Università degli studi di BariLe teorie istituzionali e la dottrina pura di Hans Kelsen pag. 4 LE...

44
1 Università degli studi di Bari Facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali Corso di laurea in Scienze ambientali Gestione e risorse del mare e delle coste Modulo di Economia e legislazione ambientale I° semestre 8 crediti Prof. F.Panza PARTE PRIMA: DIRITTO PUBBLICO AVVISO I presenti appunti non costituiscono una sostituzione o un’alternativa al libro di testo che consiglio caldamente, sono solo appunti creati da me (basandomi sulle lezioni e sui vari testi consigliati) che non sono stati sottoposti ad alcuna verifica da parte di persone competenti in materia e quindi potrebbero contenere degli errori sia nella forma che nel contenuto. Declino ogni responsabilità sull’utilizzo di questi appunti.

Transcript of Università degli studi di BariLe teorie istituzionali e la dottrina pura di Hans Kelsen pag. 4 LE...

  • 1

    Università degli studi di Bari

    Facoltà di Scienze matematiche fisiche e naturali

    Corso di laurea in

    Scienze ambientali Gestione e risorse del mare e delle coste

    Modulo di Economia e legislazione ambientale

    I° semestre 8 crediti

    Prof. F.Panza

    PARTE PRIMA: DIRITTO PUBBLICO

    AVVISO I presenti appunti non costituiscono una sostituzione o un’alternativa al libro di testo che consiglio caldamente, sono solo appunti creati da me (basandomi sulle lezioni e sui vari testi consigliati) che

    non sono stati sottoposti ad alcuna verifica da parte di persone competenti in materia e quindi potrebbero contenere degli errori sia nella forma che nel contenuto.

    Declino ogni responsabilità sull’utilizzo di questi appunti.

  • 2

    Indice COMUNITA’ E DIRITTO pag. 3 I gruppi e gli interessi sociali ed il loro principio ordinatore pag. 3 Le teorie istituzionali e la dottrina pura di Hans Kelsen pag. 4 LE FONTI DEL DIRITTO pag. 5 La norma giuridica pag. 4 Il concetto di fonte pag. 8 La costituzione pag. 10 Le leggi pag. 14 Decreti legge e decreti legislativi pag. 15 Il principio di gerarchia pag. 16 LO STATO pag. 17 Lo Stato istituzione pag. 17 L’evoluzione storica dello Stato evoluzione pag. 17 Le varie forme di Stato pag. 18 Elementi costitutivi dello Stato: territorio, popolo, sovranità pag. 20 LE funzioni dello Stato pag. 21 ORGANIZZAZIONE DELLO STATO pag. 23 Il principio della separazione dei poteri, le interferenze funzionali pag. 23 Gli atti giuridici e la loro classificazione pag. 24 ORDINAMENTO DELLO STATO ITALIANO pag. 27 Il potere legislativo pag. 27 Il potere esecutivo pag. 33 Il potere giudiziario pag. 35 Il Presidente della Repubblica pag. 37 La corte costituzionale pag. 39 BIBLIOGRAFIA pag. 44

  • 3

    PARTE PRIMA: DIRITTO PUBBLICO I. COMUNITA’ E DIRITTO

    • I gruppi e gli interessi sociali ed il loro principio ordinatore L’uomo non può vivere isolato, ma è in continua relazione con i suoi simili, assieme ai quali costituisce dei gruppi sociali, più o meno complessi ed articolati, dotati della stabilità. Di tali gruppi sociali si entra a far parte o necessariamente, cioè senza nessuna determinazione di volontà (ad esempio ognuno di noi fa parte del gruppo sociale stato solo per il fatto di essere nato da padre o madre italiani ed avere la cittadinanza italiana); o volontariamente, quando per libera determinazione si ci associa ad un gruppo già costituito, ovvero assieme ad altri lo si costituisce. La ragione per cui l’uomo tende ad unirsi ad altri uomini ed a costituire gruppi sociali, deve rinvenirsi nella considerazione che certi interessi e certe esigenze non possono essere soddisfatti dall’individuo isolato. Gli interessi che il gruppo sociale tende a soddisfare si distinguono in individuali e collettivi. Gli interessi individuali, possono essere puramente egoistici e contrapposti ad altri parametri egoistici. Qualora questi non possono essere soddisfatti se non in forma associata, essi vanno definiti interessi collettivi. Se ci si astrae dall’interesse individuale e si ha riguardo all’interesse del gruppo intero, si avrà l’interesse generale , che non è proprio dei singoli associati, ma li trascende. Gli interessi diffusi si caratterizzano per non avere un loro centro di riferimento ed essere propri di una serie aperta e determinata di soggetti, non collegati fra loro da alcun vincolo associativo e che per ciò solo non costituiscono un gruppo sociale. Possiamo delineare una graduazione degli interessi umani che dall’interesse esclusivamente individuale – collettivo, sino all’interesse generale, che tutti li racchiude e compone. L’interesse individuale – egoistico è asociale: l’uomo in quanto associato ad altri uomini. Ha interessi di tipo individuale – collettivo. Questo tipo di interesse può diventare antisociale, qualora si ponga in contrasto con altri interessi individuali – collettivi. Al tempo stesso gli interessi individuali – collettivi di un gruppo possono porsi in contrasto con eguali interessi di un altro gruppo, ovvero con l’interesse generale. Infine lo stesso interesse generale può ipotizzarsi in conflitto con un interesse di pari grado uguale e contrario Un gruppo sociale può dirsi costituito quando al principio di confliggenza – composizione degli interessi umani si sovrappone un altro principio ordinatore che lo disciplina al fine di assicurare la coesione all’interno del gruppo. Questo principio ordinatore rappresenta la causa prima della formazione del gruppo. Successivamente l’intima coesione del gruppo sarà assicurata e stabilizzata nel tempo da una o più regole. Appare evidente come non sia sufficiente che più persone abbiano e si prospettino interessi ed esigenze comuni e si propongano di raggiungere alcuni fini perché sorga un gruppo sociale, ma sia necessario che esse innanzitutto esprimano un principio ordinatore degli interessi individuali – egoistici. Esso può operare all’interno del gruppo, facendo coincidere l’interesse di uno solo, tirannia, o di un ristretto numero di associati, oligarchia; ovvero assicurando la salvaguardia ed il soddisfacimento degli interessi di tutti gli associati, democrazia. Definiamo le società del primo e del secondo gruppo imperfette, perché il loro principio ordinatore non vale a conciliare e comporre gli interessi di tutti gli appartenenti al gruppo; le società del terzo tipo perfette perché mirano a perseguire l’interesse generale. Un gruppo sociale viene ad esistenza ancor prima che esso si dia delle regole, presupposto perché queste siano espresse è che vi sia la volontà di esprimerle o la volontà di comporre gli interessi in conflitto. Esse assolvono ad una funzione detta organizzativa, diretta dare al gruppo il carattere della stabilità e della continuità nel tempo. Le regole organizzative valgono a specificare ed a

  • 4

    fissare il vincolo associativo, predisponendo le procedure per il soddisfacimento degli interessi, ripartendo i compiti fra gli associati. Nell’ipotesi in cui le regole organizzative siano eteronome, cioè siano dettate al gruppo dall’esterno e non autonomamente predisposte, il gruppo social verrà ad esistenza quando queste regole abbiano ottenuto l’assenso (espresso o tacito) dei componenti del gruppo e vengano fatte osservare. A fondamento di ogni gruppo possiamo porre un principio ordinatore che trova forma nel vincolo associativo ed un complesso di regole che ne costituiscono l’organizzazione. Questi due elementi, principio ordinatore ed organizzazione, valgono ad imprimere il carattere della giuridicità ad ogni consociazione umana. Quindi il diritto ha due componenti, una materiale ed un’altra formale, fra loro intimamente connesse ed inscindibili. Vero è che le regole organizzative non assumono alcuna qualificazione. Sul piano del principio ordinatore del gruppo sociale potranno rinvenirsi i valori espressi nel fatto stesso del sorgere e del permanere del vincolo associativo. Sarà possibile qualificare i gruppi sociali a seconda che siano costituiti per il soddisfacimento dell’interesse generale. Le regole organizzative non esprimono insomma alcun giudizio di valore, ma costituiscono soltanto modelli di composizione e di soddisfacimento di interessi. Il fenomeno giuridico non si esaurisce nel fatto organizzativo giacché accanto alle regole organizzative, devono porsi altre regole, mediante le quali altri tipi di interessi che il gruppo esprime per il soddisfacimento e la tutela dei quali si è costituito vengono fissati in una formula linguistica, previa la loro determinazione e la composizione di quelli configgenti. Le regole in esame trovano il loro primo fondamento e la loro legittimazione nei valori che il gruppo sociale ha inteso affermare con la sua costituzione. Queste regole sono l’espressione linguistico – formale di un valore immanente del gruppo. In primo luogo le regole in esame, che potremmo definire istituzionali perché esprimono i valori intorno ai quali il gruppo si è costituito e potranno dirsi tali in quanto trovino effettiva e piena rispondenza nella realtà sociale. Sul piano astratto esistono valori assoluti, la libertà, la giustizia, la morale ecc., nella loro disciplina positiva questi valori si atteggiano in maniera diversa in dipendenza dei due fattori del tempo e dello spazio e della ideologia di base che anima il gruppo sociale. Il fenomeno giuridico non si esaurisce nella organizzazione, regole istituzionali ed organizzative sono in rapporto di reciproca implicazione e costituiscono l’espressione della ideologia e dei fini politici della società che le ha poste. Nel fenomeno giuridico sono logicamente distinguibili e separabili il momento della valutazione selettiva degli interessi e quello della predisposizione dei modelli e delle procedure idonei a comporre e soddisfare gli interessi selezionati.

    • Le teorie istituzionale e la dottrina pura del diritto di Hans Kelsen La concezione alla quale ci riferiamo è quella che collega il fenomeno giuridico, al gruppo sociale, ad ogni gruppo sociale, escludendo di conseguenza che vi sia un solo ordinamento giuridico, quello statale. Secondo questa concezione ogni gruppo sociale crea un proprio ordinamento giuridico, autonomo di uno Stato. Santi Romano ha da un lato giuridizzato il concetto di istituzione ed ha sostituito questo concetto a quello di comunità e ha affermato che il diritto non si esaurisce in un complesso di norme, di regole o precetti creati dalla comunità, ma è l’istituzione stessa. Il Romano trae il corollario che il concetto del diritto deve contenere l’idea dell’ordine sociale. L’ ordine sociale che è posto dal diritto non è quello che è dato dall’esistenza di norme che disciplinano i rapporti sociali: esso non esclude tali norme, anzi se ne serve e le comprende nella sua orbita, ma ,nel medesimo tempo, le avanza supera, il che vuol dire che il diritto, prima di essere norma è organizzazione, struttura, posizione della stessa società in cui svolge.

  • 5

    Ogni ordinamento giuridico è un’istituzione, e viceversa ogni istituzione è un ordinamento giuridico. L’istituzione è un ente o corpo sociale nel senso che essa è manifestazione della natura sociale e non puramente individuale dell’uomo. Manca nella visione del Romano un punto fermo dal quale procedere alla ricerca del fenomeno della giurisdizione. Rappresenta una seconda tendenza Hans Kelsen, la cui dottrina pura del diritto vuole conoscere esclusivamente ed unicamente il suo oggetto. Essa cerca di rispondere alla domanda: che cosa è e come è il diritto: non però alla domanda come deve essere o come deve produrre il diritto. Secondo il Kelsen il diritto è un ordinamento normativo del comportamento umano, cioè un sistema di norme che regolano comportamenti umani e la norma va considerata come uno schema qualificativo di un fatto esteriore, di un certo evento di natura il quale viene trasformato in atto giuridico o antigiuridico per mezzo di una norma il cui contenuto si riferisce a tale fatto attribuendogli un significato giuridico, cosicché l’atto può essere qualificato in base a questa norma. Un ordinamento è un sistema di norme la cui unità si fonde sul fatto che tutte le norme hanno lo stesso fondamento per la loro validità, costituito da una norma fondamentale da cui si deduce la validità di tutte le altre. Il diritto viene concepito dal Kelsen come un insieme di norme regolanti e di norme regolate e che questo insieme di norme costituisce una costruzione a gradi dell’ordinamento giuridico. Norma superiore sarebbe la norma che costituisce il fondamento di validità di un’altra. Kelsen riconosce che la norma fondamentale è una forma fittizia e che essa può, ma non deve necessariamente, essere presupposta.

  • 6

    II. LE FONTI DEL DIRITTO

    • La norma giuridica In ogni gruppo sociale si pone l'esigenza di regolare il comportamento dei singoli appartenenti allo stesso, per assicurare la sopravvivenza del gruppo e perseguire i fini che lo stesso ritiene preminenti. Tale regolamentazione si sostanzia nella norma, la quale è, appunto, una proposizione che tende a stabilire un comportamento ritenuto normale, quindi condiviso secondo i valori presenti all'interno del gruppo sociale. La norma è l'elemento primogenito del diritto. Essa è una regola di condotta che si impone ai consociati di un determinato ordinamento sociale. Da questa definizione si può ricavare in primo luogo che la norma non caratterizza unicamente l'ordinamento statuale ma qualunque aggregato umano i cui membri condividano medesime regole. In secondo luogo che la norma non consiglia, ma statuisce. La norma si accompagna solitamente ad una sanzione, la cui irrogazione è prevista dall' ordinamento in capo al trasgressore. La sanzione è un elemento molto importante della norma, ma non indispensabile. La norma può indicare una condotta di "facere" (commissiva) o di "non facere" (omissiva), che corrispondono agli imperativi negativi e positivi. Dal punto di vista del diritto, per norma giuridica si intende il precetto dotato dei caratteri della generalità e dell'astrattezza, avente la capacità di determinare, in maniera tendenzialmente stabile, l'ordinamento giuridico generale (ossia il diritto oggettivo).

    • La generalità è uno dei caratteri della norma giuridica. Essa non consiste nella, semplice, portata spaziale della norma, ma nella ripetuta applicabilità della stessa ogni qual volta si presentino le condizioni prescritte. Per esempio le norme regolanti le funzioni del Presidente della Repubblica hanno un portata spaziale di un solo soggetto, ma nonostante ciò conservano il carattere della generalità perché sono suscettibili di infinite applicazioni. Se invece il comando giuridico si esaurisce con la sua applicazione non si ha la norma, ma il provvedimento. Il classico esempio è la legge che assegnò un vitalizio al narratore Bacchelli. Detta legge vedeva appunto un unica applicazione nel statuire il vitalizio a favore del soggetto designato. Fondamento della Generalità e il principio di uguaglianza (Art 3 della Costituzione).

    • L'astrattezza è un altro dei caratteri essenziali della norma giuridica. Essa si risolve nella previetà della stessa, cioè la norma deve esprimere una qualificazione che sia sempre, cronologicamente, anteriore alla condotta concreta posta in essere dal soggetto. Il fondamento teorico dell’astrattezza è il principio che la legge non prescrive se non per il futuro. Esistono però le leggi retroattive, le quali operano in qualunque campo del diritto meno che nel penale (Art 25 comma II della Costituzione). Queste rispetto ai casi concreti precedenti l'entrata in vigore della legge stessa generano disposizioni e norme. Gli atti o fatti da cui scaturiscono le norme giuridiche costituiscono le fonti del diritto, e, più esattamente, le fonti di produzione giuridica. Va detto che, in senso lato, possono considerarsi norme anche quelle che mancano dei caratteri della generalità ed astrattezza, le quali, peraltro, non sono prodotte da fonti del diritto ma con atti giuridici in virtù di poteri dalle stesse attribuiti (si tratti di atti privati, come i contratti, o pubblici, come un provvedimento amministrativo o una sentenza). La norma non va in nessun caso confusa con la legge. Mentre la legge è un atto, la norma è la conseguenza di questo. La legge è una delle fonti del diritto, la norma è diritto. La norma è un

  • 7

    comando che si ricava dall'interpretazione delle fonti del diritto. Le norme sono solitamente desumibili da una formulazione linguistica scritta (legge, regolamento, legge regionale...) al fine di conferire alla stessa un alto grado di certezza e durevolezza nel tempo. Diverse dalla norme giuridiche, che prescrivono comportamenti vincolanti per il diritto, sono le norme etiche, morali, sociali, che vincolano solo nel c.d. foro interno (della coscienza) ovvero sotto il profilo meramente sociale, di pura cortesia. Tipi di norme giuridiche La più semplice struttura della prescrizione è "A deve B", laddove A è un soggetto, il destinatario della prescrizione, mentre B è l'oggetto della prescrizione, il comportamento dovuto da A. Questa formula identifica quindi la norma giuridica con il comando (imperativo). Gli studi del grande giurista Hans Kelsen, d'impostazione antimperativistica, ribaltano questa concezione della norma e pongono la sanzione in posizione centrale; secondo questa nuova concezione la formula può essere riscritta come "se A, deve essere B", ove A rappresenta l'azione illecita, mentre B configura la sanzione che ne consegue. In questo modo Kelsen vuole asserire che il fatto illecito A è considerato tale solo perché l'ordinamento giuridico ha predisposto una sanzione B per esso e ad esso conseguente. Come detto, questa formula stravolge le vecchie concezioni della norma e per questo è fra i temi principali di dibattito fra i giuristi. Oggi il significato di norma si è peraltro ampliato, precisamente in due direzioni: attraverso l'abbandono del significato di "normativo" come prescrittivo (precettivo, imperativo) e attraverso la rinuncia al carattere della normalità. Infatti nel linguaggio giuridico "norma" non viene più utilizzato solo per indicare proposizioni prescrittive, ma anche permissive e attributive; tant'è che sono state "scoperte" nuove norme chiamate appunto permissive (negano gli effetti di norme imperative precedenti, quindi danno il permesso esclusivo e momentaneo di fare una cosa prima impedita da un'altra norma), attributive (attribuiscono un potere), privative (tolgono un potere). Anche riguardo al significato principale, quello appunto di norma come prescrizione, va rilevato che la forza prescrittiva non è esplicata con uguale intensità da tutte le norme giuridiche: esistono infatti norme incondizionate, poiché l'obbligo a cui è sottoposto il destinatario non è subordinato al verificarsi o meno di una condizione, e norme condizionate, nelle quali l'obbligo è invece subordinato ad una condizione. Esistono inoltre norme strumentali che prevedono un comportamento non buono in sé stesso, ma buono al raggiungimento di un dato scopo, e norme finali, che stabiliscono il fine che deve essere raggiunto ma non i mezzi, che sono quindi lasciati al libero arbitrio e alla discrezione del destinatario. Esistono inoltre le direttive, norme non obbliganti ma soltanto accompagnate dall'obbligo di tenerle presenti e di non discostarsene se non per motivi plausibili. Va tenuto presente che nell'ordinamento dell'UE si parla invece di direttive con riferimento ad atti degli organi comunitari che gli stati membri hanno l'obbligo di recepire con leggi ordinarie nazionali e che, in alcuni casi, possono anche produrre effetti diretti negli ordinamenti degli stessi pur in assenza di recepimento. Vanno anche ricordate le norme dispositive, che integrano o sostituiscono una volontà che sia stata dichiarata in modo incompleto o insufficiente, sicché possono sempre essere derogate dalla diversa volontà delle parti, a differenza delle norme imperative che sono inderogabili. Un discorso a parte meritano le raccomandazioni, che non sono vere e proprie norme in quanto non danno origine ad un obbligo di uniformarsi ad una statuizione ma, più propriamente, ad un obbligo secondario, cioè quello di prendere le misure necessarie all'attuazione di un obbligo primario. Le raccomandazioni sono tipiche del diritto internazionale.

  • 8

    • Il concetto di fonte Secondo una definizione consolidata, sono fonti del diritto i fatti o gli atti che producono o contengono le norme del diritto. Tipologia delle fonti Le fonti del diritti si distinguono in "fonti di cognizione" e "fonti di normazione". Per fonti di cognizione, s'intende l'insieme dei documenti che forniscono la conoscibilità legale della norma e sono, quindi, i documenti che raccolgono i testi delle norme giuridiche, come la Costituzione, la Gazzetta Ufficiale, i codici. Le "fonti sulla produzione", ovvero quelle norme che individuano i titolari del potere normativo, le procedure che sono obbligati a seguire, e i metodi con i quali le norme prodotte saranno portate a conoscenza dei rispettivi destinatari Le fonti di produzione, sono il procedimento, riconosciuto dall'ordinamento, atto a produrre il sistema normativo che concorre a formare la norma (il Parlamento). Parallelamente alle fonti di produzione, si collocano le fonti sulla produzione, ossia fonti di norme che determinano gli organi e le procedure di formazione del diritto. Le fonti di produzione si distinguono a loro volta in fonti-atto e fonti-fatto. Normalmente, il concetto di fonte-atto coincide con quella di diritto scritto, mentre quella di fonte-fatto con il diritto non scritto (consuetudinario). In realtà, anche se ciò è vero per la maggioranza dei casi, quella fra fonti-atto e diritto scritto non è un'identità, perciò è bene passare ad una precisa definizione dei due tipi di fonte. Per fonte-atto si intende "atti" volontari imputabili a soggetti determinati ed esplicazione di un potere ad esso attribuito, mentre le fonti-fatto, pur essendo riconducibili ad azioni volontarie, sono accettati dall'ordinamento nella loro oggettività. Il sistema delle fonti Con l'espressione di sistema delle fonti si indicano, nelle loro connessioni reciproche, le regole destinate a organizzare le fonti del diritto, ossia le così dette norme sulla produzione, le quali non hanno valore autonomo, ma strumentale rispetto alle norme di produzione. L'ordinamento giuridico, infatti, risulta dall'operare congiunto di norme di produzione e di norme sulla produzione del diritto, aventi queste ultime la funzione di identificare le fonti dell'ordinamento, determinarne i criteri di vigenza e indicarne i criteri di interpretazione. Le fonti del diritto, considerando le qualità del potere o della funzione che esprime l'atto, possono essere definite come processi ascendenti di integrazione politica nella sfera dell'ordinamento giuridico. Nell'ordinamento italiano, esistono molteplici spazi in cui è possibile che si verifichino questi processi di integrazione, che possono essere espressione di democrazia rappresentativa (legge del Parlamento), diretta (referendum) o sociale (contrattazione collettiva), così come possono avvenire a livello nazionale (ancora, legge del Parlamento), regionale (legge regionale) o locale (regolamenti comunali o provinciali). Sono eccezioni a questo schema generale i casi di prolungamento del processo di integrazione in altre fonti, e quindi in altri processi (decreti legislativi), nonché la possibilità che, ad operare come fonti, siano atti espressione di processi politici particolari e non generali (decreti legge). Infine la forma delle fonti viene determinata dal tipo di funzione di cui sono espressione, ossia, in altri termini, dal potere giuridico che li produce, vigendo un principio di indipendenza della forma dal contenuto.

  • 9

    Ci sono comunque alcune eccezioni a questo principio, direttamente previste dalla Costituzione: così, alcune materie sono riservate alla legge, ossia a un atto determinato, la cosiddetta riserva di legge, prevedendosi anche, in alcune ipotesi, la predeterminazione stessa di alcuni contenuti che la legge deve avere, nel qual caso si parla di riserva di legge rinforzata. Fondamento del sistema delle fonti Viene solitamente affermato, come principio fondamentale, quello dell'eteronomia delle norme giuridiche, per il quale queste si impongono alla volontà dei soggetti cui sono rivolte, e non sono da questi ultimi poste in essere; ma, pena un regressum ad infinitum, si deve ammettere che la prima autorità non può fondare la sua legittimazione su di un'altra autorità costituita, dovendosi perciò riconoscere che l'eteronomia deriva dall'autonomia. La prima autorità, da cui le altre derivano, viene indicata con il termine di costituzione materiale. Essa consiste in un ordinamento vigente di per sé, indipendentemente da qualunque atto volontario, e che si fonda sull'insieme dei rapporti giuridici e sociali generati da un complesso di regole valevoli sulla base di relazioni di forza, siano esse materiali o spirituali (è il così detto fatto normativo, che, pur dotato di diversa normatività rispetto all'atto normativo, va comunque tenuto distinto dal mero fatto politico). La costituzione formale, invece, è un atto normativo, una regola posta volontariamente, sulla base del principio della costituzione materiale, per cui, ad esempio, l'ordinamento italiano è un ordinamento a costituzione scritta. Se non ha senso, a riguardo della costituzione materiale, parlare della sua legittimità, essendo alla costituzione materiale applicabile solo il diverso concetto di esistenza, la costituzione formale, invece, si dice legittima in quanto essa sia adeguata alla costituzione materiale, ossia, in condizioni normali, posto al vertice del sistema il principio di effettività, in quanto essa sia costituzione effettiva. Per le fonti subcostituzionali, invece, viene impiegato il concetto di legalità (concetto su cui, tramite la Grundnorm, Kelsen, nella sua Dottrina pura del diritto, tenta di fondare l'intero ordinamento giuridico), che consiste nell'adeguatezza ai criteri posti per la produzione del diritto dalle norme sulle fonti. Sul piano della validità, dunque, si può affermare che le fonti costituzionali (e le fonti extra ordinem) siano valide in quanto legittime, ossia dotate di effettività, e che le fonti subcostituzionali siano valide, in quanto legali, e perciò dotate di efficacia. Rapporti tra le fonti La pluralità di fonti e comunque l'inesauribilità della fonte singolarmente considerata, comporta la necessità che i rapporti tra le fonti siano regolati.I principi regolamentori di questi rapporti sono:

    • l'abrogabilità; • l'irretroattività.

    Il principio dell'abrogabilità delle fonti comporta che una norma prodotta da una fonte non può essere dichiarata sottratta all'abrogazione ad opera delle future manifestazioni della stessa fonte, essendo impossibile per un potere attribuirsi un'efficacia che esso originariamente non possiede. Al principio di abrogabilità fanno eccezione le norme poste da poteri normativi conclusi e non rinnovabili, ossia, per il nostro ordinamento, la forma repubblicana, derivante dal referendum istituzionale del 2 giugno 1946, e la Costituzione nel suo complesso, derivante dal potere costituente. A questo riguardo si deve però sottolineare come siano immodificabili, appunto per esaurimento della fonte, le determinazioni fondamentali ed essenziali, mentre il potere costituito di revisione costituzionale può modificare le regole applicative di queste determinazioni.

  • 10

    L'abrogazione può essere espressa, tacita o implicita e, in quanto «frammento di norma», i suoi effetti consistono nel circoscrivere nel tempo l'efficacia regolativa della norma abrogata dal momento dell'entrata in vigore della norma abrogatrice. Per il principio di irretroattività, la norma non dispone che per l'avvenire. Questo principio pur non essendo costituzionalizzato e quindi derogabile da parte del legislatore ordinario, costituisce comunque, ad avviso della Corte costituzionale, un principio generale dell'ordinamento, le cui deroghe sono quindi sottoposte ad un sindacato di ragionevolezza. L'interpretazione Con il termine interpretazione si indica l'attività, eminentemente pratica, consistente nel trovare nell'ordinamento la regola adeguata al fatto da regolare, di passare cioè dalla disposizione (ordinamento in potenza) alla norma (ordinamento in atto). Questa attività è disciplinata dagli artt. 12-14 delle disposizioni preliminari al Codice civile (così dette Preleggi), le quali hanno una duplice valenza: nei momenti statici, infatti, agiscono come un limite nei confronti dell'attività interpretativa, per trasformarsi in strumenti che la ampliano in momenti di dinamismo sociale. Esistono, innanzi tutto, regole sull'interpretazione poste al di fuori del diritto positivo, che valgono per tutti, ivi compreso il legislatore (nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse), ossia le regole di interpretazione proprie dell'istituzione linguistica in cui è scritto il testo da interpretare. Ad esse si affiancano le seguenti tecniche, adottate di fronte ad una lacuna normativa:

    1. l'intenzione del legislatore (la così detta ratio, che può essere soggettiva, ossia l'intenzione del legislatore storico, ovvero oggettiva, ossia l'intenzione del legislatore storicizzato);

    2. l'interpretazione sistematica, con una norma singola inserita in un sistema normativo unitario, nel quale il significato di essa può arricchirsi (e si avrà un'interpretazione estensiva) oppure restringersi (e si avrà un'interpretazione restrittiva);

    3. l'interpretazione analogica, che può adottarsi qualora un interprete non trovi nel sistema una norma adatta al caso pratico, e quindi dovrà trovarne una mediante un processo analogico: o tra norme che regolano casi simili, o che regolano materie analoghe;

    4. la costruzione di principi.

    • La Costituzione La Costituzione rappresenta la principale fonte del diritto formale. Essa è un atto prodotto dal potere costituente, ossia dal potere politico assoluto, sovrano e concentrato, il quale, per esigenze non logiche, ma di politica costituzionale, viene definito come straordinario e irripetibile, consumandosi in un solo atto di esercizio. All'interno del testo costituzionale si può distinguere un «contenuto costituzionale essenziale», in cui consiste il prodotto tipico e, in quanto tale, irripetibile del potere costituente (ciò che, operando una distinzione in relazione alla qualità normativa, la giurisprudenza della Corte costituzionale chiama principi supremi della Costituzione), e una costituzione strumentale, la quale è modificabile dal potere costituito di revisione. Si può operare, poi, una ulteriore distinzione tra le norme costituzionali, potendo queste essere:

    • ad efficacia diretta (ossia immediatamente vincolanti per tutti i soggetti dell'ordinamento); • ad efficacia indiretta, che possono ulteriormente suddiversi in:

    norme ad efficacia differita; norme di principio; norme programmatiche.

  • 11

    Le norme di principio e le norme programmatiche, in particolare, costituiscono una base definita dalla Costituzione e perciò sottratta al dibattito politico, rappresentando un vincolo, oltre che di fine, anche negativo per il legislatore, ed incarnando nella loro struttura le modalità di esplicazione del costituzionalismo in una società pluralistica. Leggi di revisione costituzionale e leggi costituzionali Sono fonti previste dall'art. 138 della Costituzione, il quale prefigura un procedimento "aggravato" rispetto a quello legislativo ordinario: è infatti necessaria, da parte delle due assemblee legislative, una doppia deliberazione, l'una dall'altra a distanza non inferiore di tre mesi, richiedendosi per la seconda deliberazione la maggioranza assoluta dei membri del collegio (e non la maggioranza dei votanti), con la possibilità, ove non si raggiunga la superiore maggioranza dei due terzi, che il perfezionamento dell'atto sia subordinato all'esito di un referendum confermativo. Questo particolare procedimento configura un potere costituito, continuativo ed inesauribile, anche se eccezionale. Con il medesimo procedimento, vengono adottati gli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale, i quali però consistono non in leggi di revisione, bensì in leggi di attuazione della Costituzione. Fonti internazionali L'ordinamento internazionale e quello interno convivono su piani paralleli, essendo espressione di distinti processi di integrazione politica. Perciò, affinché le norme internazionali entrino a far parte dell'ordinamento interno, si deve verificare ciò che si indica con il termine di "adattamento", che può essere automatico o speciale. L'adattamento automatico o generale è previsto dall'art. 10 della Costituzione, laddove dispone che «l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute». L'adattamento speciale, invece, impiegato per il diritto internazionale pattizio, può consistere:

    • nel semplice «ordine di esecuzione», che opera direttamente solo in relazione a trattati contenenti norme self-executing;

    • nell'adattamento speciale ordinario, ossia in atti normativi interni necessari per dare esecuzione a norme internazionali che non siano self-executing.

    In seguito all'adattamento, le norme internazionali assumono, nell'ordinamento giuridico interno, la stessa posizione gerarchica delle fonti che lo operano. Una particolare posizione presenta, nel quadro del diritto internazionale, il diritto comunitario e dell'Unione Europea, in quanto i Trattati e le fonti che ne derivano godono di una particolare copertura costituzionale (art. 11: «l'Italia [...] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni»), in virtù della quale presentano una particolare forza attiva, paragonabile a quella delle norme costituzionali, consistendo in una limitazione definitiva dei diritti sovrani dello Stato, e una resistenza passiva rinforzata, prevalendo, in virtù della ripartizione di competenza operata dai Trattati, le norme comunitarie su quelle interne anche successive (principio della primauté). Per somiglianza di procedura, possono essere comprese in questa categoria anche le fonti previste dagli art. 7 e 8 della Costituzione, ossia i Patti lateranensi e le intese che disciplinano i rapporti tra lo Stato e, rispettivamente, la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose (dovendosi comunque sottolineare la particolare efficacia dei Patti lateranensi, i quali soltanto possono derogare, salvo il limite dei principi supremi dell'ordinamento, le norme costituzionali).

  • 12

    La legge e gli altri atti aventi forza e valore di legge La legge, così come prevista dagli art. 70 e seguenti della Costituzione, rappresenta l'atto normale o ordinario in cui si esprime il processo di integrazione politica, l'atto ordinario del sovrano, che agisce nei modi costituiti, in contrapposizione alla Costituzione, che è invece l'atto straordinario del sovrano che agisce nei modi costituenti. Nello Stato sociale di diritto, si assiste ad una moltiplicazione delle funzioni esplicate dalla legge. Perciò, accanto a leggi consistenti in norme generali e astratte, vi sono leggi-provvedimento, leggi-contratto, leggi-incentivo, leggi di programmazione, leggi di principio e leggi-quadro, leggi procedimentali, leggi di finanza. La funzione legislativa, inoltre, pur spettando al Parlamento, può anche essere esercitata dal Governo. Può infatti essere delegata, in base all'art. 76, determinando così la prosecuzione in seno all'esecutivo del processo di integrazione politica avviato nelle Camere (decreti legislativi), oppure può direttamente essere esercitata dal Governo, in casi straordinari di necessità ed urgenza, chiedendosi però, a pena di inesistenza sopravvenuta dell'atto, la conversione in legge entro sessanta giorni (decreti legge). Ulteriore fonte avente forza e valore di legge, pur con i rilevanti limiti derivanti dal testo costituzionale e dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, è il referendum abrogativo previsto dall'art. 75 della Costituzione. Regolamenti di organizzazione degli organi costituzionali I regolamenti di organizzazione degli organi costituzionali derivano dall'autonomia organizzativa degli stessi, godendo quindi di un fondamento sia logico sia, nel testo della Costituzione, giuridico. A lungo definiti come diritto particolare e non oggettivo, più correttamente si devono ritenere fonti di rango primario cui è riservata, in virtù del principio di competenza, la disciplina di determinati settori. Tra di essi, assumono particolare rilevanza i regolamenti della Corte costituzionale e i regolamenti parlamentari, sui quali ultimi la Corte costituzionale si è dichiarata incompetente a giudicare posto il principio dell'insindacabilità degli interna corporis. Regolamenti del potere esecutivo I regolamenti sono fonti di rango secondario, che oltre alla Costituzione devono essere conformi, a pena di illegalità, anche alla legge (principio di legalità). Disciplinati da ultimo dalla legge n. 400 del 1988, i regolamenti governativi sono di sei tipi:

    1. regolamenti di esecuzione; 2. regolamenti di attuazione e integrazione; 3. regolamenti indipendenti, che regolano, appunto, settori non disciplinati dalla legge e su cui

    non gravi una riserva di legge assoluta, (sulla cui legittimità costituzionale autorevole dottrina ha avanzato seri dubbi);

    4. regolamenti organizzativi, che di norma regolano il funzionamento delle pubbliche amministrazioni;

    5. regolamenti di delegificazione, 6. regolamenti ministeriali e interministeriali.

  • 13

    Leggi regionali L'art. 117 della Costituzione, nella sua nuova formulazione, individua tre tipi di competenza legislativa:

    1. la competenza esclusiva dello Stato; 2. la competenza ripartita tra Stato e Regioni (entrambe, nelle materie espressamente indicate); 3. la competenza esclusiva delle Regioni, in tutte le materie non enumerate.

    Una particolare posizione assume, poi, lo Statuto regionale, adottato con un procedimento aggravato (doppia deliberazione e referendum eventuale), ed unico atto legislativo regionale ancora impugnabile in via preventiva (entro trenta giorni) da parte dello Stato. Contratti collettivi I contratti collettivi di lavoro, in base alla previsione dell'art. 39 della Costituzione, avrebbero dovuto costituire una fonte del diritto «ibrida», presentando, per la loro formazione, il corpo del contratto e, per la loro efficacia erga omnes, l'anima della legge. Ma l'art. 39, che è norma autorizzativa e non obbligante, non è stato attuato. Ai contratti collettivi viene perciò riconosciuta, in via generale, nel nostro ordinamento, soltanto un'efficacia inter partes, derogata soltanto laddove, in via transitoria, siano stati recepiti in d.P.R., oppure vengano utilizzati dal giudice per determinare un minimo normativo ex art. 36 Costituzione. Fonti extra ordinem Le fonti extra ordinem, consistenti in fatti e non atti normativi, sono fondate direttamente sulla costituzione materiale; perciò, si applica ad esse il criterio di legittimità e non quello di legalità. Tra queste vanno ricordate:

    • le regole convenzionali, ossia le conseguenze generali involontarie e necessarie di atti particolari volontari (tra queste, si annovera l'evoluzione neocorporativa del sistema di governo operata mediante la così detta concertazione);

    • le consuetudini, ossia le regole convenzionali stabilizzate, oggettivizzate, dispiegate nel tempo e nella coscienza giuridica (presentando i caratteri della diuturnitas e della opinio iuris seu necessitatis);

    • le regole di correttezza costituzionale, ossia la moralità pubblica, la cui violazione non comporta conseguenze (in caso contrario, si tratterebbe di convenzioni).

    Per ciò che concerne i rapporti tra fonti formali e fonti materiali, sebbene essi siano solitamente descritti in termini di esclusione reciproca, si deve più correttamente affermare che esse siano su un piano di reciproca integrazione. Fonti atipiche Fonte atipica è ogni fonte a competenza specializzata, che presenta variazioni in negativo o positivo in relazione alla propria forza attiva o passiva, approvata con procedimento che presenta varianti esterne o interne. Tra le fonti atipiche si inquadrano le sentenze della Corte costituzionale e i referendum. Entrambi sono previsti dalla Costituzione, ed hanno in comune l'effetto giuridico di eliminare norme vigenti dall'ordinamento (come fanno di regola le leggi abrogatrici) ma sono privi di tutti gli altri caratteri generali della norma giuridica, per cui non sarebbero "fonti" in senso tecnico.

  • 14

    Data la pluralità di fonti e la conseguente pluralità di norme, sottoposte a regimi diversi, deve necessariamente ammettersi una pluralità di tipi normativi con «forza formale differenziata», cioè con diversa forza attiva (capacità di abrogare norme anteriori) e diversa forza passiva (resistenza alle norme prodotte da fonti sopravvenute). Le fonti atipiche possono riconoscersi dalle cosiddette varianti procedimentali (es. leggi rinforzate), dalla riserva di competenza (es. Statuti regionali, dove si riscontra una limitazione interna della sovranità dello Stato) e infine dalla "ibridazione di tipi diversi" (es. fonti comunitarie e leggi di esecuzione dei Patti lateranensi).

    • Le leggi Nel diritto, la legge è un atto, ovvero un complesso di atti (il c.d. diritto positivo), contenente regole comportamentali di cui si impone l'osservanza nei territori o nelle aggregazioni sociali (nazionali, politiche o comunque di più individui) cui è destinata. In ambito giuridico o sperimentale, la legge è dunque una formula che abbia raggiunto la necessaria efficacia espressiva per registrare e/o prevedere andamenti e/o comportamenti, secondo una sintesi effettuata ex ante nel caso della legge giuridica (poiché la legge precede la sua successiva osservanza), o ex post nel caso della legge empirica (poiché la legge segue la rilevazione sperimentale di una regolarità). Le leggi puramente matematiche, d'altra parte, hanno una validità assoluta ed temporale che mal si riconduce alla precedente definizione. Distinzione per modo di produzione e per effetti La legge giuridica è autoritativa, poiché emanata da un soggetto in genere validamente legittimato a farlo (elemento che vale anche, per esempio, per un dittatore, che ha una legittimazione di fatto). La legge giuridica è sanzionatoria, prevedendo la produzione di conseguenze nel caso della realizzazione della fattispecie concreta (da intendersi anche, e forse più frequentemente, a contrario, per il caso di mancata osservanza della prescrizione), secondo uno schema "precetto-sanzione": se accade "A" (precetto), si produce "B" (sanzione). La legge giuridica La legge in senso giuridico è l'atto normativo con il quale si intende regolare il comportamento futuro di uomini, tipicamente riuniti in una società o comunque in un raggruppamento di variabile natura e ragione, di modo da orientarne la condotta specifica secondo il volere dell'ente normatore, al verificarsi di determinate fattispecie. Ciò non si limita al caso più noto, che è quello della "legge dello stato", ma vale anche per qualsiasi campo dell'attività umana nel quale uno o più uomini abbiano inteso dotare sé stessi e/o gli altri di regole certe. Un regolamento sportivo, ad esempio, così come lo statuto di un'associazione culturale, valgono di legge per tutti coloro che vi abbiano parte. L'appartenenza al gruppo sociale cui la legge si rivolge può essere volontaria o forzosa (il termine etimologicamente più corretto sarebbe "coscrittiva", sebbene equivocabile) e può quindi essere o meno la conseguenza anche indiretta di una scelta dell'individuo (ad esempio, l'atto dell'iscriversi ad un club comporta la generale preventiva accettazione delle regole comportamentali considerate legge fra gli iscritti, anche se in futuro dovessero articolarsi in impreviste norme di dettaglio delle quali taluna non sia poi condivisa). Il complesso delle leggi, e dunque l'organizzazione sistematica (cioè "di sistema") dell'ambito territoriale o sociale o politico di riferimento, costituisce l'ordinamento giuridico o diritto positivo.

  • 15

    • Decreti legge e decreti legislativi Il decreto legge (abbreviato con d.l.) è un atto normativo avente forza di legge regolato dall'art. 77 della Costituzione della Repubblica Italiana. Può essere adottato dal governo, senza l'autorizzazione preventiva delle Camere, solo in casi di necessità ed urgenza; la sua validità è limitata nel tempo, per cui nel caso non sia convertito in legge dal Parlamento entro sessanta giorni dalla sua emanazione decade automaticamente; tuttavia il Parlamento ha facoltà di regolare i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto non convertito in legge. Il governo nello stesso giorno in cui il decreto legge è emanato e ne dispone la sua pubblicazione sulla gazzetta ufficiale,ha l'obbligo di trasmetterlo alle camere, chiedendone la conversione in legge. Queste ultime si devono riunire entro 5 giorni per l'esame del disegno di legge di conversione. La conversione deve avvenire entro 60 giorni, pena, la perdita di efficacia del decreto. La natura eccezionale ed urgente di questi provvedimenti è sottoposta alla valutazione discrezionale dallo stesso governo, ed è questo fatto che ha determinato in particolare nei decenni 1970 e 1980 un abnorme ricorso a tale procedura, aggravato dalla prassi di reiterare il medesimo decreto innumerevoli volte in assenza di conversione in legge; questo determinava la continuata validità dello stesso decreto anche per molti anni, rendendo politicamente ingestibili le conseguenze di una sua eventuale decadenza e costringendo di fatto il Parlamento alla conversione in legge. La Corte costituzionale con sentenza (n. 360 del 1996) ha posto fine a questo fenomeno dichiarando illegittima ogni reiterazione di decreti-legge giunto a scadenza. Il decreto legislativo (abbreviato con d.lgs.) è un atto normativo avente forza di legge adottato dal Governo su delega del Parlamento. La delegazione legislativa è prevista dall'art. 76 della Costituzione ed è un mezzo con il quale le Camere decidono di non disciplinare una determinata materia (per motivi di inadeguatezza tecnica, di tempo o altro), riservandosi però di stabilire la «cornice» entro la quale il Governo dovrà legiferare. La cosiddetta legge-delega (approvata dalle Camere come una qualsiasi altra legge) disciplina appunto l'ambito, le direttive e i limiti a cui il Governo dovrà attenersi nell'emanare i decreti legislativi. L'art. 76 Cost. prescrive inoltre che la delega legislativa sia limitata nel tempo: il Governo, trascorso il limite temporale fissato dal Parlamento, non può più legiferare. Nonostante la Costituzione non lo preveda espressamente, è invalsa la prassi secondo cui il Governo, prima di emanare definitivamente i decreti, riferisce alle Commissioni parlamentari competenti sulla materia, e ne accoglie eventualmente i pareri e le osservazioni. Legge delega e caratteri essenziali La delega può essere conferita soltanto mediante legge. Risponde dei caratteri di imperatività e istantaneità, dove per il primo s'intende il dovere (anche se soltanto politico non essendo positivamente previsto) per il Governo di dare concreta e piena attuazione alla delega ricevuta e per il secondo il dovere del Governo di adottare un solo atto. Il secondo aspetto è smentito tuttavia dalla prassi e dalla L. n.400 del 1988, che prevede la possibilità di più atti in caso di numero elevato di oggetti da disciplinare nella legge di delega. La delega può essere anche mista, contenenti disposizioni di immediata applicazione oltre che i contenuti delegati. Il procedimento di formazione Il procedimento di formazione del decreto legislativo è disciplinato dall'art.14 della L. n.400 del 1988, che configura il Governo come soggetto competente ad adottare l'atto. Il decreto va emanato

  • 16

    entro il termine fissato dalla legge di delega, passato successivamente al Presidente della Repubblica almeno venti giorni di prima.

    • Il principio di gerarchia I rapporti tra le fonti, considerati in base alla loro posizione sistematica, possono essere:

    • di gerarchia; • di competenza; • cronologico.

    Il rapporto di gerarchia, conseguenza dei principi dello Stato di diritto e della loro espansione, si sostanzia nella legalità (ossia non contraddizione dell'atto sublegislativo nei confronti della legge) e nella costituzionalità (anch'essa consistente soprattutto nella non contraddizione). Il rapporto di competenza, invece, attiene ad una situazione di distribuzione orizzontale delle fonti, che si ha in ipotesi di pluralità di processi di integrazione politica (si pensi, per l'ordinamento italiano, ai processi europeo, statale e regionale). Inoltre è di importanza rilevante l'adozione di un terzo criterio, qualora vi sia contraddizione tra fonti omogenee (pari grado gerarchico, uguale competenza): il criterio cronologico, secondo il quale la legge successiva abroga la legge precedente che risulta in contrasto.

  • 17

    III. LO STATO

    • Lo Stato – istituzione Lo Stato è quel soggetto (ente sovrano, originario ed indipendente) che comanda anche mediante l'uso della forza armata, della quale detiene il monopolio. Alla parola Stato si riferiscono due concetti distinti:

    • Stato comunità: popolo, stanziato su un territorio individuato, che è organizzato attorno ad un potere centrale (comunemente chiamato "stato - nazione").

    • Stato governo: quel potere centrale sovrano, organizzato in possibili differenti modi, che detiene il monopolio della forza, e impone il rispetto di determinate norme nell'ambito di un territorio ben definito.

    Da quest'ultima definizione emerge che lo Stato è anche un ente territoriale, in quanto individuato da una porzione di territorio che è soggetta alla sua sovranità. Stato sovrano: dal latino superanus, colui che sta al di sopra; lo Stato è superiore ad ogni altro soggetto entro i suoi confini. Per essere tale, la sovranità deve manifestarsi come "indipendenza" nei rapporti reciproci; per tale ragione, allora, lo Stato è indipendente e sovrano; sovrano al suo interno, indipendente nei confronti degli altri Stati. Lo Stato è originario poiché i suoi poteri derivano solo da sé stesso e da nessun altro. Con ciò si sostiene che esso non è subordinato ad altri soggetti e quindi è indipendente e sovrano. L'organo stato é forse rappresentabile come il pozzo di tutti quei beni e poteri tanto importanti o tanto potenti da non poter essere di nessun altro che di un soggetto che agisca nell'interesse collettivo; questi poteri sono sostanzialmente la sovranità (esercitata attraverso i tre poteri pubblici Legislativo, Esecutivo e Giudiziario) e il monopolio della forza affinché vi sia un fondamento obbligatorio. Lo stato si pone perciò in una condizione di necessarietà di democrazia, ovvero é necessario che esista un unico soggetto che imponga coercittivamente l'ordine e il quadro giuridico entro il quale si svolge la vita dei cittadini e protegga l'interesse di tutti, tanto quanto quest'organo sia controllato comunque sempre dallo stesso popolo, tale che operi nei suoi interessi. Possiamo allora definire lo Stato come un ordinamento giuridico originario a fini generali ed a base territoriale, dotato di un apparato autoritario posto in posizione di supremazia.

    • L’evoluzione storica dello Stato – istituzione Stato feudale Nello stato feudale non esiste demarcazione fra diritto pubblico e privato. Il territorio è patrimonio del sovrano e dei vari feudatari. In questa forma di stato non esiste un interesse generale, ma interessi localizzati nel feudo Stato assoluto La prima forma di Stato fu lo Stato assoluto. Esso nacque grazie ai conflitti militari: è una “macchina da guerra” perché nasce dall’esigenza della guerra. L'esigenza della guerra porta alla nascita del prelievo fiscale per pagare le spese belliche, porta alla crescita dell’amministrazione statale per far funzionare lo sforzo bellico, porta all'accumulo di debiti per cui è necessario aumentare l’intervento statale nell’economia. Tuttavia al termine del conflitto è necessario

  • 18

    assicurare ai cittadini dei diritti che erano stati loro promessi in tempo di guerra per ottenere consenso Stato di polizia Così definito perché tende a promuovere il benessere dei sudditi e la loro felicità. Lo stato moderno o di diritto La sua formazione avviene attraverso un progressivo accentramento del potere e della territorialità dell’obbligazione politica. Infatti scompaiono le frammentazioni del sistema feudale in favore di un potere centrale, e anche la Chiesa si subordina allo Stato. Avviene una concentrazione del potere su uno specifico territorio. Lo Stato acquiscise poi il monopolio legittimo dell'uso della forza, che avviene tramite la burocrazia e la polizia; la forza è necessaria per mantenere l'ordine interno e difendere la comunità da attacchi esterni. Infine lo Stato moderno si basa sull'impersonalità del comando politico: la legittimazione proviene da regole, da un'obbedienza non dettata dalla paura ma dal riconoscimento da parte dei soggetti della legittimità del potere esercitato. Stato socialista e stato autoritario Nello Stato socialista tutto il potere appartiene ai lavoratori delle città e delle campagne, rappresentati dai deputati dei lavoratori. Nello Stato autoritario da un lato viene esaltata la collettività nazionale, mentre dall’altro non la si ritiene capace di autogovernarsi politicamente, così si rende necessaria la figura di un capo carismatico Stato sociale In tempi recenti lo Stato democratico si è evoluto in Stato sociale o del del benessere (welfare state), sempre più teso a garantire il benessere dei cittadini da cui gli deriva il consenso e la legittimazione.

    • Le varie forme di Stato Le forme di Stato si distinguono in unitarie e composte. Si ha lo Stato unitario quando il potere sovrano è attribuito dall’ordinamento ad un unico ente. Lo Stato composto è quando il potere è suddiviso fra uno Stato centrale e più enti che hanno la caratteristica di stati Stato federale Uno stato federale è uno stato composto da varie regioni che si governano da sole (che spesso si autodefiniscono a loro volta "stati" pur non essendolo propriamente, dato che non hanno la facoltà di svolgere le tre prerogative essenziali di uno stato: politica di difesa, politica estera e politica economica-monetaria) Queste regioni sono poste tutte sullo stesso piano e unite tra di loro da un governo centrale che si dice federale. Nella maggior parte delle federazioni la forma di auto-governo degli stati federati è sancita da leggi costituzionali e quindi, non è modificabile tramite una decisione unilaterale del governo centrale.

  • 19

    Gli stati federali spesso sono multi-etnici o coprono un territorio molto esteso, sebbene nessuna di queste due caratteristiche debba essere necessariamente presente. Storicamente gli stati federali sono spesso nati da un accordo fra vari stati, che in origine erano sovrani. Agli stati componenti di solito non è concesso il diritto di decidere unilateralmente di secedere dalla federazione. Fra gli stati federali moderni più importanti ci sono Australia, Brasile, Canada, India e Stati Uniti e la Federazione Russa, che però si sta trasformando in uno stato centralizzato. La forma di governo, ovvero la struttura costituzionale di una federazione, è nota come federalismo. Va precisato che fra i vari stati federali esistenti, oltre ad alcune caratteristiche comuni, esistono notevoli differenze, soprattutto per quanto riguarda la suddivisione dei poteri e delle competenze fra governo centrale e governi periferici. Stati accentrati e decentrati Lo Stato unitario tende a trasformarsi da Stato accentrato, in cui le tre funzioni fondamentali sono esercitate da organi dello Stato – soggetto, in Stato decentrato in cui si attua un’accentuata forma di decentramento mediante la creazione di un ente, la regione, che può legiferare in determinate materie e la corrispondente potestà amministrativa: lo stato regione. Le unioni di Stati Più stati possono unirsi fra loro, pur conservando la loro sovranità, per dar vita ad una unione di Stati. L'Organizzazione delle Nazioni Unite, ONU è la più estesa organizzazione internazionale, comprendendo la quasi totalità degli Stati del pianeta. Il 3 luglio 2006 gli stati membri diventano 192. Prosegue i fini del mantenimento e della sicurezza internazionale anche ricorrendo all’uso della forza. Altre unioni di rilievo sono la CECA, comunità europea del carbone e dell’acciaio, la CE, comunità europea diretta alla formazione di un mercato comune europeo, la CEEA, che ha la finalità di promuovere lo sviluppo dell’industria nucleare. Confederazione di Stati Una confederazione è un'associazione di stati creata per trattato in vista dell'adozione, come è accaduto spesso, di una costituzione comune o, al contrario, per definire ambiti di collaborazione temporanei in vista di una possibile futura separazione definitiva delle entità che la costituiscono. Le confederazioni tendono ad essere istituite per trattare questioni critiche, quali la difesa, la politica estera, il commercio estero e una moneta comune, e al governo centrale viene richiesto di fornire supporto a tutti i membri. Una confederazione, in termini politici moderni, si limita di solito ad un'unione permanente di stati sovrani per l'esercizio di azioni comuni nei confronti di altri stati. La natura della relazione tra le entità che costituiscono una confederazione può variare considerevolmente. In modo analogo, la relazione tra gli stati membri ed il governo centrale, e la distribuzione dei poteri tra di essi, è assai variabile. Alcune confederazioni meno vincolanti sono simili a organizzazioni internazionali, mentre confederazioni più stringenti possono assomigliare a federazioni.

  • 20

    • Elementi costitutivi dello stato: territorio, popolo, sovranità Territorio Un territorio è un'area definita o delimitata che include porzioni di terreno o di acque, considerata di solito un possedimento di un animale, di una persona, di un'organizzazione o di un'istituzione. In politica, un territorio è una porzione che ricade nella giurisdizione di un'autorità governativa. Un territorio può comprendere qualsiasi area geografica che ricade nella giurisdizione di un'autorità e non ha una divisione politica o amministrativa. La nozione di Territorio rilevante nel diritto penale ai fini dell'applicabilità della normativa penale italiana è sancita dall'art. 4 del codice penale: Agli effetti della legge penale è territorio dello Stato il territorio della Repubblica, e ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato. Le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come territorio dello Stato, ovunque si trovino, salvo che siano soggetti, secondo il diritto internazionale, a una legge territoriale straniera. Risulta quindi essere territorio dello Stato la superficie terrestre e le acque intere (fiumi, laghi mari interni) compresa nei confini geopolitici dello Stato, il mare costiero e lo spazio aereo Il concetto di extraterritorialità trova la sua origine in un'antica concezione del diritto internazionale, oggi non più in uso, secondo cui il territorio in cui ha sede una missione diplomatica non è soggetto alla giurisdizione dello Stato in cui si trova. Attualmente con il termine extraterritorialità si indica l'autolimitazione di sovranità che uno Stato attua nell'applicare la propria giurisdizione sul territorio dove si trova una sede diplomatica straniera, al fine di garantire ampia libertà e indipendenza ai diplomatici. La sede diplomatica non è invece esente da particolari disposizioni locali in materia di sicurezza, edilizia e sanità. L’immunità territoriale si ha quando una porzione del territorio statale risulta parzialmente immune od esente dalla potestà d’imperio dello Stato (sedi rappresentanze diplomatiche straniere e ogni luogo in cui risieda l’agente diplomatico). Popolo Popolo può definire, in generale, un gruppo specifico di esseri umani che possiedono caratteristiche comuni, come lingua, cultura, religione o nazionalità. Nel caso della nazionalità, il gruppo può essere una nazione. Per alcuni, popolo, è semplicemente l'insieme dei cittadini di uno stato anche se più correttamente si dovrebbe usare il termine popolazione, che è l'insieme di persone fisiche residenti nel territorio di uno stato. Il popolo, secondo la concezione giuridica, è formato dagli individui che possiedono lo status di cittadino di un determinato stato. Nell'ordinamento italiano, il popolo è l'unico titolare della sovranità, che esercita però non in maniera diretta, bensì rappresentato da un proprio Parlamento che elegge ogni cinque anni. La popolazione è il complesso di tutti coloro, cittadini, stranieri ed apolidi, che , in un dato momento, risiedono stabilmente sul territorio dello Stato e sono sottoposti alle sue leggi. Altra cosa ancora è la nazione, intesa come costituita da persone che condividono un legame sociale e culturale.

  • 21

    La sovranità La sovranità è la supremazia del potere dello Stato nei confronti di tutti gli altri poteri esistenti nell'ordinamento. La sovranità è il potere di autorità proprio e tipico di un ordinamento statale nei confronti degli altri ordinamenti. Le sue caratteristiche possono rilevarsi negli elementi della originalità e della esclusività. La sovranità è infatti attributo che sorge assieme allo Stato; è originaria, perché non deriva da nessun altro potere preesistente allo Stato, e uno Stato non può che costituirsi sovrano. La sovranità è reale indipendenza, che significa possibilità giuridica di realizzare i propri fini e determinare le proprie azioni. La concezione di uno Stato sovrano, che deriva la sua sovranità da una scelta contrattualistica di un popolo, è un principio enunciato anche nelle teorie di Thomas Hobbes. L'altro elemento fondamentale è l'esclusività, ovvero il fatto che la supremazia dello Stato si esercita sui soggetti all'interno dell'ordinamento senza alcuna interferenza di altri enti. Solo lo Stato può stabilire i limiti della sua competenza in ordine alle materie, ed organizzare i singoli e le comunità per perseguire i propri fini. Queste caratteristiche si presentano in qualsiasi forma di Stato, ed essendo qualificazioni giuridiche dello Stato non possono essere in contrasto con nessun regime che informi di sé lo Stato in una data epoca storica. Si è posta a volte la questione di un limite alla sovranità statale, ma se lo si ipotizza, lo si deve ricondurre a posizioni di natura etica o religiosa. Al contrario lo Stato può limitare la sua sovranità rinunciando all'esercizio di alcune attività, come avviene ad esempio negli stati federali. Il fondamento della sovranità Questione di profondo valore morale e politico è quella del fondamento della sovranità, ovvero della sua giustificazione in rapporto ad ideologie religiose o politiche. Si parla di fondamento teocratico o religioso quando lo Stato trova sua origine storica in un atto di consacrazione o legittimazione ecclesiastica; di un fondamento legittimista, spesso ricollegato al primo, nel caso di alcune monarchie nazionali; ma soprattutto dopo la rivoluzione francese, più spesso si parla di sovranità popolare, intendendo indicare la volontà espressa dalla comunità nella creazione dello Stato: è una teoria cara ai regimi democratici e che nel caso italiano è enunciata all'articolo 1 della Costituzione: "la Sovranità appartiene al popolo, il quale la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione".

    • Le funzioni dello Stato L’attività complessa diretta alla produzione degli atti dell’autorità viene detta funzione. È un attività organizzata e preordinata al conseguimento di uno scopo. Le tre funzioni che costituiscono lo stato sono: legislativa, giurisdizionale e funzioni amministrative. Sono qui indicate le attività dirette alla produzione della legge, della sentenza, dell’atto amministrativo e, per quanto riguarda la funzione giurisdizionale, anche le autorità che le esercitano. Le forme di governo possono essere classificate in base al modo della scelta del soggetto cui è affidato il potere sovrano (ossia la funzione primaria, che condiziona e dirige lo svolgimento di tutte le altre funzioni dello Stato, e che può essere definita come funzione di indirizzo politico), al modo attraverso il quale si forma la volontà dell'organo cui è affidato il potere sovrano, o in base ai titoli e alle garanzie previste dall'ordinamento.

  • 22

    Applicando il primo criterio, si potrà distinguere tra forme di governo dirette (monarchica o popolare) e rappresentative (pure o composite). Avendo riguardo al secondo criterio, considerando il numero di soggetti sovrani, avremo forme individuali (monarchie o diarchie) e forme collettive (aristocrazie o democrazie), mentre considerando le loro qualità avremo un governo di istituzioni o, con riguardo alle forme, forme di governo pure o miste. Il terzo criterio, infine, si integra con i precedenti; tra le garanzie da esso previste, particolarmente rilevanti sono, tra quelle interne, la separazione dei poteri (per cui una data funzione spetta ad un dato organo, e funzioni diverse competono ad organi diversi), e tra quelle esterne la giustizia costituzionale. Nello Stato moderno, le principali forme di governo sono rappresentate dal governo parlamentare inglese e dal regime assembleare francese, sistemi entrambi che, partendo da una forma dualista, in cui la sovranità è divisa tra potere legislativo e potere esecutivo, pervengono ad una forma monista, in cui la funzione di indirizzo politico viene attribuita all'assemblea legislativa elettiva.

  • 23

    IV. ORGANIZZAZIONE DELLO STATO

    • Il principio della separazione dei poteri e le interferenze funzionali La separazione dei poteri è uno dei principi fondamentali delle democrazie moderne. Essa consiste nella separazione dei tre poteri che costituiscono lo stato:

    • Il potere legislativo (di redigere ed approvare le leggi) (Parlamento) • Il potere esecutivo (di far rispettare le leggi) (Governo) • Il potere giudiziario (di giudicare chi viola la legge) (Magistratura)

    Successivamente la stampa è stata da molti considerata come un quarto potere, in quanto come mezzo di informazione di massa ha il grande potere di influenzare le opinioni e scelte della popolazione. Più tardi, con l'affermazione del mezzo televisivo, che ha una penetrazione ancora maggiore della carta stampata, è stato definito quinto potere. Questi concetti relativamente nuovi non sono però stati ancora adottati in nessuna delle costituzioni in vigore nel mondo. Origini del principio di tripartizione dei poteri Già Aristotele distingueva tre momenti dell'attività dello Stato: quello in cui lo Stato detta le norme e le regole di condotta (momento primario); quello in cui lo Stato assicura l'osservanza delle norme attraverso la risoluzione delle controversie e l'attuazione coattiva; quello in cui lo Stato soddisfa bisogni collettivi attuando le norme da esso stesso poste. Originariamente, quindi, si era già affermato il principio di competenza che presiedeva al rapporto esistente tra due centri di imputazione di interessi e poteri, nel senso che alcuni atti vanno compiuti istituzionalmente da alcuni soggetti (e non da altri). Il principio della tripartizione dei poteri aveva inizialmente un contenuto politico, di garanzia delle libertà civili, perché ciascun potere aveva le sue proprie funzioni e faceva da punto di equilibrio per gli altri due. Sennonché, una divisione così netta e assoluta non è mai stata attuata in nessun Paese e in nessun tempo, perché scinderebbe l'unità dello Stato e ne arresterebbe il funzionamento. Evoluzione del principio I primi ad aver formulato, in epoca relativamente moderna, il concetto di separazione dei poteri sono stati John Locke e Montesquieu nel XVIII secolo. Montesquieu affermava:" ogni uomo che ha potere è portato ad abusarne finché non incontra dei limiti..." L'idea alla base di questa separazione è di impedire che tutti i poteri dello Stato siano concentrati nelle mani di una sola persona o di un gruppo ristretto di persone. Questo metterebbe infatti a rischio il rispetto dei diritti dei cittadini. La separazione funzionale dei poteri diminuisce il rischio che si affermi una dittatura o un regime totalitario, anche se non lo elimina del tutto; infatti ad esempio non ha impedito che Napoleone III riuscisse nel suo colpo di stato. La separazione del potere non è solo funzionale ma in alcuni ordinamenti statuali, che per ciò stesso sono definiti federativi, il potere è diviso anche territorialmente, dando ai diversi livelli di governo completa autonomia in una sfera di intervento che è esclusivo di ognuno di essi.

  • 24

    Le tre funzioni Nella pratica, la separazione dei poteri non è mai totale. Nelle democrazie rappresentative moderne, la divisione dei poteri è attenuata per quanto riguarda il potere esecutivo e il potere legislativo: questo perché sia il Primo Ministro che il Parlamento traggono la loro legittimazione dall'investitura popolare. In realtà, le tre funzioni (legislativa, amministrativa e giurisdizionale, in vista dell'unità dello scopo cui tendono, sono intimamente connesse e si condizionano a vicenda, in maniera tale da non poter essere separate e porsi come indipendenti l'una dall'altra. Le Camere, tipico organo legislativo, hanno anche funzioni di carattere amministrativo (approvazione del bilancio, nomina dei propri impiegati, inchieste, controlli sul Governo attraverso interrogazioni e interpellanze) e di carattere giudiziario (decidono sulle cause di ineleggibilità e incompatibilità dei propri membri). Così, l'Esecutivo esplica anche funzioni legislative (leggi delegate, decreti aventi valore di legge, regolamenti in veste di d.P.R. e giudiziarie (il Presidente della Repubblica esercita il giudizio di grazia ex art. 87 della Costituzione). A loro volta, gli organi giudiziari esercitano funzioni amministrative, ad esempio in materia di volontaria giurisdizione. Il principio tendenziale della divisione dei poteri non è solo criterio di specificazione di organi e funzioni, ma è anche criterio di coordinazione per l'unicità dello Stato, che rimane uno e inscindibile.

    • Gli atti giuridici e la loro classificazione L'atto giuridico è un fatto giuridico (stato o evento previsto dalla fattispecie di una norma) il cui accadimento è voluto dall'uomo. Per gli atti giuridici, quindi, a differenza degli altri fatti giuridici, è rilevante l'imputazione ad un soggetto di diritto, che può essere la persona fisica che ha voluto il loro accadimento o la persona giuridica per la quale detta persona fisica ha agito in qualità di organo. Al pari degli altri fatti giuridici, gli atti costituiscono le fattispecie delle norme. Sono esempi di atto giuridico: la promessa, il testamento, la sentenza, il contratto, l'atto amministrativo. Sono altresì atti la legge, il regolamento e, in generale, tutti gli atti che costituiscono fonte del diritto (atti normativi). Classificazione degli atti giuridici Nel seguito si riportano le distinzioni che, sebbene in molti casi elaborate dalla dottrina civilistica, hanno una portata generale e, quindi, sono utilizzabili anche in altri rami del diritto. Ognuno di questi rami, poi, ha elaborato distinzioni proprie (nel diritto amministrativo vi è una teoria dell'atto amministrativo, nel diritto processuale una teoria dell'atto processuale, nel diritto penale una teoria del reato ecc.), per la quali si rimanda alle relative voci. Atti negoziali e meri atti Gli atti giuridici si distinguono, quanto alla produzione di effetti, in:

    • meri atti, se il loro accadimento è voluto dall'uomo ma gli effetti che ne derivano sono invece stabiliti dalla norma, senza che rilevi in alcun modo la volontà di chi li ha compiuti;

    • atti negoziali (o negozi giuridici), se il loro accadimento è voluto dall'uomo e producono effetti parimenti voluti dal loro autore, al quale la norma ha quindi attribuito un potere giuridico.

  • 25

    Va rilevato che la teoria del negozio giuridico, sebbene concepita in termini di grande astrattezza, ha finito per risentire della visione, per così dire, "panprivatistica", propria della scuola Pandettistica che l'aveva inizialmente elaborata prendendo, non a caso, a modello gli atti del diritto civile e, in particolare, il contratto. Così, mentre in un primo tempo il concetto di negozio giuridico è stato ripreso anche in altri rami del diritto e, in particolare, dal diritto amministrativo, che lo aveva utilizzato nella costruzione del concetto di provvedimento amministrativo, in seguito tanto il diritto amministrativo quanto quello processuale hanno elaborato le loro categorie prescindendo da esso. Si aggiunga che nello stesso diritto civile il negozio giuridico non ha avuto il medesimo successo in tutte le culture giuridiche: se in Germania il concetto è usato sia dal codice civile che da dottrina e giurisprudenza, in Italia è ignorato dal codice civile ma è utilizzato da giurisprudenza e dottrina, mentre in Francia non viene utilizzato né dal legislatore né da dottrina e giurisprudenza. I negozi giuridici sono dichiarazioni di volontà, anche se, in alcuni casi, l'ordinamento può desumere la volontà stessa dal comportamento del soggetto (cosiddetto comportamento concludente) anche in assenza di una dichiarazione espressa. I meri atti possono essere o meno dichiarazioni (non lo sono gli atti meramente materiali); nel caso lo siano, non sono comunque dichiarazioni di volontà ma, secondo i casi, di conoscenza (o, come si usa dire, di scienza), di giudizio ecc. Altre distinzioni Dal punto di vista del momento in cui producono i loro effetti, gli atti si distinguono in:

    • recettizi, se la loro efficacia è condizionata alla conoscenza che di essi abbia il destinatario; • non recettizi, se possono produrre effetti fin dal momento del loro perfezionamento, anche

    se il destinatario non ne ha ancora avuta conoscenza. Dal punto di vista della conformità alle norme, gli atti si distinguono in:

    • leciti, se non violano alcun obbligo o dovere (sia esso positivo, ossia un comando, o negativo, ossia un divieto) posto dall'ordinamento giuridico;

    • illeciti, se violano un obbligo o dovere posto dall'ordinamento giuridico. Gli atti illeciti possono dar luogo a responsabilità in capo al soggetto al quale sono imputati

    Dal punto di vista del numero di soggetti ai quali sono imputati, gli atti giuridici si distinguono in:

    • unilaterali, se sono imputati ad un solo soggetto; • bilaterali, se sono imputati a due soggetti; • plurilaterali, se sono imputati a più di due soggetti; • collegiali (o deliberazioni), se sono imputati ad un collegio, costituito da una pluralità di

    persone, ma non a queste singolarmente. Dal punto di vista della natura del soggetto al quale sono imputati, gli atti giuridici si distinguono in:

    • pubblici, se promanano dallo Stato o altro soggetto pubblico che agisce in posizione di supremazia (autorità);

    • privati, se promanano da un soggetto, pubblico o privato, che non agisce in posizione di supremazia ma in virtù dell' autonomia privata che l'ordinamento riconosce alla generalità dei soggetti.

  • 26

    Forma dell'atto giuridico L'atto giuridico giunge ad esistenza nel momento in cui viene esternato, ossia reso percepibile nel mondo reale e, quindi, anche sul piano giuridico; il mezzo con il quale ciò si realizza costituisce la forma dell'atto. La norma può lasciare libera la forma dell'atto oppure prescrivere una forma particolare, sovente quella scritta. Talvolta, anche se molto raramente negli ordinamenti moderni, la norma richiede addirittura che l'esternazione avvenga con determinate parole: in questi casi si parla di forma solenne. Quando è richiesta la forma scritta, l'atto viene esternato per mezzo di un documento (su supporto cartaceo o informatico, quest'ultimo ammesso dagli ordinamenti solo in tempi recenti). Al riguardo, va rilevato che nella prassi il termine "atto" viene spesso utilizzato per denotare il documento che contiene un atto giuridico; tale uso, peraltro, non è del tutto appropriato poiché possono esistere atti non contenuti in un documento (ad esempio quelli in forma orale), atti contenuti in più di un documento (ad esempio un contratto stipulato per corrispondenza) e documenti che contengono più di un atto.

  • 27

    V. ORDINAMENTO DELLO STATO ITALIANO

    • Il potere legislativo Il potere legislativo è il potere di approvare le leggi di uno stato. In Italia, il potere legislativo spetta al Parlamento ai sensi dell'art. 70 della Costituzione. Anche il Governo può emanare un atto avente forza di legge (chiamato decreto legge) ma questo deve essere confermato successivamente dal Parlamento, pena la decadenza del decreto legge. Inoltre il Parlamento può delegare il Governo (tramite una legge chiamata appunto legge delega) affinché legiferi su una certa materia, ma al contempo stabilisce i margini entro i quali il Governo può muoversi nel legiferare. L'atto normativo emanato in questo modo dal Governo prende il nome di decreto legislativo. Il potere di iniziativa legislativa viene attribuito a ciascun parlamentare, al popolo, attraverso l'istituto della proposta di legge di carattere popolare, effettuata tramite la raccolta di almeno 50mila firme, e al Governo, le cui proposte di legge devono però essere controfirmate dal Presidente della Repubblica. Sempre nell'ambito del potere legislativo vi sono alcuni casi in cui esso spetta al popolo sovrano: attraverso l'istituto del referendum abrogativo e, in materia costituzionale, attraverso l'istituto del referendum confermativo delle leggi costituzionali. Tutte le leggi devono essere promulgate dal Presidente della Repubblica il quale può rinviare al Parlamento una legge se ritiene che questa sia in contrasto con la Costituzione. Diritto comunitario Sul quadro così delineato è intervenuta negli ultimi anni con caratteri dirompenti la normativa della Comunità economica europea. Come è noto i trattati istitutivi della Comunità Europea hanno previsto delle fonti normative, i regolamenti, che si applicano direttamente a tutti i cittadini in tutti gli Stati membri senza che occorra un filtro da parte degli Stati (come invece avviene per le direttive). Questo sistema comporta inevitabilmente una compressione della potestà legislativa del Parlamento italiano, specie ove si accolga la tesi secondo cui le norme europee avrebbero un rango superiore alle leggi italiane. Parte della dottrina ha dunque sollevato problemi di costituzionalità della disciplina comunitaria con la nostra Costituzione, e segnatamente con l'art. 70 che attribuisce la potestà legislativa esclusivamente alle Camere. Ma il presunto contrasto è stato risolto facendo ricorso all'art. 11 della nostra Costituzione, il quale prescrive che la nostra Repubblica consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. La comunità europea rientrerebbe tra le organizzazioni internazionali citate dall'art. 11, e dunque la limitazione della nostra sovranità riceve l'autorevole avallo della nostra Costituzione. Bicameralismo Il potere legislativo è attribuito in Italia al Parlamento che si compone della camera dei deputati e del Senato della Repubblica, così il nostro Parlamento è un organo complesso perché formato da organi collegiali. In diritto costituzionale, il bicameralismo o bicamerismo (dal latino « bi », due e « camera ») è una pratica della rappresentanza parlamentare consistente nella divisione in due camere dell'organo legislativo (parlamento). Il termine è nato e si è diffuso nel XIX secolo.

  • 28

    Il termine bicamerale, per abbreviazione d'uso comune, indica alcune commissioni composte da membri di entrambe le camere, che svolgono le identiche funzioni, realizzando in tal modo una forma di bicameralismo perfetto. Il parlamento in seduta comune Il Parlamento si riunisce in seduta comune:

    • per l'elezione del Presidente della Repubblica per la quale ai parlamentari si aggiungono i rappresentanti delle Regioni (art. 83 Cost.),

    • per l'elezione dei cinque membri della Corte costituzionale di nomina parlamentare (art. 135 Cost.); per l'elezione di un terzo dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura (art. 104 Cost.);

    • per l'elezione di 45 cittadini fra i quali estrarre i giudici aggregati ai fini del giudizio d'accusa contro il presidente della Repubblica (art. 135 Cost.);

    • per assistere al giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione da parte del Presidente della Repubblica (art. 91 Cost.) e, infine,

    • per la messa in stato di accusa dello stesso Presidente della Repubblica nei casi di alto tradimento e attentato alla Costituzione (art. 90 Cost.). In tutte le altre ipotesi, le Camere si riuniscono separatamente.

    La formazione delle camere Secondo la Costituzione della Repubblica italiana, che è la legge fondamentale dello Stato, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, il Parlamento è costituito da due assemblee (Camere), dotate di uguali poteri:

    • la Camera dei deputati • il Senato della Repubblica

    I parlamentari sono eletti ogni cinque anni da tutti i cittadini che abbiano compiuto, rispettivamente, 18 anni per l'elezione della Camera e 25 anni per l'elezione del Senato. Spetta al Parlamento indirizzare e controllare il Governo, che per poter governare deve averne la fiducia (cioè il consenso del parlamento al suo operato). Nella sua attività il Parlamento opera in rapporto continuo con il Governo, che propone i principali progetti di legge e che è sempre presente in tutte le fasi del lavoro parlamentare. La rappresentanza politica – Elettorato attivo e passivo Si suole generalmente affermare che l’elezione come modo democratico di selezione dei governanti, conferisce a questi la qualità di rappresentanti. Le camere sono elette dai cittadini che godono del diritto di elettorato attivo (Camera maggiorenni, Senato > 25 anni). Sono eleggibili alla Camera, e dunque godono di diritto di elettorato passivo, tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i 25 anni di età. I sistemi elettorali Un sistema elettorale è l'insieme di norme che regolano il processo attraverso il quale le preferenze sono trasformate in voti e i voti in ruoli di autorità (spesso seggi). È quindi un processo a due stadi, anche se spesso si dà maggiore risalto alla sua seconda parte.

  • 29

    I sistemi elettorali sono numerosi, ma possono essere suddivisi in due grandi famiglie: sistema maggioritario e sistema proporzionale. Per ovviare agli inconvenienti che ciascuno dei due gruppi comporta, tuttavia, esistono numerosi esempi di sistemi misti. Il sistema maggioritario Il sistema elettorale maggioritario è quello che ha accompagnato le prime forme di rappresentanza politica diretta fin dal Settecento. Nella maggior parte dei casi il sistema maggioritario è basato su un collegio uninominale che viene assegnato a colui che vince l'elezione in quel contesto; raramente è utilizzato in collegi plurinominali (esempi sono il sistema a Voto bloccato o il Singolo Voto Non Trasferibile). Ci sono due tipi di sistema maggioritario: uno nel quale vince l'elezione chi ottiene la maggioranza relativa dei voti nel collegio, qualunque essa sia; un secondo in cui vince solo chi ottiene la maggioranza assoluta (50%+1) nel collegio, ricorrendosi in caso contrario ad un ballottaggio: l'accesso alla seconda tornata elettorale può avvenire o tramite il superamento di una soglia percentuale di voti al primo turno, oppure in base alla posizione in cui ci si piazza al primo turno (solitamente i candidati primi due classificati). Possiamo dunque distingue fra sistemi elettorali maggioritari:

    • a un turno o plurality con maggioranza relativa (sistema elettorale britannico) • a turno unico con maggioranza assoluta tipo il voto alternativo (sistema elettorale

    australiano) • a doppio turno o majority con maggioranza relativa (sistema elettorale francese) o assoluta

    (in vigore in Italia prima del 1918) I sistemi plurality presuppongono la vittoria del candidato che abbia ottenuto la maggioranza relativa dei voti riguardanti il proprio collegio. Il numero delle candidature dipende dal numero dei partiti esistenti nel sistema politico e dal grado di strutturazione della compagine partitica: nel caso di un sistema partitico stabile e ben consolidato si avrà un effetto spontaneo di riduzione dei candidati secondo un fattore meccanico (una sistematica sotto-rappresentanza del terzo partito) o un fattore psicologico (una tendenza naturale degli elettori al voto strategico in caso di evidente incapacità o impossibilità di vittoria del candidato preferito, per il quale si sarebbe espresso un voto sincero). Nei sistemi majority al primo turno vince il candidato che abbia raggiunto la maggioranza assoluta di voti nel collegio, pari, cioè, al 50% + 1. se nessun candidato riesce a raggiungere il quorum, si passa al secondo turno. È opportuno fare qui distinzione tra doppi turni chiusi, nei quali sono ammessi al ballottaggio solo i due candidati che abbiano ricevuto più voti, e doppi turni aperti, nei quali sono ammessi al ballottaggio tutti i candidati del primo turno o addirittura anche nuovi candidati. Nel doppio turno chiuso si ha una notevole riduzione della frammentazione partitica, con la necessità quasi imperativa di alleanze preventive e l’inevitabile emarginazione dei partiti ininfluenti e dei partiti anti-sistema, collocati, cioè, agli estremi del continuum destra-sinistra. Nel doppio turno aperto, invece si può avere la desistenza strategica di candidati e partiti per favorire altri candidati di altri partiti, con più possibilità di vincere e meno sgraditi, e per favorire la formazione di potenziali alleanze di governo. Il sistema maggioritario a doppio turno incoraggia l’elettore a esprimere un voto sincero al primo turno, ma tale voto può restare sincero qualora il candidato preferito si possa ripresentare in sede di ballottaggio, mentre dovrà diventare voto strategico nel caso in cui l’elettore si trovi privo del candidato preferito al ballottaggio. La particolarità del sistema elettorale maggioritario – specie di quello basato sulla maggioranza relativa – è quella di distorcere la rappresentatività aumentando la vittoria in termini di seggi del

  • 30

    primo partito o coalizione a danno relativo del secondo e a gravissimo danno del terzo partito. Per esempio, dati tre partiti A, B e C che si classifichino rispettivamente primo (45% dei voti) secondo (30%) e terzo (25%), è facile immaginare che - sempre per esempio - il primo otterrà il 55% dei seggi, il secondo 30% e il terzo 15%. Ovviamente, per i partiti, con questo sistema elettorale, è più importante vincere di misura in più collegi possibili che non vincere in pochi collegi con alta maggioranza. A questo proposito, si ricorda l'arte del "Gerrymandering" messa in atto dal governatore Gerry del Massachusetts negli Usa, che disegnava (o cercava di fare) collegi elettorali che gli permettessero la rielezione. All'interno dei sistemi maggioritari poi, quelli a doppio turno tendono a premiare i partiti di centro, mentre quelli a turno unico favoriscono invece formazioni ideologicamente più schierate. Il motivo di ciò è facilmente comprensibile: se si va al ballottaggio, qualora vi sia presente un partito di centro che parta anche da una posizione di svantaggio, esso ne uscirà tendenzialmente vincitore, perché saprà, meglio del suo avversario, attrarre i voti dei partiti esclusi, quelli di sinistra se si troverà a confrontarsi con un avversario di destra, o viceversa nel caso contrario. In definitiva, nel sistema maggioritario si dà spazio a un aspetto di governabilità. I suoi sostenitori ne sostengono la democraticità in quanto, spingendo i partiti a presentarsi agli elettori riuniti in coalizioni, permette ai cittadini una sorta di "elezione diretta" della maggioranza, e di con