UN'IPOTESI PER JAN SOENS A FIRENZE, E ALCUNE NOTE SUL PAESAGGIO NELLA PITTURA FIORENTINA DEL SECONDO...

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Max-Planck-Institut UN'IPOTESI PER JAN SOENS A FIRENZE, E ALCUNE NOTE SUL PAESAGGIO NELLA PITTURA FIORENTINA DEL SECONDO CINQUECENTO Author(s): Alessandro Nesi Source: Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 54. Bd., H. 3 (2010-2012), pp. 530-540 Published by: Kunsthistorisches Institut in Florenz, Max-Planck-Institut Stable URL: http://www.jstor.org/stable/23349724 . Accessed: 21/11/2014 16:25 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Kunsthistorisches Institut in Florenz and Max-Planck-Institut are collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz. http://www.jstor.org This content downloaded from 131.156.157.31 on Fri, 21 Nov 2014 16:25:25 PM All use subject to JSTOR Terms and Conditions

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Max-Planck-Institut

UN'IPOTESI PER JAN SOENS A FIRENZE, E ALCUNE NOTE SUL PAESAGGIO NELLA PITTURAFIORENTINA DEL SECONDO CINQUECENTOAuthor(s): Alessandro NesiSource: Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, 54. Bd., H. 3 (2010-2012), pp.530-540Published by: Kunsthistorisches Institut in Florenz, Max-Planck-InstitutStable URL: http://www.jstor.org/stable/23349724 .

Accessed: 21/11/2014 16:25

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Alessandro Nesi: UN'IPOTESI PER JAN SOENS A FIRENZE, E ALCUNE NOTE SUL PAESAGGIO NELLA PITTURA FIORENTINA DEL SECONDO CINQUECENTO

Parlando nel Riposo (1584) dell'Orazione nell'orto dipinta tra il 1574 e il 1578 da Andrea del Minga per l'altare

Pazzi in Santa Croce a Firenze (fig. 1), Raffaello Borghini riportò una diceria secondo la quale la grande pala non

sarebbe stata completamente eseguita da questo artista. Infatti, a detta dello storiografo, "vogliono molti (...), non so se invidiosi, o poco amici del Minga, che cotesta tavola non sia tutta sua, ma che fosse aiutato da Stefan

Pieri nel colorire, e nel paese da Giovanni Ponsi fiammingo, e il disegno dicono essere di Giambologna".1 In altri

passi del libro il Borghini sembra peraltro non dar credito a queste voci, facendo lodare il dipinto a Bernardo

Vecchietti, a Ridolfo Sirigatti e a Girolamo Michelozzi, tre degli interlocutori della ideale conversazione erudita

sulla quale è strutturato il testo2, ma nonostante ciò esse sono state riproposte in tempi a noi vicini, soprattutto in relazione all'intervento del fiammingo Ponsi nel paesaggio.

In realtà, come ho già avuto modo di notare in una precedente occasione, sebbene Andrea avesse sposato una

sorella del Pieri, il che potrebbe certo giustificare una collaborazione tra i due, nel corso degli anni settanta Stefano

fu quasi sempre assente da Firenze, soggiornando a Malta, in Baviera e forse anche in Spagna, e dunque ebbe ben

poche possibilità di coadiuvare il cognato.3 L'eventuale contributo compositivo del Giambologna non è invece

circoscrivibile su basi storiche o di stile, ma l'esistenza di alcuni disegni preparatori per la pala, autografi di Andrea

e conservati agli Uffizi, i quali attestano tra l'altro differenti orchestrazioni d'assieme, portano a escluderlo.4

Fra le illazioni trasmesse dal Borghini, è poi proprio quella relativa all'apporto del fiammingo Ponsi nel paesaggio dell'Orazione ad apparire la meno credibile, poiché anche in opere cronologicamente molto precedenti alla tavola di Santa Croce il Minga inserì brani di paesaggio di grande bellezza formale, e in tutto coerenti a essa sul piano dello

stile, dimostrando di non aver bisogno di nessun pittore fiammingo per elaborare le ambientazioni naturalistiche dei suoi dipinti.5 Tuttavia, essa è appunto quella che ha riscosso maggior credito presso la critica recente, portando alcuni studiosi a estendere l'intervento di questo artista anche allo sfondo dell'ovale con Deucalione e Pirra dipinto da Andrea tra il 1570 e il 1572 per lo Studiolo di Francesco I de' Medici in Palazzo Vecchio a Firenze.6

Effettivamente le ambientazioni naturalistiche della tavola di Santa Croce e dell'ovale di Palazzo Vecchio hanno un'evidente matrice fiammingheggiante, nella cura per i dettagli e nella raffinatezza della materia pittorica, mista

però alle propensioni verso un pittoricismo e una stesura compendiaria del colore ricorrenti nella produzione del maestro di Andrea del Minga, Michele Tosini, alla metà del Cinquecento: ad esempio nel Cacciatore in collezione Antinori a Firenze, o nel Battesimo di Cristo eseguito nel 1561 per l'altare della cappella della villa degli Strozzi a Caserotta (Firenze), e oggi conservato presso la Pinacoteca Nazionale di Ferrara.7 Nel preziosismo formale del

Tosini, che rende le fronde degli alberi fluide e sinuose, quasi fossero intrise di rugiada o di un'avvolgente luce ambrata che talvolta le fa brillare come gemme, è stato scorto un influsso dal Parmigianino8, comune qualche anno

più tardi anche ad altri suoi allievi, come ad esempio Girolamo Macchietti9 o Francesco Brina, il quale all'inizio dell'ottavo decennio eseguirà l'ovale con Nettuno e Teti per lo Studiolo di Palazzo Vecchio, in passato attribuito a Carlo Portelli, e altre opere contraddistinte da una resa veloce degli sfondi di paese ("alla macchia", come si diceva all'epoca10); e comune certamente anche al Minga, che nella sua fase iniziale di apprendistato lavorò fianco a fianco con questi artisti e ne condivise le passioni e i riferimenti di stile.

Nella pittura del Tosini sono comunque stati osservati anche riferimenti al paesaggismo nordico, ad esempio alle "trasparenze azzurrine" del Civetta o alla grafica di Bruegel", e sappiamo poi dallo stesso Borghini che nella Firenze del secondo Cinquecento i paesaggi fiamminghi erano assai apprezzati anche da collezionisti quali il Vecchietti o il Sirigatti, che ne tenevano molti esposti nei loro studioli.12

Questo aspetto, unitamente alla presenza in città, all'inizio degli anni settanta, di Paolo Fiammingo e Cornells de Witte (fratello di Pietro ed Elia Candido), e più tardi anche di Giusto Utens e forse di Johann König, tutti

paesisti inseriti nella folta colonia di artisti tedeschi e brabantini operanti per i Medici13, fu certamente di esempio e di sprone per alcuni dei pittori attivi nello Studiolo del principe Francesco a dedicare maggior cura alle ambien tazioni naturalistiche delle loro opere. Ambientazioni inizialmente intese come elemento di grande fascinazione

visiva, da usare soprattutto a corredo dei fantasiosi racconti mitologici imbastiti da Vincenzo Borghini per dipinti quali la Raccolta dell'ambra grigia di Battista Naldini, 1 'Atalanta e Ippomene di Sebastiano Marsili, o il già citato Nettuno e Teti di Francesco Brina; una sorta di prezioso valore aggiunto che si somma alla raffinatezza dell'in sieme decorativo, capace di anticipare quanto di meraviglioso o di curioso vi fosse all'interno degli armadi dello

Studiolo, per i quali una serie di questi dipinti fungeva da sportello. In seguito invece, soprattutto per merito di

Jacopo Ligozzi, il paesaggismo più raffinato ed evocativo entrò prepotentemente a far parte anche dell'economia

compositiva delle pale d'altare; di questo processo gli sfondi dell 'Orazione del Minga in Santa Croce e di altre sue opere di destinazione pubblica rappresentano indubbiamente una piccola ma significativa anticipazione.

Quanto a Giovanni Ponsi, egli è stato riconosciuto nel Giovanni Fiammingo attivo tra il 1574 e il 1575 a fianco di Alessandro Allori per l'esecuzione degli affreschi di palazzo Portinari Salviati a Firenze e dei cartoni di due

cortinaggi per letti 'a cuccia' destinati alla corte medicea.14 In palazzo Salviati il fiammingo, che per motivi storici e stilistici non può essere identificato in Giovanni Stradano, abituale collaboratore del Vasari15, è documentato

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A. Nesi / Un ipotesi per Jan Soens a Firenze 531

1 Andrea del Minga, Orazione nell'orto. Firenze, Santa Croce.

per l'esecuzione di alcuni paesaggi e di parte delle grottesche nella stanza dedicata a Ercole. Queste vedute sono

dominate da grandi alberi frondosi col tronco contorto, effettivamente molto simili a quelli inseriti dal Minga nelle opere sin qui discusse. In alcuni di essi sono presenti cacciatori o pastori (fig. 2), in altri si scorgono rovine

antiche ed edifici sfumati sullo sfondo (fig. 3), ma l'elemento dominante è sempre la verzura, resa con una notevole

libertà di tocco, che muta spesso le foglie degli alberi in gocce di colore simili a quelle che costantemente usava

anche Francesco Brina nelle ambientazioni paesistiche delle sue opere, sia che fossero dipinti d'altare, ritratti o

soggetti mitologici come il Nettuno e Teti dello Studiolo.16

Il primo pagamento a Giovanni Fiammingo data al 4 settembre 1574 e i versamenti "per conto di paesi" e per le grottesche della volta della sala di Ercole e di altre due stanze, la cui decorazione è andata perduta, proseguono fino al 27 aprile 1575. Ci sono poi un pagamento dell'8 ottobre 1575, che però non viene effettuato direttamente

all'artista ma a un suo emissario, e un altro del 31 ottobre 1580, nel quale è l'Allori stesso a essere pagato a saldo

per i lavori realizzati dal suo entourage cinque anni prima.17 Quindi la presenza certa del fiammingo a fianco del

maestro deve essere circoscritta tra i primi due riferimenti cronologici (dal 4 settembre 1574 al 27 aprile dell'anno

successivo); questo è confermato dal fatto che il nome dell'artista non è più menzionato nei pagamenti relativi alle

fasi successive della decorazione e che in seguito (forse già a partire dal 1577) l'Allori si avvalse per gli sfondi di

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2 Giovanni Fiammingo/Giovanni Ponsi (Jan Soens?),

Paesaggio con pastore. Firenze, palazzo Portinari Sal

viati, sala di Ercole.

3 Giovanni Fiammingo/Giovanni Ponsi (Jan Soens?), Paesaggio con Ercole e il leone nemeo. Firenze,

palazzo Portinari Salviati, sala di Ercole.

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4 Arazzerla medicea da cartoni di Giovanni Fiammingo/Giovanni Ponsi (Jan Soens?), Cortinaggi in arazzo per letto 'a cuccia' (dettagli). Firenze, Palazzo Pitti, deposito arazzi.

paesaggio dell'aiuto di un altro pittore fiammingo, di nome Giusto, nel quale si può probabilmente individuare l'Utens.18 L'esecuzione dei cortinaggi in arazzo per i due letti 'a cuccia' deve essere collocata nello stesso momento

degli affreschi della sala di Ercole in palazzo Salviati, poiché si sa dai documenti che la loro tessitura iniziò il

Io marzo 1575 (st. c.) e si concluse nel giugno dell'anno seguente.19 Nelle carte d'archivio relative ai cortinaggi il nome di Giovanni Fiammingo non è citato, ma i piccoli paesaggi

che in essi accompagnano le partiture di grottesche su sfondo giallo e azzurro sono molto prossimi a quelli di

palazzo Salviati, essendo ugualmente dominati da tronchi spesso contorti, connotati da grandi fronde, e talvolta abbinati a edifici in rovina (fig. 4). La sua partecipazione anche a questa impresa, ipotizzata dalla critica, è quindi

quanto mai verosimile.20 Anche Giovanni Fiammingo fu dunque uno dei tanti artisti nordici attivi a Firenze

negli anni settanta del Cinquecento, ma la sua personalità resta sfuggente, poiché oltre alla collaborazione con l'Allori non si hanno altre attestazioni della sua presenza in città, e non vi sono elementi sufficienti per poterlo ad esempio identificare con il "Giovanni di Francesco alamanno da Borselli" (tedesco da Bruxelles) che pagò la

tassa all'Accademia fiorentina del Disegno per il solo 1577.2' Se egli è davvero riconoscibile nel Giovanni Ponsi

citato da Raffaello Borghini, allora lo storiografo cinquecentesco ci fornisce anche il suo cognome, che verrà

storpiato poi da Filippo Baldinucci in "Pomi", ma senza attingere a fonti documentarie inedite, bensì ripren dendo erroneamente lo stesso testo borghiniano.22 Di Giovanni Ponsi, allo stesso modo di quanto accade per il

suo possibile alter ego Giovanni Fiammingo, non si hanno ulteriori attestazioni a Firenze oltre al pettegolezzo

riportato dal Borghini, e già in una precedente occasione mi sono interrogato sulla sua vicenda storica e sulla sua

personalità artistica, proponendo di riconoscerlo nel celebre paesaggista Jan (Hans) Soens, noto in Italia come

Giovanni Sons, e attivo a Roma e a Parma.23 In effetti, approfondendo la questione sul piano cronologico, ci si accorge che le date entro le quali si può circoscrivere la presenza di Giovanni Fiammingo/Ponsi a Firenze si

inseriscono quasi perfettamente nel già noto iter cronologico relativo alla presenza del Soens in Italia.

Nato verso il 1547 a 's-Hertogenbosch, la città del Brabante olandese meglio nota per aver dato i natali a

Hieronymus Bosch, il Soens risulta presente a Roma nel 1574, quando lavora a fianco di Lorenzo Sabatini nella

decorazione della Sala Ducale e di alcune stanze dell'appartamento di papa Pio V in Vaticano dipingendo vari

paesaggi, tra i quali il più noto (e certamente autografo) è quello della Sala Ducale con un gallo (fig. 5), secondo

alcuni ispirato a una favola di Fedro, da altri invece considerato una rappresentazione allegorica.24 Questo inter

vento del Soens è ricordato da Karel van Mander, che può essere considerato il suo principale biografo: nel 1574

conobbe infatti l'artista a Roma e lo vide attivo proprio sui ponteggi della Sala Ducale.25 Nel suo "Schilder-boeck", edito per la prima volta nel 1604, van Mander analizza nel dettaglio i trascorsi del Soens dall'iniziale apprendi stato ad Anversa fino alle esperienze romane, basandosi probabilmente sui racconti fornitigli dall'artista stesso, mentre ricorda poi in modo più generico e incerto le di lui successive vicende parmensi, traendole evidentemente

da testimonianze indirette. Van Mander non fa alcun cenno a un periodo trascorso dal Soens a Firenze, ma ciò

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A. Nesi / Un'ipotesi per Jan Soens a Firenze

5 Jan Soens, Paesaggio con gallo. Roma, Palazzi Vaticani, Sala Ducale.

non costituisce un ostacolo all'ipotesi qui discussa, sia in virtù dell'appena notata minor precisione del racconto

sull'attività del paesaggista dopo il soggiorno romano, sia, soprattutto, perché l'eventuale sosta nel capoluogo toscano, se effettivamente coincide con l'operato di Giovanni Fiammingo/Ponsi, fu assai breve e poco prestigiosa, essendosi svolta alle dipendenze di un altro pittore (l'Allori), e non potendo essere quindi paragonata alla celebrità

che Soens raggiunse poi nella Parma dei Farnese.26

Karel van Mander aveva visitato rirenze au inizio del 13/1 osservandovi il uuomo, il salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio e la basilica della Santissima Annunziata, e inoltre conoscendovi Pietro Candido, all'epoca assistente del Vasari, e altri artisti nordici attivi in città. E lui stesso che annota queste esperienze nello "Schilder

boeck", in cui non menziona però nessun Giovanni Fiammingo o Giovanni Ponsi paesaggista impegnato all'epoca nel capoluogo mediceo.27 Più avanti nel corso dello stesso anno, probabilmente a primavera, van Mander si spostò a Roma, dove appunto incontrò il Soens ed entrò poi in contatto con la cerchia di Bartholomeus Spranger.28

Quanto a Soens, egli sembra essere rimasto nell'Urbe fino al 24 luglio 1574, data in cui Lorenzo Sabatini fu

pagato per gli affreschi delle due menzionate stanze dell'appartamento di Pio V, in una delle quali il fiammingo

eseguì probabilmente i paesaggi con Storie di Mose.29 Come si è già visto, pochi mesi dopo (il 4 settembre 1574) fa la sua comparsa a Firenze Giovanni Fiammingo, che vi è documentato fino al 27 aprile 1575 dai mandati di

pagamento per palazzo Salviati. L'ultimo di essi, però, risalente proprio a tale data, come quasi tutti i precedenti non fu effettuato direttamente ai singoli collaboratori dell'Allori, ma a un loro mandatario (in questo caso l'Allori

stesso), e dunque in teoria niente esclude che all'epoca il Fiammingo/Ponsi potesse aver già lasciato Firenze. Il

Soens viene registrato a partire dal Io aprile 1575 tra i provvisionati di Ottaviano Farnese a Parma come "Giovanni

Fiammingo pittore di paesi"30, ma se lui e il Ponsi furono la stessa persona, si può eventualmente pensare anche

a un suo breve ritorno a Firenze entro la fine di quello stesso mese per completare l'impresa alloriana di palazzo Salviati, prima di prendere stabilmente residenza nella città emiliana.

Le date sembrano dunque incastrarsi tra di loro quasi a perfezione, e del resto è certamente plausibile che il

Soens, in viaggio da Roma verso la corte farnesiana di Parma (che con la morte di Jacopo Bertoja nel 1574 aveva

perso il suo pittore specialista in paesaggi), decidesse di compiere una sosta a Firenze, anche solo per osservarvi i capolavori di una scuola pittorica che fino a pochi anni prima era stata la più importante in Italia e per incon trarvi gli altri artisti nordici, come il Giambologna o lo Stradano, che vi stavano ottenendo grande fortuna e committenze prestigiose.

5>e ci spostiamo poi dal piano dei riscontri storici a quello dell analisi stilistica, possiamo etiettivamente osser

vare come Jan Soens costruisse spesso i suoi paesaggi proprio allo stesso modo di Giovanni Fiammingo/Ponsi,

ponendo al centro di essi dei grandi alberi dai tronchi contorti o intrecciati tra loro. Ciò accade ad esempio nel

già ricordato Paesaggio con gallo della Sala Ducale in Vaticano (fig. 5), ma anche in quadri più tardi, come il Ratto di Proserpina del Musée des Beaux-Arts di Valenciennes (fig. 6), il San Girolamo in meditazione della Galleria Nazionale di Parma, la Fuga in Egitto delle ante esterne dell'organo di Santa Maria della Steccata, sempre a Parma

(fig. 7), o i pannelli con Storie della creazione, ancora nella Galleria Nazionale parmense.31 Ma è soprattutto il

Paesaggio con gallo, con la lieve e sfumata veduta dall'alto che ne costituisce lo sfondo, a presentare con i piccoli

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A. Nesi / Un'ipotesi per Jan Soens a Firenze

6 Jan Soens, Ratto di Proserpina. Valenciennes, Musée des Beaux-Arts.

7 Jan Soens, Fuga in Egitto. Parma, Santa Maria della Steccata.

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A. Nesi / Un'ipotesi per Jan Soens a Firenze

8 Jacopo Ligozzi (attribuito), San Girolamo penitente. Fi

renze, collezione privata.

Soens, San Girolamo penitente. Collezione privata.

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A. Nesi /Un 'ipotesi per Jan Soens a Firenze

10 Alessandro Allori, San Giovanni Battista in meditazio

ne. Firenze, collezione privata.

inserti naturalistici di palazzo Salviati dei termini di confronto che la contiguità cronologica qui ipotizzata rende

ancor più comprensibili. Se osserviamo di nuovo il Paesaggio con Ercole e il leone nemeo non manchiamo allora

di trovarvi in secondo piano edifici sfumati e dalla cromia tenue, quasi fossero avvolti nella nebbia, in tutto

paragonabili alla scenetta della Sala Ducale. E se le vedute fiorentine possono sembrare più sintetiche nella ste

sura di quella romana, che pure, a detta del van Mander, fu ritenuta (come altri lavori vaticani del Soens) "poco rifinita"32, ciò sembra dipendere non tanto da una differenza di autore, ma piuttosto da una maggiore esiguità di

dimensioni, e dal fatto che sia i paesaggi Salviati che quelli dei cortinaggi sono principalmente degli elementi di

corredo a un più ampio repertorio di grottesche.

L'ipotesi di una breve presenza di Jan Soens a Firenze, tra il 1574 e il 1575, mostra dunque qualche motivo di

verosimiglianza, ed è sottolineata anche dalla notazione di Mina Gregori che ha osservato nei paesaggi di Gio

vanni Fiammingo/Ponsi in palazzo Salviati "un'ispirazione non esclusivamente fiamminga, ciò che fa pensare che il loro autore avesse già fatto un'esperienza romana".33 Soens poté quindi far brevemente parte dell'entourage alloriano accompagnato dall'eco della notorietà conquistata a Roma, lasciando a Firenze una piccola traccia della

sua presenza destinata a essere amplificata poi anni dopo, una volta che ebbe conquistato la fama alla corte di

Parma, sfociando nella diceria a sfavore di Andrea del Minga riportata dal Borghini. La quale, in fin dei conti, non

fa altro che attribuirgli la paternità di una concezione morbida e 'impressionistica' del paesaggio che a Firenze

ebbe poi notevole riscontro con Jacopo Ligozzi, con i frescanti attivi in molte decorazioni dei palazzi della corte

fiorentina a cavallo tra Cinquecento e Seicento, e anche con Giovanni Balducci, che in seguito si trasferì a Napoli e in quella città si accostò alla folta colonia di pittori nordici dei quali aveva potuto frequentare i connazionali

attivi nel capoluogo mediceo.34

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538 A. Nesi / Un'ipotesi per Jan Soens a Firenze

In ogni caso, che la pittura del Soens fosse conosciuta e apprezzata a Firenze lo può attestare un piccolo San

Girolamo a olio su rame attribuito al Ligozzi (fig. 8)3'; e questi, com'è noto, giunse nella città verso il 1577,

quando il pittore fiammingo (o il suo alter ego Ponsi) era già ripartito. Il quadretto infatti riprende alla lettera la

figura del protagonista e l'intonazione azzurrina dello sfondo (che comunque appare decisamente semplificato) da una tela del pittore fiammingo in collezione privata (fig. 9).36 Infine l'Allori stesso si ricorderà del modo di far

paesaggi di Giovanni Fiammingo/Ponsi (Soens ?) negli affreschi parietali della loggetta (poi chiusa) che porta sul

soffitto il celebre affresco con le Donne che fanno toeletta in Palazzo Pitti, eseguiti tra maggio e settembre del

1588, e nello sfondo di un San Giovanni Battista in meditazione di collezione privata fiorentina (fig. 10), dove

non a caso troviamo alberi dai tronchi esili, tortuosi e intrecciati.37

NOTE

Raffaello Borgbini, Il Riposo, Firenze 1584, p. 111.

Ibidem, pp. 190 ("La tavola che hora segue è d'Andrea del Minga, disse il Sirigatto, dove è effigiato Christo

che fa orazione nell'orto, et i discepoli che dormono, la quale io non saprei se non molto lodare. La tavola

può essere lodata, seguitò il Michelozzo, et Andrea del Minga altresì, se egli, contro quel che si dice, l'ha fatta

da se stesso") e 111 ("Ella è fuora sotto nome d'Andrea, disse il Vecchietto, e per sua la dobbiamo tenere, dicano cotestoro quello che vogliano; et è molto ben fatta, e ben osservata"). Per la parentela tra il Pieri e Andrea del Minga si veda Alessandro Nesi, Un disegno di Andrea del Minga per l'Orazione nell'orto' in Santa Croce a Firenze, in: Boll, d'arte, 133-134, 2005, p. 104. Per il percorso artistico

e i viaggi del Pieri, cfr. invece idem, Una 'Sacra Famiglia' nel Museo Civico di Prato e un'apertura su Stefano

Pieri, in: Prato storia e arte, 104, 2008, pp. 29-39.

Sui fogli collegabili ali Orazione nell'orto si vedano: Annamaria Petrioli Tofani, Precisazioni attributive su

alcuni disegni degli Uffizi, in: Kunst des Cinquecento in der Toskana, a cura di Monika Cämmerer, Monaco

1992, pp. 320-321, e Nesi, 2005 (n. 3), pp. 105-110, dove per una svista non è citato il saggio della Petrioli

Tofani, del quale sono esposti argomenti in parte analoghi, sebbene con conclusioni attributive in parte dif

ferenti.

Mi riferisco soprattutto ad alcuni dipinti eseguiti in collaborazione con Baccio Bandinelli per la duchessa

Eleonora di Toledo, sui quali si veda principalmente Roger Ward, Some late drawings by Baccio Bandinelli, in: Master drawings, XIX, 1981, pp. 3-14. Sulle opere di Andrea del Minga cfr. ad esempio Nesi, 2005 (n. 3), con bibliografia precedente; ho inoltre in preparazione su di lui un contributo monografico. Cfr. Claudio Pizzorusso, in: Il paesaggio nella pittura fra Cinquecento e Seicento a Firenze, cat. della mostra

Barberino Val d'Elsa, Poggibonsi 1980, p. 40, no. 6; e Mina Gregori, Il palazzo Portinari Salviati, in: Banca

Toscana, storia e collezioni, a cura di Claudio Nardini/Laura Amadori Gori, Firenze 1982, pp. 250-256.

Per un'analisi di queste opere del Tosini in rapporto al Minga paesaggista, e per la provenienza della tavola

di Ferrara da Caserotta, si veda Nesi, 2005 (n. 3), p. 104.

Carlo Gamba, Ridolfo e Michele di Ridolfo del Ghirlandaio, II, in: Dedalo, IX, 1928-1929, p. 557.

Cfr. Marta Privitera, Girolamo Macchietti, pittore dello Studiolo di Francesco I (1535-1592), pp. 9, 11-12 e

24-25. Ma del Macchietti si veda anche una Madonna col Bambino e san Giovannino passata recentemente

presso Dorotheum a Vienna (25 aprile 2008, no. 33) e discussa in Alessandro Nesi, Le opere tarde di Girolamo

Macchietti tra Maniera e Controriforma, in: Arte cristiana, XCIX, 2011, pp. 337-338.

Per il riferimento al Brina del Nettuno e Teti (o secondo altre ipotesi Oceano che dona la conchiglia a Pan), tradizionalmente ritenuto opera di Carlo Portelli, cfr. Valentino Pace, Carlo Portelli, in: Boll, d'arte, 5. ser., LVIII, 1973, 1, p. 32; Alessandro Nesi, Ombre e luci su Francesco Brina, in: Arte cristiana, XCIV, 2006,

pp. 261-263; e idem, Alcuni ritratti medicei di Francesco e Giovanni Brina, in: Medicea, 8, 2011, pp. 42-43. Maria Pia Mannini, in: Il paesaggio nella pittura fra Cinquecento e Seicento a Firenze (n. 6), p. 100, no. 32.

Borghini (n. 1), pp. 14 e 20.

Per Paolo Fiammingo si veda Stefania Mason Rinaldi, Nuove opere di Paolo Fiammingo, in: Arte veneta, XXIV, 1970, p. 224; per Cornells de Witte, invece, Alessandro Cecchi, Pietro Candido fra Firenze e Volterra: la formazione e l'attività fiorentina (1568-1586), in: Pieter de Witte/Pietro Candido. Un pittore del Cinquecento tra Volterra e Monaco, mostra Volterra, cat. a cura di Mariagiulia Burresi/Alessandro Cecchi, Cinisello Balsamo

2009, pp. 17-27, che contiene anche una nota sulla presenza degli artisti nordici nel capoluogo mediceo. Per la possibile sosta del König a Firenze si veda Alessandro Nesi/Federico Berti, in: Tornabuoni Arte. Dipinti e arredi antichi, Firenze, settembre 2010, p. 36. Cfr. Gregori (n. 6), pp. 250-256, per gli affreschi, e Simona Lecchini Giovannoni, Alessandro Allori, Torino

1991, pp. 235-236, per i cortinaggi. La Lecchini Giovannoni (p. 245) volle vedere un contributo del Ponsi

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A. Nesi / Un'ipotesi per Jan Soens a Firenze

anche nei cartoni per alcuni arazzi con Cacce agli uccelli acquatici pagati all'Allori nel 1578. In questi drappi

però l'esecuzione del paesaggio è assai diversa dagli affreschi Salviati e dai cortinaggi, molto più schematica

e rigida, soprattutto nella resa dei tronchi degli alberi. 15 A questo proposito si veda già Gregori (n. 6). 16 Su questo aspetto dello stile del Brina cfr. Nesi, 2011 (n. 10), p. 43. 17 I mandati di pagamento, conservati nell'Archivio Salviati, presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, sono

stati pubblicati a cura di Giuliana Guidi (Documenti relativi a lavori fatti eseguire da Jacopo di Alamanno

Salviati dal 1575 al 1580, in: Banca Toscana [n. 6], pp. 294-299). Per le decorazioni oggi perdute cfr. Gregori

(n. 6), p. 250. Nel 1581 lo stesso Allori annota un ulteriore versamento per "dipignere un fregio a grottesche" in palazzo Salviati entro le proprie "ricordanze" (cfr. Igino Benvenuto Supino, I Ricordi di Alessandro Allori, Firenze 1908, p. 26), ma tra i suoi collaboratori per l'occasione menziona soltanto Giovanni Maria Butteri e

Giovanni Bizzelli. 18 Per questo nuovo collaboratore, che affiancò l'Allori e la sua bottega nei cicli a fresco dell'Ospedale di Santa

Maria Nuova a Firenze, si vedano Piero Bagnesi, Alessandro Allori e lo Spedale di Santa Maria Nuova, in:

Riv. d'arte, IX, 1916-1918, pp. 262 e 264, e Lecchini Giovannoni (n. 14), pp. 75 e 239. Sull'Utens, autore delle

celebri lunette con Vedute delle ville medicee, eseguite nel 1599, si veda Daniela Mignani, in: Firenze e la

Toscana dei Medici nell'Europa del Cinquecento. Palazzo Vecchio: committenza e collezionismo medicei, cat. della mostra a cura di Paola Barocchi, Firenze 1980, pp. 301-303, ni. 619-620.

19 Angelica Frezza, in: Firenze e la Toscana (n. 18), pp. 85-89, ni. 149-150, e Lecchini Giovannoni (n. 14), pp. 235 sgg.

20 L'ipotesi fu formulata ibidem, pp. 235-236.

21 Gli accademici del disegno. Elenco alfabetico, a cura di Luigi Zangheri, Firenze 2000, p. 156. 22 Cfr. Borghini (n. 1), p. Ili, e Baldinucci-Ranalli, III, Firenze 1846 (Ia ed. 1681), p. 502. Peraltro anche il

Baldinucci, come il Borghini, pur riportando la diceria circa l'apporto dei vari artisti AYOrazione di Santa

Croce del Minga, mostra di non credervi, ribadendo che l'artista fu "in quella sua età sempre impiegato in

Firenze in opere ragguardevoli". 23

Nesi, 2005 (n. 3), p. 104. 24 Sull'attività del Soens e sulle sue opere romane si vedano Karel van Mander, Le vite degli illustri pittori

fiamminghi, olandesi e tedeschi, a cura di Ricardo de Mambo Santos, Roma 2000 (Het schilder-boeck waerin

voor erst de leerlustighe lueght den grondt der edel vry schilderconst in verscheyden deelen wort voorgedra

ghen, Harlem 1604), pp. 340-341; Sylvie Béguin, Jan Soens, paysagiste oublié, in: Oud Holland, LXXI, 1956,

pp. 217-226; Deoclecio RedigDe Campos, I palazzi vaticani, Bologna 1967, pp. 165 e 180-182; Bert W. Meijer, Parma e Bruxelles. Committenza e collezionismo farnesiano alle due corti, Cinisello Balsamo 1988, pp. 57-87

e 205-225; idem, Alcune postille su Jan Soens e poco altro, in: I Farnese. Arte e collezionismo. Studi, a cura di

Lucia Pomari Schianchi, Milano 1995, pp. 102-107; Giovanna Sapori, Fiamminghi nel cantiere Italia, Milano

2007, pp. 17-19,31 e 41. 25 Van Mander {η. 24), p. 341. 26 Sulla fase parmense del Soens cfr. Meijer, 1988 (n. 24) e Meijer, 1995 (n. 24). 27 Van Mander (η. 24), p. 74. 28 Cfr. ancora ibidem e Meijer, 1995 (n. 24), p. 102. 29

Redig De Campos (n. 24), pp. 181-182. 30

Meijer, 1988 (n. 24), p. 84, n. 3. 31 Su queste opere si vedano: Meijer, 1988 (n. 24); Sylvie Béguin, in: Galleria Nazionale di Parma. Catalogo delle

opere del Cinquecento e iconografia farnesiana, a cura di Lucia Fornari Schianchi, Milano 1988, pp. 156-159, ni. 313-317, e Bert W. Meijer, Giovanni Soens, in: Santa Maria della Steccata a Parma, a cura di Bruno Adorni, Ginevra/Milano 2008, pp. 264-266.

32 Van Mander (η. 24), p. 341. 33

Gregori (η. 6), p. 250. 34 Sul paesaggio nella decorazione dei palazzi fiorentini alla fine del Cinquecento si vedano ad esempio gli

ampi repertori figurativi offerti dal citato catalogo II paesaggio nella pittura fra Cinque e Seicento a Firenze

(n. 6) —

soprattutto in ordine al saggio di Chiara D'Afflitto, La natura probabile e il paesaggio visionario,

pp. 56-83 — e da: Fasto di corte. La decorazione murale nelle residenze dei Medici e dei Lorena, 1: Da Fer

dinando I alle reggenti (1587-1628), a cura di Mina Gregori, Firenze 2005. Il Balducci, invece, fu autore di

una serie di tavolette con Storie di san Girolamo già nella chiesa dei Gesuati a Pistoia e oggi nel Capitolo del

locale duomo, alcune delle quali sono dominate da paesaggi con alberi dalle fronde rapidamente schizzate

come quelle degli affreschi Salviati e dei cortinaggi medicei. Su questi dipinti, che sono ricordati in Bernardino

Vitoni/Innocenzo Ansaldi, in: Pistoia inedita, a cura di Lisa Di Zanni/Emanuele Pellegrini, Pisa 2003, p. 329

(ma i curatori del volume li considerano dispersi), si potrà vedere anche Alessandro Nesi, I pittori dello Studiolo

a Pistoia. Riscontri bibliografici e storiografici, e situazione attuale, in: Giorgio Vasari tra capitale medicea e

città del dominio, convegno Pistoia, 14 ottobre 2011, atti a cura di Nicoletta Lepri, di prossima pubblicazione.

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A. Nesi / Un'ipotesi per Jan Soens a Firenze

Sull'attività napoletana dell'artista, si vedano invece ad esempio Silvana Musella Guida, Giovanni Balducci fra Roma e Napoli, in: Prospettiva, 31, 1982, pp. 35-50; Pierluigi Leone de Castris, Pittura del Cinquecento a Napoli 1573-1606, Napoli 1991, pp. 249-261.

Sul quadro e la sua attribuzione al Ligozzi si veda Federico Berti, in: La bella maniera in Toscana, mostra

Grosseto 2008, cat. a cura di idem/Gianfranco Luzzetti, Firenze 2008, pp. 170-173, no. 31, e Federico Berti, Provenienze eccellenti: Empoli e Ligozzi dalla collezione Rinuccini, in: Paragone, di prossima pubblicazione, ove si segnala la provenienza del quadro da questa importante raccolta fiorentina.

Discussa in Meijer, 1988 (n. 24), p. 68. E da segnalare inoltre che in entrambi i dipinti la figura del san Giro lamo deriva dal sant'Onofrio inginocchiato in basso a sinistra nella distrutta Pala di Sarzana di Andrea del Sarto: cfr. Berti, in: La bella maniera (n. 35), pp. 170-173, no. 31 (su suggerimento dello scrivente). Sandro Bellesi, in: La bella maniera (n. 35), pp. 148-153, no. 27. La figura del santo deriva invece da due differenti ignudi michelangioleschi della Cappella Sistina, come precisato in Alessandro Nesi, Francesco I e

lo Studiolo, conferenza tenuta a Grosseto il 28 giugno 2008 proprio in occasione della suddetta mostra. Sulla

loggetta di Palazzo Pitti e la sua cronologia si vedano Sandro Bellesi, Interventi decorativi in Palazzo Pitti tra fine Cinquecento e primo Seicento, in: Paragone, XLIX, 1998, 583, pp. 49-52; Nadia Bastogi, in: Fasto di corte (n. 34), pp. 19-28, no. 1.2.1.

Provenienza delle fotografie:

Valentino Pace, Roma: fig. 1. - Da Banca Toscana (n. 6): figg. 2, 3. - Autore: figg. 4a-c. - Da Redig De Campos (η. 24): fig. 5. - Da Meijer, 1988 (η. 24): figg. 6, 7. - Federico Berti, Firenze: figg. 8-10.

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