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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PERUGIA Facoltà di Scienze Politiche Corso di laurea specialistica in Relazioni Internazionali Tesi di laurea in Diritto Internazionale IL DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE DEL POPOLO CECENO E LA VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI IN CECENIA DA PARTE DELLA FEDERAZIONE RUSSA. UN’ANALISI DELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO. Candidato: Relatore: Gianmaria Sisti Prof. Carlo Focarelli Anno Accademico 2008-2009

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI PERUGIA

Facoltà di Scienze Politiche

Corso di laurea specialistica in Relazioni Internazionali

Tesi di laurea in Diritto Internazionale

IL DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE DEL POPOLO CECENO E LA VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI IN CECENIA DA PARTE DELLA FEDERAZIONE RUSSA. UN’ANALISI DELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO.  

Candidato: Relatore:

Gianmaria Sisti Prof. Carlo Focarelli

Anno Accademico 2008-2009

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Introduzione…………………………………………………………………... Pag. I

CAPITOLO I

La Russia, il diritto internazionale e il suo adeguamento al sistemo giuridico

interno

1. Introduzione 2. L’apertura del sistema giuridico russo al diritto internazionale e alla tutela dei

diritti umani prima della Costituzione del 12 dicembre 3. La Costituzione della Federazione russa e l’adeguamento al diritto

internazionale in base all’art. 15, par. 4 3.1 L’adeguamento del sistema giuridico russo al diritto internazionale umanitario

4. La sentenza della Corte Costituzionale russa del 31 luglio 1995 4.1 Opinioni dissenzienti dalla sentenza della Corte costituzionale russa

5. Commento alla sentenza della Corte costituzionale e considerazioni conclusive al capito

Pag. 1 Pag. 3 Pag. 7 Pag. 9 Pag. 13 Pag. 21 Pag. 24

CAPITOLO II

Il diritto all’autodeterminazione della Repubblica di Cecenia

1. Introduzione 2. Il principio di autodeterminazione dei popoli

2.1 L’evoluzione del principio di autodeterminazione dei popoli nell’ambito delle Nazioni Unite

2.2 L’evoluzione del principio dell’autodeterminazione dei popoli nella prassi della Corte internazionale di giustizia

3. Il diritto all’autodeterminazione esterna del popolo ceceno 3.1 I fatti storici 3.2 Il rapporto istituzionale tra la Federazione russa e le sue Repubbliche

4. Le posizioni in dottrina in merito allo status da riconoscere al popolo ceceno 4.1 Il precedente delle Repubbliche baltiche 4.2 Le gravi violazioni dei diritti umani 4.3 Lo status speciale della Repubblice cecena 4.4 Un referendum per determinare lo status della Repubblica cecena 4.5 La Repubblica cecena: uno Stato de facto 4.6 Considerazioni finali al paragrafo

5. Il diritto all’autodeterminazione interna del popolo ceceno 5.1 Il referendum costituzionale ceceno del 23 marzo 2003 5.2 La Costituzione della Repubblica di Cecenia analizzata sulla base del

Pag. 28 Pag. 30 Pag. 32 Pag. 36 Pag. 40 Pag. 41 Pag. 41 Pag. 44 Pag. 46 Pag. 47 Pag. 48 Pag. 49 Pag. 50 Pag. 52 Pag. 52 Pag. 54

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rapporto della Commissione Venezia del 15 marzo 2003 5.2.1 Aspetti generali 5.2.2 La lingua nazionale della Repubblica cecena 5.2.3 La tutela dei diritti umani nella Costituzione cecena

5.3 Considerazioni finali al paragrafo 6. La Comunità internazionale e la legittimazione del diritto

all’autodeterminazione dei popoli in un contesto post-coloniale: il caso del popolo ceceno, kosovaro e timorese 6.1 Il caso ceceno e quello kosovaro 6.2 Il caso dell’isola di Timor Est

7. Considerazioni conclusive

Pag. 55 Pag. 56 Pag. 57 Pag. 58 Pag. 60 Pag. 61 Pag. 62 Pag. 66 Pag. 68

CAPITOLO III

La Corte europea dei diritti dell’uomo e la Federazione russa: i casi Khashiyev e

Akayeva; Isayeva, Yusupova e Bazayeva; e Isayeva

1. Introduzione 2. Il conflitto ceceno: quadro giuridico applicabile 3. Una panoramica sulle sentenze 4. La sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005

4.1 La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 24 febraio 2005 nel caso Khashiyev e Akayeva c. Federazione russa 4.1.1 I fatti oggetto del caso

4.2 La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 24 febbraio 2005 nel caso Isayeva, Yusupova e Bazayeva 4.2.1 I fatti oggetto del caso

4.3 La sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 24 febbraio 2005 nel caso Isayeva c. Federazione russa 4.3.1 I fatti oggetto del caso

5. Le obiezioni preliminari 5.1 Il ragionamento della Corte: le obiezioni preliminari

6. La violazione dell’art. 2 della Convenzione europea 6.1 La violazione dell’art. 2 della nel caso Khashiyev e Akayeva 6.2 La violazione dell’art. 2 nel caso Isayeva, Yusopova e Bazayeva 6.3 La violazione dell’art. 2 nel caso Isayeva

7. La violazione dell’art. 3 della Convenzione 7.1 La violazione dell’art. 3 nel caso Khashiyev e Akayeva 7.2 La violazione dell’art. 3 nel caso Isayeva, Yussupova e Bazayeva

8. La violazione dell’art. 13 della Convenzione 9. La violazione dell’art. 1, par. 1 del primo Protocollo della Convenzione 10. Il rinvio implicito al diritto internazionale umanitario nelle sentenze cecene

10.1 La Corte europea dei diritti dell’uomo e l’applicazione delle norme di diritto internazionale umanitario

10.2 Considerazioni finali al paragrafo 11. Considerazioni conclusive

Pag. 71 Pag. 72 Pag. 73 Pag. 78 Pag. 78 Pag. 79 Pag. 80 Pag. 81 Pag. 82 Pag. 82 Pag. 83 Pag. 85 Pag. 86 Pag. 88 Pag. 90 Pag. 93 Pag. 95 Pag. 95 Pag. 97 Pag. 98 Pag. 99 Pag. 100 Pag. 101 Pag. 105 Pag. 106

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CAPITOLO IV

Il Consiglio d’Europa e il caso ceceno

1. Introduzione. 2. Il carattere grave e sistematico delle violazioni

2.1 L’azione di controllo da parte degli organi giurisdizionali 2.2 L’azione di controllo da parte degli organi non giurisdizionali

3. La debolezza degli organi del Consiglio d’Europa 3.1 L’Assemblea parlamentare 3.2 Il Comitato dei Ministri

4. Conclusioni al capitolo

Pag. 111 Pag. 113 Pag. 114 Pag. 116 Pag. 121 Pag. 121 Pag. 123 Pag. 124

Conclusioni……………….………………………………………………….Pag. 127

Bibliografia………………..…………………………………………………Pag. 131

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INTRODUZIONE

Nel corso degli anni Novanta del XX secolo, la Federazione russa è stata teatro

di due grandi conflitti armati interni, che hanno visto opposti da una parte l’esercito

federale russo e dall’altra i ribelli indipendentisti della Repubblica di Cecenia.

Durante i due conflitti entrambe le parti coinvolte nelle ostilità hanno violato

apertamente sia i più fondamentali diritti alla tutela dell’uomo, sanciti nella

Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sia

le norme di diritto internazionale umanitario, contenute nelle quattro Convenzioni di

Ginevra del 1949 e nei due Protocolli addizionali del 1977.

L’intento di questo lavoro è di analizzare la giurisprudenza della Corte di

Strasburgo in merito alle gravi e sistematiche violazioni delle norme della

Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in Cecenia. Per far ciò

cercheremo nella prima parte di questo lavoro di ricostruire il contesto giuridico nel

quale tali violazioni sono state perpetrate analizzando il motivo alla base del conflitto

russo ceceno, ossia il tentativo di secessione della Repubblica cecena dal territorio

federale russo. Nella seconda parte invece analizzeremo la giurisprudenza della Corte

europea dei diritti dell’uomo in merito al caso ceceno esaminando l’efficacia degli

strumenti posti in essere dal Consiglio d’Europa per porre termine alle violazioni.

In particolare, nel primo capitolo parleremo dell’adeguamento della legislazione

interna della Federazione russa alle norme di diritto internazionale a tutela dei diritti

umani e di diritto internazionale umanitario. Nello specifico analizzeremo la prima

ed unica sentenza della Corte Costituzionale russa, nella quale la Corte si è espressa

in merito alla costituzionalità di tre decreti presidenziali e di una risoluzione

governativa autorizzanti il ricorso all’uso della forza nella Repubblica cecena. La

Corte ha invitato in quell’occasione il legislatore federale a porre in essere ogni

strumento possibile affinché si adeguasse l’ordinamento interno alle norme di diritto

internazionale umanitario, in particolar modo al secondo Protocollo addizionale del

1977.

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Il secondo capitolo è dedicato all’analisi del diritto del popolo ceceno

all’autodeterminazione. Nella prima parte, ricostruiremo brevemente l’evoluzione del

diritto dei popoli all’autodeterminazione sia nell’ambito delle Nazioni Unite sia

attraverso la prassi della Corte internazionale di giustizia. Nella seconda parte,

invece, entreremo nello specifico nel caso della Repubblica cecena dedicando una

larga parte del capitolo all’esame della liceità del tentativo del suo popolo a secedere

territorialmente dalla Federazione russa, e se quest’ultima abbia violato il suo diritto

all’autodeterminazione interna. Nel far questo, analizzeremo tutte le varie posizioni

in dottrina che si sono espresse in merito a quale sia lo status giuridico da

riconoscere alla Repubblica cecena. Infine, nella terza parte del capitolo

esamineremo in maniera comparata il tentativo di secessione cecena con quello del

popolo kosovaro e quello del popolo dell’isola di Timor Est, cercando di capire come

la Comunità internazionale legittimi il ricorso al principio di autodeterminazione

esterna dei popoli in un contesto post coloniale.

Nel terzo capitolo, è dato ampio spazio all’analisi della giurisprudenza della

Corte europea dei diritti dell’uomo in merito alle violazioni commesse dalla

Federazione russa in Cecenia. A tal riguardo, esamineremo in un primo momento gli

aspetti generali comuni che hanno caratterizzato le sentenze della Corte di Strasburgo

in merito al caso ceceno. In seguito saranno analizzate nel dettaglio le prime tre

sentenze della Corte nei casi: Khashiyev e Akayeva; Isayeva, Yusupova e Bazayeva e

Isayeva c. Federazione russa del 24 febbraio 2005. La scelta di queste sentenze

risiede nel fatto che su di esse si è poi basata la giurisprudenza della Corte per quanto

riguarda la violazione dei diritti dell’uomo in Cecenia. Di ciascuna sentenza si

analizzeranno gli aspetti più interessanti e particolare attenzione è stata data al

rapporto tra le norme a tutela dei diritti umani e il diritto internazionale umanitario

durante un conflitto armato interno.

Infine, il quarto ed ultimo capitolo è dedicato esclusivamente a cercare di

comprendere se gli strumenti posti in essere dagli organi del Consiglio d’Europa si

siamo rivelati efficaci a porre termine alle violazioni commesse in Cecenia dal

governo russo. Nel fare ciò, analizzeremo la natura dei ricorsi che gli organi del

Consiglio possono porre in essere cercando di capire se sono stati in grado di far

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fronte ad una violazione così sistematica e generalizzata dei diritti umani come è

accaduto nella Repubblica cecena.

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CAPITOLO I

LA RUSSIA, IL DIRITTO INTERNAZIONALE E IL SUO ADEGUAMENTO

AL SISTEMA GIURIDICO INTERNO

SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. L’apertura del sistema giuridico russo al diritto internazionale e alla tutela dei diritti umani prima della Costituzione del 12 dicembre 1993; 3. La Costituzione della Federazione russa e l’adeguamento al diritto internazionale in base all’art. 15, par. 4; 3.1. L’adeguamento del sistema giuridico russo al diritto internazionale umanitario; 4. La sentenza della Corte costituzionale del 31 luglio 1995; 4.1. Opinioni dissenzienti dalla sentenza della Corte costituzionale russa; 5. Commento alla sentenza della Corte costituzionale e considerazioni conclusive al capitolo. 1. Introduzione

Da una prospettiva giuridica internazionale, può osservarsi che la Federazione

russa soprattutto a partire dalla fine degli anni Ottanta, è diventata un vero e proprio

laboratorio di riforme costituzionali. In tale processo, l’aspetto più interessante è

stata la sua graduale apertura alla tutela e al rispetto del diritto internazionale,

avvenuta nel periodo di transizione che va dalla caduta dell’Urss fino alla nascita

della Federazione russa. L’approccio “dualistico” 1 sovietico fu sostituito infatti da

uno mirante a rendere le norme di diritto internazionale consuetudinario e quelle

riguardanti i trattati internazionali ratificati dalla Federazione russa parte integrante

del suo sistema giuridico.

Il significato reale di tale apertura può essere compreso solo prendendo in

considerazione la precedente esperienza sovietica: l’Urss non considerò mai il diritto

internazionale valevole di poter essere effettivamente applicato all’interno del suo

sistema giudiziario, in particolar modo le norme internazionali poste a tutela dei

1 Per “approccio dualistico” si vuole intendere la maniera con la quale l’Urss si è da sempre rapportata al diritto internazionale. Nel corso della sua storia, l’Urss ha sempre anteposto la tutela della propria sovranità al pieno rispetto delle norme dei trattati internazionali. In particolar modo, come si vedrà meglio più avanti, furono poste riserve a tutti i trattati che prevedevano nei propri statuti organi di controllo o tribunali sovrannazionali.

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diritti umani rimanevano mere definizioni senza essere mai effettivamente applicate.

Il movimento di riforme sociali, economiche e giuridiche inaugurato durante la

presidenza di M. S. Gorbačëv 2 fu il risultato della convinzione della classe dirigente

sovietica, che il paese non avrebbe mai avuto nessuna prospettiva di sviluppo sociale,

economico né tanto meno politico, se non si fosse costruita una società basata sul

rispetto delle norme internazionali e degli obblighi derivanti dalla tutela dei diritti

umani e del diritto internazionale umanitario 3.

Nel 1989 fu approvata nel sistema giuridico sovietico la normativa in merito alla

supervisione costituzionale. Fu istituito un Comitato ad hoc incaricato di incorporare

nel sistema giuridico interno le norme internazionali, soprattutto quelle riguardanti i

diritti umani ed il diritto internazionale umanitario 4. Introducendo il concetto di

diretta applicabilità del diritto internazionale nel sistema giudiziario interno, l’Urss

abbandonò definitivamente la sua posizione isolazionista per una più aperta

posizione sul piano internazionale.

In questo capitolo si approfondirà il processo, iniziato dall’Urss e continuato

dalla Federazione russa, di adeguamento del sistema giuridico al diritto

internazionale, attraverso l’analisi del contesto giuridico nazionale. Si analizzerà

l’apertura internazionale russa negli ultimi anni antecedenti la nascita della

Federazione e in che modo la Costituzione del 12 dicembre 1993 si sia conformata al

diritto internazionale, analizzando l’importanza ricoperta dall’art. 15, par. 4, della

Costituzione. Si vedrà la posizione assunta dalla dottrina in merito alla prassi della

Corte costituzionale, con particolare riferimento ad una sentenza resa da quest’ultima

nel 1995.

Questa sentenza è di particolare rilevanza per due ragioni in particolare: da un

lato, perché fu la prima volta che la Corte costituzionale della neonata Federazione

russa si espresse condannando l’Assemblea Federativa per non aver posto in essere

nel sistema giuridico interno le disposizioni previste dal secondo Protocollo

2 È stato l'ultimo segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) dall’ 11 marzo 1985 al 24 agosto 1991; fu Presidente del Praesidium del Soviet supremo dell’Urss dal 1 ottobre 1988 al 15 marzo 1990; infine fu Presidente dell’Urss dal marzo 1990 al 25 dicembre 1991. Fu propugnatore dei processi di riforma legati alla perestrojka e alla glasnost' e protagonista nella catena di eventi che portarono alla dissoluzione dell'URSS e dello stesso PCUS. 3 Cfr. SABBATUCCI G. VIDOTTO V., Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, Bari, 2005, pp. 608-612, in part. p. 610 4 Cfr. DANILENKO G.M., Implementation of International Law in Russia and Other CIS States, reperibile in http://www.nato.int/acad/fellow/96-98/danilenk.pdf.

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addizionale alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949; dall’altro lato, poiché la

Corte si espresse altresì sulla titolarità della Repubblica di Cecenia a godere del

diritto all’autodeterminazione dei popoli.

2. L’apertura del sistema giuridico russo al diritto internazionale e alla tutela

dei diritti umani prima della Costituzione del 12 dicembre 1993

Sul finire degli anni Ottanta il governo sovietico intraprese un processo di

riforme a livello internazionale, volto alla promozione della giurisdizione

sovranazionale in materia di diritti umani. Il 10 febbraio 1989, con un decreto

adottato dal Praesidium Supremo dei Soviet, si riconobbe infatti l’autorità sia della

Corte internazionale di giustizia sia dei Comitati ad hoc istituiti per il rispetto di sei

convenzioni sui diritti umani 5.

L’Urss iniziò l’8 marzo 1989 con il ritiro di una riserva apposta all’art. 9 della

Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio 6, la quale

prevedeva l’impossibilità per la Corte internazionale di giustizia di esprimersi in

merito alle controversie che coinvolgessero l’Urss, senza prima aver ottenuto il suo

consenso 7.

Il 3 marzo 1987 ratificò con riserva la Convenzione contro la tortura ed altre

pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Entrata in vigore il 26 giugno dello

stesso anno, la Convenzione istituiva, come noto, un Comitato contro la tortura con il

compito di indagare eventuali violazioni della Convenzione perpetrate sul territorio

di uno Stato membro. In tal caso, il Comitato poteva indagare direttamente sul

territorio dello Stato soggetto all’inchiesta, richiedendone piena collaborazione 8. La

5 Cfr. BOWRING B., Russia and Human Rights: Incompatible Opposites?, in Göttingen Journal of International Law, 2009, pp. 257-278, in part. p. 265. In particolare qui ci si riferisce alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948; la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984; la Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 1965; la Convenzione sui diritti politici della donna del 1952; la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna del 1979. 6 La citata Convenzione è stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con ris. n. 260 (III) A del 9 dicembre 1948, ed è entrata in vigore sul piano internazionale il 12 gennaio 1951. L’Urss ha firmato la Convenzione il 16 dicembre 1949 e l’ha ratificata il 3 maggio 1954. 7 Per una consultazione diretta delle riserve apposte alla Convenzione di New York del 1948 da parte dell’Urss e degli altri Stati Membri, si veda http://treaties.un.org/doc/Publication/MTDSG/Volume%20I/ Chapter%20IV/IV-1.en.pdf. 8 Per le funzioni attribuite al Comitato contro la tortura si veda l’art. 20 della Convezione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, reperibili in http://www.volint.it/scuolevis/diritti umani/tortura.pdf.

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riserva apposta dall’Urss all’art. 20 della Convenzione, che limitava le funzioni

attribuite al Comitato, fu ritirata il 1° ottobre 1991. Il governo russo dichiarò al

momento della notifica presso il Segretariato Generale delle Nazioni Unite che

« L’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche riconosce la competenza del Comitato contro la tortura, definita dall’articolo 20 della Convenzione, concernente situazioni o fatti sopravvenuti dopo l’adozione della presente dichiarazione » 9.

Il 1° ottobre 1991 il governo russo riconobbe ai sensi dell’art.14 della

Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione

razziale 10, la competenza del Comitato contro la discriminazione razziale a ricevere

ed esaminare le comunicazioni di chiunque lamenti di essere vittima di una

violazione dei diritti sanciti nella Convenzione da parte di uno Stato membro,

dichiarando che

« The Union of Soviet Socialist Republics declares that it recognizes the competence of the Committee on the Elimination of Racial Discrimination to receive and consider communications, in respect of situations and events occurring after the adoption of the present declaration, from individuals or groups of individuals within the jurisdiction of the USSR claiming to be victims of a violation by the USSR of any of the rights set forth in the Convention » 11.

L’Urss fece pervenire presso il Segretariato Generale delle Nazioni Unite l’8

marzo 1989, la propria decisione di ritirare la riserva apposta all’art. 9 della

Convenzione sui diritti politici della donna, cosi come sancito dall’art. 7 della stessa

Convenzione12. L’art. 9 prevede che le Alte Parti Contraenti in caso di controversia

sorta in seguito al mancato rispetto della Convenzione, possano unilateralmente adire

la Corte internazionale di giustizia 13.

La riserva apposta dall’Urss prevedeva che la Corte internazionale di giustizia

avrebbe potuto esprimersi, in merito alle controversie che vedevano coinvolta

l’Unione sovietica, nel solo caso in cui entrambe le parti in causa avesseroconsentito

9 Per la traduzione in italiano della dichiarazione dell’Urss al momento della consegna della notifica al Segretariato Generale, si veda http://www.volint.it/scuolevis/dirittiumani/tortura.pdf. 10 L’Urss firmò la Convenzione il 7 marzo 1966 e la ratificò il 4 febbraio 1969. 11 Per le dichiarazioni di riconoscimento della competenza della Commissione per l’eliminazione delle discriminazioni razziali, si veda http://treaties.un.org/Pages/ViewDetails.aspx?src=TREATY&mtdg_no= IV-2& chapter=4&lang=en. 12 La Convenzione sui diritti politici della donna fu adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 31 marzo 1953 con ris. n. 640 (VII), entrata in vigore il 7 luglio 1954. L’Urss firmò la Convenzione il 31 marzo 1953 apponendo una riserva all’art. 9, e la ratificò nel maggio 1954. Per il testo completo della Convenzione si veda http://www.lawphil.net/international/treaties/conv_nonum _1953.html. 13 Per il testo della riserva, si veda http://www.derechos.org/ddhh/mujer/all.html.

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di essere sottoposte al giudizio della Corte. Altrettanto fece con la Convenzione

sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna 14.

L’Urss ne ritirò la riserva posta all’art. 29, par.1, della Convenzione al momento

della ratifica 15. La riserva negava la possibilità ad una delle parti coinvolte in una

controversia con l’Urss di adire in maniera unilaterale la Corte internazionale di

giustizia, nel momento in cui non si fosse risolta mediante arbitrato.

Infine l’Urss ritirò anche la riserva apposta all’art. 22 della Convenzione per la

soppressione del traffico di persone e lo sfruttamento della prostituzione altrui, con

una comunicazione presentata dal governo sovietico al Segretariato Generale delle

Nazioni Unite l’8 marzo 1989 16.

Il riconoscimento, da parte dell’Urss, della Corte internazionale di giustizia e dei

vari Comitati ad hoc, come organismi internazionali preposti a controllare il rispetto

degli obblighi previsti in tali convenzioni, fu importante poiché testimoniò il

cambiamento di tendenza in atto in quel paese.

Un’altra importante riforma del sistema giuridico sovietico nel 1989, fu

l’introduzione di un organo di controllo costituzionale della produzione normativa

parlamentare e dei decreti presidenziali17. Fu istituita infatti una Commissione ad

hoc, la Commissione per la Supervisione Costituzionale, che poteva esprimersi sulla

costituzionalità di un atto normativo, su richiesta di un organo istituzionale o su

propria iniziativa 18. La Commissione operò fino al dicembre 1990, esprimendosi

sulla legittimità delle norme in base agli obblighi costituzionali e a quelli

internazionali vincolanti la Russia, in particolar modo facendo riferimento alla

14 L’Urss ha firmato la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna il 17 luglio 1980, ratificandola con riserva il 23 gennaio 1981, v. http://www.un.org /womenwatch/daw/cedaw/states.htm. 15 L’art. 29, par.1 prevede che « Ogni controversia tra due o più Stati parti concernente l'interpretazione o l’applicazione della presente Convenzione che non sia regolata per via negoziale, sarà sottoposta ad arbitrato, a richiesta di una delle parti. Se nei sei mesi che seguono la data della domanda di arbitrato le parti non giungono ad un accordo sull'organizzazione dell'arbitrato, una qualsiasi delle parti può sottoporre la controversia alla Corte internazionale di giustizia, depositando una richiesta conforme allo Statuto della Corte », v. http://www.unifem.it/Documents/cedaw_testo_ it.pdf. 16 L’Urss ha ratificato la Convenzione in questione l’11 agosto 1954, apponendo una riserva all’art. 22. Nel caso in cui si presenti una controversia che veda coinvolta l’Urss o nel caso in cui non si giunga ad una soluzione, tale riserva vieta la possibilità ad una delle parti della controversia, di adire la Corte internazionale di giustizia. 17 Il progetto di creazione di un organo preposto a verificare la conformità della produzione normativa interna e dei decreti presidenziali agli obblighi internazionali, con specifico riferimento a quelli sui diritti umani, fu presentato già nel 1977, ma venne disciplinato solo nel dicembre 1988. La Commissione iniziò i propri lavori nell’aprile 1990 fino al dicembre dell’anno succesivo, mese che segnò il crollo definitvo dell’Urss. Per ulteriori informazioni in merito Cfr DANILENKO G.M., Implementation of International Law in Russia and Other CIS States, reperibile in http://www.nato.int/acad/fellow/96-98/danilenk.pdf. 18 Cfr.SMITH B. GORDON., Reforming the Russian Legal System, Cambridge, 1996, pp. 70-80, in part. p. 74.

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Dichiarazione universale dei diritti umani e al Patto sui diritti civili e politici 19.

L’atto normativo ritenuto incostituzionale o in contrasto con i diritti umani e le

libertà fondamentali dell’uomo, perdeva di forza giuridica e se ne richiedeva una

revisione al Congresso dei Deputati del Popolo 20.

In seguito all’istituzione della Commissione per la Supervisione Costituzionale

fu introdotto anche un meccanismo di adeguamento diretto del diritto internazionale

nel sistema giuridico interno, con particolare riferimento alle norme sui diritti umani.

Infatti nel novembre 1991, il Congresso dei Deputati del Popolo adottò la

Dichiarazione dei diritti e delle libertà della persona e del cittadino 21, il cui all’art. 1

stabiliva che

« the generally recognized international norms concerning human rights have priority over laws of the Russian Federation and directly create rights and obligations for the citizens of the Russian Federation » 22.

Tale articolo stabiliva dunque la prevalenza delle norme internazionali

riguardanti i diritti umani nella gerarchia delle fonti normative interne, creando così

diritti e doveri per ciascun cittadino della Federazione russa.

3. La Costituzione della Federazione russa e l’adattamento al diritto

internazionale in base all’art. 15, par. 4.

La Costituzione russa adottata il 13 dicembre 1993 23 confermò il trend iniziato

dall’Urss verso la fine degli anni Ottanta e poi proseguito dalla Federazione russa, di

dare sempre maggiore rilevanza giuridica alle norme di diritto internazionale. La

nuova Costituzione dichiarava infatti all’art. 15, par. 4, che

« i princìpi universalmente riconosciuti, le norme del diritto internazionale ed i trattati internazionali della Federazione Russa costituiscono parte integrante del suo sistema giuridico. Se mediante un trattato internazionale della Federazione Russa sono stabilite

19 Cfr. DANILENKO G.M., Implementation of International Law in Russia and Other CIS States, cit., supra nota 4, in part. p. 7. 20 Cfr. SMITH B. GORDON., Reforming the Russian Legal System, cit., supra nota 18, in part. p. 75. 21 Cfr. DANILENKO G.M., Implementation of International Law in Russia and Other CIS States, cit., supra nota 4, in part. p. 9. 22 Ibidem. 23 Il testo della Costituzione della Federazione russa è reperibile in http://www.departments.bucknell.edu/ russian /const/constit.html.

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regole diverse rispetto a quelle previste dalla legge, allora si applicano le regole del trattato ínternazionale » 24.

A tal proposito, è opportuno evidenziare alcuni aspetti che riteniamo

particolarmente importanti. Il primo aspetto riguarda il fatto che, mediante l’art. 15,

par. 4, il diritto internazionale diveniva parte integrante del sistema giuridico russo,

intendendo per ‘diritto internazionale’ i trattati internazionali stipulati dalla

Federazione russa, i principi universalmente riconosciuti e il diritto internazionale

generale.

Il secondo aspetto riguarda invece il rango che le norme internazionali assunsero

nella gerarchia delle fonti nell’ordinamento giuridico russo, stabilendo la loro

prevalenza sulle norme interne in caso di contrasto.

In merito a quest’ultimo aspetto, la Corte Suprema russa pubblicò nel 1995

alcune linee guida su come applicare le norme previste dalla Costituzione. Essa

affermò che le corti ordinarie nel ricercare i principi universalmente riconosciuti e le

norme di diritto internazionale, dovevano far riferimento in primis ai trattati

internazionali ratificati dalla Federazione russa, ed in secondo luogo al diritto

internazionale consuetudinario oppure ad altre fonti, come ad esempio la

Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo 25.

La Corte precisò altresì come, in caso di contrasto tra una norma internazionale

pattizia ed una interna, la prima avrebbe prevalso sulla seconda solo nel caso in cui

essa avesse trovato pieno adeguamento nel sistema giuridico interno 26.

Occorre infine precisare che l’art. 15, par. 4, non presenta nessuna distinzione tra

le norme internazionali di carattere self-executing e quelle di carattere non self-

executing. Secondo una parte autorevole della dottrina, tale lacuna legislativa

avrebbe comportato la possibilità per i singoli individui di invocare nel sistema

giuridico interno qualunque norma internazionale, a prescindere se si tratti di norme

24 Per l’adattamento delle norme internazionali al sistema giuridico interno, si veda art. 15, par. 4. Il testo in italiano della Costituzione della Federazione russa è reperibile in http://didattica.spbo.unibo.it/ adon/files/costituzione_russa.pdf. 25 Cfr. TUZMUKHAMEDOV B., The Implementation of International Humanitarian Law, in the Russian Federation in Revue Internationale de la Croix Rouge, 2003, pp. 385-396, in part. p. 387. 26 Ibidem p. 388.

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internazionali che abbiano trovato pieno adeguamento nel sistema giuridico interno o

meno 27.

3.1 L’adeguamento del sistema giuridico russo al diritto internazionale

umanitario.

In merito al processo di adeguamento del sistema giuridico russo al diritto

internazionale, si vuole ora approfondire l’aspetto specifico del diritto internazionale

umanitario. Sul finire degli anni Ottanta infatti, l’Urss ratificò i due Protocolli

addizionali alle Convenzioni di Ginevra del 1949, apportando considerevoli

cambiamenti al proprio sistema giuridico 28.

Le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, insieme ai suoi due Protocolli

addizionali del 1977, rappresentano, come noto, i principali trattati internazionali di

diritto internazionale umanitario 29. Firmate il 12 dicembre del 1949, furono ratificate

con riserva dall’Urss il 10 maggio 1954. L’Urss appose diverse riserve alle

Convenzioni: precisamente, all’art. 10, comune alle prime due Convenzioni; all’art.

11, all’art. 12 e all’art. 85 della terza Convenzione; infine all’art. 11 e all’art. 45 della

quarta Convenzione 30.

È importante ai fini del nostro discorso osservare in particolar modo la riserva

posta all’art. 10 delle prime due Convenzioni, congiuntamente alla riserva posta

all’art. 11 della terza Convenzione, avente la medesima disposizione. Sulla base della

posizione isolazionista avuta dall’Urss nel corso della sua storia, così come abbiamo

avuto modo di osservare nei paragrafi precedenti, essa infatti stabiliva che

27 Cfr. DANILENKO G.M., The New Russian Constitution and International Law, in American Journal of International Law, 1994, pp. 451-470, in part. p. 465. 28 Per una consultazione completa della legge russa con la quale si sono ratificati i due Protocolli addizionali si veda la delibera n. 75 del Ministro della Difesa sovietico del 16 febbraio 1990, reperibile in http://www.icrc.org/ihlnat.nsf/6fa4d35e5e3025394125673e00508143/294de5596666716fc325655d002ae 44f!OpenDocument. 29 La prima Convenzione che riguarda il miglioramento delle condizioni dei feriti e dei malati delle forze armate in campagna, insieme alla ratifica sovietica, in http://treaties.un.org/doc/Publication/UNTS/ Volume%2075/volume-75-I-970-English.pdf. La seconda Convenzione riguarda il miglioramento delle condizioni dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle forze armate sul mare, in http://treaties.un.org/ doc/Publication/UNTS/Volume%2075/volume-75-I-971-English.pdf. La terza Convenzione disciplina il trattamento dei prigionieri di guerra, reperibile in http://treaties.un.org/doc/Publication/UNTS/Volu me%2075/volume-75-I-972-English.pdf. La quarta Convenzione l’ultima riguarda la protezione delle persone civili in tempo di guerra, in http://treaties.un.org/doc/Publication/UNTS/Volume%2075/ volume-75-I-973-English.pdf. 30 Per il testo originale delle riserve apposte alle Convezioni di Ginevra del 1949 si veda http://www.loc.gov/rr/frd/Military_Law/pdf/Dipl-Conf-1949-Final_Vol-1.pdf.

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« the Union of Soviet Socialist Republics will not recognize the validity of requests by the Detaining Power to a neutral State or to a humanitarian organization, to undertake the functions performed by a Protecting Power, unless the consent of the Government of the country of which the protected persons are nationals has been obtained » 31.

L’Urss poneva così un vincolo alla libertà d’azione di uno Stato neutrale, o di

una organizzazione umanitaria, ad operare direttamente sul proprio territorio previo

suo consenso.

Alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 seguirono i due Protocolli

addizionali nel 1977, quello relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati

internazionali e quello relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati non

internazionali i quali furono firmati dall’Urss nel 1989 e resi effettivi nel marzo del

1990, senza che venisse apposta alcun tipo di riserva.

Nel caso specifico dell’Urss, la ratifica del secondo Protocollo addizionale

rappresentò un punto di rottura totale con la prassi precedentemente adottata, quella

cioè dell’isolazionismo internazionale. Per la prima volta infatti, con il secondo

Protocollo addizionale, un conflitto sorto tra due o più parti belligeranti, appartenenti

allo stesso territorio, veniva disciplinato mediante norme internazionali umanitarie,

con la conseguenza che quella che da sempre era stata una questione interna agli

Stati si trasformava così in una situazione di rilievo internazionale. Ciò è confermato

da quanto la stessa Urss affermò al momento della ratifica:

« the Soviet Union’s ratification of the Protocols additional to the Geneva Conventions for the protection of the victims of war constitutes an unusual event in the recent diplomatic history of our country. It reflects the spirit of new political thinking and demonstrates the Soviet State’s commitment to humanizing international affairs and strengthening the system of international […] it should be pointed out that the Supreme Soviet of the USSR choose to ratify the Protocols without any reservation whatsoever. At the same time, our State recognized the competence of the International Fact-Finding Commission in cases where international humanitarian law is violated » 32.

Al riguardo, anche il riconoscimento della competenza di una Commissione ad

hoc 33 incaricata di verificare eventuali violazioni delle norme del secondo

31 Ibidem. 32 Per il testo completo della dichiarazione dell’Urss in sede di ratifica del secondo Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 1949, si veda in http://www.icrc.org/ihl.nsf/NORM/7C8CB26 B88C21955C1256402003FBAA4?OpenDocument. 33 Ibidem.

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Protocollo, rappresentò una totale novità 34.

Successivamente alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, la Federazione russa

nel gennaio del 1992 presentò presso il Segretariato Generale delle Nazioni Unite

una notifica di continuità nell’assunzione degli obblighi contratti dall’Urss con le

Convenzioni di Ginevra del 1949 ed i relativi Protocolli Addizionali 35. Infine,

sempre la Federazione russa ha firmato, ma non ancora ratificato, il 7 dicembre 2006

il terzo protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 2005 relativo

all’adozione di un emblema distintivo aggiuntivo 36.

Sulla base dell’art. 15 par. 4, della Costituzione della Federazione russa del

1993, le norme delle Convenzioni di Ginevra e quelle dei Protocolli addizionali del

1977 e del 2005, sono stati resi parte integrante del sistema giuridico interno,

vincolando i tribunali interni ad applicarle in caso di conflitto tra norme nazionali e

internazionali. L’art. 1 delle quattro Convenzioni del 1949, insieme all’art. 1 del

primo Protocollo addizionale del 1977, si rivolgono inoltre, come noto, agli Stati

imponendo loro l’adozione delle misure legislative necessarie a stabilire le adeguate

sanzioni penali. Tali disposizioni prevedono infatti l’obbligo per le Alte Parti

contraenti « to respect and to ensure respect for the present Convention in all

circumstances » 37. A tal fine si richiede a queste ultime di impegnarsi « […] to

undertake to enact any legislation necessary to provide effective penal sanctions for

persons committing, or ordering to be committed, any of the grave breaches of the

present Convention defined in the following Article » 38.

La Federazione russa è parte contraente anche di altri principali trattati di diritto

internazionale umanitario, come la Convenzione sulle armi biologiche del 1972 39, la

Convenzione sulle modificazioni dell’ambiente del 1976 40, la Convenzione sulle

34 A tal proposito si rimanda alla lettura del Capitolo I, par. 2, del presente lavoro, in cui sono state analizzate le riserve apposte dall’Urss ai trattati internazionali. 35 Cfr. GAETA P., The Armed Conflict in Chechnya before the Russian Costitutional Court, in European Journal of International Law, 1996, pp. 563-570, in part. p. 563. 36 Per l’elenco degli Stati firmatari il terzo Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra si veda http://www.icrc.org/ihl.nsf/WebSign?ReadForm&id=615&ps=S. 37 Si veda l’art. 1 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e al primo Protocollo addizionale del 1977, in http://treaties.un.org/doc/Publication/UNTS/Volume%2075/v75.pdf. 38 Si veda l’art. 49, par. 1, Ginevra, 12 agosto 1949 reperibile in http://www.icrc.org/ihl.nsf/7c4d08d9b2 87a42141256739003e636b/fe20c3d903ce27e3c125641e004a92f3. 39 Convenzione che vieta la messa a punto, la fabbricazione e lo stoccaggio delle armi batteriologiche (biologiche) o a tossine e che disciplina la loro distruzione, firmata a Londra, Mosca e Washington, 10 aprile 1972. Testo reperibile in http://www.opbw.org/convention/documents/btwctext.pdf. 40 Convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente a fini militari e ad ogni altro scopo ostile Ginevra,10 dicembre 1976. Testo reperibile in http://www.carnegieendowment.org/static /npp/treaties/

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armi convenzionali del 1980 e i suoi quattro Protocolli 41, e la Convenzione sulle

armi chimiche del 1993 42. Infine la Russia ha firmato il 13 settembre 2000 lo Statuto

della Corte penale internazionale senza però averlo ancora ratificato, mentre non ha

firmato la Convezione di Ottawa del 1997 sulle mine anti-uomo 43.

Alla luce di tali obblighi internazionali devono essere analizzate le disposizioni

interne al sistema giuridico russo che hanno dato attuazione ai suddetti trattati.

Il Codice penale russo riserva un’intera sezione ai Crimini contro la pace e alla

sicurezza dell’umanità. Nel Codice sono presenti inoltre diverse norme di

codificazione del diritto umanitario internazionale, come ad esempio l’articolo 356,

che regola il divieto di trattamenti inumani perpetrati ai danni di prigionieri di guerra

ed alla popolazione civile, il divieto di utilizzo di armi e metodi proibiti in un

conflitto armato dai trattati internazionali così come l’uso di armi di distruzione di

massa 44.

L’osservanza e il rispetto del diritto internazionale umanitario da parte delle

forze armate russe sono dati non soltanto dalle norme ordinarie contenute nel Codice

penale russo bensì anche dalla legge sullo stato del personale di servizio militare del

1998, che prevede espressamente all’art. 26 l’osservanza delle norme e dei trattati

internazionali. Inoltre il Regolamento di servizio delle forze armate della

Federazione russa, pubblicato con decreto presidenziale nel 1993, ha previsto il

rispetto delle regole e degli obblighi internazionali ai quali le forze armate devono

attenersi durante le operazioni militari45.

Il governo russo nel corso degli ultimi quindici anni ha dunque modellato sempre

più la propria legislazione affinché il diritto internazionale trovasse applicazione nel

sistema giuridico interno.

Un ulteriore esempio di tale processo di modellamento è dato dalla direttiva n.

333 del Ministero della Difesa russo del 23 maggio 1999, riguardante l’insegnamento environmental_modification.pdf. 41 Convenzione sulla proibizione o restrizione dell’uso di alcune armi convenzionali che potrebbero essere considerate eccessivamente dannose o aventi effetti indiscriminati, Ginevra, 10 ottobre 1980. Il testo è reperibile in http://cicr.org/Web/Eng/siteeng0.nsf/htmlall/p0811/$File/ICRC_002_0811.PDF. 42 Convenzione di Parigi sulla proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinamento ed uso delle armi chimiche e sulla loro distruzione, Paris 13 gennaio 1993. Testo reperibile in http://www.nti.org/e_ research /official_ docs/inventory/pdfs/cwc.pdf 43 Convenzione sul divieto dell'impiego, del deposito, della fabbricazione e della fornitura di mine antiuomo e sulla loro distruzione, Ottawa, 18 settembre 1997. Il testo è reperibile in http://www.icrc.org/ web/eng/site eng0. nsf/html/57JR4X. 44 CFR. TUZMUKHAMEDOV B., The Implementation of International Humanitarian Law, cit., supra nota 25 p. 389. 45 Ibidem p. 393.

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giuridico nelle forze armate della Federazione russa, la quale vincolava la possibilità

di carriera per gli ufficiali russi al superamento di un esame di diritto internazionale

umanitario 46.

Il processo di adeguamento della legislazione interna russa al diritto

internazionale umanitario non èstato peraltro sempre di facile attuazione. Infatti per

quanto riguarda la repressione dei crimini internazionali, è da precisare che la

Federazione russa ha firmato ma non ancora ratificato lo Statuto della Corte penale

internazionale. Le ragioni della mancata ratifica sono in prevalenza politiche, ma

sono anche di carattere giuridico, considerati i conflitti che verrebbero a crearsi tra le

norme dello Statuto e quelle della Costituzione 47.

4. La sentenza della Corte Costituzionale russa del 31 luglio 1995

Ai fini del nostro discorso è importante analizzare la sentenza della Corte

Costituzionale russa del 31 luglio 1995, relativa alla costituzionalità di tre decreti

presidenziali e di una risoluzione governativa, finalizzati a ristabilire l’ordine legale e

territoriale nella Repubblica cecena in seguito alla guerra che colpì la regione nel

1994. Questa sentenza è di particolare rilevanza poiché per la prima volta da quando

fu ricostituita 48, la Corte Costituzionale della Federazione russa ha condannato

l’Assemblea Federativa per non aver posto in essere le dovute modifiche al sistema

giuridico interno affinché potessero essere applicate le norme previste dal secondo

Protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 1949 49 .

Lo scoppio della prima guerra in Cecenia fu frutto della degenerazione della crisi

politico-istituzionale che attraversò la Russia tra il 1991 e il 1994. In un clima di

instabilità istituzionale, mossa da una forte spinta indipendentista, la Repubblica

46 Ibidem p. 394. 47 Cfr. TUZMUKHAMEDOV B., The Implementation of International Humanitarian Law, cit., supra nota 25. 48 Il 7 ottobre 1993 Boris Yeltsin sospese i lavori della Corte Costituzionale in seguito al profondo stato di crisi in cui versava la Russia. Nel luglio del 1994 fu istituita una nuova Corte Costituzionale, i cui lavori ripresero solo nel febbraio del 1995 a causa del rifiuto di riconoscere diversi giudici costituzionali nominati da Yeltsin. Per un quadro più dettagliato della crisi costituzionale russa dei primi anni Novanta Cfr. ANDREWS T. JOSEPHINE, When Majorities Fail: The Russian Parliament, 1990-1993, Cambridge, 2002. 49 La Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto, nota come Commissione Venezia, ha pubblicato una traduzione di tale sentenza sia in inglese che in francese. Il presente lavoro si riferisce alla versione in inglese, Judgement of the Constitutional Court of the Russian Federation of 31 july 1995 on the constitutionality and the Resolutions of the Federal Goverment concerning the situation in Chechnya, Strasbourg, 10 January 1996, CDL-INF (96) 1, il cui testo è reperibile in http://www.venice.coe.int/ docs/1996 /CDL-INF (1996)001-e.pdf.

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cecena negò la validità delle leggi federali e della Costituzione russa; le istituzioni

federali furono sciolte ed il territorio fu ben presto sottoposto al controllo delle forze

armate irregolari. Nell’autunno del 1991 fu sciolto il Soviet Supremo della

Repubblica cecena mentre il 27 ottobre furono indette delle nuove elezioni

presidenziali. Durante il quinto Congresso dei Deputati del Popolo dell’Urss, tenuto

il 2 novembre 1991, le elezioni cecene furono considerate illegittime. La situazione

degenerò fino all’autunno del 1994 quando il conflitto armato prese piede sul

territorio ceceno 50.

A fronte della situazione di crisi, la Federazione russa pose in essere diverse

misure coercitive emanando tre decreti del Presidente della Federazione e una

risoluzione del Governo.

Il decreto presidenziale del 30 novembre 1994 n. 2137 prevedeva l’adozione di

misure per restaurare l’ordine, la legge e la legalità costituzionale sul territorio della

Repubblica cecena. Si stabilì infatti, a partire dal 1° dicembre 1994, la creazione di

un gruppo di supervisione per il disarmo delle forze armate illegali e l’instaurazione

di uno stato d’emergenza sul territorio della Repubblica cecena. Tuttavia le misure

previste, non furono applicate poiché fu impossibile introdurre uno stato

d’emergenza sul territorio ceceno a causa del contrasto con la legge federale del 17

maggio 1991 sullo stato d’emergenza. Il decreto n. 2137 fu dunque sostituito dal

decreto n. 2169 dell’11 dicembre 1994 recante le misure per assicurare la legalità,

l’ordine e la pubblica sicurezza sul territorio della Repubblica cecena 51.

Il decreto presidenziale del 9 dicembre 1994 n. 2166 sulle misure volte a fermare

la formazione e la nascita delle forze armate illegali sul territorio della Repubblica

cecena e nella zona di guerra dell’Ossezia e Iguscezia, autorizzava inoltre il governo

della Federazione russa a porre in essere tutti gli strumenti a disposizione dello Stato

per assicurare la sicurezza, la legalità, i diritti e le libertà dei cittadini, la protezione

dell’ordine pubblico, per combattere il crimine e il disarmo delle forze armate illegali

nella Repubblica cecena 52.

50 Cfr. SABBATUCCI G. E VIDOTTO V., Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, cit., supra nota 3, in part. p. 612. 51 Cfr., par. 3, della sentenza. 52 Il governo russo dunque fu incaricato di eliminare ogni violazione esistente nella Repubblica cecena, rea, secondo la Corte, di aver violato l’art. 13, par. 5, della Costituzione, che sancisce il divieto di costituire ogni tipo di « […] organizzazioni sociali i cui fini e la cui attività siano dirette al cambiamento violento dei princìpi del sistema costituzionale ed alla violazione dell'integrità della Federazione Russa, al sovvertimento della sicurezza dello Stato, alla costituzione di formazioni armate, all'incitamento alla discordia sociale, razziale, nazionale e

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Infine, fu emanato anche il decreto presidenziale n. 1833 del 2 novembre 1993

riguardante la dottrina militare che le forze armate avrebbero dovuto seguire, il quale

tuttavia, non prescrivendo alcun obbligo, fu ritenuto privo di forza giuridica.

Le misure infine previste nella parte V, par. 1, della risoluzione del governo della

Federazione russa n. 1360 del 9 dicembre 1994, volte ad assicurare lo stato di

sicurezza e l’integrità territoriale della Federazione russa, la legalità, i diritti e le

libertà dei cittadini e il disarmo delle Forze armate illegali sul territorio della

Repubblica cecena e le aree adiacenti nel Caucaso del Nord, disciplinavano le

modalità di espulsione di chiunque non vivesse nella Repubblica cecena e fosse stato

accusato di minacciare la sicurezza pubblica e quella personale dei cittadini.

Un gruppo di deputati del Consiglio della Federazione dell’Assemblea Federale

insieme con altri rappresentanti della Duma di Stato, adirono la Corte Costituzionale

nel luglio del 1995, ritenendo che i suddetti decreti insieme alla risoluzione del

governo della Federazione russa n. 1360 fossero incostituzionali. In particolare, i

deputati del Consiglio della Federazione sostennero che i decreti presidenziali n.

2137 e n. 2166, insieme alla risoluzione del governo n° 1360, dovessero considerarsi

come un unico sistema di atti normativi che autorizzava un uso illegale delle forze

armate della Federazione russa sul territorio nazionale in violazione della

Costituzione, sul presupposto che l’utilizzo delle forze armate potesse considerarsi

lecito solo in caso di instaurazione di uno stato d’emergenza, che nel caso di specie

non era stato dichiarato. Inoltre, le altre misure previste nei decreti limitavano, ad

avviso dei ricorrenti, i diritti e le libertà dei cittadini russi. I deputati della Duma di

Stato sollevarono altresì dubbi sulla costituzionalità del decreto presidenziale n. 1833

e la risoluzione del Governo n. 1360, nella misura in cui permettavano la possibilità

di utilizzare le forze armate della Federazione russa per sedare un conflitto interno.

Infine, secondo i deputati della Duma, l’uso improprio delle forze armate nazionali e

l’alto numero di vittime civili causate durante le operazioni militari, avrebbero

violato l’art. 15 della Costituzione e gli obblighi di diritto internazionale contratti

dalla Federazione.

Allo scopo di stabilire la costituzionalità dei decreti presidenziali e della

risoluzione del governo, la Corte costituzionale, nella sentenza del 31 luglio 1995, si

religiosa ».

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è espressa innanzitutto sul possibile diritto della Repubblica di Cecenia a secedere

dalla Federazione russa. Se tale ipotesi fosse stata riconosciuta lecita infatti, la

costituzionalità dei decreti e della risoluzione sarebbe venuta a mancare

immediatamente.

La Costituzione russa, a giudizio della Corte, non prevedeva la possibilità per

una minoranza etnica di secedere dallo Stato nazionale di appartenenza 53. L’unica

via istituzionale percorribile era quella prevista all’art. 66, par. 5, della Costituzione

della Federazione russa, in base al quale « lo status di un soggetto della Federazione

Russa può essere modificato in base a reciproco accordo tra la Federazione Russa ed

il Soggetto della Federazione Russa in conformità con la legge costituzionale

federale » 54.

L’obiettivo costituzionale di salvaguardare l’integrità della Federazione era

inoltre conforme, secondo la Corte, alle norme internazionali consuetudinarie

riguardanti il diritto dei popoli all’autodeterminazione. A conferma di ciò, la Corte,

faceva riferimento alla Dichiarazione sui principi di diritto internazionale sulle

relazioni amichevoli tra Stati, adottata dall’Assemblea Generale il 24 ottobre 1970, in

base alla quale il diritto all’autodeterminazione dei popoli:

« shall be construed as authorizing or encouraging any action which would dismember or impair, totally or in part, the territorial integrity or political unity of sovereign and independent States conducting themselves in compliance with the principle of equal rights and self-determination of peoples as described above and thus possessed of a government representing the whole people belonging to the territory without distinction as to race, creed or colour »55.

La Corte dunque, dopo aver preso in considerazione le relazioni tra la

Federazione russa e la Repubblica cecena, dichiarò priva di fondamento la possibilità

di riconoscere il diritto all’autodeterminazione al popolo ceceno.

La Corte dichiarò quindi che i decreti adottati dallo Stato, che avevano

autorizzato l’intervento armato, erano in realtà finalizzati alla salvaguardia

53 Gli articoli della Costituzione che consacrano l’integrità dello Stato sono i seguenti: l’art. 4, par. 3, che garantisce l’integrità e l’inviolabilità del territorio da parte della Federazione russa; l’art. 5, par. 3, che prevede come una delle basi istitutive della struttura federativa dello Stato russo la sua integrità territoriale; l’art. 8 che garantisce l’unità dello spazio economico e la libera circolazione dei mezzi; l’art. 65 che elenca tutti i soggetti della Federazione, l’art. 67, par. 1, che specifica i limiti del territorio nazionale e l’art. 71, lett. B, per ciò che concerne l’organizzazione federativa e il territorio. cit., supra nota 23. 54 Art. 66, par. 5 della Costituzione della Federazione russa, cit., supra nota 23. 55 Cfr. Declaration on Principles of International Law concerning Friendly Relations and Co-operation among States in accordance with the Charter of the United Nations. Il testo della Dichiarazione è reperibile in http://www.un-documents.net/a25r2625.htm.

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dell’integrità del territorio nazionale e non risultavano quindi in contrasto con il

principio di autodeterminazione dei popoli, sulla base anche di quanto affermato

dalla suddetta Dichiarazione dell’Assemblea Generale 56.

In merito al decreto presidenziale n. 2137 del 30 novembre 1994, la Corte ritenne

che esso non avesse violato i diritti e le libertà dei cittadini russi poiché nel periodo

intercorso tra la sua promulgazione e la sua abrogazione a favore del decreto n. 2169

dell’ 11 dicembre 1994, le misure in esso previste non erano state di fatto applicate 57. La Corte nella sua sentenza ritenne dunque il decreto n. 2137 non passibile di

violare la Costituzione.

In merito al decreto presidenziale n. 2166 del 9 dicembre 1994, la Corte lo

ritenne conforme alle norme costituzionali che limitano i poteri presidenziali 58. Con

riguardo a tale decreto, i ricorrenti denunciavano un abuso di potere del Presidente, il

quale, violando i limiti previsti dalla Costituzione, aveva incaricato il governo di

utilizzare le forze armate sul territorio federale a protezione della sovranità e

dell’integrità dello Stato. Ad avviso dei ricorrenti, l’incostituzionalità di tali misure

doveva rintracciarsi nella mancata instaurazione di uno stato d’emergenza sul

territorio ceceno. In proposito, la Corte affermò che non fosse possibile rinvenire

nella Costituzione il vincolo dello stato d’emergenza come unica situazione in cui il

Presidente della Federazione può disporre di mezzi e misure volti a preservare

l’integrità territoriale della nazione. La Corte dichiarò dunqueche il decreto

presidenziale n. 2166 rispettava la Costituzione 59.

La Corte inoltre verificò la conformità del decreto n. 2166 alla luce dei principi

generali internazionali universalmente riconosciuti e delle norme internazionali

56 Si veda in particolare quanto affermato nella Dichiarazione secondo cui « Nothing in the foregoing paragraphs shall be construed as authorizing or encouraging any action which would dismember or impair, totally or in part, the territorial integrity or political unity of sovereign and independent States conducting themselves in compliance with the principle of equal rights and self-determination of peoples as described above and thus possessed of a government representing the whole people belonging to the territory without distinction as to race, creed or colour» in http://www.unhcr.org/refworld/topic,459d1 7822,459d17a82 ,3dda1f104,0.html. 57 Cfr. par. 3, della sentenza in cui si afferma che « […] measures it provided for that could affect citizens’ constitutional rights and freedoms were not realised, so the decree did not lead to their restriction or violation ». 58 Per di più il decreto fu ritenuto conforme anche all’art. 90, par. 2, della Costituzione, in cui si dichiara che « i decreti e le disposizioni del Presidente della Federazione Russa sono obbligatori per l’esecuzione su tutto il territorio della Federazione Russa ». Il decreto fu conforme anche all’art. 13, par. 5, della Costituzione, in cui si afferma che « E’ proibita la costituzione e l’attività di organizzazioni sociali i cui fini e la cui attività siano dirette al cambiamento violento dei princìpi del sistema costituzionale ed alla violazione dell’integrità della Federazione russa, al sovvertimento della sicurezza dello Stato, alla costituzione di formazioni armate, all'incitamento alla discordia sociale, razziale, nazionale e religiosa ». 59 Sulla base di diversi articoli della Costituzione, secondo i quali il Presidente della Federazione ha sufficienti poteri per adottare misure volte a salvaguardare l’integrità dello Stato. Cfr., par. 4, della sentenza.

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pattizie vincolanti la Federazione russa, sulla base dell’art. 15, par. 4 della

Costituzione, con particolare riguardo al secondo Protocollo addizionale alle

Convenzioni di Ginevra del 1949 60 sulla protezione delle vittime dei conflitti armati

di carattere non internazionale, di cui la Federazione russa era al momento dei fatti

Parte contraente. In proposito, la Corte ravvisò come le disposizioni sancite nel

secondo Protocollo, non fossero state adeguatamente adottate nella legislazione

interna 61. Questa lacuna legislativa interna aveva portato, a giudizio della Corte,

all’inosservanza dei principi del Protocollo, secondo i quali l’uso della forza doveva

risultare proporzionale agli obiettivi e dovevano essere fatti tutti gli sforzi per evitare

che fossero perpetrati danni ai civili e ai loro beni 62.

Al riguardo, la Corte dichiarò che l’Assemblea Federale dovesse provvedere ad

adeguare la propria legislazione interna al secondo Protocollo addizionale decidendo

altresì, in conformità agli articoli 52 e 53 della Costituzione e al Patto internazionale

sui diritti civili e politici, che fossero stabiliti dei mezzi efficaci di protezione

giudiziaria e di compensazione dei danni subiti durante il conflitto dalle vittime 63.

Per quanto riguarda il decreto presidenziale n. 1833, la Corte dichiarò che esso

non contenendo disposizioni di carattere normativo, non potesse essere oggetto di

verifica costituzionale 64.

In merito invece alla risoluzione del governo n. 1360, la Corte dichiarò di

riconoscere l’incostituzionalità di alcune sue disposizioni. Il contrasto con la

Costituzione emerse per le disposizioni riportate nella Parte V, par. 1, punto 3, che

riguardavano l’espulsione dalla Repubblica di Cecenia di chiunque non ne fosse

60 Così come del primo Protocollo addizionale e delle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949. L’Unione Sovietica ratificò entrambi i Protocolli il 29 settembre 1989, rendendoli effettivi il 29 marzo 1990. La Federazione russa depositò una notifica di continuazione il 13 gennaio 1992. 61 Infatti al momento della promulgazione del decreto n. 2166 del 9 dicembre 1994, la legislazione interna ammetteva ancora l’utilizzo delle forze armate della Federazione russa per la protezione dell’integrità dello Stato non soltanto contro la minaccia esterna ma anche per la protezione della popolazione, del territorio, della sovranità e per la protezione contro le minacce interne dirette contro l’individuo, la società, lo Stato, il suo regime costituzionale, la sovranità e l’integrità territoriale. Inoltre il Presidente della Federazione, in qualità di Comandante Supremo in Capo delle forze armate ne poteva esercitare la direzione generale secondo i termini previsti dalla legge, e poteva prendere decisioni in merito ad assicurare l’integrità dello Stato. La Corte inoltre affermò che l’utilizzo delle forze armate sul territorio federale non fosse limitato alla sola instaurazione dello stato d’emergenza, sulla base dell’art. 11 della legge della Federazione russa sulla sicurezza e sulla difesa, e degli articoli 71, lett. M; art. 78, par. 4; art. 80, par. 2; art. 82, par. 1; art. 90, par. 1, par. 3; art. 114, par. 1 lett. G, della Costituzione della Federazione russa. 62 Cfr. par. 5, della sentenza. 63 Il Patto internazionale sui diritti civili e politici è stato adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966 ed entrato in vigore il 23 marzo 1976. 64 Sulla base dell’art. 43 e dell’art. 68 della legge costituzionale sulla Corte costituzionale russa, cfr. par. 7, della sentenza.

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residente e rappresentasse una minaccia alla sicurezza pubblica e personale dei

cittadini. La Corte inoltre ravvisò l’incostituzionalità delle misure previste nella Parte

V, par. 2, punto 6 della stessa risoluzione, che prevedevano l’interdizione dal lavoro

dei giornalisti operanti in Cecenia, ritenuti colpevoli dalla Federazione russa di

compiere atti di propaganda a favore delle forze militari irregolari cecene 65.

In merito a queste ultime disposizioni, la Corte affermò che le disposizioni

presenti nella risoluzione governativa violavano i diritti costituzionali dei cittadini

russi, in particolare il diritto a muoversi liberamente sul territorio nazionale ed il

diritto a scegliere il loro luogo di residenza. Inoltre, ad avviso della Corte, ad essere

violata era stata anche il loro diritto a ricevere o trasmettere liberamente le

informazioni, così come garantito dalla Costituzione 66.

In conclusione, la Corte riconobbe l’incostituzionalità solo di alcune parti della

risoluzione del Governo n. 1360, stabilendo invece la conformità costituzionale degli

altri decreti presidenziali. La Corte negò, da un lato, alla Repubblica cecena la

titolarità del diritto all’autodeterminazione dei popoli e, dall’altro, indirizzò il

legislatore russo ad adeguare il sistema normativo interno alle norme previste nel

secondo Protocollo addizionale prevedendo forme di tutela e di compensazione per

quegli individui che fossero rimasti di violazioni durante il conflitto. 65 Tali disposizioni risultarono in contrasto con l’art. 27, par. 1; l’art. 29, par. 4 e par. 5; l’art. 55, par. 3 e l’art. 56 della Costituzione;. L’art. 27, par. 1 afferma che «Ciascuno che si trovi legalmente sul territorio della Federazione Russa ha diritto di spostarsi liberamente e di scegliere il luogo di soggiorno e di residenza »; l’art. 29, par. 4 e par. 5 affermano che « Ciascuno ha diritto di cercare, ricevere, trasmettere, produrre e diffondere liberamente l'informazione con ogni mezzo legale. L’elenco delle informazioni che costituiscono segreto di Stato è determinato dalla Legge federale. E’ garantita la libertà dell'informazione di massa. La censura è proibita»; l’art. 55, par. 3 riporta che « i diritti e le libertà dell’uomo e del cittadino possono essere limitati dalla legge federale solo nella misura in cui ciò sia necessario ai fini della difesa dei princìpi del sistema costituzionale, della morale, della salute, dei diritti e degli interessi legittimi di altre persone e per assicurare la difesa del Paese e la sicurezza dello Stato l’art. 56 « 1. In condizioni di stato di emergenza per salvaguardare la sicurezza dei cittadini e la difesa del sistema costituzionale, in conformità con la Legge costituzionale federale, possono essere imposte particolari restrizioni dei diritti e delle libertà con l'indicazione dei limiti e dei termine della loro validità. 2. Lo stato di emergenza su tutto il territorio della Federazione Russa ed in sue singole aree può essere introdotto in presenza delle circostanze e secondo le modalità stabilite dalla Legge costituzionale federale. 3. Non sono soggetti a restrizione i diritti e le libertà contemplate dagli articoli 20, 21, 23 (parte 1) 24, 28, 34 (parte 1), 40 (parte 1), 46-54 della Costituzione della Federazione Russa ». 66 Cfr. par. 8, della sentenza, secondo il quale « Thereby Part II , point 6 of the said resolution introduces new grounds and a new procedure of depriving a journalist of his accreditation that are not provided for by law. This contradicts Article 29, Parts 4 and 5 that establishes the right to free information, Article 46 that guarantees judicial protection of rights and freedoms, as well as Article 55, Part III of the Constitution of the Russian Federation. In accordance with Part V, Article 48 of the Law of the Russian Federation of 27 December 1991 “On the Mass Media” a journalist may be deprived of his accreditation if he or his media outlet violate the established regulations of accreditation or circulate information that does not correspond to reality, that smear the honour and dignity of the organisation that accredited the journalist, this being confirmed by a court ruling entered into force […] Thereby Part II , point 6 of the said resolution introduces new grounds and a new procedure of depriving a journalist of his accreditation that are not provided for by law. This contradicts Article 29, Parts 4 and 5 that establishes the right to free information, Article 46 that guarantees judicial protection of rights and freedoms, as well as Article 55, Part III of the Constitution of the Russian Federation » .

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4.1 Opinioni dissenzienti dalla sentenza della Corte Costituzionale russa

E’ opportuno precisare che la sentenza della Corte Costituzionale non fu adottata

all’unanimità, alcuni giudici espressero infatti opinioni dissenzienti su alcuni punti.

Al fine di avere un quadro completo della vicenda, riteniamo dunque appropriato

analizzare le opinioni più rilevanti 67.

E’ da esaminare anzitutto l’opinione del giudice Vitruk, il quale dopo aver

ricostruito brevemente il contesto nel quale furono approvati i decreti presidenziali e

la risoluzione del Governo, criticò l’approccio analitico seguito dalla Corte in merito

alla costituzionalità dei decreti e della risoluzione governativa. Secondo il giudice, la

considerazione della Corte, secondo cui i testi analizzati dovessero considerarsi come

un unico corpus normativo, aveva impedito di verificare la costituzionalità di ogni

singolo atto nonché di analizzare dettagliatamente la loro natura giuridica.

Il giudice riscontrò una netta discrepanza tra gli obiettivi riportati nei preamboli

dei decreti e della risoluzione governativa rispetto alle misure previste al loro

soddisfacimento. Egli affermò come i preamboli non si ponessero in contrasto con la

Costituzione, poiché perseguivano obiettivi garantiti dalla stessa Costituzione russa.

Le misure volte al loro soddisfacimento però, secondo tale giudice, risultavano essere

incostituzionali. A tal proposito egli affermò che:

« If the objectives set out in the preambles of the texts are examined independently of the measures they involve, they can be seen to be inconformity with the Constitution of the Russian Federation. They are designed in particular to restore constitutional legality (decree No. 2137), ensure national security, safeguard the rights and freedoms of citizens (decree No. 2166) etc. On the other hand, the measures for which the texts provide inorder to attain those goals are a violation of the terms of the Constitution »68.

L’intento degli organi esecutivi federali era finalizzato, ad avviso del giudice, a

ristabilire la legalità costituzionale e l’ordine nel territorio della Repubblica di

Cecenia attraverso la creazione di un regime che non pareva considerarsi ascrivibile

allo stato d’emergenza né ad uno stato di guerra. Esso piuttosto doveva considerarsi,

67 Per una sintesi delle opinioni dissenzienti Cfr. Summary of dissenting opinions: Judgment of the Constitutional Court of the Russian Federation on the constitutionality of certain presidential decrees and governmental orders: Summary of the dissenting opinions of six judges of the Constitutional Court of the Russian Federation, in http://www.venice.coe.int/docs/1995/CDL(1995)068add-e.asp?PrintVersion= True&L=E. 68 Ibidem, p. 2.

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riprendendo i termini utilizzati dalla Corte, come un “intervento federale” 69 che non

trovava riscontro nelle norme costituzionali russe. Secondo il giudice, si sarebbe

dunque dovuto adottare una legge federale ad hoc, che disciplinasse l’uso delle forze

armate sul territorio nazionale, dal momento che non esisteva alcuna base normativa

in merito alla gestione delle forze armate impiegate in un conflitto interno al paese.

Il giudice Vitruk mosse anche un’altra critica alla sentenza della Corte,

evidenziando come i decreti n. 2137, n. 2166 e n. 2169 fossero stati adottati in

violazione dei limiti costituzionali previsti ai poteri del Presidente della Federazione 70. Infatti dai decreti erano stati desunti una serie di poteri impliciti del Presidente

della Federazione, che ne avevano esteso illegittimamente i poteri rispetto a quelli

riconosciutigli dalla Costituzione 71. Il giudice ritenne inoltre che, grazie al decreto n.

2166, il Presidente della Federazione russa, avendo delegato al governoi propri

poteri, aveva violato la Costituzione alla luce della separazione dei poteri tra il

Presidente della Federazione e il governo.

Infine, i decreti presidenziali, sempre secondo il giudice, si erano posti in

contrasto con l’art. 2 della Costituzione, che garantiva la priorità assoluta alla tutela

dei diritti dell’uomo e alle sue libertà fondamentali, in accordo con l’art. 18 72.

Perdipiù, nessuno dei decreti aveva previsto misure a salvaguardia dei potenziali

abusi che le forze armate avrebbero potuto compiere nella Repubblica di Cecenia.

Anche il giudice Gadzhiyev e il giudice Ebzeyev, esaminando il decreto n. 2166,

dichiararono anch’essi la violazione delle norme costituzionali 73. Essi evidenziarono

come il potere concesso dal Presidente della Federazione al governo avesse

comportato un mancato rispetto dei principi di separazione dei poteri, dei ruoli e 69 Ibidem. 70 I limiti ai poteri presidenziali sono previsti agli articoli 83 e 90 della Costituzione della Federazione russa. 71 A detta del giudice quindi, ci si pose in contrasto con l’art. 15, par. 1, della Costituzione, che nega la possibilità di interpretare in maniera arbitraria le norme previste in essa. 72 L’art. 18 della Costituzione sancisce che i diritti umani e le libertà dei cittadini sono considerate norme self-executing. 73 I giudici denunciarono la violazione degli articoli 1, par. 1, dell’art. 10 e dell’art. 55 della Costituzione. L’art. 1, par. 1 sancisce che « La Federazione Russia – la Russia – è uno Stato di diritto, federativo, democratico con forma di Governo repubblicana »; l’art. 10 della Costituzione dichiara che « Il potere statale nella Federazione Russa si esercita sulla base della divisione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Gli organi dei potere legislativo, esecutivo e giudiziario sono indipendenti »; l’art. 55 prevede che « 1. L’enumerazione nella Costituzione della Federazione Russa dei diritti e delle libertà fondamentali non deve essere interpretata come diniego o come limitazione degli altri diritti di libertà dell'uomo e dei cittadino generalmente riconosciuti. 2. Nella Federazione Russa non devono essere pubblicate leggi che aboliscano o limitino i diritti e le libertà dell'uomo e del cittadino . 3. I diritti e le libertà dell’uomo e del cittadino possono essere limitati dalla Legge federale solo nella misura in cui ciò sia necessario ai fini della difesa dei princìpi del sistema costituzionale, della morale, della salute, dei diritti e degli interessi legittimi di altre persone e per assicurare la difesa del Paese e la sicurezza dello Stato ».

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delle competenze istituzionali; nonché dei diritti e delle libertà dei cittadini, garantiti

dalla Costituzione 74.

Infine, particolarmente signicative risultano essere le osservazioni del giudice

Zorkin, il quale pur concordando con la Corte sulla necessità di intraprendere una

missione militare in Cecenia per poter ristabilire la sicurezza collettiva e l’ordine

costituzionale, riteneva che la Corte costituzionale non avesse sottolineato la

mancanza di proporzionalità delle misure adottate rispetto agli scopi che esse si

prefiggevano, ovvero il ripristino della sicurezza nazionale e dell’integrità territoriale

in Cecenia. Non erano state prese in adeguata considerazione, ad avviso del giudice,

le gravi conseguenze derivanti dall’applicazione delle misure coercitive e la mancata

adozione, da parte delle autorità federali, delle misure per tutelare i diritti e le libertà

dei cittadini.

5. Commento alla sentenza della Corte Costituzionale del 31 luglio 1995 e

considerazioni conclusive al capitolo

Il primo aspetto della sentenza che ci preme analizzare riguarda il mancato

riconoscimento alla Repubblica cecena di godere del diritto di autodeterminazione

dei popoli, tema che sarà ripreso più approfonditamente nel secondo capitolo del

presente lavoro. E’ tuttavia importante fin da ora precisare le diverse critiche che

sono state mosse alla Corte per non aver interpretato correttamente la Dichiarazione

delle Nazioni Unite sulle relazioni amichevoli e la cooperazione tra Stati, laddove

dichiara che:

« Nothing in the foregoing paragraphs shall be construed as authorizing or encouraging any action which would dismember or impair, totally or in part, the territorial integrity or political unity of sovereign and independent States conducting themselves in compliance with the principle of equal rights and self-determination of peoples as described above and thus possessed of a government representing the whole people belonging to the territory without distinction as to race, creed or colour » 75.

Nel presente paragrafo, si afferma come i principi sanciti dalla Dichiarazione

74 In tale occasione il giudice Ebzeyev dichiarò che «Given the causal links between the said decisions, on the one hand, and the victims and destruction in the Chechen Republic, on the other, it must be concluded that the decisions and the measures for implementing them were incompatible with the requirements of the restoration of the constitutional order; and this confers on those very decisions the character of a violation of the constitutional order of the Russian Federation». Cfr. p. 4, supra nota 67. 75 Cfr. par. 1/b della Dichiarazione, cit., supra nota 55.

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non possono essere fatti strumento di legittimazione delle azioni che minano

l’integrità territoriale di uno Stato, a condizione però che quest’ultimo garantisca ai

propri cittadini un governo rappresentativo e la possibilità di godere di equi diritti

senza nessuna distinzione di razza, di credo o di colore.

Nel caso di specie, la Corte, dando per scontato che la Federazione russa fosse

rispettosa dei diritti sopra elencati, aveva ritenuto che i decreti presidenziali e la

risoluzione governativa fossero da considerarsi leciti poichè miravano a preservare

l’integrità territoriale dello Stato. La sentenza della Corte è dunque anzitutto

criticabile dal momento che ha mancato di verificare realmente se la Federazione

russa applicasse i principi sanciti nella Dichiarazione.

Un ulteriore critica che può essere mossa riguarda la decisione della Corte di non

verificare se le forze armate russe avessero violato concretamente il diritto

internazionale umanitario durante le operazioni militari. In proposito la Corte aveva

dichiarato infatti che

« The examination of the practical actions of the parties in the course of the armed conflict from the point of view of compliance with the additional protocol to the Geneva Conventions of 12 August 1949, with regard to protection of the victims of non-international armed conflicts, Protocol 2, in accordance with Article 125 of the Constitution of the Russian Federation, and Parts I, II and III of Article 3 of the Federal Constitutional Law on the Constitutional Court, may not be a subject for consideration by the Constitutional Court of the Russian Federation and ought to be performed by other competent organs » 76.

La Corte aveva dunque analizzato la costituzionalità dei decreti e della

risoluzione del governo solo dal punto di vista normativo, senza considerare la loro

reale attuazione 77.

Nel giudizio finale della Corte, vi è inoltre una questione di natura terminologica

che richiede un appropriato approfondimento. Il conflitto nella Repubblica di

Cecenia fu definito dalla stessa Federazione russa una guerra civile, intesa come un

conflitto armato interno, prolungato e di grande intensità 78, rientrando così a pieno

titolo tra quelli ai quali si applica il secondo Protocollo addizionale 79. La Corte non

ha specificato tuttavia il perchè a suo parere il conflitto assumesse una tale natura.

Infatti il conflitto avrebbe potuto essere definito in diverse altre maniere come ad 76 Cfr. par. 5, della sentenza, corsivo aggiunto. 77 Per un’analisi più specifica della sentenza della Corte costituzionale Cfr. GAETA P., The Armed Conflict in Chechnya before the Russian Costitutional Court, in European Journal International Law, cit., supra nota 35. 78 Ibidem, in part p. 568. 79 Si veda l’art. 1, par. 1, del secondo Protocollo.

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esempio, sulla base dell’art. 3 comune alle quattro le Convenzioni di Ginevra del

1949 « as a civil war of short duration and with a low thereshold of intensity »

evitando così che si applicassero le norme del secondo Protocollo.

Avrebbe potuto altresì essere inteso « as an instance of internal disturbance and

tension to wich no humanitarian international rule would apply », in base all’art. 1,

par. 2, del secondo Protocollo addizionale oppure come una guerra di liberazione

nazionale ed essere pertanto regolata dal primo Protocollo addizionale.

Secondo il ragionamento della Corte, se da una parte non si poteva applicare

nessun’altra definizione alla guerra in Cecenia in ragione della sua intensità e durata,

dall’altra parte, la ragione per cui non era stato definito un conflitto di liberazione

nazionale risiedeva nel fatto che ciò avrebbe significato il riconoscimento alla

popolazione cecena del diritto all’autodeterminazione dei popoli. Ciò avrebbe

complicato indiscutibilmente il quadro normativo da applicare rendendo la fattispecie

difficilmente gestibile e esponendo la Federazione russa ad un vero e proprio

processo di scissione territoriale.

In conclusione, vorremo sottolineare la rilevanza che tale sentenza ha avuto per il

sistema giuridico e politico della Federazione russa. La Corte Costituzionale è uscita

da questa sentenza rafforzando il proprio ruolo di mediatore tra la legislazione

interna e quella internazionale: in tale prospettiva infatti deve essere letto l’invito

rivolto dalla Corte al legislatore russo nel senso di migliorare e completare

l’adeguamento del sistema normativo al secondo Protocollo addizionale. La Corte

invitò il Parlamento russo ad adeguare la legislazione interna al secondo Protocollo

addizionale, in modo da poter dare effettiva applicazione nel proprio sistema

giuridico alle norme di diritto internazionale umanitario. Inoltre dichiarò che, in

accordo con il Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, le vittime di

qualsiasi violazione, crimine o abusi di potere, dovessero usufruire di tutti i mezzi

giuridici messi a disposizione dalla Federazione russa affinché fossero garantiti i loro

diritti.

L’altro aspetto rilevante della sentenza costituzionale, di cui già abbiamo

accennato in precedenza, riguarda il dibattito che ruota attorno alla titolarità della

Repubblica di Cecenia a secedere o meno dalla Federazione russa, sulla base del

principio dell’autodeterminazione dei popoli. Si discute infatti se la Repubblica

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cecena possa separarsi dalla Federazione russa o se abbia solo il diritto

all’autodeterminazione interna. Nel prossimo capitolo dunque, analizzeremo tale

aspetto, cercando di comprendere se è possibile applicare questo principio al caso di

specie.

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CAPITOLO II

IL DIRITTO ALL’AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI: IL CASO

CECENO

SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. Il principio di autodeterminazione dei popoli; 2.1

L’evoluzione del principio di autodeterminazione dei popoli nell’ambito delle Nazioni Unite; 2.2 L’evoluzione del principio di autodeterminazione dei popoli nella prassi della Corte internazionale di giustizia; 3. Il diritto all’autodeterminazione esterna del popolo ceceno; 3.1. I fatti storici; 3.2. Il rapporto istituzionale tra la Federazione russa e le sue Repubbliche; 4. Le posizioni in dottrina in merito allo status da riconoscere al popolo ceceno; 4.1 Il precedente delle Repubbliche baltiche; 4.2. Le gravi violazioni dei diritti umani; 4.3. Lo status speciale della Repubblica cecena; 4.4 Un referendum per determinare lo status della Repubblica cecena; 4.5 La Repubblica cecena: uno Stato de facto; 4.6. Considerazioni finali al paragrafo; 5. Il diritto all’autodeterminazione interna del popolo ceceno; 5.1 La Costituzione della Repubblica di Cecenia analizzata sulla base del rapporto della Commissione Venezia del 15 marzo 2003; 5.1.1 Aspetti generali; 5.1.2 La lingua nazionale della Repubblica cecena; 5.1.3. La tutela dei diritti umani nella Costituzione cecena; 5.2 Considerazioni finali al paragrafo; 6. La Comunità internazionale e la legittimazione del diritto all’autodeterminazione dei popoli in un contesto post-coloniale: il caso del popolo ceceno, kosovaro e timorese; 6.1 Il caso ceceno e quello kosovaro; 6.2 Il caso dell’isola di Timor Est; 7. Considerazioni conclusive.

1. Introduzione

Nel capitolo precedente abbiamo approfondito le fasi del processo di

adeguamento del sistema giuridico russo al diritto internazionale, in riferimento ai

trattati riguardanti la tutela dei diritti umani ed il diritto internazionale umanitario.

Dall’analisi della sentenza della Corte costituzionale del 31 luglio 1995, sono emersi

in particolare due aspetti: il primo, riguardante l’adeguamento del sistema giuridico

russo al diritto internazionale umanitario che è stato esaminato appunto

precedentemente; il secondo, concernente il diritto all’autodeterminazione del popolo

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ceceno 80.

Nel presente capitolo approfondiremo quest’ultimo aspetto analizzando lo status

della Repubblica cecena nella Federazione russa. Nella prima parte del capitolo

ripercorreremo l’evolversi del principio di autodeterminazione dei popoli nel corso

degli anni, analizzando la prassi della Corte internazionale di giustizia e le

disposizioni normative contenute nella Carta delle Nazioni Unite. Inoltre,

analizzeremo le circostanze in presenza delle quali il diritto internazionale riconosce

ad un popolo il diritto di secedere dal territorio di uno Stato sovrano approfondendo

il rapporto che intercorre tra il diritto all’autodeterminazione dei popoli e il diritto

all’integrità territoriale di uno Stato.

Nella seconda parte l’attenzione sarà focalizzata sul caso ceceno, per cui sarà

compiuta un’analisi riguardante il diritto del popolo ceceno a secedere

territorialmente dalla Federazione russa. Dopo aver ricostruito brevemente il contesto

storico in Cecenia degli anni Novanta del XX secolo, definiremo in base alla

Costituzione della Federazione russa, quale sia lo status giuridico-istituzionale delle

Repubbliche federali, e quali siano le libertà ed i diritti a loro concessi. In seguito,

sarà approfondito il dibattito in dottrina riguardante quale sia lo status giuridico della

Cecenia in base al diritto internazionale e se questa abbia diritto a secedere dalla

Federazione russa in base al principio di autodeterminazione esterna dei popoli.

Vedremo anche se la Federazione russa abbia violato il diritto

all’autodeterminazione interna del popolo ceceno, focalizzando l’attenzione sulla

legittimità del referendum costituzionale ceceno del 23 marzo 2003. Ma soprattutto

analizzeremo il rapporto richiesto dal Presidente dell’Assemblea Parlamentare del

Consiglio d’Europa alla Commissione Venezia, in merito alla democraticità del

disegno costituzionale della Repubblica della Federazione russa.

Infine nell’ultimo paragrafo approfondiremo le circostanze in base alle quali

secondo una parte della dottrina, sarebbe legittimo per un popolo secedere dal

territorio del proprio Stato d’appartenenza in un contesto post-coloniale. A tal

proposito saranno analizzati in maniera comparata le circostanze entro le quali il

popolo ceceno, quello kosovaro e quello timorese hanno rivendicato il loro diritto

all’indipendenza.

80 Cfr. Cap. I, par. 4, del presente lavoro.

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2. Il principio di autodeterminazione dei popoli

Il principio di autodeterminazione dei popoli è considerato dal diritto

internazionale una norma di natura consuetudinaria, avente carattere cogente ed erga

omnes 81, così come dichiarato dalla Corte internazionale di giustizia nella sentenza

relativa al caso tra Portogallo c. Australia del 30 giugno 1985 82.

La dottrina ha discusso ampiamente in merito a chi dovesse essere attribuita la

titolarità del diritto all’autodeterminazione dei popoli, se al “popolo” in quanto tale,

che aspira ad ottenere l’indipendenza, oppure agli Stati nei rapporti inter se. Nel

diritto internazionale classico il “popolo”, inteso come entità complessa che aspira a

divenire uno Stato indipendente e sovrano, non è considerato un soggetto di diritto

internazionale 83. Il titolare effettivo di questo diritto è lo Stato, la parola “popolo”

sarebbe utilizzata in maniera puramente enfatica. Si darebbe rilevanza giuridica al

popolo, solo nel caso in cui si concepisse lo Stato, soggetto di diritto internazionale,

come Stato-comunità e non più come Stato-apparato 84.

E’ importante ricordare, in materia di autodeterminazione dei popoli, la

Dichiarazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 14 dicembre 1960 n.

1514, relativa alla concessione dell’indipendenza ai popoli e ai paesi colonizzati,

nella quale è stato affermato che

« […] All peoples have the right to self-determination; by virtue of that right they freely determine their political status and freely pursue their economic, social and cultural development […] All armed action or repressive measures of all kinds directed against dependent peoples shall cease […] Any attempt aimed at the partial or total disruption of the

81 L’art. 53 della Convenzione di Vienna sui trattati internazionali del 1969, stabilisce che « a peremptory norm of general international law is a norm accepted and recognized by the international community of States as a whole as a norm from which no derogation is permitted and which can be modified only by a subsequent norm of general international law having the same character ». Una norma di ius cogens è un norma dunque che è stata accettata e riconosciuta dalla Comunità internazionale degli Stati nel suo insieme in quanto norma alla quale non è permessa alcuna deroga e che non può essere modificata che da una nuova norma di diritto internazionale generale avente lo stesso carattere. Inoltre anche l’art. 64 della Convenzione afferma che qualora sopravvenga una nuova norma imperativa di diritto internazionale generale, qualsiasi trattato esistente che contrasti con tale norma diventa nullo. Per la versione in inglese della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, si veda in http://untreaty.un.org/ilc/texts/ instruments/english/conventions/1_ 1_ 1969.pdf. 82 Si veda il par. 29, della sentenza della Corte internazionale di giustizia relativa al caso Portogallo c. Australia in http://www.icj-cij.org/docket/files/84/6949.pdf. 83 Cfr. FOCARELLI C., Lezioni di diritto internazionale I. Il sistema degli Stati e i valori comuni dell’umanità, Padova, 2008, pp. 46-50, in part. p. 46. 84 In proposito, si è tuttavia affermato che « […] il discorso è diverso, invece, quando di un diritto dei popoli si parla in relazione a norme che si occupano del popolo come contrapposto allo Stato […] che tendono a tutelare il popolo rispetto all’apparato che lo governa » Cfr. CONFORTI B., Diritto internazionale, Napoli, 2006, p. 23.

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national unity and the territorial integrity of a country is incompatible with the purposes and principles of the Charter of the United Nations […] All States shall respect for the sovereign rights of all peoples and their territorial integrity » 85.

Sulla base di quanto riportato nella presente Dichiarazione, tutti i popoli hanno

diritto a godere del principio di autodeterminazione, stabilendo autonomamente il

proprio status politico, economico e sociale in caso di (a) dominazione coloniale, (b)

segregazione razziale e (c) occupazione straniera.

Alla Dichiarazione del 1960 delle Nazioni Unite, ha fatto seguito la prassi della

Corte internazionale di giustizia. In particolar modo risultano significativi i pareri

consultivi della Corte in merito al caso della Namibia del 1971 e del Sahara

Occidentale del 1975 86.

Il diritto all’autodeterminazione esterna dei popoli è oggetto di numerosi limiti:

un popolo infatti è legittimato a secedere da uno Stato solo se rientra nelle tre ipotesi

già citate. Inoltre sia il punto (a), cosi come il punto (b), si riferiscono a delle

situazioni storiche difficilmente riproponibili ai giorni nostri e questo ne limita

fortemente l’applicazione in contesti di tipo post-coloniale. Mentre il terzo punto «

presuppone una situazione di occupazione straniera sopravvenuta che non si riscontra

nella gran parte delle situazioni secessionistiche odierne » 87.

Il principio di autodeterminazione dei popoli è limitato ulteriormente dalla

propria irretroattività. Esso infatti non si applica alle occupazioni straniere che

risalgono a prima della fine della seconda guerra mondiale, ad eccezione dei territori

coloniali. In dottrina si ritiene infatti che tale principio abbia assunto valenza

giuridica solo a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale 88.

Per autodeterminazione interna di un popolo si intende il diritto ad eleggere

liberamente i propri rappresentanti e ad avere un governo che lo rappresenti senza

nessun genere di discriminazione. Questo diritto è oggetto di dibattito in dottrina: si

discute infatti se lo si possa riconoscere come il diritto di un popolo a godere di un

governo democratico, o se l’autodeterminazione interna comporti, al pari di quella

85 Il testo in inglese della Dichiarazione dell’Assemblea Generale in merito all’indipendenza dei paesi coloniali del 1960, adottata con la ris. n. 1514 è reperibile in http://www.un.org/ga/search/view_doc.asp? Symbol=A/RES /1514(XV). 86 Per una lettura più approfondita dei commenti ai seguenti pareri v. FOCARELLI C., Lezioni di diritto internazionale II. Prassi, Padova, 2008, in part. p. 24. 87 Cfr. FOCARELLI C., Lezioni di diritto internazionale, cit., supra nota 83, p. 48. 88 Cfr. CONFORTI B., Diritto Internazionale, cit., supra nota 84.

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esterna, il diritto di un popolo a secedere dallo Stato di appartenenza 89. A tal

proposito, va osservato che nè la prima né la seconda ipotesi trovano riscontro sul

piano internazionale 90.

2.1. L’evoluzione del principio di autodeterminazione dei popoli nell’ambito

delle Nazioni Unite

Per comprendere in maniera esauriente l’argomento trattato in questo capitolo,

conviene soffermarsi ad analizzare il percorso evolutivo che il principio di

autodeterminazione dei popoli ha avuto a partire dalla Carta delle Nazioni Unite fino

alle recenti sentenze della Corte internazionale di giustizia.

Il capitolo XI dello Statuto delle Nazioni Unite riguarda i territori non autonomi.

In particolare, l’art. 73 e l’art. 74 sanciscono l’impegno dei membri delle Nazioni

Unite a porre in essere tutte le misure affinché concedano ai cittadini dei territori, che

non hanno raggiunto una piena autonomia, di promuoverne al massimo il loro

benessere, affinché possano godere del loro progresso ecoomico, sociale, politico ed

educativo 91. L’art. 73 della Carta delle Nazioni Unite, riferendosi a tutti i popoli che

vivevano nei territori coloniali esistenti alla fine della seconda guerra mondiale,

intese legittimare il processo di decolonizzazione in atto al tempo. Tuttavia, una parte

della dottrina ha ritenuto che il principio di autodeterminazione dei popoli, così come

riportato dalla Carta delle Nazioni Unite, non concedeva la possibilità ai popoli di

ottenere l’indipendenza in maniera unilaterale 92. La concessione dell’indipendenza

89 Cfr. FOCARELLI C., Lezioni di diritto internazionale, cit., supra nota 83, p. 49. 90 Ibidem p. 50. 91 In base all’art. 73 dello Statuto delle Nazioni Unite « I Membri delle Nazioni Unite, i quali abbiano od assumano la responsabilità dell’amministrazione di territori la cui popolazione non abbia ancora raggiunto una piena autonomia, riconoscono il principio che gli interessi degli abitanti di tali territori sono preminenti, ed accettano come sacra missione l’obbligo di promuovere al massimo, nell’ambito del sistema di pace e di sicurezza internazionale istituito dal presente Statuto, il benessere degli abitanti di tali territori, e, a tal fine, l’obbligo a. di assicurare, con il dovuto rispetto per la cultura delle popolazioni interessate, il loro progresso politico, economico, sociale ed educativo, il loro giusto trattamento e la loro protezione contro gli abusi; b. di sviluppare l'autogoverno delle popolazioni, di prendere in debita considerazione le aspirazioni politiche e di assisterle nel progressivo sviluppo delle loro libere istituzioni politiche, in armonia con le circostanze particolari di ogni territorio e delle sue popolazioni, e del loro diverso grado di sviluppo; c. di rinsaldare la pace e la sicurezza internazionale; d. di promuovere misure costruttive di sviluppo, di incoraggiare ricerche, e di collaborare tra loro, e, quando e dove ne sia il caso, con gli istituti internazionali specializzati, per il pratico raggiungimento dei fini sociali, economici e scientifici enunciati in questo articolo […] ». Il testo dello Statuto è reperibile in http://www.un.org/ en/documents/charter/. 92 Cfr. MULCHAY C., Pre-Determined: The March 23, 2003 Constitutional Referendum in Chechnya and its Relatioship to the Law of Self-Determination, in Boston College International and Comparative Law Revue, pp. 179-195, in part. p. 187.

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rimase una competenza esclusiva dei paesi mandatari, e l’autodeterminazione dei

popoli fu riconosciuta solo come il diritto di un popolo a godere di una qualche

forma di “self-government” 93.

Nella seconda metà del XX secolo la prassi internazionale si è tuttavia

indirizzata verso un pieno riconoscimento del diritto all’autodeterminazione per i

popoli coloniali.

Un passaggio importante di tale processo è sicuramente la già citata

Dichiarazione dell’Assemblea Generale sulla concessione dell’indipendenza ai paesi

coloniali del 1960. Con essa fu riconosciuto a tutti i popoli il diritto ad

autodeterminarsi, così da poter liberamente stabilire il loro status politico ed

economico, nonché la loro crescita sociale e culturale, a condizione che venisse

rispettato il diritto all’integrità territoriale di ciascuno Stato 94.

Tale principio venne ribadito dall’Assemblea Generale che approvò con la ris. n.

2625 del 1970 la Dichiarazione sui principi di diritto internazionale sulle relazioni

amichevoli tra Stati 95, nella quale venne ribadita l’illegittimità di qualunque azione

compiuta, sulla base del principio di autodeterminazione dei popoli, al fine di

secedere da uno Stato. La risoluzione pose tuttavia delle specifiche affinché il diritto

all’integrità territoriale si ponesse in accordo con il principio di autodeterminazione

dei popoli 96. A tal proposito l’Assemblea Generale dichiarò che solo gli Stati

« conducting themselves in compliance with the principle of equal rights and self-determination of peoples […] possessed a government representing the whole people belonging to the territory without distiction as to race, creed or colour » 97 .

Nella presente disposizione si è voluto affermare quindi che solo gli Stati che

rispettano il principio di autodeterminazione dei popoli e che possiedono un governo

rappresentativo, che non compie cioè discriminazioni né di razza, né di credo o di

colore, possono reprimere ogni tentativo di secessione dal proprio territorio statale, in

93 Ibidem. 94 La Dichiarazione sulla concessione dell'indipendenza ai paesi ed ai popoli è stata adottata dall’Assemblea Generale con la ris. n. 1514, nel 1960. Il testo è reperibile in http://daccessdds.un.org/ doc/RESOLUTION/GEN/NR0/152/88/IMG/NR015288.pdf?OpenElement. Corsivo aggiunto. 95 La Dichiarazione sui principi di diritto internazionale sulle relazioni amichevoli tra Stati in accordo con la Carta delle Nazioni Unite è stata adottata dall’Assemblea Generale con la ris. 2625, nel 1970. Il testo della Dichiarazione è reperibile in http://www.un-documents.net/a25r2625.htm. 96 Cfr. CHERYLYN BRANDT AHRENS, Chechnya and the Right of Sel-determination, in Columbia Journal of Transnational Law, 2004, pp. 575-615, in part. p. 580. 97 Cfr. Declaration on Principles of International Law concerning Friendly Relations and Co-operation among States in accordance with the Charter of the United Nations, cit., supra nota 55. Corsivo aggiunto.

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virtù del principio di integrità territoriale.

In proposito, deve essere peraltro osservato come una parte autorevole della

dottrina abbia ritenuto che tale disposizione potrebbe sollevare un problema di natura

interpretativo. Se infatti i criteri di « race, creed or colour » fossero da intendersi

come gli unici requisiti per l’applicazione di tale principio, ciò comporterebbe un

ulteriore limite alla sua applicazione. Infatti ne rimarrebbero esclusi tutti quei popoli

che si identificano, ad esempio, su una base linguistica o nazionale 98.

Anche il Patto internazionale sui diritti civili e politici e il Patto internazionale

sui diritti economici, sociali e culturali disciplinano il principio di

autodeterminazione dei popoli 99. Essi, essendo stati ratificati da numerosi Stati,

rappresentano due tra i principali trattati internazionali di riferimento in materia 100.

L’art. 1, comune ad entrambi, cita esattamente la definizione del principio di

autodeterminazione dei popoli così come riportata nella ris. n. 1514 delle Nazioni

Unite 101. Tuttavia si ritiene che l’applicazione dell’art. 1 del Patto sui diritti civili e

politici sia limitata dall’art. 27 del medesimo Patto 102, nella misura in cui stabilisce

che

« in those States in which ethnic, religious or linguistic minorities exist, persons belonging to such minorities shall not be denied the right, in community with the other members of their group, to enjoy their own culture, to profess and practice their own religion, or to use their own language » 103.

Sulla base di quanto disposto dunque, non è riconosciuta alle minoranze

linguistiche, etniche o religiose alcun tipo di autonomia economica, politica o

sociale, ma solamente il diritto ad esprimere la loro cultura, a professare e praticare

la propria religione o a parlare liberamente la propria lingua.

La correttezza di tale interpretazione risulta confermata anche dalla lettura di

98 Cfr. CHERYLYN BRANDT AHRENS, Chechnya and the Right of Sel-determination, cit., supra nota 96. 99 Sia il Patto sui diritti civili e politici che quello sui diritti economici, sociali e culturali sono stati adottati dall’Assemblea Generale il 16 dicembre 1966 con la ris. n. 2200. I testi sono reperibili in http://www2.ohchr.org/english/law/pdf/cescr.pdf e in http://www2.ohchr.org/english/law/pdf/ccpr.pdf. 100 Per l’elenco degli Stati che hanno ratificato il Patto sui diritti civili e politici si veda http:// www.hrweb.org/legal/cprsigs.html. 101 L’art. 1 comune ad entrambe i trattati riporta « All peoples have the right to self-determination; by virtue of that right they freely determine their political status and freely pursue their economic, social and cultural development ». 102 Cfr. CHERYLYN BRANDT AHRENS, Chechnya and the Right of Sel-determination, cit., supra nota 96 ed anche Cfr. CASSESE A., Self-Determination of Peoples: A Legal Reappraisal, Cambridge, 1995. 103 Art. 27, par. 1, del Patto sui diritti civili e politici.

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altri documenti adottati al di fuori dell’ambito delle Nazioni Unite. A tal proposito ci

sembra doveroso citare il paragrafo VIII dell’Atto finale della Conferenza sulla

sicurezza e sulla cooperazione in Europa, il quale sancisce che

« by virtue of the principle of equal rights and self-determination of peoples, all peoples always have the right, in full freedom, to determine, when and as they wish, their internal and external political status, without external interference, and to pursue as they wish their political, economic, social and cultural development » 104.

Il paragrafo VIII, prevedendo la possibilità per tutti i popoli di godere del

principio di autodeterminazione dei popoli e di uno sviluppo politico, sociale,

economico senza nessuna interferenza esterna, non impone nessun limite esplicito

all’applicazione di siffatto principio 105. Tuttavia, i limiti all’applicazione del diritto

all’autodeterminazione dei popoli sono riportati ai paragrafi III e IV, per i quali si

prevede l’obbligo di tutelare l’integrità territoriale degli Stati e il rispetto dei loro

confini 106.

2.2 L’evoluzione del principio di autodeterminazione dei popoli nella prassi

della Corte internazionale di giustizia

La prassi della Corte internazionale di giustizia dimostra che il principio di

autodeterminazione dei popoli ha acquistato, nell’ambito del diritto internazionale,

un carattere erga omnes e sia diventato a tutti gli effetti un principio di jus cogens.

Prima di affrontare nel dettaglio il caso ceceno, è opportuno visionare alcune

sentenze della Corte internazionale di giustizia, così da analizzare l’evoluzione del

principio di autodeterminazione nella prassi della Corte.

104 L’Atto finale della conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa è stato firmata a Helsinki il 1° agosto 1975 anche dall’Urss. Il testo originale della Conferenza è reperibile in http://www.osce.org/ documents/mcs/ 1975/08/4044_en.pdf. 105 Cfr. CHERYLYN BRANDT AHRENS, Chechnya and the Right of Sel-determination, cit., supra nota 96. 106 Si veda infatti quanto riportato dal par. III « The participating States regard as inviolable all one another’s frontiers as well as the frontiers of all States in Europe and therefore they will refrain now and in the future from assaulting these frontiers. Accordingly, they will also refrain from any demand for, or act of, seizure and usurpation of part or all of the territory of any participating State » e dal par. IV « The participating States will respect the territorial integrity of each of the participating States. Accordingly, they will refrain from any action inconsistent with the purposes and principles of the Charter of the United Nations against the territorial integrity, political independence or the unity of any participating State, and in particular from any such action constituting a threat or use of force. The participating States will likewise refrain from making each other's territory the object of military occupation or other direct or indirect measures of force in contravention of international law, or the object of acquisition by means of such measures or the threat of them. No such occupation or acquisition will be recognized as legal ».

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Anzitutto è da ricordare il parere della Corte internazionale di giustizia del 21

luglio 1971 in merito alle Conseguenze giuridiche per gli Stati della continua

presenza dell’Africa del Sud in Namibia 107.

Il parere trae origine dalla fine del mandato del Sud Africa in Namibia, deciso il

27 ottobre 1966, con la ris. 2145, dall’Assemblea Generale, in seguito alla negazione

del diritto all’autodeterminazione del popolo namibiano ed all’utilizzo del suo

territorio come base militare per gli attacchi agli Stati confinanti. A causa del

persistere sul territorio namibiano del Sud Africa, il Consiglio di Sicurezza delle

Nazioni Unite adottò il 30 gennaio 1970 la ris. 276 con la quale si imponevano delle

sanzioni di natura economica da parte dei Paesi membri delle Nazioni Unite nei

confronti del Sud Africa.

Il parere della Corte internazionale di giustizia assume una grande importanza ai

fini del nostro discorso soprattutto per quel che riguarda la parte dedicata

all’autodeterminazione dei popoli. La Corte ne ha infatti riconosciuto un’effettiva

evoluzione affermando che

« […] the subsequent development of international law in regard to non-self-governing territories, as enshrined in the Charter of the United Nations, made the principle of self-determination applicable to all of them. The concept of the sacred trust was confirmed and expanded to all “territories whose peoples have not yet attained a full measure of self-government” (Art. 73) » 108.

A giudizio della Corte dunque, lo sviluppo del diritto internazionale ha reso

applicabile il diritto all’autodeterminazione dei popoli nei confronti di tutti i territori

non autonomi. Inoltre, ai sensi dell’art. 73, par. 1, dello Statuto delle Nazioni Unite, «

l’obbligo per gli Stati di promuovere al massimo […] il benessere degli abitanti di

tali territori » è stato ripreso ed esteso a tutti i territori che non si amministrano in

maniera autonoma.

Secondo la Corte, una tappa fondamentale di tale evoluzione è data dalla

Dichiarazione dell’Assemblea Generale sulla concessione dell’indipendenza ai paesi

e ai popoli colonizzati, adottata con la risoluzione 1514 del 14 dicembre 1960. In

proposito La Corte ha affermato che occorre

107 Il testo originale del parere della Corte Internazionale di giustizia è reperibile in http://www.icj-cij.org/docket /files/53/5595.pdf. 108 Par. 52 del parere.

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« […] take into account the fact that the concepts embodied in Article 22 of the Covenant “the strenuous conditions of the modern world” and “the well-being and development” of the peoples concerned-were not static, but were by definition evolutionary, as also, therefore, was the concept of the “sacred trust” […] the Court must take into consideration the changes which have occurred in the supervening half-century, and its interpretation cannot remain unaffected by the subsequent development of law, through the Charter of the United Nations and by way of customary law »109.

La Corte ha dunque dichiarato che l’intento della ‘missione sacra di

civilizzazione’, così come riportato dall’art. 73 della Carta, fu da sempre quello di

concedere a questi territori il diritto alla propria indipendenza e autodeterminazione.

Un altro parere di importanza fondamentale in tema di autodeterminazione è

stato quello pronunciato dalla Corte internazionale di giustizia il 3 gennaio 1975 sul

Sahara Occidentale, nel quale la Corte ha dichiarato che « General Assembly resolution 1514 (XV) provided the basis for the process of

decolonization which has resulted since 1960 in the creation of rnany States which are today Members of the United Nations. It is complernented in certain of its aspects by General Assernbly resolution 1541(XV), which has been invoked in the present proceedings. The latter resolution contemplates for non-self-governing territories more than one possibility, namely: (a) emergence as a sovereign independent State; (b) free association with an independent State; or (c) integration with an independent State » 110

In tale occasione, la Corte ha osservato che la ris. n. 1514 dell’Assemblea

Generale delle Nazioni Unite ha costituito la base del processo di decolonizzazione

iniziato a partire dalla seconda metà del XX secolo. Essa ha inoltre stabilito che la

ris. n. 1541 dell’Assemblea Generale, avendo precisato il principio di

autodeterminazione dei popoli, ha completato la ris. n. 1514. La ris. 1541 infatti ha

stabilito quali dovessero essere le modalità sulla base delle quali un territorio non

autonomo poteva conseguire una piena autonomia, prevedendo in proposito tre

ipotesi: la prima prevedeva la possibilità per un territorio di diventare indipendente e

sovrano; la seconda prevedeva la possibilità di associarsi ad uno Stato indipendente e

sovrano; l’ultima prevedeva la possibilità di integrarsi in un altro Stato.

La Corte internazionale di giustizia è tornata ad occuparsi di autodeterminazione

dei popoli nella sentenza del 30 giugno 1995, nel caso relativo all’isola di Timor Est

(Portogallo c. Australia) dichiarando che

109 Par. 53 del parere della Corte. 110 Si veda il par. 57 del parere in http://www.icj-cij.org/docket/files/61/6195.pdf.

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« [In the Court’s view] Portugal’s assertion that the right of peoples to self-determination, as it evolved from the Charter of the United Nations and from United Nations practice, has an erga omnes character, is irreproachable » 111.

In tale caso, la Corte ha dunque riconosciuto che il principio dei popoli ad

autodeterminarsi, così come ritenuto dal Portogallo, ha assunto carattere erga omnes

ed è stato riconosciuto dalla Carta e dalla prassi delle Nazioni Unite come uno dei

principi essenziali del diritto internazionale.

La stessa Corte ha inoltre aggiunto nel parere consultivo del 9 luglio 2004,

relativo alle Conseguenze giuridiche derivanti dalla costruzione del muro nei

territori palestinesi occupati dallo Stato di Israele, che il principio di

autodeterminazione dei popoli ha inoltre carattere erga omnes 112. In tale occasione,

la Corte ha infatti affermato che

« The obligations erga omnes violated by Israel are the obligation to respect the right of the Palestinian people to self-determination, and certain of its obligations under international humanitarian law […] the Court recalls its previous case law, which emphasized that current developments in “international law in regard to non-self-governing territories, as enshrined in the Charter of theUnited Nations, made the principle of self-determination applicable to all [such territories]”, and that the right of peoples to self-determination is today a right erga omnes » 113.

La Corte ha osservato che gli obblighi erga omnes violati da Israele

riguardavano sia il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione sia obblighi

di diritto internazionale umanitario. Nel suddetto parere, la Corte, richiamando la sua

precedente giurisprudenza, ha ribadito che lo sviluppo del diritto internazionale in

merito al principio di autodeterminazione dei popoli, lo ha reso applicabile a tutti i

popoli, riconoscendogli così un carattere erga omnes.

La Corte, nel caso di specie, ha riconosciuto l’obbligo per Israele di cessare

immediatamente i lavori di costruzione del muro nei territori palestinesi occupati, e

lo smantellamento immediato delle parti del muro situata all’interno del territorio

palestinese 114.

È importante sottolineare come la Corte abbia inoltre affermato l’obbligo per

tutti gli Stati di riconoscere l’illegalità della costruzione del muro nei territori 111 Par. 29 della sentenza. Per il testo del caso Portogallo c. Australia della Corte internazionale di giustizia, si veda http://www.icj-cij.org/docket/files/84/5331.pdf. 112 Par. 88 del parere consultivo. Per il testo del parere si veda http://www.icj-cij.org/docket/ files/131/1677. pdf. 113 Par. 88 e par. 158 del parere. 114 Par 157 del parere.

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palestinesi occupati, in ragione del carattere erga omnes del diritto di

autodeterminazione 115.

3. Il diritto all’autodeterminazione esterna del popolo ceceno

Fino a questo momento ci siamo soffermati sul principio di autodeterminazione

dei popoli, così come inteso nel diritto internazionale. Ne abbiamo analizzato

l’evoluzione sia nella Carta delle Nazioni Unite sia nella prassi della Corte

internazionale di giustizia. A questo punto ci sembra opportuno analizzare il caso

specifico della Repubblica di Cecenia, approfondendo la storia e i rapporti

istituzionali che la legano alla Federazione russa, per comprendere così se esso goda

del diritto a secedere dalla Federazione russa in base al principio di

autodeterminazione esterna dei popoli.

3.1 I fatti storici

In seguito alla caduta dell’Urss, la Repubblica cecena si era dichiarata uno Stato

indipendente e sovrano, sulla base del risultato emerso dal referendum del 27 ottobre

1991 116. Al termine della prima guerra russo-cecena, nel 1996 fu firmato un accordo

di pace tra il Capo del Consiglio di Sicurezza della Federazione russa, il Generale

115 In particolare si veda quanto affermato dalla Corte al par. 159, in cui « Given the character and the importance of the rights and obligations involved, the Court is of the view that all States are under an obligation not to recognize the illegal situation resulting from the construction of the wall in the Occupied Palestinian Territory, including in and around East Jerusalem. They are also under an obligation not to render aid or assistance in maintaining the situation created by such construction. It is also for all States, while respecting the United Nations Charter and international law, to see to it that any impediment, resulting from the construction of the wall, to the exercise by the Palestinian people of its right to self-determination is brought to an end. In addition, all the States parties to the Geneva Convention relative to the Protection of Civilian Persons in Time of War of 12 August 1949 are under an obligation, while respecting the United Nations Charter and international law, to ensure compliance by Israel with international humanitarian law as embodied in that Convention ». 116 Il referendum costituzionale era stato indetto dall’ex militare dell’aereonautica sovietica, D. Dudaev, neo eletto Presidente della Repubblica di Cecenia e Inguscezia nell’ottobre del 1991. Nello stesso anno l’Inguscezia si era separata dalla Cecenia. Il 12 marzo 1992, la Cecenia ha adottato una propria Carta costituzionale. Dal novembre 1991 fino al dicembre 1994, la Repubblica di Cecenia è stata considerata uno Stato de facto. La Federazione russa è ricorsa all’intervento armato al fine di ristabilire l’ordine costituzionale nel territorio caucasico Cfr. OLIVIER DUPUIS, Cecenia, nella morsa dell’Impero, Milano, 2003, pp. 165-170, in part. p. 166. Cfr. MULCHAY C., Pre-Determined: The March 23, 2003 Constitutional Referendum in Chechnya and its relationship to the Law of Self-Determination, cit., supra nota 92, p. 182, supra nota 92. Cfr. NICHOLAS V. RIASANOVSKY, Storia della Russia, Milano, 2008, pp. 638-642, in part. p. 638.

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Lebed e A. Maskhadov, Presidente della Repubblica cecena, con il quale si stabiliva

che la Repubblica cecena avrebbe dovuto definire il proprio status di soggetto della

Federazione russa entro cinque anni dal termine del conflitto armato.

Il 23 marzo 2003, dopo la fine della seconda guerra russo-cecena, fu indetto un

ulteriore referendum, con il quale si decretò ufficialmente lo status politico-

istituzionale della Cecenia, e cioè quello di una Repubblica autonoma della

Federazione russa 117.

Al fine di verificare se vi è stata una violazione del diritto all’autodeterminazione

dei popoli da parte della Federazione russa in Cecenia, è opportuno analizzare i

rapporti istituzionali intercorrenti tra i due enti.

3.2. Il rapporto istituzionale tra la Federazione russa e le sue Repubbliche

La Carta Costituzionale russa afferma nel preambolo che

« Noi, popolo plurinazionale della Federazione Russa, […] conservando l’unità dello Stato storicamente costituita, basandoci sui principi universalmente riconosciuti di uguaglianza dei diritti e di autodeterminazione dei popoli […] adottiamo la Costituzione della Federazione russa » 118.

Il preambolo della Costituzione russa sancisce che i principi della tutela

dell’unità territoriale della Federazione russa, insieme a quelli universalmente

riconosciuti di uguaglianza dei diritti e di autodeterminazione dei popoli

costituiscono la base dell’ordinamento nazionale.

Ai sensi dell’art. 5 della Costituzione, la Federazione russa basa la propria

struttura federativa sul principio dell’integrità territoriale, sulla delimitazione delle

materie di competenza tra gli organi del potere centrale e gli organi dei soggetti della

Federazione, sull’uguaglianza dei diritti e sull’autodeterminazione dei popoli.

La Repubblica di Cecenia, così come gli altri soggetti della Federazione russa, è

considerata parte integrante del territorio federale 119. Sulla base dell’art. 66, par. 1,

lo status delle Repubbliche della Federazione è determinato dalla Costituzione russa

117 Cfr. NICHOLAS V. RIASANOVSKY, Storia della Russia, cit., supra nota 116, p. 639. 118 Cfr. Preambolo alla Costituzione russa. Corsivo aggiunto. Il testo in italiano dellaa Costituzione della Federazione russa è reperibile in http://didattica.spbo.unibo.it/adon/files/costituzione_russa.pdf. 119 Cfr. Art. 65, Cost.

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in accordo con le Costituzioni delle singole Repubbliche 120. La modifica di tale

status costituzionale è possibile solo previo accordo tra la Federazione russa e le

Repubbliche stesse, in conformità con la legge costituzionale federale.

L’integrità territoriale e la sua inviolabilità sono garantite dalla Federazione sulla

base dell’art. 4 della Costituzione. Tale articolo vieta inoltre la formazione e l’attività

di organizzazioni i cui fini siano diretti al cambiamento violento dei principi del

sistema costituzionale ed alla violazione dell’integrità territoriale della Federazione

russa, al sovvertimento della sicurezza dello Stato, alla costituzione di formazioni

armate, all’incitazione alla discordia sociale, razziale, nazionale e religiosa. Il

Presidente della Federazione inoltre si rende garante dell’integrità territoriale, sulla

base di quanto sancito dalla Costituzione 121.

Sulla base dell’art. 67 della Costituzione, il territorio della Federazione russa

« […] comprende i territori dei suoi Soggetti, le acque interne, il mare territoriale e lo spazio aereo che li sovrasta. Gode di diritti sovrani ed esercita la giurisdizione sulla piattaforma continentale e sulla zona economica esclusiva della Federazione Russa, secondo le modalità specificate dalla Legge federale e dalle norme del diritto internazionale » 122.

Poiché il territorio dei soggetti federali è territorio della Federazione russa, le

Repubbliche federali non vi esercitano una piena sovranità. Sulla base dell’art. 69

della Costituzione, la Federazione garantisce i diritti delle popolazioni indigene in

conformità con i principi universalmente riconosciuti, le norme di diritto

internazionale e i trattati internazionali della Federazione russa.

Le questioni relative al possesso, all’uso ed alla disponibilità delle terre, del

sottosuolo, delle acque e delle altre risorse naturali, così come la delimitazione della

proprietà statale risultano tuttavia materia congiunta tra i soggetti della Federazione

russa e quest’ultima. La Costituzione federale separa infatti le materie che sono di

competenza esclusiva della Federazione da quelle esercitate congiuntamente con le

singole Repubbliche 123. Ad esempio, è di competenza esclusiva della Federazione

russa sia l’organizzazione federativa che quella territoriale. Sempre la Federazione

definisce sia lo status, sia la difesa della frontiera statale, del mare territoriale, dello

spazio aereo, della zona economica esclusiva e della piattaforma continentale della

Federazione russa. Inoltre, una competenza esclusiva della Federazione riguarda la 120 Cfr. Art. 66, par. 1, Cost. 121 Cfr. Art. 80, par. 2, Cost. 122 Cfr. Art. 67, par. 2, Cost. 123 Cfr. Art. 71, art. 72, Cost.

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regolamentazione e la tutela dei diritti, delle libertà dell'uomo, del cittadino e delle

minoranze nazionali.

Infine è da notare che la rappresentatività dei soggetti della Federazione russa è

garantita dall’art. 95 della Costituzione, che stabiliva che in uno dei due rami del

Parlamento russo, in particolare il Consiglio della Federazione, siedono i

rappresentanti di ciascun soggetto della Federazione, compresi dunque quelli della

Repubblica di Cecenia.

4. Le posizioni in dottrina in merito allo status da riconoscere al popolo ceceno

Sulla base di quanto affermato nel paragrafo precedente, si evince come la

Costituzione russa non preveda la modifica unilaterale dello status politico dei

soggetti della Federazione, se non nelle modalità costituzionalmente previste. Il

tentativo di secessione della Repubblica di Cecenia dalla Federazione contrasterebbe

dunque con la tutela e la garanzia dell’integrità territoriale federale.

La possibilità di secedere unilateralmente dal territorio di uno Stato sovrano è

vietata anche dal diritto internazionale. A tale proposito, occorre ricordare che nel

parere consultivo del 20 agosto 1998, la Corte Suprema canadese si è espressa in

merito alla sussistenza di un diritto unilaterale di secessione della provincia

francofona del Québec. Essa ha affermato come il diritto internazionale non

attribuisca a nessun territorio la possibilità di secedere unilateralmente dal territorio

di uno Stato sovrano poichè

« a right to secession only arises under the principle of self-determination of people at international law where “a people” is governed as part of a colonial empire; where “a people” is subject to alien subjugation, domination or exploitation; and possibly where “a people” is denied any meaningful exercise of its right to self-determination within the state of which it forms a part » 124.

La Corte dunque ha confermato quanto il diritto internazionale stabilisce in

proposito, e cioè che un popolo può secedere dal territorio di uno Stato sovrano nel

caso in cui sia sottomesso ad un regime coloniale (a), sia soggetto ad una

124 Parere consultivo della Corte Suprema canadese del 20 agosto 1998 nel caso della Secessione del Québec, par. 3. Il testo del parere della Corte è reperibile in http://csc.lexum.umontreal.ca/en/1998/199 8scr2-217 /1998scr2-217.pdf.

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dominazione straniera (b), oppure quando gli venga negato il proprio diritto ad

autodeterminarsi (c).

Nel caso di specie, nessuna delle ipotesi elencate è applicabile alla Repubblica

cecena. Essa infatti non è un territorio sottoposto ad una dominazione coloniale, né

ad una dominazione straniera. Inoltre la Costituzione russa garantisce a tutti i

soggetti della Federazione, la tutela dei diritti e delle libertà, rispettando così il

principio di autodeterminazione dei popoli 125.

In dottrina si dibatte su quale sia lo status politico della Repubblica cecena in

base al diritto internazionale. L’art. 65 della Costituzione, come abbiamo già detto in

precedenza, elenca tutti i soggetti della Federazione russa. Sulla base di quanto

disposto dall’art. 137, par. 1, della Costituzione, le uniche modifiche previste all’art.

65 possono essere introdotte solo da una legge federale che preveda il cambiamento

dello status giuridico-costituzionale di un soggetto della Federazione russa 126.

Tuttavia in dottrina sono state formulate diverse ipotesi volte a definire lo status della

Repubblica cecena che saranno esaminate più nel dettaglio nei successivi paragrafi.

La prima ipotesi prende in considerazione il caso delle Repubbliche baltiche,

poiché rappresenterebbe un precedente storico che legittimerebbe la secessione della

Repubblica cecena. La seconda ipotesi invece riterrebbe il popolo ceceno soggetto a

gravi violazioni dei diritti umani, come gli atti di genocidio, da parte dell’esercito

federale russo. La terza ipotesi consiste invece, nel poter emendare, sulla base

dell’art. 138 della Costituzione della Federazione russa, l’art. 65 della stessa

Costituzione. Si conferirebbe così alla Repubblica cecena uno status speciale,

diverso dalle altre Repubbliche della Federazione. La quarta ipotesi invece prevede

la possibilità di indire un referendum nazionale, così da definire lo status della

Repubblica cecena. Infine, l’ultima ipotesi valuta se la Repubblica cecena sia

effettivamente secessa dalla Federazione russa e se possa essere definita dal diritto

internazionale come uno Stato indipendente e sovrano. Tali ipotesi, formulate da più

autori in dottrina, saranno analizzate di seguito, con l’intento di individuare quella

che secondo il diritto internazionale generale è la più adeguata al caso ceceno 127.

125 Cfr. MULCHAY C., Pre-Determined: The March 23, 2003 Constitutional Referendum in Chechnya and its Relationship to the Law of Self-Determination, cit., supra nota 92, in part. p. 190. 126 Art. 137, par. 1, Cost. Corsivo aggiunto. 127 A proposito della prima ipotesi si veda Cfr. HANNUM HURST, Rethinking Self-Determination, in Virginia Journal of International Law, 1993, pp. 18-19; Cfr. TAPPE N. TRENT, Chechnya and the State of Self-

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4.1. Il precedente delle Repubbliche baltiche

Una parte della dottrina considera la Cecenia come un territorio sottoposto ad un

regime di dominazione straniera, sul presupposto che essa sia stata uno Stato de

facto, indipendente e sovrano dal 1991 al 1994 128. Da ciò conseguirebbe la sua

possibilità a secedere in maniera unilaterale dal territorio della Federazione russa

senza violare il diritto internazionale.

Secondo questa parte della dottrina, il riconoscimento internazionale degli Stati

baltici 129, avvenuta in maniera unilaterale agli inizi degli anni novanta del XX

secolo, dimostrerebbe che la Repubblica di Cecenia ha diritto a secedere dalla

Federazione russa 130. Tale tesi sarebbe inoltre supportata dalla continua resistenza

del popolo ceceno al cotrollo politico ed istituzionale sia dell’Urss che della

Federazione russa, culminata con le due guerre degli anni novanta del XX secolo 131.

Questa tesi tuttavia verrebbe contestata da un’altra parte della dottrina, che

ritiene il caso delle Repubbliche baltiche differente da quello ceceno per diversi

aspetti. Innazitutto esse sarebbero state degli Stati indipendenti e sovrani per quasi un

ventennio, dal 1920 al 1940 132; periodo in cui furono riconosciute come tali dalla

Comunità internazionale e divennero membri della Società delle Nazioni 133. La

stessa Comunità internazionale condannò perdipiù la dominazione sovietica ai danni

Determination, in a Breakway Region of the Former Soviet Union: Evaluating the Legitimacy of Secessionist Claims, in Columbia Journal Transnational Law, 1996, pp. 255-297. In merito alla seconda ipotesi invece si veda Cfr. HANNUM HURST, The Right of Self-Determination in the Twenty-First Century, in Washington and Lee Law Review, 1998, pp. 773-780; Cfr. GRANT D. THOMAS, A Panel of experts for Chechnya: Purposes and Prospects in Light of International Law, in Virginia Journal of International Law, 1999, pp. 115-191. Per la terza ipotesi invece si veda Cfr. ATROKHOV W. TURNOFF, The Khasayiurt Accords: Maintaining the Rule of Law and Legitimacy of Democracy, in the Russian Federation Amidst the Chechen Crisis, in Cornell International Law Journal, 1999, pp. 367-392, in part. p. 385; Infine per la quarta ipotesi si veda Cfr. WALKER W. WALKER, Constitutional Obstacles to Peace in Chechnya in East European Constitutional Law, 1997, pp.55-60. 128 Cfr MULCHAY C., Pre-Determined: The March 23, 2003 Constitutional Referendum in Chechnya and its Relationship to the Law of Self-Determination, cit., supra nota 92. 129 Il 6 settembre 1991 la Repubblica di Lituania e Lettonia divennero due Stati indipendenti e sovrani dall’Urss mentre il 20 agosto 1991 l’Estonia si separò dall’Urss. 130 Cfr. CHERYLYN BRANDT AHRENS, Chechnya and the Right of Sel-determination, cit., supra nota 96, in part. p. 600. 131 Ibidem. 132 La Repubblica di Estonia fu uno Stato indipendente e sovrano dal 2 febbraio 1920 fino all’invasione sovietica durante la seconda guerra mondiale; la Lituania e la Lettonia invece, divennero indipendenti il 16 febbraio 1918 e lo rimasero fino all’invasione sovietica nella seconda guerra mondiale. 133 Il trattato della Società delle Nazioni fu firmato il 22 settembre 1921 dall’Estonia, dalla Lettonia e dalla Lituania.

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delle Repubbliche baltiche nella seconda metà del XX secolo continuando a

riconoscere la legittimità dei loro governi in esilio.

Tali aspetti evidenzierebbero dunque una netta differenza tra il caso delle

Repubbliche baltiche e quello della Cecenia: questa infatti non è mai stata

riconosciuta formalmente né dalla Comunità internazionale né tantomeno dalla

Federazione russa. Inoltre la Cecenia non è divenuta un membro delle Nazioni Unite

anche se è stata uno Stato indipendente dal 1991 al 1994 134.

4.2 Le gravi violazioni dei diritti umani

Altri autori della dottrina hanno preso in considerazione l’ipotesi di considerare

il popolo ceceno soggetto a gravi violazioni dei diritti umani da parte della

Federazione russa. I popoli soggetti a tali violazioni infatti, potrebbero secedere

unilateralmente dal territorio dello Stato di appartenenza, responsabile delle

violazioni. In particolare, secondo una parte della dottrina, tre sarebbero le

circostanze in presenza delle quali la secessione sarebbe da ritenersi legittima:

« when authorities (1) persistently refuse to grant partecipatory rights; (2) grossly and systematically trample upon fundamental rights; (3) deny the possibility of reaching settlement peaceful settlement within the framework of state structure […] » 135.

Secondo questa parte della dottrina, si potrebbe secedere in maniera legittima dal

territorio di uno Stato sovrano quando quest’ultimo persiste nel negare ad un popolo

il proprio diritto di partecipazione politica e di rappresentanza; quando viola in

maniera grave e sistematica i loro diritti fondamentali, oppure quando nega loro la

possibilità di raggiungere un accordo pacifico con lo Stato nazionale.

L’applicazione di tale teoria è stata tuttavia contestata da altri autori secondo i

quali la situazione politica ed istituzionale della Repubblica cecena è mutata

costantemente. Difatti le condizioni di secessione unilaterale in base alla prima e alla

terza circostanza non sono soddisfatte. La Federazione russa infatti promuovendo

una politica di decentramento sia amministrativo che politico nei confronti dei

134 Ibidem. Cfr. CHERYLYN BRANDT AHRENS, Chechnya and the Right of Sel-determination, cit., supra nota 96, in part. p. 600. 135 Cfr. CASSESE A., Self-Determination of People: A Legal Reappraisal, New York, 1995, pp. 1-366, in part. p. 121.

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soggetti della propria Federazione, ha garantito i diritti di partecipazione politica alle

minoranze, pacificando così i conflitti interni. Secondo questa parte della dottrina,

sarebbe improbabile legittimare la secessione della Cecenia dalla Federazione russa

anche in base alla seconda ipotesi. Il popolo ceceno infatti sarebbe stato oggetto della

grave e sistematica violazione dei diritti umani durante le deportazioni di massa in

Asia Centrale degli anni cinquanta del XX secolo da parte dell’Urss. Tuttavia questa

parte della dottrina ha ritenuto improbabile legittimare su tali basi la secessione della

Cecenia, poiché dal 1957, anno in cui il popolo ceceno è stato riabilitato all’interno

dell’Urss, e fino al 1991, anno dell’indipendenza cecena, esso non è stato più oggetto

di simili violazioni 136.

4.3 Lo status speciale della Repubblica cecena

Secondo alcuni autori, la Repubblica cecena dovrebbe godere di uno status

speciale sulla base dell’art. 66, par. 5, della Costituzione. Come abbiamo visto in

precedenza, tale articolo prevede che un soggetto federale può modificare il proprio

status in base ad un accordo con la Federazione russa.

Questa ipotesi trova un riscontro pratico nel precedente accordo tra la

Federazione russa e la Repubblica del Tatarstan. Quest’ultima, si definisce come una

Repubblica autonoma della Federazione russa. Giunta all’indipendenza il 30 agosto

1990, ha firmato il 15 febbraio 1994, un accordo con il governo russo in merito alla

delimitazione dell’autorità federale nella sfera delle sue relazioni economiche con

l’estero 137. Tale accordo è stato considerato come un riconoscimento

dell’indipendenza del Tatarstan in materia economica da parte della Federazione

Russa 138. Esso infatti è riconosciuto come uno Stato che può intrattenere rapporti

con l’estero e può concludere accordi con Stati terzi in materia economica. Tuttavia i

trattati internazionali che rientrano nella sfera di competenze della Repubblica del

136 Cfr. CHERYLYN BRANDT AHRENS, Chechnya and the Right of Sel-determination, cit., supra nota 96, in part. p. 602 e Cfr. MULCHAY C., Pre-Determined: The March 23, 2003 Constitutional Referendum in Chechnya and its Relationship to the Law of Self-Determination, cit. supra nota 92, in part. p. 190. 137 Per la versione in inglese dell’accordo sulla delimitazione dell’Autorità nella sfera delle relazioni economiche all’Estero, si veda in http://www.kcn.ru/tat_en/tatarstan/agree.htm. 138 Si veda il preambolo dell’accordo sulla delimitazione dell’Autorità nella sfera delle relazioni economiche all’Estero, nella parte in cui si afferma che « The Government of the Russian Federation and the Government of the Republic of Tatarstan, further referred to as the “Parties”, taking into account the Declarations on State Sovereignty of the Russian Federation and the Republic of Tatarstan […] ».

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Tatarstan non devono contravvenire alle norme federali e alla Costituzione russa.

Questo precedente costituzionale rappresenta dunque un ottimo modello di

indipendenza in materia economica per la Repubblica cecena 139.

Tuttavia il conferimento di uno status speciale alla Repubblica cecena si

presterebbe a non poche difficoltà. Infatti un tale riconoscimento istituzionale

richiederebbe una modifica dell’art. 65 della Costituzione oppure l’emanazione di

una legge federale ad hoc che non infranga le disposizioni costituzionali a garanzia

della sovranità della legge federale su tutto il territorio.

4.4 Un referendum per determinare lo status della Repubblica cecena

Un’altra ipotesi formulata in dottrina prevederebbe la possibilità di indire un

altro referendum nazionale, oltre a quello costituzionale del marzo 2003, per definire

lo status della Repubblica cecena. Le basi giuridiche di questa ipotesi si riscontrano

all’art. 3 della Costituzione russa, secondo la quale

« Titolare della sovranità ed unica fonte del potere nella Federazione Russia è il suo popolo plurietnico. Il popolo esercita il proprio potere direttamente ed anche attraverso gli organi del potere statale e gli organidi autogoverno locale. Massima espressione diretta del potere del popolo sono il referendum e le libere elezioni.Nella Federazione Russa nessuno può appropriarsi del potere. L’usurpazione del potere o l’approvazionedi poteri plenipotenziari sono puniti in base alla Legge federale » 140.

L’art. 3 dunque sancisce come il popolo multietnico russo sia l’unica fonte del

potere ed il titolare della sovranità della Federazione; inoltre decreta il referendum e

le libere elezioni essere gli strumenti di massima espressione popolare. Infine anche

gli articoli 135 e 136 della Costituzione sono considerati dalla dottrina la base

normativa sulla quale si poggia l’ipotesi del referendum costituzionale, poiché essi

trattano le modalità del processo di revisione costituzionale 141.

139 Cfr. DANILENKO M. GENNADY, The New Russian Constitution and International Law, in American Journal of International Law, 1994, pp.451-470, in part. p. 462. 140 Art. 3, Cost. Corsivo aggiunto. 141 L’art. 135 afferma che « […] 3. L’Assemblea Costituzionale o conferma l’immutabilità della Costituzione della Federazione Russa, oppure elabora un progetto di nuova Costituzione della Federazione Russa che viene adottato dall’Assemblea Costituzionale con due terzi dei voti del numero complessivo dei suoi Membri, o viene sottoposta al voto di tutto il popolo. Con l’esercizio dei voto di tutto il popolo la Costituzione della Federazione Russa è considerata approvata se a favore di essa ha votato più della metà degli elettori che hanno preso parte alla votazione, a condizione che ad essa abbia partecipato più della metà degli elettori ». L’art. 136 afferma invece che « Le modifiche ai capi 3-8 della Costituzione della Federazione Russa vengono approvate secondo le modalità previste per l’approvazione di una Legge costituzionale federale ed entrano in vigore dopo la loro

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4.5 La Repubblica cecena: uno Stato de facto

Una parte della dottrina ritiene che la Repubblica cecena non ha mai violato né la

Costituzione russa né il diritto all’integrità territoriale della Federazione poiché non

ha mai fatto parte del territorio federale russo 142 . Infatti, nonostante l’art. 65 della

Costituzione ne definisca lo status di soggetto della Federazione russa, si ritiene che

al momento dell’entrata in vigore della Costituzione, la Cecenia era uno Stato

indipendente e sovrano, ragion per cui non potrebbe essere definita una Repubblica

della Federazione russa 143. Inoltre, secondo questa parte della dottrina, la Cecenia

non avrebbe preso parte al processo di formazione della Federazione russa poiché

non ha firmato né il suo trattato istitutivo né la Costituzione 144. La Federazione russa

avrebbe violato dunque il diritto all’autodeterminazione del popolo ceceno, sancito

dal preambolo e dall’art. 5, par. 3, della Costituzione federale 145.

Il diritto internazionale generale, incoraggiando il processo di decolonizzazione

del XX secolo, ha posto dei limiti alle rivendicazioni secessioniste avanzate fuori dal

contesto coloniale, ed ha vietato qualunque azione compiuta al fine di minacciare

l’integrità territoriale di uno Stato sovrano 146.

Nel caso di specie, bisogna comprendere quando la Repubblica di Cecenia si sia

costituita come uno Stato indipendente e sovrano, come inteso nel diritto

internazionale generale. A tale proposito, è opportuno fare riferimento alla

Convenzione di Montevideo del 1933 il cui art. 1 stabilisceche

« The state as a person of international law should possess the following qualifications: (a) a permanent population; (b) a defined territory; (c) government; and (d) capacity to enter

ratifica da parte degli organi del potere legislativo di non meno di due terzi dei Soggetti della Federazione Russa ». 142 Cfr. ATROKHOV TURNOFF W., The Khasavyurt Accords: Maintaining the Rule of Law and Legitimacy of Democracy in the Russian Federation Amidst the Chechen Crisis, in Cornell International Law Journal, in part. p. 368 143 Ibidem. 144 Ibidem. 145 Nel preambolo della Costituzione si afferma che « Noi, popolo plurinazionale della Federazione Russa, […] basandoci sui principi universalmente riconosciuti di uguaglianza dei diritti e di autodeterminazione dei popoli, […] adottiamo la costituzione della Federazione russa ». L’art. 5, par. 3 afferma che « La struttura federativa della Federazione Russa è fondata sulla sua integrità statale, sull’unità del sistema del potere statale, sulla delimitazione delle materie di competenza e dei poteri tra gli organi del potere statale della Federazione Russa e gli organi del potere statale dei Soggetti della Federazione Russa sull’uguaglianza dei diritti e sull’autodeterminazione dei popoli della Federazione Russa ». 146 Dichiarazione sui principi di diritto internazionale sulle relazioni amichevoli tra Stati in accordo con la Carta delle Nazioni Unite, cit., supra nota 95.

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into relations with the other states » 147.

Il diritto internazionale riconosce dunque uno Stato un ente che possiede una

propria popolazione, un proprio territorio, un proprio governo e detiene la capacità di

instaurare relazioni con Stati terzi. La Repubblica cecena dimostra di essere in

possesso di tutti i requisiti per poter essere riconosciuta come uno Stato de facto,

indipendente e sovrano. Tuttavia non è stata in grado di instaurare relazioni

internazionali con Stati terzi, a causa della Federazione russa, che ha sempre

minacciato ripercussioni diplomatiche nei confronti di tutti gli Stati che avessero

riconosciuto la Repubblica cecena come uno Stato 148. È su quest’ultima

considerazione che parte della dottrina ritiene questa terza ipotesi come la meno

praticabile rispetto alle altre appena trattate.

4.6 Considerazioni finali al paragrafo

Dall’analisi appena compiuta, si evince come il caso della Repubblica cecena

non sia di facile soluzione. Infatti come abbiamo avuto modo di vedere, in dottrina

esistono diverse posizioni in merito alla definizione dello status giuridico da

riconoscere alla Cecenia. Tuttavia, possiamo affermare come gran parte della

dottrina convenga nel ritenere illecito il tentativo della Cecenia di secedere

unilateralmente dalla Federazione russa. Tale ipotesi infatti violerebbe il diritto alla

tutela dell’integrità territoriale federale. Riteniamo che tra le proposte riportate, la

soluzione più adeguata al caso di specie sia quella di conferire uno status speciale

alla Repubblica cecena da parte della Federazione russa. Infatti il mutamento dello

status dei soggetti della Federazione russa, previsto dalla Costituzione federale,

permetterebbe la tutela dell’integrità territoriale russa e garantirebbe alla Repubblica

cecena un elevato livello di autonomia, eliminando le tensioni esistenti tra le parti nel

rispetto anche del principio di autodeterminazione interna dei popoli.

In considerazione di ciò, la Costituzione cecena, entrata in vigore il 2 aprile

2003, ha permesso alla Cecenia di iniziare un processo volto ad ottenere un livello

147 La Convenzione di Montevideo sui diritti e doveri degli Stati, Montevideo, 1933. Il testo originale della convenzione è reperibile in http://www.taiwandocuments.org/montevideo01.htm. 148 ATROKHOV TURNOFF WENDY, The Khasavyurt Accords: Maintaining the Rule of Law and Legitimacy of Democracy in the Russian Federation Amidst the Chechen Crisis, cit. supra nota 143, in part. p. 391

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sempre maggiore di indipendenza ed autonomia all’interno della Federazione russa.

Nel prossimo paragrafo analizzeremo la Costituzione cecena allo scopo di verificare

se la Federazione russa abbia rispettato il principio di autodeterminazione interna del

popolo ceceno.

5. Il diritto all’autodeterminazione interna del popolo ceceno

Secondo il diritto internazionale, il principio di autodeterminazione dei popoli

non prevede l’obbligo di imporre agli Stati di godere del consenso della maggioranza

dei cittadini, di garantire libere e democratiche elezioni oppure di avallare le

aspirazioni secessionistiche di regioni, province o repubbliche interne allo Stato 149.

Tuttavia la Comunità internazionale va sempre più insistendo sulla necessità che nel

diritto internazionale si affermino i valori di una genuina democrazia. Diverse

organizzazioni internazionali, sia universali che regionali, propugnano dichiarazioni

volte al raggiungimento di tale scopo, mentre i paesi sviluppati ratificano trattati

internazionali di cooperazione con paesi in via di sviluppo, ponendo come

condizione fondamentale per la cooperazione la democraticità dei governi nazionali 150.

Tuttavia lo stato effettivo del diritto internazionale generale è ben lungi dal

corrispondere ai valori democratici propugnati nei trattati internazionali 151. Parte

della dottrina ritiene che sebbene il diritto internazionale non imponga

l’autodeterminazione interna dei popoli, esso obblighi comunque gli Stati a

proteggere quei governi che si sono affermati con libere elezioni 152. Tuttavia si

osserva che nella prassi internazionale tale obbligo è stato spesso disatteso dagli Stati 153. Nel diritto internazionale infine rimane la questione centrale se il diritto

all’autodeterminazione interna corrisponda al diritto di un popolo a godere di un

governo democratico, i cui i diritti fondamentali, compresi quelli di rappresentanza 149 Cfr. CONFORTI B., Diritto internazionale,cit., supra nota 84, in part. p. 26. 150 Nel caso di specie di veda la Dichiarazione di Varsavia « Verso una comunità di democrazie » del 27 giugno 2000, di cui la Federazione russa è parte contraente. Per il testo della Dichiarazione si veda in http://community-democracies.org/index.php?option=com_content&view=article&id=16:warsaw-declarati on&catid=17:ministerial-declarations&Itemid=62. Si veda anche il Documento della riunione di Copenhagen della CSCE sulla Dimensione Umana del 26 giugno 1990. Il testo del documento è reperibile in http://www.osce.org/documents/odihr/2006/06/19392_en.pdf. 151 Cfr. CONFORTI B., Diritto internazionale,cit., supra nota 84, in part. p. 26. 152 Ibidem. 153 Ibidem.

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politica, siano garantiti e se in caso di violazione di tale diritto un popolo ha diritto a

secedere territorialmente dallo Stato.

In tale dibattito si inserisce la questione, che intendiamo in questa sede

analizzare, se il popolo ceceno goda del diritto all’autodeterminazione interna dei

popoli all’interno della Federazione russa. A tal proposito analizzeremo sia

l’adozione della Costituzione cecena avvenuta tramite referendum il 23 marzo 2003

sia un rapporto della Commissione Venezia del 15 marzo del 2003 sulla

democraticità del disegno costituzionale ceceno.

5.1 Il referendum costituzionale ceceno del 23 marzo 2003

In seguito al referendum del 23 marzo 2003, la Repubblica di Cecenia ha

adottato la nuova Costituzione, entrata in vigore il 2 aprile dello stesso anno.

Il referendum si basava su tre quesiti: (a) il primo requisito concedeva la

possibilità al popolo ceceno di scegliere se adottare o meno una nuova Costituzione

per la Repubblica cecena; (b) il secondo requisito invece chiamava i cittadini ceceni

ad approvare un disegno di legge in merito all’elezione del Presidente della

Repubblica; (c) infine, il terzo prevedeva l’approvazione di un disegno di legge per

come eleggere i membri del Parlamento della Repubblica cecena 154.

La possibilità di scegliere se accettare o meno la sovranità della Federazione

russa e quindi lo status di Repubblica federale, rappresentava per il popolo ceceno

una grande possibilità, quella cioè di poter manifestare la propria volontà attraverso

le strutture democratiche federali. Tuttavia non gli fu concessa la possibilità di

secedere dal territorio federale nonostante il progetto costituzionale della Repubblica

cecena, proposto dalla Federazione russa, fosse stato bocciato 155. La Federazione

russa avrebbe dovuto assicurare dunque il corretto svolgimento del referendum,

poiché in caso contrario, si sarebbe violato il diritto all’autodeterminazione interna

del popolo ceceno.

Una parte della dottrina ritiene che tale referendum, sia da considerarsi nullo

154 MULCHAY C., Pre-Determined: The March 23, 2003 Constitutional Referendum in Chechnya and its relatioship to the Law of Self-Determination, cit., supra nota 92, in part. p. 192. 155 Ibidem.

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156. Molte organizzazioni internazionali hanno contestato e posto in dubbio la validità

del referendum per diverse ragioni. Innanzitutto, i soldati dell’esercito russo presenti

sul territorio ceceno poterono votare anch’essi, favorendo così l’adozione della

nuova Costituzione cecena. Inoltre, da rapporti redatti da alcuni organismi

internazionali risulta che i cittadini ceceni hanno subito la pressione e le minacce di

rapimenti, torture o maltrattamenti da parte dei soldati russi, affinché votassero a

favore della Costituzione 157.

Secondo questa parte della dottrina, è evidente come il comportamento del

governo russo e dell’esercito federale sia risultato in violazione del diritto

all’autodeterminazione interna del popolo ceceno. Il Governo infatti non avrebbe

garantito ai cittadini ceceni delle libere e democratiche elezioni.

Alla luce di tali considerazioni, si deve ritenere che la Comunità internazionale

non dovrebbe riconoscere la legalità della nuova Costituzione cecena fintantoché non

venga indetto un nuovo referendum costituzionale che si svolga nel rispetto dei

principi democratici riconosciuti 158.

5.2 La Costituzione della Repubblica di Cecenia analizzata sulla base del

rapporto della Commissione Venezia del 15 marzo 2003.

Il 17 gennaio 2003 il Presidente dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio

d’Europa ha chiesto alla Commissione Venezia un’opinione in merito alla

democraticità del disegno costituzionale della Repubblica cecena 159. Quest’ultima

nel rapporto finale pubblicato il 15 marzo 2003, ha affermato che, prescindendo il

proprio giudizio dal contesto politico e dalle condizioni nelle quali il voto ha avuto

luogo, ha ritenuto il disegno costituzionale ceceno conforme agli standard

democratici europei. 156 Ibidem. 157 Si veda in proposito la Dichiarazione della House of Representatives della Commissione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa del 27 marzo 2003. Il testo della Dichiarazione è reperibile in http://csce.gov/index.cfm?FuseAction=ContentRecords.ViewDetail&ContentRecord_id=184&Region_id=101&Issue_id=61&ContentType=S&ContentRecordType=S&CFID=26343215&CFTOKEN=2308365. 158 Cfr. MULCHAY C., Pre-Determined: The March 23, 2003 Constitutional Referendum in Chechnya and its relatioship to the Law of Self-Determination, cit., supra nota 92, in part. p. 192. 159 La Commissione Europea per la Democrazia attraverso il Diritto, nota come Commissione Venezia, ha pubblicato le opinioni sulla disegno costituzionale ceceno sia in inglese che in francese. Il presente lavoro si riferisce alla versione in inglese, Opinion on the Draft Constitution of the Chechen Republic, Strasbourg, 14-15 March 2003, CDL-AD (2003) 2, il cui testo è reperibile in http://www.venice.coe.int/ docs/2003/CDL-AD(2003)002-e.asp.

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Sulla base di tale rapporto, riteniamo opportuno analizzare il testo costituzionale

ceceno affinché si possa verificare se la Federazione russa abbia garantito al popolo

ceceno il diritto alla propria autodeterminazione interna.

5.2.1 Aspetti generali

Nel disegno costituzionale ceceno si è affermato come la Repubblica cecena sia

un soggetto della Federazione russa. Nel preambolo si fa espressamente riferimento

all’unità storica che la Repubblica cecena ha con la Federazione russa, stabilendo che

« Nous fondant sur les principes universellement reconnus d’égalité en droit et d’autodétermination des peuples, partant de la responsabilité devant le passé, le présent et l’avenir de la société et du peuple, témoignant de sa communauté historique avec la Russie et son peuple multinational, confirmant la meilleure tradition des peuples de la République Tchétchène et de toute la Fédération de Russie » 160.

L’art. 1, par. 1, della Costituzione sancisce che la sovranità della Repubblica

cecena si esprime attraverso l’esercizio della sua autorità legislativa, giudiziaria ed

esecutiva. I suddetti poteri vengono riconosciuti come elementi inalienabili della

Repubblica cecena, da esercitarsi in conformità con i poteri della Federazione russa.

Inoltre il par. 2 afferma che la Repubblica cecena è parte costituente ed indivisibile

della Federazione russa.

Secondo quanto riportato dalla relazione della Commissione Venezia, il termine

“sovranità”, utilizzato nell’art. 1, par. 1, risulta essere inappropriato per un soggetto

federale, tanto che la Corte Costituzionale russa lo ha ritenuto incostituzionale. In

realtà, esso deve essere, ad avviso della Commissione, inteso come sinonimo di

“competenza” o di “potere” 161.

La Commissione Venezia ha analizzato il disegno costituzionale della Repubblica

cecena in parallelo con la Costituzione della Federazione russa, dichiarando in

proposito che

160 Preambolo della Costituzione della Repubblica di Cecenia. Il testo tradotto in francese dell’intera Costituzione cecena è reperibile in http://www.venice.coe.int/docs/2003/CDL(2003)007-f.pdf. Corsivo aggiunto. 161 Par. 4 del rapporto della Commissione.

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« the draft closely follows the model of the Federal Constitution. Not only is the structure very much the same but large parts of the text are directly copied from the Federal Constitution, in particular but not only in the area of human rights » 162.

Secondo la Commissione, infatti, il disegno costituzionale ceceno seguirebbe in

maniera fedele non soltanto il modello della Costituzione federale, ma ne

riprenderebbe in gran parte anche il testo. Essa ha ritenuto che l’intento perseguito

dalla Federazione russa è stato quello di sottolineare come la Repubblica cecena non

godrebbe di nessun riconoscimento speciale ma sarebbe ritenuta come un qualunque

altro soggetto del sistema federativo nazionale 163.

5.2.2 La lingua nazionale della Repubblica cecena

Nel suo rapporto, la Commissione ha altresì sottolineato come nel disegno

costituzionale non è stato fatto alcun tipo di riferimento al popolo ceceno come

l’unico popolo nazionale della Repubblica federale. Infatti il preambolo della

Costituzione si riferisce al popolo multinazionale della Repubblica cecena, così come

la Costituzione federale si rivolge al popolo multinazionale della Federazione russa.

La Commissione ha affermato pertanto che

« it is certainly welcome that in this way there is no basis for any discrimination on ethnic grounds. Nevertheless a reference to the Chechen people or the term “people of the Chechen Republic” might have facilitated the identification of the Chechen people with the Republic. The multinational character of the Republic could be underlined in a separate phrase as is done in other Republics » 164.

Se da una parte si evita così qualunque tipo di discriminazione di natura etnica,

dall’altra parte però si limita la costruzione di un’identità collettiva del popolo

ceceno che si identifichi con la Repubblica cecena.

Un ulteriore aspetto analizzato dalla Commissione, riguarda il diritto

riconosciuto alle Repubbliche della Federazione russa di stabilire autonomamente le

proprie lingue di Stato. In una società multinazionale, come quella russa, tale aspetto

ricopre un’importanza rilevante a livello sociale e civile. L’art. 68 della Costituzione

162 Par. 5 del rapporto della Commissione. 163 Si veda il par. 5 del rapporto della Commissione in cui si afferma che « this already seems to indicate that the purpose of the draft is to underline the future of the Republic as a part of the Russian Federation like any other without any specific status ». 164 Ibidem par. 7.

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russa, disciplinando in maniera esaustiva l’argomento, promuove lo sviluppo e lo

studio delle lingue materne delle Repubbliche federali 165.

Nonostante le garanzie costituzionali previste dall’art. 68, la Commissione ha

ritenuto che la Federazione russa non ha riconosciuto pari opportunità linguistiche al

popolo ceceno. Infatti l’art. 10, par. 1 della Costituzione cecena ha previsto che «The

state languages of the Chechen Republic shall be the Chechen and Russian languages

». Quindi sia la lingua russa che quella cecena sono considerate le lingue ufficiali

dello Stato. Tuttavia, al par. 2, si è affermato che « The Russian language shall be the

medium of communication between nations and the language of official office work

in the Chechen Republic » 166. E’ evidente che l’utilizzo della lingua russa come

unica lingua ufficiale nel settore pubblico ceceno, precluda quanto disposto dal

primo paragrafo, limitando dunque le libertà e i diritti dei cittadini ceceni. In questa

maniera sono state disattese le garanzie costituzionali federali, previste dall’art. 68,

volte allo sviluppo e allo studio della lingua materna delle Repubbliche russe 167.

5.2.3 La tutela dei diritti umani nella Costituzione cecena

Secondo quanto affermato dalla Commissione Venezia, la parte II della

Costituzione cecena, riguardante la tutela e la salvaguardia dei diritti e delle libertà

degli individui, riprenderebbe quasi interamente quella della Costituzione russa 168.

La Commissione sottolinea tuttavia che tre articoli, che garantiscono i diritti

fondamentali degli individui, differiscono da quelli della Costituzione federale

riducendo così i diritti e le libertà degli individui.

Ai sensi dell’art. 17, che riporta il diritto alla vita, si afferma che « every person

165 L’art. 68 della Costituzione riporta che «1. La lingua di Stato della Federazione Russa in tutto il suo territorio è la lingua russa; 2. Le Repubbliche hanno il diritto di stabilire le proprie lingue di Stato. Negli organi del potere statale, negli organi di autogovemo locale e negli enti statali delle Repubbliche esse vengono usate assieme alla lingua di Stato della Federazione Russa; 3. La Federazione Russa garantisce a tutti i suoi popoli il diritto alla conservazione della lingua materna e la creazione delle condizioni per il suo studio e sviluppo » 166 Art. 10, par. 2 della Costituzione della Repubblica cecena. 167 La Commissione Venezia ha inoltre criticato l’art. 10 della Costituzione cecena, anche alla luce della firma della Federazione russa della Carta Europea delle lingue Regionali o Minoritaria. La Federazione russa ha firmato la Carta Europea delle lingue Regionali o Minoritaria il 10 maggio 2001. La Carta prevede nella parte II, gli obiettivi e i principi che gli Stati membri devono perseguire. Essi si impegnano infatti a eliminare ogni distinzione, esclusione o restrizione ingiustificata che minacciano l’uso della lingua regionale o minoritaria. Per la versione in italiano della Carta si veda in http://conventions.coe.int/ Treaty/ITA/Treaties/ Html/148.htm. 168 Si veda quanto riportato nel par. 14 del parere della Commissione « The draft explicitly opts in Article 3 for the incorporation of the respective provisions of the Federal Constitution into its text and correspondingly Articles 14 et seq. are a generally faithful copy of the respective provisions of the Federal Constitution ».

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has the right to life. No one can be deprived of life arbitrarily» 169. La Commissione

ha ritenuto che tale articolo riduce in maniera non intenzionale la protezione dei

diritti dell’individuo poiché potrebbe essere interpretato come legittimante il ricorso

alla pena di morte 170.

Inoltre, il diritto a ricorrere dinanzi agli organi internazionali per la difesa dei

diritti e delle libertà dell’uomo sancito dall’art. 46, par. 3, della Costituzione russa, è

stato omesso nel corrispettivo art. 43 della Costituzione cecena 171.

Infine, l’art. 53 sullo stato d’emergenza, contrariamente al corrispettivo art. 56

della Costituzione federale, non contiene nessuna lista di diritti umani che non

possono essere vietati in caso venisse proclamato uno stato d’emergenza.

La Commissione ha ritenuto dunque che le norme costituzionali sui diritti e sulle

libertà degli individui presentano limitazioni maggiori rispetto a quelle federali.

Tuttavia essa ha dichiarato che

« Nevertheless it has to be acknowledged that the practical relevance of these shortcomings seems limited since such situations will be determined in any case on the basis of Federal law » 172.

La Commissione ha lasciato così intendere che, seppure abbia riscontrato una

limitazione delle libertà degli individui rispetto alla Costituzione federale, quella

cecena si presenta come una Costituzione rispettosa degli standard democratici

europei in materia di diritti umani, ed ha affermato che « The above analysis of the draft has shown that it is mainly guided by the intention to

emphasise the status of the Chechen Republic as a subject of the Federation on an equal footing with the other subjects. […] the Constitution will allow the establishment of a new tier of institutions at the level of the Republic which act as a means of legitimate interlocution between the Republic and the Federal institutions. It may thus be a first step leading to a further process of devolution of powers to the Republic on the basis of the possibilities offered by the Federal Constitution » 173.

Secondo l’analisi della Commissione, la Federazione russa ha enfatizzato lo

status giuridico della Repubblica cecena, ponendolo su un piano di assoluta parità 169 Art. 17 della Costituzione della Repubblica cecena. 170 Par. 15 del parere della Commissione. 171 La Costituzione federale, in base all’art. 46, par. 3, garantisce, sulla base dei trattati internazionali ratificati dalla Federazione russa, il diritto di ricorrere dinanzi agli organi inter statuali per la difesa dei diritti e delle libertà dell’uomo se sono stati esperiti tutti i mezzi disponibili dì tutela giuridica interni allo Stato. Mentre il corrispondente articolo 43 della Costituzione della Repubblica cecena non prevede una tale possibilità. 172 Par. 15 del parere. 173 Opinion on the Draft Constitution of the Chechen Republic, Strasbourg, 14-15 March 2003, CDL-AD (2003) 2, cit., supra nota 160, par. 39.

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con gli altri soggetti della Federazione. Tuttavia la Commissione ha ritenuto questo

progetto costituzionale essere uno strumento giuridico necessario alle istituzioni

repubblicane, per poter iniziare un processo di devoluzione dei poteri, dal governo

federale a quello repubblicano, e godere così di un maggiore indipendenza

istituzionale.

5.3 Conclusioni al paragrafo

In quest’ultimo paragrafo abbiamo analizzato, sotto due diversi punti di vista, il

diritto del popolo ceceno all’autodeterminazione interna. Da una parte abbiamo

analizzato le modalità con cui il referendum si è svolto il 23 marzo 2003, dall’altra la

Costituzione cecena, la quale nonostante le critiche ricevute dalla Commissione

Venezia, ha risposto agli standard democratici occidentali.

In conclusione, riteniamo tuttavia che la Federazione russa abbia violato il diritto

all’autodeterminazione interna del popolo ceceno. Infatti nonostante la Costituzione

della Repubblica cecena preveda dei futuri possibili sviluppi istituzionali, che

permetterebbe al popolo ceceno di godere di una maggiore autonomia interna,

riteniamo che la violazione sia avvenuta nel momento in cui il referendum è stato

indetto dal governo russo. Così come ha riportato il 27 marzo 2003 anche dalla

Commissione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, nota anche come

Commissione Helsinki, le modalità in cui il referendum si è svolto sono da

considerarsi illegittime, quindi il referendum doveva considerarsi nullo, poiché le

minacce e le ritorsioni fatte dai militari russi ai civili ceceni avrebbero invalidato il

risultato elettorale 174.

174 La Commissione per la sicurezza e la Cooperazione in Europa è un’agenzia governativa statunitense creata nel 1976 al fine di monitorare e incoraggiare il rispetto dei principi fissati dagli Stati durante l’Atto Finale di Helsinki e dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Si veda la Dichiarazione della House of Representatives della Commissione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa del 27 marzo 2003, cit., supra nota 157.

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6. La Comunità internazionale e la legittimazione del diritto

all’autodeterminazione esterna dei popoli in un contesto post-coloniale: il caso

del popolo ceceno, kosovaro e timorese.

Rimane ora da analizzare la questione, assai dibattuta in dottrina, se il principio

di autodeterminazione dei popoli, applicato ai contesti di natura post-coloniale. Una

parte della dottrina infatti, ritiene che tale principio non possa essere applicato al di

fuori del periodo di colonizzazione e non possa quindi essere usato come base

giuridica per legittimare i tentativi di secessione di un popolo da uno Stato sovrano;

un’altra parte della dottrina ritiene invece legittima la sua applicabilità anche nel

periodo post-coloniale 175.

Nel nostro caso, poiché il tentativo indipendentistico ceceno rietra perfettamente

all’interno di questo dibattito dottrinale, riteniamo opportuno analizzarlo in maniera

comparata con il caso del popolo kosovaro e con quello del popolo timorese. Il caso

del popolo ceceno e quello del popolo kosovaro presentano diversi aspetti similari,

non soltanto perché hanno avuto luogo nel medesimo contesto temporale, ma perché

entrambi i popoli si identificano come minoranza etnica e rivendicano per tale

ragione un maggiore livello di autonomia e indipendenza dallo Stato di appartenenza.

Anche il caso dell’isola di Timor Est presenta aspetti comuni con i primi due casi,

tuttavia si differenzia da entrambi per alcuni aspetti particolari che saranno affrontati

nel corso di questo paragrafo.

Tale analisi avrà l’obiettivo di ricostruire le diverse reazioni che la Comunità

internazionale ha avuto in merito alle pretese indipendentistiche di ciascuno dei tre

popoli in un contesto post-coloniale. Individueremo i requisiti che, secondo le

Nazioni Unite, sono ritenuti fondamentali affinché si legittimi il tentativo di

secessione di un popolo dal proprio Stato territoriale sulla base del principio di

autodeterminazione dei popoli in un contesto post-coloniale.

175 Per un’ampia analisi del dibattito, Cfr. SIMPSON J. GERRY, The diffusion of Sovereignty: Self-Determination in the Postcolonial Age, in Stanford Journal of International Law, 1996, pp. 255-287. Cfr. HANNUM HURST, The Right of Self-Determination in the Twenty-First Century, in Washington and Lee Law Review, 1998, pp. 773-781. Cfr. LUNG-CHU CHEN, Self-Determination and the World Public Order, in Notre Dame Law Review, 1991, pp.1287-1302.

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6.1 Il caso ceceno e quello kosovaro

È interessante analizzare le reazioni della Comunità internazionale in merito ai

tentativi indipendentistici sia del Kosovo che della Cecenia degli anni Novanta del

XX secolo.

Le Nazioni Unite hanno compiuti maggiori sforzi nei confronti del Kosovo

rispetto alla Cecenia, affinché ottenesse un livello di autonomia maggiore all’interno

del territorio dello Stato sovrano di appartenenza, in tal caso parliamo della ex

Repubblica Federale jugoslava 176. Non può dirsi altrettanto per quanto riguarda il

caso ceceno 177, in cui le flebili condanne da parte della Comunità internazionale non

hanno fatto alcun tipo di riferimento al diritto all’autodeterminazione del popolo

ceceno 178.

Sulla base di quanto affermato, riteniamo opportuno approfondire l’analisi

comparata dei due casi, in modo da avere una visione più dettagliata dell’argomento.

In entrambi i casi, sia il popolo ceceno che quello kosovaro hanno combattuto

contro gli Stati di appartenenza per molti anni, cercando di affermare la loro identità

etnica, linguistica e culturale al loro interno 179. I kosovari albanesi riuscirono ad

ottenere dalla Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia (RFSJ) un livello di

autonomia amministrativa maggiore rispetto agli altri soggetti della Federazione. In

seguito però, la neonata Repubblica Federale di Jugoslavia (RFY) revocò tale 176 Si veda a tal proposito il par. 5 della ris. n. 1160 del 1998 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in cui si afferma che la soluzione al conflitto deve essere prese alla luce del diritto all’integrità della Repubblica Federale di Jugoslavia ma anche nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite e dell’Atto Finale della Conferenza di Helsinki sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa del 1975. Tale soluzione tuttavia « must also take into account the rights of the Kosovar Albanians and all who live in Kosovo, and expresses its support for an enhanced status for Kosovo which would include a substantially greater degree of autonomy and meaningful self-administration ». Nella ris. 1199, così come nella ris. 1203 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 1998, si riafferma quanto sancito nella ris.1160 in merito allo status del Kosovo. Mentre la ris. n. 1244 del 1999 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, autorizzava « the Secretary-General, with the assistance of relevant international organizations, to establish an international civil presence in Kosovo in order to provide an interim administration for Kosovo under which the people of Kosovo can enjoy substantial autonomy within the Federal Republic of Yugoslavia, and which will provide transitional administration while establishing and overseeing the development of provisional democratic selfgoverning institutions to ensure conditions for a peaceful and normal life for all inhabitants of Kosovo ». Le seguenti risoluzioni sono reperibili in http://www.un.org/ Docs/scres/1998/scres98.htm. 177 Non esiste allo stato attuale nessuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che condanni le operazioni militari dell’esercito russo in Cecenia, né altre che abbiano fatto riferimento all’autonomia o ad un maggior livello di indipendenza della Cecenia all’interno della Federazione russa. Cfr. CHARNEY I. JOHNATAN, Commentary, Self-determination: Chechnya, Kosovo, and East Timor, in Vanderbilt Journal Of Transnational Law, 2001, pp. 455-467. 178 Ibidem. 179 Cfr. JELAVICH BARBARA, History of the Balkans,Vol. 1: Eighteenth and Nineteenth Centuries, New York, 1983, pp. 4-39. Cfr. DUNLOP B. JOHN, Russia Confronts Chechnya Roots of a Separatist Conflict, New York, 1998, pp. 24-51.

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autonomia, reprimendo le libertà e le concessioni amministrative riconosciute alla

provincia kosovara 180. I kosovari albanesi cercarono invano la risoluzione pacifica

del conflitto con la Repubblica Federale di Jugoslavia, tendando di preservare la loro

autonomia all’interno della Repubblica 181, solo in extrema ratio si formò l’Esercito

di Liberazione del Kosovo, ricorrendo alla lotta armata per ottenere l’indipendenza

dalla Repubblica jugoslava 182.

Le Nazioni Unite insieme con la Nato tentarono invano la via della risoluzione

pacifica del conflitto interno, prima di optare per l’intervento militare a protezione

della minoranza kosovara. La Nato agì militarmente il 24 marzo 1999 in maniera

unilaterale per pacificare la regione balcanica e per porre fine alle gravi violazioni

dei diritti umani in Kosovo 183 mentre il 10 giugno 1999 il Consiglio di Sicurezza,

con la ris. n. 1244, autorizzò il Segretariato Generale e le organizzazioni

internazionali a stabilire una presenza civile internazionale in Kosovo, al fine di

pacificare la regione e garantire al popolo kosovaro un sostanziale livello di

autonomia all’interno della Federazione jugoslava 184.

Le dinamiche che portarono invece la Repubblica di Cecenia a dichiararsi uno

Stato de facto, furono diverse. Innanzitutto essa, in seguito al referendum del 27

ottobre 1991, si dichiarò indipendente dalla Federazione russa il 1° novembre 1991

in maniera unilaterale, ricorrendo all’uso della forza armata nella stessa maniera con

180 Sulla base della Costituzione della Repubblica Socialista di Jugoslavia, il Kosovo godeva dello status di provincia autonoma della Repubblica. L’art. 1 della Costituzione infatti afferma che il « Kosovo and Vojvodina constituent part of the Socialist Republic of Serbia […] the two provinces had their own direct representation on the federal level, their own constitutions, and broad autonomy in the economic sphere ». La Costituzione del 1989 fu emendata dalla Serbia, la quale ritirò le autonomie di cui godeva il Kosovo, ed iniziò una campagna di pulizia etnica, deportazioni, arresti di massa e intimidazioni politiche ed economiche. Per una lettura più approfondita dell’argomento Cfr. HUMAN RIGHTS WATCH, Yugoslavia: Crisis in Kosovo, 1990, il testo è reperibile in http://www.unhcr.org/refworld/publisher,HRW,SVN, 467fca3a1d,0.html. Cfr. CHARNEY I. JOHNATAN, Commentary, Self-determination: Chechnya, Kosovo, and East Timor, cit., supra nota 177, in part. p. 458. 181 Nel 1991 i kosovari albanesi organizzarono un referendum sullo status costituzionale del Kosovo ritenuto illegittimo dal Governo jugoslavo. Il 99% dei votanti votò a favore dell’indipendeza. Il 24 maggio 1992 per le elezioni del Parlamento kosovaro parteciparono al voto 821.588 elettori. Per un’analisi dettagliata si veda Cfr. CHARNEY I. JOHNATAN, Commentary, Self-determination: Chechnya, Kosovo, and East Timor, cit., supra nota 177, in part. p. 461. 182 Ibidem. 183 Ibidem. 184 Si veda infatti la ris. 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite al par. 10, nel quale si afferma che « Authorizes the Secretary-General, with the assistance of relevant international organizations, to establish an international civil presence in Kosovo in order to provide an interim administration for Kosovo under which the people of Kosovo can enjoy substantial autonomy within the Federal Republic of Yugoslavia, and which will provide transitional administration while establishing and overseeing the development of provisional democratic self- governing institutions to ensure conditions for a peaceful and normal life for all inhabitants of Kosovo ». Corsivo aggiunto. Il testo della ris. 1244 è reperibile in http://www.unmikonline.org/ press/reports/N9917289.pdf.

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la quale il Kosovo vi ricorse solo in extrema ratio 185. Durante gli anni di

indipendenza il governo ceceno fallì nel costruire un apparato statale che avesse il

controllo effettivo del territorio: bande armate organizzate ne presero rapidamente il

controllo, fino a portare parte delle popolazione a delegittimare il governo ceceno 186.

Infine il governo federale russo ricorse all’intervento armato solo in secondo

momento, in occasione della prima guerra cecena (1994-1996), per cercare di

reprimere il tentativo indipendentistico ceceno.

La maggioranza degli Stati condannò le violenze perpetrate dalle forze armate

russe ai danni del popolo ceceno durante le operazioni militari, così come quelle dei

ribelli ceceni. Essa fu però coesa nel ritenere illecito il tentativo indipendentistico

ceceno poiché violava il diritto all’integrità territoriale russa 187.

Una parte della dottrina ha ritenuto importante fare alcuni distinguo tra i due

casi, affinché si potessero individuare le circostanze in presenza delle quali la

Comunità internazionale si è dimostrata propensa a legittimare il tentativo di un

popolo a secedere dal proprio Stato sovrano in un contesto post-coloniale.

Nel caso kosovaro, questa parte della dottrina ha riscontrato come il ricorso

all’uso della forza da parte dei kosovari albanesi, sia stata l’extrema ratio attraverso

la quale si tentò di secedere dalla Federazione jugoslava. Nel caso ceceno gli

indipendentisti hanno invece dato origine ad una rapida escalation di violenze contro

le forze dell’ordine della Federazione russa188. In seguito alle violenze scaturite,

questa parte della dottrina ha riscontrato anche un calo del consenso della

popolazione a favore del movimento indipendentistico ceceno 189, a differenza di

quello del popolo kosovaro che risultò sempre coeso a favore dell’Esercito di

Liberazione del Kosovo190.

Sulla base di ciò, questa parte della dottrina ha ritenuto possibile affermare che

esiste una tendenza in seno alla Comunità internazionale a legittimare la secessione

di un popolo da uno Stato sovrano in un contesto post-coloniale. Un popolo che

lamenti la violazione del proprio diritto all’autodeterminazione godrebbe del 185 Cfr. SINATTI PAOLO, La Cecenia: una tragedia che viene da lontano, in La Russia e i conflitti del Caucaso, Torino, 2000. 186 Cfr. DUNLOP B. JOHN, Russia Confronts Chechnya Roots of a Separatist Conflict, cit., supra nota 179. 187 Ibidem. 188 Cfr. SINATTI PAOLO, La Cecenia: una tragedia che viene da lontano, cit., supra nota 185. 189 Ibidem. 190 Cfr. CHARNEY I. JOHNATAN, Commentary, Self-determination: Chechnya, Kosovo, and East Timor, cit., supra nota 177.

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supporto della Comunità internazionale qualora si riscontrasse l’esaurimento di tutte

le vie interne di risoluzione pacifica delle dispute tra il governo nazionale ed il

popolo richiedente; in secondo luogo, qualora si dimostrasse che i rappresentanti del

popolo richiedente rappresentino realmente l’intero popolo; infine, qualora si

dimostrasse che l’utilizzo dell’uso della forza sia stato l’ultimo mezzo al quale si è

ricorsi per ottenere l’indipendenza 191.

Sulla base di quanto affermato, questa parte della dottrina ha precisato come tali

considerazioni non impediscono al popolo ceceno di godere del diritto

all’autodeterminazione, evidenziando tuttavia le circostanze in presenza delle quali la

Comunità internazionale sembrerebbe legittimare l’applicabilità del principio di

autodeterminazione dei popoli in contesti post-coloniali.

6.2. Il caso dell’isola di Timor Est

In base alle conclusioni a cui siamo giunti nel paragrafo precedente, è opportuno

analizzare anche il caso di Timor Est. In seguito alla caduta dell’impero coloniale

portoghese nel 1975, l’isola di Timor Est dichiarò la sua indipendenza dal Portogallo

sulla base del principio di autodeterminazione esterna dei popoli. Tuttavia l’esercito

indonesiano, nove giorni dopo tale dichiarazione d’indipendenza, occupò

militarmente l’isola 192. Tale azione fu immediatamente condannata dalle Nazioni

Unite 193.

Nel caso di specie, si riscontrano le condizioni per la diretta applicazione del

principio di autodeterminazione esterna dei popoli nella misura in cui il popolo

timorese è stato soggetto ad un regime di occupazione militare. Tuttavia, se si

analizza la questione anche alla luce di quanto discusso precedentemente, possiamo

riscontrare la presenza di tutti i requisiti ritenuti fondamentali dalla Comunità

internazionale, per legittimare l’applicabilità del principio di autodeterminazione dei

popoli applicata in un contesto post-coloniale.

Innanzitutto il popolo timorese esaurì tutti i tentativi possibili di risoluzione 191 Ibidem. 192 Ibidem, in part. p. 465. 193 Si veda in proposito il par. 5 della ris. n. 389 del 1976 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nella quale si invitavano gli Stati membri al rispetto dell’integrità territoriale dell’Isola, in primis da parte dell’Indonesia. Il testo della risoluzione è reperibile in http://daccess-dds-ny.un.org/doc/RESOLUTION/ GEN/NR0/294/77/IMG/NR029477.pdf?OpenElement.

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pacifica del conflitto con il Governo indonesiano: gli sforzi più significativi per

godere di un livello di autonomia maggiore dall’Indonesia, furono compiuti

ricorrendo agli strumenti costituzionali nazionali ed a quelli internazionali 194.

Inoltre, anche il movimento indipendentista timorese era legittimato dall’intera

popolazione dell’isola, ad eccezione fatta della Milizia di Timor-Est, la quale era

favorevole all’integrazione territoriale con l’Indonesia dal momento che era da

questa sia finanziata che supportata militarmente 195.

Infine, il ricorso alla violenza fu minimo, solo piccole frange della popolazione

imbracciarono le armi e solo nelle prime fasi dell’occupazione indonesiana. In

proposito, va ricordato che il popolo timorese non ricorse all’utilizzo della forza

armata organizzata, come avenne per l’Esercito di Liberazione del Kosovo, poiché fu

costantemente soggetto alle violenze e ai maltrattamenti da parte dell’esercito

indonesiano 196. Il ricorso all’uso della forza avvenne dunque solamente in extrema

ratio, in risposta alle violenze perpetrate ai danni della popolazione timorese da parte

delle milizie timoresi, sostenute dal governo indonesiano, da parte delle forze

internazionali delle Nazioni Unite 197.

Nel caso in questione, la Comunità internazionale condannò le violenze 194 Si veda a tal proposito l’Accordo tra la Repubblica indonesiana e la Repubblica portogese del 5 maggio 1999, nel quale si stabiliva all’art. 1 « a constitutional framework providing for a special autonomy for East Timor within the unitary Republic of Indonesia to the East Timorese people […] » e all’art. 2 che « the Secretary-General to establish, an appropriate United Nations mission in East Timor to enable him to effectively carry out the popular consultation». Il testo dell’Accordo è reperibile in http://www.un.org/peace/etimor99/agreement/agreeFrame_Eng01.html. Si veda anche la ris. 1246 del 11 giugno 1999 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in cui si afferma al par. 3 che « Decides to establish until 31 August 1999 the United Nations Mission in East Timor (UNAMET) to organize and conduct a popular consultation, scheduled for 8 August 1999, on the basis of a direct, secret and universal ballot, in order to ascertain whether the East Timorese people accept the proposed constitutional framework providing for a special autonomy for East Timor within the unitary Republic of Indonesia or reject the proposed special autonomy for East Timor, leading to East Timor’s separation from Indonesia ». Per il testo della risoluzione si veda in http://daccess-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N99/174 /13/ PDF/N9917413.pdf ?OpenElement. 195 Cfr. CHARNEY I. JOHNATAN, Commentary, Self-determination: Chechnya, Kosovo, and East Timor, cit., supra nota 177. 196 A tal riguardo si leggano le denuncie fatte da HUMAN RIGHTS WATCH, Indonesia/East Timor: Forcedn Expulsions To West Timor and the Refugee Crisis, 1999. Il testo del report è reperibile in http://www.hrw.org/ legacy/reports/1999/wtimor/. Cfr. CHARNEY I. JOHNATAN, Commentary, Self-determination: Chechnya, Kosovo, and East Timor, cit., supra nota 177. 197 A tal riguardo si veda il par. 3 della ris. 1264 del 15 settembre del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in cui si afferma che «Authorizes the establishment of a multinational force under a unified command structure, pursuant to the request of the Government of Indonesia conveyed to the Secretary-General on 12 September 1999, with the following tasks: to restore peace and security in East Timor, to protect and support UNAMET in carrying out its tasks and, within force capabilities, to facilitate humanitarian assistance operations, and authorizes the States participating in the multinational force to take all necessary measures to fulfil this mandate ». La ris. 1272 del 25 ottobre 1999 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nella parte in cui « Decides to establish, in accordance with the report of the Secretary General, a United Nations Transitional Administration in East Timor (UNTAET), which will be endowed with overall responsibility for the administration of East Timor and will be empowered to exercise all legislative and executive authority, including the administration of justice ».

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compiute dall’esercito indonesiano ai danni della popolazione dell’isola, la

violazione del loro diritto all’autodeterminazione, nonché l’Indonesia stessa,

invitandola a rispettare i diritti e le libertà del popolo timorese. Tuttavia in seguito ai

continui rifiuti dell’Indonesia di rispettarne il diritto all’indipendenza, decise di

appoggiare concretamente il movimento indipendentistico timorese. Infatti nel 1999

il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite autorizzò il Segretario Generale a dare

inizio sull’isola di Timor Est alla missione UNTAET 198.

7. Considerazioni conclusive

Nel corso di questo secondo capitolo abbiamo dunque analizzato in dettaglio il

diritto all’autodeterminazione del popolo ceceno. L’analisi è stata strutturata su più

livelli: inizialmente abbiamo analizzato l’evoluzione del principio di

autodeterminazione dei popoli sia all’interno delle Nazioni Unite e sia nella prassi

della Corte internazionale di giustizia. Da questa analisi è stato riscontrato come dal

capitolo XI della Carta delle Nazioni Unite, il diritto di un popolo a godere della

propria autodeterminazione ha acquistato un carattere erga omnes e sia diventato a

tutti gli effetti un principio di jus cogens. Lo stesso si evince anche dalle sentenze e

dai pareri rilasciati dalla Corte internazionale di giustizia, anch’essi analizzati nel

corso del capitolo.

L’analisi si è poi spostata al caso specifico ceceno, ricostruendone il contesto

storico ed il rapporto istituzionale intercorrente tra la Repubblica di Cecenia e la

Federazione russa al fine di verificare se quest’ultima avesse violato il diritto

all’autodeterminazione sia esterna che interna del popolo ceceno. Analizzando le

diverse posizioni rinvenute in dottrina, abbiamo cercato di comprendere se il

tentativo di secessione ceceno dal territorio della Federazione russa fosse da ritenersi

lecito secondo il diritto internazionale. In base ad una prima analisi, poiché il popolo

ceceno non sarebbe né soggetto ad una dominazione coloniale, né ad una

segregazione razziale e né tantomeno ad un’occupazione straniera, sarebbe da

considerare illecito. Tuttavia, in proposito è da osservare che non esite in dottrina una 198 Al riguardo si vedano la ris.1257, la ris. 1262, la ris. 1264, e la ris. 1272 del 1999 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, le quali autorizzarono e definirono i compiti della UNTAET, United Nations Transitional Administration in East Timor, al fine di instaurare un sistema amministrativo volto all’indipendenza del popolo timorese.

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posizione unanime a favore o contro la liceità della secessione cecena.

In seguito, abbiamo preso in considerazione la questione se la Federazione russa

avesse violato il diritto all’autodeterminazione interna del popolo ceceno. Anche in

questo caso, dopo aver esaminato sia la Costituzione della Repubblica cecena sia le

modalità con le quali questa essa è stata adottata, si è riscontrata una spaccatura tra

gli autori in dottrina. Infatti, se da una parte la Costituzione cecena è stata ritenuta

conforme agli standard democratici dei paesi occidentali, dall’altra le modalità con

cui è stato indetto il referendum costituzionale del 23 marzo 2003, inducono una

parte autorevole della dottrina a dichiararlo invalido e a ritenere il principio di

autodeterminazione interna ceceno violato dalla Federazione russa.

Infine abbiamo ritenuto opportuno approfondire un ultimo aspetto, quello

inerente all’applicazione del diritto all’autodeterminazione dei popoli in un contesto

post-coloniale. Analizzando in maniera comparata il caso ceceno insieme a quello

kosovaro e timorese, è stato possibile riscontrare elementi comuni che hanno fatto

ritenere ad una parte della dottrina come le Nazioni Unite abbiano ritenuto legittima

l’applicabilità di tale diritto in un contesto post-coloniale in presenza di determinati

prerequisiti. Tali requisiti, come abbiamo visto, sarebbero: l’esaurimento dei ricorsi

pacifici interni ed internazionali del popolo richiedente l’indipendenza per risolvere

lo stato di crisi interna; il ricorso alla forza armata solo come extrema ratio per

conseguire l’indipendenza; infine, il godimento da parte del movimento

indipendentista del pieno consenso popolare.

Concludendo, possiamo affermare come il dibattito in dottrina attorno allo status

che la Repubblica di Cecenia dovrebbe avere all’interno o all’esterno della

Federazione russa è ancora aperto e soggetto a mutamenti. Del resto riteniamo che si

possa affermare come non sussistano le condizioni giuridiche e politiche affinché la

Cecenia possa secedere territorialmente dalla Federazione russa.

D’altra parte, in seguito alle modalità con le quali si è svolto il referendum

costituzionale ceceno del 23 marzo 2003, e sulla base della dottrina analizzata,

riteniamo che il diritto all’autodeterminazione interna del popolo ceceno sia stato

violato dalla Federazione russa. Tuttavia, dopo aver analizzato il testo della

Costituzione della Repubblica cecena e sulla base del rapporto della Commissione

Venezia, concordiamo con il giudizio finale di quest’ultima, secondo la quale, tale

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Costituzione è conforme agli standard democratici europei di garanzia e di tutela dei

diritti e delle libertà fondamentali del popolo ceceno.

Con il presente capitolo, concludiamo anche la prima parte di questo lavoro nella

quale abbiamo ricostruito la situazione giuridico e politica della Repubblica di

Cecenia all’interno dell Federazione russa. Abbiamo ritenuto opportuno e necessario

compiere tale ricostruzione prima di affrontare la questione, che sarà analizzata nella

seconda parte del lavoro, delle violazioni dei diritti umani compiute ai danni dei

cittadini ceceni durante il conflitto armato del 1999. In questa parte, esamineremo la

giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in merito al caso ceceno,

analizzando le sentenze più importanti pronunciate dalla Corte europea in materia, la

legittimità della Corte a pronunciarsi in merito ai ricorsi presentati, l’effettività dei

giudizi della Corte e la collaborazione della Federazione russa al corretto

svolgimento dei processi.

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CAPITOLO III

La Corte europea dei diritti dell’uomo e la Federazione russa: i casi Khashiyev e

Akayeva; Isayeva, Yusupova e Bazayeva; e Isayeva

SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. Il conflitto ceceno: quadro giuridico applicabile; 3. Una

panoramica delle sentenze; 4. La sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005; 4.1. Le sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005 nel caso Khashiyev e Akayeva c. Federazione russa; 4.1.1 I fatti oggetto del caso; 4.2 La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005 nel caso Isayeva, Yusupova e Bazayeva c. Federazione russa; 4.2.1 I fatti oggetto del caso; 4.3 La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005 nel caso Isayeva c. Federazione russa; 4.3.1 I fatti oggetto del caso; 5. Le obiezioni preliminari; 5.1 Il ragionamento della Corte: le obiezioni preliminari; 6. La violazione dell’art. 2 della Convenzione europea; 6.1 La violazione dell’art. 2 nel caso Khashiyev e Akayeva; 6.2 La violazione dell’art. 2 nel caso Isayeva, Yusupova e Bazayeva; 6.3 La violazione dell’art. 2 nel caso Isayeva; 7. La violazione dell’art. 3 della Convenzione; 7.1 La violazione dell’art. 3 nel caso Khashiyev e Akayeva; 7.2 La violazione dell’art. 3 nel caso Isayeva, Yusupova e Bazayeva; 8. La violazione dell’art. 13 della Convenzione; 9. La violazione dell’art. 1, par. 1 del primo Protocollo della Convenzione; 10. Il rinvio implicito al diritto internazionale umanitario nelle sentenze cecene; 10.1 La Corte europea dei diritti dell’uomo e l’applicazione delle norme di diritto internazionale umanitario; 10.2 L’applicazione dei diritti umani ai conflitti armati interni; 10.3 Considerazioni finali al paragrafo; 11. Considerazioni conclusive.

1. Introduzione

In questo capitolo analizzeremo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti

dell’uomo in merito alle violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo

da parte della Federazione russa, durante il secondo conflitto russo ceceno.

Dopo aver fatto alcune considerazioni generali, approfondiremo il discorso

analizzando le prime tre sentenze emanate dalla Corte europea il 24 febbraio 2005

rispettivamente nei casi Khashiyev e Akayeva c. Federazione russa,

Isayeva,Yusupova e Bazayeva c. Federazione russa e Isayeva c. Federazione russa.

Nei mesi di aprile e maggio 2000, la Corte europea dei diritti dell’uomo è stata

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adita da sei cittadini ceceni contro la Federazione russa, in particolare dal sig.

Khashiyev e dalla sig.ra Akayeva nel primo ricorso; nel secondo dalla sig.ra Isayeva,

dalla sig.ra Yusupova e dalla sig.ra Bazayeva; infine nell’ultimo dalla sig.ra Isayeva.

L’analisi delle seguenti sentenze è importante, non solo per le conclusioni alle quali è

giunta la Corte, ma soprattutto per il fatto che esse rappresentano le prime tre

sentenze con le quali il governo russo è stato condannato a livello internazionale per

le violazioni dei diritti umani compiute nel territorio della Repubblica cecena. In

proposito, è opportuno ricordare che il governo russo ha sempre mancato di

collaborare in maniera effettiva con le organizzazioni internazionali per la difesa dei

diritti umani, così come denunciato dal Comitato per la prevenzione della tortura del

Consiglio d’Europa 199 ed anche dal Segretario Generale del Consiglio d’Europa 200.

La Corte europea dei diritti dell’uomo quindi ha rappresentato il primo organo

internazionale a carattere giurisdizionale che si è pronunciato nel merito.

Il fine di questo capitolo, ed anche del lavoro complessivo, è quello di analizzare

il contributo dato dalla Corte di Strasburgo in merito al caso ceceno, esaminando nel

dettaglio queste tre sentenze e poi, più in generale, la sua giurisprudenza, affinchè si

possano delineare le conseguenze delle sue conclusioni.

2. Il conflitto ceceno: quadro giuridico applicabile

È importante prima di entrare nel merito della questione, cercare di individuare

quale è il quadro giuridico entro il quale la Corte di Strasburgo ha dovuto esprimersi

affinchè si possa comprendere al meglio le circostanze dei fatti e le decisioni prese

dalla Corte.

Il secondo conflitto armato in Cecenia, iniziato nel settembre del 1999, ha visto

contrapporsi l’esercito regolare della Federazione russa ai ribelli ceceni. La Corte di

Strasburgo, riconoscendo sin da subito l’eccezionalità della situazione, ha dichiarato

199 Le dichiarazioni del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e le pene e i trattamenti degradanti ed inumani del 10 luglio 2001 è reperibile in http://www.cpt.coe.int/documents/rus/2001-15-inf-eng.pdf; la dichiarazione del 10 luglio 2003 è reperibile in http://www.cpt.coe.int/documents/ rus/2003-33-inf-eng.pdf; infine quella del del 13 marzo 2007 è reperibile in http://www.cpt.coe.int/ documents/rus/2007-17-inf-eng.pdf. 200 Si veda anche la corrispondenza tra il Segretario Generale del Consiglio d’Europa e il governo russo, ai sensi dell’art. 52 della Convenzione. Nel documento si evidenzia in maniera chiara la mancata collaborazione della Federazione russa con le indagini. Il documento è reperibile in https://wcd.coe.int/ ViewDoc.jsp?id=390787&Site=COE&BackColorInternet=DBDCF2&BackColorIntranet=FDC864&BackColorLogged=FDC8.

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che

« […] the situation that existed in Chechnya at the relevant time called for exceptional measures by the State in order to regain control over the Republic and to suppress the illegal armed insurgency » 201.

La Corte dunque ha sempre ritenuto lecito che lo Stato adottasse delle misure

eccezionali affinché fosse ripristinato l’ordine costituzionale nella Repubblica

cecena. Tuttavia la Federazione russa, non dichiarando né lo stato d’emergenza né

alcuna deroga agli articoli della Convenzione europea, così come previsto dall’

articolo 15, ha considerato le azioni militari in Cecenia rientranti nell’ambito delle

operazioni anti-terroristiche. Il quadro giuridico nel quale la Corte di Strasburgo si è

trovata dunque ad operare è stato quello di un “normal legal background”, così come

affermato dal governo russo 202.

Tuttavia è possibile delineare anche un ulteriore quadro giuridico applicabile alla

Repubblica cecena, derivante dal diritto internazionale umanitario, secondo il quale

la situazione in Cecenia non sarebbe più quello di un “normal legal background”,

come sostenuto dal governo russo, bensì quello di un conflitto armato interno 203. Nel

caso della Repubblica cecena, questi due ambiti giuridici si sono spesso sovrapposti,

tanto che in diverse sentenze della Corte, tra cui quelle da noi esaminate nel presente

capitolo, è stato possibile rinvenire l’applicazione di diversi principi di diritto

internazionale umanitario.

La Corte si è sempre rifiutata di entrare nel merito della questione di

complementarietà di questi due ambiti, evitando così di fare espressamente

riferimento al diritto internazionale umanitario. Tuttavia nei ragionamenti svolti dalla

Corte è possibile riscontrare diversi principi del diritto internazionale umanitario 204.

Questo argomento sarà tuttavia approfondito nel seguito del lavoro, in particolar

modo quando saranno analizzate le sentenze Isayeva, Yusupova e Bazayeva e Isayeva

201 Si veda il par. 180 della sentenza Isayeva c. Federazione russa del 24 febbraio 2005. 202 Ibidem, par. 191. 203 Così come ritenuto dal Comitato contro le torture delle Nazioni Unite nella raccomandazione del 4 novembre 2006, il cui testo è reperibile in http://daccess-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/G07/403/39 /PDF/ G0740339.pdf?OpenElement. 204 Si veda il par. 177, 195,197 e 199 della sentenza Isayeva, Yusupova e Bazayeva c. Federazione russa e il par. 176, 187, 189-191 della sentenza Isayeva c. Federazione russa, entrambe del 24 febbraio 2005. Per una lettura più approfondita delle relazione tra il diritto internazionale umanitario e quello sui diritti umani Cfr. FRANÇOISE HAMPSON IBRAHIM SALAMA, Working Paper on the Relationship between Human Rights Law and International Humanitarian Law, Commission on Human Rights, Sub-Commission on the Promotion and Protection of Human Rights. Il testo in inglese è reperibile in http://daccess-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/ GEN/G05/145/68/PDF/G0514568.pdf?OpenElement.

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c. Federazione russa del 24 febbraio 2005.

3. Una panoramica sulle sentenze

Per avere una visione completa della giurisprudenza della Corte di Strasburgo in

merito alle violazioni della Convenzione da parte della Federazione russa,

analizzeremo in maniera generale le sentenze più importanti emesse da questa dal

2005 fino al 2008. Ci riserviamo tuttavia di compiere un’analisi più dettagliata

riguardante le sentenze relative ai casi Khashiyev e Akayeva; Isayeva, Yusupova e

Bazayeva; Isayeva c. Federazione russa del 24 febbraio 2005. Queste sentenze sono

ritenute da una parte autorevole della dottrina le più importanti poiché, essendo state

le prime emesse dalla Corte, da queste essa ha sviluppato la propria giurisprudenza in

merito 205.

Nelle trentasette sentenze emanate dalla Corte in merito al caso caso ceceno, le

violazioni commesse dall’esercito russo nella Repubblica cecena fanno riferimento al

periodo che va dal 2000 al 2004 206. Tali sentenze sono state tutte emanate dalla

prima sezione della Corte di Strasburgo e molte di esse riguardano l’uccisione di

civili ceceni nel distretto di Staropromyslovsky a Grozny nel gennaio del 2000 207 ed

in quello di Novye Aldy nel febbraio 2000 208; mentre altre riguardano la scomparsa

di civili ceceni nel villaggio di Novye Atagi nel giugno 2002 209. Dall’analisi

compiuta inoltre risulta che vi sono almeno due disposizioni della Convenzione che

sono state violate: in trentaquattro casi su trentasette infatti il governo russo è stato

ritenuto responsabile della violazione del diritto alla vita dei propri cittadini (art. 2) e

205 L’analisi della giurisprudenza della Corte europea si basa sul lavoro svolto dal Prof. Philip Leach della London Metropolitan University. Per una analisi dettagliata si veda Cfr. LEACH PHILIP, The Chechen Conflict: Analysing the Oversight of the European Court of Human Rights in European Human Rights Law Review, 2008, pp. 731-762. 206 Infatti ben ventidue sentenze si riferiscono a fatti successi nel 2000, cinque sono le sentenze che si riferiscono invece a fatti successi nel 2002 ed altre cinque nel 2003; altri quattro casi fanno riferimento a cose accadute nel 2001 mentre solo una si riferisce al 1999. 207 Si vedano in proposito le sentenze Goncharuk; Makhauri; Goygova del 4 ottobre 2007; Khashiyev e Akayeva del 24 febbraio 2005; Medov del 8 novembre 2007; Tangiyeva c. Federazione russa del 29 novembre 2007. Si veda inoltre anche HUMAN RIGHTS WATCH, Civilian Killings in Staropromyslovskiy District of Grozny, 2000. 208 Si veda la sentenza della Corte Musayeva e altri c. Federazione russa del 26 luglio 2007. Si veda anche HUMAN RIGHTS WATCH, February 5: A Day of Slaughter in Novye Aldy, 2000, il cui testo è reperibile In http://www.hrw.org/legacy/reports/2000/russia_chechnya3/; e MEMORIAL, Mopping-Up, Settlement ofNovye Aldy, 2000—Deliberate Crimes against Civilians,Memorial, luglio 2000, ed il cui testo è reperibile in http://www.promolex.md/upload/publications/ro/doc_1257436825.pdf. 209 Si veda la sentenza Imakayeva c. Federazione russa del 9 novembre 2006 e Utsayeva e altri c. Federazione russa del 29 maggio 2008.

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della mancata garanzia ad un ricorso effettivo dinanzi ad un’istanza nazionale (art.

13).

Molte sentenze, riguardanti anche la violazione dell’art. 3 della Convenzione,

presentano diversi elementi comuni con la precedente giurisprudenza della Corte. Ad

esempio, la Corte ha riconosciuto ai ricorrenti di essere rimasti vittima di torture e

maltrattamenti degradanti a causa dell’angoscia e dello shock provati in conseguenza

della morte dei loro familiari. Una tale interpretazione dell’art. 3 della Convenzione

non è una novità per la Corte di Strasburgo, visto che già si espresse in termini

analoghi nelle precedenti sentenze concernenti la Turchia 210. Inoltre così come per

l’art. 2 della Convenzione, anche le accuse di violazione dell’art. 3 hanno dovuto

garantire un elevato standard probatorio, quello che la Corte ha definito “beyond all

reasonable doubt” e che verrà successivamente approfondito nell’analisi delle tre

sentenze successive.

Nella quasi totalità dei casi la Corte di Strasburgo ha criticato fortemente il

governo russo il quale, nonostante la gravità delle accuse fatte dai ricorrenti, avrebbe

condotto, ad avviso della Corte, in maniera totalmente negligente le indagini interne.

Queste infatti, così come confermato dalla Corte, si sono rivelate essere inefficaci,

ingannevoli ed inadeguate e sempre “afflitte da ritardi inspiegabili” 211.

Una caratteristica importante delle indagini inoltre è stata l’incapacità, o la

mancanza di volontà degli investigatori e dei pubblici ministeri di chiamare in

giudizio gli organi dello Stato a rendere conto dei ritardi nelle indagini. Si sono

potute individuare diverse sentenze in cui la richiesta di informazioni alle autorità

statali è avvenuta con significativo ritardo 212, ed in molte occasioni sono state fornite

210 A tal proposito si veda la sentenza Salaman c. Turchia; la sentenza Cakici c. Turchia del 8 luglio 1999; Ertak c. Turchia del 9 maggio 2000; Timurtas c. Turchia del 13 giugno 2000. 211 Si veda il par. 121 della sentenza Bazorkina c. Federazione russa del 27 luglio 2006. La Corte in definitiva, nonostante avesse sottolineato come anche il minimo ritardo nelle indagini poteva essere determinante per individuare i responsabili di così gravi violazioni, così come riportato al par. 85 della sentenza Betayev e Betayeva c. Federazione russa del 20 maggio 2008, ha rinvenuto che queste sono sempre iniziate con un ritardo minimo di qualche giorno fino ad un massimo di qualche anno. A proposito si vedano le sentenze Betayev and Betayeva (5 giorni), Isigova (5 giorni), Akhmadova and Sadulayeva (11 giorni), Elmurzayev (16 giorni), Luluyev (20 giorni), Sangariyeva (20 giorni), Gekhayeva (22 giorni), Ibragimov, (30 giorni), Musayev e altri (1 mese), Kaplanova (1 mese), Estamirov (più di un mese), Musayeva (diversi mesi), Magomadov e Magomadov (più di due mesi), Alikhadzhiyeva (più di due mesi), Baysayeva (più di due mesi), Musayeva e altri (più di due mesi), Khashiyev e Akayeva (3 mesi), Makhauri (3 mesi), Akhiyadova (4 mesi), Isayeva, Yusupova e Bazayeva (6 mesi), Atabayeva (7 mesi), Isayeva (7 mesi), Bazorkina (1 anno e 5 mesi), Goncharuk più di quattro anni), Kukayev (4 anni e 8 mesi). 212 Si vedano le sentenze Atabayeva (più di 2 anni), Aziyevy (più di 4 anni e mezzo), Elmurzayev (durante i primi 6 mesi) c. Federazione russa.

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informazioni sbagliate 213. La Corte di Strasburgo per di più ha individuato in

altrettante sentenze, il mancato porre in essere di indagini effettive anche laddove i

ricorrenti avevano presentato in sede giudiziaria informazioni dettagliate volte a

identificare i militari responsabili delle violazioni 214.

Un altro aspetto da sottolineare riguarda il livello di prova che la Corte ha

richiesto ai ricorrenti affinché potesse rinvenire la responsabilità del governo russo

per le violazioni degli articoli 2 e 3 della Convenzione. Tale criterio, che sarà

approfondito nell’analisi delle prime tre sentenze cecene della Corte, afferma che

uno Stato non può essere ritenuto responsabile per la violazione degli articoli ritenuti

fondamentali della Convenzione, se prima non si riscontrano prove che non lascino il

minimo dubbio alla Corte sulla responsabilità dello Stato 215.

Nelle sentenze analizzate tuttavia, non è stato facile per i ricorrenti ceceni

presentare alla Corte delle prove che risultassero conformi con un tale standard

probatorio, sopratutto perchè il governo russo ha spesso evitato di presentare alla

Corte l’intera documentazione prodotta durante le indagini interne 216. In queste

sentenze la Corte ha rinvenuto un comportamento reiterato nel tempo del governo

russo a non divulgare il materiale investigativo. Comportamento che il governo russo

ha giustificato affermando che il materiale non presentato alla Corte conteneva

segreti militari che non potevano essere rivelati così come le identità degli agenti

federali che hanno preso parte alle operazioni anti-terroristiche. Il governo russo ha

anche affermato che la documentazione fu in parte omessa perchè ritenuta non

pertinente ai fini del giudizio. Da parte sua, la Corte non ha mai riconosciuto al

governo russo il diritto di poter decidere in maniera unilaterale il tipo di

documentazione da presentarle, ritenendolo così in violazione dell’art. 38, par.1 della

213 Ad esempio nella sentenza Estamirov c. Federazione russa del 12 ottobre 2006, le autorità federali comunicarono agli organi giudiziari delle informazioni errate a proposito della morte di un familiare del ricorrente. 214 Si vedano le sentenze Akhmadova e Sadulayeva del 10 maggio 2007, Alikhadzhiyeva del 5 luglio 2007, Aziyevy del 20 marzo 2008, Bazorkina del 20 luglio 2006, Chitayev e Chitayev del 18 gennaio 2007, Khamila Isayeva del 15 novembre 2007, Makhauri del 4 ottobre 2007, Musayev e altri del 20 luglio 2007, Musayeva del 20 luglio 2007, Musayeva e altri del 3 luglio 2008, Sangariyeva del 29 maggio 2008, Makhauri del 4 ottobre 2007, Baysayeva del 5 aprile 2007, Betayev e Betayeva del 25 maggio 2008, Isayeva del 24 febbraio 2005, Isayeva, Yusupova e Bazayeva del 24 febbraio 2005, Sangariyeva del 29 maggio 2008, Elmurzayev del 12 giugno 2008, Luluyev c. Federazione russa del 9 novembre 2006. 215 Si vedano le tre sentenze del 24 febbraio 2005 Khashiyev e Akayeva; Isayeva, Yusupova e Bazayeva; e Isayeva. 216Si vedano le sentenze Aziyevy, Betayev e Betayeva, Elmurzayev c. Federazione russa del 12 giugno 2008, Gekhayeva e altri c. Federazione russa del 29 maggio 2008, Ibragimov e altri c. Federazione russa del 29 maggio 2008 ed infine la sentenza Musayeva e quella Ruslan Umarov del 3 luglio 2008

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Convenzione 217.

È quindi già possibile individuare dei punti in comune tra le sentenze cecene

della Corte, che vanno dalle difficoltà avute dalla Corte per accertare i fatti e valutare

le prove secondo un adeguato standard probatorio alla mancanza di comunicazione

tra il governo russo e la Corte di Strasburgo. Nella maggioranza delle sentenze, la

Corte non ha mai rinvenuto la volontà del governo russo di prendere sul serio

l’obbligo giuridico di svolgere indagini adeguate, così come sancito dall’art. 38, par.

1, della Convenzione. Del resto, la Corte ha rinvenuto la sua violazione in quindici

delle trentasette sentenze analizzate, Ed ha ritenuto che tale violazione dovesse

essere interpretata come indicativa di una politica sistematica del governo russo di

non collaborazione con la Corte di Strasburgo.

4. Le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005

Le tre sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo che andremo ad

analizzare, anche se presentano dinamiche dei fatti diverse, si accomunano per

diversi aspetti. Tutti i ricorrenti hanno denunciato l’uso sproporzionato che l’esercito

russo ha fatto della forza militare. Il governo russo sarebbe di conseguenza

responsabile per la violazione del diritto alla vita dei familiari dei ricorrenti, della

mancata tutela contro la tortura, della mancata tutela dei beni di proprietà dei

ricorrenti ed infine del loro diritto a godere di un ricorso effettivo dinanzi un’istanza

nazionale. Prima di addentrarci nel merito delle violazioni è opportuno riportare i

fatti di ciascuna sentenza, così da contestualizzare le violazioni.

4.1 La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005

nel caso Khashiyev e Akayeva c. Federazione russa

Il presente caso ha avuto origine dal ricorso presentato da due cittadini ceceni, il

sig. Magomed Akhmetovich Khashiyev e la sig.ra Roza Aribovna Akayeva. I due

ricorrenti hanno adito la Corte il 25 maggio e il 20 aprile 2000 contro la Federazione

217 Si veda una per tutti il par. 138 della sentenza Khashiyev e Akayeva c. Federazione russa del 24 febbraio 2005.

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russa, in base all’art. 34 della Convenzione 218. I due sostenevano che i loro parenti

fossero stati torturati e uccisi dai militari dell’esercito federale nel febbraio 2000,

violando così gli art. 2, 3 e 13 della Convenzione. Ad esprimersi nel merito è stata la

prima sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale il 19 dicembre 2002

ha dichiarato ammissibile il ricorso presentato dai ricorrenti ed il 24 febbraio 2005 ha

emesso la sentenza definitiva.

4.1.1 I fatti oggetto del caso

Il sig. Khashiyev viveva nel quartiere di Staropromyslovskiy, a Grozny, e a

causa delle rinnovate ostilità tra gli indipendentisti ceceni e la Federazione russa nel

novembre del 1999, decise di lasciare la città. Anche la sig.ra Akayeva, residente nel

quartiere di Staropromyslovskiy, decise di fuggire da Grozny a causa dei

combattimenti.

Nel dicembre del 1999 l’esercito russo diede inizio alle operazioni militari nella

Repubblica cecena e alla fine del gennaio 2000, ottenne il controllo effettivo su quasi

la totalità della città . Tuttavia rimane ancora incerta la data precisa in cui l’esercito

russo prese il controllo del quartiere di Staropromyslovskiy. I ricorrenti sostenevano

che Grozny, al momento dei fatti, fosse sotto il controllo effettivo dell’esercito russo,

mentre il governo russo riteneva invece che larghe zone della città fossero ancora

nelle mani della resistenza cecena, in particolar modo il quartiere di

Staropromyslovskiy 219.

Il sig. Khashiyev, ritornato a Grozny a fine gennaio, ritrovò il cadavere di sua

sorella insieme a quello del nipote e del fratello della sig.ra Akayeva, riversi a terra

nel cortile di casa 220. I corpi dei loro familiari presentavano ferite d’arma da fuoco e

diverse contusioni, in particolare sul corpo della sorella di Khashiyev furono

218 L’art. 34 della Convenzione stabilisce che « La Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga di essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto ». 219 Dagli inizi di febbraio diverse organizzazioni internazionali sui diritti umani iniziarono a documentare le esecuzioni sommarie da parte delle forze armate russe dei cittadini ceceni a Grozny. Cfr. HUMAN RIGHTS WATCH, Civilian Killings in Staropromyslovski District of Grozny. Il report è reperibile in http://www.hrw.org/legacy/reports/2000/russia_chechnya/. Cfr. AMNESTY INTERNATIONAL, Russian Federation: Chechnya. For the Motherland, Reported graves breachesof international humanitarian law. Persecution of ethnic Chechens in Moscow Il report è reperibile in http://www.amnesty.org /en/library/info/EUR46/046 /1999. 220 Par. 17 della sentenza della Corte.

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rinvenute 19 coltellate, la rottura di entrambe le braccia e delle gambe, insieme con

l’asportazione di alcuni denti 221. Il corpo del fratello della sig.ra Akayeva invece

presentava altrettante ferite da arma da fuoco e da taglio e la mascella rotta 222.

Infine, i tribunali interni, nonostante riconobbero al sig. Khashiyev un

risarcimento economico ritenendo l’esercito responsabile per le morti dei loro

familiari, non furono in grado di individuare i militari responsabili delle violazioni.

Pertanto i ricorrenti accusarono il governo russo anche della violazione dell’art. 13

della Convenzione per non aver garantito ai ricorrenti il diritto ad un ricorso effettivo

davanti ad un’istanza nazionale 223.

4.2 La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005

nel caso Isayeva, Yusupova e Bazayeva c. Federazione russa

Il caso in questione ha avuto origine dai ricorsi presentati da tre cittadini ceceni,

la sig.ra Medka Chuchuyevna Isayeva, la sig.ra Zina Abdulayevna Yusupova e la

sig.ra Libkan Bazayeva, contro la Federazione russa, rispettivamente il 25, 27 e 26 di

aprile 2000. I ricorrenti affermavano che la Federazione russa, in seguito al

bombardamento aereo di un convoglio civile vicino Grozny il 29 ottobre 1999, aveva

violato gli articoli 2, 3, 13 e 1 del primo Protocollo della Convezione. Durante il

bombardamento erano rimasti uccisi i bambini della sig.ra Medka Chuchuyevna

Isayeva, mentre la sig.ra Zina Abdulayevna Yusupova e la sig.ra Libkan Bazayeva

erano rimaste ferite e l’ultima aveva perso tutti i beni di sua proprietà. Ad esprimersi

nel merito è stata la prima sezione della Corte che ha ritenuto il caso ammissibile il

19 dicembre 2002 pronunciandosi il 24 febbraio 2005.

4.2.1 I fatti oggetto del caso

I ricorrenti affermavano che l’esercito russo aveva annunciato, il 25 ottobre

221 Par. 19 della sentenza, si veda la parte in cui si afferma che « The first applicant submits that the bodies of his relatives bore marks of numerous stab and gunshot wounds and bruises, and that some bones were broken. In particular, the body of Lidiya Khashiyeva had 19 stab wounds, her arms and legs were broken and teeth were missing ». 222 Cfr. ABDEL-MONEM TARIK, Chechens win First Claims in the European Court of Human Rights in Khashiyev & Akayeva v. Russia, in Cornell International Law Journal, 2006, pp. 171- 180, in part. 172. 223 Si vedano i par. 28-44 della sentenza.

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1999, l’apertura di un corridoio umanitario, così da permettere ai civili di evacuare

Grozny, ormai sotto continui bombardamenti, rifugiandosi nella confinante

Repubblica di Inguscezia. Il 29 ottobre 1999, le tre ricorrenti lasciarono la città diretti

verso Nazran in Inguscezia, passando attraverso il corridoio umanitario organizzato

dall’esercito russo. Queste furono fermate, insieme agli altri rifugiati, poco prima del

confine con l’Inguscezia al posto di blocco “Kavkaz-1” dallo stesso esercito russo.

Gli ufficiali dell’esercito presenti sul posto dichiararono che per ragioni di sicurezza

il corridoio umanitario sarebbe rimasto chiuso fino al giorno dopo, ed ordinarono lo

sgombero immediato dell’area. Durante le manovre, due aerei dell’aviazione russa

bombardarono il convoglio civile, provocando diversi morti e numerosi feriti. In

seguito al bombardamento la sig.ra Isayeva perse i suoi due bambini e sua sorella,

mentre lei rimase ferita ad un braccio. Anche la sig.ra Yusupova rimase ferita

dall’esplosione; mentre la sig.ra Basayeva, pur ferita, riuscì ad allontanarsi dal

convoglio poco prima che gli aerei facessero di nuovo fuoco, distruggendole la

macchina e gli altri beni di sua proprietà. Durante i bombardamenti rimasero uccisi

16 civili (tra cui due operatori della Croce rossa internazionale) e 11 persone

rimasero ferite. Il governo russo aveva ritenuto l’attacco legittimo, sostenendo che i

due aerei dell’aviazione russa erano stati precedentemente attaccati dai ribelli ceceni

che si erano nascosti nel convoglio di civili.

I ricorrenti adirono gli organi giudiziari interni, i quali però non furono in grado

di individuare i responsabili del bombardamento 224. Di conseguenza, i ricorrenti

ricorsero alla Corte di Strasburgo per lamentare le violazioni subite degli articoli 2, 3

e 13 della Convenzione da parte della Federazione russa; alle quali si aggiunse anche

la violazione dell’art. 1 del primo Protocollo della Convenzione per la distruzione dei

beni privati della terza ricorrente.

4.3 La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 febbraio 2005

nel caso Isayeva c. Federazione russa

Il caso Isayeva ha avuto origine dal ricorso presentato innanzi la Corte di

Straasburgo dalla sig.ra Zara Adamovna Isayeva il 27 aprile 2000. La ricorrente 224 Si veda il par. 40 della sentenza, in cui il procuratore militare del Caucaso del Nord sottolineò per di più l’assenza del corpus delicti nelle azioni dei piloti.

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lamentava la violazione dell’art. 2 e dell’art. 13 della Convenzione da parte della

Federazione russa, per le morti del figlio e dei suoi tre nipoti, avvenute il 4 febbraio

2000. Il ricorso è stato ritenuto ammisibile il 19 dicembre 2000 dalla prima sezione

della Corte, la quale si è espressa con sentenza definitiva il 24 febbraio 2005.

4.3.1 I fatti oggetto del caso

I ribelli ceceni, in seguito ai continui scontri e dopo essere stati circondati

dall’esercito russo, occuparono il 4 febbraio 2000 il villaggio di Katyr-Yurt 225, che

fu bombardato dalle prime ore della mattina fino al primo pomeriggio quando

l’esercito permise agli abitanti del villaggio di allontanarsi dalle loro abitazioni. La

ricorrente affermava che, giunti in strada gli aerei russi iniziarono a bombardare il

convoglio, provocando la morte del figlio e dei tre nipoti 226.

Da parte sua, il governo russo aveva dichiarato che l’intervento aereo si era reso

necessario per catturare i ribelli ceceni e il ricorso all’uso della forza era stato

proporzionato all’obiettivo perseguito. Inoltre esso dichiarò che erano state prese

anche tutte le misure di sicurezza per garantire l’incolumità della popolazione civile,

organizzando un corridoio umanitario per permettere l’evacuazione dal villaggio 227.

Infine, secondo la versione fornita dal governo, la responsabilità per le numerose

perdite di civili era da attribuire ai ribelli ceceni dal momento che erano stati loro ad

impedire alla popolazione civile di evacuare il villaggio 228.

Le indagini nazionali, nonostante avessero confermato la versione dei fatti dei

ricorrenti, erano state archiviate per la mancanza del corpus delicti, ritenendo le

azioni militari dell’esercito russo legittime, poiché compiute in risposta agli attacchi

della resistenza cecena.

La ricorrente, nel caso di specie, aveva denuciato la violazione dell’art. 2 e

dell’art. 13 della Convenzione, ritenendo l’esercito russo responsabile della morte dei

225 Par. 15 della sentenza Isayeva c. Federazione russa. Il testo completo della sentenza è reperibile in http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=2&portal=hbkm&action=html&highlight= Isayeva&sessio nid=45266654&skin=hudoc-fr. 226 Par. 18 della sentenza. 227 Par. 25 della sentenza. La Corte ha riportato che secondo il governo i civili furono avvisati tramite la radio e tramite due altoparlanti montati su due elicotteri Mi-8. 228 Ibidem.

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suoi familiari in seguito del bombardamento del villaggio e il governo russo

responsabile per non avere garantito un ricorso giuridico effettivo a livello nazionale.

Anche in questa sentenza la ricorrente, come nella sentenza Isayeva, Yusupova e

Bazayeva, aveva citato il rapporto presentato dalla organizzazione non governativa

statunitense Rights International, nel quale si ricordava alla Corte la necessità di

tenere in considerazione le principali norme di diritto internazionale umanitario, al

fine di giudicare l’uso della forza armata nei confronti dei c.d. obiettivi misti, ovvero

obiettivi in cui sono presenti sia civili che militari, durante un conflitto armato

interno, come era quello ceceno 229.

5. Le obiezioni preliminari

In tutte e tre le sentenze il governo russo ha sempre espresso le medesime

obiezioni preliminari, affermando che la mancanza dell’esaurimento dei ricorsi

interni da parte dei ricorrenti avrebbe impedito loro di adire la Corte europea dei

diritti dell’uomo, sulla base dell’art. 35, par. 1 della Convenzione 230.

In ciascuna sentenza, il governo ha affermato che fu comunque garantito a tutti i

cittadini ceceni il diritto ad un ricorso effettivo davanti un’istanza giudiziaria interna,

nonostante le Corti cecene avessero effettivamente cessato ogni attività giudiziaria

nel 1996. Esso ha fatto infatti riferimento alla possibilità di adire sia i tribunali delle

Repubbliche confinanti sia la Corte Suprema la quale svolgeva in quel periodo anche

le funzioni di tribunale di primo grado per le cause civili. Tuttavia ha confermato

anche che nel 2001 le Corti giudiziare in Cecenia ripresero a funzionare

correttamente e poterono essere perciò adite 231 .

Da parte loro, invece, i ricorrenti hanno affermato che i ricorsi legislativi

giurisdizionali interni messi a disposizione dal governo, dovevano considerarsi

229 Par. 167 della sentenza. In tal caso si faceva riferimento all’art. 3 della prima Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, il cui testo è reperibile in http://www.icrc.org/ihl.nsf/7c4d08d9b287a421412 56739003e636b/fe20c3d903ce27e3c125641e004a92f3. 230 L’art. 35, par. 1 recita che « La Corte non può essere adita se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne, come inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva ». 231 Parr. 100-102 della sentenza Khashiyev e Akayeva c. Federazione russa. Il governo russo infatti ricordò alla Corte come i due ricorrenti avessero adito sia il Tribunale distrettuale della città di Malgobek tra il febbraio e l’aprile del 2000 sia il Tribunale distrettuale di Nazran, il quale aveva riconosciuto al sig. Khashiyev, il 26 febbraio 2003, un risarcimento economico per la morte dei suoi familiari.

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ingannevoli, inadeguati e inefficaci 232. Le violazioni infatti erano state perpetrate da

agenti federali 233, i quali avevano agito in base alla legge federale anti-terroristica 234. Tale legge, nonostante limitasse fortemente i diritti individuali garantiti dalla

Costituzione federale, non prevedeva nessun tipo di tutela giuridica per i cittadini

vittime di abusi di potere dell’esercito federale. Inoltre il governo russo non adottò

nessun provvedimento per evitare, nonostante ne fosse a conoscenza, il potenziale

rischio di violazione su vasta scala dei diritti umani. In aggiunta, tutti i ricorrenti

avevano fatto presente alla Corte l’esistenza all’interno della Federazione russa, di

una pratica reiterata degli organi giudiziari federali di non indagare sugli abusi

commessi dall’esercito e dalle forze dell’ordine, come del resto testimoniato da

numerose organizzazioni non governative e dallo stesso Consiglio d’Europa 235.

La Corte ha ritenuto che i rimedi predisposti dalla legislazione russa fossero da

considerarsi ingannevoli, inadeguati e inefficaci dal momento che non

soddisfacevano i requisiti di effettività espressi dalla Corte di Strasburgo nella sua

passata giurisprudenza. A giudizio dei giudici europei, infatti, la Corte Suprema

federale ed i tribunali interni si erano limitati a concedere un risarcimento economico

senza condannare i responsabili delle violazioni 236.

5.1 Il ragionamento della Corte: le obiezioni preliminari

In merito all’obiezione preliminare presentata dal governo russo, la Corte di

Strasburgo ha anzitutto riconosciuto lecito il ricorso dei ricorrenti ritenendo che i

ricorsi interni non possedessero il requisito dell’efficacia. La Corte ha in ogni caso

deciso di verificarne l’efficacia sulla base delle disposizioni della Convenzione,

232 Il par. 104 della sentenza Khashiyev e Akayeva, il par. 140 della sentenza Isayeva e il par. 132 della sentenza Isayeva, Yusupova e Bazayeva, riportarono che « […] the remedies referred to by the Government would be illusory, inadequate and ineffective ». 233 Par. 105-109 della prima sentenza, par.133-137della seconda e 141-150 della terza. 234 Per la lettura del testo della legge federale in questione si veda in http://www.fas.org/irp/world /russia/docs law_980725.htm. 235 Par. 109 della prima sentenza, par. 137 della senconda e par. 145 della terza. 236 Par. 110-114 della prima sentenza, par. 138-142 della seconda e par. 146-150 della terza. I ricorrenti hanno invocato in tutte e tre le sentenza un’altra sentenza della Corte di Strasburgo, quella di Akdivar e altri c. Turchia del 30 agosto 1996. Secondo la Corte un ricorso è effettivo quando è « capable of providing redress in respect of the applicant's complaint and offered reasonable prospects of success » 236. In questa sentenza, la Corte affermò che un ricorso ad un organo giudiziario interno può considerarsi effettivo solo quando è accessibile dal ricorrente ed offre ragionevoli prospettive di successo.

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ritenendo che le accuse mosse dai ricorrenti fossero eccessivamente legate ai fatti in

questione 237.

Ricordando la disposizione contenuta nell’art. 35 della Convezione 238, la Corte

ha ritenuto che questa dovesse essere interpretata “with some degree of flexibility” e

senza un eccessivo formalismo 239 nella misura in cui si doveva tener conto del

contesto nel quale era applicato, quello cioè della protezione dei diritti umani. Inoltre

la Corte ha fatto presente che al momento in cui ha ritenuto il ricorso ricevibile,

nessun tribunale russo si era espresso in merito al caso in questione 240, osservando

quindi come gli organi giudiziari interni non erano stati in grado di svolgere delle

indagini indipendenti che mirassero ad individuare i colpevoli delle violazioni della

Convenzione 241. Secondo la Corte dunque, dal momento che un cittadino russo non

poteva godere di un ricorso effettivo interno, i ricorrenti non erano obbligati ad

esaurire i rimedi interni, potendo adire la Corte europea.

6. La violazione dell’art. 2 della Convenzione europea

In tutte e tre le sentenze analizzate i ricorrenti hanno denunciato la violazione

dell’art. 2 della Convenzione da parte del governo russo: nel primo caso per la

intenzionalità con la quale l’esercito russo provocò la morte dei familiari dei

ricorrenti, nel secondo e nel terzo, invece, perché i bombardamenti dell’aviazione

russa furono sproporzionati all’obiettivo perseguito 242.

237 Par. 115 della prima sentenza sentenza, par. 143 della seconda e par. 151 della terza sentenza, in cui la Corte afferma che « In the present case the Court made no decision about exhaustion of domestic remedies at the admissibility stage, having found that this question was too closely linked to the merits ». 238 L'art. 35, par. 1, della Convenzione afferma che « La Corte non può essere adita se non dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interne, come inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva ». 239 Par. 145 della prima sentenza, par. 145 della seconda sentenza e par. 152 della terza sentenza. 240 Par. 147 della sentenza. 241 Ibidem. 242 Nella prima sentenza, i ricorrenti hanno dichiarato che i loro familiari erano stati deliberatamente uccisi dai soldati dell’esercito federale, e che esistevano prove sufficientemente valide per provarlo, soddisfacendo così lo standard probatorio stabilito dalla Corte. In particolar modo, in ricorrenti hanno basato le proprie accuse sulle dichiarazioni di testimoni oculari che videro per l’ultima volta i loro familiari arrestati dalle forze armate russe il 19 gennaio 2000. I loro corpi furono ritrovati in seguito con ferite d’arma da fuoco e con evidenti segni di percosse su tutto il corpo. A supporto della loro tesi, i ricorrenti hanno sostenuto come all’inizio del 2000, gli atti di tortura e le esecuzioni extragiudiziali da parte dei soldati dell’esercito russo fossero una pratica molto diffusa a Grozny. Da parte sua il governo ha sostenuto che le circostanze in presenza delle quali i familiari dei ricorrenti erano deceduti, non fossero ancora state chiarite. A tal proposito, il governo aveva avanzato anche delle ipotesi alternative, secondo le quali i familiari dei ricorrenti sarebbero rimaste vittime dei combattenti ceceni, come punizione per non essersi uniti alle forze armate irregolari; oppure sarebbero caduti in seguito ad uno scontro a fuoco contro le truppe dell’esercito federale, poiché ritenuti membri della resistenza armata cecena. Infine, il

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I ricorrenti non solo hanno lamentato la violazione dell’art. 2 della Convenzione,

ma anche l’insufficienza con la quale le indagini furono poste in essere dalle autorità

federali. La Corte di Strasburgo in tutte e tre le sentenze è giunta alla medesima

conclusione, ritenendo il governo russo responsabile della violazione dell’art. 2 della

Convenzione 243.

In merito alla sua incapacità di assicurare il diritto alla vita, la Corte di

Strasburgo, facendo riferimento alla sua precedente giurisprudenza, ha affermato che

il diritto alla vita rappresenta uno dei diritti fondamentali della Convenzione europea

e che, considerata la gravità delle presunte violazioni, le accuse dovrebbero essere

valutate in maniera dettagliata, stando attenti alle circostanze del caso 244. In

proposito, la Corte ha precisato che le prove addotte dai ricorrenti dovevano

presentare un determinato standard probatorio affinché potessero essere prese in

considerazione. La Corte, richiamando la propria giurisprudenza, ha affermato che

« As to the facts that are in dispute, the Court recalls its jurisprudence confirming the standard of proof “beyond reasonable doubt” in its assessment of evidence. Such proof may follow from the coexistence of sufficiently strong, clear and concordant inferences or of

governo russo aveva sostenuto anche che i presunti illeciti commessi dai soldati russi, non sarebbe nient’altro che opera della propaganda rivoluzionaria cecena, volta a screditare l’operato delle forze armate russe in Cecenia. Si veda a proposito i par. 126-129. Nella seconda sentenza invece i ricorrenti hanno affermato che l’organizzazione e la pianificazione delle operazioni militari violarono l’art. 2 della Convenzione poiché il bombardamento fu ritenuto volontario, poiché i militari furono a conoscenza della massiccia presenza di civili nell’area. I ricorrenti hanno denunciato anche come non fosse stato rispettato nemmeno il criterio di proporzionalità tra l’uso della forza militare e l’obiettivo perseguito dall’esercito, considerandolo così un attacco indiscriminato, in violazione dell'art. 3 della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949. Da parte sua il governo russo non aveva negato che la causa della morte dei familiari della prima ricorrente e il ferimento della seconda e della terza ricorrente fossero state causate dal bombardamento del convoglio. Tuttavia riteneva che il bombardamento dovesse considerarsi legittimo dal momento che era stato compiuto in risposta ad un attacco dei ribelli ceceni nascosti nel convoglio. In proposito, il governo aveva precisato che ad essere bombardati erano stati solo i due camion dei ribelli ceceni e che le morti causate tra i civili erano avvenute a causa dell’esplosione dei camion. Il governo riteneva inoltre che le uccisioni potessero rientrare nell’ipotesi prevista all’art. 2, par. 2, della Convenzione europea nella misura in cui i piloti dell’aviazione aerea avevano utilizzato la forza armata per difendere i cittadini ceceni dalla minaccia rappresentata dai ribelli. A tal proposito si vedano i par. 155-160. Nella terza sentenza la ricorrente ha affermato anch’essa che l’uso della forza militare non era da ritenersi né strettamente necessario, né strettamente proporzionale all’obiettivo perseguito. Il governo ha rigettato le accuse, poiché ha ritenuto che le azioni dell’esercito russo furono poste in essere nel rispetto della normativa interna nazionale. Il governo ha argomentato che l’attacco militare e le conseguenze che ne sono derivate, rientrerebbero nella disposizione dell’art. 2, par. 2 della Convenzione, secondo il quale in tali circostanze l’uso della forza sarebbe considerato assolutamente necessario per la protezione della popolazione civile. Infine ha concluso dicendo che i cittadini di Katyr-Yurt furono adeguatamente avvisati dall’esercito federale della possibilità di abbandonare il villaggio attraverso un corridoio umanitario messo a disposizione dall’esercito stesso. A tal proposito si vedano i par. 163-171. 243 Par. 147 per la prima sentenza, par. 200 per la seconda e par. 201 per la terza. 244 A tal proposito si veda il par. 30 della sentenza Salaman c. Turchia del ; il par. 85 della sentenza Cakici c. Turchia del 8 luglio 1999; Ertak c. Turchia del 9 maggio 2000; Timurtas c. Turchia del 13 giugno 2000; Irlanda c. Regno Unito del 18 gennaio 1978 e McKerr c. Regno Unito del 4 maggio 2001.I testi delle sentenze sono reperibili in http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/search.asp?sessionid=4761 4062&skin=hudoc-fr.

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similar unrebutted presumptions of fact. In this context, the conduct of the parties when evidence is being obtained has to be taken into account » 245.

La Corte ha affermato che, sulla base della propria giurisprudenza, solo qualora

le accuse fatte dai ricorrenti fossero state sufficientemente forti, chiare e concordanti

tra loro, si sarebbe potuto continuare nel giudizio 246.

Infine la Corte di Strasburgo si è espressa anche in merito alla violazione degli

obblighi positivi derivanti dall’art. 2 letto in congiunzione con l’art. 1 della

Convenzione, che prevedono l’obbligo per gli Stati di porre in essere delle indagini

ufficiali ed effettive in caso di morte di individui avvenuta in conseguenza dell’uso

della forza 247. Secondo la Corte, il governo avrebbe dovuto condurre direttamente le

indagini finalizzandole all’effettiva individuazione dei responsabili delle violazioni.

In tutte e tre le sentenze la Corte ha ritenuto le indagini insufficienti o incomplete

poiché iniziarono o con eccessivo ritardo o perché furono sospese senza un’eccessiva

giustificazione 248.

6.1 La violazione dell’art. 2 della nel caso Khashiyev e Akayeva

Al fine di valutare la fondatezza delle denunce dei ricorrenti e in considerazione

della natura delle accuse, nella prima sentenza la Corte, ha invitato la Federazione

russa a presentare in sede giudiziaria l’intera documentazione prodotta durante i

245 Par. 134 della sentenza. Corsivo aggiunto. 246 La Corte europea dei diritti dell’uomo a tal proposito ha citato due sue passate sentenze: la sentenza Avsar c. Turchia del 10 luglio 2001, par. 382, in cui la Corte afferma che « In assessing evidence, the Court adopts the standard of proof “beyond reasonable doubt”. Such proof may follow from the coexistence of sufficiently strong, clear and concordant inferences or of similar unrebutted presumptions of fact. In this context, the conduct of the parties when evidence is being obtained has to be taken into account ». Il testo della sentenza è reperibile in http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=1& portal=hbkm&action=html&highlight=Avsar%20%7C%20v.%20%7C%20Turkey&sessionid=42992653&skin=hudoc-fr. e anche la sentenza Ireland v. the United Kingdom del 18 gennaio 1978, par. 161, in cui si afferma che « The Commission based its own conclusions mainly on the evidence of the one hundred witnesses heard in, and on the medical reports relating to, the sixteen “illustrative” cases it had asked the applicant Government to select. The Commission also relied, but to a lesser extent, on the documents and written comments submitted in connection with the “41 cases” and it referred to the numerous “remaining cases” (see paragraph 93 above). As in the “Greek case” (Yearbook of the Convention, 1969, The Greek case, p. 196, para. 30), the standard of proof the Commission adopted when evaluating the material it obtained was proof “beyond reasonable doubt” ». Il testo della sentenza è reperibile in http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=1&portal=hbkm&action=html&highlight=Ireland%20%7C%20v.%20%7C%20the%20%7C%20United%20%7C%20Kingdom&sessionid=42992784&skin=hudoc-en. 247 Par. 153 della prima sentenza, par. 208 della seconda e par. 209 della terza. 248 Si veda il par. 157 della prima sentenza, il par. 214 della seconda e il par. 216 della terza, in cui il ritardo con il quale iniziarono le indagini nonché il loro fallimento nell’individuare i responsabili delle violazioni fu inaccettabile dalla Corte. Cfr. HORTAL CERVELL MARIA JOSÉ, Chechenia vs. Russia: El triunfo de los derechos humanos (A propòsito de tres sentencias del tribunal europeo de derechos humanos de 24 febrero de 2005), in Anuario de Derecho International, 2005, pp. 477-491.

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ricorsi interni. Il governo russo tuttavia, ha presentato solo due terzi della

documentazione prodotta, violando così l’obbligo di fornire tutte le facilitazioni

previste dall’art. 38 della Convenzione 249.

Entrando nel merito, la Corte ha dovuto per questa ragione analizzare i fatti e le

documentazioni presentate alla Corte dalle parti in causa e valutare se il governo

russo potesse essere ritenuto responsabile per le morti dei familiari dei ricorrenti.

Nonostante nessuna inchiesta fosse stata portata a termine e i responsabili non

fossero stati indentificati, è emerso dal fascicolo dell’inchiesta penale che l’unica

versione dei fatti considerata attendibile e veritiera era stata quella avanzata dai

ricorrenti 250. Infatti le corti interne, alle quali i ricorrenti si rivolsero, constatarono

che poiché il distretto di Staropromyslovskiy dove vivevano le vittime, era all’epoca

dei fatti sotto il controllo effettivo delle forze federali e che gli omicidi erano

avvenuti durante un’ispezione militare, i responsabili non potevano che essere i

soldati dell’esercito russo. Inoltre la Corte ha osservato che

« Where the events in issue lie wholly, or in large part, within the exclusive knowledge of the authorities, as in the case of persons within their control in detention, strong presumptions of fact will arise in respect of injuries and death occurring during that detention. Indeed, the burden of proof may be regarded as resting on the authorities to provide a satisfactory and convincing explanation » 251.

La Corte ha ritenuto che poiché il governo russo era l’unico ad essere a

conoscenza dei fatti, era su di esso che gravava un fondato sospetto di responsabilità

per i maltrattamenti e le morti accadute ai familiari dei ricorrenti posti sotto la sua 249 L’art. 38, par. 1 della Convenzione afferma che « Quando dichiara che il ricorso è ricevibile, la Corte […] prosegue líesame della questione in contraddittorio con i rappresentanti delle Parti e, se del caso, procede ad uníinchiesta per il cui efficace svolgimento gli Stati interessati forniranno tutte le facilitazioni necessarie ». Si veda inoltre i parr. 136-137 della sentenza in cui la Corte ha affermato che la restante parte del materiale d’indagine non era stato presentato in sede di giudizio, poiché sarebbe risultata secondo il governo russo giuridicamente non importante. La Corte decise di proseguire lo stesso nel proprio giudizio, nonostante la mancata collaborazione della Federazione russa con la Corte. A tal proposito la Corte ha ricordato anche la propria giurisprudenza passata, citando il par. 70 della sentenza Tanrikulu c. Turchia del 8 luglio 1999, in cui si è affermato che « The Court would observe that it is of the utmost importance for the effective operation of the system of individual petition instituted under former Article 25 of the Convention (now replaced by Article 34) not only that applicants or potential applicants should be able to communicate freely with the Convention organs without being subject to any form of pressure from the authorities, but also that States should furnish all necessary facilities to make possible a proper and effective examination of applications (see former Article 28 § 1 (a) of the Convention, which concerned the fact-finding responsibility of the Commission, now replaced by Article 38 of the Convention as regards the Court’s procedures) ». Il testo della sentenza è reperibile in http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=2&portal=hbkm&action= html&highlight=Tanrikulu&sessionid=47614062&skin=hudoc-fr. 250 Parr. 142-144 della sentenza. La Corte ha anche preso in considerazione le relazioni delle organizzazioni internazionali che sono state presentate in sede giudiziaria, le quali sostenevano la versione presentata dai ricorrenti. 251 Par. 133 della sentenza. Corsivo aggiunto.

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custodia. Inoltre, il governo russo avrebbe dovuto fornire delle spiegazioni

soddisfacenti ed esaurienti alla Corte 252.

In conclusione, la Corte, sulla base delle informazioni in suo possesso e dopo

aver osservato che il governo russo non aveva fornito alcun tipo di spiegazione in

merito alle circostanze dei fatti, ha ritenuto che i decessi dei familiari dei ricorrenti

fossero stati commessi dall’esercito russo. Pertanto essa ha ritenuto il governo russo

responsabile della violazione dell’art. 2 della Convenzione.

6.2 La violazione dell’art. 2 nel caso Isayeva, Yusupova e Bazayeva

In merito alla violazione dell’art. 2 della Convenzione, la Corte europea dei

diritti dell’uomo ha ascoltato a favore dei ricorrenti anche alcune dichiarazioni della

ong americana Rights International, la quale, riferendosi alla sentenza Banković e

altri c. Belgio e 16 altri Paesi contraenti, ha dichiarato che la Corte, nell’interpretare

la Convenzione, avrebbe dovuto tener conto di tutte le norme di diritto internazionale

umanitario che regolano i conflitti armati interni e che disciplinano lo status dei

combattenti e quello dei civili 253. In particolare, secondo il rapporto presentato dalla

ong, si doveva anzitutto applicare al caso ceceno l’art. 3 della prima Convenzione di

Ginevra del 1949 254, in base al quale, in caso di conflitto armato interno, le parti

contraenti la Convenzione si impegnano al rispetto di un trattamento umano alle

persone partecipanti alle ostilità, con particolare riferimento al divieto della violenza

sugli individui, sui bambini, ed imponendo il divieto a mutilazioni e a trattamenti

degradanti.

252 Si veda la sentenza Salman c. Turchia del 27 giugno 2000, par. 100; la sentenza Çakici c. Turchia del 8 luglio 1999, par. 85; la sentenza Ertak c. Turchia del 9 maggio 2000, par. 32; ed infine la sentenza Timurtaş c. Turchia del 13 giugno 2000, par. 82. in cui si afferma che « In assessing evidence, […] Where the events in issue lie wholly, or in large part, within the exclusive knowledge of the authorities, as in the case of persons within their control in custody, strong presumptions of fact will arise in respect of injuries and death occurring during such detention. Indeed, the burden of proof may be regarded as resting on the authorities to provide a satisfactory and convincing explanation ». I testi delle sentenze sono reperibili in http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/portal.asp?sessionId=42992653&skin=hudoc-fr& action=request. 253 Par. 161 della sentenza. 254 Il quale sancisce che « In the case of armed conflict not of an international character occurring in the territory of one of the High Contracting Parties, each Party to the conflict shall be bound to apply, as a minimum, the following provisions: (1) Persons taking no active part in the hostilities […] shall in all circumstances be treated humanely […] To this end the following acts are and shall be prohibited at any time and in any place whatsoever with respect to the above mentioned persons: (a) violence to life and person in particular murder of all kinds, mutilation, cruel treatment and torture […] » . Il testo in inglese della Convenzione è reperibile in http://www.icrc.org/ihl.nsf/7c4d08d9b287a42141256739003e636b/fe 20c3d90 3ce27e3c125641e004a92f3.

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Così come già ribadito nella sentenza precedente, la Corte ha riaffermato il

valore fondamentale che l’art. 2 ricopre all’interno della Convenzione, andando a

verificare se le operazioni militari compiute dall’esercito russo fossero state

pianificate e organizzate in modo da provocare il minor numero di vittime tra i civili

e se le autorità federali fossero state negligenti nella scelta delle loro azioni 255.

La Corte, considerando le circostanze “eccezionali” entro le quali il conflitto in

Cecenia ha avuto luogo, ha ritenuto lecito la decisione del governo russo di adottare

delle misure altrettanto eccezionali per riportare l’ordine costituzionale nella regione 256. Tuttavia la Corte non ha mancato di sottolineare come la sua capacità di

effettuare una valutazione sulla legittimità del bombardamento fosse stata fortemente

ostacolata dalla mancanza di informazioni ricevute da parte del governo russo 257.

La Corte ha dapprima valutato se il bombardamento dell’esercito russo potesse

rientrare nelle eccezioni previste dall’art. 2, par. 2, della Convenzione così come

ritenuto dal governo. Quest’ultimo aveva affermato che le vittime tra i civili erano

state causate dalla loro prossimità agli obiettivi colpiti dai piloti, i quali non

avrebbero visto il convoglio se non solo dopo aver lanciato i primi missili. La Corte

non ha accettato tale versione dei fatti escludendo il danno accidentale poiché anche

255 Par. 171 della sentenza. 256 Par. 178 della sentenza. 257 Il governo russo infatti non ha portato a conoscenza la Corte né di come l’operazione militare fosse stata organizzata e pianificata, né se si fossero calcolati i potenziali danni ai civili. Le versioni rilasciate dai due piloti e dal controllore del traffico aereo russo risultarono inattendibili e costruite, infatti si veda al par. 179 della sentenza, in cui si afferma che « These testimonies were collected in October and December 2000, i.e. over a year after the attack. They are incomplete and refer to other statements made by these witnesses during the course of the investigation, which the Government failed to disclose. They are made in almost identical terms and contain a very brief and incomplete account of the events. Their statements quoted in the document of 5 May 2004 submit a somewhat different account of the circumstances of the attack at the planes from the trucks, the height from which the pilots fired at the first truck and the presence of other vehicles on the road (see §§ 90-97). In the absence of all the pilots' statements and lack of explanation of the obvious inconsistencies contained in them the Court puts into question the credibility of their statements ». Si veda inoltre ai parr. 79-82 che « The air controller identified […] submitted that on the evening on 28 October 1999 he was informed […] about an aviation mission for the following day. The mission was to prevent the movement along the road towards Grozny of heavy vehicles, possibly carrying weapons, fighters and other supply equipment for the “illegal armed groups” defending the city. On the same evening he informed two pilots of the mission. Neither on 28-29 October 1999, nor later, until the questioning, had he been informed of a “humanitarian corridor” for civilians […] ». Entrambi i piloti hanno invece affermato che « On the road near Shaami-Yurt, about 100 metres from the bridge, he observed a dark-green Kamaz truck with a canvass cover. He descended from 1500 metres to 200 metres for a closer look. The pilot could see the truck very clearly, was certain of its mark and was sure that it did not bear any signs of the Red Cross. When asked, he responded that had he seen the Red Cross signs, he would not have fired at the vehicle. He was also certain that there were no other vehicles on the road at that time. The wingman reported fire from the truck, and the pilot requested the ground controller's permission to open fire. Permission was granted […] at the crossroads near the village of Kulary he noted a second solitary Kamaz truck, also dark-green, and a group of armed persons dressed in camouflage near it, firing at the planes with sub-machine guns. […] No other cars were on the road at the time. On 10 October 2000 a pilot identified as “Petrov” was questioned as a witness. […] He repeated, almost word for word, the first pilot’s submissions about the circumstances of the attack on 29 October 1999 ». Corsivo aggiunto.

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altri veicoli erano stati direttamente colpiti, come ad esempio quello della Croce

Rossa internazionale. Inoltre gli stessi operatori della Croce Rossa affermarono che il

bombardamento durò in maniera continuata per circa quattro ore, smentendo la

versione sostenuta dal governo russo secondo cui ci furono solo due bombardamenti

della durata di pochi minuti ciascuno 258. Del resto la Corte ha affermato che anche

se così fosse stato, tra il primo e il secondo bombardamento, i piloti si sarebbero

dovuti accorgere delle migliaia di civili in strada 259. La Corte dunque è giunta alla

conclusione che l’esercito russo avrebbe dovuto essere a conoscenza della presenza

dei civili presenti nel tratto di strada; ed è su tali basi che ha ritenuto la Federazione

russa responsabile della violazione dell’obbligo di proteggere il diritto alla vita dei

tre ricorrenti e dei due figli della prima ricorrente.

In merito alla violazione degli obblighi derivanti dalla lettura dell’art. 2 in

congiunzione con l’art. 1 della Convenzione, ricostruendo l’iter legislativo interno, la

Corte ha riscontrato come non fossero stati rispettati i criteri di efficacia, secondo cui

un procedimento interno può definirsi valido 260. In proposito, la Corte ha richiamato

la sentenza relativa al caso Kaya c. Turchia del 19 febbraio 1998 e quella riguardante

il caso Ogur c. Turchia del 20 maggio 1999, osservando che le indagini avrebbero

dovuto stabilire se la forza militare utilizzata nel caso di specie fosse stata giustificata

in base alle circostanze del caso, oltre ad identificare e punire i responsabili 261. Nel

caso specifico questi criteri non erano stati rispettati dal governo russo, tanto che il

ricorso presentato dalla Croce Rossa e da una vittima del bombardamento al

Procuratore militare nel dicembre 1999, era stato rifiutato ritenendo che le accuse

fossero infondate, ancorchè presentassero, ad avviso dello stesso Procuratore, un

corpus probatorio importante. Concludendo, la Corte di Strasburgo ha dunque

258 Par. 194 della sentenza. Il governo ha dichiarato che gli attacchi furono solo due: uno dalle 14.05 fino alle 14.15 e un altro dalle 15.30 alle 15.35. 259 Par. 193-195 della sentenza. 260 Par. 215 della sentenza. 261 Si legga in proposito il par. 87 della sentenza Kaya c. Turchia « The Court observes that the procedural protection of the right to life inherent in Article 2 of the Convention secures the accountability of agents of the State for their use of lethal force by subjecting their actions to some form of independent and public scrutiny capable of leading to a determination of whether the force used was or was not justified in a particular set of circumstances ». Il testo della sentenza è reperibile in http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=1&portal=hbkm&action=html&highlight=kaya&sessionnid=45187896&skin=hudoc-en. Si veda anche il par. 88 della sentenza Ogur c. Turchia, in cui la Corte afferma che « This investigation should be capable of leading to the identification and punishment of those responsible ». Il testo della sentenza è reperibile in http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp? item=1&portal=hbkm&action=html&highlight=ogu r&sessionid=45188468&skin=hudoc-en.

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ritenuto il governo responsabile per non aver condotto delle indagini effettive ai sensi

dell’art. 2, letto in congiunzione con l’art. 1 della Convenzione.

6.3 La violazione dell’art. 2 nel caso Isayeva

In merito alla violazione dell’art. 2 della Convenzione, la Corte ha ritenuto che la

morte dei familiari della ricorrente, avvenuta in occasione del bombardamento del

villaggio di Katyr-Yurt, fosse imputabile all’esercito russo. La Corte ha dovuto

verificare se tale attacco militare rientrasse nelle circostanze previste dall’art. 2, par.

2 della Convenzione, come ritenuto dal governo russo, oppure lo violava, così come

ritenuto dalla ricorrente. Analizzando le circostanze del caso, la Corte ha riscontrato

che vi era nella Repubblica cecena una situazione di estremo pericolo, che richiedeva

l’uso, talvolta anche intenso, della forza armata militare russa per reprimere qualsiasi

tipo di pericolo. Tuttavia la Corte ha dovuto verificare se le misure adottate

dall’esercito russo fossero state assolutamente necessarie e proporzionali

all’obiettivo perseguito.

In base alle testimonianze raccolte e alla documentazione ricevuta dalle parti, la

Corte ha avuto modo di constatare inizialmente che la decisione di bombardare il

villaggio era stata pianificata ed organizzata per tempo dall’esercito russo in modo da

eliminare la resistenza cecena nell’area 262. L’esercito inoltre, organizzando delle vie

di fuga dal villaggio, aveva messo in atto dei piani per ridurre al minimo le eventuali

vittime tra i civili. Tuttavia, la Corte ha rilevato che al momento dell’inizio dei

bombardamenti, gran parte della popolazione era ancora lungo la strada per lasciare

il villaggio e nonostante l’esercito ne fosse a conoscenza, non fece nulla per

interrompere l’attacco.

È su tali basi che la Corte ha rinvenuto la violazione da parte del governo russo

dell’art. 2 della Convenzione nella misura in cui l’esercito russo, pur perseguendo un

obiettivo ritenuto legittimo dalla Corte, non aveva adottato sufficienti ed adeguate

misure volte alla protezione del diritto alla vita della popolazione civile 263.

In merito all’inefficacia delle indagini poste in essere dal governo russo, alla luce

del già citato art. 2 letto in congiunzione con l’art. 1 della Convenzione, la Corte ha 262 Par. 184-188 della sentenza. 263 Par. 200 della sentenza.

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fatto riferimento alla sentenza McCann e altri c. Regno Unito del 19 febbraio 1998 264 e alla sentenza Kaya c. Turchia 265. In queste sentenze la Corte ha affermato che

gli Stati hanno l’obbligo di porre in essere delle indagini effettive qualora si ritenga

violato l’art. 2 della Convenzione, laddove per ‘effettive’ si intende la capacità di un

tribunale di individuare e condannare il responsabile del reato e qualora ciò avvenga

in un contesto di indipendenza dalle parti coinvolte nel merito 266. In base a quanto

affermato la Corte ha dunque ritenuto il governo russo responsabile per non aver

posto in essere delle indagini effettive, in violazione dell’art. 2 letto in congiunzione

con l’art. 1 della Convenzione.

7. La violazione dell’art. 3 della Convenzione

Nelle prime due sentenze analizzate, i ricorrenti hanno lamentato la violazione

dell’art. 3 della Convenzione europea, mentre nell’ultima sentenza, Isayeva c.

Federazione russa, la ricorrente ha denunciato la sola violazione dell’art. 2 e 13 della

Convenzione.

Nelle prime due sentenze i ricorrenti hanno chiesto alla Corte di dichiarare il

bombardamento aereo russo contro il convoglio di civili (sentenza Isayeva, Yusupova

e Bazayeva) e i trattamenti degradanti inflitti ai loro familiari prima della loro morte

(sentenza Khashiyev e Akayeva) come contrari all’art. 3 della Convenzione.

7.1 La violazione dell’art. 3 nel caso Khashiyev e Akayeva

La Corte di Strasburgo nella prima sentenza ha ritenuto che le circostanze e le

modalità con le quali i familiari dei ricorrenti furono uccisi, non erano sufficienti per

ritenere il governo russo responsabile della violazione dell’art. 3 della Convenzione. 264 Par. 161 della sentenza, in cui la Corte ha affermato che « […] confines itself to noting, like the Commission, that a general legal prohibition of arbitrary killing by the agents of the State would be ineffective, in practice, if there existed no procedure for reviewing the lawfulness of the use of lethal force by State authorities. The obligation to protect the right to life under this provision (art. 2), read in conjunction with the State's general duty under Article 1 (art. 2+1) of the Convention to “secure to everyone within their jurisdiction the rights and freedoms defined in [the] Convention”, requires by implication that there should be some form of effective official investigation when individuals have been killed as a result of the use of force by, inter alios, agents of the State ». 265 Par. 87 della sentenza Kaya c. Turchia. 266 A tal proposito la Corte giunge alla medesima conclusione anche in altre sentenze come le sentenze del 2001 dell’Irlanda del Nord per i casi McKerr c. Regno Unito, par. 128 della sentenza; Hugh Jourdan c. Regno Unito, par. 120 della sentenza; ed infine Kelly e altri c. Regno Unito, par. 114 della sentenza.

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I ricorrenti infatti, nonostante avessero riferito alla Corte che i corpi delle vittime

erano stati fatti oggetto di tortura e presentavano tracce vistose di maltrattamenti 267,

si sono viste rigettare tale tesi poiché la Corte, riaffermando l’importanza di tale

articolo, ha ribadito che proprio per questa ragione le accuse di maltrattamento e

tortura devono essere sostenute da adeguate prove e che queste devono essere

valutate dalla Corte attraverso il criterio della “beyond all reasonable doubt” 268.

Poiché l’unica documentazione presentata alla Corte era stata quella delle autorità

federali, secondo le quali le vittime presentavano solo ferite da colpi di arma da

fuoco, la Corte ha dichiarato di non aver riscontrato, al di là di ogni ragionevole

dubbio, la violazione dell’art. 3 della Convenzione da parte del governo russo 269.

L’atteggiamento avuto dalla Corte dal punto di vista del criterio della prova

“beyond all reasonable doubt” ha suscitato diverse critiche in dottrina, tra cui anche

quelle di alcuni giudici della Corte 270. In particolare, è stata criticata la persistenza

dimostrata dalla Corte a rifiutare l’utilizzo del criterio di presunzione di colpevolezza

per l’art. 3 della Convenzione 271. Tale criterio è stato invece già applicato più volte

all’art. 2 della Convenzione, così come si evince dall’analisi della giurisprudenza

della Corte272. In proposito, appare ragionevole la tesi di quella parte della dottrina

che ritiene che tale criterio debba essere applicato anche all’art. 3 della Convenzione

affinché questo possa trovare una maggiore applicazione senza essere

267 Si veda il par. 51 della sentenza in cui si afferma che « Movlatkhan Bokova further testified that she had washed Lidiya Khashiyeva's body before burial, and had seen numerous (about 20) stab and gunshot wounds on her body. Her left arm was broken and front teeth were missing. She further testified that Anzor Taymeskhanov's head bore numerous blow marks and that his jaw had been broken ». 268 Par. 171 della sentenza. 269 Par. 172-174 della sentenza. 270 Cfr. TIGROUDJA HÉLÈNE, La Cour européenne des droits de l’homme face au conflit en Tchetchénie in Revue trimestrelle des droits de l’homme, 2006, pp.111-140; Cfr. HORTAL CERVELL MARIA JOSÉ, Chechenia vs. Russia: El triunfo de los derechos humanos (A propòsito de tres sentencias del tribunal europeo de derechos humanos de 24 febrero de 2005), cit., supra nota 248. Per le opinioni dissidenti dei giudici della Corte si veda la sentenza Labita c. Italia del 6 aprile 2000. Il testo della sentenza è reperibile in http:// cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=2&portal=hbkm&action=html&highlight=labita& sessionid=47. 271 Ibidem. 272 A tal riguardo si veda il par. 86 della sentenza Timurtas c. Turchia del 13 giugno 2000 e il par. 87 della sentenza Çakici c. Turchia del 8 luglio 1999, in cui la Corte ha affermato che « For the above reasons, the Court is satisfied that Abdulvahap Timurtaş must be presumed dead following an unacknowledged detention by the security forces. Consequently, the responsibility of the respondent State for his death is engaged. Noting that the authorities have not provided any explanation as to what occurred after Abdulvahap Timurtaş's apprehension and that they do not rely on any ground of justification in respect of any use of lethal force by their agents, it follows that liability for his death is attributable to the respondent State. Accordingly, there has been a violation of Article 2 on that account ».

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eccessivamente ostacolato dall’alto livello dello standard probatorio richiesto dalla

Corte 273.

7.2 La violazione dell’art. 3 nel caso Isayeva, Yusupova e Bazayeva

In questa sentenza invece la Corte di Strasburgo ha deciso di non pronunciarsi in

merito alla disposizione della Convenzione, avendo già esaminato i fatti e ritenendo

che le conseguenze del bombardamento rientrassero nell’ambito delle disposizioni

contenute nell’art. 2 e non in quelle contenute nell’art. 3 della Convenzione 274.

Tuttavia una parte della dottrina ritiene che il ragionamento avuto dalla Corte sia

da ritenere in qualche maniera incompleto seppur concorde con la sua passata

giurisprudenza 275. Secondo alcuni autori infatti, la Corte, ritenendo solo l’art. 2 e

non anche l’art. 3 della Convenzione violato da parte del governo russo, avrebbe

omesso di considerare alcuni aspetti ritenuti sufficientemente importanti da poter

essere approfonditi. Si fa qui riferimento alla possibilità di intendere l’utilizzo

strumentale che l’esercito russo avrebbe fatto del convoglio di civili. Alcuni autori

ritengono che, seppur non esistono prove certe che testimonino la volontà

dell’esercito russo di attirare volontariamente il più alto numero di civili tramite

l’apertura di un corridoio umanitario per poi bombardarli, essi ritengono che la

cronologia e lo svolgimento dei fatti inducano un osservatore oggettivo a nutrire

diversi dubbi sulla versione fornita dal governo russo e sulla decisione della Corte di

Strasburgo 276. Tuttavia anche se è evidente che i ricorrenti non potevano provare

l’intenzionalità dei militari russi a compiere un tale gesto, riteniamo che la Corte

avrebbe dovuto tuttavia esaminare in maniera più attenta la violazione dell’art. 3

della Convenzione.

273 Cfr. TIGROUDJA HÉLÈNE, La Cour européenne des droits de l’homme face au conflit en Tchetchénie, cit., supra nota 270, in part. p. 126. 274 Par. 229 della sentenza. 275 Cfr. TIGROUDJA HÉLÈNE, La Cour européenne des droits de l’homme face au conflit en Tchetchénie, cit., supra nota 270, in part. p. 126. 276 Ibidem; Cfr. HORTAL CERVELL MARIA JOSÉ, Chechenia vs. Russia: El triunfo de los derechos humanos (A propòsito de tres sentencias del tribunal europeo de derechos humanos de 24 febrero de 2005), cit., supra nota 248.

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8. La violazione dell’art. 13 della Convenzione

Come abbiamo avuto modo già di accennare nel corso del capitolo, la Corte di

Strasburgo ha ritenuto i ricorsi interni della Federazione russa essere ingannevoli,

inefficaci e inadeguati. Tuttavia la Corte, ritenendo questo aspetto eccessivamente

legato ai fatti in questione, ha deciso di non analizzarlo in sede preliminare bensì

sulla base delle disposizioni della Convenzione ed ha ritenuto che l’art. 13 della

Convenzione che sancisce appunto il diritto di ogni individuo a godere di un ricorso

effettivo davanti ad un’istanza nazionale, fosse stato violato dal governo russo in tutti

e tre i casi.

La Corte ha voluto sottolineare tuttavia come l’ambito di questo diritto varia a

seconda della natura dei ricorsi presentati, esigendo comunque sempre un loro

effettivo soddisfacimento 277. Infatti la Corte, leggendo l’art. 13 in congiunzione con

l’art. 2 e l’art. 3 della Convenzione, ha affermato che

« The scope of the obligation under Article 13 varies depending on the nature of the applicant’s complaint under the Convention. Given the fundamental importance of the rights guaranteed by Articles 2 and 3 of the Convention, Article 13 requires, in addition to the payment of compensation where appropriate, a thorough and effective investigation capable of leading to the identification and punishment of those responsible for the deprivation of life and infliction of treatment contrary to Article 3, including effective access for the complainant to the investigation procedure » 278.

La Federazione russa dunque, data l’importanza degli articoli violati nei casi in

questione, avrebbe dovuto porre in essere delle indagini effettive volte ad identificare

i responsabili dell’assassinio e delle torture subite dai familiari dei ricorrenti 279,

consentendo inoltre l’accesso all’intera documentazione prodotta per il caso di

specie. Tuttavia la Corte non avendo riscontrato tale indagine in nessuna delle tre

sentenze, ha ritenuto che la Federazione russa avesse così violato anche l’art. 13 della

Convenzione 280.

277 Par. 182 della prima sentenza; par. 236-237 della seconda e par. 226 della terza sentenza. 278 Par. 183 della prima sentenza. 279 Par. 182 della prima sentenza; par. 237 della senconda e par. 227 della terza 280 Par. 184-186 della prima sentenza; parr. 239-240 della seconda e parr. 229-230 della terza sentenza.

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9. La violazione dell’art. 1, par. 1 del primo Protocollo della Convenzione

Nella seconda sentenza, la terza ricorrente sosteneva che il governo russo avesse

violato l’art. 1 del primo Protocollo della Convenzione, il quale sancisce la tutela dei

beni privati dei singoli individui e ne garantisce la tutela ed il godimento. La sua

privazione è concessa solo quando si rinviene un pubblico interesse ritenuto

preminente rispetto a quello privato oppure quando sussistono le condizioni previste

dalla legge o dai principi generali di diritto internazionale 281. Il governo russo ha

ritenuto che all’epoca dei fatti sussistevano tali condizioni, per cui il bombardamento

era da ritenersi lecito alla luce dello stesso art. 1 del primo Protocollo 282.

In conclusione, la Corte, citando il caso Bilgin c. Turchia del 16 novembre 2000 283, ha ritenuto il governo russo responsabile della violazione dell’art. 1 del primo

Protocollo nella misura in cui il bombardamento aereo aveva costituito, oltre che una

violazione dei precedenti articoli, anche una grave e ingiustificata interferenza con il

diritto della ricorrente a godere della propria riservatezza familiare e del godimento

dei propri beni 284.

10. Il rinvio implicito al diritto internazionale umanitario nelle sentenze cecene

In due delle tre sentenze del 24 febbraio 2005, la Corte ha concluso che la

Federazione russa era responsabile della violazione dell’art. 2 della Convenzione a

causa del mancato rispetto del criterio di proporzionalità nell’uso della forza 285. La

Corte non ha contestato la legittimità degli attacchi da parte delle forze militari russe,

281 L’art. 1 del primo Protocollo della Convenzione afferma che « Every natural or legal person is entitled to the peaceful enjoyment of his possessions. No one shall be deprived of his possessions except in the public interest and subject to the conditions provided for by law and by the general principles of international law.The preceding provisions shall not, however, in any way impair the right of a State to enforce such laws as it deems necessary to control the use of property in accordance with the general interest or to secure the payment of taxes or other contributions or penalties ». Per il testo completo del Protocollo si veda in http://www.hri.org/docs/ECHR50.html#P1. 282 Par. 232 della sentenza. 283 Si veda il par. 108 della sentenza in questione, in cui la Corte ha affermato che « The Court has found it established that the applicant’s home and possessions were destroyed by the security forces, thus depriving the applicant of his livelihood and forcing him and his family to leave Yukarıgören. There can be no doubt that these acts constituted grave and unjustified interferences with the applicant’s rights to respect for his private and family life and home, and to the peaceful enjoyment of his possessions ». Per il testo della sentenza di veda in http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/view.asp?item=1&portal=hbkm& action=html&highlig ht=Bilgin&sessionid=45243755&skin=hudoc-en. 284 Par. 233 della sentenza. 285 Si veda in proposito il par. 201 delle sentenze in questione.

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piuttosto la maniera con la quale sono stati condotti ed eseguiti. Pertanto, si può

osservare che ciò che la Corte ha condannato in realtà è stata la violazione di diversi

principi di diritto internazionale umanitario come l’obbligo per i belligeranti di non

causare mali superflui o danni eccessivi, il principio della proporzionalità così come

quello della distinzione tra obiettivi civili e quelli militari, di cui la Corte

internazionale di giustizia aveva affermato l’importanza nel parere sulla Liceità

della minaccia o dell’uso delle armi nucleari del 1996 286.

Nella sentenza Isayeva e altri, la Corte ha condannato l’uso dei missili terra aria

teleguidati che « […] on explosion, each missile creates several thousand pieces of

shrapnel and its impact radius exceeds 300 metres », sottolineando l’ « apparent

disproportionality in the weapons » 287.

La Corte ha condannato l’uso di queste armi per le conseguenti violazioni del

diritto alla vita degli individui, secondo l’art. 2 della Convenzione, e per gli attentati

gravi e ingiustificati al diritto di proprietà, come sancito dall’art. 1 del primo

Protocollo nonché dal diritto internazionale consuetudinario concernente l’immunità

di cui godono i beni privati durante un conflitto armato 288.

Nella sentenza Isayeva, la Corte sembra essere giunta a ritenere il governo russo

responsabile per la violazione del principio di proporzionalità da parte dell’esercito

per non aver distinto gli obiettivi civili da quelli militari.

La Corte ha infatti ritenuto che

« […] that using this kind of weapon in a populated area, outside wartime and without prior evacuation of the civilians, is impossible to reconcile with the degree of caution expected from a law-enforcement body in a democratic society. No martial law and no state of emergency has been declared in Chechnya, and no derogation has been made under Article 15 of the Convention (see § 133) » 289.

In proposito il governo russo ha osservato come il bombardamento del villaggio

avesse come unico obiettivo quello di proteggere la popolazione locale dai ribelli

286 Cfr. ABRESCH WILLIAM, A Human Rights Law of International Armed Conflict: The European Court of Human Rights in Chechnya, in European Journal of International Law, 2005, pp. 741-767. 287 Si veda il par. 195 e 197 della sentenza. 288 Infatti la distruzione non giustificata dei beni civili avvenuta per necessità militari costituisce un crimine di guerra ai sensi dell’art. 6 dello Statuto del Tribunale militare di Norimberga, ai sensi dell’art. 3 dello Statuto del Tribunale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia e dell’art. 8 dello Statuto della Corte penale internazionale. Sempre in base al diritto internazionale consuetudinario esistono delle limitazioni a tale diritto che tuttavia la Corte di Strasburgo ha ritenuto non applicabili. La Corte ha infatti rigettato la tesi difensiva della Federazione russa secondo la quale la privazione della proprietà privata della ricorrente sarebbe avvenuta per perseguire un fine pubblico secondo le modalità previste dalla legge. 289 Si veda l’art. 191 della sentenza.

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ceceni che si erano nascosti nel villaggio. Ma sul punto la Corte ha ritenuto che

« The operation in question therefore has to be judged against a normal legal background. […] The massive use of indiscriminate weapons stands in flagrant contrast with this aim and cannot be considered compatible with the standard of care prerequisite to an operation of this kind involving the use of lethal force by State agents » 290.

Dal punto di vista di diritto internazionale umanitario, la Federazione russa non

avrebbe dunque rispettato l’obbligo consuetudinario di non causare mali superflui o

danni eccessivi alla popolazione civile. Non è difficile osservare come in queste

sentenze siano presenti dei ragionamenti e delle logiche proprie del diritto

internazionale umanitario (il prinicipio di proporzionalità; l’immunità della

popolazione civile e dei loro beni) e dei principi generali che caratterizzano questa

branca del diritto.

10.1 La Corte europea dei diritti dell’uomo e l’applicazione delle norme di

diritto internazionale umanitario

Come abbiamo avuto modo di vedere, sia nella sentenza Isayeva, Yusupova e

Bazayeva che nell’altra Isayeva c. Federazione russa del 24 febbraio 2005 291, la

Corte di Strasburgo ha dovuto esaminare la condotta delle ostilità da parte della

Federazione russa durante il conflitto armato nella Repubblica cecena; un ambito

questo ritenuto di specifica applicazione del diritto internazionale umanitario.

Secondo quanto ritenuto da una parte della dottrina, in caso di conflitto armato

interno, le norme internazionali umanitarie prevarrebbero su quelle a tutela dei diritti

umani in base al principio lex specialis derogat lex generali 292.

Dall’analisi fatta della recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, si evince

come questa abbia applicato direttamente le norme a tutela dei diritti umani durante

un conflitto armato interno, quello ceceno appunto.

290 Ibidem. 291 Senteza Isayeva. Yusupova e Bazayeva e la sentenza Isayeva c. Federazione russa. 292 Cfr. ABRESCH WILLIAM, A Human Rights Law of International Armed Conflict: The European Court of Human Rights in Chechnya, cit., supra nota 286. Inoltre è da citare anche il parere consultivo rilasciato dalla Corte internazionale di giustizia l’8 luglio 1996 sulla Liceità della minaccia o dell’uso delle armi nucleari, con il quale la Corte ha affermato che l’efficacia della Patto internazionale sui diritti civili e politici non cessa in tempo di guerra, poiché il diritto a non essere privato in maniera arbitraria del diritto alla vita viene rispettato anche durante un conflitto armato. Tuttavia i modi in cui tale diritto viene rispettato è determinato dal diritto internazionale umanitario che agisce sulla base del principio lex specialis derogat lex generali. Si vedano i par. 24-25 della Convenzione, il cui testo è reperibile in http://www.icj-cij.org/docket/files/95/7495.pdf.

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Una parte autorevole della dottrina ritiene che, nonostante si infranga il principio

della lex specialis applicato al diritto internazionale umanitario durante un conflitto

armato interno, l’applicazione delle norme per la tutela dei diritti umani in tali

contesti non comporterebbe nessuna modifica al diritto internazionale generale. Si

afferma infatti che il diritto internazionale umanitario, pur regolando in maniera

specifica i conflitti armati internazionali, non disciplinerebbe allo stesso modo i

conflitti armati interni 293. Infatti questa parte della dottrina, ritiene che nella

maggioranza dei conflitti armati interni l’unica norma applicabile sia l’art. 3 comune

alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 294. Esso è finalizzato alla protezione

degli individui che non prendono parte alle ostilità, compresi i membri delle forze

armate che hanno chiesto la resa. Tuttavia questa parte della dottrina afferma che

quanto disposto da tale articolo sarebbe disciplinato anche dall’art. 2 letto in

congiunzione con l’art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo 295. A tal

proposito questa parte della dottrina, osservando come sia « difficult to see how

Common Article 3 is ‘more specific’, ‘more to the point’, or ‘more effective’ than

the ECHR or other human rights instruments » 296, ritiene difficile intenderlo come

lex specialis rispetto alle norme per la tutela dei diritti umani della Convenzione

europea dei diritti dell’uomo 297.

Secondo quanto affermato da questa parte della dottrina, l’art. 3 comune alle

quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, non regolerebbe in alcuna maniera la

condotta delle ostilità durante un conflitto armato interno mentre il secondo

293 Cfr. ABRESCH WILLIAM, A Human Rights Law of International Armed Conflict: The European Court of Human Rights in Chechnya, cit., supra nota 286.  294 L’art. 3 della Convenzione afferma che « [...] Le persone che non partecipano direttamente alle ostilità, compresi i membri delle forze armate che abbiano deposto le armi e le persone messe fuori combattimento da malattia, ferita, detenzione o qualsiasi altra causa, saranno trattate, in ogni circostanza, con umanità, senza alcuna distinzione di carattere sfavorevole che si riferisca alla razza, al colore, alla religione o alla credenza, al sesso, alla nascita o al censo, o fondata su qualsiasi altro criterio analogo. A questo scopo, sono e rimangono vietate, in ogni tempo e luogo, nei confronti delle persone sopra indicate: a. le violenze contro la vita e l’integrità corporale [...]; b. la cattura di ostaggi; c. gli oltraggi alla dignità personale, specialmente i trattamenti umilianti e degradanti; d. le condanne pronunciate e le esecuzioni compiute senza previo giudizio di un tribunale regolarmente costituito » 295 L’art. 2 della Convenzione tutela il diritto alla vita di ogni individuo e ne elenca i casi in cui la sua privazione è ritenuta legittima; mentre l’art. 14 sancisce che « Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione ». 296 Cfr. ABRESCH WILLIAM, A Human Rights Law of International Armed Conflict: The European Court of Human Rights in Chechnya, cit., supra nota 286.  297 Ibidem.

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Protocollo addizionale del 1977 298 disciplinerebbe in maniera più esaustiva tali

conflitti. Tuttavia anch’esso è ritenuto di applicabilità limitata poiché disciplinerebbe

la condotta delle ostilità nei conflitti armati interni solo in riferimento ai civili 299. In

definitiva, questa parte della dottrina ritiene che sia l’art. 3 della Convenzione di

Ginevra sia il secondo Protocollo addizionale del 1977 produrrebbero una lacuna

legislativa legata alla mancata disciplina della condotta delle ostilità durante un

conflitto armato interno 300.

In considerazione di quanto detto, secondo tali autori, che la Corte europea dei

diritti dell’uomo avrebbe colmato con la propria giurisprudenza questa lacuna

lasciata dal diritto internazionale umanitario, iniziando ad applicare direttamente le

norme a tutela dei diritti umani alla condotta delle ostilità nei conflitti interni 301.

Un’altra parte della dottrina ha invece affermato che il diritto internazionale

consuetudinario avrebbe colmato questa lacuna 302. Nel corso degli ultimi decenni

infatti, si sarebbe riscontrato un notevole aumento da parte degli Stati a rispettare le

norme del diritto internazionale umanitario nei conflitti armati interni, tanto che le

disposizioni riportate dal secondo Protocollo addizionale del 1977 avrebbero assunto

un carattere consuetudinario 303. A supporto di ciò, vi sarebbe anche quanto

298 Per una lettura più approfondita del secondo Protocollo addizionale del 1977 alle Convenzioni di Ginevra del 1949, si veda in http://www.icrc.org/ihl.nsf/7c4d08d9b287a42141256739003e636b/ d67c3971bcff1c10c1 25641e0052b545. 299 Anche se alcuni autori ritengono che la disposizione presente nell’art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra proibisca lo stesso il coinvolgimento dei civili nelle operazioni militari, la maggior parte della dottrina ritiene che il campo di applicazione dell’art. 3 sia limitato alle sole parti coinvolte nei combattimenti e non disciplina la condotta delle ostilità nei conflitti armati interni. Cfr. ABRESCH WILLIAM, A Human Rights Law of International Armed Conflict: The European Court of Human Rights in Chechnya, cit., supra nota 297. Cfr. ICRC, Commetary on the Additional Protocols of 8 june 1977 to the Geneva Conventions of 12 Agoust 1949, 1987, in part. 1325. Il testo è reperibile in http://www.loc.gov/rr/frd/Military_Law/pdf/ Commentary_GC_Protocols.pdf. 300 Cfr. ABRESCH WILLIAM, A Human Rights Law of International Armed Conflict: The European Court of Human Rights in Chechnya, cit., supra nota 286. 301 Ibidem. 302 Ibidem.Cfr. HENCKAERTS JEAN MARIE, Study on Customary International Humanitarian Law: A Contribution to the Understanding and Respect for the Rule of Law in Armed Conflict, in International Review of the Red Cross, 2005, pp. 175-212. Il testo è reperibile in http://www.icrc.org/Web/eng/siteeng0 .nsf/htmlall/review-857-p175/$File/irrc_857_Henckaerts.pdf. Cfr. BOETHE M., New Rules for Victims of Armed Conflicts: Commentary on the Two 1977 Protocols Additional to the Geneva Conventions of 1949, Dordrecht,1982. 303 Si vedano infatti le norme che vietano glii attacchi contro i civili; il rispetto e la protezione del personale medico e religioso, nonché delle loro unità e dei loro mezzi di trasporto; il diritto alla tutela contro la fame, il diritto alla protezione contro gli attacchi ai beni indispensabili per la sopravvivenza della popolazione civile; l'obbligo di rispettare le garanzie fondamentali dei civili e delle persone hors de combat; l'obbligo per la ricerca, il rispetto e la protezione dei feriti, dei malati e dei naufraghi; l'obbligo per la ricerca e la protezione dei morti; l'obbligo di proteggere le persone private della libertà; il divieto di spostamento forzato dei civili e la protezioni offerte alle donne e ai bambini, Cfr.HENCKAERTS JEAN MARIE, Study on Customary International Humanitarian Law: A Contribution to the Understanding and Respect for the Rule of Law, cit., supra nota 110.

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affermato dalla Commissione internazionale della Croce Rossa sullo stato del diritto

internazionale umanitario consuetudinario, secondo cui

« The gaps in the regulation of the conduct of hostilities in Additional Protocol II have, however, largely been filled through State practice, which has led to the creation of rules parallel to those in Additional Protocol I, but applicable as customary law to non-international armed conflicts » 304.

Anche se non si è ancora giunti ad un trattato internazionale che disciplini la

fattispecie in questione, si afferma dunque che la prassi degli Stati avrebbe ovviato a

questa empasse giuridica tramite lo sviluppo di un diritto internazionale

consuetudinario nel corso degli anni.

10.2 Considerazioni finali al paragrafo

A conclusione di questo paragrafo, riteniamo che, in accordo con una parte

autorevole della dottrina, la Corte di Strasburgo avrebbe dovuto interpretare la

Convenzione europea dei diritti dell’uomo in base al diritto internazionale

umanitario, così da poter meglio applicarla ai fatti che accadono durante i conflitti

armati interni 305.

La Corte di Strasburgo, mancando di ricorrere alle fonti del diritto internazionale

umanitario per interpretare la Convenzione, ha dato un’analisi della situazione in

Cecenia che ha suscitato le critiche di una parte autorevole della dottrina. La Corte

infatti ha riconosciuto che

« the situation that existed in Chechnya at the relevant time called for exceptional measures by the State in order to regain control over the Republic and to suppress the illegal armed insurgency. Given the context of the conflict in Chechnya at the relevant time, those measures could presumably include the deployment of army units equipped with combat weapons, including military aviation and artillery » 306

In particolare, tale punto di vista è stato criticato nella misura in cui la Corte,

affermando ciò, avrebbe legittimato il governo russo ad adottare delle misure

eccezionali per ristabilire l’ordine costituzionale in Cecenia, tralasciando tuttavia

l’adozione delle altrettanto necessarie misure per la protezione dei civili che non

304 Ibidem. 305 Ibidem. 306 Si veda il par. 180 della sentenza Isayeva c. Federazione russa.

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partecipavano al conflitto. La Corte inoltre ha evidenziato aspetti ritenuti importanti,

come la sistematicità delle violazioni nonché la loro gravità. In proposito, è da

ricordare che le vittime delle operazioni militari in Cecenia furono tutte civili e

furono tutte soggette a gravi maltrattamenti prima di essere uccise 307.

11. Considerazioni conclusive

Come abbiamo visto in questo capitolo, le tre sentenze analizzate presentano

diversi aspetti in comune, non solo il medesimo contesto giuridico nel quale i fatti

hanno avuto luogo ma anche le medesime violazioni della Convenzione europea dei

diritti dell’uomo. In ciascuna delle sentenze, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto la

Federazione russa responsabile della violazione dell’art. 2 e dell’art. 13 della

Convenzione. In merito alla violazione dell’art. 3 invece, la Corte ha ritenuto nella

prima sentenza il governo russo non responsabile poiché, come già detto, le prove

non soddisfacevano lo standard probatorio della Corte. Nella seconda sentenza

invece ha ritenuto che le conseguenze derivanti dal bombardamento del convoglio

civile ricadessero sotto l’ambito dell’art. 2 piuttosto che dell’art. 3 della

Convenzione.

Anzitutto è da osservare che la Corte di Strasburgo ha risolto il caso in linea con

la sua precedente giurisprudenza. Infatti, già nelle precedenti sentenze relative ai casi

Çakici c. Turchia e Timurtas c. Turchia, la Corte era giunta alle medesime

conclusioni in merito alle violazioni degli articoli 2, 3 e 13 da parte della Turchia

durante le operazioni militari contro i separatisti curdi 308. Tali sentenze presentavano

scenari e circostanze simili al caso Khashiyev e Akayeva, poiché anch’esse si

caratterizzavano per la presenza delle forze armate statali, operanti nelle aree civili,

rimaste impunite in seguito alle violazioni dei diritti umani a danno della

popolazione curda. Anche in queste sentenze la Corte ha ritenuto la Turchia

307 Si vedano la sentenza Khashiyev e Akayeva; Isayeva, Yusupova e Bazayeva; Isayeva c. Federazione russa del 24 febbraio 2005. 308 Cfr. TARIK ABDEL-MONEM, Chechens Win First Claims in the European Court of Human Rights in Khashiyev & Akayeva v. Russia, cit., supra nota 222, in part. 178.

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responsabile per gli omicidi extragiudiziali compiuti dal proprio esercito solo sulla

base di prove e circostanze evidenti 309.

Le circostanze del caso Khashiyev e Akayeva risultano analoghe anche a quelle

del caso Çicek c. Turchia del 1 novembre 1999 310. Anche in questa sentenza la Corte

ha ritenuto che dei civili curdi, detenuti dalle forze armate turche e poi scomparsi,

fossero stati presumibilmente uccisi dalle forze di sicurezza nazionali. Anche in

questo caso la Corte ha basato il proprio giudizio sulle dichiarazioni di testimoni

oculari che avevano visto i familiari dei ricorrenti vivi per l’ultima volta nelle mani

delle forze armate turche, scomparire per oltre sei anni 311. La Corte quindi, nella

sentenza Khashiyev è rimasta coerente con la sua precedente giurisprudenza,

ritenendo gli omicidi extragiudiziali, contestati dai ricorrenti, riconducibili alla

Federazione russa, poiché le testimonianze addotte erano risultate sufficientementi

evidenti a dimostrare che le vittime erano ancora in vita al momento della

detenzione.

Inoltre in tutte e tre le sentenze la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ribadito

ulteriormente il rispetto degli obblighi positivi degli Stati derivanti dall’art. 2 e

dall’art. 3 della Convenzione. Tali articoli, letti in maniera congiunta con l’art. 1

della Convenzione, prevedono l’obbligo positivo per gli Stati di porre in essere delle

indagini effettive in seguito alla morte e alla tortura di qualsiasi individuo, causata

dall’uso della forza da parte degli agenti statali. Nel caso di specie, la Federazione

russa, non avendo dimostrato in maniera completa ed esaustiva di aver posto in

essere delle indagini effettive, volte ad identificare e condannare i colpevoli dei reati,

è stata ritenuta responsabile dalla Corte di Strasburgo. Il ragionamento fatto dalla

Corte è risultato essere compatibile con la sua giurisprudenza, così come lo dimostra

309 Nella sentenza Çakici c. Turchia del 8 luglio 1999, par. 156, la Corte ha affermato che « finding that sufficient circumstantial evidence existed to find Turkey had executed an individual it had taken into custody ». Il testo della sentenza è reperibile inhttp://www.echr.coe.int/eng/Press/1999/Jul_Aug/Cakici %20epresse.htm. Nella sentenza Timurtas c. Turchia del 13 giugno 2000, par. 133 invece la Corte ha affermato che « finding that missing Kurdish man had been detained and presumed killed by Turkish forces based on witness testimony, duration of time the man had been missing, and the overall lawless enviroment of South-eastern Turkey at the time of the killing ». Il testo della sentenza è reperibile in http://www.echr.coe.int/eng/ Press/2000/Jun/Timurtas %20jud%20epress.htm. 310 La sentenza Çicek è reperibile in http://www.echr.coe.int/Eng/Press/2001/Feb/Cicekjudepress.htm. 311 Cfr. TARIK ABDEL-MONEM, Chechens Win First Claims in the European Court of Human Rights in Khashiyev & Akayeva v. Russia, cit., supra nota 222.

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il continuo rimando da parte della Corte stessa alla sentenza Kaya c. Tuchia, Ogur c.

Turchia, Gülec c. Turchia oppure McCann c. Regno Unito 312.

Nonostante le tre sentenze non abbiano apportato nulla di nuovo alla

giurisprudenza della Corte di Strasburgo, l’aspetto più significativo ci sembra essere

il richiamo implicito parte della Corte dei principi al diritto internazionale

umanitario.

Nonostante la Corte non si è espressa in merito, in base all’art. 32 della

Convenzione 313, è stato possibile riscontrare nella sua decisione finale il riferimento

ad alcuni principi di diritto internazionale umanitario, come la non necessarietà

dell’attacco armato dell’esercito russo, la sua proporzionalità in base all’obiettivo

perseguito e l’uso indiscriminato delle armi per ottenerlo 314.

Nella sentenza Isayeva c. Federazione russa invece, la Corte ha fatto riferimento

all’uso delle armi convenzionali proibite dal diritto internazionale in caso di attacchi

ad obiettivi misti nei conflitti armati interni, ed ha affermato che, nel caso di specie,

il bombardamento, oltre a violare l’art. 2 della Convenzione, violava anche il diritto

internazionale umanitario. La Corte ha affermato che l’utilizzo di tali armi da parte

dell’esercito russo in una zona popolata da civili e non esposta ai combattimenti, ha

comportato da parte del governo russo il mancato rispetto di un grado sufficiente di

prevenzione che uno Stato in una società democratica deve prendere.

In definitiva, è importante sottolineare ai fini del nostro discorso un ulteriore

aspetto emerso dalle sentenze e cioè, la Corte di Strasburgo è stato l’unico organo

internazionale a cui i ricorrenti si sono potuti appellare per ottenere giustizia,

nonostante fossero stati minacciati dal governo russo 315.

312 Cfr. TARIK ABDEL-MONEM, Chechens Win First Claims in the European Court of Human Rights in Khashiyev & Akayeva v. Russia, cit., supra nota 222, in part. p. 179. 313 L’art. 32 della Convenzione stabilisce che « La competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa alle condizioni previste dagli articoli 33, 34 e 47. In caso di contestazione sulla competenza della Corte, è la Corte che decide ». 314 Cfr. HORTAL CERVELL MARIA JOSÉ, Chechenia vs. Russia: El triunfo de los derechos humanos (A propòsito de tres sentencias del tribunal europeo de derechos humanos de 24 febrero de 2005), cit., supra nota 248. 315 Diverse Ong, come ad esempio Human Rights Watch hanno denunciato, come già detto, le minaccie subite dai potenziali ricorrenti alla Corte. Per una più specifica consultazione dell’argomento si veda in http://www.hrw.org/legacy/english/docs/2005/03/10/russia10298.htm. Anche il Consiglio d’Europa ha denunciato tali violenze con la ris. 1455 dell’Assemblea Parlamentare del 2005, in particolare al p. 13, ha affermato che « with regard to the conflict in the Chechen Republic, comply with the recommendations contained in Resolution 1403 (2004) and notably take effective action to put an immediate end to the ongoing “disappearances”, torture, arbitrary detentions, incommunicado detention in illegal and secret detention facilities, and unlawful killings, bring to justice those found responsible for human rights violations, seek to end the conflict by peaceful means, strictly respect the provisions of international humanitarian law, prosecute any attempt to

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Il Consiglio d’Europa infatti è stato uno di quei pochi organi internazionali che

ha dato visibilità al caso ceceno e alle violazioni dei diritti umani da parte

dell’esercito russo. Il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa già nel

maggio 2002 aveva espresso la sua inquietudine per lo scarso rispetto dei diritti

umani da parte del governo e dell’esercito russo 316. Così come l’Assemblea

parlamentare del Consiglio d’Europa che, con la ris. 1403 del 20 settembre 2004, ha

condannato in maniera esplicita la violazione dei diritti umani nella Repubblica

cecena 317. Le Nazioni Unite invece, come abbiamo visto nel capitolo precedente,

non hanno ricoperto un ruolo decisivo a livello internazionale per la risoluzione del

caso di specie. Esse infatti, si sono espresse solo tramite alcune risoluzioni della

Commissione per i diritti umani la quale, dopo aver condannato l’operato della

Federazione russa, auspicava l’inizio di un dialogo tra le parti, la creazione di

commissioni nazionali di indagine oppure la possibilità per gli organismi

internazionali come l’Alto Commissariato per i Diritti Umani e la Croce Rossa

internazionale di accedere nella regione per indagare sulle violazioni commesse 318.

A conclusione di questo capitolo tuttavia, rimangono ancora alcuni aspetti che

riteniamo opportuno analizzare e che riguardano l’efficacia delle sentenze della

Corte di Strasburgo a risolvere la permanente violazione dei diritti umani nella

regione cecena. Questi argomenti verranno discussi e analizzati nell’ultimo capitolo

di questo lavoro, al fine di avere una visione completa ed esaustiva del contesto nel

quale la Corte di Strasburgo si è trovata ad operare e dell’efficacia che le sue

sentenze hanno avuto con riguardo alla situazione cecena.

intimidate and harass human rights activists and applicants to the European Court of Human Rights, implement the recommendations contained in the reports of the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment and consider their publication » Il testo completo della risoluzione è reperibile in http://assembly.coe.int/ Main.asp?link=/Documents/Adopted Text/ta05/ERES1455.htm. 316 Per una lettura più approfondita del rapporto del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa si veda in https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?id=979649&Site=COE. 317 Il testo della ris. 1403 dell’Assemblea Parlamentare è reperibile in http://assembly.coe.int/Main. asp?link=/ Documents/AdoptedText/ta04/ERES1403.htm#_ftn1. 318 In merito alle risoluzioni dell’Alto Commissariato per i diritti umani si veda quella del 2000/58 del 25 aprile e la 2001/24 del 20 aprile si veda in http://ap.ohchr.org/documents/E/CHR/resolutions/E-CN_4-RES-2000-58.doc e in http://www.unhchr.ch/huridocda/huridoca.nsf/(Symbol)/E.CN .4.RES.2001.24.En? Opendoc ument.

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CAPITOLO IV

IL CONSIGLIO D’EUROPA E IL CASO CECENO

SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. Il carattere grave e sistematico delle violazioni; 2.1

L’azione di controllo da parte degli organi giurisdizionali; 2.2 L’azione di controllo da parte degli organi non giurisdizionali; 3. La debolezza degli organi del Consiglio d’Europa; 3.1 L’Assemblea parlamentare; 3.2 Il Comitato dei Ministri; 4. Conclusioni al capitolo.

1. Introduzione

Nel capitolo precedente, analizzando la giurisprudenza della Corte europea dei

diritti dell’uomo, abbiamo visto come essa sia stata l’unico organo giudiziario che a

livello internazionale ha dato la possibilità ai cittadini ceceni di poter presentare

ricorso dinanzi ad un’istanza internazionale, per le violazioni commesse dalla

Federazione russa. In questo quarto ed ultimo capitolo, concluderemo il nostro

discorso analizzando l’efficacia delle misure adottate dal Consiglio d’Europa nei

confronti della Federazione russa.

La Federazione russa è membro del Consiglio d’Europa dal 28 febbraio 1996, ed

è obbligata al rispetto degli obblighi derivanti dalla Convenzione per la salvaguardia

dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali 319.

Tuttavia non sempre l’accettazione di un obbligo internazionale da parte di uno

Stato, implica necessariamente la sua volontà a sottomettersi anche ad un organo di

319 Oltre agli obblighi previsti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e del suo Protocollo n° 11, si fa riferimento anche alle risoluzioni dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa in merito alle violazioni dei diritti umani nella Repubblica cecena e quelle del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Le risoluzioni dell’Assemblea parlamentare in merito al caso di specie sono reperibili in http://assembly.coe.int/ASP/Search/PACEWebItemSearch Doc_E.asp; mentre per le risoluzioni del Comitato dei Ministri si veda in http://www.coe.int/t/cm/ WCD/fulltext Search_en.asp#.

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controllo internazionale, che verifichi il rispetto degli obblighi contratti 320. Nel caso

di specie però, la Convenzione europea ha istituito un organo, la Corte europea dei

diritti dell’uomo, con il compito di assicurare il rispetto della Convenzione stessa, ed

un organo statutario, come il Comitato dei Ministri, con il compito di visionare

l’esecuzione delle sentenze emesse dalla Corte 321.

Il controllo esercitato dagli organi del Consiglio d’Europa è allo stesso tempo sia

preventivo che correttivo. Il controllo preventivo è per sua natura antecedente alla

violazione della Convenzione ed è finalizzato a far rispettare gli obblighi

convenzionali da parte degli Stati in seno al Consiglio d’Europa. Esso è esercitato ad

esempio nell’ambito del Consiglio d’Europa, della Convenzione europea per la

prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti, dal

Commissario dei diritti umani e dall’Assemblea parlamentare, così come sancito

dallo stesso Statuto del Consiglio. Il controllo correttivo invece si applica in seguito

alla violazione commessa, ed è finalizzato ad individuare la giusta sanzione da

applicare allo Stato responsabile della violazione. La funzione correttiva è esercitata

sia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo sia dal Comitato dei Ministri. L’efficacia

della funzione di controllo correttivo è strettamente legata al rispetto delle sentenze e

delle sanzioni emesse dalla Corte o delle decisioni del Comitato, da parte di uno

Stato membro del Consiglio d’Europa. In caso di mancato rispetto di tali obblighi, si

ritiene che la funzione esercitata da questi due organi sia stata inefficace 322.

Nel caso in questione, verificheremo l’efficacia della funzione di controllo

correttiva e di quella preventiva esercitate dagli organi del Consiglio d’Europa.

Analizzeremo se esse sono riuscite ad influenzare il comportamento della

Federazione russa e se le misure poste in essere siano state efficaci al fine del non

ripetersi della violazione dei diritti umani nella Repubblica cecena. Piuttosto che

esaminare separatamente le numerose procedure di controllo dei singoli organi del

320 Cfr. OBERG DIVAC MARKO, Le suivi par le Conseil de l’Europe du Conflit en Tchétchénie, in Annuaire Français de droit international, 2004, pp. 755-777. In generale, la funzione di controllo consiste nell’impegno assunto dagli organi delle varie organizzazioni internazionali a garantire il rispetto delle norme contenute nella loro Carte costitutive, e che gli Stati membri si sono impegnati a rispettare. Nella maggioranza dei casi, quest’operazione è possibile solo quando gli Stati accettano volontariamente di sottoporsi al controllo di un organo giudiziario, che li vincoli al rispetto dello Statuto dell’organizzazione internazionale di cui fanno parte. 321 Cfr. DRZEMCZEWSKI ANDREW, La prévention des violation des droits de l’homme: les mécanismes de suivi du Conseil de l’Europe, in Revue trimestrelle de droits de l’homme, 2004, pp. 385-428. Il testo è altresì reperibile in http://www.rtdh.eu/pdf/2000385.pdf. 322 Ibidem.

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Consiglio d’Europa 323, faremo delle osservazioni generali su alcune sfide che il

conflitto in Cecenia ha riservato al Consiglio d’Europa in merito al carattere

generalizzato delle violazioni e all’efficacia dei rimedi posti in essere da quest’ultimo

e all’influenza del peso politico della Federazione russa in seno al Consiglio

d’Europa.

2. Il carattere grave e sistematico delle violazioni

Da quanto si è avuto modo di rilevare nel capitolo precedente, la Corte di

Strasburgo ha rinvenuto la responsabilità della Federazione russa per le violazioni

delle norme e degli obblighi sanciti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo

durante il secondo coflitto russo-ceceno. In proposito, una parte della dottrina ha

ritenuto che tali violazioni hanno avuto un carattere grave e sistematico, nella misura

in cui si sono manifestate in maniera persistente e prorogata nel tempo 324.

Nel presente paragrafo analizzeremo come la Corte europea dei diritti dell’uomo,

nell’esercizio della sua funzione giurisdizionale e come il Comitato dei Ministri, al

quale spetta il compito di assicurare che gli Stati ottemperino le sentenze della Corte,

non sono stati in grado di individuare il carattere generalizzato delle violazioni.

Diversamente, il Segretario generale, il Commissario per i diritti umani nonché

l’Assemblea parlamentare, sono stati in grado di inviduare, nell’esercizio della loro

funzione di controllo non giurisdizionale, il carattere grave e sistematico di queste

violazioni.

2.1 L’azione di controllo da parte degli organi giurisdizionali

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha il compito di rinvenire le violazioni

della Convenzione e dei suoi Protocolli aggiuntivi commesse dagli Stati membri del

Consiglio d’Europa 325. Tuttavia prima di potersi esprimere su una determinata

323 Per una visione completa dei principali organi di controllo del Consiglio d’Europa in merito alla situazione creatasi nella Repubblica cecena Cfr. FRANCIS CÉLIN, La guerre en Tchétchénie: quelle efficacité du Conseil de l’Europe face à des violations massives des droits de l’homme?, in Revue Trimestrielle des Droits de l’Homme droit international et de droit comparé, 2003, pp. 83-97. 324 Ibidem. 325 Alla luce dell’art. 41 e dell’art. 46, par. 1 della Convenzione si afferma che « Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se

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fattispecie, la Corte deve essere adita tramite un ricorso interstatale oppure un ricorso

individuale 326.

Nel caso particolare della Repubblica cecena, secondo una parte autorevole della

dottrina, il ricorso interstatale sarebbe stato a priori la via migliore per far fronte al

tipo di violazioni commesse, aventi cioè un carattere di sistematicità e di estrema

gravità. Si ritiene infatti che a differenza del singolo ricorrente, il quale si rivolge alla

Corte per la violazione dei propri diritti individuali, uno Stato può adire la Corte a

difesa anche dei diritti della generalità degli individui 327. Tuttavia in accordo con

una parte della dottrina, riteniamo essere difficile per uno Stato adire la Corte contro

un altro Stato membro, se non sussistano forti interessi nel farlo 328. Tuttavia,

analizzando la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, individuiamo alcuni casi in

cui gli Stati membri del Consiglio d’Europa, pur senza avere un interesse specifico,

hanno adito la Corte di Strasburgo in seguito alle gravi e sistematiche violazioni

degli articoli della Convenzione commessi da altri Stati membri. È il caso dei ricorsi

presentati dalla Danimarca, Norvegia, Svezia insieme ai Paesi Bassi in seguito al

colpo di Stato militare in Grecia nel 1967 per le violazioni della Convenzione

commesse da parte dell’allora nuovo governo militare greco 329. Gli stessi Stati, con

l’aggiunta della Francia, hanno di nuovo adito la Corte in seguito al colpo militare in

Turchia nel 1980, per denunciare le violazioni commesse dall’allora nuovo governo

turco 330.

Tuttavia, come è stato correttamente rilevato da una parte della dottrina, è da

specificare che sia il caso greco che quello turco differiscono da quello ceceno da

non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa ». La Corte continua affermando che « Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti ». 326 Si veda quanto riportato dagli art. 33 e 35 della Convenzione. 327 Cfr. DRZEMCZEWSKI ANDREW, La prévention des violation des droits de l’homme: les mécanismes de suivi du Conseil de l’Europe, cit., supra nota 321, in part. p. 763 328 Ibidem. A supporto di questa tesi sono da citare ad esempio, le sentenze della Corte europea adita dall’Irlanda contro il Regno Unito in merito allo status dell’Irlanda del Nord, così come la Repubblica di Cipro contro la Turchia a causa dello status della Repubblica turca di Cipro del nord. Le sentenze in questioni sono reperibili a http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/search.asp?skin=hudoc-fr. Allo stato attuale delle cose, risulta che il 17 maggio 2001 solo il Parlamento danese ha proposto la possibilità di adire la Corte di Strasburgo in merito alle violazioni dei diritti umani in Cecenia. Il governo danese tuttavia si è rifiutato di continuare in tale direzione a causa della mancato sostegno degli altri Stati membri del Consiglio d’Europa, si veda Cfr. DRZEMCZEWSKI ANDREW, La prévention des violation des droits de l’homme: les mécanismes de suivi du Conseil de l’Europe, cit., supra nota 321, in part. p. 763. 329 Si fa riferimento alle così dette “sentenze greche” n. 3321-23 e n. 3344 del 1967 il cui testo è reperibile in http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/search.asp?sessionid=48397047&skin=hudoc-fr. 330 In tal caso si fa riferimento alle sentenze n. 9940-44 del 1982 della Corte di Strasburgo, il cui testo è reperibile in http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/search.asp?sessionid=48397047&skin=hudoc-fr.

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una parte per il fatto che nella Federazione russa non è avvenuto un colpo militare

che causò « une disparition brutale de la légitimité democratique, si importante au

sein du Conseil de l’Europe » 331, aspetto invece ritenuto alla base dei ricorsi

presentati da questi Stati. Dall’altra parte, va sottolineato che quando le violazioni

furono commesse in Grecia e in Turchia, la Corte di Strasburgo poteva essere adita

solo dagli Stati membri dal momento che il ricorso individuale non era ancora

permesso 332. A tal riguardo, è lecito supporre, in accordo con una parte della

dottrina, che gli Stati membri non hanno adito la Corte di Strasburgo contro la

Federazione russa, poiché hanno ritenuto i ricorsi individuali sostitutivi di quelli

interstatali. Tuttavia i ricorsi individuali, come già accennato in precedenza,

riguardando le violazioni personali subite dai ricorrenti, non hanno permesso alla

Corte di pronunciarsi a livello generale sulla gravità e sulla sistematicità delle

violazioni accorse in Cecenia.

A tale proposito, deve ricordarsi che la Corte in passato si è espressa sulla

sistematicità delle violazioni da parte di uno Stato. È il caso relativo, ad esempio, alla

sentenza Broniowski c. Polonia del 22 giugno 2004. In questa sentenza infatti, la

Corte ha ritenuto che le violazioni commesse dalla Polonia traevano origine da un

problema strutturale dello Stato. Di conseguenza lo Stato fu obbligato a porre in

essere delle misure generali affinché si garantisse a ciascun individuo, nella

medesima situazione dei ricorrenti della sentenza Broniowski, la garanzia della

tutela dei diritti umani 333.

Trattandosi di due situazioni molto diverse tra loro, la Corte non ha trasposto la

linea interpretativa espressa nella sentenza Broniowski c. Polonia in quelle cecene

poichè ciascun ricorso individuale è stato giudicato singolarmente senza che venisse

individuata una violazione sistematica e generalizzata degli articoli della

Convenzione europea 334. A tal riguardo è opportuno sottolineare come questa

posizione assunta dalla Corte sia stata criticata da una parte della dottrina nella

misura in cui la Corte, non seguendo la raccomandazione n. 3 del 12 maggio 2004

331 Cfr. DRZEMCZEWSKI ANDREW, La prévention des violation des droits de l’homme: les mécanismes de suivi du Conseil de l’Europe, cit., supra nota 321, in part. p. 763. 332 É solo dal 1° gennaio 1994, con l’entrata in vigore del Protocollo aggiuntivo n. 9, che la Corte può essere adita anche attraverso i ricorsi individuali. 333 Si veda i par. 188-194 della sentenza Broniowski c. Polonia del 22 giugno 2004. 334 Cfr. DRZEMCZEWSKI ANDREW, La prévention des violation des droits de l’homme: les mécanismes de suivi du Conseil de l’Europe, cit., supra nota 321, in part. p. 764.

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del Comitato dei Ministri di individuare all’interno delle sentenze cecene un

problema strutturale della Federazione russa, avrebbe perso l’occasione di attirare

l’attenzione degli Stati membri e degli organi di controllo del Consiglio d’Europa sul

caso ceceno 335.

2.2 L’azione di controllo da parte degli organi non giurisdizionali

Il Comitato dei Ministri è considerato l’organo esecutivo dell’organizzazione, ed

è composto dai Ministri degli affari esteri di ciascun Paese membro o dai loro

delegati. Esso svolge una funzione di controllo sul rispetto degli obblighi

convenzionali degli Stati in base all’art. 9 e all’art. 8 dello Statuto del Consiglio

d’Europa e sul rispetto delle sentenze emanate dalla Corte europea dei diritti

dell’uomo in base all’art 46, par. 2, della Convenzione stessa 336.

In merito al caso di specie, il Comitato ha tenuto un comportamento di maggiore

intransigenza rispetto a quello avuto nei confronti della Federazione russa durante la

prima guerra russo cecena del 1991, occasione nella quale il governo russo fu

ritenuto dagli organi del Consiglio d’Europa responsabile per le gravi e sistematiche

violazioni dei diritti umani 337. Le misure adottate dal Comitato dei Ministri sono

state infatti finalizzate non solo al controllo del rispetto delle sentenze della Corte di

Strasburgo ma anche all’istituzione di una commissione speciale nel giugno 2001

incaricata di verificare la confomità agli standard democratici della legge federale

russa sull’antiterrorismo 338.

335 Cfr. DRZEMCZEWSKI ANDREW, La prévention des violation des droits de l’homme: les mécanismes de suivi du Conseil de l’Europe, cit., supra nota 321, in part. p. 764. Il testo della risoluzione n° 3 del 2004 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa è reperibile https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?id= 743257&La ng=fr. 336 L’art. 8 dello Statuto riporta che « Ogni Membro del Consiglio d’Europa che contravvenga alle disposizioni dell’articolo 3, può essere sospeso dal diritto di rappresentanza e invitato dal Comitato dei Ministri a recedere nelle condizioni di cui all’articolo 7. Il Comitato può risolvere che il Membro, il quale non ottemperi a tale invito, cessi d’appartenere al Consiglio dal giorno stabilito dal Comitato stesso ». L’art. 9 invece riporta che « Il Comitato può sospendere dal diritto di rappresentanza nel Comitato e nell’Assemblea Consultiva il Membro che non soddisfaccia agli obblighi finanziari, fintanto che non li abbia adempiuti ». L’art. 46, par. 2 riporta che « La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione ». 337 Cfr. FRANCIS CÉLINE, La Guerre En Tchétchénie: quelle efficacité du Conseil de l’Europe face à des violations massives des droits de l’homme, cit., supra nota 323.  338 La Comissione ha iniziato però i propri lavori nel 2002 al fine di verificare la conformità della legge sull’anti-terrorismo russo alle norme riportate nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Essa ha proposto in numerose raccomandanzioni misure volte a sanare le lacune giuridiche della legge in questione. SI veda in merito la riunione 756 del Comitato dei Ministri del 12-14 giungno 2001. Il cui testo è reperibile in http://www.coe.int/t/cm/WCD/latestDocuments_en.asp.

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Secondo quanto sancito dallo Statuto del Consiglio d’Europa, il Segretario

generale svolge solo funzioni amministrative e di collaborazione con l’Assemblea

parlamentare e con il Comitato dei Ministri, senza esercitare una funzione di

controllo correttivo 339. Tuttavia, in base all’art. 52 della Convenzione, esso ha la

possibilità di poter condurre delle inchieste nei confronti dei governi degli Stati

membri, con lo scopo di verificare il rispetto della Convenzione 340. Pertanto, nel

caso di specie, il Segretario generale ha chiesto al governo russo spiegazioni in

merito alle gravi violazioni dei diritti umani perpetrate ai danni dei civili ceceni,

riuscendo a rinvenire la gravità e la sistematicità delle violazioni commesse 341.

Anche il Commissario per i diritti umani è un organo sussidiario del Comitato

dei Ministri che esercita una funzione di controllo non giurisdizionale, promuovendo

tramite raccomandazioni l’educazione e la promozione dei diritti dell’uomo

all’interno degli Stati membri. Così come il Segretario generale, anche il

Commissario ha verificato l’effettiva gravità e la sistematicità delle violazioni

commesse dall’esercito federale in seguito ad alcune visite compiute direttamente

nella Repubblica cecena 342.

Un altro organo del Consiglio d’Europa avente una funzione di controllo

preventivo è il Comitato per la prevenzione della tortura istituito in base all’art. 1

della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti

inumani o degradanti, il quale è competente ad esaminare il trattamento riservato alle

persone che sono state private della libertà da parte delle autorità federali 343. La

Convenzione, ratificata dalla Federazione russa nel 1998, obbliga il governo russo in

base all’art. 1, ad accogliere il Comitato durante le sue visite di controllo; in caso 339 Cfr. FRANCIS CÉLINE, La Guerre En Tchétchénie: quelle efficacité du Conseil de l’Europe face à des violations massives des droits de l’homme, cit., supra nota 323.  340 L’art. 52 della Convenzione recita che « Ogni Alta Parte Contraente, su domanda del Segretario Generale del Consiglio díEuropa, fornire le spiegazioni richieste sul modo in cui il proprio diritto interno assicura líeffettiva applicazione di tutte le disposizioni della presente Convenzione ». 341 Cfr. DRZEMCZEWSKI ANDREW, La prévention des violation des droits de l’homme: les mécanismes de suivi du Conseil de l’Europe, cit., supra nota 321, in part. p. 768. Cfr. RABILLER S., Le pouvoir d’enquête du secrétarie général du Conseil de l’Europe – À propos de la demande d’explications à la Fédération de Russie concernant la Tchétchénie in Revue Générale de Droit International Public, 2000, pp. 965-984. 342 Si vedano il rapporto del 10 dicembre 1999, quello del 1 marzo 2000, quello del 28 novembre 2001 e quello del 4 marzo 2003 del Commissario per i diritti umani. I testi sono reperibili in http://www.coe.int/t/ commissioner/ WCD/docsbycountry_en.asp#.   343 L’art. 1 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti afferma che « È istituito un Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (qui di seguito denominato: «il Comitato»). Il Comitato esamina, per mezzo di sopralluoghi, il trattamento delle persone private di libertà allo scopo di rafforzare, se necessario, la loro protezione dalla tortura e dalle pene o trattamenti inumani o degradanti ». Il testo della Convenzione è reperibile in http://conventions.coe.int/Treaty/ita/Treaties/ Html/126.htm.

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contrario, il Comitato può sanzionare lo Stato mediante una dichiarazione pubblica di

denuncia delle violazioni commesse 344. Nel caso di specie, il Comitato ha rilasciato

due dichiarazioni riguardanti il comportamento del governo russo, una del 10 luglio

2001 e l’altra del 10 luglio 2003 345. Nella prima, il Comitato ha denunciato il ricorso

agli strumenti di tortura da parte delle forze armate federali nei centri di detenzione

in Cecenia; nella seconda, il Comitato ha criticato aspramente la mancata

collaborazione da parte delle autorità federali con i tribunali interni federali affinché

si agevolasse il corretto svolgimento delle indagini. Così come sottolineato da una

parte della dottrina, il ruolo svolto dal Comitato ha prodotto considerevoli risultati, in

quanto tra la prima dichiarazione pubblica rilasciata e la seconda, si sono registrati in

Cecenia considerevoli miglioramenti in merito al rispetto del divieto di ricorso alla

tortura nei confronti dei cittadini ceceni 346.

È infine opportuno menzionare anche l’azione e il supporto dato dall’Assemblea

parlamentare alla prevenzione delle violazioni dei diritti umani in Cecenia.

In caso di violazione dei diritti umani da parte di uno Stato membro,

l’Assemblea può adottare delle risoluzioni o delle raccomandazioni contro lo Stato

ritenuto responsabile, oppure può rifiutarsi di ratificare i poteri della delegazione

parlamentare dello Stato accusato o annullare i poteri di ratifica della delegazione di

rappresentanza, in conformità con l’art. 6 del suo regolamento 347.

L’Assemblea, esprimendosi anch’essa in merito alla situazione in Cecenia, ha

adottato diverse risoluzioni di condanna delle operazioni, rinvenendo anch’essa

344 Il Comitato, è l’unica istituzione che può, in qualunque momento, condurre un’ispezione in un qualsiasi luogo di detenzione situato in uno degli Stati membri del Consiglio d’Europa. Alla luce dell’art. 8, par. 1 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti si afferma che « Il Comitato notifica al governo della Parte interessata il suo intento di procedere ad un sopralluogo. A seguito di tale notifica il Comitato è abilitato a visitare in qualsiasi momento i luoghi di cui all’articolo 2 ». Oppure può farlo immediatamente in caso in cui si rinvenissero delle condizioni di eccezionalità, così come disposto dall’art. 9, per cui « In circostanze eccezionali, le Autorità competenti della Parte interessata possono far conoscere al Comitato le loro obiezioni al sopralluogo nel momento prospettato dal Comitato o nel luogo specifico che il Comitato è intenzionato a visitare. Tali obiezioni possono essere formulate solo per motivi di difesa nazionale o di sicurezza pubblica o a causa di gravi disordini nei luoghi nei quali vi siano persone private di libertà, dello stato di salute di una persona o di un interrogatorio urgente nell’ambito di un’inchiesta in corso, connessa ad un reato penale grave ». 345 I testi delle due dichiarazioni rilasciate dal Comitato per la prevenzione dalla tortura sono reperibili in http://www.cpt.coe.int/en/states/rus.htm. 346 Cfr. FRANCIS CÉLINE, La Guerre En Tchétchénie: quelle efficacité du Conseil de l’Europe face à des violations massives des droits de l’homme, cit., supra nota 323, in part. 95 347 Si veda anche la risoluzione n. 1115 del 29 gennaio 1997 sulla creazione di una Commissione dell’Assemblea parlamentare per il rispetto degli obblighi contratti dagli Stati membri del Consiglio d’Europa, il cui testo è reperibile in http://assembly.coe.int/main.asp?Link=/documents/adoptedtext/ ta06/eres1115.htm.

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l’aspetto sistematico delle violazioni dei diritti umani 348. Ai sensi dell’art. 8 e

dell’art. 9 dello Statuto del Consiglio d’Europa, l’Assemblea può richiedere al

Comitato dei Ministri la sospensione dello Stato dal Consiglio nel caso in cui

persista nella violazione degli obblighi derivanti dalla Convenzione 349. Nel caso di

specie, l’Assemblea ha richiesto al Comitato dei Ministri, con la raccomandazione n.

1456 del 6 aprile 2000, la sospensione della Federazione russa dal Consiglio

d’Europa per la gravità delle violazioni commesse dall’esercito russo in Cecenia e

per la persistenza dimostrata nel commetterle 350. Tuttavia, il Comitato dei Ministri

ha deciso il 27 giugno 2000, di non sospendere la Federazione russa dal Consiglio

d’Europa. A tal riguardo essa ha affermato che « […] dans les circonstances actuelles, une action du Comité dans le cadre de l’Article

8 du Statut n’est pas nécessaire. Le Comité persiste à penser que le Conseil de l’Europe a une contribution essentielle à apporter pour rétablir les droits de l’homme en République tchétchène. Dans le même temps, il reconnaît que cette contribution ne peut être apportée que si la Russie est membre de l’Organisation et qu’elle respecte ses engagements vis-à-vis de celle-ci » 351.

Alla luce di quanto detto, occorre sottolineare che, nonostante il Comitato dei

Ministri e la Corte europea dei diritti dell’uomo siano gli organi del Consiglio

d’Europa più competenti a ravvisare ed eventualmente far rispettare le violazioni dei

diritti umani, riteniamo che, nel caso di specie, abbiano in un certo senso mancato di

individuare la gravità, nonché la sistematicità, delle violazioni commesse dal

governo russo in Cecenia 352. Allo stesso tempo, è opportuno peraltro sottolineare

come questa lacuna sia stata supplita, dall’azione di controllo, seppur non di carattere

giurisdizionale, condotta dagli organi del Consiglio d’Europa, quali il Segretario

348 Per uno studio più dettagliato di quanto detto dall’Assemblea si veda la risoluzione n° 1240 del 25 gennaio 2001, il cui testo è reperibile in http://assembly.coe.int/ASP/Doc/ATListingDetails_E.asp?ATID =10186; e la risoluzione 1270 del 23 gennaio 2002, il cui testo è reperibile in http://assembly.coe.int/ ASP/Doc/ATListing Details_E.asp?ATID=10287. 349 Per l’art. 8 dello Statuto e l’art. 9 della Convenzione, si veda cit., supra nota 350. 350 Si veda in particolar modo si veda il par. 24 (iii) della raccomandazione dell’Assemblea n° 1456 del 6 aprile 2000, in cui si afferma che « [...] si des progrès substantiels, s’accélérant et démontrables n’étaient pas accomplis immédiatement en ce qui concerne les exigences formulées au paragraphe 19, d’entamer sans tarder - conformément à l’article 8 du Statut - la procédure visant à suspendre le droit de représentation de la Fédération de Russie auprès du Conseil de l’Europe [...] ». Si veda anche la raccomandazione n. 1478 del 29 giugno 2000. I testi delle presenti raccomandazioni sono reperibili in http://assembly.coe.int/ASP/Search/ PACEWebItemSearchDoc_E.asp. 351 Si veda al riguardo la risposta del Comitato dei Ministri del 27 giugno 2000, il cui testo è reperibile in https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?id=363041&Site=CM&BackColorInternet=C3C3C3&BackColorIntranet=EDB021&BackColorLogged=F5D383. 352 Cfr. OBERG DIVAC MARKO, Le suivi par le Conseil de l’Europe du Conflit en Tchétchénie, cit. supra nota 320, in part. p. 765.

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generale, l’Assemblea parlamentare il Commissario dei diritti umani e il Comitato

per la prevenzione contro la tortura 353.

Una parte della dottrina ritiene che a fronte del carattere sistematico delle

violazioni commesse in Cecenia, le azioni di carattere preventivo poste in essere

dagli organi del Consiglio d’Europa si sarebbero dunque rivelate più efficaci rispetto

a quelli posti in essere dal Comitato dei Ministri o dalla Corte europea dei diritti

dell’uomo 354.

3. La debolezza degli organi del Consiglio d’Europa

La delicatezza politica del conflitto in Cecenia ha rappresentato un grande

problema per gli organi di controllo del Consiglio d’Europa, i cui tentativi di porre

rimedio alle violazioni perpetrate si sono scontrati con la forte influenza politica

della Federazione russa. Una parte autorevole della dottrina ha ritenuto infatti che la

funzione di controllo propria degli organi del Consiglio d’Europa si sarebbero

rivelate inefficaci, nella misura in cui avrebbero tenuto in considerazione il peso

politico che la Federazione russa esercita in seno al Consiglio d’Europa 355.

3.1 L’Assemblea parlamentare

Pur non volendo addentrarci nel campo specifico delle relazioni internazionali, ci

sembra opportuno analizzare il rapporto che è intercorso tra il Consiglio d’Europa e

la Federazione russa per analizzare più compiutamente l’efficacia delle misure

adottate per porre fine alla violazione generalizzata dei diritti umani in Cecenia. Da

questo punto di vista, analizzeremo, a titolo d’esempio, il comportamento avuto

dall’Assemblea parlamentare in merito al caso ceceno in quanto principale organo

legislativo del Consiglio d’Europa.

353 Ibidem. 354 Cfr. CHARPENTIER J., Le Contrôle par les organizations internationales de l’exécution des obligations des États, in Recueil des Cours de l'Académie de droit international de la Haye, 1983. Cfr. CASSESE A., A New Approach to Human Rights: the Eropean Convention for the Prevention of Torture, in American Journal of International Law, 1989. Cfr. OBERG DIVAC MARKO, Le suivi par le Conseil de l’Europe du Conflit en Tchétchénie, cit., supra nota 321. 355 Ibidem.  

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In seno all’Assemblea parlamentare, il 25 gennaio 2001 è stato istituito con ris.

n. 1240, un gruppo di lavoro misto formato dai rappresentanti dell’Assemblea

parlamentare e dai membri della Duma di Stato 356, con l’intento di porre rimedio alle

violazioni dei diritti umani in Cecenia attraverso una politica di collaborazione tra il

Consiglio d’Europa e il governo russo. La formazione di questa Commissione si è

resa necessaria a causa del ricorso che la delegazione russa faceva del suo diritto di

veto in seno all’Assemblea. A causa della sua formazione mista, la Federazione russa

è riuscita tuttavia ad impedire lo stesso l’efficace svolgimento dei lavori, tanto che

nella risoluzione n. 9440 del del 7 maggio 2002, l’Assemblea parlamentare ha

affermato che « par le jeu de la règle du consensus, donne de fait à la délégation de Russie un droit de

veto sur tout projet de document. De cette manière, la procédure de suivi indépendante a été remplacée par une procédure spéciale, qui est plutôt irrégulière, puisqu'un Etat membre du Conseil de l'Europe peut s’auto-juger […] invite le Comité des Ministres à rechercher plus généralement comment il pourrait être mis fin à la Seconde guerre de Tchétchénie par des moyens plus efficaces que le Groupe de travail » 357.

In seguito all’ostruzionismo della delegazione russa dunque, la funzione di

controllo esercitata dall’Assemblea parlamentare era ridotta alla mera adozione di

risoluzioni e raccomandazioni, le quali non riuscivano a produrre effetti significativi 358. Durante le fasi iniziali del conflitto infatti, l’Assemblea non si era riuscita ad

esprimere in merito ai fatti, limitandosi a raccogliere informazioni e condannando, in

termini generali, le operazioni militari senza prendere nessuna decisione in merito 359. Succesivamente, in seguito alla costante mancanza di collaborazione con il

governo russo, l’Assemblea ha deciso di adottare una linea più intransigente nei suoi

confronti, sospendendo il diritto al voto della delegazione russa presso l’Assemblea 360. Tuttavia sperando di incoraggiare la Federazione russa verso una soluzione

pacifica del conflitto rispettosa dei diritti dell’uomo 361, l’Assemblea ha poi ricercato

356 Si veda la ris. n. 1240 del 25 gennaio 2001, il cui testo è reperibile in http://assembly.coe.int//main.as p?link=http://assembly.coe.int/documents/adoptedtext/TA01/FRES1240.htm. 357 Si veda a tal proposito la risoluzione n. 9440 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa del 7 maggio 2002, il cui è reperibile in http://assembly.coe.int/main.asp?Link=/documents/workingdocs /doc02/fdoc9440.htm. 358 Cfr. OBERG DIVAC MARKO, Le suivi par le Conseil de l’Europe du Conflit en Tchétchénie, cit. supra nota 333.  359 Si veda a tal proposito la ris. n. 1201 del 4 novembre 1999. Per il testo della risoluzione si veda in http://assembly.coe.int/main.asp?Link=/documents/adoptedtext/ta99/fres1201.htm. Si veda anche la ris. n. 1444 del 27 gennaio 2000, il cui testo è reperibile in http://assembly.coe.int//main.asp?link=http:// assembly .coe.int/documents/adoptedtext/ta00/FREC1444.HTM. 360 Si veda la risoluzione n. 1478 del 29 giugno 2000, cit., supra nota 364. 361 A tal proposito si veda la risoluzione n° 1240 del 25 gennaio 2001 e la risoluzione n° 1270 del 23 gennaio 2002, i cui testi sono reperibili in http://assembly.coe.int/ASP/Search/PACEWebItem SearchDoc_E.asp.

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una linea di maggiore cooperazione, riattribuendo i poteri di voto alla delegazione

russa. Ciò nonostante, la linea di cooperazione con la Federazione russa è fallita

nuovamente a causa della mancata collaborazione del governo russo con il

Consiglio d’Europa per porre fine alla violazione dei diritti umani in Cecenia 362.

In definitiva, è possibile rinvenire due strategie principali dell’Assemblea

parlamentare: da una parte la via della cooperazione e della collaborazione con la

Federazione russa, dall’altra la via delle sanzioni 363. È tuttavia da sottolineare che

nessuna di queste due strategie si è rivelata efficace a causa del forte peso politico

esercitato dalla Federazione russa 364.

3.2 Il Comitato dei Ministri

Nel capitolo abbiamo visto come il Comitato dei Ministri ricopra un ruolo

importante all’interno del Consiglio d’Europa non solo per i poteri esercitati 365, ma

anche perché è l’organo esecutivo dell’organizzazione composto dai delegati dei

Ministri degli Stati membri 366. In ragione della sua composizione politica il

Comitato dei Ministri è dunque un organo di notevole influenza nei confronti degli

Stati membri. Tuttavia, è stato altresì sottolineato che proprio la sua dimensione

“politica” comporterebbe un’applicazione non obiettiva delle norme della

Convenzione, soprattutto quando a violarle è uno Stato con una forte rilevanza

politica 367.

A tal proposito, una parte rilevante della dottrina ritiene che, nel caso di specie,

la maniera con la quale il Comitato dei Ministri ha esercitato la propria funzione di

controllo, dimostri come abbia risentito del forte potere politico della Federazione

362 Si veda la ris. n. 1323 del 2 aprile 2003 i cui l’Assemblea afferma che « […] the Russian Federation Government, administration and judicial system and the successive Chechen regimes – has failed dismally to provide such protection from human rights abuses ». Il testo della risoluzione è reperibile in http://assembly.coe.int//main.asp?link=http://assembly.coe.int/documents/adoptedtext/ta03/ERES1323.htm. 363 Cfr. OBERG DIVAC MARKO, Le suivi par le Conseil de l’Europe du Conflit en Tchétchénie, cit. supra nota 320. 364 Ibidem; Cfr. CASSESE A., A New Approach to Human Rights: the European Convention for the Prevention of Torture, cit., supra nota 354. 365 Il Comitato dei Ministri infatti può ricorrere a misure che vanno dal richiedere informazioni in merito ad una specifica fattispecie fino all’esclusione dello Stato convenuto dal Consiglio d’Europa. Si veda quanto riportato nell’art. 8 e nell’art. 9 dello Statuto del Consiglio d’Europa , cit., supra nota 361. 366 Cfr. CHARPENTIER J., Le Contrôle par les organizations internationales de l’exécution des obligations des États, cit., supra nota 354, in part. 190-191 367 Cfr. CASSESE A., A New Approach to Human Rights: the Eropean Convention for the Prevention of Torture, cit., supra nota 354.

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russa 368. Infatti si ritiene che la risposta data dal Comitato dei Ministri alle violazioni

delle norme della Convenzione da parte del governo russo è stata del tutto

insoddisfacente, non avendo adottato nessuna decisione rilevante nei confronti del

governo russo, nonostante fosse a conoscenza delle violazioni commesse in Cecenia,

grazie ai rapporti che il Segretario generale gli forniva periodicamente 369.

4. Conclusioni al capitolo

In conclusione, possiamo affermare che gli organi del Consiglio d’Europa che

esercitano una funzione di controllo non giurisdizionale sono stati gli unici ad aver

saputo individuare il carattere generalizzato delle violazioni dei diritti umani

commesse in Cecenia.

Si è altresì osservato che le azioni poste in essere dal Consiglio d’Europa hanno

un carattere sia preventivo che correttivo. Le prime sono poste in essere dagli organi

che svolgono funzioni non giurisdizionali, mentre le seconde sono attuate

dall’organo giurisdizionale del Consiglio, la Corte europea dei diritti dell’uomo.

Dalla nostra analisi è emerso che entrambi i tipi di azioni non sono stati in grado di

porre fine alle violenze arrecate al popolo ceceno, poiché per porvi fine, nelle

circostanze in cui si sono sviluppati i fatti, si sarebbe resa necessaria la presenza di

una forza stabile e duratura sul territorio che permettesse un controllo preventivo

delle operazioni militari.

Infine, dall’analisi compiuta in merito al rapporto intercorrente tra il Consiglio

d’Europa e la Federazione russa si evince come l’influenza politica esercitata da

quest’ultima ha avuto un forte peso sul funzionamento degli organi

dell’organizzazione.

A conclusione del capitolo, si deve dunque osservare come gli strumenti posti in

essere dal Consiglio d’Europa si sono rivelati essere inefficaci a fermare le violenze

commesse in Cecenia. A questo punto, gli unici strumenti utili a far fronte a tali

368 Cfr. OBERG DIVAC MARKO, Le suivi par le Conseil de l’Europe du Conflit en Tchétchénie, cit., supra nota 320. 369 Si veda a proposito il par. 1.7 della decisione del Comitato dei Ministri n. 725 del 10 ottobre 2000 nella parte in cui si richiede al Segretario generale di informare periodicamente il Comitato della situazione in Cecenia. Il testo della decisione è reperibile in https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp ?Ref=CM/Del/Dec(2000)725&Language=lanEnglish&Site=COE&BackColorInternet=DBDCF2&BackColorIntranet=FDC864&BackColorLogged=FDC864. Cfr. OBERG DIVAC MARKO, Le suivi par le Conseil de l’Europe du Conflit en Tchétchénie, cit., supra nota 320.  

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violazioni dei diritti umani, potrebbero essere quelli della sospensione o

dell’esclusione della Federazione dall’organizzazione. Tuttavia riteniamo, in accordo

con una parte della dottrina, che questi strumenti siano difficilmente applicabili al

caso di specie, nella misura in cui escludere totalmente la Federazione russa dal

controllo del Consiglio d’Europa significherebbe perdere ogni tipo d’influenza su di

essa. In proposito è significativo quanto dichiarato dal Comitato dei Ministri secondo

cui « The Committee believes that, in the present circumstances, there is no need for the

Committee to act in the context of Article 8 of the Statute. The Committee remains of the view that the Council of Europe has a major contribution to make to the restoration of human rights in the Chechen Republic. At the same time, it recognizes that the contribution can only be made on the basis of Russia being a member of the Organisation and fulfilling its commitments to the Organisation » 370.

In definitiva però, riteniamo opportuno fare un’ultima considerazione in merito

all’efficacia delle misure adottate dal Consiglio d’Europa per fermare le violazioni

dei diritti umani in Cecenia. Si ritiene che i ricorsi individuali presentati alla Corte di

Strasburgo, nonostante non siano stati degli utili strumenti per individuare i caratteri

di gravità e sistematicità di tali violazioni, hanno tuttavia offerto alla Corte la

possibilità di pronunciarsi sui singoli casi e accertare in quelle circostanze l’avvenuta

violazione dei diritti umani. La funzione di controllo del Consiglio d’Europa, in

riferimento almeno a quella esercitata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, non

deve essere dunque sottostimata poiché, nonostante le molteplici difficoltà del caso,

la Corte di Strasburgo, esprimendosi nel merito, ha dato la possibilità ai cittadini

ceceni di ottenere giustizia, nonostante il forte peso politico esercitato dalla

Federazione russa in seno al Consiglio d’Europa.

370 A tal proposito si veda il par. 44 della risposta del Comitato dei Ministri del 27 giugno 2000 alla raccomandanzione del 6 aprile 2000 dell’Assemblea parlamentare, il cui testo è reperibile in https://wcd.coe.int/ViewDoc.jsp?id=363031&Site=CM&BackColorInternet=C3C3C3&BackColorIntranet=EDB021&BackColorLogged=F5D383.

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CONCLUSIONI

Nel lavoro si è esaminata la questione delle violazioni dei diritti umani

commesse dalla Federazione russa durante il conflitto russo-ceceno e dell’efficacia

degli strumenti posti in essere dal Consiglio d’Europa per porre fine a tali violazioni.

Prima di trattare questi argomenti in maniera specifica, abbiamo fatto un excursus in

merito alla situazione giuridica della Repubblica cecena in seno alla Federazione

russa, analizzando alcuni aspetti particolarmente rilevanti ai fini della comprensione

del quadro giuridico nel quale ci siamo addentrati.

Da quanto analizzato nel primo capitolo, ricostruendo il processo di

adeguamento della Federazione russa al diritto internazionale, riteniamo che la

Federazione russa si sia adeguata agli standard democratici “occidentali”, con

particolare riferimento al diritto internazionale umanitario e alle norme a tutela dei

diritti umani. Tuttavia riteniamo che il comportamento della Federazione russa in

merito al rispetto di queste norme sia stato abbastanza ambiguo e discontinuo. A

supporto di questa tesi, nel primo capitolo abbiamo analizzato la sentenza del 31

luglio 1995 della Corte Costituzionale russa, la quale, esprimendosi

sull’incostituzionalità di alcuni decreti presidenziali in merito all’uso della forza

militare nella Repubblica cecena, ha affermato che, nonostante l’impegno profuso

dalla Federazione russa, il legislatore federale doveva ancora adeguare pienamente il

sistema normativo interno al rispetto del diritto internazionale umanitario.

L’analisi della sentenza della Corte Costituzionale, ci ha permesso di analizzare

un altro importante aspetto, quale il diritto della Repubblica cecena a secedere

territorialmente dalla Federazione russa, che abbiamo ritenuto opportuno

approfondire nel secondo capitolo.

Dopo aver ricostruito l’evoluzione del principio di autodeterminazione dei popoli

sia nell’ambito delle Nazioni Unite sia nella prassi della Corte internazionale di

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giustizia ed aver riscontrato il suo carattere erga omnes nonché il suo essere

diventato un principio di jus cogens, abbiamo esaminato se il tentativo di secessione

cecena potesse essere legittimato alla luce di tale principio. Analizzando le varie

posizioni in dottrina in merito a quale dovesse essere lo status giuridico da

riconoscere alla Repubblica cecena, siamo giunti alla conclusione che non è possibile

ritentere lecito il tentativo di secessione territoriale dalla Federazione per diverse

ragioni: innanzitutto perché nella Repubblica cecena non sono rinvenibili le

circostanze riportate nella Dichiarazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni

Unite del 14 dicembre 1960 n. 1514, quelle cioè di dominazione coloniale,

segregazione razziale ed occupazione straniera, che renderebbe lecito la secessione.

Inoltre, la secessione territoriale da uno Stato sovrano deve avvenire nel pieno

rispetto del suo diritto all’integrità territoriale, così come sancito sempre

dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nella dichiarazione n. 1514, prima

ricordata. Nel caso di specie, riteniamo che il tentativo di secessione della Cecenia

violerebbe il diritto all’integrità territoriale della Federazione russa, rendendolo

pertanto illecito a livello internazionale. Infine, da quanto abbiamo potuto esaminare

nel secondo capitolo, la secessione cecena dalla Federazione russa deve essere

considerata illecita anche dal punto di vista dei requisiti che permettono di ritenere

legittima l’applicabilità del diritto all’autodeterminazione esterna in un contesto post-

coloniale. Tali requisiti, come già ricordato, sono: l’esaurimento dei ricorsi pacifici

interni ed internazionali del popolo richiedente l’indipendenza per risolvere lo stato

di crisi interna; il ricorso alla forza armata solo come extrema ratio per conseguire

l’indipendenza; infine, il godimento da parte del movimento indipendentista del

pieno consenso popolare.

Dal momento che la Repubblica cecena non può, a nostro avviso secedere dalla

Federazione russa, abbiamo esaminato invece se fosse stato garantito al popolo

ceceno il diritto a godere della propria autodeterminazione interna da parte del

governo russo. Nel far ciò abbiamo sia analizzato la Costituzione cecena approvata

tramite il referendum costituzionale del 23 marzo 2003, sia le modalità con le quali

tale referedum è stato svolto. In merito all’analisi della Costituzione ci riteniamo in

accordo con l’opinione espressa dalla Commissione Venezia, la quale ha ritenuto

soddisfatti nel testo costituzionale ceceno gli standard di democraticità richiesti dal

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Consiglio d’Europa. Tuttavia l’analisi compiuta ha mancato di considerare le

condizioni e le modalità in cui si è svolto il referendum, che invece riteniamo

determinanti per valutare se il diritto all’autodeterminazione interna del popolo

ceceno sia stato violato. In proposito, ci troviamo in accordo con quella parte della

dottrina seconda cui la Federazione russa avrebbe violato il diritto

all’autodeterminazione interna del popolo ceceno poiché le modalità con le quali il

referendum si è svolto hanno costretto i cittadini ceceni ad adottare la Costituzione,

privandoli così della possibilità di rifiutarla e di non poter dunque scegliere

liberamente la forma di governo e di rappresentanza.

Dopo aver ricostruito il quadro giuridico della Repubblica cecena e dopo aver

analizzato il diritto del suo popolo a secedere o meno dalla Federazione russa,

abbiamo analizzato la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in

merito alle violazioni commesse dal governo russo e ne abbiamo approfondito alcuni

aspetti. Dalle sentenze emesse dalla Corte sono emerse diverse violazioni comuni

alle sentenze, tra cui la violazione dell’art. 2 e dell’art. 13 della Convenzione

europea. Come abbiamo visto, le sentenze cecene non hanno apportato alcuna

“novità” alla giurisprudenza della Corte in merito alla violazione del diritto alla vita

o alla tutela contro la tortura. Tuttavia, riteniamo in accordo con una parte della

dottrina, che una “novità” alla giurisprudenza sia data dall’applicazione e dal

conseguente rapporto tra le norme a tutela dei diritti umani e quelle di diritto

internazionale umanitario durante un conflitto armato interno, come è stato

interpretato dalla Corte. Dalle sentenze cecene infatti si potrebbe delineare la

tendenza della Corte ad applicare direttamente le norme a tutela dei diritti umani per

regolare la condotta delle ostilità durante i conflitti armati interni, senza rispettare il

principio della lex specialis derogat lex generali riconosciuto alle norme di diritto

internazionale umanitario durante i conflitti armati.

Oltre alle sentenze emesse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, il Consiglio

d’Europa ha attuato diverse misure volte a interrompere la grave e sistematica

violazione dei diritti umani in Cecenia. Nell’ultimo capitolo abbiamo tentato di

verificare l’efficacia delle misure poste in essere dal Consiglio d’Europa per

individuare il carattere grave e sistematico delle violazioni. Nell’esaminare tali

misure adottate dai vari organi del Consiglio, riteniamo che questi ultimi abbiano

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risentito dell’influenza “politica” esercitata dalla Federazione russa in seno del

Consiglio d’Europa, che ha comportato una scarsa efficacia delle misure adottate. In

definitiva, nonostante l’influenza esercitata dalla Federazione russa, riteniamo che il

carattere di gravità e sistematicità è stato individuato dagli organi del Consiglio

d’Europa, ad eccezione della Corte europea dei diritti dell’uomo e dal Comitato dei

Ministri. La Corte di Strasburgo infatti non è stata in grado di individuare tale

carattere a causa della natura dei ricorsi pervenutele: i ricorsi individuali infatti

hanno condotto la Corte ad esprimersi singolarmente per ogni ricorso ma non le

hanno permesso di individuare il carattere generalizzato delle violazioni. Il Comitato

dei Ministri invece, come già detto nel corso dell’elaborato, ha risentito

dell’influenza “politica” della Federazione russa.

In conclusione, nonostante gli strumenti posti in essere dal Consiglio d’Europa

non siano risultati totalmente efficaci a riconoscere la gravità immediata delle

violazioni e ad attuare delle misure in grado di porvi fine, si ritiene che i ricorsi

individuali presentati alla Corte di Strasburgo, le abbiano offerto la possibilità di

pronunciarsi sui singoli casi e accertare in quelle circostanze l’avvenuta violazione

dei diritti umani. La funzione di controllo esercitata dagli organi del Consiglio

d’Europa dunque non deve essere sottostimata, poiché nonostante le molteplici

difficoltà del caso, si è data la possibilità ai cittadini ceceni di ottenere giustizia

tramite il ricorso alla Corte di Strasburgo, laddove a livello nazionale non ne avevano

avuto la possibilità.

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