispettare per poter essere riconosciute valide per l’attenuazione della copertura patrimoniale dell’esposizione al rischio di credito delle banche. La loro capacità di mitigazione varia anche in relazione ai metodi di valutazione del rischio che saranno adottati dalla banca: con il metodo standard (standard approach) o l’Approccio di Base (Foundation) i requisiti previsti sono più restrittivi, mentre con il metodo IRB Avanzato (Advanced) le banche hanno maggiore discrezionalità nell’utilizzo delle garanzie; infatti devono solo dimostrare all’Autorità di Vigilanza la capacità delle garanzie acquisite di attuare un’effettiva mitigazione del rischio di credito, indicando il grado di copertura, gli obblighi e la tempistica del rimborso. Le banche che invece adotteranno l’approccio avanzato (advanced) possono procedere, sulla base di criteri validati dall’organo di vigilanza, ad una stima autonoma di tutte le componenti di rischio e, quindi, anche degli strumenti di garanzia che incidono su tali componenti. Pertanto, gli elementi oggettivi portano ad escludere l’ammissibilità delle garanzie individuali rilasciate dai Confidi, in quanto tali garanzie reali sono prestate a fronte del fondo monetario costituito dal Confidi presso la banca che però è posto a copertura di una pluralità di affidamenti bancari e in base ad una certa percentuale: pertanto gli affidamenti garantiti non risultano singolarmente coperti dal fondo rischi, come invece richiesto dal documento di Basilea. Il timore che tale situazione potesse determinare un ridimensionamento del ruolo tipico dei Confidi ha condotto il legislatore italiano a introdurre nell'ordinamento una completa e organica riforma del settore dei Confidi (L. 326 del 24/11/2003 “Riforma Confidi), che sta già creando le condizioni per un rafforzamento strutturale ed operativo del sistema dei Confidi coerenti con lo scenario normativo e di mercato che si va delineando a seguito dell’emanazione del Nuovo Accordo di Basilea. La legge infatti circoscrive l’ambito di applicazione della materia offrendo la definizione di Confidi sia dal punto di vista soggettivo, che dal punto di vista oggettivo, chiarendo inoltre che l’attività di garanzia collettiva consiste “nell’utilizzazione di risorse provenienti in tutto o in parte dalle imprese consorziate o socie per la prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie volte a favorirne il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario”. Dall’entrata in vigore della legge, i Confidi già costituiti avranno due anni di tempo per adeguare la propria struttura patrimoniale all’insieme dei requisiti dimensionali previsti. Accanto ai Confidi “tradizionali” che continuano ad essere regolati dall’art. 155 del TUB e la cui attività è limitata alla prestazione di garanzie a favore delle PMI aderenti, sono previste due nuove tipologie di Confidi:

gli “intermediari finanziari”

le “banche di garanzia”, che, al raggiungimento di determinate soglie di volume di attività e di patrimonio, sono tenuti ad iscriversi all’elenco speciale degli intermediari finanziari non bancari, che comporterà l’assoggettamento alla vigilanza della Banca d’Italia e la possibilità di diversificare le proprie attività: attività di prestazione di garanzia a favore dei soci, attività finanziarie a favore di soci e di terzi e attività nei confronti del pubblico, sebbene quest’ultima in via residuale. Agli “intermediari di garanzia” inoltre, è stato imposto l’obbligo di dotarsi di un sistema informativo e contabile, di metodi di misurazione e gestione dei rischi e di strutture di controllo interno adeguati al volume ed alla complessità delle attività svolte, permettendo

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loro di produrre importanti risultati in termini di rafforzamento della loro credibilità nei confronti del sistema bancario e le premesse per lo sviluppo di nuovi servizi di tipo informativo da offrire alle banche e alle società di rating interessate alla valutazione delle PMI aderenti. Attualmente molti confidi, anche attraverso operazioni di accorpamento, si sono trasformati in intermediari ex art. 107 e sottoposti alla Vigilanza della Banca d’Italia. Mentre per i Confidi più grandi la trasformazione in banca di garanzia, invece, costituisce il superamento degli ostacoli imposti da Basilea 2, dato che il garante viene a coincidere con la banca, che costituisce uno dei soggetti abilitato alla prestazione di garanzie personali.

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Capitolo 8

L’internazionalizzazione delle imprese e le principali forme di regolamento e finanziamento nel commercio internazionale.

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8. 1 IL COMMERCIO CON L’ESTERO 8.1.1 Esportare o Importare: come fare? Esportare o importare beni e servizi, comporta una serie di problemi di tipo economico, normativo e valutario, a volte semplici ed a volte più complessi. Un piano di esportazione consiste principalmente di due fasi: una fase informativa ed una fase operativa. Per quanto riguarda la fase informativa è innanzitutto necessario compiere una valutazione preliminare delle aree potenzialmente più interessanti per il prodotto da esportare. A tal fine si possono utilizzare per esempio i dati relativi ai flussi commerciali per prodotto e per area geografica disponibile presso l'ISTAT e l'UIC. Nella fase di tipo informativo è essenziale reperire quante più informazioni è possibile in tempi brevi ed a costi accessibili. Per questo motivo, il ruolo dei servizi all’internazionalizzazione per sistemi di imprese, erogati dal mercato privato o da strutture pubbliche o rappresentative di interessi aggregati, è andato fortemente crescendo negli ultimi anni, in connessione e parallelamente con i processi di internazionalizzazione e di mondializzazione dell’economia e con gli sviluppi del processo di integrazione dell’Europa comunitaria. Il problema principale del settore dei servizi all’internazionalizzazione, pur nel contesto della sua crescente rilevanza per i sistemi di impresa, sta ancora oggi nei limiti di visibilità e di definizione. Infatti, esso si colloca molto spesso nel quadro di strutture di servizio più generali, che erogano una molteplicità di servizi, fra i quali, e spesso in misura ancora marginale, quelli all’internazionalizzazione (questo accade ad esempio per le banche o per le società di pubblicità o ancora per la maggior parte degli studi professionali). Le stesse strutture di servizio pubbliche o associative, presentano in molti casi una caratteristica simile, cioè offrono servizi all’internazionalizzazione (e in misura limitata) solo nel contesto di funzioni più generali. Questo fatto rende il settore dei servizi all’internazionalizzazione ancora poco visibile e trasparente. In altre parole, questi servizi, sembrano collocarsi in un mercato per più aspetti “imperfetto” dove domanda ed offerta hanno non poche difficoltà a riconoscersi e quindi ad incontrarsi proficuamente. In particolare, sembra ancora molto debole, un’esplicita domanda di servizi all’internazionalizzione da parte delle PMI. Esse tendono ad esprimere una domanda esplicita, solo se sollecitate da soggetti “visibili” ed “attraenti”. In un contesto, sostanzialmente di mercato ancora in costruzione, il ruolo delle strutture di offerta pubbliche e delle strutture rappresentative di interessi aggregati (associazioni ed anche consorzi di export) appare particolarmente importante e per certi aspetti strategico. Le organizzazioni che offrono un apporto all’internazionalizzazione delle imprese per quanto riguarda l’offerta pubblica sono: le Regioni, i centri esteri delle Camere di commercio, le banche dati (tra queste ricordiamo: ITIS, Mark, IBIS, STEN, NODO) l’Istituto Nazionale per il Commercio con l’estero.

8.2 Analisi di un mercato estero Vediamo ora nel dettaglio come si fa l’analisi di un mercato estero. Per vendere all’estero un prodotto il primo passo che le imprese devono compiere è quello di procedere ad un’attenta analisi dei mercati esteri, al fine di raggiungere due obiettivi principali:

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- individuare nuovi mercati - seguire costantemente i mercati nei quali l’impresa già opera ed individuare

tempestivamente eventuali variazioni della domanda. Poiché inoltre, l’ingresso in un mercato comporta sempre il sostenimento di costi, prima di trovare una forma di penetrazione commerciale all’estero occorre trovare un metodo per selezionare i mercati che hanno una domanda potenziale superiore ad una soglia minima accettabile. Per individuarli bisogna passare attraverso tre fasi: 1. Selezione dei mercati con maggiore potenziale; 2. Analisi “a tavolino”; 3. Analisi in profondità: Rapporto prodotto/mercato. Va poi sottolineato che quando l’impresa è già entrata su un mercato ed ha già sviluppato una certa politica commerciale è comunque necessario continuare a fare analisi molto attente per più ragioni: la domanda cambia costantemente, i concorrenti propongono prodotti nuovi e le prospettive di lungo termine possono cambiare. In questo caso la ricerca si deve limitare non solo a quanto è avvenuto o sta avvenendo, ma si deve spingere a previsioni di breve e medio periodo. E’ necessario quindi predisporre un sistema di analisi dei sintomi che preannunciano i cambiamenti della situazione economica, sociale e politica, occorre seguire costantemente le strategie adottate dalla concorrenza, l’evoluzione dei gusti del consumatore per quanto riguarda i beni di consumo e le esigenze dei potenziali compratori per quanto riguarda i beni strumentali.

8.3 L'attività doganale negli scambi con l'estero L’intervento dello stato negli scambi internazionali di merci è provocato principalmente da due esigenze: la necessità di regolare l’attività commerciale e l’interesse a procurarsi un flusso di entrate tributarie. Tale intervento è attuato attraverso l’azione delle dogane, che costituiscono per tale ragione, gli organi di politica commerciale ed economica della Stato. La loro attività non attiene solo agli aspetti economici e tributari, ma anche ai settori sanitario, fitopatologico, di difesa del patrimonio artistico, di polizia e di statistica. L’attività economica internazionale, che ha assunto un rilievo sempre maggiore negli ultimi anni, è stata regolata ed istituzionalizzata mediante accordi e organizzazioni internazionali. Particolare importanza nel contesto della cooperazione internazionale, ai fini della progressiva liberalizzazione degli scambi commerciali, ha assunto l’attività che si è sviluppata a seguito della conclusione il 30 Ottobre 1947 a Ginevra, dell’accordo generale sulle tariffe e sul commercio (Gatt). Sull'attività doganale hanno avuto un forte impatto la creazione della Ceca nel 1951 e della Cee e Ceca nel 1957. Ai sensi dell’articolo XXIV del Gatt, nell’ “unione doganale” si ha la sostituzione di un solo territorio doganale a due o più territori doganali in modo che:

dazi doganali ed altre norme restrittive degli scambi commerciali siano eliminati nel complesso dei territori costitutivi dell’unione;

dazi doganali identici, e altre norme pure identiche, siano applicati da ciascuno dei membri dell’unione al commercio con i territori che non fanno parte della stessa.

Gli Stati dell’unione doganale, a differenza di quelli della “zona di libero scambio”, applicano nei confronti degli Stati terzi, una tariffa doganale e una politica commerciale comune. Vige

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inoltre al suo interno il principio della “libera pratica” e non il principio dell’origine. Questo significa che possono circolare liberamente all’interno dell’unione sia i prodotti originari degli Stati membri, sia quelli provenienti da Paesi terzi per i quali siano state adempiute in uno degli Stati membri le formalità di importazione e riscossi i dazi doganali e che non abbiano beneficiato di un ristorno totale o parziale dei dazi. In particolare nella Comunità europea, la libera circolazione delle merci è consentita alle merci originarie della comunità stessa ed alle merci terze per le quali sono stati assolti, in un paese membro i dazi previsti dalla tariffa esterna comune, e le altre formalità previste all’importazione per le merci extracomunitarie, venendo così a trovarsi in una posizione simile a quella delle merci comunitarie, che è definita di libera pratica dal trattato. 8.4 accordi con gli Stati terzi Essi vanno suddivisi in base alla reciprocità o meno del trattamento preferenziale. Si avranno quindi: accordi basati sull’istituzione progressiva di un’unione doganale o di una zona di libero scambio ai sensi delle regole del Gatt; accordi che stabiliscono trattamenti preferenziali da parte della Comunità, senza obbligo di reciprocità, a taluni Paesi a titolo di “aiuti allo sviluppo”, accettati dal Gatt come compatibili con le regole dell’accordo medesimo. Con alcuni Paesi non membri esistono particolari accordi che facilitano il commercio internazionale. Si parla in questi casi di : Accordi preferenziali reciproci Esistono accordi i tal senso con Turchia, Cipro e Malta, i paese efta , i paesi ex Est non ancora entrati a parte dell’Europa a 25 e Israele. Accordi preferenziali non reciproci Si tratta di accordi destinati ad agevolare gli scambi di alcuni prodotti, in particolare sono rivolti ai paesi in area Maghreb -Machrak, a Bosnia- Erzegovina, Croazia, Slovenia, Montenegro, Albania e Macedonia e agli stati africani cosiddetti“ Stati Acp“ Trattamenti preferenziali concessi in via unilaterale Paesi e territori d’oltremare Gli scambi commerciali sono regolati facendo riferimento alla regolamentazione stabilita per i Paesi Acp , si applica ai paesi area (Ptom) e in via di sviluppo (Pvs) La Comunità europea accorda a tali Paesi, in via unilaterale, concessioni tariffarie che vanno sotto il nome di “preferenze tariffarie generalizzate”. Queste sono rinnovate di anno in anno e sono concesse con delle limitazioni: per alcuni prodotti agricoli: esenzione dai dazi per le importazioni dai Pvs meno

progrediti; riduzione parziale dei dazi per le importazioni dagli altri Pvs; per i prodotti tessili: esenzione dai dazi nell’ambito di massimali o di contingenti nel

rispetto dell’accordo Multifibre; per prodotti semilavorati e finiti del settore industriale: esenzione dai dazi nell’ambito di

contingenti per ogni singolo Paese fornito e di massimali (oltre i quali i dazi possono essere reintrodotti).

Non possono però essere imputate le importazioni che beneficiano già di esenzioni daziarie ai sensi di un altro regime preferenziale concesso dalla Comunità.

8.5 Applicazione delle tariffe doganali

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La tariffa doganale rappresenta lo strumento primario con il quale un Paese regola, nell’ambito della propria politica economica, gli scambi commerciali con il resto del mondo. Si tratta di una raccolta sistematica, per settori merceologici, di posizioni nelle quali trovano collocazione le merci oggetto di scambi internazionali. Per ogni merce, attraverso la tariffa doganale vengono stabilite: l’imposta doganale, cioè i dazi o altri diritti di effetto equivalente, a cui le merci devono essere assoggettate all’atto dell’importazione. Per quanto riguarda la Comunità economica europea, dal 1968, momento in cui ha avuto attuazione l’unione doganale, i Paesi membri hanno adottato un’unica tariffa doganale verso l’esterno, sia per quanto riguarda la nomenclatura sia per l’imposizione daziaria. L’entrata in vigore del sistema armonizzato ha determinato un adeguamento della tariffa doganale comunitaria. Il passaggio al nuovo sistema non è avvenuto con la semplice trasposizione dal vecchio al nuovo codice, in quanto la Commissione delle Comunità europee ha, con l’occasione, riordinato il suo sistema di classificazione numerico. Partendo dal Sa la Comunità ha istituito una “nomenclatura combinata (Nc)” che ha sostituito unificandoli i due documenti precedentemente utilizzati al fine sia di attribuire le aliquote daziarie ai prodotti considerati (tariffa doganale comune) sia di rilevare le statistiche del commercio fra gli Stati membri della stessa (Nimexe). La tariffa esterna della Comunità, oltre a coprire le aliquote dei dazi autonomi e convenzionali applicabili alle importazioni dei Paesi terzi, prevede una gamma molto ampia di dazi preferenziali, a seconda del Paese di origine delle merci e di altre misure specifiche. Per gestire tutte queste misure non sarebbero state sufficienti le 9500 linee della NC. Per tale ragione la Commissione ha provveduto a introdurre a partire dalla NC le suddivisioni comunitarie complementari necessarie per la designazione delle merci che formano oggetto di tali misure, con ulteriori due cifre del codice che si aggiungono al codice Nc. Nasce in questo modo la Tariffa integrata comunitaria (Taric) che contiene circa 13.000 voci identificate da un codice ad 11 cifre.Oltre al dazio previsto dalla tariffa esterna comune, sono applicati all’importazione altri diritti doganali che non vengono stabiliti a livello comunitario e che continuano ad essere gestiti autonomamente dagli Stati membri; ci si riferisce in particolare all’imposta sul valore aggiunto ed alle accise. Per l’applicazione della tariffa doganale, il Ministero delle Finanze, in Italia ha strutturato sulla base della tariffa integrata comunitaria, la tariffa nazionale d’uso integrata che comprende, oltre alle misure comunitarie stabilite dalla Taric, anche le relative misure nazionali.

8.6 Operazione doganale Nel rapporto doganale vanno distinti un soggetto attivo ed un soggetto passivo. Sono i soggetti passivi che devono provvedere al compimento delle operazioni doganali secondo una delle seguenti modalità:

in proprio, o anche attraverso propri dipendenti muniti di appositi poteri e agenti sotto la responsabilità del proprietario;

rappresentanza diretta, riservata agli spedizionieri doganali iscritti nell’albo professionale istituiti con la legge 22 dicembre 1960 n.1612, i quali agiscono in nome e per conto del proprietario;

rappresentanza indiretta, riservata: agli spedizionieri iscritti negli elenchi di cui alla legge 14 novembre 1941, n.1442; alle imprese esercenti attività di trasporto, per le merci dalle stesse trasportate; a coloro che esercitano attività di deposito, per le merci destinate a

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essere depositate nei loro locali, aree o magazzini. Essi agiscono in nome proprio e per conto del proprietario, e possono agire a mezzo di propri dipendenti muniti degli appositi poteri.

Da quanto detto deriva che non esiste l’obbligo che l’operazione doganale sia effettuata in nome e/o per conto dell’effettivo proprietario della merce. Va però sottolineato che alcune destinazioni doganali fanno sorgere in capo al “dichiarante” una serie di diritti ed obblighi specifici: in questi casi è necessario che la bolletta doganale sia intestata all’acquirente o, rispettivamente, al venditore verso l’estero. L’attività doganale e i relativi istituti sono disciplinate principalmente dalle norme di funzionamento dell’Unione doganale comunitaria. La legislazione di base che si applica agli scambi tra i dodici Paesi membri e i Paesi terzi, è contenuta nel “Codice doganale comunitario” entrato in vigore il 1° Gennaio 1994 e successivi aggiornamenti La legislazione doganale è invece contenuta principalmente nel “Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale”, le cui norme si applicano in quanto non incompatibili con quelle comunitarie, considerata comunque la prevalenza della norma comunitaria su quella nazionale. Nei testi menzionati non sono comunque contenuti tutti i provvedimenti applicabili agli scambi. Ne sono in particolare escluse le disposizioni tariffarie, applicabili prodotto per prodotto, per le quali occorre consultare la Tariffa doganale e le misure preferenziali derivanti da accordi commerciali con Paesi terzi. Le procedure doganali che disciplinano gli scambi con le merci hanno subito notevoli modifiche a partire dal 1° Gennaio 1993. La regola generale da allora applicata è che per le merci comunitarie scambiate fra i Paesi membri sono stati completamente aboliti i controlli e le formalità doganali, fatte salve alcune eccezioni; di conseguenza i termini “importazione” ed “esportazione” sono riferiti esclusivamente agli scambi con i Paesi terzi. Analizziamo ora le fasi della procedura doganale normale, ovvero applicabile alla generalità degli operatori:

presentazione alla dogana delle merci e della dichiarazione doganale;

registrazione della dichiarazione, con l’indicazione del numero e della data;

pagamento dei diritti, o annotazione nel conto di debito se l’operatore è ammesso al pagamento periodico e/o differito;

controllo della dichiarazione e dei documenti ad essa allegati;

eventuale verifica fisica della merce;

rilascio della merce. Esistono anche procedure più agevoli di quella normale sopra descritta. Queste possono essere utilizzate dagli operatori appositamente autorizzati dalla pubblica Amministrazione. Loro caratteristica comune è la possibilità di prescindere dalla presentazione alla dogana delle merci che devono formare oggetto di operazioni doganali relative ad alcuni regimi doganali: importazione definitiva, temporanea importazione, reimportazione e introduzione in deposito, per le merci provenienti dall’estero; esportazione definitiva e temporanea, riesportazione o transito, per le merci destinate all’estero.

8.7 I Mezzi di Pagamento Internazionali Quando si parla di regolamenti valutari delle operazioni con l’estero, ci si riferisce al pagamento dei debiti ed alla riscossione dei crediti in contropartita con i non residenti. Per operazioni valutarie si intendono invece le operazioni relative al trasferimento di valuta estera e/o di lire in esecuzione di operazioni con l’estero.

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I mezzi di pagamento sono gli strumenti tecnici attraverso i quali si effettuano i trasferimenti di valuta tra debitori e creditori residenti in Paesi diversi. Le cose sono notevolmente cambiate con la liberalizzazione valutaria, in quanto essa ha introdotto il principio della “libertà” delle relazioni economiche e finanziarie con l’estero. In particolare i residenti sono autorizzati a: · detenere valuta estera sotto qualsiasi forma in Italia ed all’estero; · intrattenere liberamente conti in lire e/o valuta estera presso banche in Italia ed

all’estero; · regolare le operazioni con l’estero attraverso: a- operazioni canalizzate: eseguite cioè attraverso il canale bancario e l’amministrazione postale; b - operazioni decanalizzate: eseguite mediante il passaggio diretto della valuta tra residente e non residente. Le valute utilizzabili per effettuare i pagamenti con l’estero sono le valute convertibili.

8.8 I mezzi di pagamento Le forme tecniche di regolamento delle operazioni con l’estero sono: 1-·LA RIMESSA DIRETTA con: a) bonifico bancario b) assegno c) banconote a- Bonifico Bancario Si tratta di un trasferimento di fondi ordinato da un debitore a favore di un creditore ed effettuato tramite una o più banche. I soggetti che intervengono in tali operazioni sono: - l’ordinante - il beneficiario - la banca dell’ordinante - la banca del beneficiario Il bonifico può essere effettuato in vari modi: - via Swift

- via lettera - via telegramma - via telex

Il bonifico può inoltre essere fatto: 1. - in via anticipata 2. - in via posticipata Il bonifico è uno strumento di pagamento estremamente semplice ed è il meno costoso ma implica sempre che uno dei due partner rimanga in rischio. Per il debitore esiste infatti il rischio di inadempienza dell’esportatore, mentre per il creditore esiste il rischio di insolvenza del debitore, al quale si aggiunge il rischio Paese.

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La banca prima di formalizzare il bonifico al beneficiario lo sottopone ad una serie di controlli per accertare: · l’autenticità dell’ordine · l’eseguibilità dell’ordine in relazione all’esatta identificazione e reperibilità del beneficiario ed all’assenza di disposizioni o istruzioni speciali che vincolino l’accredito a formalità che la banca non è in grado né vuole espletare. Dal punto di vista valutario, per effetto della liberalizzazione, le banche non hanno più nessun obbligo di accertamento ma devono fornire all’Uic, per fini statistici, le informazioni e i dati di flusso concernenti le operazioni con l’estero. Il bonifico avviene su input del beneficiario. Gli elementi indispensabili per eseguirlo sono: · i dati identificativi del beneficiario · la banca del beneficiario · il motivo del pagamento · la scelta del mezzo di trasmissione · l’importo del bonifico. L’ordine del bonifico va firmato dall’ordinante (o da una persona da lui delegata) se è una persona fisica; o da chi ha i poteri di firma a norma di statuto, se l’ordinante è una società. b-Assegno L’assegno è un titolo di credito, astratto, formale e completo, che contiene l’ordine incondizionato, diretto ad una banca, di pagare a vista una determinata somma, all’ordine di una persona o al portatore. Per i pagamenti internazionali vengono usati vari tipi di assegni tra cui: · assegno bancario · assegno piazzato · International Money Order Nel nostro Paese l’assegno è considerato valuta estera quando è espresso in moneta avente corso legale all’estero oppure in euro. In tal caso l’assegno deve sottostare alle seguenti norme: · emissione: è libera l’emissione in lire o valuta da parte di residenti · circolazione: la consegna di assegni espressi in lire o valuta in Italia e all’estero è libera

ma bisogna tener conto che l’importazione o esportazione di assegni o altri titoli di credito è soggetta ad alcuni vincoli

· inquadramento dell’operazione: il pagamento o l’introito che avviene a mezzo assegno va considerato operazione decanalizzata

· segnalazioni statistiche: in conseguenza del punto precedente il residente, per importi superiori a 20 milioni deve segnalare l’operazione all’Uic.

Chi riceve l’assegno può sia utilizzarlo come mezzo di pagamento (girandolo), sia presentarlo alla propria banca per la negoziazione. c-banconote Un’operazione con l’estero può essere regolata tramite banconote anche se il loro utilizzo è vincolato dall’art. 3 della legge 227 del 4 agosto 1990. E' questa una delle ragioni per cui il loro utilizzo è assolutamente marginale rispetto al totale dei pagamenti internazionali. L’operatore

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che riceve in pagamento banconote estere può decidere se detenerle o cederle ad una banca abilitata per il successivo utilizzo. Se vuole cambiarle deve tenere conto del fatto che il “cambio banconota” è diverso dal cambio commerciale “cable” e compensa la banca dei giorni di valuta necessari per ottenere la trasformazione delle banconote in fondi liquidi presso la banca centrale e delle spese sostenute per la loro custodia e sicurezza. 2-·L’INCASSO CONTRO DOCUMENTI E’ quella formula di pagamento che prevede il regolamento della compravendita all’atto del trasferimento al compratore dei documenti rappresentativi della merce. In compratore per ricevere i documenti che gli consentono il ritiro della merce deve provvedere all’adempimento dei suoi obblighi contrattuali. La stessa formula di pagamento può essere utilizzata anche quando si è in presenza di documenti non rappresentativi della merce, di documenti finanziari o di documenti attestanti l’erogazione di un servizio. Sono state predisposte, a questo proposito, dalla Camera di Commercio internazionale una serie di disposizioni denominate “Norme uniformi relative agli incassi (Nui)” che disciplinano ruoli, responsabilità e procedure relative all’incasso di effetti e/o di documenti. Le norme in questione sono autonome dalle varie legislazioni e sono vincolanti per tutte le parti che intervengono. L’incasso, indipendentemente dai documenti inviati potrà essere: semplice o documentario. A seconda delle prestazioni richieste al debitore si avranno differenti forme di incasso: · documenti contro pagamento (D/P) · documenti contro accettazione (D/A) · documenti contro trust receipt (impegno pagamento banca) Un aspetto molto importante dell’incasso contro documenti è rappresentato dalla bollatura degli effetti, ovvero dall’aspetto fiscale. Infatti quando una rimessa documentaria contiene uno o più titoli di credito, gli effetti per poter esercitare i diritti giuridici relativi all’esecutività del titolo stesso, devono aver assolto agli obblighi previsti dalle norme fiscali italiane, ed in particolare: le cambiali devono essere sottoposte alla bollatura prima dell’accettazione; le cambiali e le ricevute, a carico di importatori italiani, sono soggette all’imposta di bollo solo in caso d’uso. L’incasso contro documenti sembra rappresentare una forma di pagamento senza rischi in quanto vincola entrambi i partner ad adempiere agli obblighi contrattuali. Nella realtà esistono delle aree di elevata criticità che portano ai seguenti rischi. Per l’esportatore: · mancato ritiro dei documenti giunti presso la banca presentatrice da parte

dell’importatore per rifiuto della merce · mancato ritiro dei documenti perché l’importatore è per qualche motivo già riuscito a

sdoganare la merce · insolvenza dell’importatore che alla scadenza non onora gli effetti accettati; · rischio Paese L’esportatore che vuole utilizzare questa formula di pagamento deve verificare alcune condizioni:

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accertarsi del grado di solvibilità, della serietà ed onestà commerciale dell’acquirente estero;

accertare se il prodotto venduto è un prodotto di largo consumo, facilmente collocabile anche presso eventuali acquirenti nel luogo di destino;

accertarsi di quali siano nel Paese di destinazione le procedure per l’ottenimento di visti, licenze o permessi di importazione, e quali documenti sono necessari per lo sdoganamento;

concordare con l’acquirente che deve accollarsi le spese e le commissioni bancarie che di norma vengono ripartite tra i due contraenti;

accertarsi di quali siano le norme relative all’eventuale protesto per mancata accettazione e/o per mancato pagamento dell’effetto, per poter trasmettere alla banca trasmittente istruzioni dettagliate e precise in merito;

controllare il grado di rischiosità del Paese dove si va ad esportare. Per l’importatore: · pagare o impegnarsi a farlo senza aver potuto esaminare la merce (N.B.); · rischi ed oneri per la sosta in dogana della merce che arriva prima che i documenti

giungano alla banca presentatrice. Un ruolo fondamentale in queste operazioni hanno le banche che devono attenersi in maniera estremamente scrupolosa alle istruzioni ricevute in merito alla gestione dei documenti e alla consegna degli stessi all’importatore trassato, alle procedure da osservare per il trasferimento dei fondi ed alle azioni da intraprendere in caso di mancato ritiro dei documenti o di insolvenza del debitore, così come stabilito nelle Norme. Le banche non si assumono però alcun obbligo né alcuna responsabilità relativamente al buon fine dell’operazione. Quando si è in presenza di vendite con grosse dilazioni di pagamento, viene generalmente utilizzata la cambiale internazionale, mezzo di pagamento regolato dalla convenzione di Ginevra del 1930 in vigore nei Paesi che l’ hanno sottoscritta. Il titolo di credito in questione ha le caratteristiche di autonomia, astrattezza e letteralità: il debitore sottoscrive con l’emissione della cambiale un impegno di pagamento inderogabile, che assume una propria fisionomia giuridica indipendente dalla buona esecuzione del contratto sottostante. Il beneficiario per tale ragione non deve più dimostrare la validità della transazione che ha originato l’obbligazione: è sufficiente il possesso del titolo. Il creditore può inoltre richiedere che l’effetto venga garantito da un avvallante solitamente rappresentato da una banca primaria o da un organismo equivalente, nel Paese dell’importatore. In tal modo il beneficiario potrà in seguito smobilizzare il proprio credito vendendo i titoli, con una cessione pro-soluto o pro-solvendo, sul mercato finanziario internazionale. Per utilizzare le cambiali internazionali è necessario avvalersi degli appositi moduli redatti in lingua inglese e francese e predisposti per l’utilizzo nel commercio internazionale. Essi sono completi di tutti i requisiti formali richiesti dalle leggi per i titoli di credito. Sotto il profilo fiscale esse devono rispettare le leggi vigenti in Italia in merito alla bollatura degli effetti.

Crediti documentari. La Camera di Commercio Internazionale di Parigi ha elaborato le "Norme ed Usi Uniformi" che disciplinano i crediti documentari, prevedendo ruoli, responsabilità e procedure per le parti interessate. Il credito documentario, lo strumento più diffuso per il pagamento del

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corrispettivo dei contratti internazionali, consiste nell'impegno assunto da una banca, su istruzioni dell'acquirente/importatore, ad effettuare una certa prestazione a favore del venditore, contro presentazione dei documenti richiesti, nei limiti di una somma prestabilita ed entro una scadenza fissata. Titoli di credito. Si tratta di mezzi di pagamento regolamentati dalla Convenzione di Ginevra del 1930, tutt'oggi in vigore per i paesi aderenti. Il titolo di credito presenta le caratteristiche di autonomia, astrattezza e letteralità. Il debitore, sottoscrivendo l'impegno, assume una obbligazione inderogabile indipendentemente dal contratto di fornitura sottostante. La cambiale internazionale può assumere la forma di promissory note o bill of exchange.

Altri sistemi di pagamento La progressiva deregulation valutaria, che tende ad abbattere le barriere normative tra gli Stati, e l'incremento degli accordi di collaborazione tra le banche a livello mondiale, hanno consentito negli ultimi tempi l'espansione di sistemi di pagamento internazionali sempre più raffinati e perfezionati, che, grazie a circuiti elettronici, garantiscono un notevole abbattimento dei costi ed un miglioramento dell'efficienza nel trattamento delle operazioni commerciali internazionali. Tra questi sistemi di pagamento rientrano: il Lock Box System, mediante il quale l'esportatore si fa pagare tramite assegno dai propri clienti ed i pagamenti affluiscono ad una casella postale gestita da una banca di sua fiducia nel paese del compratore; il Check Disbursement System, che consiste nell'effettuazione via Swift di un ordine di bonifico ad una banca estera e l'emissione di assegni internazionali a valere sul bonifico stesso; il Sistema RID, caratterizzato da una esazione automatizzata, per conto del creditore, di incassi di natura diversa, mediante addebito preautorizzato sul conto del debitore; il Banklastscrift, che consente all'esportatore/creditore di poter incassare i suoi crediti con semplice richiesta di pagamento indirizzata alla banca del debitore, a questo scopo precedentemente autorizzata dal debitore stesso. il “Cash on delivery” (Cod). E’ una formula di incasso che avviene tramite il vettore, che può consegnare la merce all’importatore soltanto dopo che quest’ultimo ha assolto ai suoi obblighi di pagamento o rilascio di un effetto accettato. E’ diffuso soprattutto nell’ambito della Cee, dove le distanze relativamente brevi ed il sistema di trasporto via camion consentono la consegna delle merci in tempi brevi. Con la crescita del traffico internazionale tale formula dovrebbe essere diffusa anche a Paesi extra-europei. Anche con questa formula non viene in alcun modo tutelato il rischio Paese.

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8.9 L'ASSISTENZA CREDITIZIA NELL'INTERSCAMBIO CON L'ESTERO 8.9.1 Premessa La globalizzazione dei mercati é la conseguenza della progressiva internazionalizzazione che investe tutte le principali aree economiche del mondo. Tale evoluzione é ancor più vivace nel contesto europeo ove la realizzazione del Mercato Unico, dell'Unione Economica e di quella monetaria hanno dato luogo ad un sistema economico aperto e orientato verso un mercato molto competitivo. In questo contesto e, a fronte di questa prospettiva, le imprese italiane si trovano esposte alla concorrenza crescente sia di aziende extraeuropee sia di quelle degli altri paesi dell'Europa in fase d’ingresso nella UE. Le aziende italiane seppur tradizionalmente presenti sui mercati non domestici scontano purtroppo una carenza ed una discontinuità di presenza su tali mercati. In particolare ciò è maggiormente vero per le piccole e medie imprese la cui attività di import export non è sostenuta da adeguate politiche commerciali capaci di contrastare le frequenti fluttuazioni della domanda internazionale. Le imprese di minori dimensioni (tra l'altro riconosciute dalla Comunità come il motore dello sviluppo economico) si trovano nella necessità di dover definire adeguate strategie industriali commerciali e finanziarie atte a sostenere i processi di internazionalizzazione sopra ricordati. Abbisognano quindi di assistenza, di consulenza di carattere tecnico,giuridico, commerciale e finanziario; a tale bisogno le banche ed, in particolare quelle di maggiori dimensioni e vocazione internazionale ,rispondono fornendo il loro sostegno .I servizi offerti in generale possono variare da Banca a Banca e dovrà essere l'operatore che effettuerà la sua scelta in base alle sue esigenze. Per fornire una chiave di lettura più semplice possibile i servizi offerti sono stati suddivisi in due Macro Aree: A- SERVIZI COMMERCIALI Si riferisce a quelli offerti dalle Banche per agevolare la penetrazione commerciale delle imprese sui mercati esteri, B-SERVIZI FINANZIARI Riguarda i più tradizionali supporti alla gestione finanziaria dell'attività internazionale dell'azienda. Di seguito vedremo in dettaglio le due aree. 8.9.2 Il Contesto Normativo L'attuale contesto in cui le imprese e le banche si trovano ad operare, se confrontato con quello di alcuni anni fa (fine anni 80) in scenari completamente modificati. Infatti, l'adozione di norme di tipo " europeo" ha radicalmente modificato il modo di operare delle aziende, ma soprattutto ha inciso profondamente nell'attività delle banche. Il passaggio da un regime valutario "controllato" basato su norme rigide ad uno completamente aperto ha avuto profonde conseguenze nel modo di operare delle aziende favorendone appunto la progressiva internazionalizzazione. Le norme prevedono ai fini valutari solo n. 2 categorie di operatori

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residenti (persone fisiche e/o giuridiche) non residenti

e disciplinano: a) Operazioni con l'estero operazioni Correnti

importazioni

esportazioni

transito

cessioni di merci allo stato estero

prestazioni di servizi o beni immateriali

transazioni invisibili Investimenti diretti (all'estero) Operazioni di natura finanziaria b) Operazioni valutarie (trasferimento di divise in dipendenza di operazioni con l'estero) c) Operazioni in cambi Le conseguenze più significative che si sono verificate negli ultimi anni sono state : eliminazione del monopolio dei cambi dell'UIC i residenti possono aprire conti all'estero e conti in divisa con le banche italiane libera circolazione delle merci e dei capitali come:

eliminazione delle dogane alle frontiere

liberta di insediamento per gli intermediari finanziari e riconoscimento reciproco delle norme di regolamento e controllo del paese di origine

armonizzazione fiscale con l'adozione di trattati contro la doppia imposizione, con la normativa "madre figlia" regolante i rapporti fiscali tra società… controllate e /o branches estere

Introduzione di un sistema di monitoraggio fiscale

volto a monitorare i movimenti di capitale

volto a contrastare il riciclaggio di denaro sporco 8.9.3 Monitoraggio Fiscale DL. 28/6/1990 N. 167 CONVERTITO NELLA LEGGE N. 27 DEL 4/8/90 E Succ. INTEGRAZIONI La normativa attuale si muove lungo due direttrici e riguarda le movimentazioni tra l’Italia e l’area dei paesi UE di fatto quasi coincidente con area euro: a) Fiscale attraverso il monitoraggio dei movimenti di capitale, dall'estero e per l'estero, effettuati dai residenti non soggetti ad obblighi di bilancio con un limite minimo di € 75.000.(organismo delegato Banca d’Italia attraverso la sezione Uic)

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b) non tributario mirante a contenere, per quanto possibile, l'uso del denaro contante nelle transazioni (ponendo precisi vincoli alla possibilità di effettuare importazioni ed esportazioni di denaro, titoli e valori mobiliari ) onde evitare eventuali operazioni di riciclaggio proveniente da operazioni illecite Il monitoraggio fiscale delle operazioni, da e per l'estero, si sostanzia in realtà in una serie di obblighi e adempimenti che possono interessare: - solamente le banche abilitate e gli altri intermediari che si interpongono nell'esecuzione

delle operazioni - solamente i soggetti che effettuano le operazioni stesse (persone fisiche, enti non

commerciali, società semplici, società di persone, società di armamento e associazioni fra professionisti.

- entrambi le categorie di soggetti Il monitoraggio fiscale delle operazioni da e per l'estero si sostanzia in una serie di obblighi e adempimenti in relazione a: 1- trasferimenti effettuati attraverso intermediari bancari e non 2- trasferimenti effettuati attraverso non residenti 3- trasferimenti effettuati informa diretta.,attraverso l'importazione o l'esportazione al seguito ovvero mediante plico postale di denaro titoli e valori mobiliari 1- trasferimenti effettuati attraverso intermediari (bancari e non ) Adempimenti delle Banche - istituzione di un archivio e obbligo di segnalazione di movimenti superiori a € 75.000 effettuate dalle persone fisiche e assimilate sopradescritte in relazione ad investimenti all'estero e o in attività finanziarie estere Adempimenti dei soggetti interessati al provvedimento: obbligo di indicare nella dichiarazione dei redditi gli investimenti all'estero e le attività finanziarie estere superiori ai € 75.000,nonché l'ammontare dei trasferimenti da e per l'estero sempre di importo superiore ai € 12.500,00 e relativi agli investimenti e attività finanziarie estere detenute e /o acquistate 2- trasferimenti effettuati attraverso non residenti (con o senza il tramite delle banche e degli intermediari ) obbligo di indicare nella dichiarazione dei redditi l'ammontare dei trasferimenti da e per l'estero sempre di importo superiore ai € 12.500,00 e relativi agli investimenti e attività finanziarie estere detenute e /o acquistate attraverso tali canale. 3- trasferimenti effettuati in forma diretta, attraverso l'importazione o l'esportazione al seguito ovvero mediante plico postale di denaro Importazione/esportazione: Libero sino a € 12.500,00 per somme in valuta e titoli al portatore Per importi superiori a € 12.500,00 dichiarazione in dogana 8.9.4. I servizi Bancari

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8.9.5 area di intervento dei SERVIZI COMMERCIALI Come ricordato in precedenza le strategie commerciali di penetrazione nei mercati esteri sono la base per quell'internazionalizzazione che i mercati globali richiedono, pertanto le imprese, per avere un quadro di riferimento delle opportunità offerte dai mercati esteri e dei possibili sviluppi di relazioni, possono usufruire dalle banche di servizi del seguente tipo: Servizi a Supporto delle Strategie Commerciali sui Mercati Esteri 1- servizi per l'identificazione di canali potenziali di commercializzazione 2- servizi di informazione di gare ,appalti ecc, promossi da organismi multilaterali internazionali ecc 3- servizi di consulenza valutaria, doganale, societaria, fiscale 4- servizi di assistenza nella gestione di polizze assicurative sui crediti all'esportazione a) Identificazione sbocchi commerciali Per poter sfruttare le possibilità aperte dalla internazionalizzazione dei mercati è necessario conoscere la realtà dei vari paesi. A tal fine un servizio offerto dalle Banche è quello delle schede paese che possono essere semplici reports su un paese oppure studi più approfonditi che possano permettere all'operatore di prendere le sue decisioni. I punti salienti di un buon report sarebbero: -dati macroeconomici -andamento economia reale e ipotesi di sviluppo previsti -mercato interno -valutazione economica finanziaria del paese -problematiche societarie e fiscali Esigenze più specifiche possono essere soddisfatte da -ricerche di mercato su specifici settori merceologici -ricerche di partners La ricerca di partners è un supporto all'azienda offerto dalle banche attraverso i canali di interscambio usuali con le corrispondenti. Questo canale informativo,oggi, con la diffusione informatici è molto diffuso anche fuori dal settore bancario,in particolare nell'area europea è diventato una prerogativa delle CCIIA, degli eurosportelli e di tutti quegli organismi operanti in tale settore. La ricerca di partners può interessare tre aree: -COMMERCIALE collaborazione nella distribuzione di prodotti e servizi -TECNICO INDUSTRIALE collaborazione che investe un settore più ampio con scambio di licenze, know how, le operazioni di partnership hanno lo scopo di verificare possibili intese senza effettuare investimenti nella ricerca -FINANZIARIO

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L'evoluzione principalmente in tale settore è manifestata in modo precipuo verso i paesi a basso costo di manodopera al fine di permettere una delocalizzazione delle attività. La partnership i tal caso riguarda sia acquisizioni sia joint-ventures con partner locali. In tal caso oltre all'impegno finanziario alla società che intende investire normalmente viene richiesto un impegno tecnologico. a) Servizi di informazione di gare, appalti ecc promossi da organismi multilaterali

internazionali ecc In tale settore le banche, piucchè fornire un supporto informativo su GARE E APPALTI all'estero, settore abbondantemente coperto dagli organismi istituzionali, sono maggiormente presenti nell'assistenza attraverso l'emissione di garanzie di firma. Tali garanzie possono essere rilasciate direttamente dalla Banca (magari in pool per diminuire il rischio) ma soprattutto sono emesse da banche del paese ove la gara si svolge per conto delle banche italiane: -BID BOND Garanzia per la partecipazione alla gara di solito in percentuale dell'importo dell'appalto -TENDER BOND Garanzia di mantenimento dell'offerta per il periodo di tempo in cui la gara è indetta (di solito abbinata al bid bond) Questa è la fase di partecipazione, qualora il cliente italiano risultasse aggiudicatario dovranno essere rilasciate altre garanzie quali -PERFORMANCE BOND Garanzia a tutela della mancata esecuzione della prestazione da parte dell'impresa appaltante -RETENTION BOND Garanzia sostitutiva del deposito cauzionale (decimi di garanzia) Qualora la stazione appaltante effettuasse pagamenti anticipati sarebbe necessaria anche -ADVANCE PAYMENT BOND Garanzia per la restituzione delle somme anticipate Le garanzie sopra riportate sono chiaramente una linea di credito concessa dalla banca italiana al suo cliente. Tali garanzie,in moltissimi paesi, per vincoli contrattuali dovranno essere emesse obbligatoriamente da parte di una banca locale. Le richieste di escussione sono normalmente a first demand e quindi le garanzie sono escutibili dal beneficiario con una semplice dichiarazione di mancato pagamento da parte del cliente italiano. Sempre collegati agli appalti ci sono i servizi di informazione sulle : AGEVOLAZIONI FINANZIARIE CONCESSE DA ISTITUZIONI ITALIANE E/O ESTERE destinate ad investitori italiani in determinati paesi. Esistono,oltre ad agevolazioni per investimenti in particolari aree europee (di solito zone con settori in crisi o deindustrializzate) esistono ampi piani di intervento per i PVS, paesi in via di sviluppo. Normalmente le opportunità sono offerte o da organismi internazionali(BIRS, IDA, IFC; BANCA ASIATICA PER LO SVILUPPO, BANCA MONDIALE ecc)o da europei (FONDO Sociale

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ecc)o da programmi interni. Di particolare interesse sono i crediti di Aiuto ai PVS, di fatto dei regali ai paesi poveri destinati al finanziamento di programmi di intervento infrastrutturale realizzati da un’azienda italiana. Altra fonte di intervento sono i finanziamenti agevolati per la costituzione di joint ventures all'estero in paesi in via di sviluppo o insufficientemente sviluppati. Da ultimo ricordiamo i fondi agevolati destinati allo smobilizzo di crediti a medio lungo termine sorti in dipendenza di forniture o lavori, se garantiti da banca del paese estero. c) servizi di consulenza valutaria, doganale, societaria, fiscale Le Banche di maggiori dimensioni e con stabile presenza all'estero mettono a disposizione degli operatori una serie di servizi riguardante la consulenza valutaria in particolare. Infatti, per non incorrere in inadempienze derivanti dalla mancata conoscenza della normativa valutaria e doganale le aziende debbono poter utilizzare supporti informativi in materia, e, infatti, le banche unitamente agli organismi internazionali sono piuttosto presenti. Un ulteriore forma di assistenza agli operatori può essere fornita sia nel campo della contrattualistica sia soprattutto nell'insediamento di una branch estera dell'azienda. Sì può affermare che un’effettiva assistenza dovrebbe fornire: - -il quadro di insieme delle problematiche connesse all'iniziativa - gli adempimenti e i vincoli per la realizzazione - -i costi da sostenere e il piano economico finanziario - -le eventuali possibilità agevolative - -i riferimenti in loco per l'assistenza Per completezza di informazione va ricordato che esistono delle possibilità di finanziamento per piani di penetrazione commerciale all'estero. d) Servizi di assistenza nella gestione di polizze assicurative sui crediti all'esportazione Uno dei problemi che l'operatore con l'estero deve fronteggiare, soprattutto quando affronta rapporti commerciali nuovi e significativi in rapporto al fatturato dell'azienda è quello delle garanzie di pagamento del credito derivanti dalla concessione di dilazioni alla controparte. Parlare di assicurazioni per l'operatore significa essenzialmente tutelarsi dai rischi di mancata insolvenza dovuto sia a rischi commerciali sia politici, rischi imputabili sia a eventi politici, catastrofici, modificazioni di leggi, impossibilità di trasferimenti valutari etc. Questi rischi sono normalmente coperti da SACE ex società di emanazione pubblica che si occupa di coprire appunto tali rischi. Il principale settore di intervento della Sace è la copertura dei rischi di insolvenza per gli eventi sopra ricordati di crediti sorti in dipendenza di operazioni dilazionate (anche di vari anni) soprattutto in PVS. Pertanto c'è una valutazione del paese, il rischio di mancato pagamento dello stesso, la Sace opera a valere sui fondi messi a disposizione dallo Stato attraverso il Mediocredito Centrale (l.227), copertura del 70 % e i crediti sono normalmente assistiti da garanzie bancarie o avallo su effetti da parte di enti statali Altro settore è quello della copertura dei rischi di insolvenza commerciali a breve, in tale settore è presente fortemente la Euler--Siac che provvede ad assicurare sia tutti i crediti verso un determinato paese che verso un singolo debitore attraverso la concessione di plafonds. Di fatto tale operatività è assimilabile a quella delle società di factoring internazionale.

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8.9.6 servizi a supporto della GESTIONE FINANZIARIA L'internazionalizzazione sempre più spinta e la gestione dei rischi valutari insiti nell'attività dell’impresa inserita in un mercato globale, la finanziarizzazione progressiva della gestione aziendale con lo sviluppo delle transazioni finanziarie in modo più marcato della stesse transazioni commerciali. La gestione delle operazioni commerciali in valuta fa si che le aziende di maggiori dimensioni, con largo interscambio con l’estero o con società estere, si trovano a gestire una tesoreria multivaluta con la necessità di affrontare il problema della copertura dei rischi di cambio connessi alle transazioni. e ciò è ancor più vero in funzione delle dimensioni aziendali. In questo settore la Banche, vuoi per una connotazione naturale di appoggio, vuoi per ricercare canali di sbocco per le proprie attività, possono concretamente svolgere un’azione di supporto alle piccole e medie aziende. Tale operatività si svolge in tre macro aree: a- sistemi di pagamento e di incasso b- linee di credito e servizi finanziari c- assistenza e gestione della tesoreria A. SISTEMI DI PAGAMENTO E DI INCASSI Nell'esaminare la prima area dobbiamo prima ricordare quali siano le modalità… corrente di incasso e pagamento con l'estero. Se consideriamo un’analogia con il mercato domestico il regolamento di un’esportazione o importazione può essere 1-a vista 2-a scadenza A.1. REGOLAMENTO A VISTA Il regolamento a vista a sua volta può essere: a mezzo bonifico bancario rimessa diretta di assegni Il bonifico bancario, in analogia con il mercato domestico, viene effettuato in rete ma attraverso una rete internazionale particolare che è lo swift, sia in euro che in altra valuta. Una precisazione va fatta sulla opportunità di emissione della fattura in euro o in altra valuta, dipendendo la stessa dai rapporti commerciali esistenti con la controparte estera con l'emissione in valuta il nostro operatore domestico non avrà rischi di cambio trasferendo al cliente estera tale onere. Operando in valuta la fatturazione potrà essere multivaluta in funzione dei mercati di sbocco. Ritornando al regolamento in termini pratici la Banca riceverà dall'estero un importo che sarà accreditato al cliente che a sua volta provvederà ad indicare la causale per permettere (in caso di importo superiore a €12.500 ) la comunicazione valutaria statistica all' Ufficio Italiano dei cambi. Anche con il regolamento a mezzo assegno si ha una analogia con il mercato domestico in quanto gli assegni possono essere : emessi direttamente dal cliente emessi come assegni circolari dalla Banca

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Nel primo caso si hanno i rischi ordinari di accettazione di un pagamento a mezzo assegni .Possono essere in euro o in altra valuta ed essere tratti direttamente dal cliente sul proprio conto .Da tenere presente che tali assegni in caso di mancato pagamento non hanno la possibilità,come previsto dalla legge italiana, di svolgere una funzione esecutiva .Diverso è l'assegno emesso da una banca cioè un assegno circolare, anche in questo caso il titolo viene emesso in euro o divisa. L'unico rischio,peraltro molto modesto in quanto tale controllo è demandato alla banca italiana, è che l'assegno sia irregolarmente emesso dalla Banca estera. Pertanto anche in questo caso l'accettazione come modalità di pagamento ha il solo rischio insito nella negoziazione di assegni circolari. Una parola va infine spesa per gli incassi dell'estero a favore di non residenti; infatti il concetto di residente ai fini valutari è legato alla produzione di un reddito in Italia ,pertanto un non residente può avere tranquillamente un conto estero in Italia. Tali conto soggetti alle norme dei conti bancari in Italia possono essere alimentati da fondi provenienti dall'estero (in qualsiasi forma lecita). La banca può agevolare il cliente attraverso la Negoziazione sbf degli assegni esteri. Infatti il rischio che viene assunto dalla Banca è analogo a quello dell'accoglimento di un versamento da parte del cliente di assegni emessi su banche italiane in Italia. I problemi da non sottovalutare sono: il diverso tempo per la compensazione dell'assegno e quindi il tempo necessario per

ottenere l'esito del pagato o meno la diversa valenza giuridica del titolo in funzione della normativa italiana sull'assegno.

Infatti gli assegni esteri non sono generalmente titoli di credito pertanto non protestabili nè sono titoli esecutivi

A.2 REGOLAMENTO A SCADENZA Il regolamento a scadenza delle operazioni ordinarie non documentate puo' avvenire : a mezzo ricevute bancarie a mezzo rilascio di “pagherò internazionali'' Il regolamento a scadenza delle operazioni ordinarie documentate puo' avvenire attraverso operazioni documentate semplici documenti Contro pagamento o accettazione crediti documentari o lettere di credito operazioni ordinarie non documentate Tale forma di regolamento, in analogia ad operazioni commerciali nel paese residente, può essere effettuato con emissione di ricevute bancarie inviate all’incasso (ad esempio tale sistema è piuttosto efficiente in Francia ove le ricevute provenienti da altri paesi vengono gestite attraverso il sistema centralizzato di incassi ). Altra forma abbastanza usata in vari paesi è l'emissione di pagherò internazionali BILLS. Anche in questo caso le problematiche di rischio riguardano la solvibilità del sottoscrittore il titolo, in molti casi, a garanzia della solvibilità del debitore, tali titoli vengono accettati da banche del luogo o internazionali o da primarie società finanziarie. Tale modalità è tipica per il pagamento dilazionato di forniture legate ad accordi internazionali tra l’Italia e il paese estero (di solito in via di sviluppo)e pertanto si ha una accettazione degli effetti da parte della banca centrale.

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operazioni ordinarie documentate Tra le varie modalità di pagamento o incasso previste nell'interscambio con l'estero un peso ancora elevato è quello mantenuto dalle operazioni con regolamento assistito da documenti. Le operazioni si suddividono in: Operazioni di documenti contro pagamento (D/P) operazioni di documenti contro accettazione (D/A) La prima tipologia prevede l'intervento di quattro soggetti:

ESPORTATORE e/o IMPORTATORE IN ITALIA

BANCA ITALIANA BANCA STRANIERA

OPERATORE COMMERCIALE ESTERO

L'esportatore italiano attraverso la Banca Italiana trasmette alla banca dell'operatore estero i documenti rappresentativi della merce, in pratica i documenti necessari a poter ritirare la merce, incaricando la Banca italiana non solo di incassare in sua vece ma di far rilasciare i documenti dalla banca estera all'operatore estero contro l'immediato pagamento dell'importo o attraverso l'accettazione di un effetto incassabile a scadenza. Il mandato conferito alla banca italiana è ben definito e quindi le istruzioni devono essere impartite in modo chiaro sia per quanto riguarda l'incasso parziale o totale della somma sia per il comportamento da tenere in caso di mancato pagamento . Questa tipologia di pagamento è molto usata soprattutto in presenza di documenti rappresentativi della merce come la polizza di carico o bill of lading sia marittima che aerea o la lettera di vettura per trasporti ferroviari o camionistici. Altri documenti comunemente usati sono:i certificati di assicurazione,provenienza,sanitari etc. .Questa modalità di regolamento di fatto comporta che il rischio di viaggio della merce sia a carico dell'esportatore italiano fino all'arrivo a destinazione, ove per poter essere acquisita in proprietà dall'importatore, deve essere espletata la clausola base del contratto di incasso documentario e precisamente la controprestazione che appunto può essere il pagamento o l'accettazione di un impegno di pagamento . E’ evidente che la presente forma di regolamento si basa su una reciproca fiducia tra i due partner commerciali, ma ciò non basta perché in moltissimi casi vuoi per la scarsa fiducia reciproca, vuoi per le usanze commerciali dei vari mercati si preferisce adottare lo strumento principe del commercio internazionale cioè il

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CREDITO DOCUMENTARIO. Storicamente la lettera di credito nasce con il colonialismo e precisamente con in traffici della Compagnia delle Indie, quando i mercanti per poter acquistare su mercati lontani si facevano rilasciare dalle Banche Londinesi, in primo luogo, delle Lettere di credito che erano pagabili ai presentatori in buona fede di tali documenti, pertanto anche ai venditori stranieri . Il presupposto dell'incasso documentario è che esiste una promessa della Banca di pagare al portatore della Lettera di credito o a terzi nel credito documentario. E' quindi una promessa condizionata di pagare, su ordine del cliente acquirente, direttamente al presentatore di tale documento subordinando il tutto all'espletamento di determinati clausole documentarie. Non è un vero rapporto astratto cartolare ma solo il rispetto di regole ben precise, infatti se il presentatore in buona fede adempie a tutte le clausole indicate per poter essere pagato, verrà regolarmente pagato dalla Banca promittente. E' evidentemente la forma piu' semplice di lettera di credito, ma già emerge una caratteristica fondamentale che è quella della sostituzione del debitore che diventa la Banca. Infatti la Banca pagherà se saranno soddisfatte le previste clausole di tipo documentario, non entrando nel merito del rapporto principale fra le due imprese. Per poter offrire ancora maggiori garanzie e opportunità per l'acquirente venne introdotta una forma più complessa. Il CREDITO DOCUMENTARIO. Il contesto giuridico del Credito documentario può esplicitarsi in vari modo con alcune modificazioni ma comunque i soggetti in gioco sono i seguenti: cliente estero

cliente italiano

banca estera

banca italiana

Il cliente estero apre un credito documentario a favore dell'esportatore italiano: 1^ fattispecie La banca estera, su mandato del suo cliente, mette a disposizione dell'esportatore una somma utilizzabile solo se verranno rispettate determinate condizioni di tipo documentale. La banca Italiana può eseguire il semplice mandato da parte della Banca estera di avvisare il cliente italiano che è stata messa a sua disposizione la somma.In tal caso siamo nella configurazione del mandato, l'esame della conformità o meno dei documenti alle clausole contrattuali del Credito spetta alla Banca estera che assume in proprio l'obbligazione di pagare direttamente al cliente italiano non entrando nel merito del rapporto sottostante.La documentazione viene esaminata secondo standard conformi che sono le regole internazionali della CCI (Camera Commercio Internazionale), emanate a suo tempo per dare uniformità e omogeneità nei criteri di esame e di interpretazione.In questa prima configurazione l'obbligato principale è quindi la Banca estera. 2^fattispecie

documenti

cliente estero

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Questa prima configurazione può essere modificata con la banca estera che da mandato alla banca italiana di esaminare in sua vece i documenti e pagare se ritenuti conformi. E' evidente che in questo caso la tutela per il beneficiario è maggiore in quanto la decisione di pagamento si sposta alla banca italiana che paga in forza del mandato avuto. La struttura giuridica diventa una delegazione di pagamento ,in quanto la Banca italiana ha l'incarico di esaminare le formalità del credito e paga in sostituzione della Banca estera. 3^fattispecie Tale situazione diventa ancor più migliorativa per il cliente italiano qualora la Banca italiana appone la sua conferma al credito documentario, infatti secondo tale configurazione la banca italiana diventa obbligata principale nei confronti del cliente italiano. Riassumendo i tre livelli del credito documentario sono: esame dei documenti e pagamento sulle casse della Banca ordinante esame dei documenti e pagamento sulle casse della Banca italiana in forza di preciso

incarico come nella fattispecie di cui sopra ,ma alla banca italiana viene richiesto di coobbligarsi

per il pagamento,per cui è utilizzabile presso le sue casse Nel primo e nel secondo caso il rischio per il cliente italiano, è solo l'insolvenza della banca straniera. Nel terzo caso, qualora la Banca italiana aggiunga la sua conferma al credito documentario, siamo in presenza di una vera e propria traslazione del rischio sulla Banca italiana. Nel parlare di crediti documentari occorre tener conto di altri due aspetti: 1- I crediti documentari sono irrevocabili 2- I crediti documentari sono soggetti a norme uniformi che permettono la standardizzazione delle formalità e del giudizio di merito nell'esame di tali formalità. Ciò comporta che il giudizio della banca italiana sia uniforme e perfettamente confrontabile ed equiparabile con quello della banca estera. Questa necessità di equiparabilità ha portato alla creazione di un contesto di regole universalmente accettate e riconosciute, la cui accettazione diventa strumento operativo dello stesso credito documentario. I crediti documentari, al pari delle altre forme di regolamento commerciale , possono quindi essere: A VISTA con pagamento del controvalore subito dopo l'esame dei documenti A SCADENZA dilazionato ad un certo n°. giorni dopo l'esame dei documenti. Gli elementi caratterizzanti del credito documentario sono: l'ordinante la somma messa a disposizione il tempo entro cui tale disponibilità deve essere utilizzata il tempo massimo per l'esecuzione contrattuale e quindi il tempo per la spedizione etc. la modalità di pagamento ( a vista o a scadenza). la documentazione da presentare e quindi l'aspetto formale da assolvere l'indicazione sulle casse di quale Banca sia pagabile il credito documentario. Oltre agli elementi di cui sopra, sempre presenti in ogni fattispecie, esistono varie forme di credito modellate su determinati usi commerciali quali :

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- il credito stand by (sostitutivo di una fideiussione bancaria, viene messa a disposizione dell’operatore italiano una certo plafond per un periodo di tempo determinato, utilizzabile più volte) - il credito revolving un credito documentario utilizzabile più volte con le stesse modalità - il credito trasferibile utilizzabile da più beneficiari A completamento di tutte le varie forme di incasso e pagamento vanno anche inseriti anche i conti in valuta accesi a residenti e non residenti . L'unica differenza fra le due tipologie sono le modalità di alimentazione .La opportunità di avere conti in divisa estera nasce dalla possibilità di poter utilizzare proprie disponibilità o linee di credito in maniera tale da ridurre o eliminare il rischio di cambio . B. LINEE DI CREDITO E SERVIZI FINANZIARI Il primo aspetto che si intende esaminare è quello delle : B.1. Linee di CREDITO SPECIFICHE L'azienda, che nel mercato domestico a fronte del proprio fatturato ha la possibilità di smobilizzare i propri crediti, vuoi attraverso l'anticipo sbf di ricevute, lo sconto di portafoglio o l'anticipo su fatture, ha analoghe possibilità anche operando sul mercato internazionale. Infatti le operazioni che possono essere effettuate vanno a coprire le esigenze finanziarie dell'operatore, - finanziamento non connesso ad operazioni commerciali - finanziamento a fronte di importazioni La prima suddivisione che potremmo fare in questa disamina delle linee di credito è quella classica fra interventi di CASSA e di FIRMA. B.1.1. Aperture di credito e/o finanziamenti per cassa B.1.1.1 finanziamento senza connessione con operazioni commerciali Trattasi in effetti di un finanziamento in divisa estera di durata a revoca ,o meglio di durata prefissata con possibilità di estinzioni o ripristini. La richiesta del cliente di tale forma di finanziamento normalmente è basata sulla presunzione di pagare un tasso di interesse ridotto, rispetto ad una apertura di credito in c/c . Quanto sopra può essere vero qualora i tassi per la valuta siano inferiori all’euro, ma al rischio creditizio o del finanziamento va aggiunto il rischio di cambio che il cliente potrebbe correre. B.1.1.2 finanziamenti all'importazione Trattasi di linea di credito destinata al pagamento di importazioni e/o prestazioni di servizi .

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1.3- finanziamento di fornitura 1.4- anticipo su contratti e/o lettere di credito o crediti documentari a anticipo su contratto Trattasi del classico anticipo SU CONTRATTO, in bianco, che rientrerà progressivamente con l'anticipo sulle fatture mano a mano che verranno emesse . b anticipo su lettera di credito o credito documentario La differenza con quanto sopra è che il contratto di fatto è rappresentato dalla Lettera di credito o dal Credito documentario pertanto le modalità e la fonte di rimborso dell'anticipo sono conosciute .L'estinzione dell'anticipo avverrà con l'incasso della lettera di credito (se a vista ) o con anticipo sulle fatture emesse a valere sulla L/C o CREDOC qualora il pagamento sia previsto dilazionato . B.1.1.2 .operazioni di smobilizzo di crediti B.1.1.2.1. anticipi all'esportazione In questo raggruppamento rientrano tutte le tipologie di finanziamento delle esportazioni . Vanno comunque effettuate delle distinzioni in dipendenza delle modalità di rientro e di incasso: B.1.1.2.2. anticipo su fatture estere Tali fatture potrebbero essere incassate a mezzo bonifico (in tal caso il cliente dovrebbe indicare la sua banca come banca di appoggio) o a mezzo assegno ( modalità molto diffusa soprattutto in Europa) La soluzione ideale sarebbe quella che il cliente assicurasse i suoi crediti per non avere rischi di insolvenza commerciale. B.1.1.2.3 anticipo su fatture emesse a fronte di documenti inviati per l'incasso A differenza del caso sub 1 oltre alla fattura potrebbero esserci altri documenti quali effetti, documenti di spedizione etc . B.1.1.2.4 anticipo su fatture emesse a fronte di lettere di credito con incasso dilazionato o

pagabili all'estero. In questo caso esiste la certezza dell'incasso, qualora la lettera di credito fosse utilizzata sulle casse della banca del cliente, l'operazione diverrebbe garantita in quanto il debitore sarebbe la banca stessa. B.1.1.2.5 sconto effetti Trattasi di operazioni di smobilizzo di effetti (tratte accettate e/ promissory notes) rilasciati da non residenti a fronte di di operazioni all'esportazione B.1.1.3.crediti di firma rilascio di garanzie commerciali su estero

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Trattasi delle garanzie che la banca rilascia sia a fronte di una pagamento dilazionato che soprattutto a fronte di emissione di aperture di credito Import . In tale categoria rientrano anche le garanzie connesse alle operazioni di realizzazione di impiantistica all'estero come: Tender bond (partecipazione a gara di appalto) Bid bond (mantenimento dell'offerta per una gara ) Performance bond (buona esecuzione) Advance payment bond (restituzione dell'acconto) rilascio garanzie finanziarie su estero Trattasi di rischi di firma concessi alla clientela a fronte di operazioni finanziarie o a fronte di operazioni di options, futures, outrights, swaps, etc. B.2 linee di CREDITO PARTICOLARI L'attuale offerta di servizi finanziari è molto ampia e le aziende di maggiori dimensioni possono ricorrere anche a -finanziamenti in pool e syndicated loans Trattasi di finanziamenti messi a disposizioni da un pool di banche, di cui una capofila che ha il mandato di trattare la linea di credito che poi verrà erogata secondo le quote di partecipazione al" sindacato". Tradizionalmente tali operazioni vengono effettuate sull'Euromercato con riferimento all’euroribor o al $ -credito fornitore Una delle forme più usate di finanziamento alle esportazioni con regolamento dilazionato è rappresentata appunto dal Credito Fornitore che si traduce in: Anticipazioni Prosolvendo della quota dilazionata di crediti insorti in dipendenza di una fornitura o più spesso di lavori etc. Non vengono assunti normalmente impegni circa il buon fine o meno dei crediti, gli interventi qualora non rientrino fra quelli previsti dal Mediocredito Centrale (agevolati) vengono effettuati ai tassi di mercato. Qualora ci sia l'intervento del Mediocredito Centrale lo stesso è effettuato in base ai tassi previsti dal "consensus" , accordo internazionale fra i vari paesi industrializzati. Intervento analogo è quello dello: Sconto Prosolvendo degli effetti avuti in pagamento dalla controparte estera, gli effetti di cui sopra possono essere altresì garantiti da società o banche del paese compratore.Le operazioni di cui sopra di fatto prendono in considerazione lo standing della controparte italiana in quanto la linea di credito è data all’esportatore. Lo Sconto Prosoluto o forfaiting mira a superare le limitazioni di quelle pro solvendo. Tale operazione si sostanzia nell'acquisto da parte di una società finanziaria di un portafoglio di effetti ottenuti in pagamento di una esportazione di beni e servizi con pagamento differito a medio termine, senza rivalsa verso il precedente possessore dei titoli. Alla base c'è quindi una esportazione di beni durevoli ( lavori) con pagamento dilazionato in più anni. Salvo nel caso che il debitore sia di importanza internazionale, l'istituto che procede al "forfaiting" richiede che il credito sia assistito da garanzia bancaria o sotto forma di avallo dei titoli di cambiari o di lettera di garanzia separata.

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Qualora l'operazione abbia i requisiti per la forfettizzazione i vantaggi per l'esportatore sono : -smobilizzo di un credito differito -eliminazione di rischi di insolvenza commerciale -eliminazione dei rischi politici -eliminazione dei rischi di cambio -semplificazione delle procedure di incasso. I vantaggi di cui sopra sono in effetti caricati sul costo dell'operazione che in genere , se non rientra fra quelle agevolate dal mediocredito centrale, è abbastanza elevato. L'operazione di forfaiting può essere anche effettuata a valere sulle possibilità previste dalla Legge 227 (Ossola) che regolamenta le operazioni assicurando all'esportatore, in presenza di determinate condizioni, lo sconto a tasso agevolato.Le operazioni a valere sulla LEGGE 227 hanno la garanzia SACE (statale)sui rischi commerciali e politici . Una forma di intervento ancor più particolare è quella del: credito compratore (buyer's credit). Tali operazioni si traducono in un linea di credito concessa dallo Stato Italiano o da una banca italiana ad un paese estero (di solito in via di sviluppo) attraverso una banca di tale paese destinata al pagamento di forniture effettuate da esportatori Italiani .Pertanto vengono predeterminati importi, ambiti, condizioni per gli utilizzi di tali linee. Infatti gli interventi sono : closed destinati a finanziare una specifica fornitura open destinati a finanziare una serie ampia di esportazioni. Le particolari modalità di tali interventi, con l’utilizzo da parte del paese estero della linea di credito, consentono un rapido incasso da parte dell'operatore italiano Molto spesso tali crediti, in caso di mancato rimborso da parte del debitore estero, vengono trasformati dall’Italia in CREDITI DI AIUTO cioè a fondo perduto. Da ultimo parliamo di ulteriori forme di finanziamento ancor più particolari e precisamente: Project Financing Leasing Internazionale Factoring internazionale Le caratteristiche del Project financing ne fanno uno strumento finanziario in fase di sviluppo ,in quanto è destinato in forma precipua alla realizzazione di grossi investimenti in infrastrutture o strutture produttive, si pensi all'EUROTUNNEL Ferroviario ad esempio. In tali casi insieme al progetto operativo, viene presentata la copertura finanziaria che può utilizzare il finanziamento a mezzo emissione di titoli sull' Euromercato, oppure un consorzio di finanziamento composte di banche internazionali etc. Il progetto esecutivo e la relativa copertura finanziaria vengono proposti chiavi in mano per realizzare un’opera che, per la caratteristica di infrastruttura potrebbe avere carattere pubblico, con la contropartita dello sfruttamento in forma privatistica dell'investimento per un certo numero di anni. Il Leasing Internazionale è una contratto di leasing a tutti gli effetti caratterizzato dal fatto che il proprietario e l'utilizzatore del bene locato, risiedono in paesi diversi

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Tali operazioni presentano solo particolarità dovute alle possibili asimmetrie tra le legislazioni e le norme tributarie correnti nei paesi delle società partecipanti all'operazione. Da ultimo ricordiamo il Factoring Internazionale, non dissimile da quello domestico fatto salvo che i creditori ceduti sono residenti in paesi esteri . La società di factoring acquisirà quindi i crediti e girerà questo credito ad un Factor corrispondente residente nel paese del debitore . Questo Factor svolgerà pertanto tutte le operazioni relative alla gestione di tali crediti per conto della società italiana a cui l'esportatore avrà ceduto il credito.

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C- ASSISTENZA NELLA GESTIONE DELLA TESORERIA Le forme di intervento possono essere sintetizzate in due comparti : a) gestione dei flussi e dell'indebitamento in valuta b) copertura dei rischi di cambio a) gestione dei flussi e dell'indebitamento in valuta La GESTIONE dei FLUSSI derivanti dall'attività commerciale e quindi dai rapporti con le banche rappresentano il fulcro dell'attività finanziaria in valuta. Infatti la corretta gestione mirata all'ottimizzazione delle risorse finanziarie e al contenimento dei costi dei mezzi finanziari di terzi diventa un po' più complessa se le fonti sono in valuta e soprattutto multivaluta. Infatti in tal caso è compito della gestione operativa presiedere ai rischi di cambio e tasso connessi all'incasso e pagamenti in valuta. Una delle modalità per il contenimento dei rischi connessi alle attività in valuta è quella del bilanciamento della posizione mirante a fronteggiare passività ed attività in valuta con posizioni appunto bilanciate. Tipica applicazione è riscontrabile nelle multinazionali con una tesoreria centralizzata intergruppo che funga da clearing (compensazione ) fra flussi espressi in valute diverse. Quanto sopra trova di norma applicazione solo nelle multinazionali mentre la maggior parte degli operatori è rappresentata da Piccole e Medie Imprese, ove spesso è scarsamente presente la consapevolezza dei rischi valutari. b)copertura dei rischi di cambio Affinché possa essere perseguita in modo efficace una gestione dei flussi valutari è innanzitutto necessario definire quale sia il rischio che l'azienda intende assumersi. Infatti l'impresa che esporta può fatturare in euro, in valuta o in una combinazione dei due in funzione dei rapporti commerciali e contrattuali instaurati. La decisione di incassare o pagare in valuta appunto comporta l'assunzione del rischio di cambio, senza spesso aver precisa consapevolezza degli elementi interni ed esterni che lo influenzano. Si può ricordare tra gli elementi esterni le variabili macroeconomiche del paese la cui valuta si intenda utilizzare. Tali informazioni sono disponibili sul mercato ed è una caratteristica delle Banche specializzate nell'operatività in divisa fornire un servizio agli operatori. Tra gli elementi interni ricordiamo la situazione economica interna, la politica monetaria esistente e l'influenza sulla bilancia dei pagamenti . Alle imprese che vogliano predeterminare il livello del rischio cambio si offrono numerose possibilità di scelta quali: Anticipo dei crediti nella medesima valuta in cui si incasserà Vendita/acquisto a termine della valuta Domestic currency swaps Option su currency b.1 Anticipo crediti in divisa L'anticipo di crediti (fatture o altro) espressi in divisa è la forma più semplice di fissare il cambio sulle somme che saranno incassate in dipendenza dell'esportazione.

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L'indebitamento che viene creato rientrerà progressivamente con i vari incassi, qualora l'azienda non abbia necessità di utilizzo immediato delle somme ma può aspettare la maturazione effettiva dell'incasso, potrà procedere ad un investimento in euro della liquidità creata dall'indebitamento in valuta, al fine di sfruttare un eventuale differenziale positivo del tasso euro contro divisa . b.2 Acquisto e vendita a termine di divisa Parallelamente alle transazioni a contanti esiste un mercato della divisa a termine destinato appunto a soddisfare le esigenze di copertura degli operatori. Gli acquisti e vendite a termine consistono in una compravendita di valuta a cambi concordati fra le parti ,la cui effettiva esecuzione dovrà avvenire in un momento successivo a scadenze concordate. Tecnicamente le operazioni a termine si distinguono in due tipologie : b.2.1 outright (termine secco) ovvero la compravendita a termine senza movimento dei fondi al momento della sottoscrizione del contratto ma solo a scadenza b.2.2 swap ovvero la doppia compravendita con cambio differente e regolamento a scadenza del solo differenziale fra i due cambi Entrambe le operazioni poggiano sullo scarto tra il cambio Spot (a pronti) e quello del termine derivante dal differenziale dei tassi fra le divise . b.2.1 outright (termine secco) Nella prima fattispecie l'operatore che intende tutelarsi da un rialzo della divisa (importatore) o da un ribasso della divisa (esportatore) effettuerà l'acquisto o la vendita della divisa estera oggetto della contrattazione con la Banca. L'operatore quindi si impegna a ritirare o consegnare alla scadenza la divisa estera relativa al contratto commerciale sottoscritto ( o all'attività finanziaria in suo possesso) ad cambio fissato . Il cambio concordato sarà : cambio a pronti + premio = cambio a termine(forward) Lo scarto a termine o premio (tassato con l'aliquota del 12,50%)è uguale a :

(tasso euro-tasso divisa)*gg(periodo riferimento)* cambio pronti ------------------------------------------------------------------

365 * 100 P Premio su base annua = premio* 365*100

-------------------------------------- gg(periodo rif.)* cambio pronti

tale valore esprime la percentuale da calcolare sul cambio a pronti per avere il termine e determina in presenza di un finanziamento chiuso a scadenza con una operazione a termine il costo effettivo della copertura . Tale costo in linea di massima dovrebbe esprimere solo un

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differenziale fra due tassi ma in realtà esprime (anche se in misura minore delle opzioni) anche le aspettative sulla divisa. b.2.2. Swap Le operazioni di swap consistono in uno scambio fra due posizioni opposte (importatori con debiti in valuta ed esportatori con crediti in valuta ) incrociate fra loro da un intermediario .Tale scambio si basa sulla determinazione di un cambio alla scadenza pattuita che sia accettato da entrambe le controparti. Il cambio a scadenza viene così determinato : M=C(1+(i-j))*gg/360 Cambio = cambio pronti*(1+(tasso euro -tasso divisa))* durata/360 a scadenza L'intermediario che stipula due contratti con le controparti assicura che alla scadenza della operazione avvenga lo scambio del differenziale fra il cambio concordato e il cambio a pronti :Le operazioni di Domestic Currency Swap sono state utilizzate in particolari momenti in alternativa alle operazioni a termine per motivi di semplificazione. b.3 option su divise Uno strumento di copertura più sofisticato è l'utilizzo di option su Currency. Si definisce Option il contratto stipulato tra un venditore (writer) e un compratore (holder) che conferisce al secondo il diritto, ma non l'obbligo,di acquistare (CALL)o di vendere (PUT) una determinata attività (divisa,titolo, futures etc)ad un prezzo determinato entro una data scadenza (tipo americano) o alla scadenza predeterminata (tipo europeo).Tale diritto è conferito all'acquirente dietro corresponsione di un premio al venditore, commisurato al rischio (volatilità/tempo) sopportato da quest'ultimo. Le call option costituiscono una opportunità per l'acquirente del diritto di poter comprare ad una scadenza fissa una determinata quantità di divisa ad un cambio predeterminato. Se alla scadenza di tale impegno : il cambio spot è minore del prezzo di esercizio l'operatore abbandonerà il diritto e comprerà la divisa sul mercato il cambio spot è superiore al prezzo di esercizio l'operatore eserciterà l'opzione E’evidente come tali operazioni si prestino ottimamente alla copertura di passività o di impegni di acquisto a termine effettuando una difesa in caso di incrementi del rapporto di cambio della lira sulla divisa oggetto della transazione. Le put option rappresentano opportunità esattamente contrarie in quanto costituiscono una opportunità per l'acquirente dell'option di vendere una quantità di divisa ad una scadenza predeterminata ad un cambio prefissato. Se alla scadenza di tale impegno : il cambio spot è minore del prezzo di esercizio l'operatore eserciterà l'opzione il cambio spot è superiore al prezzo di esercizio l'operatore abbandonerà il diritto e vendere la divisa sul mercato.

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E’evidente come tali operazioni si prestino ottimamente alla copertura di attività o di impegni di vendita a termine effettuando una difesa in caso di decrementi del rapporto di cambio della lira sulla divisa oggetto della transazione. L'acquirente della Call di fatto assume una posizione LUNGA cioè rialzista sul rapporto di cambio e pertanto vuole assicurarsi oltre alla copertura del rischio anche la possibilità di fare profitti in caso di rialzo e pertanto per tale facoltà paga un premio. L'acquirente della Put di fatto assume una posizione CORTA, cioè ribassista sul rapporto di cambio e pertanto vuole assicurarsi oltre alla copertura del rischio di cambio di poter beneficiare di eventuali profitti in caso di ribassi. Il premio abbiamo detto è calcolato attraverso complesse funzioni matematiche che tengono conto di : differenziale tassi fra le divise prese la durata dell'operazione la volatilità, intesa come variabile che esprime una valutazione soggettiva del writer sulla

rischiosità teorica dell'operazione in funzione di una possibile evoluzione dello scenario . Da ultimo ricordiamo per completezza di informazione un ulteriore strumento di copertura dai rischi di cambio che il FUTURE su divisa . Il financial future su divisa al pari di quelli su titoli e su indici si realizza attraverso contratti di acquisto o vendita standardizzati trattati in mercati regolamentati (LIFFE Londra ad esempio) per quantità standard e su scadenze standard. La quotazione future è una estrapolazione della quotazione a pronti e rapportata alla consegna differita. In effetti trattasi sempre di un mercato a termine con il vantaggio della standardizzazione dei contratti e della estrema liquidità del mercato che appunto ne permette una operatività ampia.

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Allegato : I CREDITI DOCUMENTARI COMMENTO a: Norme ed Usi Uniformi pubblicazione numero 500 rev. 1993 della Camera di Commercio Internazionale Introduzione I Crediti documentari sono stati e saranno ancora per molti anni uno strumento indispensabile per il buon andamento del commercio internazionale. Sono inoltre il segno indiscutibile che la comunità internazionale, di qualunque razza o religione, quali siano gli usi ed i costumi, nella necessità di una crescita della comunità, è in grado di giungere ad un accordo su qualsiasi problema. Questo testo, per ovvi motivi, riporta in lingua italiana i termini ed i nomi; quando però ne esiste anche una versione in altra lingua, o una abbreviazione, che risultano essere di uso comune, queste vengono riportate tra parentesi accanto alla terminologia italiana. Parte I° Uno dei principali compiti della Camera di Commercio Internazionale di Parigi (CCI) è facilitare i rapporti commerciali tra imprenditori di paesi diversi, contribuendo così all'espansione del commercio internazionale. L'attività della CCI, per portare a termine questo compito, consiste appunto nel preparare strumenti universali, riconosciuti ed accettati da tutti gli operatori del mondo, che consentano la sicurezza nelle transazioni commerciali. Le Norme ed Usi Uniformi n. 500 Rev. 1993, relative ai Crediti Documentari.

1. Le Norme ed Usi Uniformi n. 522 Rev. 1995, relative agli incassi. 2. Le ISP 98 n. 590, relative alle regole e prassi internazionali sulle Standby Letters of

Credit. 3. Le Norme ed Usi Uniformi n. 458, relative alle garanzie su domanda. 4. Le Norme ed Usi Uniformi n. 525, relative ai rimborsi fra banca e banca.

Il Credito Documentario è il miglior strumento per le operazioni di export verso tutti quei paesi in cui esiste, oltre al normale rischio commerciale, legato a qualsiasi operazione, anche un rischio politico legato alle difficoltà economiche o alle tensioni sociali (c.d. rischio paese), che potrebbero creare difficoltà nel recupero delle somme dovute all'esportatore. Questa operazione, anche se un po' costosa, può poi essere messa in atto anche per assicurare quelle esportazioni verso paesi più sicuri, quando manca la fiducia nella controparte (per es. quando si entra in affari per la prima volta con un compratore sconosciuto di cui non si hanno informazioni commerciali). Il credito documentario è dunque uno strumento di regolamento garantito, che consiste in un impegno irrevocabile, assunto dalla banca estera del compratore a favore dell'esportatore, di pagare l'importo previsto dal credito contro la presentazione di documenti conformi. Una definizione molto asettica, ma chiara, la possiamo anche trovare nell'articolo 2 delle norme. Un principio base, che deve entrare nella mente di ogni persona che utilizza questi strumenti, è quello sancito dagli art. 3 e 4 - e cioè che tutta l'operazione è fondati sui documenti, e non sugli accordi sottostanti, siano essi contratti o semplici strette di mano. Sarà quindi l'esame dei documenti richiesti, e nient'altro, che permetterà alla banca incaricata di effettuare il pagamento o di rilasciare l'impegno di pagare alla scadenza. Un Credito Documentario deve essere chiaro, completo e preciso - Art. 5 - le banche, anche nel loro interesse, devono scoraggiare il tentativo di inserire nei crediti eccessivi dettagli, sia per

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quanto riguarda le istruzioni sia per quanto riguarda i documenti. Il beneficiario di un credito, ha comunque la possibilità di fare modificare quelle parti che non gradisce, sia richiedendo alla banca avvisante di intervenire sulla banca emittente (Via indiretta) sia contattando il cliente e richiedendo modifiche desiderate (Via diretta e solitamente più veloce). L'utilizzo di un credito è comunque un atto facoltativo, il beneficiario non è assolutamente obbligato a farlo, ma, se decide di utilizzarlo, dovrà sottostare alle norme che ne regolano l'operatività. Forma e Tipologia dei Crediti Documentari Nella forma un credito può essere revocabile o irrevocabile (Art. 6). In mancanza di esplicita indicazione nel testo il credito si intende irrevocabile. Con l'emissione di un Credito Documentario irrevocabile la banca emittente si impegna in maniera inderogabile nei confronti del beneficiario, a patto che tutte le condizioni siano correttamente rispettate(Art.9). Al contrario un credito revocabile può essere annullato o modificato in qualsiasi momento ed il beneficiario non può opporre alcuna eccezione, salvo pretendere il rimborso di documenti conformi presentati prima di ricevere l'avviso di annullamento o modifica (Art.8 ). L'accettare ed utilizzare un Credito Documentario revocabile espone il beneficiario ad un alto grado di rischio, che deve essere attentamente valutato. Un credito può essere avvisato direttamente dalla banca emittente, ma nella pratica questo non avviene quasi mai. La banca emittente si servirà invece di una banca avvisante, risiedente quanto più vicino possibile alla piazza di residenza del beneficiario. Questi può comunque indicare all'ordinante, preventivamente, quale è la sua banca preferita, o successivamente alla notifica, chiedere che il Credito venga appoggiato su altra banca più gradita. Tutto è più semplice quando il credito risulta "liberamente negoziabile" (available with any bank), questo significa che pur essendo stato avvisato dalla banca x, esso può essere utilizzato, presentandone il testo insieme ai documenti, presso qualunque banca gradita al beneficiario. Quando una banca avvisa un Credito Documentario al beneficiario significa anche che ha impiegato una ragionevole cura nel controllarne l'autenticità della provenienza. Se così non fosse la banca avvisata deve comunicare al beneficiario che non è stata in grado di controllarne l'autenticità, facendone chiara menzione all'atto dell'avviso. Sulla tipologia dei crediti documentari (art 9)è ora necessario fare una ulteriore distinzione

A) Crediti avvisati. - Nel credito avvisato l'intera responsabilità, vale a dire l'impegno irrevocabile (o revocabile) di pagamento ricade unicamente sulla banca emittente. Cosa vuol dire questo? Che a fronte di documenti conformi la banca emittente deve pagare senza eccezione (o rilasciare impegno di pagamento a scadenza o accettare le tratte emesse a suo carico).

B) Crediti confermati. - Nel credito confermato, un'altra banca (banca confermante) su autorizzazione della banca emittente, aggiunge il suo impegno inderogabile al pagamento, all'accettazione o al rilascio di impegno di pagare a scadenza. Questa aggiunta di conferma, quando avviene da parte di una banca del nostro paese, toglie al credito qualunque alea di rischio politico e commerciale, perché la banca italiana confermante eseguirà la prestazione di utilizzo dei documenti in Italia, dando all'esportatore la totale sicurezza che, a fronte di documenti conformi verrà pagato senza alcuna eccezione. Ovviamente questa conferma ha un costo: la commissione di conferma; che viene calcolata dalle banche in base a vari parametri, quali la rischiosità politica del paese dell'importatore, lo standing internazionale della banca

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emittente, la durata del credito, eventuali clausole particolari; in più, nel caso di pagamento a scadenza, sarà richiesta al beneficiario una commissione di "pagamento differito", che verrà calcolata in base agli stessi parametri. Queste commissioni si possono equiparare a tutti gli effetti a dei premi di assicurazione, che danno all'operatore la tranquillità assoluta sull'esito dell'esportazione.

L'art. 9 contiene ancora due importanti affermazioni:

1. Un credito può essere modificato; ma: A. è necessario l'accordo della banca emittente, della banca confermante e del

beneficiario. Queste modifiche vincolano le parti in momenti diversi: a) per la banca emittente il vincolo nasce nel momento dell'emissione della

modifica, cioè della sua comunicazione alle altre parti. b) Per la banca confermante nasce nel momento in cui avvisa la modifica al

beneficiario. Detta banca potrebbe anche rifiutare di aggiungere la conferma alla modifica, ma in questo caso deve chiaramente specificarlo sia al beneficiario che alla banca emittente.

c) Per il beneficiario la modifica è vincolante solo quando viene accettata; la presentazione di documenti conformi significa implicita accettazione della modifica.

B. non è corretto imporre al beneficiario un tempo limite per rifiutare la modifica, ma è bene che questi, per evitare confusioni, valuti subito la portata delle modifiche che gli vengono avvisate, e, se necessario, le rifiuti subito e per scritto.

C. Se con un unico avviso vengono comunicate più modifiche queste devono essere accettate o rifiutate in blocco, in quanto l'accettazione parziale non è consentita a nessuna delle parti.

2. Se un credito prevede l'emissione di tratte, queste dovrebbero essere emesse a carico della banca emittente o confermante, e non a carico dell'ordinante.

L'art. 10 continua la serie delle distinzioni sulla tipologia dei Crediti Documentari:infatti ogni credito deve chiaramente indicare se è utilizzabile per il pagamento a vista o a scadenza, per l'accettazione o la negoziazione. Un Credito Documentario può prevedere l'utilizzo dei documenti presso la stessa banca emittente, ma solitamente è previsto che ci sia una banca "designata", che è autorizzata a pagare, a rilasciare impegno di pagamento differito, ad accettare o negoziare tratte. Diversamente un credito può anche essere utilizzabile liberamente presso qualsiasi banca per negoziazione (any bank). Vediamo ora il significato dei termini di utilizzo. Un Credito Documentario può essere utilizzabile: - Per pagamento a vista (by payment). - Significa che la banca designata, contro la

presentazione di documenti conformi, paga in via liberatoria il beneficiario. è il tipo di pagamento più conveniente per l'esportatore, il quale viene pagato in via definitiva, ciò significa che, se anche i documenti, ad un successivo controllo, non fossero riscontrati in regola, questa contestazione non gli sarebbe più opponibile.

- Contro rilascio di impegno di pagamento differito (by deferred payment). - significa che la banca designata, contro presentazione di documenti in ordine, è autorizzata a rilasciare un impegno scritto incondizionato di pagamento ad una scadenza già preventivamente

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stabilita nel testo del credito . anche in questo caso si tratta di una prestazione a carattere liberatorio; tutte le vicende del credito o dei documenti che accadono dopo il rilascio dell'impegno non riguardano più il beneficiario. Nella forma l'impegno di pagamento differito corrisponde solitamente ad una lettera della banca designata indirizzata al beneficiario, nella quale, dopo un preciso richiamo ai dati del Credito Documentario, viene enunciato l'impegno di pagare una determinata cifra ad una determinata scadenza. Nella sostanza si tratta di un documento che si potrebbe equiparare ad una cambiale (promessa di pagamento a scadenza) e di valore certamente alto visto l'elevato standing di chi l'ha rilasciata. La stessa banca emittente l'impegno è solitamente favorevole allo sconto del medesimo, quando il beneficiario ha la necessità di attualizzare il ricavo, ed il tasso di sconto è certamente favorevole data l'assenza di rischio.

- Per accettazione (by acceptance). - Il significato è uguale al precedente. La banca incaricata, in questo caso, a fronte di documenti in regola accetta una cambiale a scadenza emessa a suo carico ed a favore del beneficiario del credito. Bisogna dire che le banche italiane, normalmente rifiutano di accettare un effetto, e rilasciano invece un impegno scritto; questo conferma tutto quanto già detto al punto precedente.

- Per negoziazione (by negotiation). - Si intende in questo caso, il riconoscimento al beneficiario, da parte della banca negoziatrice, di un importo a fronte di documenti conformi. Questo riconoscimento è però effettuato "salvo buon fine" e non in via liberatoria; vale a dire che le vicende dei documenti, successive a questo riconoscimento di corrispettivo, investono il presentatore beneficiario, mettendolo in pericolo anche per eventuali "non conformità" dei documenti, sollevati dalle banche emittenti a volte anche in maniera pretestuosa.

Vi è poi una particolare tipologia di Credito Documentario, molto frequente nella pratica, che presente le seguenti condizioni:

Utilizzo: per negoziazione presso una banca designata o qualsiasi banca. Conferma: No. Pagamento o rimborso: istruzioni di rimborso omesse; "a ricezione di documenti in

ordine la banca emittente provvederà direttamente a rimborsare la banca negoziatrice secondo le sue istruzioni.

Questa tipologia, particolarmente usata dalle banche dell'estremo oriente, è piuttosto pericolosa per il beneficiario, perché lo mette di fronte alla seguente situazione: - La banca negoziatrice esegue solo una semplice verifica dei documenti, non essendo in

grado di negoziarli effettivamente in quanto mancano, nel testo del Credito Documentario le istruzioni di rimborso; il vero esame definitivo, ed il successivo pagamento competono quindi alla banca emittente, che provvederà solo quando i documenti saranno giunti a destino e saranno stati controllati.

- l pagamento, anche se "a vista", sarà quindi dilazionato per il numero di giorni necessari al "viaggio" dei documenti ed al tempo occorrente per il loro controllo, sempre che, con pretestuosi cavilli, questo "tempo necessario", non venga artatamente dilazionato (per il tempo necessario al controllo dei documenti vedi il commento all'articolo 13).

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- Il rischio di smarrimento dei documenti è a totale carico del beneficiario, che non verrà pagato se i documenti non perverranno alla banca emittente per qualsiasi motivo. Lo smarrimento o un disguido nel recapito dei documenti è un'evenienza che per fortuna si verifica raramente, ma va comunque tenuta presente nella valutazione dei rischi e dei costi dell'imprenditore.

Facciamo un esempio: Caio spedisce un carico di merci particolarmente ingombranti in oriente via mare; il pagamento avverrà a vista presso la banca emittente "a ricezione documenti in ordine".La banca designata verifica i documenti (senza impegno come servizio di consulenza) e, rilevandoli in ordine, li spedisce alla banca emittente via corriere espresso. Dopo due settimane dalla partenza la merce arriva a destino; l'ordinante del credito richiede con urgenza i documenti in quanto necessari per lo sdoganamento. La banca designata, dopo un controllo, appura che il corriere ha smarrito i documenti, e si rende necessario l'emissione di duplicati. Il tempo tecnico necessario è di circa una settimana. La merce, in sosta nei magazzini doganali del porto di destinazione, sempre che non sia deperibile, paga una tassa che può anche essere molto alta. A questo punto il compratore, se non è un filantropo, può rifiutare la merce se i documenti sono giunti in ritardo, e quindi non pagare il credito, oppure obbligare il venditore ad accettare una riduzione del prezzo almeno pari alle spese di sosta. Ne il venditore può tentare di rivalersi sul corriere, che, come recitano chiaramente le polizze di trasporto dei documenti, è responsabile al massimo per il valore materiale dei documenti trasportati (cioè il valore della carta), e non per il valore che essi rappresentano. Nella sostanza questi crediti documentari sono dunque delle semplici operazioni di invio documenti al dopo incasso, con la sola maggior sicurezza data dalla irrevocabilità del Credito Documentario. Diverso discorso sarebbe stato se si fosse trattato di un vero credito di negoziazione con clausola di rimborso. In questo caso la banca negoziatrice avrebbe infatti avvisato la banca emittente dell'utilizzo, e questa avrebbe lamentato il mancato arrivo dei documenti dopo pochi giorni e non dopo due settimane. Meglio ancora, nel caso di Credito Documentario confermato, il rischio di viaggio dei documenti ricade sulla banca emittente dal momento in cui questi le vengono spediti, e quindi l'attenzione è ancora maggiore. La trasmissione delle istruzioni Nella prassi ordinaria i Crediti Documentari sono trasmessi in forma telematica autenticata; è quindi normalmente esclusa la forma epistolare, e, se una conferma scritta venisse inviata, sarebbe comunque inutile e priva di effetto, a meno che il messaggio telematico non specifichi che i dettagli contenuti nella lettera costituiscano parte integrante ed operativa del credito (art. 11). Se una banca emittente si avvale di una determinata altra banca per avvisare il credito, dovrà avvalersi della stessa anche per avvisare le modifiche e le eventuali riserve. Il preavviso di emissione di un credito può essere revocabile o irrevocabile, in questo secondo caso la banca che lo invia sarà vincolata secondo i termini stabiliti nel preavviso. Le istruzioni impartite dalle banche emittenti devono essere chiare, complete e precise. Una banca incaricata di notificare o confermare un credito non è tenuta a fornire alcuna prestazione in caso di incertezza sulle istruzioni, ma al massimo può fornire al beneficiario un semplice avviso a titolo informativo nelle more di ricevere le dovute precisazioni (Articolo 12). criteri generali per l'esame dei documenti. Momento culminante nella vita del Credito Documentario è quello della presentazione dei documenti alla banca incaricata. Tale attività, tecnicamente denominata "utilizzo" consiste nell'esame dei documenti e nell'esecuzione della prestazione, vale a dire il pagamento,

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l'accettazione di una tratta a scadenza o il rilascio di un impegno di pagamento. Prima di approfondire la delicata casistica dei singoli documenti, l'art. 13 fissa alcuni criteri generali per uniformare questa operazione in tutte le banche di tutto il mondo.

I. L'esame dei documenti deve essere eseguito con ragionevole cura per accertare la loro conformità formale al dettato del credito. Quindi le banche non devono fare un esame di carattere inquisitorio, sostituendosi agli organi finanziari o doganali, ma procedere con "ragionevole cura" ad un esame di carattere "formale".

II. Gli articoli delle Norme e Usi Uniformi stabiliscono una prassi bancaria internazionale; quindi l'esame dei documenti eseguito da banche italiane, coreane, marocchine, brasiliane o di qualunque altro paese, avviene secondo gli stessi criteri.

III. Esiste un "principio generale di concordanza dei documenti" che non è possibile trascurare, e che deve guidare tutta la procedura dell'esame.

Se vengono presentati documenti non richiesti le banche (nessuna delle banche coinvolte nel credito) non li esamineranno, e li respingeranno al presentatore, a meno che venga loro richiesto, senza responsabilità, ed al di fuori delle condizioni del credito, di inoltrarli all'ordinante. Ogni banca ha a disposizione un ragionevole periodo di tempo per esaminare i documenti presentati, ma questo periodo non può comunque eccedere i sette giorni lavorativi. Se un credito prevede una determinata condizione, ma non è richiesto nessun documento relativo a tale previsione, essa sarà ignorata dalle banche. Facciamo un esempio:

a. il beneficiario deve dare avviso di spedizione all'ordinante entro due giorni dalla data di partenza della nave. CONDIZIONE NON DOCUMENTALE

b. il beneficiario deve dare avviso di spedizione via fax all'ordinante entro due giorni dalla data di partenza della nave, il report del fax deve essere allegato ai documenti. condizione documentale

Il buon senso comunque consiglia di chiedere all'ordinante una sollecita modifica del credito che cancelli la condizione non documentale o specifichi il documenta richiesto. documenti discordanti. A fronte di documenti conformi, presentati entro i termini previsti, la banca emittente o confermante è contrattualmente obbligata a rimborsare la banca designata e quindi il beneficiario (Art. 14). Bisogna tenere presente che, superato il termine di scadenza, cessano gli obblighi contrattuali delle banche operanti, che possono anche rifiutare i documenti nonostante il benestare dell'ordinante. Nei casi ordinari comunque, la banca designata, che rilevi documenti non conformi, è tenuta a darne avviso entro il termine stabilito di sette giorni lavorativi alla banca da cui li ha ricevuti o al beneficiario presentatore, specificando tutte le discordanze ed indicando se i documenti vengono resi o tenuti a disposizione. È importante ricordare che il beneficiario ha il diritto di sostituire i documenti non conformi con altri nuovi fino alla scadenza del credito; ed il nuovo esame potrà riguardare solo i nuovi documenti, mentre quelli riscontrati in ordine nel primo esame non potranno più essere contestati.

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CAPITOLO 9

I FINANZIAMENTI AGEVOLATI E LA CREAZIONE DI NUOVA IMPRENDITORIALITÀ

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9.1 Cos’è la finanza agevolata Per finanza agevolata si intende l’insieme degli investimenti a favore delle imprese, che agevolano lo sviluppo di progetti in termini di copertura del fabbisogno finanziario, affiancando l’impresa durante tutte le fasi necessarie per l’ottenimento delle agevolazioni, siano esse comunitarie, nazionali o regionali. Quindi, possiamo definire la finanza agevolata qualsiasi strumento che il legislatore mette a disposizione delle imprese in termini di “vantaggio competitivo” che si può esprimere in termini economici, incidendo positivamente sullo sviluppo aziendale, ristrutturando e rilanciando le imprese. Pertanto, può considerarsi finanza agevolata anche una legge che preveda, ad esempio, sgravi fiscali per l’assunzione agevolata di personale disabile. Ma nel linguaggio comune del termine, “finanza agevolata” si riferisce agli interventi di legge che tipicamente vanno a finanziare attività di investimento e di sviluppo aziendale. La finanza agevolata non deve mai prescindere dal concetto di “tipologia di investimento ammissibile”, che deve indicare il tipo di investimento (immobili, macchinari, ricerca, risorse umane, ecc.) ideato e dunque possibile. Alcuni strumenti non hanno un ambito specifico di riferimento e quindi possono coprire più “tipologie di investimento” (ad esempio la Legge Regionale 35/96, pensata come legge “quadro” di sviluppo per la piccola e media impresa, la quale prevede diverse misure a seconda del tipo di politiche di sviluppo che l’azienda intende perseguire). Alcuni strumenti sono più particolari, nel senso che risultano attivabili solo se l’investimento rientra in una specifica tipologia di spesa ammissibile (ad es. la L. 46/82 artt. 14 e 16 riferita esclusivamente a politiche ed azioni di ricerca e sviluppo e di innovazione tecnologica). Per quanto riguarda sempre gli strumenti legislativi, possiamo distinguere gli interventi comunemente denominati “a pioggia” i quali non discriminano il progetto sulla base di logiche qualitative ma erogano l’agevolazione per il semplice fatto che l’investimento sia realizzato (ad es. la Legge 449/97), da quelli “mirati” che erogano l’agevolazione sulla base delle caratteristiche qualitative del progetto presentato, che viene valutato tecnicamente in termini di corrispondenza con i principi, con lo spirito e con le indicazioni specifiche dalla normativa (ad es. L. 215/92 sull’imprenditorialità femminile). In ordine di importanza presentiamo le principali fonti della finanza agevolata: Legislazione comunitaria: Il legislatore di Bruxelles prevede un’ampia serie di strumenti

di finanza agevolata (programmi, quadri strutturali, ecc.), sia direttamente applicabile in ciascuno degli stati membri (e quindi direttamente utilizzabile dalle imprese) sia indirettamente gestita dal legislatore nazionale (Governo o Regioni).

Legislazione nazionale: Il Governo Italiano per mezzo dei vari ministeri promulga continuamente una serie di leggi, decreti e regolamenti riferiti a politiche di agevolazioni delle imprese.

Legislazione regionale: Le Regioni attuano delle politiche di intervento a favore delle piccole e medie imprese attraverso la pubblicazione di numerose leggi regionali di aiuto.

Strumenti di finanza agevolata possono anche essere pensati e attuati dalle Province, dai Comuni, dalle Camere di Commercio, e anche da enti privati come le Associazioni di categoria e da Istituti bancari. Beneficiari e settori di appartenenza: piccole, medie e grandi imprese

9.2 Definizione di piccola, media e grande impresa

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I criteri per distinguere le aziende che richiedono agevolazioni finanziarie sono diversi e spesso sono combinati tra di loro. Elenchiamo i principali criteri: per dimensione di impresa (piccola, media, grande) per tipologia di attività (artigiana, turistica, di servizi, ecc.) per settore produttivo (siderurgica, tessile, navale, ecc,) per localizzazione geografica (luogo dove viene realizzato l’investimento). La distinzione per dimensione di impresa è senza dubbio la più importante e rilevante. Attualmente esiste solo una definizioni di “piccola e media impresa” (PMI), considerando grandi imprese, per logica esclusione tutte le altre. Il concetto di piccola e media impresa stabilito dall’Unione Europea non va considerato in senso assoluto. Infatti, per esempio, il legislatore italiano, può legittimamente stabilire limiti dimensionali diversi e, talvolta, più restrittivi. Lo stesso capita nel caso di programmi europei specifici che determinano soglie non necessariamente coincidenti con quelle di PMI. La definizione è stata stabilita, a livello comunitario, nella raccomandazione pubblicata sulla GUCE del 30/04/1996. Questa raccomandazione risulta successivamente recepita dal legislatore nazionale col decreto del Governo 18 settembre 1997 e dalla Regione Lombardia col DGR. Regione Lombardia 37849. La normativa comunitaria definisce la PMI attraverso tre criteri: 1. Numero di dipendenti 2. Fatturato/attivo patrimoniale (requisito economico/finanziario) 3. Requisito dell’indipendenza economica. Ricordiamo che i requisiti devono rientrare tutti e tre nelle soglie stabilite. 9.2.1 Numero di dipendenti Il numero di dipendenti di un’impresa si calcola in base all’unità lavorativa anno (U.L.A.), cioè il numero medio mensile di dipendenti occupati a tempo pieno durante un anno. Un esempio pratico: 120 dipendenti a tempo pieno per tutto l’anno corrispondono a 120 U.L.A., 1 dipendente a tempo pieno occupato per 6 mesi corrisponde a 0,5 U.L.A., 2 dipendenti a tempo pieno occupati per 6 mesi corrispondono ad 1 U.L.A. Se nell’impresa lavorano tra 1 e 49 U.L.A. essa è considerata piccola, se ne lavorano tra 50 e 249 è considerata media, se il numero di U.L.A. è superiore a 249 l’impresa è considerata grande. 9.2.2 Fatturato/attivo patrimoniale I criteri di fatturato annuo e totale di bilancio si possono alternare tra di loro nel senso che è sufficiente che un’azienda rispetti un solo parametro per poter essere inserita in una delle due categorie (piccola o media impresa). Per fatturato annuo si intende l’importo netto del volume di affari comprendente le vendite e le prestazioni di servizi che costituiscono l’attività ordinaria dell’impresa, diminuiti degli sconti ed abbuoni concessi alle vendite, dell’IVA e delle altre imposte direttamente connesse con la vendita. I limiti di fatturato per classificare le imprese sono i seguenti: sono piccole imprese quelle con un fatturato non superiore a 7 milioni di euro, oppure

con un totale di bilancio annuo non superiore a 5 milioni di euro

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sono medie imprese quelle con fatturato non superiore a 40 milioni di euro, oppure con un bilancio annuo non superiore a 27 milioni euro

sono grandi imprese quelle con un fatturato superiore a 40 milioni di euro, oppure con un bilancio annuo superiore a 27 milioni di euro.

Il totale di bilancio: viene calcolato secondo i criteri stabiliti nel DPR 689/74 e secondo le previsioni dell'art. 2423 e ss. del Codice Civile. Sia il fatturato che l’attivo patrimoniale sono quelli dell’ultimo esercizio contabile approvato precedentemente la domanda di agevolazione. Beneficiari e settori di appartenenza: piccole, medie e grandi imprese 9.2.3 Requisito dell’indipendenza Come detto precedentemente, affinché esista una PMI, deve essere rispettato anche un terzo parametro, cioè quello dell’indipendenza. Si considera “indipendente” l’impresa il cui capitale o diritti di voto non siano detenuti per più del 25% da una o più imprese non conformi alle definizioni di piccola e media impresa. Quindi, nel caso più del 25% del capitale sociale o dei diritti di voti dell’impresa richiedente l’agevolazione siano detenuti da una o più imprese, i parametri di cui sopra si devono applicare anche con riguardo alle controllanti; la somma dei valori delle varie imprese non deve superare quella definita dai parametri. Ci sono alcune eccezioni grazie alle quali la soglia del 25% può essere superata: a. Se il capitale è detenuto da società di investimenti pubblici, società di capitali di rischio o

investitori istituzionali esclusivamente nel caso in cui questi non esercitino alcun controllo individuale o congiunto dell’impresa;

b. Se il capitale è disperso in modo tale che sia impossibile determinare da chi è detenuto il capitale di controllo e l’impresa dichiara di poter legittimamente presumere la sussistenza delle condizioni di indipendenza.

Schema riassuntivo delle piccole, medie e grandi imprese

Parametri di classificazione

Numero addetti

Fatturato/attivo patrimoniale

Indipendenza

Piccole imprese

Non superiore a 50 persone

Non superiore a 7 milioni di Euro

L’impresa non deve essere controllata per più del 25% da altre aziende non rientranti nei limiti PMI

Medie imprese

Non superiore a

250 persone

Non superiore a 40 milioni di Euro

L’impresa non deve essere controllata per più del 25% da altre aziende non rientranti nei limiti PMI

Grandi imprese

Più di 250 addetti

Superiore a 40 milioni di Euro

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9.3 Settori di appartenenza 9.3.1 Imprese commerciali e di servizi Per le imprese commerciali e di servizi le soglie dimensionali di piccola e media impresa hanno subito delle variazioni nei seguenti termini: Numero dipendenti: piccola impresa meno di 20, media impresa meno di 95; Fatturato: piccola impresa meno di 2,7 milioni di euro; media impresa meno di 15

milioni di euro; Attivo patrimoniale: piccola impresa meno di 1,9 milioni di euro; media impresa meno di

10,1 milioni di euro. Esistono poi agevolazioni per particolari tipi d’impresa. In particolare enti come le Regioni, le Camere di Commercio o le associazioni di categoria concedono molto frequentemente agevolazioni di varia natura, dai contributi a fondo perduto per acquisire apparecchiature ai crediti agevolati alle imprese artigiane. Un’altra categoria di beneficiari delle agevolazioni è costituita da imprese di settori industriali “particolari” per cui la Commissione Europea ha stabilito una deroga al normale regime degli aiuti di stato. I settori industriali beneficiari di una disciplina speciale per quanto riguarda gli aiuti sono: Industria tessile Industria tessile e dell’abbigliamento Industria delle fibre sintetiche Industria automobilistica Prodotti siderurgici fuori CECA Costruzioni navali Trasporti Agricoltura Pesca ed acquacoltura

9.4 Gli enti erogatori Innanzitutto l’ente erogatore è il soggetto, a livello europeo, nazione o regionale, deputato alla gestione dello strumento finanziario di agevolazione e, di conseguenza, il riferimento principale per ottenere tutte le informazioni tecniche ad esso relative. È importante conoscere i principali soggetti dell’amministrazione comunitaria, statale e regionale che gestiscono alcuni tra i più utilizzati strumenti di agevolazione a livello europeo nazionale e regionale. La distinzione delle competenze, dunque viene fatta su base nazionale: 1. Enti a livello europeo 2. Enti a livello nazionale 3. Enti a livello regionale o locale. 1) a livello comunitario le agevolazioni sono gestite da diverse direzioni generali ognuna delle quali ha le sue competenze specifiche, in alcune occasioni la gestione dei programmi è appaltata a società esterne (ad esempio il programma Leonardo). Elenchiamo alcune direzioni:

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a. Direzione generale delle imprese: Questa direzione generale ha competenza sull’industria, politiche delle imprese, commercio, turismo e cooperative, innovazione. Tra le agevolazioni gestite da questa direzione possiamo elencare: II e III programma pluriennale per le PMI Agevolazioni a favore dell’internazionalizzazione e dell’accesso ai mercati

finanziari delle imprese (jev, seed capital, ecip, ecc.) Iniziative di agevolazione per promuovere l’innovazione delle PMI nell’ambito del

V programma quadro di ricerca e sviluppo industriale. b. Direzione generale Occupazione e affari sociali: Questa direzione ha la responsabilità di

iniziative e programmi nel campo della lotta alla disoccupazione, alle discriminazioni ed al disagio sociale.

c. Direzione generale dei trasporti: Questa direzione gestisce alcuni programmi finalizzati allo sviluppo di sistemi di trasporti anche di notevole portata: PACT (Promotion of Combinated Transport) TENT (Trans European Transport Network) Sezione Trasporti del V programma quadro di ricerca e sviluppo

d. Direzione generale dell’ambiente: Nell’ambito della politica ambientale della Comunità vengono gestite dalla direzione generale: lo strumento finanziario Life ambiente (rispetto dell’ambiente) gli strumenti finanziari Altener/Save (risparmio energetico ed energie alternative) altri strumenti finanziari in tema ecologico la sezione ambiente del V Programma Quadro

e. Direzione generale Ricerca: Questa direzione gestisce la principale fonte di finanziamenti per la ricerca nella Comunità: il V programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico. Lo scopo di questo programma è elevare la qualità della ricerca in Europa per poter competere a livello mondiale con ricadute positive per cittadini ed imprese. Una misura è specificatamente dedicata alle PMI.

f. Direzione generale per la società dell’informazione: Questa direzione generale gestisce i programmi di ricerca nel campo delle nuove tecnologie e della società multimediale.

g. Direzione generale per la politica regionale: Questa direzione è responsabile dell’utilizzo dei fondi strutturali (FESR e fondo di coesione) attraverso cui vengono Direzione generale per l’energia: Gli strumenti gestiti dalla direzione generale energia sono numerosi e riguardano principalmente interventi a favore dell’utilizzo non inquinante di fonti di energia alternative. In particolare vengono gestiti i programmi Save Altener Carnet Synergy Energie Thermie Interreg II Trans European energy network ECSC coal research

i. Direzione generale per lo sviluppo: Questa direzione generale gestisce numerosi strumenti di intervento in paesi extra UE a favore dello sviluppo. Molte agevolazioni sono indirizzate a progetti che coinvolgono imprese comunitarie.

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j. Direzione generale per le relazioni esterne: Nell’ambito della sua funzione di controllare le relazioni esterne della UE la direzione generale gestisce il programma TACIS per lo sviluppo economico e sociale delle repubbliche ex sovietiche che presenta interessanti opportunità per le imprese comunitarie.

k. Direzione generale per l’istruzione e cultura: Questa direzione gestisce importanti programmi finalizzati alla formazione dei giovani che possono essere anche di interesse imprenditoriale come il programma Leonardo, Socrates ed altri ancora. Altri programmi interessanti gestiti da questa direzione per le imprese che operano in campo culturale sono Cultura 2000 e Raffaello.

l. Direzione generale per l’allargamento: nell’ambito delle trattative allargamento della Comunità europea sono stati istituiti alcuni programmi finalizzati a mettere i paesi candidati in condizione di competere con gli Stati membri; i programmi più importanti sono: PHARE programma dedicato allo sviluppo di infrastrutture economiche e sociali ISPA dedicato ad ambiente e trasporti SAPARD dedicato ad agricoltura e sviluppo rurale Il Servizio comune per le relazioni esterne gestisce dal punto di vista tecnico operativo le relazioni esterne della Comunità. Nell’ambito di questa funzione gestisce alcuni interventi di aiuto della Comunità Europea che possono costituire delle ottime “business opportunità” per le imprese.

h. Direzione generale dell’agricoltura: Gestisce la politica agricola comune e le iniziative promozionali in campo agricolo.

Altri enti a livello europeo sono: la Banca Europea degli Investimenti (BEI), Fondo Europeo degli Investimenti, la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BEAS), la Banca Mondiale.

2) a livello nazionale le agevolazioni vengono concesse tipicamente a mezzo di interventi gestiti dai vari Ministeri. I principali ministeri coinvolti sono i seguenti: a. Ministero delle Sviluppo economico

Direzione generale per il coordinamento degli incentivi alle imprese: questa direzione ha la funzione promuovere e coordinare gli incentivi al sistema industriale e di distribuzione, di coordinare i programmi nazionali con i programmi comunitari e regionali.

Direzione generale per lo sviluppo produttivo e la competitività: questa direzione ha la funzione di coordinamento delle politiche industriali con particolare riferimento al coordinamento con le politiche comunitarie, quelle rivolte alle PMI e quelle relative all’innovazione industriale.

Direzione per il Commercio Estero: coordina gli interventi a favore dell’internazionalizzazione delle aziende. Il servizio per il coordinamento per gli Strumenti e degli studi in materia di internazionalizzazione delle attività produttive e le divisioni I e II di questo servizio coordinano gli strumenti per l’Internazionalizzazione, verificandone l’efficacia.

b. Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica: Dipartimento per il potenziamento e lo sviluppo delle attività di ricerca: questo dipartimento coordina le

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politiche nel campo della ricerca scientifica anche nelle sue applicazioni industriali. Tra i più importanti programmi gestiti vi è il V programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico dell’Unione Europea, un programma per la ricerca scientifica che ha tra i suoi destinatari anche le PMI.

c. Ministero del lavoro e sviluppo sociale .Gestisce tutti gli strumenti di incentivazione del lavoro, delle assunzioni, della formazione e della promozione delle pari opportunità fra uomo e donna.

d. Ministero dell’economia e Finanze Dipartimento delle Politiche di Sviluppo e della Coesione Economica. Questo dipartimento costituisce una struttura finalizzata a progettare e realizzare investimenti in infrastrutture e capitale sociale ed incentivare iniziative industriali e servizio del territorio. Tra gli strumenti coordinati da questo dipartimento vi sono i patti territoriali, gli accordi istituzionali, le assegnazioni di fondi Cipe.

Alcuni enti privati a livello nazionale che possiedono le competenze necessarie sono: Sviluppo Italia, Istituto per il Commercio Estero (ICE), SACE, Società Italiana per le Imprese all’Estero (SISMEST), Medio Credito Centrale (MCC)

3) a livello regionale troviamo le Regioni e le Camere di Commercio: Le Regioni rivestono un ruolo fondamentale nell’erogazione di contributi alle imprese

anche e soprattutto alla luce del decentramento istituzionale iniziato con il passaggio delle funzioni in tema di mercato del lavoro e di occupazione dagli organi centrali a quelli periferici. Tale passaggio ha comportato un’autonomia crescente degli enti locali che dispongono ora di propri fondi per governare lo sviluppo e l’economia su base regionale.

Le Camere di Commercio costituiscono un’importante snodo della gestione delle agevolazioni. In alcuni casi esse costituiscono l’ente che materialmente raccoglie le domande di agevolazione e le trasmette agli enti erogatori del beneficio (si prenda ad esempio il caso della “rottamazione delle licenze commerciali” - decreto 23/06/1999, n.2529 - in cui il beneficio era concesso dal Ministero dell’Industria ma la domanda è presentata presso le Camere di Commercio che ne verificavano la regolarità formale per poi lasciare al Ministero l’istruttoria della pratica e l’erogazione del beneficio). Molto frequentemente le Camere di Commercio concedono agevolazioni utilizzando fondi propri; spesso esse si indirizzano verso imprese artigiane, turistiche commerciali. Questi bandi sono caratterizzati da una maggiore semplicità di attivazione rispetto ad altri tipi di strumenti, soprattutto quando riguardano i “microinvestimenti”.

9.5. Zone geografiche di intervento La definizione di “zona d’intervento” è molto importante perché permette all’imprenditore di conoscere se sul territorio in cui opera sono previsti strumenti agevolativi. Alcune tipologie di finanziamento sono applicabili sul tutto il territorio nazionale, altri si riferiscono a specifiche zone, più o meno svantaggiate oppure prevedono percentuali di agevolazioni differenti a seconda che l’investimento sia realizzato o meno in queste zone. Quindi, la prima cosa da fare è quella di valutare se la normativa di finanziamento è

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applicabile al luogo dove si intende realizzare il progetto, in alcuni casi, ha valenza la residenza dell’imprenditore che dovrà gestirlo. 9.5.1 Alcuni concetti territoriali Di seguito esamineremo alcuni concetti territoriali più ricorrenti nelle leggi di agevolazioni (infatti, esistono ulteriori criteri geografici): 1. Zone “obiettivo” UE 2. Zone in deroga art.87.3c del Trattato di Roma 3. Zone a rilevante squilibrio tra domanda e offerta di lavoro (ex L.236/93) 4. Zone di intervento per programmi specifici (ad esempio PIC) 9.5.1.1 Zone obiettivo UE In questo obiettivo sono racchiuse le zone svantaggiate dell’UE dove si concentra maggiormente l’azione legislativa della comunità. Le zone prendono il nome dagli obiettivi, cioè dalle politiche di sviluppo programmate su sei anni dall’UE (attualmente sono in vigore quelli definiti per il periodo 2000-2006, precedentemente si riferivano agli anni 1994-1999). Per realizzare tali obiettivi gli strumenti utilizzati dall’UE sono il Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FESR), il Fondo Sociale Europeo (FSE), il Fondo Europeo Agricolo di Orientamento e di Garanzia (FEAOG), lo Strumento Finanziario di Orientamento per la Pesca (SFOP), il Fondo di Coesione (destinato agli ultimi stati entrati nell’ UE con un PIL procapite inferiore al 90% a quello comunitario).Lo scopo dei fondi è quello di finanziare investimenti per infrastrutture di base, riqualificare la forza lavoro e recuperare aree industriali in declino. 9.5.1.2 Zone in deroga art. 87c del Trattato di Roma L’art. 3 del Trattato di Roma afferma che l’Unione Europea promuove “un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno”, cioè si disciplinano le regole sulla concorrenza, vietando quei comportamenti che “sono incompatibili con il mercato comune e tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di impresa e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune (art. 85)”. In specifico si stabiliscono le condizioni di incompatibilità degli aiuti di Stato con le regole di concorrenza vigenti nel mercato unico. L’art. è composto da altri due paragrafi, che permettono al legislatore nazionale interventi ammissibili. In dettaglio l’art. 87 prevede che: 1. Salvo deroghe, sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano

sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.

2. Sono compatibili con il mercato comune: a. gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano

accordati senza discriminazioni determinate dall’origine dei prodotti

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b. gli aiuti destinati a riparare i danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali

c. gli aiuti concessi all’economia di determinate regioni della repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione.

3. Possono considerarsi compatibili con il mercato comune: a. gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita

sia particolarmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione b. gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di

comune interesse europeo oppure risolvere una grave crisi economica di uno Stato membro

c. gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di alcune attività o di alcune regioni, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse

d. gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nella Comunità in misura contraria all’interesse comune

e. le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione.

Di conseguenza, in base alla deroga di cui all’art. 87 comma 3 punto C, il legislatore nazionale ha la possibilità di definire una serie di zone in cui gli aiuti di stato sono considerati ammissibili. Se quindi le zone obiettivo rispondono ad esigenze di sviluppo positivo a livello strutturale da parte dell’Unione Europea, le zone in deroga 87.3c rispondono alla diversa logica di regime di aiuto di Stato autorizzato perché non lesivo della concorrenza. Le zone 87.3c vanno quindi a completare, a sovrapporsi e a integrare l’elenco delle zone obiettivo. I principali strumenti agevolativi nazionali (ad es. la legge 488) sono applicabili sia nelle zone obiettivo che in quelle in deroga, pur con margini di contribuzione diversa a seconda che l’investimento venga realizzato nelle une o nelle altre zone. Si tenga presente che la possibile sovrapposizione tra le diverse zone implica il fatto che molte aree obiettivo sono anche zone in deroga, mentre alcune zone in deroga possono anche non essere zone obiettivo. 9.5.1.3 Zone a rilevante squilibrio tra offerta e domanda di lavoro (ex L. 236/93) La definizione di “zona a rilevante squilibrio tra domanda e offerta di lavoro, ricorrente nelle normative (ad es. la L. 608/96 meglio conosciuta come “prestito d’onore”) fa riferimento a quanto stabilito dalla L. 236/93. Tale legge ha infatti stabilito che, in alcune aree dove la disoccupazione è significativamente superiore alla media, dette appunto “a forte squilibrio occupazionale” possano essere autorizzati interventi agevolativi. Il decreto che ha individuato queste aree è stato emanato dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale in data 14 marzo 1995. Nell’elenco delle aree “a rilevante squilibrio tra domanda e offerta di lavoro” ci sono numerosi comuni del Centro e del Nord Italia, individuati normalmente sulla base della dimensione della “circoscrizione occupazionale per l’impiego”. 9.5.1.4 Zone di intervento per programmi specifici: PIC

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Quest’intervento agevolativo è mirato a finanziare aree geografiche caratterizzate da problematiche specifiche. Tali zone sono prese in considerazione per le caratteristiche assolutamente “speciali” sia a livello territoriale che a livello socio-economico del luogo. Di seguito solo alcuni esempi di intervento “speciale”: PIC RESIDER II: “Recupero a finalità prevalentemente pubbliche di siti siderurgici

dimessi”, cioè si prevedono interventi comunitari mirati alla riconversione di territori a forte presenza di aziende del settore della siderurgia

PIC KONVER: si prevedono interventi a sostegno della riconversione di territori dove era significativa la presenza dell’industria bellica

PIC INTERREG: interventi a sostegno di aree “di confine” tra due o più stati membri.

9.6. Aiuti di Stato La Commissione e la Corte di Giustizia dell’UE hanno stabilito che si può considerare aiuto di Stato qualsiasi vantaggio, suscettibile di valutazione economica, concesso dalle autorità pubbliche a favore di un’impresa senza contropartita o con una contropartita che vi corrisponda un finanziamento con risorse statali, concesso da organismi pubblici o enti privati autorizzati o istituiti dallo Stato (ad esempio sindacati, associazioni di categoria, società di partecipazione e gestione finanziaria o addirittura società commerciali). La selettività è una caratteristica importante per identificare un aiuto di Stato: non sono considerati aiuti i “provvedimenti generali” di sostegno economico, applicabili a tutte le imprese in tutti settori di produzione in quanto espressione delle scelte di politica economica degli Stati (ad esempio gli Stati sono liberi di imporre alle aziende il livello di tassazione che ritengono più opportuno). È invece considerato aiuto di stato una misura a favore di una singola azienda o di un singolo settore produttivo. 9.6.1 Principi generali Sono considerati aiuti ammissibili quelli che per la loro esiguità non mettono in pericolo la concorrenza (regola del “de minimis”, della quale parleremo più avanti) e quelli che, avendo per oggetto mercati esclusivamente nazionali o extra comunitari, non incidono sulla concorrenza all’interno della Comunità; in realtà, dal momento che è sufficiente che la minaccia alla concorrenza nel mercato unico sia potenziale, queste due ultime ipotesi sono state largamente svuotate di significato. In pratica anche gli aiuti mirati a sostenere le imprese su mercati nazionali o comunitari rientrano tra gli aiuti di Stato disciplinati dalla normativa. 9.6.2 Competenze della Commissione Nel campo degli aiuti la Commissione ha le competenze più importanti, in quanto. Sorveglia che gli Stati rispettino le regole sugli aiuti di Stato: la Commissione deve

accertare che le imprese non ricevano aiuti illegali ed inoltre, accertarsi che gli aiuti già concessi vadano a buon fine. La Commissione, quando lo ritenga necessario, ha il potere (come prevede il regolamento 659/1999) di recuperare gli aiuti concessi indebitamente più gli interessi legali.

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Autorizza discrezionalmente gli aiuti a singole imprese e regimi di aiuto nei casi in cui gli Stati sono obbligati a notificarli preventivamente: gli aiuti di stato devono essere notificati alla Commissione che ne verifica non solo l’ammissibilità secondo il trattato, ma anche la loro compatibilità con il mercato comune. La notifica riguarda tutti gli aiuti (a parte le eccezioni per gli aiuti “de minimis”)

Emana regolamenti che disciplinano le condizioni in cui determinate categorie di aiuti sono considerate sempre ammissibili e non notificabili: La Commissione stabilirà, esclusivamente per quanto riguarda materie specificate dal regolamento, i limiti anche quantitativi e tutte le modalità per cui gli stati potranno concedere aiuti alle imprese senza dover richiedere l’autorizzazione alla Commissione. Il Legislatore comunitario ha considerato che gli aiuti in particolari settori (piccole e medie imprese, ricerca e sviluppo formazione, ecc.), se contenuti in limiti specifici, non costituiscono un pericolo per la concorrenza ma anzi sono un importante strumento di sviluppo sociale.

9.6.3 Aiuti ammessi Il Trattato di Roma all’art. 92 (ora 87), stabilisce anche le tipologie di aiuti che sono sempre ammessi: Aiuti di Stato a carattere sociale concessi al singolo consumatore senza discriminazioni di origine del prodotto. Ad esempio sono stati considerati tali, gli aiuti sulla rottamazione dei veicoli in quanto l’aiuto era concesso al consumatore e non alle case automobilistiche ed in condizioni di parità tra le case automobilistiche nazionali ed estere. Aiuti in caso di calamità naturali od altri eventi eccezionali. In questo caso il potere di vigilanza della Commissione si basa solo nel verificare effettivamente che gli Stati rispettino i presupposti della norma, ad esempio impedendo che a fronte di un evento naturale che non ha causato gravi danni vengano concessi aiuti alle imprese assolutamente sproporzionati e perciò che gli assicurino un vantaggio competitivo. 9.6.4 Discipline orizzontali e discipline settoriali Il divieto degli “aiuti di stato”, ha anche la finalità di promuovere alcuni settori particolarmente strategici per l’UE. Sono nate così le “discipline”, atti normativi attraverso i quali la Commissione Europea ha chiarito la propria posizione nei confronti di alcune particolari categorie di stato. In particolare esistono due categorie di discipline: “orizzontali” e “settoriali” Discipline orizzontali Riguarda aiuti di stato applicabili senza vincoli geografici e finalizzati a sostenere la modernizzazione e lo sviluppo delle aziende nei confronti di alcune problematiche di portata generale e di particolare importanza (come ad esempio la tutela dell’ambiente). Le principali discipline orizzontali sono: aiuto alla ricerca e sviluppo aiuti alle PMI aiuti per la tutela dell’ambiente aiuti per il salvataggio e la ristrutturazione aiuti all’occupazione e formazione

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Discipline settoriali Le discipline settoriali, adottate dalla Commissione, esprimono la sua posizione nei riguardi degli aiuti di stato in settori economici particolari caratterizzati, generalmente, da situazioni di crisi o da necessità di ristrutturazione. In generale la Commissione vuole assicurarsi che gli aiuti non abbiano finalità assistenziali ma costituiscano uno strumento di rinnovamento e riassestamento di settori in crisi. Le discipline settoriali sono le seguenti: industria tessile e dell’abbigliamento industria delle fibre sintetiche industria automobilistica prodotti siderurgici fuori CECA costruzione navale Il sistema delle discipline illustrato in precedenza è tuttora vigente anche se alcune modifiche rilevanti sono già state apportate .In particolare, il regolamento del Consiglio n.994/98 attribuisce alla Commissione il potere di emanare regolamenti in materia di aiuti di Stato nelle seguenti materie fino ad ora ricomprese nelle discipline orizzontali e in tema di aiuti con finalità regionale. Il regolamento fissa i principi generali cui deve attenersi la Commissione per regolamentare gli aiuti di stato. I regolamenti devono contenere: finalità dell’aiuto le categorie dei beneficiari i massimali espressi o in termini di intensità dell’aiuto in relazione ad un insieme di costi ammissibili o in termini di importi massimi le condizioni relative al cumulo degli aiuti le condizioni del controllo sui massimali o le condizioni della notifica per singoli aiuti. I regolamenti possono escludere certi settori dal loro ambito di applicazione o subordinare a condizioni la concessione di aiuti. 9.6.5 Aiuti di Stato alle PMI I principi fondamentali dell’intervento statale a favore delle PMI si riferiscono al carattere di “incentivo” dell’aiuto (non deve avere come unico effetto di ridurre in maniera continuativa e periodica i costi normali di gestione dell’impresa) e al fatto che sia finalizzato a realizzare degli obiettivi, di interesse comune, che l’azienda non potrebbe affrontare con il ricorso al mercato. Le tipologie degli investimenti sono definite dal legislatore comunitario e, per ogni tipologia, è prevista una differente intensità di aiuto in funzione che l’impresa sia situata in una zona obiettivo oppure no. 9.6.6 Regola del “de minimis” Per semplificare la normativa relativa alla regolamentazione degli aiuti di stato, la Commissione ha quindi introdotto una regola denominata “de minimis” (ossia regola del “valore minimo”). Tale norma stabilisce che, al di sotto di una determinata soglia quantitativa, gli aiuti possano essere erogati alle imprese senza che l’ente erogatore notifichi lo strumento alla Commissione Europea (notifica altrimenti obbligatoria). Per l’ente emanatore applicare il “de minimis” significa non doversi farsi carico delle lunghe procedure di notifica, acquisendo maggior efficienza ed efficacia normativa e gestionale. l’importo massimo erogabile in regime

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di “de minimis” èdi 200.000 Euro. Il massimale di “de minimis” si riferisce al totale delle agevolazioni, in qualsiasi forma, ottenute dall’impresa in un periodo di tre anni. Dal punto di vista dell’impresa il massimale è una sorta di tetto, riferito ad un periodo triennale, del totale delle agevolazioni ottenibili da strumenti sottoposti a regime di “de minimis”.Prima di fare domanda su una legge sottoposta al regime di “de minimis” è fondamentale che l’azienda accerti se nei due anni precedenti alla domanda abbia già ricevuto agevolazioni pubbliche e, in caso positivo, quale ne sia stato l’ammontare e se le stesse agevolazioni fossero sottoposte o meno alla regola del “de minimis” (in caso positivo bisogna verificare di non aver già raggiunto il massimale di 200.000 Euro). L’aver usufruito di un aiuto di Stato in regime di “de minimis” non pregiudica comunque all’impresa di poter percepire altri aiuti di Stato su altre forme di intervento specificamente ammissibili. Fondamentale è poi il rispetto del principio generale della non cumulabilità tra gli strumenti agevolativi implicante il fatto che, per uno stesso tipo di investimento non è possibile richiedere agevolazioni su più strumenti. È infine opportuno verificare che, nella legge su cui si intende presentare una domanda di agevolazione, non esistano altri vincoli o requisiti di non cumulabilità (anche più restrittivi di quelli stabiliti a livello comunitario) con altri leggi o strumenti sia comunitari che nazionali o regionali.

9.7 Esame delle principali agevolazioni a favore delle nuove attività imprenditoriali

Di seguito viene analizzata, in sintesi, la legislazione nazionale vigente in materia di sostegno alle nuove imprese. Le diverse agevolazioni finanziarie che possono essere concesse a chi avvia una nuova attività di impresa (non rientrano, quindi, i lavoratori autonomi, tranne nel caso del Prestito d’onore) vengono erogate principalmente sotto forma di finanziamento a tasso agevolato e/o di contributo a fondo perduto. Il finanziamento è in sostanza un prestito che viene solitamente concesso ad un tasso di interesse più basso di quello che si potrebbe ottenere, ad esempio, dalle banche. Spesso prevede un periodo di preammortamento in cui, cioè, non vanno restituite quote del capitale prestato, ma solamente gli interessi sullo stesso. Quasi sempre i finanziamenti a tasso agevolato devono essere supportati da garanzie reali e/o personali e vengono erogati dopo che l’attività è stata avviata. Il contributo a fondo perduto, che solitamente viene calcolato in percentuale sulle spese ritenute ammissibili, non prevede alcuna restituzione di capitale, né il pagamento degli interessi. Viene di solito erogato nel momento in cui vengono presentate le fatture quietanzate relative alle spese ritenute ammissibili.

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Legge 29 marzo 1995, n. 95 (ex legge 44/86) Interventi per lo sviluppo dell’imprenditorialità giovanile È una legge nata per agevolare la creazione di nuove imprese da parte di giovani. Per essere ammesse ai benefici che tale legge prevede, infatti, le società devono essere costituite in prevalenza da persone di età compresa tra i 18 ed i 35 anni. La residenza dei titolari e la sede dell’impresa devono, inoltre, ricadere nelle aree indicate come “depresse” dalla Comunità Europea. Alle società ammesse all’agevolazione sono concessi aiuti sugli investimenti, che consistono in contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati. Non esiste una percentuale predefinita di aiuto in termini dell’uno o dell’altro perché ogni azienda costituisce un caso a sé e l’ammontare delle agevolazioni viene di volta in volta stabilito in base ad una serie di parametri. Legge 23 maggio 1997, n. 135 Agevolazioni per giovani agricoltori A differenza della 95/95 che prevede finanziamenti per le imprese (anche agricole) solo se di nuova costituzione, con la 135 possono richiedere le agevolazioni previste i soggetti con i seguenti requisiti: - imprenditori agricoli a titolo principale - giovani che subentrino ad un parente entro il secondo grado nella conduzione dell’azienda agricola, assumendo la responsabilità civile e fiscale della gestione. La legge finanzia, cioè, solo imprese già esistenti (quindi le agevolazioni riguardano ammodernamenti e ampliamenti) i cui titolari, residenti nei territori agevolati abbiano un’età compresa tra i 18 ed i 35 anni. Legge 19 luglio 1993, n. 236 - art. 1bis Interventi per lo sviluppo dell’imprenditorialità giovanile nei settori della fruizione di beni culturali, del turismo e della manutenzione delle opere civili ed industriali Prevede agevolazioni per la creazione di nuove imprese giovanili ( I requisiti sono gli stessi già citati per la legge 95/95),. operanti nei setto ri della fruizione di beni culturali, del turismo, della manutenzione di opere civili e industriali, dell’innovazione tecnologica, della tutela ambientale, dell’agricoltura e della trasformazione e commercializzazione dei prodotti agroindustriali. La legge concede agevolazioni finanziarie per le spese di investimento ritenute ammissibili sotto forma di finanziamento a tasso agevolato e di contributo a fondo perduto e per le spese di gestione sotto forma di contributo per i primi anni di attività. Legge 28 novembre 1996, n. 608 - art. 9 septies Prestito d’onore

È una legge rivolta esclusivamente alle imprese realizzate in forma individuale e alle iniziative di lavoro autonomo realizzate da inoccupati e disoccupati residenti nei territori di applicazione della legge (vedere riquadro a fine articolo). Possono, inoltre, usufruire del prestito d’onore i Lavoratori Socialmente Utili residenti su tutto il territorio italiano. Sono ammessi progetti inerenti qualsiasi settore produttivo che prevedano un volume di

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investimenti complessivamente non superiore a 50 milioni di lire. Gli investimenti sono finanziabili per il 60% in forma di contributo a fondo perduto ed il 40% sotto forma di finanziamento a tasso agevolato. Per accedere a tale agevolazione è necessario superare una selezione e frequentare un apposito corso di formazione obbligatorio. Agevolazioni finanziarie per le imprese giovanili di servizi La Legge 236/1993 agisce nell'ambito della promozione dell'imprenditorialità giovanile in particolare eroga finanziamenti e agevolazioni per le imprese giovanili di servizi. Possono infatti beneficiare dei finanziamenti i giovani che costituiscono una nuova impresa, in qualsiasi forma giuridica societaria (sono escluse le imprese individuali, le società di fatto e le società aventi un unico socio). La compagine sociale deve presentare la maggioranza assoluta (finanziaria e numerica) di giovani tra 18 e 29 anni residenti nei territori di applicazione della legge alla data del 1° gennaio 1994, oppure la totalità di giovani soci tra i 18 e i 35 anni residenti nei territori di applicazione della legge alla data del 1° gennaio 1994. Sono finanziabili le spese di investimento ( studi di fattibilità, immobili, allacciamenti, brevetti, macchinari, impianti, attrezzature, altri beni a funzionalità pluriennale connessa con il ciclo produttivo) e spese di gestione (materie prime, semilavorati, prodotti finiti, servizi di progettazione, oneri finanziari, canoni di leasing, canoni di locazione ) relative ad legate alla fornitura di servizi nei settori:

fruizione di beni culturali; turismo; manutenzione di opere civili e culturali; innovazione tecnologica; tutela ambientale; agricoltura; trasformazione e commercializzazione dei prodotti agroindustriali.

Non beneficiano dell'agevolazione i progetti che prevedono fornitura di servizi configurabili come attività commerciali, di assistenza socio-sanitaria e di formazione. Le agevolazioni constano in contributi a fondo perduto e finanziamenti agevolati nonché nella fornitura di servizi reali (tra cui verifica dell'accoglibilità dei progetti, orientamento di progettazione, formazione imprenditoriale e assistenza tecnica). I contributi a fondo perduto per le spese di gestione sono erogati nel limite de minimis. I contributi in conto capitale e i finanziamenti a tasso agevolato per gli investimenti sono concessi nel rispetto di limiti variabili a seconda delle aree di localizzazione delle imprese in base alla Equivalente Sovvenzione Netta e Equivalente Sovvenzione Netta. Finanziamenti agevolati statali: autoimpiego

La legge n. 185/2000 - Titolo II ha come obiettivo l'agevolazione dell'Autoimpiego. La legge prevede aiuti, contributi e finanziamenti come mezzo di sostegno per la costituzione e l'avvio di piccole attività imprenditoriali da parte di disoccupati o persone in cerca di prima occupazione. Sono previsti diversi tipi di agevolazioni, tra le quali finanziamenti agevolati, contributi a fondo perduto o altri tipi di aiuti come servizi di assistenza tecnica. Questo tipo di aiuti e contributi nascono per incentivare il Lavoro Autonomo (in forma di ditta individuale), la Microimpresa (in forma di società) e il Franchising (in forma di ditta individuale o di società).

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Agevolazioni finanziarie per il Lavoro Autonomo Le iniziative a favore dell'autoimpiego hanno l'obiettivo di favorire l'inserimento nel mondo del lavoro di soggetti privi di occupazione, attraverso la creazione di imprese di piccola dimensione. Soggetti beneficiari del finanziamento: Per poter usufruire delle agevolazioni è necessario essere in possesso dei seguenti requisiti:

maggiorenne alla data di presentazione della domanda non occupato alla data di presentazione della domanda residente nei territori di applicazione della normativa alla data del 1 gennaio 2000

oppure da almeno sei mesi alla data di presentazione della domanda. In particolare la legge è destinata ad incentivare l'avvio di una attività imprenditoriale da parte di persone disoccupate. L'art. 17 del D.Lgs. 185/00 definisce i soggetti che sono considerati occupati e che quindi non possono avvalersi del contributo. Sono considerati occupati

i lavoratori dipendenti (a tempo determinato e indeterminato, anche a tempo parziale) i titolari di contratti di lavoro a progetto, intermittente o ripartito i titolari di partita IVA, anche se non movimentata gli imprenditori, familiari (nel caso di impresa familiare) e coadiutori di imprenditori gli artigiani i titolari di pensioni complementari del sistema obbligatorio pubblico i titolari di borse di studio i soggetti impegnati in lavori socialmente utili coloro che percepiscono una rendita vitalizia o a tempo determinato, costituita a titolo oneroso, diversa da quelle aventi funzione previdenziale coloro che percepiscono una indennità, gettoni di presenza ed altri compensi

corrisposti dallo stato o da enti locali i soggetti in cassa integrazione

La ditta individuale deve essere costituita dopo la presentazione della domanda per l'erogazione del finanziamento agevolato statale. Le agevolazioni possono essere agevolazioni finanziarie, per gli investimenti e per il 1° di gestione servizi di sostegno nella fase di realizzazione e di avvio dell’iniziativa. Le Agevolazioni finanziarie concedibili sono:

per gli investimenti, un contributo a fondo perduto e un finanziamento a tasso agevolato, a copertura del 100% degli investimenti ammissibili

per la gestione, un contributo a fondo perduto. Le spese di investimento e di gestione considerate “ammissibili” ai fini del calcolo dell’ammontare delle agevolazioni sono: * per l’investimento attrezzature, macchinari, impianti e allacciamenti;beni immateriali a utilità pluriennale; ristrutturazione di immobili, entro il limite massimo del 10% del valore degli investimenti. * per la gestione materiale di consumo, semilavorati e prodotti finiti, nonché altri costi inerenti al processo produttivo;utenze e canoni di locazione per immobili; oneri finanziari (con l'esclusione degli interessi del mutuo agevolato); Agevolazioni Finanziarie per la microimpresa

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Sono previste agevolazioni e finanziamenti per le microimprese. Secondo la definizione della Unione Europea la microimpresa è un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro. L’agevolazione è infatti rivolta a società di persone che intendono avviare una attività imprenditoriale di piccola dimensione nei settori della produzione di beni o di servizi. Sono pertanto ESCLUSE le ditte individuali, le società di capitali, le cooperative, le società di fatto e le società aventi un unico socio. Per presentare la domanda, almeno la metà numerica dei soci che detiene almeno la metà delle quote, deve essere:

maggiorenne alla data di presentazione della domanda non occupato alla data di presentazione della domanda residente nei territori di applicazione della normativa alla data del 1 gennaio 2000

oppure da almeno sei mesi alla data di presentazione della domanda. Anche la sede legale e operativa della società deve essere ubicata nei territori agevolabili. L’intervento è rivolto a non occupati. Le società devono essere già costituite al momento della presentazione della domanda. Lo statuto societario deve essere conforme alle prescrizioni contenute nell'art. 12, co. 4 del D.M. 295/01 attuativo del D. Lgs. 185/00, il quale recita: "gli statuti delle società devono contenere una clausola che non consenta atti di trasferimento di quote di partecipazione societaria che facciano venire meno le condizioni soggettive di disoccupazione e di residenza fissate all'articolo 17, commi 1 e 2, del decreto legislativo, per almeno cinque anni dalla data della deliberazione di ammissione alle agevolazioni." Le iniziative finanziabili possono riguardare la produzione di beni e la fornitura di servizi mentre non possono essere incluse nelle agevolazioni le attività che si riferiscono a produzione, trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, trasporti (di merci o di persone oltre le 9 unità) e commercio. L’attività finanziata deve essere svolta per un periodo di almeno cinque anni a decorrere dalla data di delibera di ammissione alle agevolazioni. Le agevolazioni possono essere finanziarie, per gli investimenti e per il 1° anno di gestione oppure agevolazioni che consistono in servizi di sostegno nella fase di realizzazione e di avvio dell’iniziativa. Le agevolazioni finanziarie concedibili sono : per gli investimenti un contributo a fondo perduto e un finanziamento a tasso agevolato che, complessivamente, possono arrivare a coprire il 100% degli investimenti ammissibili per la gestione un contributo a fondo perduto sulle spese relative al 1° anno di attività Le agevolazioni finanziarie non possono superare complessivamente il limite del “de minimis” pari a € 200.000 Le spese di investimento e di gestione considerate “ammissibili” ai fini del calcolo del totale dei finanziamenti e delle agevolazioni sono: per l’investimento

attrezzature, macchinari, impianti e allacciamenti; beni immateriali a utilità pluriennale; ristrutturazione di immobili, entro il limite massimo del 10% del valore degli

investimenti. per la gestione

materiale di consumo, semilavorati e prodotti finiti, nonché altri costi inerenti al processo produttivo;

utenze e canoni di locazione per immobili; oneri finanziari(con l'esclusione degli interessi del mutuo agevolato);

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prestazioni di garanzie assicurative sui beni finanziati; prestazione di servizi.

stazioni di garanzie assicurative sui beni finanziati. Agevolazioni Finanziarie per il franchising Le iniziative a favore dell'autoimpiego hanno l'obiettivo di favorire l'inserimento nel mondo del lavoro di soggetti privi di occupazione, attraverso la creazione di imprese di piccola dimensione. Per beneficiare delle agevolazioni per il franchising è necessario avere particolari requisiti (il titolare nel caso di ditte individuali, almeno la metà numerica dei soci, che detenga almeno la metà delle quote di partecipazione, nel caso di società):

maggiore età alla data di presentazione della domanda non occupazione alla data di presentazione della domanda residenza da almeno sei mesi alla data di presentazione della domanda (negli stessi

territori devono essere ubicate sia la sede legale, sia quella operativa dell'iniziativa). L'art. 17 del D.Lgs. 185/00 definisce i soggetti che vanno considerati occupati e quindi non possono avvalersi di questa agevolazione. Le società devono essere già costituite al momento della presentazione della domanda mentre le ditte individuali devono essere costituite dopo la presentazione della domanda. E' possibile ottenere agevolazioni per gli investimenti (contributo a fondo perduto e un mutuo a tasso agevolato) oppure agevolazioni per la gestione (contributo a fondo perduto). Le agevolazioni finanziarie non possono superare complessivamente il limite del "de minimis" pari a 200.000 €. Sono ammissibili ai fini del calcolo delle agevolazioni finanziarie le spese per l'investimento destinate a attrezzature, macchinari, impianti e allacciamenti, beni immateriali a utilità pluriennale, ristrutturazione di immobili, entro il limite massimo del 10% del valore degli investimenti, e spese per la gestione destinate a materiale di consumo, semilavorati e prodotti finiti, nonché altri costi inerenti al processo produttivo, utenze e canoni di locazione per immobili, oneri finanziari, prestazioni di garanzie assicurative sui beni finanziati, prestazione di servizi

Contributi e finanziamenti per l'imprenditoria femminile

La legge 215/92 "Azioni positive per l’imprenditoria femminile" nasce con l'intento di incentivare l'imprenditoria femminile attraverso contributi e finanziamenti che possano contribuire alla creazione di nuove imprese o il miglioramento di quelle esistenti non solo con lo scopo di dare sostegno alle attività imprenditoriali ma anche per perseguire il conseguimento di una reale parità fra uomo e donna.

Possono beneficiare delle agevolazioni concesse dalla legge: piccole imprese a prevalente compagine femminile, ossia:

Società cooperative e società di persone costituite da donne almeno al 60% (indipendentemente dalle quote di capitale detenute);

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società di capitali dove le donne siano titolari di almeno i due terzi delle quote di partecipazione e i cui organi di amministrazione siano costituiti da donne per almeno i due terzi;

imprese individuali gestite da donne;

Il suddetto requisito della prevalente partecipazione femminile deve sussistere dal momento della presentazione della domanda e occorre che sia mantenuto per almeno 5 anni dopo la concessione dell'agevolazione.

Le agevolazioni sono concesse per le seguenti iniziative avvio di nuova attività imprenditoriale; acquisto di attività preesistente mediante cessione dell'attività stessa o di un suo ramo

oppure mediante affitto per almeno 5 anni; realizzazione di progetti aziendali innovativ; acquisto di "servizi reali" che abbiano come finalità l'aumento della produttività, l'

innovazione organizzativa, il trasferimento delle tecnologie, la ricerca di nuovi mercati per il collocamento dei prodotti, la ricerca di nuove tecniche di produzione, di gestione e commercializzazione; sviluppo di sistemi di qualità.

Sono finanziabili le spese per: impianti generali (elettrico, riscaldamento, condizionamento, antifurto, idraulico,

antincendio ecc.); macchinari, attrezzature, impianti di produzione e arredi connessi; acquisto di software e brevetti; opere murarie di ristrutturazione e relativi oneri di progettazione e direzione dei lavori

(per un max. 5% delle opere murarie). Il totale di queste spese è tuttavia agevolabile solo nel limite del 25% dei costi relativi alle lett. a) e b);

studi di fattibilità e piani di impresa, comprese le analisi di mercato, le VIA e le quote iniziali dei contratti di franchising, entro il limite del 2% del totale degli investimenti ammessi

Le agevolazioni finanziarie che possono essere concesse a fronte di progetti che prevedano un investimento totale tra i € 60.000 e € 400.000.sono :

in conto capitale per: l’avvio dell’impresa imprenditoriale, l’acquisto di attività preesistenti oppure il rilevamento di un’area aziendale con affitto per almeno cinque anni, la realizzazione di progetti aziendali innovativi, l’acquisizione di servizi reali.

agevolazioni per l’acquisto di servizi reali destinati ad aumentare la produttività, sviluppare l'innovazione organizzativa attraverso nuove tecnologie e nuove tecniche di produzione, di gestione e di commercializzazione, nonché lo sviluppo di sistemi di qualità.

L’agevolazione per l’imprenditoria femminile è corrisposta per il 50% attraverso il contributo in conto capitale (senza obbligo di restituzione) e per l’altra metà attraverso il finanziamento con tasso agevolato . Tale finanziamento non può avere una durata superiore ai 10 anni.

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L’aiuto concesso dalla legge 215 dipende, oltre che dall’investimento, anche dalla regione in cui si realizza il programma, dalla suddivisione delle spese tra le diverse tipologie, dal momento temporale. In alternativa le imprese possono optare per il regine "de minimis" con il quale è prevista una agevolazione massima pari al 50% delle spese ammissibili.