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16 3 Sergio e i bambini dimenticati Storia di inganni e innocenza Avete sette anni. Siete reduci da un viaggio che vi è sembrato infinito, compiuto, insieme alla vostra fami- glia, in un vagone destinato al bestiame. Con voi, in una baracca di legno, solo le vostre due cuginette, insieme ad altri bambini che non riuscite a capire, perché parlano lingue diverse dalla vostra. Vi chiede- te cosa stiano facendo la nonna e la zia, che non vi hanno seguito, per andare verso destra. Alcuni uomi- ni dall’aria gentile entrano nella baracca. Stanno in piedi di fronte a voi e chiedono, guardandosi attorno: “Chi vuole vedere la mamma?”. Tatiana vi aveva det- to qualcosa a proposito di questa domanda. “Di’ di no”, aveva detto. Cosa significa? È ovvio che volete vedere la mamma. E quindi accettate. Un passo avanti, e si parte. Con il sorriso stampato sul volto, Sergio de Simone, insieme a diciannove bambini francesi, olandesi, slavi e polacchi, sale su un treno che lo porterà al campo di con- centramento di Neuengamme, il 29 no- vembre 1944. Ha appena salutato Tatiana e Andra, le sue cuginette di nove e sette anni, che avevano deciso di dare ascolto ad una donna, che aveva detto loro: “Vogliono portarvi via, vogliono imbro- gliarvi. Voi dite di no”. Così fecero: e questo fu ciò che salvò loro la vita. Sergio, Tatiana e Andra erano stati arre- stati una sera tardi, a Fiume. Se lo ricor- dano perché erano già a letto. La mamma li aveva svegliati, vestiti e poi erano partiti tutti insieme. Erano rimasti circa due giorni alla Risiera di San Sabba, a Trieste, per poi partire verso una destinazione ignota. Dopo sei giorni, gli adulti si resero conto di essere arrivati al campo di concentramento di Auschwitz- Birkenau. Alle donne furono tagliati i capelli e, logica- mente, furono assegnate alla baracca delle donne. I bambini furono da loro separati. Quando le due bambine constatarono che Sergio aveva deciso di non dare loro ascolto, sapevano che non sarebbe successo niente di buono. Arrivati a Neuengamme, Sergio e gli altri bambini vengono affidati alle cure di quattro deportati, due medici francesi e due infermieri olandesi, che contri- buiscono a far passare un periodo di relativa tran- quillità. Al termine di questo, quando i bambini sem- brano sereni e in salute, il dottor Kurt Heissmeyer ritiene che sia il momento adatto per dare inizio al progetto che aveva in mente da tempo. Il 9 gennaio 1945, a tutti i venti bambini vengono inoculati dei bacilli tubercolari. L’aveva già fatto con dei prigionieri russi, ma l’esperimento non aveva dato gli esiti desi- derati. Questo non è tuttavia un motivo valido per smettere di cercare. E non lo è nemmeno il fatto che lui stesso si basi su degli studi che già al tempo ven- gono riconosciuti come inattendibili. L’iniezione di quei bacilli avrebbe comportato la produzione di anticorpi e lui avrebbe scoperto il vaccino contro la tubercolosi polmonare. Tuttavia, quando ai bambini furono asportati i linfonodi, collo- cati nella zona ascellare, non risul- tò traccia di alcun anticorpo. Unica traccia, le foto dei venti bambini, rasati a zero, con il braccio destro alzato e un taglio che percorreva loro l’ascella. L’ultima foto che abbiamo di Sergio. È il 20 aprile 1945: gli Alleati sono alle porte, i bambini sono malati e stanchi. Da Berlino arriva l’ordine di far in modo che non rimanga traccia dell’accaduto. Dunque i bambini vengono caricati e trasfe- riti nella scuola di Bullenhuser Damm, sezione distaccata del campo in cui si trovavano. I primi ad essere uccisi sono i loro quattro custodi che, invano, avevano tentato di impedire che la strage fosse portata a termine. Nella notte ai bambini viene iniettata una dose di morfina. E vengono impiccati alle pareti di una stanza, nei sotterranei della scuola di Bullenhuser Damm. “Come quadri alla parete”, dirà uno degli esecutori. Kurt Heissmeyer, inizialmente scagionato in quanto non fu l’esecutore materiale del delitto, fu condanna- to all’ergastolo nel 1966, dopo più di vent’anni di silenzio. Solo nel 1983, la madre di Simone, sopravvissuta alla deportazione, fu informata dell’eccidio. Ora, l’area della scuola in cui si consumò la strage, è un museo dedicato a quei venti bambini. Sofia Fresch, 1LC 2 Editoriale Cari lettori , Come di consueto vi do il benvenuto al nostro nuovo numero di voci di corridoio! Sono tornata a casa da scuola da pochissimo e sto tentando di scrivere qualche riga sensata in questo nuovo editoriale ma non ce la faccio. Oggi, 24 gen- naio 2017, noi studenti della sede di Oderzo, abbia- mo avuto il piacere e l’onore di incontrare, un so- pravvissuto al campo di Mauthausen, Luciano Batti- ston, e questo mi ha davvero molto colpita. La sua storia, come quella di molti altri, ci fanno capi- re l’importanza della vita umana e perché sia impor- tante ricordare e non cercare di celare sotto falsi nomi quello che la storia ha prodotto. Per questo motivo noi della redazione abbiamo deci- so di dedicare una parte di questo numero alla gior- nata della memoria, per riscoprire storie, testimo- nianze ed eventi e non dimenticarli mai. Grazie e buona lettura Altea Nardo 2LC Ci affidiamo a questi versi per dare inizio alla nostra rubrica dedicata alla Giornata della Memoria, al ricordo e alla tristezza di chi ancora non si dà pace per la sofferenza provata. Sappiamo che non si tratta di un tema facile, per questo noi della redazione ci siamo impegnati a scrivere articoli semplici e coinvolgenti. Ci siamo riusciti? A voi il giudizio! Prima vennero... Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare. Bertolt Brecht Ritorna l’appuntamento con il cruciverba a tema! In questo numero metteremo alla prova le conoscenze lette- rarie di voi lettori, consigliandovi nel frattempo di dare un’occhiata ai titoli qui proposti nelle definizioni. Buona fortuna! 1)I sommersi e i ….. di Primo Levi 2)La vecchia fiamma di Mr. Gatsby 3)La città russa di Delitto e castigo 4)Romanzo d’esordio di Banana Yoshimo- to 5)Le sorelle di Orgoglio e pregiudizio 6)Per Wilde è importante chiamarsi così 7)La Agatha di Dieci piccoli indiani 8)Il Renton di Trainspotting 9)Lo è del male nel libro di Hannah Arendt 10)È rivolta a loro la Guida galattica di Douglas Adams 11)Regione della Terra di Mezzo in cui vive lo hobbit Bilbo Baggins 12) giovane del romanzo di J. D. Salinger 13)Autore di Anna Karenina Cruciverba letterario Irene Martin, 3LC Unisciti a noi! Ciao, unisciti anche tu alla nostra redazione! Fai sen- tire la tua voce insieme alla nostra! Puoi provare anche solo per un numero e vedrai che non smetterai più. Per informazioni fermaci nei corridoi o contattaci sui social! Seguici sui social Facebook:/VociDiCorridoioScarpa Instagram:@vocidicorridoio.scarpa Redazione Altea Nardo, 2LC (caporedattrice) Lidia Bini, 2LC Alice Spilimbergo, 2LC Eva Buosi, 2LC Giulia Paludo, 2LC (copertina) Irene Martin, 3LC Sofia Fresch, 1LC Andrea Cadamuro, 3LC Riccardo Biasotto, 1LC Antonio Pizzato, 4g Anna Pessotto, 4LL Marco Crosato, 5CLS Alberto Rosada, 3LC (impaginazione) Chiara Sgorlon, 3BLS (impaginazione) Sotto la supervisione del prof. Tiziano Rorato

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16 3

Sergio e i bambini dimenticati Storia di inganni e innocenza

Avete sette anni. Siete reduci da un viaggio che vi è

sembrato infinito, compiuto, insieme alla vostra fami-

glia, in un vagone destinato al bestiame. Con voi, in

una baracca di legno, solo le vostre due cuginette,

insieme ad altri bambini che non riuscite a capire,

perché parlano lingue diverse dalla vostra. Vi chiede-

te cosa stiano facendo la nonna e la zia, che non vi

hanno seguito, per andare verso destra. Alcuni uomi-

ni dall’aria gentile entrano nella baracca. Stanno in

piedi di fronte a voi e chiedono, guardandosi attorno:

“Chi vuole vedere la mamma?”. Tatiana vi aveva det-

to qualcosa a proposito di questa domanda. “Di’ di

no”, aveva detto. Cosa significa? È ovvio che volete

vedere la mamma. E quindi accettate. Un

passo avanti, e si parte.

Con il sorriso stampato sul volto, Sergio

de Simone, insieme a diciannove bambini

francesi, olandesi, slavi e polacchi, sale su

un treno che lo porterà al campo di con-

centramento di Neuengamme, il 29 no-

vembre 1944. Ha appena salutato Tatiana

e Andra, le sue cuginette di nove e sette

anni, che avevano deciso di dare ascolto

ad una donna, che aveva detto loro:

“Vogliono portarvi via, vogliono imbro-

gliarvi. Voi dite di no”. Così fecero: e

questo fu ciò che salvò loro la vita.

Sergio, Tatiana e Andra erano stati arre-

stati una sera tardi, a Fiume. Se lo ricor-

dano perché erano già a letto. La mamma li aveva

svegliati, vestiti e poi erano partiti tutti insieme. Erano

rimasti circa due giorni alla Risiera di San Sabba, a

Trieste, per poi partire verso una destinazione ignota.

Dopo sei giorni, gli adulti si resero conto di essere

arrivati al campo di concentramento di Auschwitz-

Birkenau. Alle donne furono tagliati i capelli e, logica-

mente, furono assegnate alla baracca delle donne. I

bambini furono da loro separati.

Quando le due bambine constatarono che Sergio

aveva deciso di non dare loro ascolto, sapevano che

non sarebbe successo niente di buono.

Arrivati a Neuengamme, Sergio e gli altri bambini

vengono affidati alle cure di quattro deportati, due

medici francesi e due infermieri olandesi, che contri-

buiscono a far passare un periodo di relativa tran-

quillità. Al termine di questo, quando i bambini sem-

brano sereni e in salute, il dottor Kurt Heissmeyer

ritiene che sia il momento adatto per dare inizio al

progetto che aveva in mente da tempo. Il 9 gennaio

1945, a tutti i venti bambini vengono inoculati dei

bacilli tubercolari. L’aveva già fatto con dei prigionieri

russi, ma l’esperimento non aveva dato gli esiti desi-

derati. Questo non è tuttavia un motivo valido per

smettere di cercare. E non lo è nemmeno il fatto che

lui stesso si basi su degli studi che già al tempo ven-

gono riconosciuti come inattendibili. L’iniezione di

quei bacilli avrebbe comportato la produzione di

anticorpi e lui avrebbe scoperto il vaccino contro la

tubercolosi polmonare. Tuttavia, quando ai bambini

furono asportati i linfonodi, collo-

cati nella zona ascellare, non risul-

tò traccia di alcun anticorpo. Unica

traccia, le foto dei venti bambini,

rasati a zero, con il braccio destro

alzato e un taglio che percorreva

loro l’ascella. L’ultima foto che

abbiamo di Sergio.

È il 20 aprile 1945: gli Alleati sono

alle porte, i bambini sono malati e

stanchi. Da Berlino arriva l’ordine

di far in modo che non rimanga

traccia dell’accaduto. Dunque i

bambini vengono caricati e trasfe-

riti nella scuola di Bullenhuser

Damm, sezione distaccata del

campo in cui si trovavano. I primi ad essere uccisi

sono i loro quattro custodi che, invano, avevano

tentato di impedire che la strage fosse portata a

termine. Nella notte ai bambini viene iniettata una

dose di morfina. E vengono impiccati alle pareti di

una stanza, nei sotterranei della scuola di Bullenhuser

Damm. “Come quadri alla parete”, dirà uno degli

esecutori.

Kurt Heissmeyer, inizialmente scagionato in quanto

non fu l’esecutore materiale del delitto, fu condanna-

to all’ergastolo nel 1966, dopo più di vent’anni di

silenzio.

Solo nel 1983, la madre di Simone, sopravvissuta alla

deportazione, fu informata dell’eccidio.

Ora, l’area della scuola in cui si consumò la strage, è

un museo dedicato a quei venti bambini.

Sofia Fresch, 1LC

2

Editoriale

Cari lettori ,

Come di consueto vi do il benvenuto al nostro nuovo

numero di voci di corridoio!

Sono tornata a casa da scuola da pochissimo e sto

tentando di scrivere qualche riga sensata in questo

nuovo editoriale ma non ce la faccio. Oggi, 24 gen-

naio 2017, noi studenti della sede di Oderzo, abbia-

mo avuto il piacere e l’onore di incontrare, un so-

pravvissuto al campo di Mauthausen, Luciano Batti-

ston, e questo mi ha davvero molto colpita.

La sua storia, come quella di molti altri, ci fanno capi-

re l’importanza della vita umana e perché sia impor-

tante ricordare e non cercare di celare sotto falsi

nomi quello che la storia ha prodotto.

Per questo motivo noi della redazione abbiamo deci-

so di dedicare una parte di questo numero alla gior-

nata della memoria, per riscoprire storie, testimo-

nianze ed eventi e non dimenticarli mai.

Grazie e buona lettura

Altea Nardo 2LC

Ci affidiamo a questi versi per dare inizio alla nostra rubrica dedicata alla Giornata della Memoria, al ricordo e

alla tristezza di chi ancora non si dà pace per la sofferenza provata. Sappiamo che non si tratta di un tema

facile, per questo noi della redazione ci siamo impegnati a scrivere articoli semplici e coinvolgenti. Ci siamo

riusciti? A voi il giudizio!

Prima vennero...

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari

e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei

e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,

e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,

ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,

e non c’era rimasto nessuno a protestare.

Bertolt Brecht

Ritorna l’appuntamento con il cruciverba a tema! In questo numero metteremo alla prova le conoscenze lette-

rarie di voi lettori, consigliandovi nel frattempo di dare un’occhiata ai titoli qui proposti nelle definizioni. Buona

fortuna!

1)I sommersi e i ….. di Primo Levi

2)La vecchia fiamma di Mr. Gatsby

3)La città russa di Delitto e castigo

4)Romanzo d’esordio di Banana Yoshimo-

to

5)Le sorelle di Orgoglio e pregiudizio

6)Per Wilde è importante chiamarsi così

7)La Agatha di Dieci piccoli indiani

8)Il Renton di Trainspotting

9)Lo è del male nel libro di Hannah Arendt

10)È rivolta a loro la Guida galattica di

Douglas Adams

11)Regione della Terra di Mezzo in cui vive

lo hobbit Bilbo Baggins

12) giovane del romanzo di J. D. Salinger

13)Autore di Anna Karenina

Cruciverba letterario

Irene Martin, 3LC

Unisciti a noi! Ciao, unisciti anche tu alla nostra redazione! Fai sen-

tire la tua voce insieme alla nostra!

Puoi provare anche solo per un numero e vedrai che

non smetterai più.

Per informazioni fermaci nei corridoi o contattaci sui

social!

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Instagram:@vocidicorridoio.scarpa

Redazione Altea Nardo, 2LC (caporedattrice)

Lidia Bini, 2LC

Alice Spilimbergo, 2LC

Eva Buosi, 2LC

Giulia Paludo, 2LC (copertina)

Irene Martin, 3LC

Sofia Fresch, 1LC

Andrea Cadamuro, 3LC

Riccardo Biasotto, 1LC

Antonio Pizzato, 4g

Anna Pessotto, 4LL

Marco Crosato, 5CLS

Alberto Rosada, 3LC (impaginazione)

Chiara Sgorlon, 3BLS (impaginazione)

Sotto la supervisione del prof. Tiziano Rorato

Spazio poesia

Cari lettori, concludiamo la sezione dedicata alla Giornata della Memoria nello stesso modo in cui abbiamo

iniziato. Vi proponiamo infatti delle poesie scritte dai membri della nostra redazione in onore del Ricordo,

speriamo vi piacciano e vi tocchino il cuore.

8

La giornata di Trump o…?

Le ultime elezioni americane sono state tra le più

discusse di sempre, grazie a frasi sconvenienti ed

emails sospette, il mondo intero le ha seguite passo

passo e moltissimi sono stati scontenti dell’esito. Do-

nald Trump, nuovo presidente degli Stati Uniti, ha uno

dei livelli di gradimento più bassi di sempre tra tutti i

presidenti americani della storia, solamente il 40% del

popolo gli è favorevole, ma nonostante ciò, sabato 21

gennaio ha pronunciato il suo giuramento, diventan-

do così il 45esimo presidente americano.

Ma sabato non è stata solo la sua giornata, si era visto

già dalla folla andata ad assistere all’evento, stimata a

900.000 persone, sebbene molti sostengano fossero

di meno, che si contrappone nettamente a quella che

ci fu per Obama, prima 1.800.000

persone, poi un milione.

Tuttavia, il presidente meno ama-

to di sempre si è trovato, non

solo ad avere l’appoggio di così

poche persone, ma anche a do-

ver pronunciare il suo giuramen-

to mentre c’erano marce femmi-

niste a Washington e in molti altri

luoghi nel mondo, tutte molto

più numerose delle previsioni:

solo a Washington c’erano oltre mezzo milione di

persone.

Anche molti nomi noti hanno preso parte a queste

manifestazioni, come la cantante Katy Perry, Scarlett

Johansson, Julianne Moore e Madonna, che con il suo

discorso ha infuocato la folla di manifestanti.

Ma perché tutte queste persone hanno sentito il biso-

gno di scendere in strada e far sentire la propria voce?

Ci sono stati innumerevoli motivi, ma tutti vertevano

sull’uguaglianza che il femminismo sta combattendo

per ottenere.

Tra la folla c’erano molti rappresentanti della comuni-

tà LGBT+ che chiedevano l’uguaglianza dei diritti

anche per loro, simile era anche lo scopo di molte

persone di colore che hanno manifestato, che hanno

aggiunto la richiesta di porre un limite alle aggressioni

della polizia, che hanno dimostrato quanto il razzismo

non sia affatto un problema risolto.

Un altro tema centrale della protesta era la cessazione

della violenza sessuale, i protestanti hanno chiesto

leggi più dure e la denuncia di tutti i casi di stupro, ma

ovviamente, prima di tutto, chiedono che questi epi-

sodi non si verifichino più.

Il tema della violenza sessuale era molto caldo anche

perché Trump è stato accusato da diverse donne di

stupro, accuse che lui ha negato, senza però convin-

cere nessuno.

Infatti, molte erano i cartelli con scritto “Grab‘em by

the pus*y” una citazione del neopresidente, che è

notoriamente disprezzato dal movimento per i suoi

commenti sessisti, razzisti e omofobi.

Molti altri cartelli riguardavano la libertà di abortire,

tema discussissimo: molte persone obbiettano, cosa

che sta causando molti problemi alle donne che han-

no deciso di intraprendere questa strada, colpevoliz-

zate e private di un diritto.

La marcia è stata letta come una protesta anti-Trump,

è in certo qual modo lo è: molte

persone sono rimaste sconvolte

dal fatto che l’America abbia

scelto un uomo così come pre-

sidente, con i suoi ideali misogi-

ni, razzisti e omofobi.

Ma non è stato questo lo scopo

principale della manifestazione:

tutti i partecipanti, uomini o

donne che fossero, avanzavano

al grido “I diritti delle donne

sono diritti umani” che è notoriamente una delle frasi

più rappresentative del movimento.

Più tardi anche Hillary Clinton, pur non potendo par-

tecipare in quanto al giuramento del presidente, ha

ringraziato chiunque abbia partecipato perché stava

combattendo per i diritti di tutti quanti.

Dunque, nonostante alcuni slogan comprendessero

frasi come “Not my president” o “love Trumps hate”,

la manifestazione era un affermazione della volontà di

combattere per i diritti di tutti, più che un diretto

attacco al neo presidente, che è conscio della ferma

opposizione che si trova ad affrontare un’opposizione

decisa, unita e forte.

Quindi possiamo concludere che no, non è stato sola-

mente il giorno di Trump e del suo insediamento, ma

anche il giorno in cui si è sentita chiara e forte la voce

del movimento femminista e, nonostante i tweets che

il presidente ha scritto in seguito, con commenti sui

cortei, resta forte il sostegno che tutte queste persone

hanno ottenuto e ottengono.

Eva Buosi, 2LC

9

“We are number one”

come i memes possano fare del bene.

Verso Ottobre dell’anno scorso su Youtube iniziarono

a comparire numerosi video dal titolo “We are num-

ber one”.Alla fine mi decisi a guardarne uno spinto

dalla noia: così scoprii questo remix di una clip presa

da un famoso show per bambini islandese popolare

in tutta Europa, La-

zytown, diventato ormai

virale sul web. Tuttavia

leggendo le descrizioni

del video la sua storia

prese una piega com-

pletamente diversa:

infatti Stefan Karl,

l’attore che impersonava

il protagonista di questa

canzone, poco tempo

prima aveva subito

un’operazione per curare un cancro pancreatico che

per un anno gli avrebbe impedito di lavorare. Un

gruppo di fan della serie allora creò una pagina su

“gofundme.com” con l’obiettivo di raccogliere

100.000$ per aiutarlo economicamente durante la

convalescenza, obbiettivo raggiunto in soli tre mesi

grazie alla pubblicità fatta attraverso questi video. Ai

primi di dicembre lo stesso Stefan pubblicò un video

in cui ringraziava tutti i fan e sostenitori che avevano

contribuito alla raccol-

ta fondi, rendendo di

pubblico dominio le

varie elementi della

clip usata nei video

come segno di gratitu-

dine. Questa storia

serve a ricordarci che

dietro a memes e

video possono esserci

temi più profondi, a

volte meglio trasmessi

attraverso una risata che con un saggio ,soprattutto

nella società moderna.

Andrea Cadamuro, 3LC

11

Primavera partente

È sotto il sole dei pomeriggi

Di tarda primavera

Che senti scorrere i secondi sottili

Sottopelle, come sangue in una vena

È un brivido stupendo

Per un freddo non presente

Causato da malinconia fatta vento:

sinfonia del partente

È una melodia benedetta

Dal cielo ceruleo e dal tetto aperto

E concentrandoti realizzi che scorre lenta

La grande clessidra che è il deserto

È una sabbia bollente e un poco amara

Quella che ti ritrovi tra le mani

E in fondo sai che non può venire dal Sahara

Eppure porta aromi e sorrisi così lontani

Lontani come i sospiri che verserai

Fra qualche anno, mese, giorno

Non hai ancora deciso eppure già li hai

Gli occhi del viaggiatore che non farà ritorno

Marco Crosato, 5CLS

Ricordo

Come foglie al vento

contro il lieto tormento

di un sogno passato

e un futuro sognato

nel tempo andato

nello scocco intonato

Anna Pessotto, 4LL

Pomeriggio di pioggia

Ed era un pomeriggio di pioggia

di quelli da scrivere al ritmo

del pacifico pianto lento del cielo

fino a svuotarsi da ogni parola

e far giungere senza fretta la sera

ma come ticchettava leggero

il tempo

quel giorno.

L'aria entrava nelle ossa pian piano

non per il freddo ma

per una sua sottile promessa

di portare la tua pioggia lontano

e tu la accoglievi felice

che non c'è strada che non meriti

di essere percorsa

sia pur solo

da una goccia.

Il fuoco crepitava da spento

per consolare la legna inumidita

che dormiva di un sonno malato

e rassicurarla che si sarebbe svegliata

in una mattina di Sole

di quelle in cui la fiamma nel caminetto

arde più forte

solo che

non si fa vedere.

Il respiro esitava a mezz'aria

tinto di bianco dal soffio del mare

che bagnava la spiaggia deserta

in cui le onde suonavano un ritmo perduto

e si abbandonavano all'alba

che sarebbe prima o poi giunta

come sempre, no?

Eppure ticchettava lento

il tempo

quel giorno.

Marco Crosato, 5CLS

Lavandino da parrucchiera

Con l’inesorabile scorrere dei secoli, il genere

umano si è contraddistinto dalle bestie selvati-

che per estro creativo, acume e sagacia, circon-

dandosi di utilissimi ninnoli indispensabili per

affrontare le sfide quotidiane: dalla ruota alla

lampadina, dalla bussola alla stampa, dallo

streaming illegale di film alla pizza a domicilio. Il

nostro genio non si è limitato pigramente a

viziarci con ogni comfort, ha addirittura smussa-

to quelle fastidiose scaramucce che avrebbero

potuto sminuire la grandiosità di certe invenzio-

ni: i sedili degli aeroplani low-cost sono miglio-

rati a tal punto che quasi nessuno preferisce

attraversare l’Oceano Atlantico a nuoto, mentre,

dopo l’introduzione della sella, il numero di

cavallerizzi maschi affetti da infertilità è diminui-

to notevolmente.

Nonostante ciò, esiste tutt’oggi una catastrofica

piaga apocalittica immune ad ogni coraggioso

tentativo umano di renderla gradevole ai comu-

ni mortali: il lavandino da parrucchiera, un orri-

pilante strumento di ceramica che tortura sadi-

camente lo sternocleidomastoideo dei clienti

bisognosi di una spuntatina. E mentre sei lì,

come una lucertola freddolosa spalmata su una

roccia, ti domandi solo se il famigerato caschet-

to con cui la Carrà ha sfondato nel piccolo

schermo non sia nato proprio da qualche in-

comprensione con un lavandino simile.

In un mondo spietato, dove il continente nero

patisce la fame, il dittatore sovrappeso della

Corea del Nord ha usato missili nucleari come

botti di Capodanno e Taylor Swift continua a

produrre musica pur non avendo un briciolo di

talento, abbiamo davvero bisogno anche di

questo dispiacere? Voglio dire, se già molte

persone escono dal salone in lacrime perché la

parrucchiera, sotto richiesta di accorciare sola-

mente le punte, li ha scotennati, infierire sulle

nostre cervicali non è necessario.

Mi rendo perfettamente conto, però, che

l’alternativa sarebbe infradiciarci la nostra chio-

ma ribelle con il getto di una pistola ad acqua.

Perciò, infiammiamo la rivolta popolare contro

le ingiustizie commesse dalle multinazionali di

lavandini scomodi: io propongo di presentarci

dal nostro parrucchiere di fiducia armati di quei

soffici appoggiacollo da viaggio a U.

E mi aspetto che mi seguiate tutti a ruota.

Riccardo Biasotto, 1LC

We will rock you!

C’è un futuro per il rock? Per cercare di capirlo par-

tiamo dall’inizio

In principio furono gli anni Sessanta, e con loro i

fondatori del genere, i mostri sacri: Beatles, Rolling

Stones, Who, Kinks, Jimmy Hendrix… nasce il rock e

l’entusiasmo è alle stelle per questo nuovo tipo di

musica che sa essere aggressivo come dolce, tingen-

dosi di sfumature blues, jazz e anche pop.

Poi arrivano gli anni Settanta e iniziano a emergere i

sottogeneri: i Led Zeppelin portano con sé l’hard

rock; i Pink Floyd rendono popolare il progressive

rock; David Bowie si fa portavoce del glam rock; i

Queen riassumono tutte le tendenze del tempo con

la loro straordinaria tecnica e inventiva.

Dopo vent’anni ai vertici di ogni classifica musicale

però il genere sembra avviarsi a un lento declino, o

meglio ad un’evoluzione che lo porta lontano dalle

origini: nascono il metal, il punk rock, il grunge. Cer-

to, ci sono ancora artisti rock più tradizionali, come

Dire Straits, Bruce Springsteen e Guns’n Roses ma,

nonostante l’immenso successo, non sono padroni

assoluti del palco, conteso dai nuovi generi.

E poi i fatidici anni Novanta: gli occhi si spostano

altrove, i gusti del pubblico cambiano e inizia l’ascesa

della musica pop rispetto a quella “d’autore”. Alcuni

arrivano a parlare della morte del rock: i più disfattisti

ignorano i pochi (seppur validi) segni di vita che il

genere dà con band post-punk come Green Day e

Blink 182, mentre i più puristi non le ritengono suffi-

cientemente in linea con le origini per eleggerle co-

me nuove portabandiera della musica.

Eppure poco prima del nuovo millennio arriva sotto le

luci della ribalta un nuovo gruppo, che ottiene un

clamoroso successo di vendite e critica con un genere

del rock non nuovo ma mai così popolare prima: nel

1997 emerge dagli scaffali di pochi appassionati per

raggiungere il grande pubblico l’alternative rock per

merito dei Radiohead, con il loro album Ok Computer.

La band britannica si fa portatrice di un modo di fare

musica che ricorda quello delle migliori gruppi del

passato: il gusto per la sperimentazione soppianta la

ricerca di assecondare i gusti del pubblico, l’atmosfera

è profondamente introspettiva, i testi non hanno

paura di toccare tematiche forti anche a costo di risul-

tare poco chiari.

Numerose band seguono i loro passi: Muse, Coldpaly,

Panic! at the disco, Artic Monkeys, Linkin Park… tutte

abbracciano l’alternative rock e vengono ampiamente

influenzate dai Radiohead, eppure in nessuna di que-

ste sembra esserci l’intento di far evolvere il genere

che caratterizza la band britannica, ancora oggi conti-

nuamente pronta a reinventarsi.

La domanda quindi per questo genere musicale che

una volta si innovava continuamente e ora sembra

stagnare è: cosa si dirà fra vent’anni, “c’era una volta il

rock” o “c’è stata una svolta per il rock”?

Marco Crosato, 5CLS

11 10

Recensione miss Peregrine e la casa dei ragazzi speciali

Miss Peregrine e la casa dei ragazzi speciali , da poco

conosciuto per la rielaborazione cinematografica di

Tim Burton, è un romanzo fantasy di Ransom Riggs,

giovane scrittore statunitense che per diletto si dedi-

ca alla fotografia e che con questi suoi primi tre ro-

manzi si

è già

posizio-

nato in

vetta in

moltissi-

mi stati.

Questo

libro non

è con-

venzionale, e forse è proprio questa la chiave del suo

grande successo; infatti all’interno, ci sono foto in

bianco e nero che descrivono le stranezze dei perso-

naggi e della storia quasi meglio che con l’uso di

mille parole. Sono tutte risalenti all’epoca della se-

conda guerra mondiale e prese da varie collezioni e

da mercatini delle pulci, alcune sono state modificate

e altre no, ma in tutte aleggia un atmosfera di miste-

ro e fanno sentire inquieto il lettore.

Ma veniamo alla trama, il protagonista della nostra

storia è Jacob, un adolescente Americano dei nostri

giorni senza amici e proveniente da una famiglia

benestante ma con pessimi genitori, l’unico a dargli il

proprio sostegno è il nonno Abarham Portman, che

tutti credono pazzo.

La vita del nonno ha sempre affascinato Jacob, infatti

lui era ai suoi occhi un eroe, un sopravvissuto alla

seconda guerra mondiale che dalla Polonia, essendo

ebreo, ha dovuto fuggire ai mostri, come li chiamava

lui, per andare a vivere nella casa dei bambini speciali

sull’ isola di Cairnholm in Galles. Una vita passata a

combattere i nazisti, dicevano tutti, una vita da cac-

ciatore di mostri, diceva lui.

Ogni sera quando era bambino gli raccontava delle

storie, storie su mostri, bambini con i poteri magici e

una donna, Miss Peregrine, colei che li accudiva nella

loro casa sull’ isola. Crescendo però a Jacob le storie

sembravano sempre più assurde…insomma ragazzine

volanti, morti resuscitai, persone invisibili…suo nonno

era pazzo, questa

era la verità, lui non

doveva fare altro

che accettarla.

Pochi giorni prima

del suo complean-

no però Jake viene

chiamato dal non-

no nel cuore della

notte ma tutto

quello che trova è il

corpo del vecchio

in un bosco vicino

alla casa dove

abitava, senza vita

e ucciso da un

qualcosa…qualcosa che solo Jacob riesce a vedere…

qualcosa di molto simile ad un mostro.

Così il giovane ragazzo, dopo aver lasciato alla polizia

la sua versione degli eventi viene creduto pazzo,

forse ancora più strano delle ultime parole del vec-

chio che continuano ad assillarlo. Dopo mesi di psi-

coanalisi con scarsi risultati e di indagini segrete sulla

pista lasciatagli dal nonno, Jacob riesce a farsi conce-

dere il permesso di un viaggio, verso l’isola di Cair-

nholm, un modo per commemorare definitivamente

il nonno e indagare nel suo passato…un modo per

incontrare Miss Peregrine e i suoi bambini speciali.

È proprio qui la vita inizia per Jake, e che l’avventura

del inizia a trascinare il lettore trasportandolo in

mondo fantastico fatto di Yambrinee , donne uccello

capaci di controllare il tempo, custodi degli speciali

(persone con abilità fuori dal comune)e vacui.

L’abilità di Riggs viene fuori tutta in colpo, mostran-

doci la seconda guerra mondiale in un allegoria inso-

lita e penetrante, regalandoci una storia intensa piena

di amore, amicizia e magia che, a mio avviso, si può

classificare come uno dei più originali e moderni

racconti sull’ antisemitismo.

Altea Nardo 2LC

12

La posta del cuore di Lella

From: [email protected]

To: [email protected]

My dear Lella,

Sono un ex alunno di questa scuola e ho 19 anni.

Ti scrivo perchè sono in crisi, e ho bisogno dei tuoi preziosi consigli per risolvere il problema. Come forse avrai

intuito, il mio sogno è quello di diventare un modello, uno di quelli pagati tantissimo che sfilano per le grandi

marche, ma, purtroppo, in Italia non è così facile trovare un modo per emergere dal nulla in questo mondo. Così

ho conosciuto un ragazzo su internet che abita in America, in Florida e mi ha detto che lui per realizzare il suo

parteciperà ad America's Next Top Model, così avrei pensato di andarci anche io. Solo che tutti i miei familiari

mi hanno deriso perchè per farlo dovrei abbandonare l'università (design e moda) , la mia famiglia non vuole

pagarmi il volo e la mia ragazza è furiosa perchè crede sia tutta una scusa per lasciarla ! Ti prego aiutami tu.

From: [email protected]

To: [email protected]

Ciao Modello! (Perchè sei rimasto anonimo tesoro? Ora dovró inventarmi dei nomignoli!)

Allora, io come te non sono una persona con molti risparmi, considerato che per riuscire a pagare la bolletta

scrivo corbellerie in questa rubrica.

Io credo che il tuo sia tutto un problema di psiche e di poca fiducia in te stesso! A Milano ci sono un sacco di

agenzie che cercano modelli, e per iniziare non ti serve certo Armani, devi saper scendere a patti! Pensi forse

che la mia più grande ambizione sia scrivere qui? Una plurilaureata in lettere classiche come me? No! ma per

sfondare nel mondo del giornalismo e riuscire a dominare il mondo attraverso i media, ho bisogno di questo

giornalino (e di un esercito di guerrieri messicani che cavalcano lama) ! E credimi io li troverò e ci riuscirò perchè

VOLERE È POTERE! Io vedo il fatto che tu voglia andare in America come un fattopsicologico, ma se proprio

devi non piagnucolare ! VAI! E per quanto riguarda i tuoi hanno ragione! Vuoi la bici ? Pedala! Vuoi andare in

America? Ti compri il biglietto! . Riguardo alla tua vita sentimentale, penso che prima dovresti capire se questa

ragazza ti merita davvero…insomma chi le impedisce di venire con te? Perché, se ti ama perché ostacolare la tua

vita e i tuoi sogni? Chiedile più appoggio!

Comunque ricorda che io non sono specializzata in adulti(in verità neanche in ragazzini o bambini) ma se la

tua ragazza ti molla potresti passare da me!

Come ultima cosa ti consiglio delle sedute da uno psicologo perché, micetto caro, mi sembra che tu abbia molti

più problemi insiti in te stesso della sottoscritta e ciò è grave...Poi vabbè mal che vada puoi sempre organizzare

un concorso di moda ad Oderzo con giudici specializzati tutti da vedere….altro che Enzo e Carla o Tyra Banks, ci

mettiamo tutto il corpo docente dello scarpa con conduttrice d’eccezione Maria Graziella Bella!

P.s. TU CHE HAI L'ETÀ PER FARLO, VOTA LELLA E IL PARTITO DEI LAMA VOLANTI

Auguri e figli maschi!

Lella

CARI LETTORI, abbiamo deciso di darvi la possibilità di ottenere i preziosissimi consigli

dalla nostra mitica Lella! Contattarla è semplice, scriveteci al nostro indirizzo mail

[email protected]!!!

13

And the winner is...

E’ stata una gara all’ultimo punto, ma alla fine il logo

ha l’ha spuntata: è questo il disegno più votato dagli

studenti dello Scarpa e lo troveremo sulle magliette. Il

logo A, che potete vedere qua sotto è stato disegna-

to da Irene Drusian, di 4^ liceo linguistico, a cui biso-

gna fare due volte i complimenti: era suo anche il

logo che aveva vinto il concorso nel 2015, quello delle

vecchie magliette per intenderci! Brava Irene, ma

brava anche Giulia, di 2^ liceo classico, arrivata ad un

soffio dalla vittoria con il suo logo, il C che ha ricevu-

to quasi tante preferenze come il vincitore. Un po’

distanziato troviamo il B, e in quinta il logo D, a cui

personalmente assegnerei il premio della critica per

l’originalità. .

In ogni caso, un grazie di cuore a tutti i partecipanti:

Federica, Giulia, Damiano, Marta, Veronica, Andrea,

Alberto, Tanvir, Jasmeen, Irene, Arianna, Andrea, Lisa,

Enrico, Andrea.

Alberto Rosada, 3LC

14

Ipse dixit!

Pradissitto: "Metti giù quel telefono!"

Alunno: "Quale telefono? È una calcolatrice"

Prof: "Cos'ha, il touch screen, che la usi come se stessi

scrivendo messaggi?"

Dalla Torre: (Mentre D fa la cartella)

Prof:”Che cosa stai facendo D?”

D: “Oh scusi prof, pensavo fosse finita l'ora…”

Prof: “No mancano ancora 20 minuti circa."

Alunna( dopo aver scritto un esercizio sbagliato alla

lavagna"Noo, ho sbagliato. Scherzavo!"

Cesaro (dopo una correzione sbagliata ): "No, stai

scherzando ancora!"

Praddissitto: “D. Smettila di parlare! Ho un occhio

anche dietro!”

Alunna: “Oddio, come Malocchio Moody di Harry

Potter!!”

Prof: “Non per vantarmi, ma si sono ispirati a me

infatti."

Vendrame: “"La parola ""jihad"" significa ""sforzo"".

Alunno: “ Sono andato in bagno per fare una jihad.”

Vendrame : “È tipico di te, infatti ne è uscito uno

st****o, letteralmente.”

Costella: “Cominciamo con Marco Pollione Vitruvio,

che ovviamente non è un allevatore di polli.”

Costella: “Ed ecco gli archi e le volte. Possiamo anche

dire, nel caso dei Romani, "C'era una volta".”

Costella: “Cos'erano le strade consolari? Erano le stra-

de dove i Romani andavano quando erano tristi!”

Martin: “E adesso troviamo le incognite alla babilone-

se! Che facce che avete: mi diverto ogni volta che lo

dico!!”

Martin: (uscendo dall’aula) “Grazie a tutti di aver scelto

l’informazione, buona continuazione con i nostri pro-

grammi!”

Alunna: “vedendo che la guerra essere spostata …”

Bolzan: “Si ma, per favore, non parliamo come gli

indiani nei film del Far West.”

Bolzan: “Le ore di recupero di latino saranno impiega-

te nella realizzazione di un cartellone gigante con

scritto “Fare l’analisi” e chi non lo farà sarà defenestra-

to! Beh dai … speriamo di essere al primo piano così

non faccio danni.”

Battel: “Per capirci i Greci non credevano al comincia-

mento del mondo.”

Battel: “Le idee per Platone sono come gli Oro Saiwa

che li metti lì nel latte, torni dopo due giorni e sono

ancora duri.”

Battel: “ E ovviamente la connessione non va! (riferito

al PC) Che Dio lo strafulmini!”

Battel: (il 10 gennaio) “Che bello ragazzi siamo tornati

a scuola! Potrei procurarmi un’incudine e martellarmi

le parti sporgenti del corpo … che dura la vita!”

Battel: “La cosa più divertente che ho fatto in queste

vacanze è stato leggere tre libri sul Risorgimento.

Pensate che vacanze di m***a che ho avuto!”

Battel: “Voi mangiate la pizza con le patatine, come

potete? Io lo reputo la manifestazione della decaden-

za dell’Occidente.”

Battel: “Dai P. sveglia c’è di peggio di una lezione su

Platone alla prima ora. Ad esempio a me ieri si è inta-

sato il c***o e ho avuto una giornata di m***a. in sen-

so stretto.”

(Entra in classe una bidella che chiede un modulo di

autorizzazione ad una alunna)

Alunna: “Si, si l’ho consegnato prima giù da basso”

Fronte: “Ma chi è questo Basso?”

FATE DIVENTARE I VOSTRI PROF PROTA-

GONISTI DI QUESTA RUBRICA! Inviateci i vostri ipse dixit tramite il link bit.ly/IpseDixit

e saranno pubblicati, facendo ricevere punti extra alla

vostra classe per il Mega-Consorso!

15

Logo A, vincitore! Logo C, secondo classifi-

cato

Logo B, terzo classificato Logo D, quinto classifica-

to

I nostri buoni propositi per il 2017! Per celebrare questo nuovo anno, noi della redazione abbiamo deciso di condividere i nostri buoni propositi

con voi! Se anche voi volete condividerne non esitate ad inviarceli a: [email protected]!

Marco Crosato: imparare a portare le cose fino in fon…

Giulia Paludo: realizzare quelli dell’anno scorso!

Irene Martin: ricordarmi i propositi che faccio l’1 gennaio!!

Alice Spilimbergo: disintossicarmi dalla mia pseudo dipendenza da cioccolata, ma poiché sono una donna non

ce la posso fare.

Alberto Rosada: non scrivere 2016 come data delle verifiche!

Sofia Fresch: rimuovere l’espressione “tanto ho ancora tempo” dal mio vocabolario.

Altea Nardo: cercare di finire ciò che inizio e comprare un lama!!!

Riccardo Biasotto: stabilire un numero massimo di episodi di serie TV da guardare di sera. Numero che può

variare da 3 a 18.

Chiara Sgorlon: avevo un sacco di buoni propositi, ma si è rotto.

Padre eterno se ci sei mi devi chiedere

perdono

Questo è il titolo del libro che raccoglie delle testimo-

nianze di donne e uomini deportati nei lager nazisti.

Martedì 24 Gennaio la sede di Oderzo ha avuto

l’onore di ospitare nell’Aula Civica Luciano Battiston e

di ascoltare la sua toccante testimonianza.

Il signor Luciano, ora 94enne, è arrivato accompa-

gnato dal nipote e ci ha raccontato, in dialetto vene-

to, quello che lui ha visto con i suoi occhi e ha dovuto

subire sulla sua pelle nei lager di Mauthausen, Am-

stetten e Ebensee, non per sentito dire ma per espe-

rienza perso-

nale.

Nato nel 1923

a Fagnigola,

in una fami-

glia di conta-

dini, fin da

ragazzo aiu-

tava suo

padre nei

campi, ma nel

43 fu arruola-

to per la

Batteria Alpi-

na. Dopo

l ’ a r mi s t i z i o

del settembre

del 43, fu

chiamato ad aderire volontariamente alla Repubblica

dei Salò. Luciano simpatizzante dei partigiani, insieme

ad altri, si rifiutò. A causa di questo fu condannato a

morte insieme ad altri 12 con il pretesto di aver ta-

gliato i fili della linea telefonica tedesca. Furono pro-

cessati a Pordenone ma vennero effettuate solo 9

fucilazioni su 12. Luciano e altri suoi compagni otten-

nero la grazia!

Si lusingarono di aver ottenuto la libertà, però furono

portati a Udine e successivamente deportati nel cam-

po di concentramento di Mauthausen. Qui Luciano

visse periodi difficili a causa delle torture, dell’assenza

di cibo e di acqua, dei lavori forzati pesantissimi. A

proposito di questo ci ha raccontato che uno dei

lavori consisteva in un gruppo di uomini, legati uno

all’altro con una catena, che dovevano scendere una

scalinata ripidissima e sconnessa con una sedia legata

alla schiena, come se fosse uno zaino. Arrivati giù

dovevano caricare lo “zaino” di pietre e tornare su.

Questo era uno dei lavori più pericolosi, poichè, se un

uomo perdeva l’equilibrio, cadeva nel Danubio e

rischiava di far scivolare l’intera fila.

Lui e gli altri uomini erano costretti ad ubbidire e al

primo segno di stanchezza o ribellione, venivano

uccisi.

Un’altra signifi-

cativa espe-

rienza, che ci

ha narrato il

signor Batti-

ston, è sicura-

mente que-

sta: per riusci-

re ad avere un

po’ d’acqua,

c h i e d e v a n o ,

quando erano

a letto, alle

guardie di

turno, se pote-

vano andare in

bagno e qui, in

queste latrine

non certo pulite, tiravano lo sciacquone e prendeva-

no l’acqua con le mani per berla e pulirsi il viso.

Ci parla di un amico, un uomo da Fagnigola, sopran-

nominato da lui Vigi incontrato, durante uno dei

lavori, la manutenzione del campo. Il fatto che ci ha

profondamente commosso di questa amicizia è una

promessa, fatta reciprocamente: uscire dal campo

insieme o rimanerci insieme. Luciano commuovendo-

si ci racconta che dividevano tutto, anche l’aria. For-

tunatamente i due sono riusciti a tornare insieme da

Mauthausen, a piedi, con il treno, rimediando cibarie

per la strada, passaggi di tanto in tanto, spiccioli.

Arrivato a Chions, Luciano pesa 29 chili, è sporco,

sudicio, malato, sua mamma accorsa a vedere, non lo

riconosce, così l’uomo la persuade dicendo il nome

delle sue mucche, la famiglia allora lo riconosce e lo

accoglie, sollevata.

In tribunale le madri dei figli deportati, non riescono a

denunciare e condannare a morte coloro che hanno

consegnato i loro bambini ai nazisti, non vogliono più

spargimenti di sangue, vogliono voltare pagina. I figli

concordano con loro.

Luciano Battiston ci ha raccontato che per vivere ogni

giorno lì ci voleva la forza di volontà, che la fame non

ha limiti e confini, che lì, in lager, non c’era tempo per

pensare alla famiglia, a casa propria, a Dio, si pensava

a mangiare, a rispettare le regole, a sopravvivere.

A questo è riferito il titolo del libro, frase che Luciano

lesse un giorno nella Baracca 22 di Mauthausen.

Mentre ci narrava la sua storia, il signor Battiston era

commosso, turbato, ci ha confidato che per lui è diffi-

cile parlare della sua esperienza.

Tutte le notti sogna di essere a Mauthausen, il ricordo

di quei 6 mesi passati nel lager lo perseguitano, conti-

nuamente. Affettuosamente ringrazia sua moglie,

poichè lei lo tranquillizza la notte quando si agita tra

gli incubi, poichè è fortunato ad averla al suo fianco,

ad aiutarlo nei momenti difficili.

Ci ha commosso questa storia apparentemente a lieto

fine, ci ha smosso la coscienza, ci ha fatto riflettere su

tematiche che dovrebbero essere ricordate sempre, e

non tirate fuori per la Giornata della Memoria.

Ci ha fatto pensare che quello di Luciano, ma anche di

tante altre persone sono racconti veri, esperienze di

vita, che nessuno può cancellare, e che costantemente

riemergono e segnano le loro vite, e così dovrebbero

fare anche con le nostre. Giusto per rendersi conto

che tutto questo è vero, è vicino a noi ad Azzano

Decimo, è nei pensieri di qualche politico, è nelle

azioni di un uomo.

Alice Spilimbergo 2LC

5

7

Storia di follia Che rumori strani questa mattina. Mi sono svegliato a

causa di un forte abbaiare di cane, accompagnato da

grida e forti colpi scagliati contro il muro, che prove-

nivano dall’appartamento sopra al mio. Mi lavo e mi

vesto in fretta, perché voglio assolutamente vedere

cosa sta succedendo al piano di sopra. Negli ultimi

anni ho imparato a non fare domande in casa, dato

che, oltre a non ottenere risposte soddisfacenti, pro-

vocavo anche liti tra i miei genitori, i quali discuteva-

no animatamente di questioni che io non capivo.

Il piano funziona. Infatti riesco ad uscire senza essere

visto da mamma che, ancora con la camicia da notte

addosso, fissa un punto fuori dalla finestra, e nem-

meno da papà, che si sta guardando orgogliosamen-

te allo specchio, intento a farsi il nodo alla cravatta

nera. Mentre salgo le scale, sento il cuore battere

fortissimo, non so se per emozione o per paura. Mi

rimane pochissimo tempo per pensarci dato che,

appena arrivo davanti alla porta di ingresso della

signora Accardi, vengo trascinato via da mio padre.

Lui, nel frattempo, mi ha raggiunto e ha iniziato ad

urlarmi addosso che sarei finito come lei. Ancora una

volta, non capisco cosa intende dire, ma decido di

stare zitto: sembra conveniente.

Durante il viaggio in auto sono talmente concentrato

sui pochi dettagli che ho potuto scorgere in quegli

istanti, che sento lontanissima la sua voce mentre

continua a farmi la predica, ho in testa solo disordine,

valigie, soldati. Cosa avrà fatto di così grave la mia

vicina di casa per meritarsi questo? Mi sembrava una

persona così cordiale e gentile.

Vengo distratto dai miei pensieri a causa di un colpo

di pistola e, improvvisamente, mi accorgo che le

strade sono piene di uomini armati, con addosso la

stessa divisa di quelli che ho visto a casa Accardi.

Famiglie, anziani e bambini escono dalle loro case

scortati da quei militari che in poco tempo mi sono

diventati così familiari. Portano con loro delle valigie

e vengono caricati in camioncini blindati. Che cosa

sta succedendo? Capiterà anche a me?

Per la prima volta in dieci anni sono felice di poter

andare a scuola, perché ho la sensazione che lì potrei

capirci qualcosa: i professori potrebbero spiegarmi,

oppure potrei confrontarmi con gli altri ragazzi. Spe-

ro che loro abbiano visto qualcosa e che ne sappiano

più di me. La campanella suona ed entro in classe. Mi

accorgo che alcuni dei miei compagni sono assenti e

che i loro banchi già non ci sono più, che sono stati

tolti dall’aula. Sapevo che Andrea aveva previsto di

trasferirsi con la sua famiglia a Londra, perciò la sua

assenza è l’unica a non stupirmi. Per gli altri sette

compagni mancanti, non so darmi una spiegazione

plausibile e credo nemmeno i ragazzi rimasti in clas-

se, viste la facce confuse e spaventate che hanno. Le

espressioni degli adulti sono diverse dalle nostre e

sono diverse anche le une dalle altre: alcune sono

stranamente allegre e sorridenti, altre sono cupe e

tristi, sconfitte. Arriva il dirigente scolastico, uomo di

mezza età che incute timore e rispetto ad ogni movi-

mento e, come di consueto, ci alziamo in piedi ed

eseguiamo il saluto fascista al suo ingresso. Noto

subito il suo viso tirato, in cui appare un sorriso ma-

linconico. “Cari ragazzi, da oggi le cose sono cambia-

te, e l’Italia diventerà un Paese più sicuro e pulito!

Grazie ad alcune espulsioni definitive di insegnati ed

alunni, posso finalmente garantirvi l’istruzione adatta.

Buona giornata”. Esce senza aspettare nemmeno una

risposta, lasciando noi studenti confusi, con una

grandissima domanda a cui probabilmente non sa-

premo rispondere: “Cosa avevano loro di sbagliato?

Cosa avevano di diverso da noi?”.

La mattinata scorre lentamente, nessuno osa porre

domande agli insegnati che, a loro volta, non appro-

fondiscono la questione. Perciò aspetto con ansia

l’intervallo, durante il quale avevo previsto di chiede-

re a Bortolo e Antonio se loro avessero capito qual-

cosa più di me.

Le loro risposte mi hanno reso ancora più confuso. Il

primo diceva che gli ebrei, tutti ladri nonché causa

degli attuali problemi dell’Europa, erano stati final-

mente allontanati e rinchiusi dove non avrebbero più

potuto fare danni. Il secondo invece sosteneva che i

veri cattivi fossero coloro che avevano progettato

tutto questo e che gli ebrei fossero innocenti, quindi

allontanati senza motivo, per pura crudeltà. Non

sapevo a chi credere: entrambi portavano argomen-

tazioni valide e soprattutto mi fidavo di ognuno di

loro e non mi avrebbero mai mentito.

I giorni passano a sono tutti uguali, tutti pieni di

soldati, pieni di dubbi e di silenzi. A volte mi sembra

di pensarla come Bortolo, mentre altre come Anto-

nio. Forse però io so chi dei due ha ragione, ma non

posso deludere papà. Tutti sanno e quasi nessuno

spiega, nessuno parla ma intanto Loro continuano

con la loro follia.

Chiara Sgorlon, 3BLS

Il testimone Luciano Battiston e il nipote

Alessandro Fantin, durante il racconto.

Da sinistra: Alessandro Fantin, Alberto Rosa-

da, Luciano Battiston e Veronica Viotto.

4

6

Questo male è davvero così banale?

Pensate ad un malvagio. Ad una persona davvero

crudele. Capace di mandare a morte centinaia di mi-

gliaia, milioni di persone, tra cui donne, vecchi e bam-

bini, in campi di sterminio. Immaginate ad un nazista

implicato nella “soluzione finale”. Uno dei responsabili

dello sterminio di un numero di persone senza pari

nella storia dell’umanità. Un funzionario nazista ad-

detto alla Shoah, tipo il capo del sotto-ufficio IV-B-4

del RSHA, l’ufficio centrale per la sicurezza del Reich. Il

sotto-ufficio competente in materia di ebrei. Pensate a

questo uomo, capo di un ufficio che ha come scopo il

genocidio. Ecco, un mostro penserete, un malvagio

senza pari.

Invece non lo è. Anzi, è una persona tranquilla, senza

una naturale inclinazione alla violen-

za, e persino sensibile in alcuni casi.

Adolf Eichmann, il capo di quel male-

detto ufficio, non è il mostro che

pensiamo, e questo ce lo ha insegna-

to il processo di Gerusalemme.

Antefatto: Eichmann si iscrisse, quasi

per caso, al partito nazista, nel 1932,

senza nemmeno conoscerne il pro-

gramma, e quindi entrò nelle SS nella

speranza di fare carriera, ma si fer-

merà a l gr a do d i SS -

Obersturmbannführer, tenente co-

lonnello, un “pesce piccolo” più che

un importante gerarca nazista. E

infatti, la difesa di Eichmann era ba-

sata proprio sul fatto che con il suo

basso grado non fu assolutamente

uno quelli che decisero di adottare la soluzione finale,

ovvero lo sterminio degli ebrei, era solo uno sfortuna-

to esecutore di ordini di superiori, che si trovò suo

malgrado a dover agevolare quegli efferati crimini, era

un "grigio burocrate che eseguiva solamente gli ordini

dei gerarchi importanti". A detta sua si adoperò persi-

no per far emigrare il più grande numero possibile di

ebrei, risparmiandoli allo sterminio, e sosteneva di

essere stato in buoni rapporti con i capi delle comuni-

tà ebraiche. Data la sua poca importanza e la sua

scarsa notorietà, a guerra finita riuscì a fuggire in

Argentina e ritornò a condurre una vita quasi normale

con la propria famiglia, finché venne scoperto dei

servizi segreti israeliani, rapito e condotto in Israele

nel 1960. Venne processato a Gerusalemme per crimi-

ni contro il popolo ebraico, e altre imputazioni, e

venne condannato a morte. Venne impiccato il 31

Maggio 1962. Il processo si concluse, con la pena

capitale, come si aspettava lo stesso imputato, ma ciò

che desta interessa sono le argomentazioni della

difesa volte a delineare un Eichmann rispettoso degli

ordini dei superiori, una “vittima” della storia più che

uno spietato carnefice, una persona abbastanza me-

diocre e banale, come molte altre.

Ma la risposta al titolo di questo articolo è: no, la

shoah non può essere assolutamente qualcosa di

banale, si tratta di un genocidio con solida organizza-

zione e profonde basi ideologiche. Se il male non è

banale, è chi incarna il male ad essere potenzialmente

una persona banalissima, come Eichmann, del quale

lo stesso avvocato difensore disse che aveva la perso-

nalità di un “comune postino”. Una

persona complice dello sterminio

ma non l’esecutore materiale della

violenza, un impiegato che esegue

degli ordini di un affermato crimi-

nale. .

La storia del processo Eichmann

venne trattata da una filosofa ebre-

a, Hannah Arendt ne “La banalità

del male”, un libro estremamente

interessante di cui vi consiglio la

lettura. Forse eccede nel descrivere

Eichmann come un uomo senza

molte responsabilità nella Shoah,

durante la lettura si può provare

persino una sorta di comprensione

umana verso di lui, ma si tratta

ovviamente di eccesso da evitare.

Bisogna considerare che lui è stato abile a presentare

le vicende in suo favore, facendo credere di aver avu-

to scarse responsabilità nello sterminio degli ebrei.

Quindi non dobbiamo prendere tutto per vero quello

che lui e il suo avvocato dissero durante il processo. In

secondo luogo, altre fonti lo descrivono in maniera

diversa e gli imputano responsabilità precise e un

antisemitismo feroce. Lo stesso Eichmann disse:

“All'occorrenza salterò nella fossa ridendo perché la

consapevolezza di avere cinque milioni di ebrei sulla

coscienza mi dà un senso di grande soddisfazione. Mi

dà molta soddisfazione e molto piacere”. Che abbia

voluto o meno provocare così tanta sofferenza, non

dobbiamo dimenticare che il male compiuto da lui e

gli altri nazisti non fu assolutamente banale, milioni di

persone morirono veramente a causa loro.

Alberto Rosada, 3LC