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Università di Pisa

Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove

Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Tesi di laurea

La PET/TC con [18

F]Fluorocolina nella valutazione

del paziente con carcinoma prostatico

Relatore

Prof. Duccio Volterrani

Candidato

Francesca Alberti

Anno Accademico 2013/2014

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INDICE

1. INTRODUZIONE .............................................................................................. 3

1.1 Il tumore della prostata ................................................................................. 3

1.1.1 Epidemiologia, eziologia e fattori di rischio .......................................... 3

1.1.2 Diagnosi precoce e screening ................................................................. 4

1.1.3 Inquadramento diagnostico: anatomia patologica e classificazione ...... 5

1.1.4 Inquadramento diagnostico: diagnosi clinica e stadiazione ................... 8

1.1.5 Terapia del carcinoma prostatico ......................................................... 19

1.1.6 Follow-Up ............................................................................................ 28

1.2 La tomografia ad emissione di positroni .................................................... 31

2. SCOPO DELLA TESI ..................................................................................... 40

3. MATERIALI E METODI ................................................................................ 41

3.1 Pazienti........................................................................................................ 41

3.2 Studio PET/TC ............................................................................................ 42

3.3 Analisi statistica .......................................................................................... 42

4. RISULTATI ..................................................................................................... 43

5. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI ................................................................ 50

6. BIBLIOGRAFIA .............................................................................................. 54

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1. INTRODUZIONE

1.1 Il tumore della prostata

1.1.1 Epidemiologia, eziologia e fattori di rischio

Nella maggior parte dei Registri Tumori si rileva un aumento dell'incidenza

del carcinoma prostatico che, attualmente, in molti Paesi Occidentali, rappresenta

il tumore più frequente nel sesso maschile. In particolare il numero di nuovi casi

atteso negli Stati Uniti per il 2012 era pari a 241.740, ovvero il 29% di tutte le

neoplasie attese nel sesso maschile, con un relativo numero di morti che si stima

essere di 28.170, diventando così la seconda causa di morte nell'uomo,

collocandosi dopo il tumore del polmone (1). Il carcinoma prostatico ha infatti

mostrato negli ultimi decenni una costante tendenza all'aumento, soprattutto

intorno agli anni 2000, in concomitanza con la maggior diffusione del test

dell'antigene prostatico specifico (PSA) in forma di screening opportunistico e la

conseguente diagnosi di un numero molto elevato di carcinomi asintomatici e

preclinici (2).

In Italia il tumore della prostata è la neoplasia più frequente tra i maschi

costituendo il 20% di tutti i tumori diagnosticati a partire dai 50 anni di età (3).

Pur essendo al primo posto per incidenza, in Italia occupa il terzo posto nella

scala della mortalità, nella quasi totalità dei casi riguardando maschi al di sopra

dei 70 anni; si tratta tuttavia di una causa di morte in costante moderata

diminuzione (-1% per anno) da oltre un ventennio (3).

La sopravvivenza dei pazienti con tumore della prostata, senza considerare la

mortalità per altre cause, è attestata all'88% a 5 anni, in costante e sensibile

crescita (3) grazie all'anticipazione diagnostica e alla progressiva diffusione dello

screening opportunistico.

L'eziologia del carcinoma prostatico è multifattoriale ed è il risultato di una

complessa interazione di fattori genetici ed ambientali; l'età avanzata e la

presenza di ormoni androgeni biologicamente attivi nel sangue circolante e nel

tessuto prostatico rappresentano ancora oggi i fattori causali più importanti (4,5).

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Fattori di rischio sono rappresentati da:

Età.

Razza (la razza nera è più a rischio per i più elevati livelli di androgeni

circolanti, di DHT e di 5-reduttasi).

Fattori ormonali (elevati livelli circolanti di testosterone e IGF-1)(4).

Storia familiare di tumore della prostata (circa il 25%dei pazienti) (6).

Fattori genetici (9% di forme ereditarie, 43% nei pazienti con età inferiore

ai 55 anni) (7,8).

Stile di vita: dieta (eccessivo apporto calorico e di grassi) (9).

1.1.2 Diagnosi precoce e screening

Non essendo prevedibile una riduzione d'incidenza della malattia attraverso

una prevenzione primaria efficace, basata su modificazione della dieta e dello

stile di vita, non vi è dubbio che la prevenzione secondaria rimanga uno

strumento disponibile per influire sulla storia naturale della malattia e ridurne la

mortalità. Il mezzo ipotizzabile è quindi lo screening di popolazione: il test più

adatto allo scopo, in base a costi, convenienza e accuratezza diagnostica, è il

dosaggio periodico del PSA.

Simili studi condotti in Europa e negli USA hanno prodotto nel corso del 2009

i primi dati relativi all'impatto dello screening sulla mortalità (10,11).

L'Europeans Randomized Study of Screening for Prostate Cancer (ERSPC) ha

evidenziato che a fronte di una riduzione della mortalità cancro correlata

dell'ordine del 20%, lo screening mediante PSA è risultato associato ad un

elevato rischio di sovra diagnosi, dell'ordine del 50%

Da questi studi è confermato che l'anticipazione diagnostica ottenibile

mediante l'utilizzo del PSA in soggetti asintomatici è elevata, superando i 10

anni, anche se buona parte dei casi diagnosticati non è destinata a manifestarsi

clinicamente nell'arco della vita, a causa dell'aspettativa di vita limitata dei

soggetti candidati allo screening (12-15). Tale sovra diagnosi, che va dal 50% al

300% in base all'aggressività dello screening, è seguita abitualmente da un sovra

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trattamento, essendo attualmente impossibile distinguere la natura "latente" o

potenzialmente letale di un carcinoma prostatico al momento della diagnosi.

I benefici potenziali derivanti dall'attuazione di un programma di screening

rimangono incerti e non supportati da valide evidenze scientifiche: la notevole

anticipazione diagnostica, la sovra diagnosi e il sovra trattamento continuano

infatti a rappresentare importanti effetti negativi dello screening stesso con le

conseguenze, anche di tipo psicologico, che ne derivano (16-19). I dati ad oggi

disponibili del bilancio tra effetti positivi e negativi risultano controversi per cui

allo stato attuale delle conoscenze non sembra opportuno adottare politiche di

screening di popolazione.

1.1.3 Inquadramento diagnostico: anatomia patologica e classificazione

L’adenocarcinoma della prostata origina nel 70% dei casi dalla porzione

periferica della ghiandola, quindi è spesso apprezzabile anche all’esplorazione

rettale; il fatto che questa porzione non sia a contatto diretto con le vie urinarie

potrebbe spiegare come mai la sintomatologia sia pressoché assente negli stadi

iniziali della malattia. Meno frequentemente, nel 20% di casi, origina dalla

porzione antero-mediale dell’organo, dalla cosiddetta zona di transizione,

distante dalla parete rettale e sede tipica dell’ipertrofia prostatica benigna.

La zona centrale, che costituisce la parte prevalente della base della prostata,

raramente è sede d’origine del tumore (5%), ma più spesso è invasa dai tumori

di grosse dimensioni insorti dalle porzioni limitrofe dell’organo. La neoplasia

risulta per lo più essere multifocale ed eterogenea (20).

Per quanto riguarda i linfonodi regionali, questi sono contenuti nella piccola

pelvi e comprendono essenzialmente i linfonodi pelvici distali alla

biforcazione dei vasi iliaci comuni. Si considerano i seguenti gruppi:

Pelvici, NAS (non altrimenti specificati)

Ipogastrici

Otturatori

Iliaci (interni, esterni o NAS)

Sacrali (laterali, presacrali, del promontorio [di Gerota] o NAS)

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1.1.3.1 Classificazione TNM clinica del carcinoma prostatico (UICC 2009) (21)

L’estensione e le localizzazioni del tumore sono indicate secondo la

classificazione TNM preceduta dalla lettera c (clinical). Vedi tabella 1.

Tabella 1

Classificazione TNM del carcinoma prostatico

Tumore primitivo (T)

TX Il tumore primitivo non può essere definito.

T0 Non segni del tumore primitivo.

T1 Tumore clinicamente non apprezzabile, non palpabile né visibile con la

diagnostica per immagini.

T1a Tumore scoperto casualmente nel 5% o meno del tessuto asportato in

seguito a TURP/adenomectomia.

T1b Tumore scoperto casualmente in più del 5% del tessuto asportato in

seguito a TURP/adenomectomia.

T1c Tumore diagnosticato mediante agobiopsia (ad esempio, a causa del

PSA elevato).

T2 Tumore limitato alla prostata.

T2a Tumore che interessa la metà o meno di un lobo.

T2b Tumore che interessa più della metà di un lobo ma non entrambi i lobi.

T2c Tumore che interessa entrambi i lobi.

T3 Tumore che si estende al di fuori della prostata.

T3a Estensione extraprostatica, unilaterale o bilaterale.

T3b Tumore che invade la(e) vescichetta(e) seminale(i).

T4 Il tumore è fisso o invade strutture adiacenti oltre alle vescichette seminali:

collo della vescica, sfintere esterno, retto, muscoli elevatori e/o parete pelvica.

Metastasi ai linfonodi regionali (N)

NX I linfonodi regionali non sono stati prelevati.

N0 Non metastasi nei linfonodi regionali.

N1 Metastasi in linfonodo(i) regionale(i).

Metastasi a distanza (M)

MX La presenza di metastasi a distanza non può essere accertata.

M0 Non metastasi a distanza.

M1 Metastasi a distanza.

M1a Metastasi in linfonodo(i) extraregionale(i).

M1b Metastasi ossee.

M1c Metastasi in altre sedi con o senza metastasi ossee.

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1.1.3.2 Grado istologico

Il punteggio di Gleason rappresenta il riferimento internazionale accettato per

la valutazione del grado istologico ed è uno dei più importanti fattori prognostici

indipendenti (22-25).

Il sistema di grading di Gleason prende in considerazione il grado di

differenziazione ghiandolare e i rapporti della neoplasia con lo stroma, cioè il

tipo di infiltrazione. La classificazione di Gleason individua cinque aspetti

architettonici ghiandolari (patterns) cui si attribuisce un punteggio di crescente

malignità. Il punteggio (score prognostico) viene assegnato ai due aspetti

strutturali più rappresentati nella neoplasia in esame e si definisce come

primario quello prevalente. Il punteggio finale (score di Gleason) viene ricavato

dalla somma del punteggio delle due configurazioni. Il valore è compreso tra 2

(1+1) e 10 (5+5).

I gradi di Gleason attribuiti al tessuto neoplastico secondo la classificazione

della International Society of Urological Pathology (ISUP) del 2005 sono

riportati in tabella 2.

Tabella 2

Gleason score secondo la classificazione ISUP 2005

Grado 1: nodulo circoscritto di acini fitti ma distinti, uniformi, ovalari, di

medie dimensioni (ghiandole più grandi del pattern 3).

Grado 2 come per il modello 1, nodulo relativamente circoscritto, ma ai

margini possono essere presenti minime infiltrazioni. Le ghiandole

sono disposte in modo meno serrato e uniforme rispetto al pattern 1.

Grado 3 unità ghiandolari discrete; in genere le ghiandole sono più piccole

di quanto visto nel modello 1 e 2. Infiltrati sono presenti tra gli

acini non neoplastici. Notevole variabilità in forma e dimensione,

talora con aspetti cribriformi.

Grado 4 ghiandole micro-acinari confluenti, mal definibili, con lume

ghiandolare scarsamente formato; ghiandole cribriformi, anche con

bordi irregolari; talora aspetti ipernefromatoidi.

Grado 5 relativa assenza di differenziazione ghiandolare; cordoni solidi

compositi o singole cellule; comedocarcinoma con necrosi centrale

circondata da masse papillari, cribriformi o solide.

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In aggiunta allo schema di Gleason è possibile effettuare un grading nucleare

dove l’anaplasia nucleare è graduata con punteggio 1, 2, o 3, attribuito

rispettivamente a modificazioni lievi, moderate o marcate del nucleo. Per

l’attribuzione del grading nucleare solitamente ci si basa sul grado nucleare

predominante nel tessuto neoplastico, ma può essere valutato anche riportando il

grado nucleare più alto (23).

Il grading istopatologico complessivo secondo WHO espresso in

correlazione con il Gleason score può essere:

GX il grado di differenziazione non può essere accertato.

G1 Bene differenziato (lieve anaplasia) (Gleason 2-4).

G2 Moderatamente differenziato (moderata anaplasia) (Gleason 5-6).

G3 Scarsamente differenziato (marcata anaplasia) (Gleason 7-10).

1.1.4 Inquadramento diagnostico: diagnosi clinica e stadiazione

La diagnosi di carcinoma prostatico si basa essenzialmente sulle seguenti

indagini:

Esplorazione rettale

Dosaggio del PSA

Tecniche di diagnostica per immagini (ecografia transrettale, TC, RM)

Agobiopsia prostatica

1.1.4.1 La diagnosi: esplorazione rettale

L’esplorazione rettale (ER) deve costituire il primo approccio diagnostico al

paziente che presenti sintomatologia riferibile ad una patologia prostatica.

Poichè in oltre il 70% dei casi il carcinoma prostatico insorge in a livello della

porzione periferica della ghiandola, il nodulo neoplastico può essere spesso

rilevato già con la semplice palpazione. Caratteristicamente il carcinoma è di

consistenza dura, nodulare e irregolare, ma un aspetto di rigidità può anche essere

dovuto alla presenza di aree fibrose nell'ambito di una formazione benigna o a

formazioni calcolotiche.

Comunque, l’esplorazione rettale, sebbene indispensabile nella valutazione

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del paziente urologico, non può essere utilizzata singolarmente come unica

metodica diagnostica, in quanto presenta bassi livelli di sensibilità e di valore

predittivo positivo specialmente nella diagnosi precoce del tumore. In grandi

casistiche di pazienti è stato evidenziato che l’ER fallisce la diagnosi di tumore in

circa la metà dei casi, in quanto non vi è una corrispondenza dimostrata fra

un’alterazione palpatoria e la presenza di tumore in tale sede (26-30).

1.1.4.2 La diagnosi: dosaggio dell'antigene prostatico specifico

Il PSA è una glicoproteina prodotta principalmente dal tessuto ghiandolare

prostatico la cui funzione è quella di produrre la liquefazione dello sperma (31);

pur essendo prodotto anche in altri distretti corporei, solo il PSA di origine

prostatica raggiunge livelli ematici quantitativamente significativi. Il PSA viene

secreto nel liquido seminale e, in condizioni fisiologiche, solo quantità minime

di antigene raggiungono il circolo ematico. Il sovvertimento della normale

istoarchitettura prostatica, come accade in caso di patologia benigna (ipertrofia

prostatica, prostatite) o maligna, determina un incremento dei livelli ematici di

PSA, che deve essere pertanto considerato un marcatore specifico di patologia

prostatica.

Il PSA è presente in circolo sia in forma libera che coniugato ad inibitori

enzimatici o proteine di trasporto, quali l’antichimotripsina e l’α-2-

macroglobulina.

I metodi immunometrici di dosaggio del PSA totale comunemente in uso

misurano una miscela di isoforme principalmente rappresentate dal PSA libero e

quello legato all’antichimotripsina.

Oltre al PSA totale è possibile misurare nel sangue anche la concentrazione

della frazione libera. I metodi per il dosaggio del PSA libero sono caratterizzati

da variabilità analitica significativa. Più recentemente, si è visto che il PSA libero

è costituito da una miscela di molecole diverse, che comprendono BPSA

(Benign PSA), iPSA (initial PSA), che sarebbero espressione di tessuto

prostatico benigno , e proPSA, che invece è associato con il carcinoma della

prostata. Sono state identificate e studiate tre forme troncate di proPSA, il [−

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2]proPSA, il [− 4]proPSA e il [− 5,− 7]proPSA. Fra queste, il [− 2]proPSA, che

rappresenta la forma più stabile, è stato diffusamente studiato sia come test

individuale che combinato in algoritmi con il PSA totale e il PSA libero.

Il PSA può essere elevato in circolo non solo in presenza di patologia

maligna della prostata, ma anche in caso di patologia benigna (ipertrofia

prostatica, prostatite, infarto prostatico, ritenzione urinaria), nonché dopo

l’esecuzione di alcune manovre diagnostiche, quali la cistoscopia o la biopsia

prostatica (in quest’ultimo caso, sono descritti incrementi fino a 50 volte, con

ritorno ai valori prebiopsia in 30-60 giorni). L’effetto dell’esplorazione rettale

sembra limitato e possibilmente ristretto ai casi con PSA > 10 ng/ml; quando

tuttavia si vogliano valutare le variazioni del PSA indotte da un determinato

trattamento è raccomandabile eseguire il prelievo per il PSA prima

dell’esplorazione rettale, o almeno 24 ore dopo la manovra.

Al contrario, i livelli di PSA possono diminuire in circolo in seguito

all’impiego di inibitori della 5-α-reduttasi (finasteride, dutasteride) utilizzati nel

trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna o valutati in programmi di

farmacoprevenzione del tumore prostatico. Nel caso della finasteride viene

riportato un decremento medio intorno al 50% dopo circa 6 mesi di

trattamento, tanto che è stato proposta la regola di moltiplicare per 2 il valore

di PSA per conoscere quale sarebbe il livello del biomarcatore in assenza di

trattamento; questo approccio (regola del moltiplicare per 2) è fortemente da

disincentivare, in quanto sono descritte ampie variazioni soggettive nell’effetto

della finasteride sul PSA (14). E’ invece consigliabile eseguire comunque un

prelievo basale per il dosaggio del PSA prima dell’inizio del trattamento, con

successivo monitoraggio semestrale, ed eseguire un approfondimento

diagnostico nel caso si rilevino decrementi del PSA minori del 50%.

Il PSA è stato generalmente valutato con riferimento a un valore soglia

positivo/negativo calcolato sulla base della distribuzione del marcatore nei

soggetti normali. Il valore soglia più utilizzato è pari a 4 ng/mL, ma tale valore

deve essere considerato convenzionale, poiché è caratterizzato da un basso

valore predittivo, sia positivo che negativo. Infatti, esiste un’ampia

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sovrapposizione fra soggetti con neoplasia confinata all’organo e soggetti con

ipertrofia prostatica, che presentano spesso valori compresi fra 4 e 10 ng/mL.

Per contro, circa il 20% dei pazienti con neoplasia confinata all’organo

presentano valori di PSA inferiori a 3 ng/mL (17-19).

Numerosi approcci sono stati impiegati per migliorare sensibilità e/o

specificità del PSA.

Fra questi, uno dei più promettenti parve essere l’aggiustamento del valore

soglia per fascia d’età: l’impiego di valori più elevati per i pazienti più anziani

avrebbe dovuto consentire di limitare il numero di biopsie non necessarie,

mentre l’adozione di livelli più bassi nei soggetti più giovani avrebbe dovuto

aumentare la sensibilità diagnostica dove ritenuta opportuna. L’uso di valori

soglia aggiustati per fasce di età presenta però due importanti limitazioni sul

piano dell’applicazione clinica. In primo luogo, la relazione fra età e PSA è

strettamente dipendente dalla relazione fra PSA e volume della ghiandola. Infatti,

diversi studi indipendenti hanno mostrato che dopo stratificazione per il volume

prostatico, la relazione fra PSA ed età non è più significativa (36). Il secondo

punto riguarda i metodi di calcolo degli intervalli di riferimento per età. In genere

vengono infatti usati metodi che dividono le casistiche in gruppi con intervalli

di età relativamente ristretti ed all’interno di questi vengono poi calcolate le

distribuzioni del PSA. Tale approccio definito “local approach” altera

l’informazione disponibile che sarebbe invece correttamente analizzata usando

una statistica che consideri tutti i dati assieme, tenendo conto delle

caratteristiche della distribuzione degli stessi (global approach).

Un altro metodo proposto per migliorare la sensibilità del test è quello di

misurare il tasso di incremento del PSA nel tempo (PSA velocity degli Autori

Anglosassoni), su base annuale (37). La PSA velocity avrebbe la capacità di

predire l’insorgenza del cancro con significativo anticipo diagnostico rispetto al

superamento del valore soglia (38) e sarebbe anche un potenziale indicatore di

aggressività della neoplasia e quindi di peggior prognosi (39).

Una terza modalità per incrementare la specificità del test è rappresentato

dall’impiego della cosiddetta PSA density (PSAD), che esprime il rapporto tra

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PSA circolante e dimensioni della ghiandola misurate ecograficamente e si basa

sull’osservazione che la quantità di PSA prodotto per grammo di tessuto

ghiandolare è molto superiore nel cancro rispetto all’ipertrofia prostatica.

1.1.4.3 Tecniche di immagini di significato diagnostico: ecografia transrettale

L’ecografia transrettale consente una più completa esplorazione della

prostata, estesa alle porzioni anteriore e centrale; per questo rappresenta uno

strumento di notevole utilità, in grado di aumentare la sensibilità diagnostica,

sia in associazione col PSA che con l’esplorazione rettale (40-42). I limiti di tale

tecnica sono legati al fatto che, sebbene la maggior parte dei carcinomi prostatici

si configuri come lesioni ipoecogene, non si può trascurare né la possibile

iperecogenicità di alcune forme di carcinoma della prostata né l'elevata

percentuale di carcinomi di aspetto isoecogeno, anche se localizzati nella parte

periferica (circa il 40%) (41, 42).

L’utilizzo del Color Doppler può aumentare la specificità dell’ecografia,

dimostrando la presenza di aree di ipervascolarizzazione di normale ecostruttura

a livello della ghiandola periferica (43, 44), ma l’accuratezza complessiva del

metodo è modesta e il suo uso clinico discutibile.

L’ecografia transrettale risulta inoltre indispensabile nella guida della biopsia

prostatica; nei pazienti biopsiati sotto guida digitale si riscontra, infatti, la

presenza di tumore nel 9.1% dei casi che sale al 39,3% se si ripete la biopsia

sotto guida ecografica (45,46).

Questa metodica, inoltre, trova applicazione:

nello studio dell’interessamento capsulare (anche se la sensibilità è

minore rispetto alla RM, mentre il valore predittivo positivo è simile);

nel calcolo del volume prostatico finalizzato alla determinazione della PSA

density (PSAD);

nel controllo dei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale per la

visualizzazione di un’eventuale lesione solida (recidiva) in loggia

prostatica o in sede perianastomotica.

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1.1.4.4 Tecniche di immagini di significato diagnostico: TC e RM

E' ancora da definire il ruolo della TC e della RM ai fini diagnostici, di

sicuro limitato per la prima, più complesso e soggetto a revisione per la

seconda, anche in relazione al recente incremento delle evidenze disponibili in

merito alla RM multiparametrica, che combina sequenze anatomiche T2 pesate,

sequenze con contrasto (DCE-MRI), sequenze pesate in diffusione (DWI) e

imaging spettroscopico (MRSI) (47-51).

La TC non è invece una tecnica adeguata alla diagnosi di lesione nel

carcinoma prostatico, poiché l’anatomia zonale della ghiandola non è

riconoscibile, né vi è differenza fra tessuto neoplastico e tessuto normale in

termini di densità radiologica (48-50).

Numerosi studi dimostrano la capacità della RM multiparametrica di

individuare i foci neoplastici all’interno della ghiandola, rendendone

ipotizzabile l’utilizzo in senso diagnostico, in ausilio alla biopsia. Inoltre vi è un

livello maggiore di evidenza che dimostra che l’utilizzo della RM

multiparametrica è particolarmente indicato in senso diagnostico nei pazienti in

cui si registrino valori persistentemente elevati di PSA, pur con precedenti

biopsie negative.

La notevole risoluzione di contrasto dell’immagine garantita dalla RM,

consente inoltre di dimostrare l’anatomia zonale della ghiandola e di

distinguere il tessuto della ghiandola periferica da quello neoplastico, che

presenta un segnale intrinseco differente.

Il recente sviluppo di bobine endorettali o phased array ha consentito di

migliorare notevolmente la risoluzione di contrasto e la risoluzione spaziale. La

RM è inoltre in grado di definire la presenza o assenza di tumore nell’area

del peduncolo neurovascolare e di rappresentare meglio anche tutte le restanti

strutture pelviche, con una notevole precisazione dei loro rapporti (vescica, retto,

strutture muscolari, scheletriche, vasi); tali caratteristiche ne rendono proponibile

l’impiego ai fini della stadiazione.

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1.1.4.5 La diagnosi: agobiopsia prostatica

La certezza di diagnosi di carcinoma prostatico si ottiene solamente con la

biopsia. Indicazioni ad eseguire una biopsia sono date dal riscontro di una

consistenza anomala della ghiandola all'esplorazione rettale, dal rilievo di aree

sospette all'ecografia transrettale o da un innalzamento dei valori sierici del PSA. I

prelievi bioptici possono essere eseguiti per via transrettale o per via

transperineale ma sempre sotto guida ecografica.

Essendo la neoplasia nella maggior parte multifocale è necessario prelevare

numerosi campioni bioptici della prostata; è bene che le biopsie siano eseguite

non solo su precise aree sospette all'ecografia transrettale ma anche in modo

sistematico al fine di ottenere un "mappaggio". Per quanto riguarda il numero

totale delle biopsie, i migliori risultati si ottengo con un numero complessivo di

10-12 prelievi (52-54).

Nel caso vi sia il sospetto clinico di espansione extracapsulare, il mapping

bioptico può essere esteso alle vescichette seminali e al tessuto periprostatico

(53).

Il valore del PSA al di sopra del quale debba essere eseguita la biopsia

prostatica (in assenza di ulteriori reperti) è in discussione. In linea di massima,

concentrazioni sieriche del PSA superiori a 10 ng/mL richiedono ulteriori

approfondimenti. Per valori compresi tra 2,5 e 10 ng/mL potranno essere presi in

considerazione anche altri parametri, quali l’età del paziente, la frazione di PSA

libero in rapporto al PSA totale, la correzione per volume (densità) e,

nell’eventuale disponibilità di prelievi seriati, la velocità d’incremento del PSA

(PSA velocity) (55). Tuttavia bisogna sottolineare che una biopsia negativa

non significa necessariamente assenza di tumore: nei seguenti casi è infatti

necessario ripetere la biopsia:

in caso di una prima biopsia a sestanti negativa e forte sospetto del

reperto obiettivo. La manovra dovrebbe essere ripetuta possibilmente

aumentando il numero delle prese bioptiche e includendo anche la zona

sospetta (soprattutto se i valori di PSA superano la soglia di 10 ng/mL) (56);

in caso di biopsia digito-guidata negativa o di biopsia eco-guidata eseguita

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solo su lesioni ecografiche sospette, eseguendo un mappaggio eco-guidato a

sestanti;

in caso di aumento importante, sopra i 20 ng/mL, del PSA (in questo caso sarà

necessario includere anche la zona di transizione);

in caso di valori di PSA compresi tra 2,5 e 10 ng/mL, il paziente può essere

seguito nel tempo monitorando la “velocità” del PSA, ripetendo la biopsia

sulla base di questo parametro;

in caso di reperto istologico di proliferazione microacinare atipica, o ASAP

(atypical small acinar proliferation), nel qual caso è indicata una nuova biopsia

entro tre-sei mesi dalla prima diagnosi; per i pazienti con diagnosi di neoplasia

intraepiteliale prostatica, o PIN (prostatic intraepithelial neoplasia), di alto

grado non sembra necessario effettuare una nuova biopsia entro un anno in

assenza di altri indicatori clinici di carcinoma (57-59).

1.1.4.6 Stadiazione: generalità

Una corretta stadiazione, cioè una definizione dell’estensione della malattia,

rappresenta il punto di partenza per stabilire quale sia la miglior strategia

terapeutica, ottenere informazioni riguardo alla prognosi e confrontare i risultati

delle varie opzioni terapeutiche.

Di solito si ritiene, infatti, che la miglior indicazione all’impiego della

prostatectomia sia rappresentata da un tumore localizzato nel contesto della

ghiandola prostatica, riservando radio e ormonoterapia ai pazienti con malattia

più avanzata o con problematiche età correlate e comorbilità che sconsiglino un

approccio chirurgico.

Per valutare l’estensione del tumore prostatico a livello locale (T) vengono

utilizzate l’esplorazione rettale, l’ecografia prostatica transrettale, la RM con

bobina endorettale o phased array. I linfonodi pelvici (N) vengono studiati con

la TC, RM e con la linfoadenectomia pelvica. La malattia metastatica (M) viene

evidenziata con la scintigrafia ossea e con altre tecniche di imaging a

seconda della sede delle localizzazioni secondarie.

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16

1.1.4.7 Stadiazione: ruolo dell'esplorazione rettale

L'esplorazione rettale (ER) permette di identificare i seguenti aspetti: volume

prostatico, consistenza, simmetria e la regolarità dei margini della faccia

posteriore della ghiandola prostatica.

Nei pazienti con malattia clinicamente localizzata, la ER sottostadia

considerevolmente l’estensione locale del tumore.

1.1.4.8 Stadiazione: ruolo della biopsia prostatica

L’utilizzo della biopsia prostatica pur avendo valore pressoché

esclusivamente a livello diagnostico, può contribuire alla stadiazione.

Le biopsie a sestanti consentono, infatti, di ottenere informazioni utili

sull’estensione della neoplasia, seguendo la regola che quanto più elevati sono

il numero di biopsie positive o la percentuale di neoplasia evidenziabile in ogni

singolo campione bioptico, tanto più alta è la probabilità di estensione

extracapsulare della neoplasia (60).

1.1.4.9 Stadiazione: ruolo della linfoadenectomia

L'interessamento linfatico è di notevole interesse clinico in quanto, se presente,

documenta una malattia non più confinata alla ghiandola ma localmente avanzata

e tale situazione può modificare la strategia terapeutica. Il ruolo della

linfoadenectomia, nonché la sua estensione, sono ancora oggi fonte di un

acceso dibattito scientifico. Sono state riconosciute tre caratteristiche della

neoplasia - il livello di PSA, il punteggio di Gleason ottenuto dalle

agobiopsie prostatiche e lo stadio clinico di malattia- che, in combinazione,

hanno un elevato valore predittivo del rischio di metastatizzazione linfonodale

(61).

La linfoadenectomia pelvica, come procedura isolata, dovrebbe quindi

rendersi necessaria solamente nel sottogruppo di pazienti portatori di cancro

prostatico e candidati ad un approccio chirurgico, i quali, in base ai tre parametri

sopra decritti, siano da considerarsi a rischio intermedio o elevato per metastasi

linfonodale.

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In particolare, un livello di PSA < 10 ng/mL, un punteggio di Gleason inferiore

o uguale a 6 nelle biopsie e lo stadio intracapsulare della malattia (T2),

permettono di identificare pazienti nei quali il rischio di metastasi linfonodali

appare così ridotto (stimabile inferiore al 7%) da non giustificare la necessità

della linfoadenectomia pelvica isolata (62-63).

L’omissione della linfoadenectomia in questi pazienti, privi di fattori di

rischio significativi, si traduce in un ridotto tempo operatorio ed in una

riduzione della morbilità (64).

L’esecuzione della linfoadenectomia nei pazienti a rischio intermedio o

elevato, invece, permetterebbe di individuare quei pazienti che, avendo linfonodi

negativi, possono essere sottoposti a terapia curativa (65).

La linfoadenectomia dovrebbe comprendere i linfonodi iliaci interni, gli

iliaci esterni e gli otturatori, essendo stato dimostrato che l’esecuzione della

linfoadenectomia “estesa”, oggi divenuta standard, migliora la sopravvivenza

libera da malattia rispetto alla linfoadenectomia limitata, comprendente la sola

fossa otturatoria (66,67).

In base alla letteratura, appare giustificato quindi affidarsi preoperatoriamente,

per la valutazione dello stato linfonodale, ai nomogrammi costruiti utilizzando il

livello di PSA, il punteggio di Gleason delle agobiopsie ed il volume del

tumore, basando su questi le successive decisioni terapeutiche (65,68,69).

1.1.4.10 Tecniche di immagini di staging: ecografia prostatica transrettale

L’impiego dell’ecografia prostatica transrettale (TRUS) nella stadiazione del

carcinoma prostatico è discutibile, nonostante i notevoli miglioramenti tecnici

delle indagini ultrasonografiche e l’introduzione nella pratica clinica, seppure a

livello ancora sperimentale, dei mezzi di contrasto ecografici (70).

1.1.4.11 Tecniche di immagini di staging: TC e RM

La TC non ha un ruolo significativo nella valutazione dell’estensione locale di

malattia, ma consente di identificare, benché con i limiti di una stima

esclusivamente dimensionale, l’interessamento linfonodale locoregionale

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(49,71). Essa, inoltre, ha elevate sensibilità e specificità nella diagnosi delle

localizzazioni ossee di malattia, che aumentano se effettuata in associazione

all’esame scintigrafico.

L'imaging RM consente di valutare l’infiltrazione capsulare, l’interessamento

delle vescichette seminali, dei peduncoli vascolari e dell’apice prostatico. In

particolare, la RM rappresenta la metodica migliore oggi disponibile per

definire l’eventuale coinvolgimento delle vescicole seminali. Inoltre,

analogamente alla TC, la RM consente lo studio dei linfonodi locoregionali

(72,73).

Il drenaggio linfatico della prostata è diretto ai linfonodi ipogastrici

(primari), otturatori (secondari), iliaci esterni (terziari) e presacrali (quaternari).

Nei pazienti a rischio intermedio ed elevato il ruolo della RM appare

consolidato, anzitutto nell’individuazione di minimi sconfinamenti extracapsulari

di malattia, ma anche nell’identificazione della malattia linfonodale; si ritiene che

TC e RM andrebbero riservate solo a questa categoria di pazienti.

1.1.4.12 Tecniche di immagini di staging: scintigrafia ossea

Nei pazienti con cancro prostatico esiste un’elevata incidenza di metastasi

scheletriche, le quali sono frequentemente asintomatiche negli stadi iniziali. La

scintigrafia ossea viene spesso eseguita nei pazienti di prima diagnosi e

rappresenta la metodica diagnostica più accurata e soprattutto più sensibile, per

la ricerca delle metastasi scheletriche. Falsi negativi si presentano in meno

dell’1% dei casi e la sensibilità si avvicina al 100% nella rilevazione di

metastasi.

I dubbi interpretativi di questa metodica devono essere ulteriormente valutati

con radiografie mirate, o anche con RM o TC.

In generale, nel corso della stadiazione, l’esecuzione della scintigrafia ossea è

indicata nelle seguenti situazioni cliniche:

T1 e PSA superiore a 20 ng/mL

T2 e PSA superiore a 10 ng/mL oppure score di Gleason ≥ 8

T3 o T4

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19

Presenza di sintomi legati alla neoplasia

Nei pazienti a basso rischio (PSA < 10 ng/mL, Gleason score ≤ 6,

neoplasia intracapsulare), in assenza di sintomi o segni dovrebbe essere evitata.

1.1.5 Terapia del carcinoma prostatico

Per un'accurata scelta terapeutica bisogna considerare importanti fattori: stadio

della malattia, caratteristiche biologiche del tumore, aspettativa di vita del

paziente, patologie concomitanti ed i possibili effetti collaterali delle terapie

proposte.

Nei pazienti con malattia apparentemente confinata alla prostata, l’obiettivo

del trattamento è la guarigione, anche se vale tutt’oggi per questi pazienti

l’assioma che non tutti i pazienti con malattia localizzata in realtà necessitano

di un trattamento curativo e che, per contro, la guarigione è un obiettivo

realistico solo per una porzione di questi pazienti.

Questo assioma può giustificare ancora oggi la scelta di una politica di vigile

attesa, detta watchful waiting, nei pazienti che abbiano minore probabilità di

morire “per” il loro tumore prostatico, sia per la relativa indolenza della loro

malattia (pazienti con tumore sicuramente intracapsulare: T1a-b-c T2a, neoplasia

ben differenziata [Gleason ≤ 6] e bassi livelli di PSA [≤ 10 ng/mL]), sia per la

relativamente breve speranza di vita, avendo un'aspettativa di vita inferiore ai

10 anni, a causa dell’età avanzata o della presenza di comorbidità con più

elevata letalità della stessa neoplasia prostatica (63,74-76). La politica del

watchful waiting, il cui intento è quello di ridurre il rischio di sovra trattamento,

è una politica di sorveglianza, in assenza peraltro di controlli preordinati, di

quei pazienti nei quali si ritiene ragionevole che il trattamento immediato del

tumore non sia in grado di impattare sulla reale speranza di vita e nei quali,

pertanto, eventuali terapie sono dilazionate alla comparsa di sintomi, con

finalità pressochè esclusivamente palliative.

Bisogna però sottolineare come nessuno dei criteri sopra citati per

l'identificazione di una malattia a basso rischio abbia dimostrato un'affidabilità

assoluta nell’individuazione di una malattia di fatto di piccolo volume,

confinata all’organo e di basso grado all’istologia definitiva. Già in passato,

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infatti, è stata evidenziata la possibilità di trovare, pur in presenza di volume di

malattia bioptico <1 cc, neoplasie di grado elevato ed estensione

extracapsulare rispettivamente in 1 paziente su 3 fra quelli con Gleason score

bioptico compreso tra 3 e 6 e nel 16% dei pazienti in generale (77).

La “sorveglianza attiva” è invece una strategia di trattamento differito, che

viene offerta ai pazienti con malattia a basso rischio di progressione alla

diagnosi, e che, invece di un trattamento immediato, prevede lo stretto

monitoraggio del paziente m e d i a n t e ripetizione periodica delle biopsie

prostatiche, visita clinica, dosaggio del PSA, al fine di rilevare nel tempo una

eventuale progressione della malattia, e solo allora avviare il paziente al

trattamento locale più idoneo, pur sempre con intenti curativi.

Per quanto riguarda tutti gli altri pazienti con malattia apparentemente

intraprostatica e pertanto candidabili a terapie locoregionali con fini di

radicalità, ancora oggi la scelta delle diverse opzioni terapeutiche

(prostatectomia radicale, radioterapia con fasci esterni, brachiterapia) deve

basarsi fondamentalmente sulle preferenze del paziente, sullo skill

professionale dell’equipe dei medici chiamata ad erogare il trattamento, sulle

facilities di tipo tecnico e sulle risorse disponibili.

I pazienti con malattia extraprostatica non possono aspirare, se non in una

proporzione limitata, alla guarigione. Bisogna comunque cercare di raggiungere

un controllo adeguato della malattia a livello locale (di solito ottenibile con la

radioterapia esterna); inoltre l’impiego di trattamenti multimodali, e in

particolare dell’ormonoterapia neoadiuvante ed adiuvante, può

significativamente ridurre la recidività della malattia e prolungare la

sopravvivenza di una parte di questi pazienti.

Nei pazienti con malattia metastatica la palliazione rimane l’obiettivo più

concretamente perseguibile, soprattutto nei pazienti sintomatici. In questi

pazienti si hanno diverse opzioni di terapia ormonale e, in quelli con malattia

ormonorefrattaria, di chemioterapia che, unitamente alle varie forme di terapia

antalgica, alla terapia radiometabolica e alla terapia con difosfonati, possono

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impattare significativamente sulla qualità della vita e, se pure più

moderatamente, in alcuni casi sulla speranza di vita di questi pazienti.

In alcune situazioni quali recidiva biochimica dopo trattamenti locoregionali

con fini di radicalità, progressione biochimica dopo fallimento della terapia

ormonale di prima e/o seconda linea, l’assenza di sintomi può autorizzare una

condotta attendistica, dilazionando l’eventuale trattamento alla comparsa di

sintomi disturbanti, anche se i risultati di alcuni studi dimostrerebbero essere

migliore avvantaggiare il trattamento immediato anche di questi pazienti. Anche

in questi casi la scelta si baserà sulle preferenze e sulle attese del paziente e dei

suoi familiari e sulla compatibilità delle opzioni terapeutiche disponibili con lo

stato di salute del paziente e con la sua età.

1.1.5.1 Terapia chirurgica

L a prostatectomia radicale (PR) prevede l'asportazione in blocco di

prostata e vescicole seminali, comprensiva del tessuto circostante sufficiente

per ottenere dei margini chirurgici negativi e la successiva anastomosi vescico-

uretrale.

I principali vantaggi della PR consistono in una precisa definizione

dell’estensione della malattia, elevata possibilità di eradicare nel lungo periodo

la malattia, ovviamente in funzione dello stadio iniziale, possibilità di

identificare in modo agevole l’eventuale recidiva di malattia, tramite

valutazione del marker biochimico nel follow-up e la disponibilità di terapie per

le complicanze funzionali a lungo termine (cioè l’incontinenza urinaria e la

disfunzione erettile), che possono peggiorare la qualità della vita. I “contro” più

importanti sono costituiti proprio dal rischio di sviluppo di incontinenza e di

deficit erettile e dalle tempistiche di guarigione dall’intervento (78).

I possibili accessi a cielo aperto sono: retropubico, il più comunemente

impiegato, transperineale a transcoccigeo. E' emergente l'accesso laparoscopico

che offre un vantaggio in termini di mini invasività (79-82).

L’intervento può essere preceduto da una linfoadenectomia pelvica se il

rischio di avere i linfonodi positivi è superiore al 2%; tuttavia, una

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linfoadenectomia estesa dovrebbe essere evitata nei pazienti con un rischio

inferiore al 5% mentre sarebbe raccomandabile nei pazienti con un rischio

superiore al 5% (83,84).

La PR dovrebbe essere consigliata ai pazienti con tumori T1c, tenendo

presente che neoplasie clinicamente significative si trovano nella maggior parte

di questi individui. I pazienti in stadio T2a, con più di 10 anni di aspettativa di

vita, trovano anch’essi indicazione alla chirurgia radicale, perché dopo 5 anni

dalla diagnosi il 35-55% potrà avere una progressione di malattia, se questa

non viene trattata. E' inoltre indicata nelle neoplasie a rischio intermedio (cT2b-

T2c o Gleason score = 7 o PSA 10-20 ng/mL] (85).

La finalità della PR è l’eradicazione del tumore ritenuto localmente

confinato alla ghiandola prostatica.

Il tumore della prostata con coinvolgimento linfonodale non rappresenta

un’indicazione alla prostatectomia radicale, anche se l’incidenza di

progressione tumorale è più bassa, in caso d’invasione microscopica di un

numero ridotto di linfonodi (86).

1.1.5.2 Terapia radiante

La radioterapia ha assunto nel tempo un ruolo sempre più importante nel

trattamento del tumore della prostata in stadio localizzato, costituendo un

trattamento equipollente alla chirurgia.

Le metodiche di somministrazione sono di due tipi: la radioterapia a fasci

esterni e la brachiterapia.

La radioterapia a fasci esterni utilizza sorgenti ad alta energia. La disponibilità

di sistemi computerizzati basati sulla TC per la pianificazione terapeutica e

la relativa ricostruzione tridimensionale (3D-CRT, “Three Dimensional

Conformal Radiotherapy”) del volume bersaglio e degli organi critici, hanno

reso possibile la somministrazione di dosi elevate di radiazione (>72 Gy),

conformando accuratamente la dose stessa attorno alla silhouette tumorale e

riducendo significativamente l’irradiazione dei tessuti sani circostanti e la

conseguente tossicità locale (87,88).

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23

La radioterapia con intensità modulata (IMRT, “Intensity Modulated

Radiotherapy”), fornisce una ulteriore possibilità di incrementare la dose totale

di irradiazione sul volume bersaglio, riducendo la tossicità locale. Questa

tecnica, applicata pressoché routinariamente negli USA, è sempre più

frequentemente utilizzata anche nel nostro Paese. A parità di dose

somministrata con tecnica 3D-CRT, l’uso della IMRT non ha però mostrato un

vantaggio in termini di sopravvivenza e ricaduta di malattia, ma solo una

riduzione di effetti collaterali acuti. Pertanto questa tecnica è da preferirsi

quando il volume di trattamento deve interessare anche le stazioni linfonodali e

per dosi superiori ai 76 Gy a livello prostatico.

La radioterapia conformazionale 3-D è considerata da molti centri lo

standard di riferimento radiante nel trattamento del cancro prostatico localizzato

e localmente avanzato (T1-T3).

La seconda metodica è rappresentata dalla brachiterapia che prevede

l'impianto permanente di radioisotopi β-emittenti, usualmente Iodio-125

Palladio-103, sigillati in capsule di titanio, opportunamente impiantanti, per via

perineale, in anestesia generale o spinale, nel contesto del volume prostatico

predeterminato con TC stereoscopica e posizionati sotto guida ecografia e

fluoroscopica (89-91).

In linea generale la brachiterapia si pone come una alternativa terapeutica al

trattamento chirurgico radicale del tumore prostatico localizzato a basso rischio

(T18T2, Gleason ≤ 6, PSA ≤ 10). I risultati clinici sul periodo libero da

ricaduta biochimica, in studi monoistituzionali retrospettivi, sono simili a quelli

della chirurgia e della radioterapia a fasci esterni (92).

Il trattamento radioterapico radicale può essere utilizzato in tutti i pazienti

affetti da tumore prostatico di stadio da I a III.

La radioterapia convenzionale consente di ottenere tassi di controllo locale

fra l’85 e il 96% nei pazienti in stadio T1b-T2 e fra il 58 e il 65% nei tumori

T3, con risultati a lungo termine simili a quelli ottenibili con la chirurgia

radicale (75,93,94). Esistono ormai numerosi studi randomizzati che hanno

evidenziato il vantaggio di alte dosi di radioterapia nella cura del tumore

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prostatico localizzato, soprattutto in alcuni sottogruppi di pazienti. Il

raggiungimento di questa dose escalation è ottenibile mediante tecniche

conformazionali tridimensionali (3-D RT) o con modulazione d’intensità

(IMRT) (88,95).

Per quanto riguarda la brachiterapia invece, i pazienti candidabili a questo

trattamento dovrebbero essere T1b –T2a, N0, M0, PSA ≤10, Gleason ≤6,

con volume prostatico ≤50 ml e senza precedenti TURP. Mediamente, i

risultati in termini di controllo del PSA a 5 anni variano fra il 63 e l’88% in

pazienti trattati con brachiterapia esclusiva, valori simili a quelli del

trattamento radiante esterno, con minor frequenza di impotenza (8-14%) (92).

Nei pazienti a rischio intermedio e alto la brachiterapia può essere impiegata

come boost dopo una radioterapia esterna al fine di aumentare la dose al

target.

I risultati di vari studi, tra cui lo studio randomizzato EORTC 22911

pubblicato nel 2005, hanno dimostrato, negli stadi pT3a e pT3b o nei pazienti

con margini positivi, un vantaggio statisticamente significativo in termini di

progression free survival biochimico e clinico a favore del trattamento

radioterapico immediato adiuvante (74% vs 52% e 85% vs 75% a 5 anni,

rispettivamente) (96). Successivamente, la revisione centralizzata degli esami

istologici ha sottolineato l’importanza dei margini positivi come fattore

prognostico per la valutazione della radioterapia adiuvante (97). Il margine

positivo è particolarmente sfavorevole se è diffuso (> di 10 mm, ≥3 siti

interessati) e associato a mancato azzeramento dei valori di PSA postoperatorio.

Il 15-40% dei pazienti inizialmente avviati a chirurgia, a 5 anni, presenta una

ricaduta biochimica e un terzo di loro svilupperà metastasi a distanza. Il tempo

medio alla comparsa delle lesioni secondarie dopo la risalita del PSA è di 8 anni

(98,99).

Sulla base dei dati pubblicati, si ritiene che la radioterapia di salvataggio

esclusiva, dopo prostatectomia, per risalita del PSA, sia consigliata per

pazienti con fattori prognostici favorevoli: PSA < 10 ng/mL pre chirurgia,

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doubling time >10 mesi, Gleason ≤7, e valori di PSA prima di iniziare il

trattamento radioterapico <1 ng/mL.

La radioterapia è inoltre un importante strumento di controllo dei sintomi per

la palliazione delle metastasi ossee da cancro prostatico.

Possono essere usati con sicurezza schemi di trattamento ipofrazionati, che

cioè suddividono la dose totale in un numero limitato di frazioni, che hanno il

vantaggio di ridurre gli accessi in ospedale o la durata del ricovero.

La terapia radiometabolica è un’opzione efficace e appropriata per i pazienti

con malattia ossea, sintomatica, diffusa (100-104). I radiofarmaci più utilizzati

sono difosfonati marcati con il 153Sm (Samario) oppure lo 89Sr (Stronzio), che

hanno dimostrato buona efficacia come trattamento palliativo in pazienti con

metastasi osteoblastiche e vengono talora preferiti nei pazienti con metastasi

multiple.

1.1.5.3 Terapia delle recidive dopo terapia primaria

La scelta dell’ulteriore trattamento in seguito a progressione della malattia

dipende da vari fattori: il tipo di trattamento precedentemente adottato, la sede di

ricaduta, la presenza di patologie concomitanti e, non ultimo, il personale punto

di vista del paziente.

1.1.5.3.1 Ricaduta locale di malattia

I pazienti che mostrano esclusivamente una ricaduta a livello locale dopo

chirurgia radicale possono beneficiare di un trattamento radioterapico della

recidiva esteso alla loggia prostatica (105-107). Come già detto prima,

migliore è l’efficacia terapeutica della RT di salvataggio se eseguita con PSA <

1 ng/mL, e ancor più per valori di PSA < 0.5 ng/mL.

I pazienti che mostrano una ricaduta locale dopo radioterapia, invece, sono in

genere avviati ad un trattamento ormonoterapico sistemico (anche se non è

provato un suo vantaggio in termini di sopravvivenza), considerato che nel 90%

di tali pazienti è ragionevole escludere che la progressione sia solo a livello

locale.

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1.1.5.3.2 Ricaduta solo biochimica

Un problema sempre più frequente è rappresentato dai pazienti che

presentano esclusivamente una progressione biochimica dopo terapia

locoregionale.

I pazienti sottoposti a prostatectomia radicale dovrebbero raggiungere un

azzeramento del PSA dopo circa 6 settimane dall’intervento. Solitamente si

raccomanda di effettuare almeno due determinazioni successive con valori, in

incremento, > 0.2 ng/mL, prima di giudicare un paziente ricaduto (108).

Per i pazienti invece radiotrattati, la definizione è più controversa, per quanto

la progressione del PSA di 2 ng/mL rispetto al nadir postradioterapico appare il

criterio più valido per “identificare” la recidiva biochimica (109). Dopo la

diagnosi di recidiva biochimica, per cercare di capire se si tratta di una ricaduta

locale o a distanza, si valutano i seguenti parametri: tempo intercorso tra la

risalita del PSA e il trattamento locoregionale, PSA velocity e/o PSA doubling

time, stadio isto-patologico e Gleason della neoplasia prostatica (110).

Inoltre sempre più importante sta diventando la PET con colina nella

ristadiazione dei pazienti con ricaduta biochimica di malattia, purchè i livelli di

PSA siano superiori a 1,5 ng/mL (111).

La maggior parte di questi pazienti è destinata a sviluppare metastasi a

distanza, anche se il tempo necessario per la comparsa di metastasi e/o di

sintomi disturbanti può essere anche di molti anni, per cui non necessitano

obbligatoriamente di un trattamento immediato. Alcuni studi retrospettivi

dimostrano che il trattamento ormonale è in grado di prolungare il tempo di

comparsa delle metastasi e forse la sopravvivenza (112-114). Pertanto, è

accettabile avviare i pazienti con sola recidiva biochimica a ormonoterapia

sistemica, considerando che comunque la maggior parte di questi pazienti rifiuta

un atteggiamento di tipo attendistico.

Fanno eccezione i pazienti con recidiva/persistenza biochimica esclusiva

dopo chirurgia con neoplasie primitive ben differenziate (Gleason score ≤7),

livelli iniziali di PSA ≤10 ng/mL e soprattutto con un aumento molto lento

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dei livelli di PSA dopo chirurgia (tempo di raddoppiamento ˃10 mesi), che

possono essere avviati a radioterapia della loggia prostatica.

1.1.5.4 Terapia endocrina

Le neoplasie prostatiche sono altamente ormonodipendenti per cui la riduzione

dei livelli circolanti di testosterone (deprivazione androgenica) ottenibile

mediante castrazione chirurgica (orchiectomia bilaterale) o medica rappresenta il

trattamento di scelta nei pazienti con malattia metastatica o con malattia più

limitata non candidabili a trattamento locale con intento curativo.

I farmaci che mantengono il testosterone circolante a livelli minimi sono gli

analoghi del LH-RH e gli antagonisti del LH-RH (115-121); la castrazione che

ne deriva è, almeno in parte, reversibile, consente di evitare un trauma

chirurgico ed è spesso psicologicamente meglio accettata dal paziente, ha

tuttavia lo svantaggio di avere costi superiori e, con l’impiego di alcuni preparati

(LH-RH analoghi), di instaurarsi con maggior lentezza.

L'impiego di antiandrogeni in monoterapia può essere indicato in pazienti con

malattia limitata o poco aggressiva e in pazienti non candidabili a trattamento

locoregionale definitivo per l'età o comorbidità.

Il blocco androgenico totale si ottiene mediante l'impiego combinato di

antiandrogeni con castrazione chirurgica o medica ed è in grado di ottenere

effetti superiori rispetto alla solo soppressione androgenica. Il BAT può essere

indicato in soggetti con tumore metastatico.

1.1.5.5 Terapia del carcinoma prostatico ormonorefrattario

Il carcinoma della prostata può progredire con aumento del PSA, comparsa o

progressione delle metastasi durante o dopo la terapia ormonale classica. Si parla

in questi casi di carcinoma della prostata ormonorefrattario. Questi pazienti

hanno generalmente prognosi infausta con sopravvivenza mediana attesa di circa

18 mesi.

E' stato dimostrato che in questa fase di malattia, in cui il tumore è in grado di

crescere e progredire anche in presenza di basse dosi di testosterone circolante, la

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somministrazione di ulteriori trattamenti sistemici porta ad aumenti della

sopravvivenza, miglior palliazione dei sintomi e miglioramento della qualità di

vita.

Attualmente le forme di trattamento disponibili sono il trattamento ormonale

di II linea e la chemioterapia.

Per quanto riguarda la terapia ormonale di seconda linea, questa prevede

l’aggiunta di un antiandrogeno, se il paziente era in trattamento con soli LH-RH

analoghi, oppure la sospensione dell'antiandrogeno, se il paziente era in blocco

androgenico completo. Tale trattamento induce una riduzione di valori sierici di

PSA nel 15-35% dei pazienti,

Invece riguardo alla chemioterapia, il trattamento con docetaxel e prednisone

secondo schedula trisettimanale è diventato il trattamento standard di I linea nei

pazienti metastatici ormonorefrattari, in caso di fallimento farmaco di seconda

scelta è il Cabazitaxel.

1.1.6 Follow-Up

Anche se non c'è un consenso unanime sul tipo e sulla periodicità degli esami

da eseguire nei pazienti con carcinoma prostatico, non vi è dubbio che la maggior

parte dei medici e dei pazienti ritenga opportuna una valutazione periodica dello

stato di malattia.

Nei pazienti operati e in quelli trattati con radioterapia con fini di radicalità, lo

scopo del follow-up è fondamentalmente quello d'identificare l'eventuale ripresa

di malattia a livello locale o a distanza. Nei pazienti con malattia avanzata in

trattamento con terapia ormonale, il follow-up ha lo scopo di valutare la risposta

alla terapia.

In tutti i casi, inoltre, il follow-up del paziente ha lo scopo di valutare

l'incidenza e di controllare, se possibile, l'evoluzione degli effetti collaterali

indotti dai vari tipi di trattamento o delle complicanze causate dalla malattia.

D'altra parte, mentre è ancora incerto se e quanto l'eventuale diagnosi

anticipata di una recidiva o di una progressione di malattia possa tradursi in un

prolungamento della sopravvivenza, soprattutto nei pazienti con malattia

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avanzata, è verosimile che l'identificazione precoce della progressione di malattia

possa influire positivamente sulla qualità della vita del paziente. Infine, il

monitoraggio periodico del paziente e della malattia può consentire uno studio

più adeguato della storia naturale di questa neoplasia e quindi di acquisire

informazioni utili per il progredire della ricerca anche in campo terapeutico.

Anche se la maggior parte dei pazienti è rassicurata da un follow-up assiduo e

dalla periodica ripetizione di esami in grado di valutare lo stato di salute, occorre

considerare tuttavia che la ripetizione troppo frequente di esami clinici e

strumentali può in realtà essere un disagio per i pazienti per lo più anziani.

Pertanto, a prescindere dall'esame clinico, che rimane l'esame di base in tutti i

pazienti, sia in quelli sottoposti a prostatectomia, a radioterapia o ad altri

trattamenti con fini di radicalità, sia in quelli con malattia avanzata, è oggi

proponibile modulare l'esecuzione degli esami strumentali sulla base dei livelli di

PSA. Il comportamento dei livelli di PSA si correla infatti abbastanza fedelmente

con il decorso della malattia sia dopo i trattamenti loco-regionali sia in corso di

terapia ormonale, almeno nella maggior parte di pazienti.

1.1.6.1 PSA dopo prostatectomia radicale

Dopo la chirurgia radicale, il PSA misurato con metodi standard deve scendere

a valori non dosabili. L'emivita del PSA (circa 3 giorni) suggerisce che una

valutazione della radicalità sia già possibile a 30 giorni dall'intervento, anche se

un periodo di 6-8 settimane è probabilmente un intervallo di tempo più affidabile,

considerate le possibili variazioni individuali del metabolismo del marcatore

(108,122-124).

Qualora si riscontrino livelli dosabili di PSA dopo prostatectomia radicale, è

raccomandabile considerare le variazioni nel tempo del biomarcatore in prelievi

seriati; se livelli minimi dosabili rimangono stabili, è possibile non si tratti di

malattia residua, ma di un rilascio da parte di tessuto prostatico residuo o di

tessuti extraprostatici. Per contro, se i livelli mostrano una tendenza verso

l'incremento è ipotizzabile la presenza di malattia residua.

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30

E' comunque necessario un livello di PSA superiore a 0,2/0,4 ng/mL

confermato ad un successivo prelievo eseguito a 4 settimane dal precedente

controllo per definire la ripresa biochimica.

1.1.6.2 PSA dopo radioterapia con intenti curativi

Il dosaggio del PSA dopo la radioterapia ha un ruolo meno definito che dopo

la chirurgia, in quanto il tessuto prostatico, neoplastico e non, rimane in sede

durante e dopo il trattamento radioterapico. Le variazioni del PSA sono quindi

legate allo stato di vitalità e di funzionalità del tessuto irradiato. Tuttavia, dai

risultati riportati in letteratura si possono trarre le seguenti indicazioni (109,125-

128):

il raggiungimento al nadir di un valore di PSA <10 ng/mL è associato ad

una prognosi migliore riflettendo la radicalità dell'intervento

la riduzione dei livelli di PSA richiede un tempo piuttosto lungo; infatti, il

nadir dei valori ematici di PSA deve essere atteso tra 6 e 12 mesi dalla

fine della terapia. Un tempo prolungato di raggiungimento del nadir è un

indice prognostico favorevole.

Il fallimento biochimico era stato definito dalle linee guida della Società

Americana di Radioterapia Oncologica (ASTRO) come quello

conseguente a tre successivi rialzi del PSA, dopo radioterapia radicale,ma

è stata successivamente riformulata (128). Criterio più valido per

identificare la recidiva biochimica, detto di Houston, è stato definito nella

progressione del PSA superiore a 2 ng/mL rispetto al nadir post-

radioterapico.

1.1.6.3 PSA in corso di terapia ormonale

Numerose dimostrazioni sperimentali indicano che la deprivazione

androgenica può inibire il PSA in modo indipendente rispetto al blocco della

crescita cellulare. Queste informazioni, indubbiamente rilevanti dal punto di vista

conoscitivo, hanno per altro un'influenza non critica sull'utilizzo clinico del

marcatore. Infatti, il PSA rimane un ottimo indicatore di risposta alla terapia o di

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progressione (129-133). Pur non essendo disponibili ancora algoritmi

d'interpretazione standardizzati, si può concordare sui seguenti punti:

se il PSA raggiunge valori prossimi allo zero la durata della risposta è

maggiore;

la rapidità della riduzione dei valori di PSA è un indice prognostico

favorevole;

la progressione è altamente improbabile finché il PSA rimane ai valori di

nadir raggiunti con la terapia,;

nei pazienti con PSA stabilmente ai livelli di nadir la scintigrafia ossea e

gli esami strumentali,inclusa la PET con colina, sono superflui.

1.2 La tomografia ad emissione di positroni

La tomografia ad emissione di positroni o PET (dall’inglese “Positron

Emission Tomography”) è una tecnica non invasiva che fa parte della diagnostica

di Medicina Nucleare e che ha recentemente trovato varie applicazioni in molti

campi della medicina, in particolare in campo oncologico. Le applicazioni della

PET in oncologia riguardano molti tipi di neoplasie facendo uso di diversi

radiofarmaci a seconda dell’istotipo: tumori cerebrali, del distretto testa-collo, del

polmone, della mammella, del tratto gastro-enterico, del sistema genito-urinario,

di ossa, muscoli e tessuti molli, linfomi e mielomi, melanoma, neoplasie

endocrine e neuroendocrine. L'istotipo, lo stadio della malattia, e la fase dell’iter

clinico del paziente oncologico determinano le indicazioni all’esame PET, che

possono essere così schematicamente riassunte:

diagnosi differenziale tra lesioni benigne e maligne;

stadiazione;

ristadiazione a fine trattamento;

monitoraggio dell’efficacia della terapia;

identificazione di tumore primitivo a sede ignota;

caratterizzazione biologica del tessuto neoplastico;

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localizzazione della sede più opportuna nell'ambito di una massa da

sottoporre a biopsia diagnostica;

identificazione dei volumi da trattare con radioterapia esterna, per

definizione del piano di trattamento radioterapico basato sul volume

biologicamente attivo.

La PET è in grado di produrre immagini di processi biochimici e fisiologici,

fondamentali nella comprensione sia delle patologie sia del normale

funzionamento degli organi. L’imaging PET è quindi di tipo molecolare o

funzionale piuttosto che di tipo anatomico. Tecniche di imaging come la

radiologia tradizionale, la TC e la RM sono fondamentali ausili diagnostici per

evidenziare anormalità anatomiche. Tuttavia, la capacità di rilevare alterazioni di

processi biochimici o funzionali, che spesso precedono le modificazioni

strutturali caratteristiche delle diverse patologie, rappresenta una componente

fondamentale fornita dalla PET che contribuisce alla identificazione precoce

della sede, estensione e, talvolta, della natura del processo patologico.

La PET impiega traccianti radioattivi ottenuti marcando molecole

normalmente presenti nei tessuti biologici (quali zuccheri, amminoacidi, peptidi,

basi puriniche, ecc) con radionuclidi emettitori di positroni (particelle con la

stessa massa degli elettroni, ma con carica elettrica positiva).

A seguito di un decadimento β+, i positroni, percorsa una breve distanza, si

annichilano con un elettrone del mezzo circostante; dalla annichilazione del

positrone e dell’elettrone vengono quindi emessi contemporaneamente due raggi

γ di energia pari a 511 KeV. I due fotoni sono emessi simultaneamente lungo la

stessa linea di volo, ma in verso opposto, ovvero l'angolo di emissione di un

raggio γ rispetto all'altro è di circa 180°; la loro direzione di volo è definita

mediante l'uso di rivelatori in coincidenza temporale posti attorno al paziente. In

particolare, i raggi γ vengono riconosciuti come appartenenti ad uno stesso

evento di annichilazione nel momento in cui questi vengono rilevati da due

rilevatori opposti con una differenza temporale inferiore ad un certo valore Δt,

detto finestra temporale; viene così definita la linea di risposta (LOR) e quindi la

direzione lungo la quale è avvenuta l'annichilazione.

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Una volta registrate le LOR, un software di ricostruzione utilizza le

informazioni acquisite a vari angoli e per determinate posizioni lungo l'asse per

ottenere un'immagine che rappresenterà la distribuzione del radioisotopo

all'interno dell'organo in esame.

Attualmente, tutti i sistemi PET sono costituiti da uno o più anelli di rivelatori

posti attorno all'oggetto da osservare. Ogni rivelatore è messo in coincidenza con

quelli che giacciono su un arco di circonferenza diametralmente opposto; viene

quindi definito il "campo di vista" (FOV) del tomografo mediante l'intersezione

tra tutti i settori così determinati. Ciò permette di ottenere una copertura angolare

completa e di acquisire contemporaneamente i dati a vari angoli senza alcuna

rotazione.

Le prime PET "ad anello" erano costituite da un unico anello di rivelazione,

quelle invece successive sono costituite da più anelli di rivelazione così da

aumentare il campo di vista nella direzione assiale.

I sistemi PET a più anelli sono classificati in due categorie: sistemi 2D e 3D.

Nei primi non sono ammesse coincidenze tra rivelatori appartenenti ad anelli

diversi e i dati registrati appartengono tutti allo stesso anello; inoltre per limitare i

conteggi in singola che raggiungono ciascun anello, questo è fisicamente

separato da quelli vicini mediante setti in piombo o in tungsteno. Questi sistemi

PET sono dotati di setti retrattili in modo tale da poter passare dalla modalità 2D

a quella 3D. Nei sistemi 3D, invece, si ammettono coincidenze tra anelli diversi.

Grazie alla introduzione di nuove tipologie di cristalli con tempi di

scintillazione molto veloce, la maggior parte dei tomografi PET utilizza la sola

modalità 3D. Ne sono un esempio i cristalli di orto-silicati di Ittrio-Lutezio

(LYSO) che grazie alla elevata velocità di scintillazione consentono inoltre di

utilizzare per la ricostruzione tomografica l’informazione del tempo di volo dei

fotoni (Time of Flight, TOF), con cui è possibile discriminare i diversi tempi di

arrivo dei due fotoni di annichilazione e sfruttare tale informazione al fine di

migliorare risoluzione spaziale e rapporto segnale/rumore elle immagini (133).

L’evoluzione tecnologica ha permesso la realizzazione e la

commercializzazione a partire dagli anni 2000 di strumenti ibridi PET/TC,

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costituiti da un tomografo PET accoppiato ad uno TC. La diffusione di questa

strumentazione ibrida ha consentito di superare il principale limite della PET

tradizionalmente rappresentato dal fatto che l’accumulo del radiofarmaco non

potesse sempre essere attribuito con precisione a specifiche strutture anatomiche.

I tomografi ibridi PET/TC permettono infatti di acquisire in un’unica seduta

immagini funzionali ed anatomiche, producendo come risultato finale immagini

di fusione delle due metodiche. Questa evoluzione tecnologica ha contribuito a

ridurre soprattutto i risultati falsi positivi e a migliorare quindi la specificità, con

conseguente ulteriore aumento dell'accuratezza diagnostica globale (133-136).

Infatti, mentre da un lato l’informazione molecolare derivante dall'esame PET

è in grado di caratterizzare le lesioni anatomiche come neoplastiche o meno (o

comunque come lesioni comportanti incremento dell'attività metabolica e/o

proliferativa, oppure, ad esempio, iperespressione, recettoriale), dall’altro

l’immagine molecolare può beneficiare dell’informazione anatomico-topografica

derivante dalla TC.

Un limite della PET/TC è rappresentato dagli effetti del movimento

involontario delle lesioni e degli organi interni durante il tempo di scansione; tali

movimenti sono provocati principalmente dal battito cardiaco e dal respiro del

paziente. La risposta tecnologica al problema dei movimenti causati dal respiro è

attualmente rappresentata dalle tecniche di gating respiratorio (GR) 4D-PET/TC,

basate sull’acquisizione delle immagini PET e TC sincronizzata alla registrazione

della curva respiratoria. L'obiettivo di tali metodologie di acquisizione è di

ottenere immagini libere da artefatti da movimento, così da migliorare la qualità

e l'accuratezza diagnostica delle immagini sia TC che PET. Ciò è particolarmente

rilevante in tutte quelle applicazioni cliniche il cui obiettivo è la rivelazione e la

caratterizzazione metabolica di piccole lesioni localizzate in regioni

prevedibilmente mobili, come ad esempio lesioni polmonari o del fegato. Un

altro campo di applicazione delle tecniche di GR 4D-PET/CT è in RT. In questo

caso lo scopo è di valutare i movimenti delle lesioni e degli organi circostanti, al

fine di ottenere una più accurata e personalizzata definizione del piano di

trattamento.

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Gli strumenti necessari per la realizzazione di studi di GR 4D-PET/CT sono,

oltre al sistema integrato PET/CT, l’hardware e il software per la

sincronizzazione dei dati di acquisizione al respiro del paziente. Per quanto

riguarda la rivelazione del respiro è necessario avere un sistema di monitoraggio

che in tempo reale riveli e traduca un segnale “fisiologico” in una curva

rappresentativa del ciclo respiratorio del paziente. Possono essere utilizzate allo

scopo diverse soluzioni: sistemi spirometrici che quantificano il volume

istantaneo d’aria presente nei polmoni; estensimetri a fascia elastica che

calcolano l’espansione volumetrica della cassa toracica; sistemi opto-elettronici

di tipo passivo che quantificano il movimento dell’addome o del torace mediante

la rivelazione dei movimenti di uno o più markers posizionati sulla pelle del

paziente. Una volta stabilita la sincronizzazione tra respiro del paziente e sistema

di acquisizione le possibili modalità di acquisizione 4D-TC sono due: prospettica

e retrospettiva.

In caso di acquisizione prospettica, viene scelta a priori una fase respiratoria

specifica in cui acquisire selettivamente i dati. Viene generalmente scelta la fase

di massima espirazione che è, normalmente, la fase meno mobile e quindi più

stabile. Il sistema di monitoraggio del respiro riconosce per ogni ciclo

respiratorio, l’istante di inizio della fase e invia al tomografo un segnale di

trigger per dare inizio all’acquisizione dei dati per una finestra temporale di

durata definita a priori (dell’ordine di qualche centinaio di millisecondi). Si

ottengono in questo modo immagini “statiche”, rappresentative della posizione

della lesione e degli organi nella fase selezionata del ciclo respiratorio del

paziente. La tecnica di acquisizione retrospettiva richiede, invece, che si

acquisiscono i dati durante tutto il ciclo respiratorio, sempre in modo

sincronizzato al segnale fisiologico. Solamente a posteriori, i dati vengono

organizzati in un numero definito di fasi respiratorie (tipicamente 6-10). La

modalità di acquisizione retrospettiva è, attualmente, la più utilizzata, in quanto,

a differenza della tecnica prospettica, permette di disporre di immagini relative a

tutto il ciclo respiratorio del paziente e permette dunque a posteriori, la completa

visualizzazione ed analisi del movimento della lesione e degli organi circostanti,

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associato al respiro.

Anche se i radiofarmaci emettitori di positroni potenzialmente utilizzabili per

la PET in oncologia sono numerosi, il più diffuso è il Fluoro-2-desossiglucosio

marcato con il radioisotopo Fluoro-18 (FDG), un analogo del glucosio nel quale

un atomo di fluoro sostituisce il gruppo ossidrile in posizione 2 e che utilizza gli

stessi trasportatori di membrana del glucosio; il FDG viene trasportato all'interno

della cellula, dove rimane intrappolato perché non viene ulteriormente

metabolizzato. Il razionale del''impiego di tale tracciante in ambito oncologico

risiede nella caratteristica del tessuto tumorale di presentare un metabolismo

glucidico aumentato, dovuto sia ad un aumento dei trasportatori di glucosio

attraverso la membrane sia ad un aumento dell'attività dei principali enzimi della

via glicolitica (137). Quindi, il FDG individua i tumori con elevato consumo di

glucosio: la captazione del tracciante è correlata con il grado di malignità, con la

densità cellulare e con l’aggressività biologica.

Numerosi fattori possono influenzare l'accumulo del FDG nel tessuto

neoplastico come la competizione da parte del glucosio endogeno; in particolare,

in caso di livelli di glicemia elevati la captazione di FDG da parte dei tessuti, sani

e neoplastici, è ridotta. Oltre a ciò è anche necessario evidenziare come anche i

tessuti ove è in atto il fenomeno dell'infiammazione captano avidamente l'FDG

tramite le stesse cellule della flogosi (specie i macrofagi); col rischio che l'esame

mostri risultati falsi positivi, per fortuna spesso contenibili abbinando alla

scansione PET una scansione TC o RM.

Alcuni istotipi maligni, come i tumori a cellule a castone, non hanno la

caratteristica di accumulare questo radiofarmaco e, in questi casi, l’indagine PET

presenta una sensibilità estremamente bassa, risultando di scarsa utilità clinica.

La necessità di molecole che consentano di identificare le neoplasie che non

risultano avide di FDG e che siano selettive per i processi neoplastici ha fatto sì

che negli ultimi anni ci fosse un notevole sforzo per l’identificazione di possibili

traccianti PET non-FDG. Tali traccianti possono essere divisi in due gruppi:

radiofarmaci marcati con il Fluoro-18 che, avendo un’emivita fisica di circa 2 ore,

possono essere sintetizzati e distribuiti in centri PET non dotati di ciclotrone che

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possono essere raggiunti in tempi ragionevoli dalla sede di sintesi, e radiofarmaci

marcati con il Carbonio-11 che, avendo un’emivita fisica di circa 20 minuti,

devono essere sintetizzati ed immediatamente utilizzati nei centri PET dotati di

radiofarmacia e ciclotrone, o nelle immediate adiacenze. Appartengono al primo

gruppo diversi radiofarmaci, dei quali i più utilizzati sono la [18

F]FluoroDOPA,

la [18

F]Fluorocolina ed la [18

F]Fluorotimidina, il [18

F]Fluoromisonidazolo, il

[18

F]Fluoroetiltirosina. Appartengono invece al secondo gruppo radiofarmaci

quali la [11

C]Colina, [11

C]Acetato, [11

C]Metionina.

Risulta molto promettente l’impiego di radioisotopi emettitori di positroni

prodotti da generatore, non da ciclotrone. Il principale è rappresentato dal Gallio-

68, prodotto dal genitore Germanio-68 mediante generatore. Il Gallio-68 è un

radionuclide con emivita di 68 minuti, che decade emettendo positroni e risulta

essere un ottimo candidato per la marcatura di diversi molecole. In particolare è

stato impiegato per la marcatura di analoghi della somatostatina come ad

esempio il DOTATOC; l’utilizzo di 68Ga-DOTATOC risulta molto utile nella

diagnostica PET/TC delle neoplasie neuroendocrine che generalmente non

risultano avide di FDG.

Anche nello studio del carcinoma prostatico, l’esame PET/TC con FDG

presenta delle limitazioni; un limite della metodica è rappresentata dalla

fisiologica eliminazione del radiofarmaco attraverso i reni e le vie urinarie, che

vengono di conseguenza a visualizzarsi nel corso dello studio, e che sono

responsabili, soprattutto la vescica, della difficile valutazione della loggia

prostatica. E' stato inoltre documentato come la captazione del tracciante FDG a

livello del tumore primitivo della prostata e delle sue localizzazioni secondarie

ossee risulti ridotta; infatti il carcinoma prostatico è caratterizzato da un b a s s o

metabolismo glucidico con relativa scarsa espressione sulla membrana cellulare

di trasportatori del glucosio del sottotipo 1 (GLUT-1). La sensibilità diagnostica

della PET/TC con FDG nell'individuare metastasi scheletriche da carcinoma

prostatico è inferiore rispetto alla scintigrafia ossea e questo si ipotizza essere

dovuto alla lenta proliferazione che caratterizza questo tumore (138,139).

Sebbene sia stato descritto come la PET con [18

F]FDG sia in grado di identificare

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metastasi linfonodali addominali con una sensibilità diagnostica più elevata

rispetto alla TC, la PET/TC con FDG presenta comunque una sensibilità non

ottimale nell’identificare la neoplasia prostatica primitiva e le sue metastasi

linfonodali e scheletriche (140,141).

Studi con spettroscopia e RM hanno dimostrato un aumento di fosfatidilcolina,

un fosfolipide di membrana, nel tessuto neoplastico rispetto al tessuto normale.

Tutte le cellule eucariotiche utilizzano la colina come precursore nella biosintesi

dei fosfolipidi. I fosfolipidi sono la componente essenziale delle membrane

cellulari, sia delle cellule normali sia di quelle neoplastiche. La carcinogenesi è

caratterizzata da un aumento della proliferazione cellulare e quindi, per induzione

dell’attività colinchinasica, da un incremento di fosfolipidi nell’ambito del

tessuto trasformato. Queste osservazioni sono state il razionale per l’introduzione

da parte di Hara et al. (142) di un tracciante per la diagnostica tumorale mediante

PET: la metil-colina marcata con carbonio-11 ([11

C]Colina). Questo tracciante è

stato impiegato in diverse patologie tumorali, quali il tumore cerebrale,

polmonare e vescicale (143-145). L’utilizzo clinico principale della PET con

[11

C]Colina è tuttavia lo studio della malattia prostatica, come dimostrato dai

numerosi studi pubblicati negli ultimi anni.

La [11

C]Colina, infatti, viene captata dal tessuto prostatico, dove rientra

fisiologicamente nella sintesi dei fosfolipidi di membrana. Questa proprietà viene

mantenuta dal tessuto prostatico neoplastico. La [11

C]Colina presenta inoltre una

trascurabile eliminazione attraverso le vie urinarie e la prostata risulta essere

quindi l’unico organo ad avere una significativa captazione del tracciante in

regione pelvica. Esistono numerosi studi sul ruolo della PET con [11

C]Colina

nell’identificare la presenza di tumore nella ghiandola prostatica e sul suo

impiego nella stadiazione della malattia prostatica prima del trattamento (146-

149). Tuttavia, il campo di applicazione principale è la ristadiazione della

malattia prostatica. In particolare, il ruolo principale della PET con [11

C]Colina è

rappresentato dalla possibilità di identificare la sede della ripresa di malattia nel

paziente già sottoposto a trattamento radicale per tumore prostatico e che presenti

come unico indice di ripresa di malattia un aumento progressivo del PSA (111,

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150-152).

La [11

C]Colina è caratterizzata da una breve emivita (circa 20,4 minuti); per

questo motivo il suo impiego è consentito solo nei centri che possiedono un

ciclotrone. In considerazione dei limiti logistici di impiego del [11

C], la colina è

stata successivamente marcata con [18

F], che – grazie al maggior tempo di

dimezzamento (109,8 min) – ne consente lo stoccaggio e il trasporto. Tuttavia, il

tracciante [18

F]Fluorocolina è caratterizzato da una maggiore escrezione urinaria

rispetto a quello marcato con [11

C], per cui ha dei limiti potenziali per

l'esplorazione della pelvi.

Nonostante vi siano differenze intrinseche ai due tipi di radiofarmaci, sia la

PET/TC con [11

C]Colina che con [18

F]Fluorocolina sono diventate uno strumento

estremamente utile nella valutazione della recidiva di malattia da carcinoma

prostatico con una sensibilità globale di circa l’85,6% (153,154).

Per lo studio della patologia prostatica è stato proposto anche l’acetato

marcato con [11

C], che appare promettente in quanto si accumula nelle cellule in

modo proporzionale alla biosintesi degli acidi grassi (in particolare fosfolipidi),

che risulta incrementata nel tumore prostatico. Altri traccianti PET in fase di

studio sono: il [18

F]F-diidrotestosterone ([18

F]F-DHT), un analogo marcato del

DHT che si lega ai recettori per gli androgeni; la [11

C]metionina, marcatore di

sintesi proteica; il [18

F]fluoruro che, accumulandosi nelle aree di aumentato

turnover osseo, è utilizzato per la ricerca di metastasi scheletriche.

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2. SCOPO DELLA TESI

La PET/TC con [11

C]Colina o [18

F]Fluorocolina risulta essere un utile

strumento per individuare la malattia recidiva nei pazienti con carcinoma

prostatico. La performance diagnostica aumenta per livelli crescenti di PSA e nei

pazienti con elevata PSA velocity (PSAvel) o rapido tempo di raddoppiamento

del PSA (PSAdt).

Il ruolo di variabili diverse dal livello di PSA, come ad esempio il Gleason

score alla diagnosi, il quale rappresenta un fattore di rischio predittivo

consolidato per la recidiva, è emerso che potrebbe avere un valore nel prevedere

la positività della PET/TC con [11

C]Colina o [18

F]Fluorocolina.

Lo scopo dello studio riportato nella presente tesi è stato quello di valutare,

insieme al valore del PSA, l’importanza del Gleason score al momento della

diagnosi nel predire il risultato positivo della PET/TC con [18

F]Fluorocolina in

una coorte di pazienti con recidiva biochimica di malattia.

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3. MATERIALI E METODI

3.1 Pazienti

Nello studio riportato nella presente tesi sono stati inclusi 136 pazienti affetti

da carcinoma prostatico che presentavano una ripresa biochimica della malattia.

Tutti i pazienti arruolati hanno effettuato una valutazione PET/TC con

[18

F]Fluorocolina presso la U.O. di Medicina nucleare della Azienda Ospedaliero

Universitaria Pisana e la U.O. di Medicina Nucleare della AUSL 1 di Massa e

Carrara (Ospedale Civico di Massa) al fine di localizzare la sede della ripresa di

malattia.

Nella tabella 3 sono riportate le principali caratteristiche della popolazione di

pazienti studiata.

Tabella 3

Caratteristiche dei pazienti studiati

Età (anni) 71,22 ± 6,98

Centro N. pazienti Percentuale

Università di Pisa 104 76,47%

Ospedale di Massa 32 23,53%

Gleason N. pazienti Percentuale

5 3 2,21%

6 20 14,71%

7 67 49,26%

8 26 19,12%

9 16 11,76%

10 4 2,94%

Trattamento N. pazienti Percentuale

SU (+/- HT) 70 51,47%

SU+RT (+/- HT) 35 25,74%

RT (+/- HT) 16 11,76%

HT 8 5,88%

Altro 7 5,15%

PSA (ng/mL) 21,11 ± 83,12

SU = chirurgia; RT = radioterapia; HT = ormonoterapia

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3.2 Studio PET/TC

Tutti gli esami PET/TC sono stati effettuati con tomografo ibrido Discovery

PET/CT 710 e Discovery ST/8 (GE Healthcare, Milwaukee, USA) e l’impiego di

[18F]Fluorocolina (IASOcholine, IASON GmbH, Graz, Austria).

L’esame prevedeva un’acquisizione PET total body (6-8 lettini di scansione,

2-3 minuti per lettino), effettuata tardivamente (45-60 minuti dopo la

somministrazione di 3.0-3.5 MBq/Kg del radiofarmaco, associata ad una

scansione TC total body a bassa dose (140 kV, 80-100 mA), senza mezzo di

contrasto, per la correzione dell’attenuazione e la correlazione anatomica dei dati

PET.

In entrambe le U.O. di Medicina nucleare, l’esame PET/TC è stato valutato

con la sola analisi visiva da un medico specialista in medicina nucleare. In

particolare, la recidiva locale di malattia è stata riportata in caso di presenza di

una chiara area di focale iperattività nel letto prostatico (P); sono stati giudicati

positivi linfonodi addomino-pelvici che presentavano una significativa

captazione del radiofarmaco, anche se di diametro < 1 cm (N); captazioni focali

del radiofarmaco a livello scheletrico o in altri tessuti (ad esclusione di altre sedi

linfonodali) sono state definite quali sedi di metastasi a distanza (M).

3.3 Analisi statistica

Sono stati effettuati confronti tra gruppi di pazienti mediante test non

parametrico Mann-Whitney U test. Per la valutazione delle differenze di

distribuzione tra proporzioni di pazienti è stato utilizzato il test Chi-quadro. Un

valore di p < 0.05 è stato considerato statisticamente significativo.

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43

4. RISULTATI

L’esame PET/TC con [18

F]Fluorocolina ha evidenziato la presenza di ripresa

di malattia in 88 su 136 pazienti (65,4%): 12 pazienti (13,64%) con ripresa di

malattia a livello del solo letto prostatico (P+), 31 pazienti (35,23%) con

interessamento linfonodale (N+) e 43 pazienti (48,86%) con diffusione

metastatica a distanza (M+). Nella figura 1 è riportato l’istogramma che descrive

la distribuzione dei risultati della PET/TC a livello del letto prostatico (P),

linfonodale (L) e delle sedi di metastasi a distanza (M).

Figura 1: risultati della PET/TC con [18F]Fluorocolina

Il valore mediano di PSA è risultato significativamente più elevato nei pazienti

con PET/TC positiva rispetto a quelli con PET/TC negativa (5,16 ng/mL vs 1,49

ng/mL; p < 0.0001). Il valore mediano di PSA era, inoltre, statisticamente più

alto in pazienti con interessamento linfonodale (L+) (7,00 ng/mL) rispetto a

coloro che non avevano malattia linfonodale (L-) (1,585 ng/mL) e più elevata in

pazienti con malattia metastatica (M+) (4,24 ng/mL) rispetto a coloro che non

avevano metastasi a distanza (M-) (2,07 ng/mL).

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

NEG P L P+L M P+M L+M P+L+M

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44

Inoltre la percentuale di pazienti con PET/TC positiva tendeva a crescere

all’aumentare dei valori del PSA (chi-quadro 12,92, p < 0,002): sono infatti

risultati positivi all'esame PET/TC il 44,44% dei pazienti con un valore di PSA

inferiore a 1 ng/mL, il 51,52% di coloro che avevano un PSA compreso tra 1 e 2

ng/mL e il 77,63% dei soggetti che presentavano un PSA superiore a 2 ng/mL,

come mostrato nella figura 2.

Figura 2: risultati della PET/TC con [18F]Fluorocolina in relazione ai valori

di PSA

Nella figura 3 è riportato il caso di un paziente con ripresa biochimica di

malattia con PSA di 2,69 ng/mL e Gleason alla diagnosi di 7 che ha presentato la

PET/TC positiva per la presenza di malattia a livello linfonodale.

44,44% 51,52%

77,63%

55,56% 48,48%

22,37%

<1 1-2 >2

% p

azi

enti

PSA

POS NEG

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45

Figura 3: paziente OS, anni 78, PSA 2.69 ng/mL, Gleason score 7 con recidiva

locale di malattia alla biopsia. Sezioni assiali TC, fusione PET/TC e PET: due

linfoadenopatie captanti la [18F]Fluorocolina in sede paraortica sinistra

cranialmente alla biforcazione aorto-bisiliaca.

Allo stesso modo, andando a osservare la distribuzione dei risultati della PET/TC

in base al Gleason score ottenuto mediante biopsia prostatica, sono risultati

positivi il 52,17% dei pazienti con Gleason ≤ 6, il 64,18% dei pazienti con un

Gleason di 7 e il 71,74% dei pazienti con Gleason > 7, come si può osservare

nella figura 4.

Figura 4: risultati della PET/TC con [18F]Fluorocolina in relazione al

Gleason score

52,17% 64,18%

71,74%

47,83% 35,82%

28,26%

≤6 7 >7

% p

azi

enti

Gleason score

POS NEG

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46

L'utilizzo contemporaneo del Gleason score alla diagnosi e del PSA misurato in

occasione dell'esame PET/TC ha permesso di predire meglio la positività della

PET/TC rispetto all'utilizzo di ciascun parametro da solo.

In particolare, nei 21 pazienti con PSA compreso tra 0,20 ng/mL e 1 ng/mL la

ripresa di malattia è stata osservata in 4/6 (67%) pazienti con Gleason score >7,

in 5/11 e solo in 1 dei 4 dei pazienti con Gleason score = 7 e ≤ 6, rispettivamente

(Figura 5).

Figura 5: distribuzione dei risultati della PET/TC con

[18F]Fluorocolina in relazione al Gleason score in pazienti con

PSA < 1 ng/mL

Anche nel gruppo di 33 pazienti con PSA compreso tra 1 ng/mL e 2 ng/mL la

PET/TC ha evidenziato la sede della ripresa di malattia in una percentuale

significativamente superiore nei pazienti con Gleason score >7 (Figura 6).

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

≤6 7 >7

Gleason score

POS

NEG

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47

Figura 6: distribuzione dei risultati della PET/TC con

[18F]Fluorocolina in relazione al Gleason score in pazienti con

PSA 1-2 ng/mL

Analizzando nel complesso i 54 pazienti con PSA < 2 ng/mL, il tasso di

risultati positivi della PET/TC è risultato del 13% in coloro che avevano alla

diagnosi un Gleason score ≤ 6, del 45% in quelli con Gleason score = 7, e del

64% negli 11 pazienti con score > 7.

Da sottolineare il fatto che ben 8/11 pazienti (73%) con PSA < 2 ng/mL e

Gleason score alla diagnosi >7 presentavano una PET/TC positiva per la

presenza di metastasi a distanza (scheletro). Al contrario, nel gruppo di pazienti

con PSA < 2 ng/mL ma Gleason score ≤ 7 la presenza di metastasi a distanza era

stata rilevata in un numero inferiore di pazienti: 5/14 (36%) pazienti con PET/TC

positiva. Nella figura 7 è riportato il caso di un paziente con PSA di 1,73 ng/mL

e Gleason score 9 che presenta interessamento di malattia a livello scheletrico.

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

≤6 7 >7

Gleason score

POS

NEG

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48

Figura 7: paziente DR, anni 62, PSA 1,73 ng/mL, Gleason score 9. Sezioni

assiali TC, fusione PET/TC e PET: minuta area di addensamento osseo che

presenta significativa captazione di [18F]Fluorocolina a livello dell’acetabolo sn,

indicativa di metastasi ossea.

Al contrario, per livelli di PSA superiori a 2 ng/mL non è stato osservato un

tasso di positività della PET/TC significativamente diversa tra i tre gruppi: 85%,

74% e 73% dei pazienti con Gleason, > 7, = 7 e ≤ 6, rispettivamente.

Anche in un sottogruppo di 18 pazienti in terapia ormonale al momento

dell'esecuzione dell'esame PET/TC, è stato evidenziato un tasso di positività

della PET/TC tendenzialmente superiore nei pazienti con Gleason score >7

rispetto a quelli con valore ≤ 7 (9/10 vs 5/8), come si può vedere in figura 8.

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49

Figura 8: risultati della PET/TC con [18F]Fluorocolina in pazienti

in terapia ormonale

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

≤7 >7

Gleason score

POS

NEG

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50

5. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

Nella presente tesi è riportata un’esperienza relativa all’impego della PET/TC

con [18

F]Fluorocolina su un campione di 136 pazienti che presentavano una

recidiva biochimica di malattia.

Dai dati della letteratura degli ultimi anni è emerso il ruolo della PET con

colina nella identificazione della sede della ripresa di malattia nel paziente già

sottoposto a trattamento radicale per tumore prostatico, che presenta come unico

indice di ripresa di malattia un progressivo aumento dell’antigene prostatico

specifico (PSA). Ad oggi il miglior modo per eseguire il follow-up dei pazienti

affetti da carcinoma prostatico dopo il trattamento primario rimane quello del

dosaggio del PSA. In pazienti con recidiva biochimica, definita come un PSA >

0.20 ng/mL dopo prostatectomia radicale e come un PSA di 2 ng/ml superiore al

nadir dopo RT (155), è tuttavia cruciale evidenziare la sede di malattia e

soprattutto differenziare quei pazienti che presentano una singola lesione da

quelli con lesioni o sedi multiple di ripresa di malattia, al fine di ottimizzare il

successivo approccio terapeutico. L’imaging convenzionale effettuato mediante

ecografia trans-rettale, TC e RM presenta una sensibilità limitata in questa fase

dell’iter diagnostico (156-160).

In accordo con alcuni studi pubblicati in letteratura, è stato osservato una

relazione tra valori di PSA e il tasso di vere positività della PET/TC con

[11

C]Colina. Krause et al. (161) hanno valutato 63 pazienti con carcinoma

prostatico che presentavano recidiva biochimica di malattia mettendo in evidenza

il fatto che la percentuale di risultati positivi alla PET/TC con [11

C]Colina era del

36% per PSA < 1 ng/mL, 43% per PSA di 1-2 ng/mL, 62% per PSA di 2-3

ng/mL, e 73% per PSA > 3 ng/mL. Risultati simili sono stati ottenuti da

Giovacchini et al. (162) che hanno valutato una popolazione più numerosa di

pazienti con recidiva biochimica dopo prostatectomia radicale o dopo

radioterapia. Gli stessi autori riportavano valori di PSA significativamente più

elevati nei pazienti con presenza di metastasi ossee.

La cinetica del PSA, ma soprattutto il PSAvel e il PSAdt esprimono come il

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51

valore di PSA varia nel tempo; questi parametri sono ritenuti importanti indici

predittivi nel valutare l’outcome di pazienti con carcinoma prostatico (155). Nel

2009, Castellucci et al. (163) hanno studiato la relazione tra il tasso di vere

positività della PET/TC con [11

C]Colina e diversi parametri di PSA, in

particolare PSAvel e PSAdt; questi autori hanno esaminato 190 pazienti che

presentavano un innalzamento dei livelli di PSA dopo prostatectomia radicale e

hanno dimostrato che i valori di PSAvel e PSAdt erano significativamente diversi

tra pazienti con PET/TC positiva e PET/TC negativa. Gli autori hanno concluso

che la cinetica del PSA dovrebbero essere sempre presa in considerazione prima

di eseguire un esame PET/TC con [11

C]Colina in pazienti con ricaduta

biochimica, in quanto sono importanti fattori predittivi di positività alla PET/TC.

Questi dati sono stati anche confermati da Giovacchini et al. (164); questi autori

in particolare hanno evidenziato come il valore di PSAdt differisca in base alla

sede di ricorrenza di malattia: nei pazienti con un più breve PSAdt risulterebbe

più probabile la presenza di metastasi a distanza, mentre nei pazienti con un

PSAdt più lungo bisognerebbe sospettare come ipotesi più probabile una ricaduta

locale di malattia.

Nel 2011, Castellucci et al. (165) hanno eseguito uno studio su 102 pazienti

precedentemente trattati con prostatectomia radicale e che avevano avuto solo un

modesto aumento dei livelli di PSA; la PET/TC con [11

C]Colina è risultata

positiva nel 28% dei pazienti. Il risultato principale di questo studio è stata

l’identificazione del PSAdt e dello stato linfonodale iniziale come importanti

fattori predittivi ed indipendenti.

Sebbene esistano alcune differenze tra la biodistribuzione della [11

C]Colina e

della [18

F]Fluorocolina, alcuni lavori recenti riportano come la PET/TC con

[18

F]Fluorocolina presenti un’accuratezza diagnostica analoga a quella con

[11

C]Colina. In un recente studio pubblicato da Schillaci e al. (166) nel 2012 la

PET/TC con [18

F]Fluorocolina ha consentito di identificare sedi di recidiva di

malattia nel 67% dei pazienti e, in particolare, la percentuale di positività era

superiore nei pazienti con PSAdt inferiore o uguale a 6 mesi e in pazienti con

PSAvel maggiore di 2ng/mL/anno.

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52

Nella casistica riportata nella presente tesi la PET/TC con [18

F]Fluorocolina ha

consentito di localizzare la sede di ripresa di malattia nel 65,4% dei pazienti con

recidiva biochimica (PSA mediana 5,16 ng/mL). In accordo con quanto riportato

in letteratura il tasso di positività aumentava per valori crescenti di PSA: 44,44%

per PSA < 1 ng/mL, 51,52% 1-2 ng/mL e 77,63% per PSA > 2 ng/L. Anche il

valore del Gleason score risultava correlato al risultato della PET/TC con

[18

F]Fluorocolina, che presentava un tasso di positività crescente all’aumentare

del Gleason score (52%, 64% e 72% in pazienti con score ≤ 6, 7, e >7,

rispettivamente).

L'utilizzo integrato del Gleason score valutato al momento della diagnosi e del

PSA misurato in occasione dell'esame PET/TC ha permesso di predire meglio la

positività della PET/TC rispetto all'utilizzo di ciascun parametro da solo. Il

valore incrementale dell’utilizzo del Gleason score associato al PSA è stato

osservato nei pazienti sia con valore di PSA < 1 ng/mL che in quelli con valore

compreso tra 1 e 2 ng/mL. Per valori di PSA superiori il dato del Gleason score è

risultato meno rilevante. Questo dato, in accordo con quanto riportato in un

recente studio effettuato su un’ampia casistica di circa 1000 pazienti con ripresa

biochimica di malattia (153), sembra indicare l’importanza del Gleason score per

favorire l’accesso dei pazienti alla PET/TC anche quando il PSA non raggiunge

valori considerati tali da garantire una sufficiente probabilità di positività; ovvero

in pazienti che presentano ripresa biochimica di malattia con valori di PSA anche

< 1, la presenza di un elevato Gleason score alla diagnosi potrebbe giustificare

l’impiego della PET/TC con [18

F]Fluorocolina per localizzare la sede della

malattia. Sebbene la numerosità dei casi non sia elevata un Gleason score >7

unitamente ad un PSA tra 0.20 e 2 ng/mL sembra essere associato ad una

possibile presenza di metastasi a distanza (8/11 pazienti con PET/TC positiva).

In conclusione, la PET/TC con [18

F]Fluorocolina è una metodica diagnostica

che in questi ultimi anni si è dimostrata efficace nell’evidenziare la sede di

malattia in pazienti con ripresa biochimica. L’identificazione di un sempre

maggior numero di fattori predittivi dell’esito positivo della PET/TC con

[18

F]Fluorocolina contribuisce ad una migliore selezione dei pazienti che possono

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53

trarre vantaggio da questa indagine diagnostica, con il risultato di migliorare

l’appropriatezza nella prescrizione e conseguente risparmio di dose per il

paziente e di costi in termini economici.

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