Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei Campi

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Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei Campi Paolo Guiotto Contents 1 Introduzione 2 2 Il formalismo della Meccanica Hamiltoniana 2 2.1 Il principio di minima azione ........................... 3 2.2 Il flusso nello spazio delle fasi ........................... 4 2.3 Formulazione algebrica: parentesi di Poisson ................... 5 2.4 Teorema di Liouville ed unitariet` a ........................ 6 3 La Meccanica Quantistica e la teoria degli operatori 8 3.1 Alcuni fatti sperimentali .............................. 9 3.2 Il concetto di stato quantistico .......................... 10 3.3 Osservabili ..................................... 11 3.4 Parentesi di Poisson ................................ 13 3.5 Il principio d’indeterminazione .......................... 15 3.6 Quantizzazione delle osservabili fondamentali .................. 16 3.6.1 Quantizzazione di Q ............................ 16 3.6.2 Quantizzazione di P ............................ 17 3.6.3 Quantizzazione di H ............................ 19 3.7 Equazione di Schr¨ odinger ............................. 20 3.8 L’Oscillatore Armonico ............................... 24 3.8.1 Analisi spettrale .............................. 24 3.8.2 La formula di Mehler ............................ 30 3.9 L’atomo di idrogeno ................................ 33 4 La Formula di Feynman 35 4.1 L’Integrale Funzionale ............................... 35 4.1.1 Il problema del rigore della formula di Feynman ............ 39 4.2 La Formula di Feynman–Kaˇ c ........................... 40 4.3 La misura di Wiener ................................ 41 4.4 Applicazioni della formula di Feynman–Kaˇ c alla MQ .............. 44 4.4.1 La legge di Planck ............................. 44 5 Il problema della QFT 45 5.1 Equazione di Klein–Gordon ............................ 46 5.2 Parentesi di Poisson ................................ 48 5.3 Rappresentazione di Schr¨ odinger ......................... 50 5.3.1 Spazio degli stati: misure gaussiane in dimensione infinita ....... 50 5.3.2 Regole di commutazione .......................... 52 5.3.3 Operatori di moltiplicazione e derivazione ................ 53 1

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Introduzione alla Teoria Quantistica deiCampi

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Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei

Campi

Paolo Guiotto

Contents

1 Introduzione 2

2 Il formalismo della Meccanica Hamiltoniana 2

2.1 Il principio di minima azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

2.2 Il flusso nello spazio delle fasi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

2.3 Formulazione algebrica: parentesi di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

2.4 Teorema di Liouville ed unitarieta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

3 La Meccanica Quantistica e la teoria degli operatori 8

3.1 Alcuni fatti sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

3.2 Il concetto di stato quantistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

3.3 Osservabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11

3.4 Parentesi di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13

3.5 Il principio d’indeterminazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

3.6 Quantizzazione delle osservabili fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

3.6.1 Quantizzazione di Q . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

3.6.2 Quantizzazione di P . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17

3.6.3 Quantizzazione di H . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

3.7 Equazione di Schrodinger . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

3.8 L’Oscillatore Armonico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

3.8.1 Analisi spettrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24

3.8.2 La formula di Mehler . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

3.9 L’atomo di idrogeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33

4 La Formula di Feynman 35

4.1 L’Integrale Funzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

4.1.1 Il problema del rigore della formula di Feynman . . . . . . . . . . . . 39

4.2 La Formula di Feynman–Kac . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40

4.3 La misura di Wiener . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41

4.4 Applicazioni della formula di Feynman–Kac alla MQ . . . . . . . . . . . . . . 44

4.4.1 La legge di Planck . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44

5 Il problema della QFT 45

5.1 Equazione di Klein–Gordon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46

5.2 Parentesi di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

5.3 Rappresentazione di Schrodinger . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50

5.3.1 Spazio degli stati: misure gaussiane in dimensione infinita . . . . . . . 50

5.3.2 Regole di commutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52

5.3.3 Operatori di moltiplicazione e derivazione . . . . . . . . . . . . . . . . 53

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5.3.4 Quantizzazione di H : rinormalizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 55

1 Introduzione

La teoria quantistica dei campi (nel seguito QFT, dall’inglese Quantum Field Theory) si proponedi descrivere la fisica dei fenomeni che si svolgono su scala atomica, tenendo conto della teo-ria geometrica dello spazio–tempo introdotta dalla relativita generale. In parole povere si trattadell’unificazione della meccanica quantistica (in seguito QM, Quantum Mechanics) con la meccanicarelativistica. A rigore quindi, per poter comprendere gli scopi e le tecniche della QFT bisognerebbeconoscere a fondo scopi e tecniche delle due teorie dalla cui unificazione essa nasce. Essendo questaun’introduzione alla QFT rivolta a studenti del secondo anno, i quali non hanno in genere unaconoscenza preliminare della QM e della relativita (ne generale, ne speciale), si dovra ricorrere adiversi compromessi. Di fatto la teoria della relativita non verra nemmeno toccata.

L’obiettivo principale che ci proponiamo e quello di presentare un linguaggio matematico chemostri il piu possibile l’unitarieta formale della Meccanica Classica, Meccanica Quantistica e TeoriaQuantistica dei Campi, da un lato, dall’altro ci introduca ad alcuni strumenti matematici creatiappositamente per la descrizione e studio dei problemi connessi. Tali strumenti sono in generemolto complessi ed uno studio sistematico occupa diversi capitoli dell’Analisi Funzionale, per cuie impossibile sia mantenere un livello di generalita che di precisione formale. Non essendo questopero lo scopo questa perdita sara, speriamo, secondaria.

Essendo un’ambito importantissimo della fisica teorica, la bibliografia relativa alla QFT e moltoconsistente ma anche molto tecnica. Infatti, l’apparato matematico richiesto e quello piu avanzatocreato dall’analisi funzionale nel corso del ventesimo secolo. Non e semplice, ne del resto e questolo scopo, tracciare una bibliografia essenziale sull’argomento. Alcuni riferimenti, tuttavia, sia perl’essere divenuti pietre miliari che per essere ”abbordabili” agli studenti del secondo anno, possonoessere facilmente dati:

– Landau, Meccanica, Editori Riuniti

– Arnold, Metodi Matematici della Meccanica Classica, Editori Riuniti

– Dirac, I Principi della Meccanica Quantistica, Boringhieri

– Von Neumann, Mathematical Foundations of Quantum Mechanics

– Feynman, Quantum Mechanics and Path Integral, McGraw Hill

Un libro che ha un taglio da fisica teorica sulla QFT e quello di Itzykson & Zuber, Quantum Field

Theory, Mc Graw–Hill. Un taglio piu matematico lo si trova nel libro di Glimm & Jaffe, Quantum

Physics, Springer. Un bellissimo libro (o meglio sarebbe collana) e quello di Reed & Simon, Modern

Methods of Mathematical Physics, Academic Press, specie il vol. 1 Functional Analysis e,sopratutto, il vol. 2 Fourier Analysis, Self Adjointness, nel quale la teoria del campo libero(ved. sez. 5) e presentata rigorosamente. Questi riferimenti, ad ogni modo, sono molto difficilitecnicamente e non sono certo consigliabili come prima lettura.

Infine, va consigliato il meraviglioso libro di Feynman QED, Adelphi (in italiano) che, con unlinguaggio molto semplice, descrive tutta una serie di fenomeni caratteristici della fisica atomicache hanno spinto a costruire la QM e la QFT.

2 Il formalismo della Meccanica Hamiltoniana

Partiamo dal punto d’inizio della fisica classica, cioe dalle equazioni di Newton. Nel seguito con-sidereremo sempre il caso in cui una sola particella e presente e questa si muove in uno spaziofisico unidimensionale, di modo da alleggerire le notazioni evitando i vettori (del resto la differenzae di secondaria importanza qui). Lo scopo di questa prima parte e di introdurre un formalismodescrittivo della meccanica classica che verra ripreso e adattato nella QM e nella QFT.

Come noto, la posizione q(t) al tempo t e descritta attraverso l’equazione di Newton

mq(t) = −∂qV (q(t)),

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ove V (q) e l’energia potenziale. Introduciamo ora le equazioni di Hamilton. Posto p = mq, quantitadi moto (od in breve momento) l’equazione di Newton e ricondotta ad un sistema di equazioni delprimo ordine:

q =1

mp,

p = −∂qV,(2.1)

ovvero, introducendo l’energia totale

H(q, p) =1

2mp2 + V (q) = en. cinetica + en. potenziale

al sistema q = ∂pH,

p = −∂qH.(2.2)

I sistemi della forma generale (2.2) prendono il nome di sistemi hamiltoniani e lo studio delle loroproprieta analitiche e geometriche ha dato importanti risultati alla meccanica classica.

2.1 Il principio di minima azione

E possibile caratterizzare le traiettorie di moto come quelle che minimizzano certi funzionali delletraiettorie, funzionali che hanno una propria interpretazione fisica. Introduciamo la quantita

A(q) =

∫ t1

t0

1

2q(t)2 − V (q(t))dt,

detta azione. Fissiamo la posizione iniziale q(t0) = q0 e quella finale q(t1) = q1. Il bel teorema chesegue descrive la meccanica classica:

Teorema 2.1 (Principio di minima azione) La traiettoria seguita dal sistema soluzione delleequazioni (2.1) e quella che rende stazionaria l’azione A.

Dim. — Vediamo qual’e la proprieta caratteristica di una traiettoria q che sia punto stazionario perl’azione. Se q e una generica traiettoria con la stessa posizione iniziale e finale di q, cioe q(t0) = q(t0),q(t1) = q(t1), ed indichiamo con δq = q − q allora avremo che

A(q + δq)−A(q) = ∂qA(q)δq + o(δq).

Un punto stazionario deve essere tale che la variazione di A per una piccola perturbazione dellatraiettoria q sia trascurabile rispetto a δ. Cio significa che si deve avere

∂qA(q) = 0.

Calcoliamo allora la variazione dell’azione e verifichiamo che questo fatto:

A(q + δq) =

∫ t1

t0

1

2( ˙q(t) + δq(t))2 − V (q(t) + δq(t))dt

=

∫ t1

t0

1

2( ˙q(t)2 + δq(t)2 + 2˙q(t)δq(t))− V (q(t))− ∂qV (q(t))δq(t)dt+ o(δq)

= A(q) +

∫ t1

t0

˙q(t)δq(t)− ∂qV (q(t))δq(t)dt+ o(δq)

int. per parti = A(q)−∫ t1

t0

(¨q(t) + ∂qV (q(t))

)δq(t)dt+ o(δq).

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Dunque δA = o(δq) se e solo se

∫ t1

t0

¨q(t) + ∂qV (q(t))δq(t)dt = 0,

per ogni incremento δq(t) tale che δq(t0) = δq(t1) = 0. Da questa arbitrarieta segue che

¨q(t) + ∂qV (q(t)) = 0, t ∈ [t0, t1].

Possiamo pertanto porre∂qA(q) = q(·) + ∂qV (q(·)),

notando che ad ogni q la derivata dell’azione associa tutta una funzione. La versione hamiltonianadel teorema e altrettanto semplice da provare. A tal fine introduciamo l’azione hamiltoniana

S(q, p) :=

∫ t1

t0

(q(t)p(t)−H(q(t), p(t)))dt.

Teorema 2.2 La traiettoria nello spazio delle fasi seguita dal sistema soluzione delle equazioni(2.2) e quella che rende stazionaria l’azione hamiltoniana S.

Non ci occuperemo oltre dei principi variazionali. Ci ritorneremo solo verso la fine quando la formuladi Feynman e le sue generalizzazioni avranno reintrodotto fondamentalmente l’azione.

2.2 Il flusso nello spazio delle fasi

Se al sistema (2.2) aggiungiamo le condizioni iniziali q0 e p0, attraverso la soluzione e definito unflusso nello spazio delle fasi (cioe lo spazio delle q e delle p)

Tt(q0, p0) = (q(t, q0, p0), p(t, qo, po)).

Qui assumeremo che valgano buone ipotesi per garantire esistenza ed unicita globale alle soluzionidel sistema (2.2) qualunque sia (q0, p0) ∈ R

2. La teoria delle equazioni differenziali garantisce cheTt : R

2 → R2 e un diffeomorfismo e che vale la legge di gruppo, cioe:

Tt+s = Tt Ts = Ts Tt.

Inoltre ovviamente T0 = Id. Queste proprieta caratterizzano i gruppi ad un parametro di diffeomor-fismi. Inoltre, la scrittura (2.2) permette di derivare immediatamente il principio di conservazionedell’energia:

d

dtH(q(t), p(t)) = ∂qHq + ∂pHp

per (2.2)= 0.

Un teorema piu profondo e il

Teorema 2.3 (Liouville) 1

|TtΩ| = |Ω|.

Dim. — Dal cambiamento di variabili segue che

|TtΩ| =∫

TtΩ

dqdp =

Ω

|det J(Tt)(q, p)|dqdp = |Ω|,

purche |det J(Tt)(q, p)| = 1. Questo e vero per t = 0 (T0 = Id). Basta poi provare che

d

dtdet J(Tt)(q, p) = 0,

1Se Ω ⊂ R2 e un aperto, |Ω| sta per la misura di Ω.

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e questo segue dal calcolo esplicito e dalla forma del sistema (2.2). Infatti: posto che Tt(q, p) =(q(t, q, p), p(t, q, p)) ≡ (q, p) abbiamo che

J(Tt) =

[∂qq ∂pq

∂qp ∂pp

], =⇒ det(J(Tt)) = ∂qq∂pp− ∂pq∂qp.

Allorad

dtdetJ(Tt) = (∂qq∂pp− ∂pq∂qp)· = ∂q q∂pp+ ∂qq∂pp− ∂pq∂qp− ∂pq∂qp.

Derivando le equazioni di Hamilton si ottiene

∂q q = ∂qpH∂qq + ∂ppH∂qp,

∂pq = ∂qpH∂pq + ∂ppH∂pp,

∂qp = − (∂qqH∂qq + ∂qpH∂qp) ,

∂pp = − (∂qqH∂pq + ∂qpH∂pp) ,

e mettendo tutto assieme con un po’ di pazienza si vede subito che

d

dtdetJ(Tt) = 0.

Da questo segue che detJ(Tt) = detJ(T0) = 1, da cui la conclusione.

2.3 Formulazione algebrica: parentesi di Poisson

Introduciamo ora l’importante concetto di osservabile. Matematicamente si tratta di una qualsiasi(piu o meno) funzione sullo spazio delle fasi, cioe di una f : R

2 → R. Se lo stato e caratterizzatodalle coordinate (q, p), l’osservabile f vale f(q, p). Particolari osservabili sono le coordinate stesse,

Q(q, p) = q, P (q, p) = p.

Se f e un osservabile e consideriamo l’evoluzione del sistema il valore dell’osservabile cambiera neltempo secondo la formula f(q(t), p(t)). Precisamente, se (q0, p0) e lo stato iniziale, f e l’osservabile,al tempo t il valore dell’osservabile sullo stato del sistema e:

f(q(t, q0, p0), p(t, q0, p0)) =: Ttf(q0, p0).

La scrittura di destra e la definizione che corrisponde al cosidetto punto di vista di Heisenbergdella meccanica. Significa che invece di pensare la dinamica sulle particelle (equazioni di Hamilton(2.2)) si puo immaginare che il sistema resti ”fermo” e che invece siano le osservabili a ”muoversi”.Questa dinamica delle osservabili presenta una differenza fondamentale con quella introdotta dalleequazioni (2.2): mentre quella e in genere non lineare questa e lineare (in parole povere, piu semplice);ovviamente il prezzo da pagare e che la dinamica delle osservabili e nello spazio delle osservabili che,come spazio di funzioni e uno spazio infinito dimensionale. Vediamo allora le equazioni di evoluzioneper le osservabili:

(Ttf)· =d

dtf(q(t), p(t)) = (∂qf)q + (∂pf)p = (∂qf)(∂pH)− (∂pf)(∂qH) =: f,Ht = Ttf,H

(2.3)dove

f, g = (∂qf)(∂pg)− (∂pf)(∂qg), (2.4)

si dicono parentesi di Poisson di f e g. L’ordine e effettivamente importante poiche si vede imme-diatamente che

f, g = −g, f. (2.5)

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Interessante e il calcolo delle parentesi di Poisson di Q e P :

Q,P = (∂qQ)(∂pP )− (∂pQ)(∂qP ) = 1.

Le parentesi di Poisson (2.4) hanno altre notevoli proprieta. Anzitutto sono lineari in ciascunargomento, nel senso che:

c1f1 + c2f2, g = c1f1, g+ c2f2, g, f, c1g1 + c2g2 = c1f, g1+ c2f, g2. (2.6)

Poi si comportano ”come una derivazione”2, nel senso che vale la regola del prodotto:

fg, h = f, hg + fg, h. (2.7)

Meno evidente e la cosidetta identita di Lie:

f, g, h+ f, g, h+ f, h, g = 0. (2.8)

L’equazione (2.3) non si presenta in forma chiusa per la funzione f(t, q, p) := Ttf(q, p) a causa delsecondo membro. Tuttavia e semplice mostrare che effettivamente puo essere scritta come

(Ttf)· = Ttf,H (2.9)

Infatti:

(Ttf)· = limh→0

Tt+hf − Ttfh

= limh→0

Th(Ttf)− Ttfh

= T0 Ttf,H = Ttf,H.

Il formalismo appena introdotto permette di descrivere appieno la meccanica classica:

Teorema 2.4 (Rappresentazione di Heisenberg) Sia H una funzione hamiltoniana, ·, · leparentesi di Poisson, Q e P le osservabili–coordinate. La meccanica classica e descritta dalle seguentidue proprieta:

i) ogni osservabile ft ≡ f(t, q, p) soddisfa l’equazione di Heisemberg

ft = ft,H,

ii) Q,P = 1.

Lo spazio delle osservabili con le parentesi di Poisson di chiama algebra di Lie.

La precedente formulazione e naturale ed importante. Infatti la meccanica quantistica verra in-trodotta sullo stesso schema formale (cio che cambiera radicalmente sara l’algebra di Lie delleosservabili, cambiamento obbligato dai risultati sperimentali).

2.4 Teorema di Liouville ed unitarieta

Per apprezzare bene il formalismo di Heisenberg vediamo come da esso sia possibile ritrovare ilteorema di Liouville 2.3, in termini di proprieta ”algebrico–geometriche” che derivano dal teorema2.4. A tal proposito andiamo a studiare meglio l’operatore LHf := f,H. LH e un’operatorelineare e l’equazione di Heisenberg diventa

ft = LHft,

dove ′ rappresenta la derivata rispetto a t. Ora, per analogia con le equazioni differenziali ordinarie,potremmo scrivere

ft = etLHf0.

La notazione etLH e per ora puramente fittizia ma suggestiva, e sta semplicemente per l’operatoreTt introdotto nella sezione precedente. Siccome parliamo di operatori e bene dire qualcosa su cosaoperano, cioe sulle famose osservabili. E conveniente pensare lo spazio infinito dimensionale delle

2Niente di strano del resto: f, g e definita nella (2.4) attraverso derivate!

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osservabili come una struttura di spazio vettoriale munito di un’apposita topologia. Uno degli spazimigliori (perche ricco di struttura) e lo spazio

H := L2(R2) =

f : R

2 −→ C :

R2

|f(q, p)|2 dqdp < +∞.

La ricchezza di tale spazio e non solo nella struttura vettoriale, ma anche nel fatto che H e munitodi un prodotto scalare hermitiano:

(f, g)H :=

R2

f(q, p)g(q, p) dqdp ≡∫

R2

fg dqdp.

In questo caso∫

R2 |f |2 dqdp = (f, f)2H

e una norma come si verifica facilmente e lo spazio H etopologicamente completo (e prende il nome di spazio di Hilbert). Osserviamo che tale scelta di H cifa subito escludere le nostre osservabili importanti Q,P,H , ma questo e un problema cui bisogneraabituarsi e che emergera in tutta la sua complessita con la meccanica quantistica.

Chiaramente etLHf = Ttf e definita per ogni tipo di osservabile, quindi anche per una f ∈ H.Meno evidente e che stia ancora in H. Assai meno evidente e che la dinamica non ne muti la”lunghezza” in H. Questo e di fatto il teorema di Liouville:

Teorema 2.5

Teorema di Liouville ⇐⇒ etLH e unitario su H, ∀t ∈ R.

Unitario significa che ∥∥etLHf∥∥

H= ‖f‖H, ∀f ∈ H, ∀t ∈ R.

Dim. — Infatti basta osservare che

|Ω| =∫

Ω

1 dqdp =

R2

|χΩ|2 dqdp = ‖χΩ‖2H,

e

|TtΩ| =

TtΩ

1 dqdp =

R2

|χTtΩ|2 dqdp

=

R2

|χΩ T−t|2dqdp =

R2

∣∣e−tLHχΩ

∣∣2 dqdp

=∥∥e−tLHχΩ

∥∥2

H.

Dunque se etLH e unitario su H per ogni t ∈ R chiaramente vale Liouville. Viceversa, se valeLiouville abbiamo che etLH e unitario sulle funzioni caratteristiche. Basta allora procedere perapprossimazione attraverso funzioni semplici

∑ckχΩk

, Ωk disgiunti e si prova rapidamente il casogenerale.

E importante slegare l’unitarieta dalla dinamica per poter estendere il teorema di Liouville ad altriambiti. Proviamo a vedere se c’e una proprieta caratteristica intrinseca che si lega all’unitarieta.

Se etLH fosse un numero complesso, l’unitarieta significherebbe che etLH = eiα dove α ∈ R,ovvero che LH e, in qualche senso, un immaginario puro. Se LH fosse un vero e proprio numerocomplesso, il fatto che sia immaginario puro sarebbe espresso dall’identita:

LH = −LH .

Ma cos’e il coniugato di LH? Attraverso il prodotto hermitiano e possibile darne una caratteriz-zazione:

(LHf, g)H = (f,LHg)H = −(f,LHg)H.

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Prima di proseguire diciamo qualche parola su LH . Perche se etLH , conoscendo la dinamica, non hagrossi problemi di definizione, LH ne ha. E infatti un’operatore differenziale quindi e richiesta unarestrizione sulle osservabili per poter parlare di LHf . Verrebbe naturale considerare, per esempio,come dominio di LH le osservabili f ∈ C1(R2)∩H. Cio e insufficiente pero perche in genere LHf nonapparterra ad H. Per stare tranquilli facciamo una restrizione pesante e prendiamo in considerazionesolo osservabili che siano C∞(R2) a supporto compatto: scriveremo C∞

c per indicare tale spazio. Eadesso possibile mostrare il

Lemma 2.6 LH e antisimmetrico, ovvero

(LHf, g)H = −(f,LHg)H, ∀f, g ∈ C∞c .

Dim. — Si tratta della formula d’integrazione per parti:

(LHf, g)H =

R

(LHf)g dqdp

=

R

(∂qf)(∂pH)g dqdp−∫

R

(∂pf)(∂qH)g dqdp

= −∫

R

f∂q (∂pHg) dqdp+

R

f∂p (∂qHg) dqdp

= −∫

R

f (∂qpHg + ∂pH∂q g) dqdp+

R

f (∂pqHg + ∂qH∂pg) dqdp

= −∫

R

f(∂pH∂qg − ∂qH∂pg)dqdp.

= −(f,LHg)H.

L’unitarieta segue direttamente dall’antisimmetria in modo formale (indipendente cioe dalla speci-fica forma di LH):

Corollario 2.7 Se LH e antisimmetrico allora etLH e unitario su H.

Dim. — Poniamo ut := etLHf , formiamo la quantita ‖ut‖2H e deriviamo rispetto a t tenendo contoche

ut = LHut.Dunque

d

dt‖ut‖2H =

d

dt(ut, ut)H

= (ut, ut)H + (ut, ut)H

= (ut,LHut)H + (LHut, ut)H

= 0.

3 La Meccanica Quantistica e la teoria degli operatori

La meccanica quantistica e nata dalla necessita di una nuova teoria per lo studio dei misterio-si fenomeni3 che si verificano su scala atomica. Di fatto l’apparato matematico coinvolto nella

3Rispetto alle concezioni classiche.

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costruzione della teoria comprende fondamentali capitoli della matematica del ventesimo secolo,capitoli nati proprio per fornire una solida base alle paradossali regole della teoria fisica. Questeteorie sono la teoria spettrale di operatori, la teoria delle algebre di Banach, la teoria della misurasu spazi di dimensione infinita. Il successo spettacolare qualitativo e quantitativo di queste tecnichenella spiegazione dei nuovi fenomeni ha dichiarato indiscussamente la correttezza della QM. Percominciare allora andiamo brevemente a riprodurre l’esperimento virtuale cosı come Feynman loriporta nel suo libro Quantum Mechanics and Path Integral (e consigliabile anche il librettoQED di Feynman).

3.1 Alcuni fatti sperimentali

L’esperimento virtuale4 che ora descriveremo mettera in luce le caratteristiche misteriose dellafisica atomica. Una sorgente di elettroni emette elettroni indistintamente in tutte le direzioni delpiano (immaginiamo per semplicita una dinamica ”unidimensionale”, cioe in una sola dimensionespaziale). Ad una certa distanza c’e una paratia con due fori attraverso i quali gli elettroni possonopassare per andare poi a sbattere contro uno schermo. Lo schermo e munito di rilevatori sensibili asufficienza da segnalare l’arrivo del signolo elettrone sullo schermo.

Supponiamo di far emettere alla sorgente un gran numero di elettroni in ciascuno dei tre seguenticasi: a) il solo foro A e aperto; b) il solo foro B e aperto; c) tutti e due i fori sono aperti. La prima”sorpresa” si coglie gia con gli esperimenti a) e b) poiche quello che vediamo e che, a fronte di ungran numero di ”prove” gli elettroni sembrano distribuirsi casualmente sullo schermo, con un piccopiu o meno smorzato, all’altezza del foro corrispondente.

Quando i due fori sono aperti contemporaneamente succede qualcosa di nuovo. Non si ha unasemplice sovrapposizione dei due casi in cui uno solo dei fori e aperto: la frequenza di arrivare sulloschermo passando per uno dei due fori non e la somma delle frequenze di passaggio attraverso unodei due fori. In parole povere la frequenza non soddisfa le leggi ordinarie del calcolo delle probabilita.Diverse e complicate spiegazioni sono state date di questo fenomeno. L’atteggiamento pragmaticodi prendere atto della situazione e cercare di trovare le nuove ”regole di calcolo” e quello che haprodotto i migliori frutti, giacche e chiaro che le regole della meccanica newtoniana non sarannopiu sufficienti.

Prima di cedere al pragmatismo possiamo effettuare la seguente variante dell’esperimento virtuale.Subito dietro la paratia, in prossimita di uno dei due fori, quello A ad esempio, mettiamo unrilevatore di particelle di modo tale che esso scatti quando una particella attraversa il foro A. Loscopo e quello di contare esattamente quante particelle passano per A (e di conseguenza quantepassano per B). Se questo apparecchio di rilevazione non influenzasse il sistema ci aspetteremmo,dopo l’emissione di un gran numero di elettroni, la situazione misteriosa di cui abbiamo appenadetto. Ed invece, non senza stupore, ecco che cio che si verifica sullo schermo finale e proprio l’esitoche ci aspetteremmo secondo le leggi classiche del calcolo delle probabilita!

Spiegare questo ulteriore mistero e stato un gran rompicapo per diverso tempo, fintanto cheHeisenberg formulo l’ipotesi che l’apparecchio dovesse influenzare l’esito dell’esperimento. Infatti,egli disse, per constatare il passaggio di un’elettrone dobbiamo in qualche modo ”toccarlo”, e cio epossibile solo attraverso un ”urto” con un’altra particella di massa piu o meno simile (o piu grande),che nell’urto finira con l’influenzare il moto dell’elettrone. E un po’ come se l’elettrone e un passanteche vuole attraversare la strada e l’unico modo di sapere se sta attraversando e quello di andargliaddosso con un’autotreno!

L’influenza dell’osservazione sullo stato del sistema ha un’ulteriore conseguenza logica (sperimen-talmente verificata): in genere, se si compiono due osservazioni successive, l’ordine nel quale questeavvengono avra molta importanza e non e affatto detto che effettuare una prima misurazione diuna certa quantita e poi, successivamente, osservarne una seconda produca lo stesso effetto cheinvertendo l’ordine delle osservazioni.

4Virtuale perche non concretamente realizzabile negli stessi termini che qui verranno esposti, masostanzialmente realizzabile.

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3.2 Il concetto di stato quantistico

Assumiamo allora l’atteggiamento pragmatico. E anzitutto chiaro che il concetto di stato dovrasubire un radicale cambiamento. In effetti l’aspetto aleatorio legato all’imprevedibilita di dove sipossa trovare una particella costituisce una novita fondamentale in contrasto col determinismo delleequazioni differenziali di Newton. Precisamente non sara piu possibile individuare una posizioneprecisa ma solamente la probabilita che la particella si trovi in una certa posizione. Una prima ideapotrebbe essere quella di identificare lo stato ϕ con una distribuzione di probabilita, cioe con unafunzione ϕ : R −→ [0,+∞[, tale che

∫ +∞

−∞ϕ(x) dx = 1. (3.1)

Dunque non avra senso, in genere, calcolare la probabilita che la particella si trovi in un determinatopunto x quanto, invece,

P (particella ∈ [a, b]) =

∫ b

a

ϕ(x) dx.

Tuttavia tale posizione non e sufficiente. Infatti il problema e adesso: negli esperimenti descrittinella sezione precedente, nei tre casi a), b), c) dovremmo avere tre distribuzioni di probabilita ϕ1,ϕ2 e ϕ3 che descrivono la probabilita finale di trovare una particella sullo schermo; come si leganotra loro le tre distribuzioni? Se valessero le regole del calcolo delle probabilita ordinario, allora, perla decomposizione delle probabilita totali,

P (particella ∈ [a, b]) = P (particella ∈ [a, b] | passa per porta 1) · P (passa per porta 1)

+ P (particella ∈ [a, b] | passa per porta 2) · P (passa per porta 2)

Ora: se le due porte sono identiche e sono simmetriche rispetto alla posizione in linea della sorgentedi elettroni, possiamo ammettere che P (passa per porta 1) = P (passa per porta 2) = 1

2. Invece

P (particella ∈ [a, b] | passa per porta 1) la possiamo calcolare tenendo conto che quando mettiamoun rilevatore dopo una porta le di stribuzioni di probabilita finali coincidono con quelle di un soloforo aperto. In altre parole

P (particella ∈ [a, b] | passa per porta 1) =∫ baϕ1(x) dx,

P (particella ∈ [a, b] | passa per porta 2) =∫ baϕ2(x) dx,

da cui, tenendo tutti e due i fori aperti, ammettendo la regola delle probabilita totali e le consideratele osservazioni sperimentali, abbiamo che

P (particella ∈ [a, b]) =1

2

∫ b

a

ϕ1(x) dx+1

2

∫ b

a

ϕ2(x) dx =

∫ b

a

1

2(ϕ1(x) + ϕ2(x)) dx.

Conclusione: ϕ3 = 12(ϕ1 +ϕ2). Ebbene questa e falsa in virtu dell’aspetto della terza distribuzione!

Ma allora, qual’e la misteriosa alchimia che permette di calcolare ϕ3 in funzione ϕ1 e ϕ2?Fortunatamente la situazione non era del tutto sconosciuta nella fisica. Infatti ricordava la cosidetta

interferenza fra onde, che si ottiene quando si immagina che una perturbazione d’onda abbia originenel punto di emissione degli elettroni. Prendendo spunto da questa analogia dotiamo ϕ1 e ϕ2 anchedi una ”fase”, ovvero pensiamo ϕ1, ϕ2 come funzioni complesse di variabile reale. Questo semplificala struttura della prima regola, che ci permette di esprimere lo stato ϕ3 come semplice combinazionedegli stati ϕ1 e ϕ2:

Assioma 3.1 (Principio di sovrapposizione)

ϕ3 = ϕ1 + ϕ2.

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Attraverso il principio di sovrapposizione possiamo guardare allo spazio degli stati come ad unastruttura di uno spazio vettoriale di funzioni da R in C. Naturalmente sara opportuno fare unaspecifica piu precisa su tale spazio e scegliere da un lato uno spazio con una struttura convenienteda un punto di vista algebrico–topologico; dall’altro bisogna anche trovare il modo di estrarre ilsenso probabilistico dalla conoscenza dello stato ϕ. Tali vincoli trovano un’efficace risposta nellaseguente scelta:

Assioma 3.2 (Spazio degli stati) Lo spazio degli stati e

X :=

ϕ : R→ C :

∫ +∞

−∞|ϕ(x)|2 dx <∞

=: L2(R).

Tale spazio si assume munito della struttura di prodotto scalare hermitiano (ϕ,ψ)X :=∫

Rfg dx.

Con tale posizione ‖ϕ‖2X = (ϕ, ϕ)X.

Chiaramente adesso ϕ ∈ X, in genere, non rappresenta piu una distribuzione di probabilita. Lastrada per recuperare tale significato probabilistico e quella di definire, per un dato stato ϕ ∈ X

P (particella ∈ [a, b]) =

∫ b

a

|ϕ(x)|2 dx.

Ovviamente tale posizione ha un senso probabilistico solo quando∫

R|ϕ(x)|2 dx = 1, ovvero ‖ϕ‖X =

1.

Definizione 3.3 Uno stato ϕ ∈ X tale che ‖ϕ‖X = 1 si dice unitario.

Osserviamo che per ogni stato ϕ 6= 0 si ha che ψ := ‖ϕ‖−1Xϕ e unitario. Per cui, se poniamo, in un

dato stato ϕ ∈ X

P (particella ∈ [a, b]) =

∫ b

a

|ψ(x)|2 dx =1

‖ϕ‖2X

∫ b

a

|ϕ(x)|2 dx,

abbiamo una definizione valida per ogni stato ϕ 6= 0. Non solo: da questa definizione vediamo che,ai fini di calcolo ”statistico”, le probabilita sono invarianti sulle ”rette” αϕ : α ∈ C.

3.3 Osservabili

Una volta introdotto il concetto di stato ed il principio di sovrapposizione che ci permette dioperare sugli stati, dobbiamo introdurre il secondo concetto fondamentale, quello di osservabile.Come sempre un’osservabile sara una funzione dello stato. Il principio di sovrapposizione e quantodetto nella sezione 3.2 impongono che sia un operatore lineare. Vediamo come.

Sia F un’osservabile e ϕ uno stato; F (ϕ) sara la realizzazione di F in ϕ. Abbiamo detto, nelparagrafo 3.2, che compiere un’osservazione su un sistema in un certo stato corrisponde a cambiarnelo stato in uno nuovo. In altre parole F : X → X. L’idea che impone la restrizione agli operatorilineari si basa sul principio che le relazioni fisiche siano conservate dalle osservabili. Per esempio:se uno stato ϕ e sovrapposizione di altri due, cioe ϕ = ϕ1 + ϕ2 allora e naturale che, se F eun’osservabile, il trasformato di ϕ attraverso l’osservazione F sia la sovrapposizione dei trasformatiF (ϕ1) ed F (ϕ2)

5. Cioe F (ϕ) = F (ϕ1)+F (ϕ2). Allo stesso modo lo stato ϕ e cϕ, dove c e un numerocomplesso, rappresentano lo stesso stato; pertanto e naturale che F conservi questa relazione, cioeF (cϕ) e F (ϕ) siano lo stesso stato a meno di una costante moltplicativa c. Per analogia con l’algebralineare e uso denotare l’azione di un’osservabile F su uno stato ϕ col simbolo Fϕ, a ricordare chesi tratta di un operatore lineare.

Assioma 3.4 (Osservabili) Si chiama osservabile ogni operatore lineare F : D(F ) ⊂ X −→ X.

5N.B. : questa e un’ipotesi ben precisa che trova conferme sperimentali nelle osservabili piu comuni.

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Notiamo che il concetto di osservabile appena introdotto risponde bene anche al fatto che, in genere,due osservabili F e G non commutino tra loro, cioe FGϕ in genere e diverso da GFϕ. Questo fattoe vero non appena si prendono due operatori lineari su uno spazio vettoriale (si pensi ad esempioal caso delle matrici in R

2) e costituisce un principio di consistenza con cio che stiamo andando acostruire.

Ora che possediamo il concetto di spazio degli stati e di osservabile possiamo considerare una situ-azione di grandissima importanza, e cioe l’interpretazione dei concetti di autovalore ed autovettore.Supponiamo che F sia un’osservabile e che ϕ sia uno stato tale che

Fϕ = λϕ.

Ricordiamo che ϕ e λϕ rappresentano lo stesso stato, visto che l’unica cosa che ci serve degli statie la probabilita di trovare la particella da qualche parte, operazione che si effettua come descrittonel paragrafo precedente (normalizzando cioe, e quindi dimenticandosi della lunghezza effettiva delvettore ϕ). Un autostato per l’osservabile F e dunque uno stato su cui l’osservabile non influiscepoiche riproduce lo stato stesso, a meno di un fattore ”intensivo”. Possiamo interpretare questofattore come il valore effettivo dell’osservabile6. Il valore λ puo essere ottenuto attraverso la formula

λ(ϕ,ϕ) = (λϕ,ϕ) = (Fϕ,ϕ),

ovvero

λ =(Fϕ,ϕ)

(ϕ, ϕ).

Nel caso di un’osservabile generica F e di uno stato ϕ che non sia autostato di F abbiamo la

Definizione 3.5 Si dice valore medio di un’osservabile F nello stato ϕ il numero

〈F 〉ϕ :=(Fϕ,ϕ)

(ϕ,ϕ), ϕ ∈ D(F ).

Osserviamo che se ϕ e unitario allora 〈F 〉ϕ = (Fϕ,ϕ).

Si pone ora pero un altro problema. In genere, per come e definito, 〈F 〉ϕ non e detto che sia unnumero reale. Dipende dal fatto che (Fϕ,ϕ) lo sia. D’altra parte le sole misurazioni che fisicamentehanno senso sono reali. Si potrebbe pensare di ottenere una misurazione complessa con due mis-urazioni successive, di due quantita reali. Tuttavia, come abbiamo detto, una misura sul sistemacambia lo stato delle cose ed influira sull’esito della seconda misurazione. D’altro canto l’ordine efondamentale, quindi non si riesce a dare un senso ad una misurazione complessa. Vediamo anzituttocosa caratterizza l’essere reale dei valori medi:

Lemma 3.6 〈F 〉ϕ ∈ R per ogni stato ϕ ∈ X se e solo se

(Fϕ,ψ) = (ϕ,Fψ), ∀ϕ,ψ ∈ D(F ).

In altre parole: se e solo se F e simmetrico.

Dim. — Che se F e simmetrico allora i suoi valori medi sono reali e una semplice verifica: seϕ ∈ D(F ) e unitario allora

〈F 〉ϕ = (Fϕ,ϕ) = (ϕ,Fϕ) = (Fϕ,ϕ) = 〈F 〉ϕ.

Viceversa: sia ϕ ∈ D(F ) unitario. La stessa relazione scritta sopra (assumendo che 〈F 〉ϕ = 〈F 〉ϕ)porta a

(Fϕ,ϕ) = (Fϕ,ϕ) = (ϕ,Fϕ),

6Si potrebbe argomentare come segue. L’osservabile F valutata su ϕ restituisce restituisce ”interamente”ϕ, ovverosia ”con certezza”. Vedremo nella sezione 3.7 in che senso s’intende ”con certezza”.

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per ogni ϕ ∈ D(F ). Al caso generale si passa con tecniche standard di spazi di Hilbert (cioesostituendo ϕ con ϕ+ ψ e svolgendo i conti). Vediamo:

(F (ϕ+ ψ), ϕ+ ψ) = (ϕ+ ψ,F (ϕ+ ψ)),

(Fϕ,ϕ) + (Fϕ,ψ) + (Fψ,ϕ) + (Fψ,ψ) = (ϕ,Fϕ) + (ϕ,Fψ) + (ψ,Fϕ) + (ψ,Fψ),

(Fϕ,ψ) + (Fψ,ϕ) = (ϕ,Fψ) + (ψ,Fϕ),

(Fϕ,ψ)− (ϕ,Fψ) = (ψ,Fϕ)− (Fψ,ϕ),

Ora: rimpiazziamo ψ con iψ. Facendo i conti otteniamo

(Fϕ, iψ)− (ϕ, iFψ) = (iψ, Fϕ)− (iFψ,ϕ),

−i(Fϕ,ψ) + i(ϕ,Fψ) = i(ψ,Fϕ)− i(Fψ,ϕ),

(Fϕ,ψ)− (ϕ,Fψ) = − ((ψ,Fϕ)− (Fψ,ϕ)) = − ((Fϕ,ψ)− (ϕ,Fψ))

da cui, infine, (Fϕ,ψ)− (ϕ, Fψ) = 0.

Dunque gli operatori simmetrici rivestono un ruolo importante nella teoria, essendo corrispondentialle osservabili reali. Per un’operatore qualunque possiamo definire l’analogo del complesso coniugatoche verra chiamato aggiunto: se F e l’operatore, l’aggiunto di F , indicato con F ⋆, sara l’operatoresoddisfacente l’equazione

(Fϕ,ψ) = (ϕ,F ⋆ψ).

E facile provare, ad esempio, che (FG)⋆ = G⋆F ⋆ e l’ordine e importante. Questo fra l’altro mettein luce che non e detto che il prodotto di due osservabili reali sia ancora un’osservabile reale: questoaccade se e solo se F e G commutano.

3.4 Parentesi di Poisson

Seguendo la reppresentazione di Heisenberg dobbiamo ora introdurre le parentesi di Poisson. Infatti,al momento, non disponiamo delle equazioni di Newton per conoscere l’evoluzione degli stati. Ilprogramma consiste allora nell’introdurre le nuove parentesi di Poisson quindi, attraverso l’equazionedi Heisenberg, l’evoluzione delle osservabili ed infine dedurre l’evoluzione degli stati. L’operazionedi costruzione delle parentesi di Poisson quantistiche viene chiamata quantizzazione.

Indicheremo con [·, ·] le nuove parentesi quantistiche. Imponiamo che soddisfino le proprieta (2.5),(2.6), (2.7) e (2.8). Bisogna fare in realta un po’ d’attenzione con la (2.7). In effetti per le parentesidi Poisson classiche e pur vero che tutti gli oggetti sono funzioni ed il prodotto e definito comeprodotto punto per punto, per cui e commutativo. In altre parole le quattro espressioni

f, hg + fg, h, gf, h+ fg, h, gf, h+ g, hf, f, hg + g, hf,

sono identiche. Se ora le osservabili sono operatori e le parentesi di Poisson di due osservabili e ancoraun’osservabile in generale ci sara da aspettarsi che le quattro espressioni di cui sopra, nel contestoquantistico, siano tutte diverse. Come definire allora le parentesi? Bisogna fissare una convenzioneuna volta per tutte. Tale convenzione e la cosidetta convenzione dell’ordine, che corrisponde allascelta della (2.7):

Assioma 3.7 (Parentesi quantistiche) Le parentesi [·, ·] soddisfano le seguenti condizioni:

i) (linearita) : [c1F1 + c2F2, G] = c1[F1, G] + c2[F2, G];

ii) (antisimmetria) : [F,G] = −[G,F ];

iii) (derivazione) : [FG,H ] = [F,H ]G+ F [G,H ];

iv) (identita di Lie) : [F, [G,H ]] + [[F,G], H ] + [[F,H ], G] = 0;

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v) (chiusura) : se F e G sono osservabili reali allora anche [F,G] lo e.

Cio detto riusciamo a determinare la forma esplicita delle parentesi:

Teorema 3.8 (Dirac) Esiste una costante universale h ∈ R tale che

ih[F,G] = (FG−GF ).

La costante h si chiama costante di Planck.

Dim. — Scriviamo la formula del prodotto [A,BC] applicando la ii) e la iii). Risulta:

[A,BC] = −[BC,A] = − ([B,A]C +B[C,A]) = [A,B]C +B[A,C]. (3.2)

Calcoliamo ora il prodotto [AB,CD] usando le due formule per il prodotto in cascata prima in unordine e poi in quello inverso.

[AB,CD] = [A,CD]B + A[B,CD]

= ([A,C]D + C[A,D])B + A ([B,C]D + C[B,D])

= [A,C]DB + AC[B,D] + C[A,D]B + A[B,C]D.

(3.3)

Allo stesso modo ma usando prima la regola (3.2) si perviene a

[AB,CD] = [A,C]BD + CA[B,D] + A[B,C]D + C[A,D]B.

Eguagliando con la (3.3) e cancellando le parti comuni si arriva a

[A,C](BD −DB) = (AC −CA)[B,D],

ovvero(7)

(AC − CA)−1[A,C] = [B,D](BD −DB)−1.

Questo per ogni quaterna di operatori A,B,C,D. Poiche il primo membro non dipende da B,D edil secondo da A,C segue che devono essere ”costanti”, nel senso che devono essere l’operatore kIper un opportuno k ∈ C indipendente da A,B,C,D, ovvero

[F,G] = k(FG−GF ).

Vediamo ora che k e immaginario puro. Se F e G sono osservabili reali la condizione che [F,G] losia si legge come:

[F,G]⋆ = [F,G]. (3.4)

Del resto

[F,G]⋆ = k(FG−GF )⋆ = k(G⋆F ⋆ − F ⋆G⋆) = k(GF − FG) = −k(FG−GF ) = − kk[F,G].

Per cui la (3.4) puo essere vera solo sek = −k,

ovvero k e immaginario puro.

Le parentesiih[F,G] = (FG−GF ),

soddisfano l’assioma 3.7 e dunque saranno il nostro punto di partenza per la costruzione delleequazioni di evoluzione, oltre alla caretterizzazione delle funzioni Q e P (posizione ed impulso) chedovranno soddisfare la relazione

[Q,P ] = I. (3.5)

7Sebbene un po’ sportivamente. . .

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Vedremo tra poco come sia possibile costruire le versioni quantistiche delle funzioni Q, P chesoddisfino la (3.5) e la versione quantistica dell’hamiltoniana H . Notiamo ora il seguente particolare:l’equazione di commutazione (3.5) puo essere esplicitamente riscritta come

QP − PQ = ihI.

In meccanica classica e ben noto che le coordinate canoniche Q e P commutano. Cio corrisponde alvalore h = 0. In effetti la costante h e molto piccola una volta rapportata alle situazioni concrete.Possiamo in questo modo intravedere lo spiraglio che permette di ”riottenere” la meccanica classicada quella quantistica come caso limite quando la costante h tende a 0.

3.5 Il principio d’indeterminazione

Mostriamo la potenza del linguaggio introdotto recuperando una delle piu sorprendenti conclusionidella teoria: il principio d’indeterminazione di Heisenberg.

A tal fine introduciamo un concetto nuovo. Abbiamo detto che se F e un’osservabile allora ilsuo valore medio nello stato ϕ e dato dal numero 〈F 〉ϕ = (Fϕ,ϕ) (se ϕ e unitario). E importanteintrodurre una quantita che misuri lo scostamento dal valore medio:

Definizione 3.9 (Varianza) Se F e un’osservabile si pone

Var(F,ϕ) := 〈(F − 〈F 〉ϕI)2〉ϕ = ((F − 〈F 〉ϕI)2ϕ,ϕ)

Due importanti fatti sono i seguenti:

i) Se F e un’osservabile reale allora

Var(F,ϕ) = ((F − 〈F 〉ϕI)2ϕ,ϕ) = ((F − 〈F 〉ϕI)ϕ, (F − 〈F 〉ϕI)ϕ) = ‖(F − 〈F 〉ϕI)ϕ‖2 .

ii) Se ϕ e un autostato per l’osservabile F , cioe Fϕ = λϕ, allora 〈F 〉ϕ = λ, per cui

Var(F, ϕ) =⟨(F − 〈F 〉ϕI)2

⟩ϕ

= ((F − λI)(F − λI)ϕ,ϕ) = 0,

ovvero Var(F,ϕ) = 0.

Questo evidentemente corrisponde all’interpretazione che abbiamo dato agli autostati e cioe che sudi essi la misura della grandezza di cui sono autostati e determinata con certezza. Questa perfettadescrizione mostra come le nuove regole di calcolo che stiamo introducendo siano coerenti conl’interpretazione cui esse corrispondono; questo e un punto fondamentale in tutta la fisica teorica.

Consideriamo ora la relazioneQP − PQ = ihI,

ammettendo di aver costruito Q e P come osservabili reali. Poniamo

∆Q :=√

Var(Q,ϕ) = ‖(Q− 〈Q〉ϕI)ϕ‖,

ed una simile definizione per ∆P .

Teorema 3.10 (Principio d’indeterminazione di Heisenberg)

∆Q∆P ≥ h

2.

Osservazione 3.11 Detta in parole povere: il prodotto fra gli errori che si possono commetteremisurando Q e P simultaneamente e limitato inferiormente. Nella notazione di Heisenberg ∆q∆p ≥h2, per cui se uno degli errori e piccolo l’altro deve essere grosso.

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Dim. — Osserviamo che dall’identita

QP − PQ = ih,

segue immediatamente la stessa con Q e P centrate rispetto al valore medio:

(Q− 〈Q〉ϕI)(P − 〈P 〉ϕI)− (P − 〈P 〉ϕI)(Q− 〈Q〉ϕI) = ihI.

Per alleggerire la notazione indichiamo con δQ := Q − 〈Q〉ϕI ed un’analoga definizione per δP .Dunque l’equazione precedente si riscrive come

(δQ)(δP )− (δP )(δQ) = ihI.

Ma allora, preso ϕ ∈ D(Q) ∩D(P ) unitario abbiamo

ih = i(ϕ, ϕ)

= ((δQδPϕ− δPδQ)ϕ,ϕ)

= (δQδPϕ,ϕ) − (δPδQϕ,ϕ)

= (δPϕ, δQϕ)− (δQϕ, δPϕ) δQ, δP simmetrici perche reali

= (δPϕ, δQϕ)− (δPϕ, δQϕ)

= i2Im (δPϕ, δQϕ) ,

da cuih

2≤ |(δPϕ, δQϕ)|

≤ ‖δPϕ‖‖δQϕ‖ per Cauchy–Schwarz

= ∆Q∆P.

3.6 Quantizzazione delle osservabili fondamentali

Fin qui abbiamo introdotto lo spazio degli stati e come sono fatte le osservabili. Tenendo contodi cio abbiamo derivato la forma delle parentesi di Poisson compatibili con tali impostazioni.Nell’introdurre i vari concetti abbiamo anche visto come siano coerenti con alcune interpretazionifisiche: dal concetto di valore medio, autovalore, fino al principio d’indeterminazione di Heisenberg.Quest’ultimo caso mette in gran risalto le osservabili Q e P , dalla cui proprieta formale [Q,P ] = Iabbiamo dedotto il principio d’indeterminazione.

Ma come sono definiti esplicitamente Q e P ? E giunto il momento di scendere un po’ piu nelconcreto e di definire compiutamente tali osservabili. E un passaggio fondamentale perche la ”quan-tizzazione” di Q e P permettera di definire anche la ”quantizzazione” dell’hamiltoniana H (che,ricordiamo, fisicamente rappresenta l’energia).

3.6.1 Quantizzazione di Q

Questa e l’operazione piu semplice. Dobbiamo definire Q : D(Q) ⊂ X→ X. Ricordiamoci anzituttoche gli elementi di X sono distribuzioni di probabilita (una volta normalizzate) che ci danno in-formazione sulla localizzazione della particella. In ambito classico la particella e individuata da unnumero q che ne determina la posizione nello spazio. Non e difficile costruire una distribuzione diprobabilita che traduca cio: lo stato ϕ dovra essere tale che

∫ b

a

|ϕ(x)|2dx =

0 se q /∈ [a, b]

1 se q ∈ [a, b].

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Tale stato e rappresentato dalla celebre delta di Dirac δq(x), nel senso che ϕ(x) = δq(x). Ora unasimile funzione, com’e noto, non esiste come funzione ordinaria, bensı come funzione generalizzata.Procediamo formalmente, come se δq ∈ X. Allora chiaramente

(Qδq)(x) =

q se x = q

0 se x 6= q

= qδq(x) = xδq(x).

Il primo e l’ultimo membro dell’eguaglianza precedente si leggono, estesi ad ogni stato, come

[Qϕ](x) = xϕ(x), x ∈ R. (3.6)

Assumiamo quasta come definizione di Q. E da notare che affinche Qϕ ∈ X bisogna che∫

R

|Qϕ(x)|2dx =

R

x2|ϕ(x)|2dx.

L’esistenza di questo integrale in genere non e garantita dal fatto che ϕ ∈ X com’e facile vedere.Questo significa che Q non sara definito su tutto X, ma avra un dominio:

D(Q) :=

ϕ ∈ X :

R

x2|ϕ(x)|2dx <∞.

Questo fatto si porta appresso una complicazione non da poco, cioe che come trasformazione da X

in X, Q non e continuo (esercizio). Non ci occuperemo di questo aspetto se non per commentare inseguito, dopo l’introduzione anche di P , che l’equazione [Q,P ] = I gia contiene questo spiacevoleimprevisto.

Notiamo, per concludere, che Q e un’osservabile reale:

(Qϕ,ψ) =

R

xϕ(x)ψ(x)dx =

R

ϕ(x)xψ(x)dx = (ϕ,Qψ).

3.6.2 Quantizzazione di P

Cerchiamo di costruire P in modo tale che valga l’identita fondamentale

QP − PQ = ihI.

Avendo gia costruito Q ci si puo attendere che la precedente sia una sorta di equazione per P .Vediamo piu concretamente l’equazione, applicandola allo stato generico ϕ:

QPϕ− PQϕ = ihϕ.

Ora Qϕ(x) = xϕ(x). Possiamo riscrivere l’identita precedente come8

P (xϕ(x)) = x[Pϕ](x)− ihϕ.

Ora un’identita come quella appena scritta ricorda le proprieta di derivata di un prodotto, dove Pe l’operazione di derivazione. In altre parole: poniamo

[Pϕ](x) := −ihϕ′(x). (3.7)

E ora immediato verificare che con questa posizione l’identita fondamentale di commutazione esoddisfatta.

Abbiamo dedotto una definizione di P di modo tale che l’identita fondamentale fosse soddisfatta.Tutto cio potrebbe sembrare un po’ astratto. Tuttavia P sta al momento della particella come Qsta alla posizione. In effetti se q(t) e la posizione della particella, δq(t) e lo stato corrispondente.

8Ad essere rigorosi andrebbe riscritta come

[P (· × ϕ(·)] (x) = x[Pϕ](x) − ihϕ(x),

ma chiaramente cosı la notazione sarebbe molto piu pesante.

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Supponiamo che t ∼ t0. Allora q(t) ∼ q(t0)+ p(t− t0), ove p = q(t0). Pertanto δq(t) ∼ δq(t0)+p(t−t0).In altre parole un momento p fa traslare la funzione d’onda. Sostituendo la δ con la generica ϕavremo un ”flusso” di stati

Mξϕ(x) = ϕ(x+ ξ)

La generalizzazione della formula q(t) ∼ q(0) + tp e data dalla formula di Taylor:

Mξϕ(x) ∼ ϕ(x) + ϕ′(x)ξ.

Possiamo allora, per analogia con il caso classico, pensare che ϕ′(x) sia, a meno di costanti, ilmomento generalizzato di ϕ. La costante va scelta di modo che la regola di commutazione con Qvalga oppure imponendo che P sia osservabile reale.

Osserviamo, come gia per Q, che P non sara definito su tutto X, ma avra un dominio

D(P ) =

ϕ ∈ X : ∃ϕ′,

R

|ϕ′(x)|2 dx <∞.

Tale dominio e piu difficile da identificare del dominio di Q. Infatti non e chiaro quali condizioni suϕ ∈ X determinino l’esistenza (ed in che senso) di ϕ′. Per esempio ϕ ∈ C∞

c e sicuramente in D(P ),ovvero C∞

c ⊂ D(P ). Su tale parte del dominio e facile vedere che P e reale: si tratta della formulad’integrazione per parti. Se infatti ϕ,ψ ∈ C∞

c allora

(Pϕ,ψ) =

R

−ihϕ′(x)ψ(x)dx

= [−ihϕ(x)ψ(x)]x=+∞x=−∞ + ih

R

ϕ(x)ψ′(x)dx

=

R

ϕ(x)(−ihψ′(x))dx = (ϕ,Pψ).

Chiudiamo questa sezione osservando che il fatto che sia Q che P risultino non continui non e unasorpresa, ma e profondamente legato alla equazione fondamentale di commutazione e questo e unfatto puramente algebrico–topologico! Infatti:

Teorema 3.12 Se Q,P soddisfano la relazione

QP − PQ = ihI,

allora almeno uno dei due deve essere illimitato(9) (ovvero discontinuo).Dim. — Osserviamo anzitutto che

QnP = Qn−1QP = Qn−1 (PQ+ ihI) = Qn−1PQ+ ihQn−1

= Qn−2(QP )Q+ ihQn−1 = Qn−2(PQ+ ihI)Q+ ihQn−1 = Qn−2PQ2 + i2hQn−1

...= PQn + inhQn−1,

cosı cheQnP − PQn = inhQn−1.

Similmente PnQ − QPn = −inhPn−1. Ora: se Q e P fossero continui (cioe le rispettive normeoperatoriali fossero finite) avremmo che

nh‖Qn−1‖ = ‖QnP−PQn‖ ≤ ‖Qn−1‖‖QP‖+‖PQ‖‖Qn−1‖, =⇒ nh ≤ ‖QP‖+‖PQ‖, ∀n ∈ N.

Essendo n arbitrario si ha una contraddizione.

9Ricordiamo qui che un operatore L : X −→ X si dice limitato se e continuo. In tal caso e solo in questoe ben definita la norma operatoriale

‖L‖ := sup‖ϕ‖X≤1

‖Lϕ‖X.

Direttamente dalla definizione segue che ‖Lϕ‖X ≤ ‖L‖‖ϕ‖X per ogni ϕ ∈ X. Inoltre ‖LM‖ ≤ ‖L‖‖M‖.

Page 19: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

19

3.6.3 Quantizzazione di H

Tutto sommato questa e la parte facile del lavoro. Infatti l’idea e sbalorditivamente semplice. Pren-diamo l’hamiltoniana classica del sistema, cioe la funzioneH ≡ H(q, p) che descriverebbe in contestoclassico la dinamica del sistema secondo le equazioni (2.4). L’idea e di ”sostituire” alle coordinategeneralizzate classiche q e p quelle quantistiche Q e P . Si tratta cioe di vedere come costruire unafunzione di operatori. In alcuni casi quest’operazione e semplice. Supponiamo ad esempio che f(q)sia un polinomio in q,

f(q) = a0 + a1q + a2q2 + . . .+ anq

n.

E facile costruire l’espressione f(Q) ponendo

f(Q) = a0I + a1Q+ a2Q2 + . . .+ anQ

n,

dove le potenze sono semplicemente la composizione. In particolare, tenendo conto del fatto cheQϕ(x) := xϕ(x) avremo che

Qnϕ(x) = xnϕ(x), =⇒ [f(Q)ϕ] (x) = a0ϕ(x) + a1xϕ(x) + . . .+ anxnϕ(x) = f(x)ϕ(x),

cosı che f(Q) altro non e che l’operatore di moltiplicazione per f se f e un polinomio. In generale,se f e una funzione arbitraria, possiamo assumere che

[f(Q)ϕ] (x) := f(x)ϕ(x),

cioe che f(Q) sia l’operatore di moltiplicazione per f . Lo stesso discorso potrebbe essere formalmenteripetuto per una funzione di p. Nuovamente: se g(p) = a0 + a1p+ a2p

2 + . . . anpn e un polinomio,

allora potremmo porreg(P ) = a0 + a1P + . . .+ anP

n.

Osservato che

[Pnϕ] (x) = (−ih)ndn

dxnϕ(x) = (−ih)nϕ(n)(x).

In questo caso g(P ) diventa un’operatore differenziale. Se pero g non e un polinomio le cose si

complicano notevolmente. Se g(p) = sin p cosa sarebbe sinP ? Oppure P13 ? Questo e un problema,

cosı come e un problema il fatto che noi dobbiamo ”quantizzare” la funzione H che dipende con-giuntamente da q e p. Se si pensa al caso di una del tipo H(q, p) = qp ci s’imbatte nel problema che,se nei numeri qp = pq tra gli operatori QP 6= PQ! E dunque non e chiaro quale sia (ammesso che cene sia una) la funzione da quantizzare. Fortunatamente, nella meccanica quantistica, tutte questesono ”chiacchiere” superabili facilmente perche la dipendenza da q e p e separata e non compaionofunzioni strane della p. Vedremo, tuttavia, che quando si passera a quantizzare i campi allora ilproblema si porra in maniera fondamentale.

Prendiamo allora l’hamiltoniana dell’inizio:

H(q, p) =1

2mp2 + V (q). (3.8)

Ora la sostituzione formale produce:

H(Q,P ) ≡ H =1

2mP 2 + V (Q).

Quindi almeno il problema della non commutativita fra Q e P non si pone. Per quanto detto sopra

[P 2ϕ](x) = (−ih)2ϕ′′(x) = −h2ϕ′′(x),

mentre[V (Q)ϕ](x) = V (x)ϕ(x).

Cio detto la quantizzazione di H e compiuta:

H := − h2

2m

d2

dx2+ V×, (3.9)

ovvero, sulla funzione d’onda ϕ

Hϕ = − h2

2mϕ′′(x) + V (x)ϕ(x).

Osserviamo che C∞c ⊂ D(H) e che H e simmetrico (quindi e un’osservabile reale) su C∞

c .

Page 20: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

20

3.7 Equazione di Schrodinger

Vogliamo ora determinare le equazioni di evoluzione degli stati e delle osservabili. Avendo introdottole parentesi di Poisson [·, ·] e avendo quantizzato le osservabili fondamentali Q,P,H assumeremocome base di partenza che l’evoluzione di una generica osservabile sia descritta dall’equazione diHeisenberg:

Assioma 3.13 L’evoluzione Ft di un’osservabile e governata dall’equazione

Ft = [Ft,H] = [F,H]t

Nel formalismo classico l’evoluzione delle osservabili e descritta, equivalentemente, conoscendo ilmoto nello spazio delle fasi dalla regola

ft(q, p) = f(Tt(q, p)),

dove Ttt∈R e il flusso ad un parametro di diffeomorfismi dello spazio delle fasi, determinatodalla risoluzione delle equazioni di Hamilton. Qui non disponiamo delle equazioni di Hamilton,ma potremmo generalizzare la precedente posizione per legare il moto degli stati a quello delleosservabili. Se infatti l’espressione ft(q, p) =valore dell’osservabile f al tempo t nello stato (q, p),potremmo sostituire tale espressione con 〈Ft〉ϕ =valore medio dell’osservabile F al tempo t sullostato ϕ. Dunque avremmo una nuova equazione

〈Ft〉ϕ = 〈F 〉ϕt , (3.10)

dove F = F0. Il primo fatto interessante e il seguente:

Proposizione 3.14 (conservazione dell’energia ed unitarieta della dinamica)

〈H〉ϕt = 〈H〉ϕ, ‖ϕt‖ = ‖ϕ‖.Dim. — Infatti:

d

dt〈H〉ϕt =

d

dt〈Ht〉ϕ =

(d

dtHtϕ,ϕ

)= ([H,H]tϕ,ϕ) = 0.

Per la seconda basta osservare che ‖ϕt‖2 = 〈Id〉ϕt e ripetere l’argomento(10).

Si puo andare oltre. Scriviamo T (t)ϕ := ϕt. L’unitarieta significa che ‖T (t)ϕ‖ = ‖ϕ‖, ovvero

(T (t)ϕ,T (t)ϕ) = (ϕ,ϕ), ∀ϕ ∈ X.

In effetti T (t) non lascia invariate solo le lunghezze in X ma anche gli angoli, nel senso che

Proposizione 3.15(T (t)ϕ,T (t)ψ) = (ϕ,ψ), ∀ϕ,ψ ∈ X.

Dim. — Basta ricordare l’identita di polarizzazione

(ϕ,ψ) =1

4

[‖ϕ+ ψ‖2 − ‖ϕ− ψ‖2 + i‖ϕ+ iψ‖2 − i‖ϕ− iψ‖2

].

Allora

(T (t)ϕ,T (t)ψ) = 14

[‖T (t)(ϕ+ ψ))‖2 − ‖T (t)(ϕ− ψ)‖2 + i‖T (t)(ϕ+ iψ)‖2 − i‖T (t)(ϕ− iψ)‖2

]

= 14

[‖ϕ+ ψ‖2 − ‖ϕ− ψ‖2 + i‖ϕ+ iψ‖2 − i‖ϕ− iψ‖2

]

= (ϕ,ψ).

10Piu in generale osserviamo che se F e un’osservabile tale che [F,H] = 0, che nella fattispecie significa F

commuta con H, allora i valori medi di F si conservano; se si osserva che nel caso della meccanica classicala condizione f, H esprime il fatto che f e un integrale primo per le equazioni di Hamilton, potremmointendere la condizione suddetta sulle osservabili come condizione caratteristica degli integrali primi nellaversione quantistica.

Page 21: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

21

In modo perfettamente identico introduciamo la forma bilineare a(ϕ,ψ) = (Hϕ, ψ). Questo e unasorta di prodotto scalare che viene lasciato inalterato dalla dinamica:

Proposizione 3.16a (T (t)ϕ,T (t)ψ) = a(ϕ,ψ), ∀ϕ,ψ ∈ D(H).

Dim. — Simile alla precedente.

Reintroducendo l’energia, la proposizione precedente afferma che

(HT (t)ϕ, T (t)ψ) = (Hϕ,ψ) , ∀ϕ,ψ ∈ D(H).

In termini geometrici T (t) e una ”rotazione” in X che lascia invariati gli ”angoli” calcolati siarispetto all’energia che rispetto al prodotto scalare di X. Verrebbe dunque da pensare T (t) come una”matrice” unitaria. Al momento non e pero nemmeno evidente che debba essere lineare. Mostriamoquesto fatto.

Proposizione 3.17T (t) ∈ L(X), ∀t ∈ R.

Dim. — A titolo di esempio mostriamo l’additivita. Chiamiamo T := T (t), T−1 = T (−t). Dallaproposizione 3.15 abbiamo che

(T (ϕ1 + ϕ2), ψ) =(ϕ1 + ϕ2, T

−1ψ)

=(ϕ1, T

−1ψ)

+(ϕ2, T

−1ψ)

= (Tϕ1, ψ) + (Tϕ2, ψ)

= (Tϕ1 + Tϕ2, ψ) .

Dunque: T (t) e un’isometria lineare che deve conservare il prodotto dell’energia. Non e inoltredifficile osservare che T (t)t∈R e un gruppo ad un parametro di tali isometrie, nel senso cheT (t+ s) = T (t)T (s) e T (0) = I . Invero, osservato che

〈F 〉T (t+s)ϕ = 〈Ft+s〉ϕ = 〈(Ft)s〉ϕ = 〈Ft〉T (s)ϕ = 〈F 〉T (t)T (s)ϕ,

per ogni osservabile F , e facile verificare che T (t+ s)ϕ = T (t)T (s)ϕ. Per vedere questo abbiamo il

Lemma 3.18〈F 〉ϕ = 〈F 〉ψ, ∀F osservabile, ⇐⇒ ϕ = ψ (mod. eiα)

Dim. — L’implicazione inversa e evidente. Per la diretta, basta considerare come operatore F glioperatori Fω := (ω,ϕ)ϕ e Fω := (ω,ψ)ψ (operatori di proiezione sui vettori ϕ e ψ rispettivamente).E facile vedere che sono osservabili. Applicando il primo la relazione 〈F 〉ϕ = 〈F 〉ψ diventa

‖ϕ‖4 = |(ϕ, ψ)|2, ⇐⇒ ‖ϕ‖2 = |(ϕ,ψ)|,

mentre applicando il secondo si ottiene ‖ψ‖2 = |(ϕ, ψ)|. Siccome ϕ e ψ sono unitari ne segue che|(ϕ,ψ)| = 1. Ora: scriviamo ϕ = (ϕ,ψ) + ψ⊥, dove ψ⊥ e ortogonale a ψ. Se ψ⊥ 6= 0, allora per ilteorema di Pitagora

‖ϕ‖2 = ‖(ϕ,ψ)ψ‖2 + ‖ψ⊥‖2 > |(ϕ, ψ)|2‖ψ‖2 = ‖ϕ‖4, =⇒ ‖ϕ‖ < 1,

che e impossibile. Dunque ψ⊥ = 0 e quindi ϕ = (ϕ, ψ)ψ dove |(ϕ, ψ)| = 1 per cui si puo scrivereϕ = eiαψ con α ∈ R.

Page 22: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

22

Dunque T (t+ s)ϕ = eiαT (t)T (s)ϕ con eiα unitario. Siccome da un punto di vista fisico eiαψ ≡ ψaccettiamo senz’altro che T (t+ s) = T (t)T (s).

A questo punto dovremmo attenderci che esista un operatore L simmetrico (un’osservabile) taleche

T (t) = eitL.

Questo, con l’aggiuntiva e naturale ipotesi che t 7−→ T (t)ϕ ∈ C([0,+∞[; X) e il teorema di Stone,che qui accettiamo(11). Il punto e: chi e L? Un semplice ragionamento svela il mistero. Osserviamoanzitutto che, presa un’osservabile F ,

〈F 〉T (t)ϕ =(FeitLϕ, eitLϕ

)=(e−itLFeitLϕ, ϕ

)= 〈e−itLFeitL〉ϕ.

In questo modoFt = e−itLFeitL.

Ma Ft risolve l’equazione di Heisenberg Ft = [Ft,H], mentre

ddt

(e−itLFeitL

)= −iLe−itLFeitL + ie−itLFeitLL = −i

(Le−itLFeitL − e−itLFeitLL

)

= h[L, e−itLFeitL

]

=[e−itLFeitL,−hL

].

Allora deve essere [e−itLFeitL,−hL

]= [Ft,H] ,

che per t = 0 si riduce a [F,−hL] = [F,H], per ogni osservabile F , ovvero [F,−hL − H] = 0 ∀Fosservabile.

Lemma 3.19[F,G] = 0, ∀F osservabile, ⇐⇒ G = cI.

Dim. — Supponiamo che esista una ϕ 6= 0 tale che Gϕ = cϕ + ϕ⊥, dove ϕ⊥ 6= 0 e ortogonale aϕ. Vogliamo costruire un’osservabile F tale che [F,G] 6= 0, ovvero FG − GF 6= 0. Per fare questoosserviamo che

(FG−GF )ϕ = F(cϕ+ ϕ⊥)−GFϕ = cFϕ+ Fϕ⊥ −GFϕ.

Definiamo in modo lineare F di modo che Fϕ = ϕ, Fϕ⊥ = 2ϕ⊥ e F = 0 sul complementareortogonale. Allora

(FG−GF )ϕ = cϕ+ 2ϕ⊥ −Gϕ = cϕ+ 2ϕ⊥ − cϕ− ϕ⊥ = ϕ⊥ 6= 0.

Dunque Gϕ = cϕϕ per ogni ϕ ∈ X. Ora supponiamo che Gϕ1 = c1ϕ1, Gϕ2 = c2ϕ2, con ϕ1 e ϕ2

perpendicolari ed unitari. Mostriamo che c1 = c2. Invero consideriamo ϕ1 +ϕ2. Deve esistere c taleche G(ϕ1 + ϕ2) = c(ϕ1 + ϕ2). Ma G(ϕ1 + ϕ2) = c1ϕ1 + c2ϕ2, da cui

cϕ1 + cϕ2 = c1ϕ1 + c2ϕ2.

Ma questo e evidentemente possibile se e solo se c1 = c = c2.

Allora L = − 1hH + cI dove c e reale (perche sia un osservabile), e quindi

T (t) = e−iht(H+cI).

Questo significa che

T (t)ϕ = − ih

(H + cI)T (t)ϕ = − ihHT (t)ϕ− ic

hT (t)ϕ, ⇐⇒ d

dt

(e

ichtT (t)ϕ

)= − i

he

ichtHT (t)ϕ,

11Cosa esattamente significhi eitL non lo specifichiamo qui; in generale L non e un operatore continuo percui l’esponenziale non viene definito attraverso la serie esponenziale. Quello che ci interessa e che abbia lestesse proprieta formali dell’esponenziale come se L fosse un’operatore lineare continuo.

Page 23: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

23

ovvero che ψ(t) = eichtT (t)ϕ risolve

ψ(t) = − ihHψ(t), ⇐⇒ ψ(t) = e−

ihtHψ(0), ⇐⇒ T (t)ϕ = e−i

chte−

ihtHϕ.

Nuovamente, siccome il fattore e−icht e immaginario puro e e−i

chte−

ihtHϕ e e−

ihtHϕ rappresentano

lo stesso stato, poniamo c = 0 ed abbiamo

T (t)ϕ = e−ihtHϕ.

Abbiamo cioe il

Teorema 3.20 La (3.10) e valida se e solo se ϕt e soluzione dell’equazione di Schrodinger

ϕt = − ihHϕt. (3.11)

Osservazione 3.21 Sosituendo l’espressione (3.9) nella (3.11) si trova:

ih∂tϕ(t, x) = − h2

2m∂xxϕ(t, x) + V (x)ϕ(t, x).

La soluzione dell’equazione di Schrodinger viene indicata con la scrittura

ϕt = e−ihtHϕ.

Vale la pena di osservare che l’operatore di Schrodinger − ihH e antisimmetrico essendo

(− ihHϕ, ψ

)= − i

h(Hϕ,ψ) = − i

h(ϕ,Hψ) = −

(ϕ,− i

hHψ),

per cui l’operatore e−ihtH e unitario, per quanto visto gia nel Corollario 2.7. Inoltre, di speciale

importanza sono gli stati nei quali l’energia H assume un valore certo λ, vale a dire gli autostatiϕ tali che Hϕ = λϕ. Infatti, per tali stati l’evoluzione e molto semplice: procedendo formalmenteavremmo

e−ihtHϕ ” = ”

n

(− iht)n

n!Hnϕ =

n

(− iht)n

n!λnϕ = e−

ihtλϕ.

Sebbene apparentemente tale identita poggi sul nulla, la risposta finale e corretta perche se u(t, x) =

e−ihtλϕ(x) allora

∂tu(t, x) = − ihλe−

ihtλϕ(x) = − i

he−

ihtλ(Hϕ)(x) = − i

h

(He− i

htλϕ)

(x) = − ihHu(t, ·)(x)

= − ih

(− h2

2m∂xxu(t, x) + V (x)u(t, x)

),

ovvero u risolve l’equazione di Schrodinger. Il fatto interessante e che la formula u(t, x) = e−ihtλϕ(x)

illustra molto bene l’unitarieta ed il fatto che lo stato iniziale ϕ non viene modificato in ampiezzaquanto in ”fase” (spiegando a posteriori i fenomeni di interferenza citati all’inizio). Per fare unulteriore passo osserviamo che se poi abbiamo un sistema ϕnn∈N di autostati per H relativi adautovalori λnn∈N, sistema che sia una base ortonormale per X

(12), allora possiamo ricostruireintegralmente la soluzione dell’equazione di Schrodinger attraverso uno sviluppo in serie. Infattibastera osservare che

e−ihtHϕ =

n

cne− i

htHϕn =

n

cne− i

htλnϕn.

Dunque costruire una base ortonormale di autofunzioni per l’hamiltoniana quantistica permette dirisolvere numerosi altri problemi, ivi compresa l’evoluzione degli stati (che e ovviamente il problemafondamentale). Diventa pertanto un problema matematico che e interessante affrontare.

12Cioe tale le ϕn siano unitarie, perpendicolari (nel senso che (ϕn, ϕm) = 0 se n 6= m) e che ogni altraϕ ∈ X si scriva ϕ =

∑n∈N

cnϕn. In tal caso cn = (ϕ, ϕn).

Page 24: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

24

3.8 L’Oscillatore Armonico

Con oscillatore armonico chiameremo il caso di un sistema quantistico la cui hamiltoniana classicacorrisponda a quella appunto di un oscillatore armonico, cioe

H(q, p) =1

2mp2 +

κ

2q2.

L’analisi di questo caso e fondamentale per diversi motivi. Anzitutto costituisce un esempio nonbanale completamente calcolabile(13) che permette di vedere in maniera limpida come la teoriapermetta di spiegare la stabilita della struttura della materia. In secondo luogo costituisce il puntodi partenza per la costruzione del cosidetto campo libero, che puo essere immaginato come unasovrapposizione di infiniti oscillatori armonici. Infine e anche il punto di partenza per le cosidetteperturbazioni, vale a dire dei casi con esergia potenziale V somma di quella di oscillatore armonico12κq2 con un’energia potenziale V1(q).Normalizzando opportunamente le costanti (prenderemo m = κ = 1) consideriamo l’hamiltoniana

classica

Hosc(q, p) =1

2(q2 + p2),

corrispondente a quella quantistica

Hosc := − h2

2

d2

dx+

1

2x2 × .

Due sono le questioni che affronteremo: i possibili valori dell’energia e la soluzione dell’equazione diSchrodinger (3.11).

3.8.1 Analisi spettrale

I valori dell’energia sono gli autovalori dell’hamiltoniana, come abbiamo detto nella sezione 3.5.Chiameremo spettro puntuale di Hosc l’insieme

σp(Hosc) := λ ∈ R : λ e autovalore per Hosc .

In questa sezione dimostreremo il seguente

Teorema 3.22

σp(Hosc) =h(

1

2+ n)

: n ∈ N ∪ 0.

Inoltre: per ogni λ ∈ σp(Hosc) l’autospazio relativo all’autovalore λ ha dimensione 1.

Osservazione 3.23 (Interpretazione) Il teorema 3.22 dice che l’energia assume solo un’ infinitadiscreta di valori, in forte contrasto con le proprieta classiche dell’energia. Tuttavia questo non eaffatto in contrasto con gli esperimenti di fisica atomica ed anzi spiega quel fenomeno ”assurdo”della quantizzazione dell’energia. Ciascuno degli autostati corrispondera ad un differente livello dienergia; verra mostrato come sara possibile operare su uno stato per farlo passare da un livello adun altro di energia, a scatti, conformemente con l’esperienza che mostra l’esistenza di precise sogliedi energia oltre le quali e possibile far ”scattare” le particelle da un livello ad un’altro.

La dimostrazione del teorema (3.22) e piuttosto lunga anche se elementare: avremo modo di ap-prezzare il formalismo introdotto. Cominciamo dall’hamiltoniana quantistica(14) nella forma

Hosc =1

2(P 2 +Q2).

Osserviamo che se P e Q fossero numeri si avrebbe

P 2 +Q2 = (Q− iP )(Q+ iP ).

13Vedremo poi cosa s’intende con la locuzione ”completamente calcolabile”.14D’ora innanzi semplicemente l’hamiltoniana

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25

Tuttavia Q e P sappiamo non commutano, per cui l’ordine in un prodotto e importante. Osserviamoallora che

(Q− iP )(Q+ iP ) = Q2 + i(QP − PQ) + P 2 = Q2 + P 2 − hI = 2Hosc − hI

ovvero

Hosc =1√2(Q− iP )

1√2(Q+ iP ) +

h

2I = A♥A♠ +

h

2I, (3.12)

ove gli operatori A♥ e A♠ sono definiti dalla fattorizzazione del secondo membro della (3.12). Talioperatori vengono detti (per una ragione che sara chiara fra poco) rispettivamente di creazione eddistruzione. Non sono osservabili reali, ma sono legati fra loro dalla relazione

Lemma 3.24(A♥ϕ,ψ) = (ϕ,A♠ψ), ∀ ϕ, ψ ∈ X,

ovvero A♠ =(A♥)⋆ .

Dim. — Ricordato che Q e P sono osservabili e che il prodotto su X e hermitiano abbiamo:

((Q− iP )ϕ,ψ) = (Qϕ,ψ)− i(Pϕ,ψ)

= (ϕ,Qψ)− i(ϕ, Pψ)

= (ϕ, (Q+ iP )ψ).

La fattorizzazione (3.12) si rivelera importantissima. Tanto per cominciare da qui in poi indicheremosemplicemente con A l’operatore di creazione ed, in virtu del lemma precedente, A⋆ l’operatore didistruzione.

Proposizione 3.25 Se ϕ0 ∈ X e tale che

A⋆ϕ0 = 0,

allora

Hoscϕ0 =h

2ϕ0.

Lo stato ϕ0 si dice stato fondamentale.

Dunque e utile risolvere A⋆ϕ0 = 0 (15). Scriviamo questa equazione

A⋆ϕ0 = 0⇐⇒ (Q+ iP )ϕ0 = 0⇐⇒ xϕ0(x) + hϕ′(x) = 0.

Si tratta di una semplice equazione differenziale la cui soluzione generale e

ϕ0(x) = Ke−12hx2

.

E evidente che ϕ0 ∈ X. Scegliamo K di modo tale che ‖ϕ0‖ = 1. Otteniamo:

ϕ0(x) = (πh)−1/4e−12hx2

.

Facciamo qualche considerazione sul significato di ϕ0. Tornando all’interpretazione originaria,rispetto allo stato ϕ0 abbiamo che

P (particella ∈ [a, b]) =

∫ b

a

|ϕ0(x)|2 dx =1√πh

∫ b

a

e−x2

h dx = N(0,h

2

)([a, b]),

15Con l’interpretazione di A⋆ come operatore di distruzione, ϕ0 e lo stato di energia minima, caratterizzatodal fatto che, levandogli un’unita (quanto) di energia, cessa di esistere. Una volta trovato ϕ0 costruiremotutti gli altri autostati successivamente aggiungendo energia, attraverso A.

Page 26: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

26

Ñ 2Ñ

Figure 1: La distribuzione di probabilita associata a ϕ0.

cioe in termini della distribuzione di probabilita |ϕ0|2 essa e una gaussiana di media 0 e varianzah2. Lo stato ϕ0 corrisponde allo stato di quiete, se osserviamo che

〈Q〉ϕ0 = (Qϕ0, ϕ0) =

R

(Qϕ0)(x)ϕ0(x) dx =

R

xϕ0(x)2 dx = 0,

e

〈P 〉ϕ0 =

R

−ihϕ′0(x)ϕ0(x) dx = −ih

R

− 2

hxϕ0(x)

2 dx = 0.

Inoltre e lo stato di energia minima. Infatti se ϕ e un autostato unitario per H, Hϕ = λϕ, allora

λ = 〈H〉ϕ = 〈AA⋆ +h

2I〉ϕ = 〈AA⋆〉ϕ +

h

2‖ϕ‖2 = ‖A⋆ϕ‖2 +

h

2>h

2,

a meno che A⋆ϕ = 0, che vuol dire ϕ = ϕ0.Procediamo ora nella determinazione degli altri autovalori dell’energia. Prima di immergerci nei

calcoli vediamo qualche utile identita:

Lemma 3.26[A,A⋆] = iI, [Hosc, A] = −iA.

Dim. — Si tratta di semplici verifiche. Abbiamo

ih[A,A⋆] = (AA⋆ −A⋆A) = 12

[(Q− iP )(Q+ iP )− (Q+ iP )(Q− iP )]

= 12

[Q2 + iQP − iPQ+ P 2 −

(Q2 + P 2 + iPQ− iQP

)]

= i (QP − PQ)

= i · ih[Q,P ]

= −hI,

da cui segue la prima. Per la seconda abbiamo

ih[Hosc, A] =(AA⋆ + h

2I)A−A

(AA⋆ + h

2I)

= A (A⋆A− AA⋆)

= A · ih[A⋆, A]

= hA.

Page 27: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

27

Proposizione 3.27

HoscAϕ0 = h(1 +

1

2

)Aϕ0.

Dim. — Basta applicare il lemma 3.26:

HoscAϕ0 = (HoscA− AHosc + AHosc)ϕ0 = ih[Hosc, A]ϕ0 +h

2Aϕ0 = h

(1 +

1

2

)Aϕ0.

Poniamo:

ϕ1 :=Aϕ0

‖Aϕ0‖ .

Morale: ϕ1 ∈ X, ‖ϕ1‖ = 1 e Hoscϕ1 = h(1 + 1

2

)ϕ1. Ora iteriamo il procedimento. Abbiamo prima

pero bisogno di estendere il lemma 3.26:

Lemma 3.28[Hosc, An] = −inAn.

Dim. — Per induzione. Sia vera per n− 1:

HoscAn = HoscAn−1A

=(An−1Hosc + ih[Hosc, An−1]

)A

=(An−1Hosc + h(n− 1)An−1

)A (hp d’induzione)

= An−1 (AHosc + ih[Hosc, A]) + h(n− 1)An−1A

= AnHosc + hAn−1A+ h(n− 1)An

= AnHosc + hnAn.

Dunque

HoscAnϕ0 = AnHoscϕ0 + ih[Hosc, An]ϕ0 =h

2Anϕ0 + hnAnϕ0 = h

(1

2+ n)Anϕ0,

per cui, posto

ϕn :=Anϕ0

‖Anϕ0‖, (3.13)

risulta che ϕn e autostato relativo all’autovalore λn := h(

12

+ n). Per il momento sembra tutto

piuttosto astratto. Vediamo quindi le proprieta del sistema ϕn e cerchiamo di comprendere comesono fatte le ϕn.

Proposizione 3.29ϕn ⊥ ϕm, ∀ n 6= m

Dim. — ϕn ⊥ ϕm significa (ϕn, ϕm) = 0. Formiamo dunque il prodotto scalare:

λn(ϕn, ϕm) = (Hoscϕn, ϕm) = (ϕn,Hoscϕm) = (ϕn, ϕm)λm,

da cui(λn − λm)(ϕn, ϕm) = 0.

Ma siccome λn 6= λm se n 6= m questo e possibile se e solo se ϕn ⊥ ϕm.

Page 28: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

28

Proposizione 3.30‖Anϕ0‖ =

√hnn!. (3.14)

Dim. — Dal lemma 3.24 segue che

‖Anϕ0‖2 = (Anϕ0, Anϕ0) = ((A⋆)nAnϕ0, ϕ0).

Applicando ripetutamente la prima delle identita del lemma 3.26 si trova che

(A⋆)nAn = (A⋆)n−1A⋆AAn−1

= (A⋆)n−1 (AA⋆ + ih[A⋆, A])An−1 = (A⋆)n−1 (AA⋆ + hI)An−1

= h(A⋆)n−1An−1 + (A⋆)n−1AA⋆An−1 = h(A⋆)n−1An−1 + (A⋆)n−1A(A⋆A)An−2

= h(A⋆)n−1An−1 + (A⋆)n−1A (AA⋆ + ih[A⋆, A])An−2

= h(A⋆)n−1An−1 + (A⋆)n−1A (AA⋆ + hI)An−2

= 2h(A⋆)n−1An−1 + (A⋆)n−1A2A⋆An−2

...= nh(A⋆)n−1An−1 + (A⋆)n−1AnA⋆.

Applicando tutto a ϕ0 e tenendo conto che A⋆ϕ0 = 0,

(A⋆)nAnϕ0 = nh(A⋆)n−1An−1ϕ0 = n(n− 1)h2(A⋆)n−2An−2ϕ0 = . . . = n!hnϕ0.

da cui la conclusione.

Proposizione 3.31

Aϕn =√h(n+ 1)ϕn+1, A⋆ϕn =

√hnϕn−1.

Dim. — Proviamo solo una delle identita (la dimostrazione dell’altra e identica).

Aϕn = A

[1√hnn!

Anϕ0

]

=1√hnn!

An+1ϕ0

=

√hn+1(n+ 1)!√

hnn!ϕn+1 =

√h(n+ 1)ϕn+1.

E proprio questa proposizione che fornisce l’interpretazione degli operatori di creazione ed dis-truzione, come abbiamo detto in precedenza. Passiamo ora in concreto a descrivere le funzioni ϕn.Gia conosciamo ϕ0, definita dalla formula

ϕ0(x) = (hπ)−1/4e−x2

2h . (3.15)

Calcoliamo ϕn. Dalla (3.13) e dalla proposizione 3.30 abbiamo

ϕn =1√

2nhnn!(Q− iP )nϕ0,

Page 29: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

29

bella formula ma abbastanza criptica! Cerchiamo di intuire la forma di (Q − iP )nϕ0. Osserviamoche

(Q− iP )ϕ0(x) = xϕ0(x)− i(−ihϕ′0(x)) = xϕ0(x)− hϕ′

0(x)

= xϕ0(x)− h(−xh

)ϕ0(x)

= 2xϕ0(x)

=: p1(x)ϕ0(x),

dove p1(x) = 2x. Proviamo ancora:

(Q− iP )2ϕ0(x) = (Q− iP )[2xϕ0(x)] = 2x2ϕ0(x)− h (2xϕ0(x))′

= 2x2ϕ0(x)− h(2ϕ0(x) + 2x

(−xh

)ϕ0(x)

)

= (4x2 − 2h)ϕ0(x)

=: p2(x)ϕ0(x),

dove p2(x) = 4x2 − 2h.

Ñ 2Ñ

Figure 2: Le distribuzioni di probabilita associate a ϕ0, ϕ1, ϕ2.

Possiamo pertanto congetturare che ϕn(x) = 1√2nhnn!

pn(x)ϕ0(x), dove pn e un opportuno poli-nomio di grado n. Infatti

ϕn+1(x) = 1√h(n+1)

1√2(Q− iP )ϕn = 1√

2n+1hn+1(n+1)!

(xpn(x)ϕ0(x)− h (pn(x)ϕ0(x))

′)

= 1√2n+1hn+1(n+1)!

(xpn(x)− h

(p′n(x)− x

hpn(x)

))ϕ0(x)

= 1√2n+1hn+1(n+1)!

(2xpn(x)− hp′n(x))ϕ0(x).

Questa formula, oltre che confermare quanto supposto sopra, dice anche che

pn+1(x) =(2xpn(x)− hp′n(x)

).

I polinomi pn vengono chiamati polinomi di Hermite e possono essere ricavati iterando piu voltela formula precedente. Osserviamo anche che

A⋆ϕn =√hnϕn−1 =

√hn

1√2n−1hn−1(n− 1)!

pn−1(x)ϕ0(x).

D’altra parteA⋆ϕn = 1√

2(Q+ iP )ϕn = 1√

2(xϕn + hϕ′

n)

= 1√2

1√2nhnn!

(xpn + h

(p′n − x

hpn))ϕ0

= h√2n+1hnn!

p′nϕ0.

Page 30: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

30

Mettendo assieme le due relazioni precedenti otteniamo

h√2n+1hnn!

p′n(x) =√hn

1√2n−1hn−1(n− 1)!

pn−1(x), ⇐⇒ p′n(x) = 2npn−1(x).

3.8.2 La formula di Mehler

Vogliamo ora andare a studiare la soluzione dell’equazione di Schrodinger. Abbiamo visto quantaimportanza abbia la conoscenza di una base ortonormale per X di autovettori di Hosc. Si puodimostrare che le autofunzioni ϕnn∈N trovate nella sezione precedente hanno questa proprietache qui, senz’altro aggiungere, daremo per buona.

Consideriamo dunque la soluzione u(t) := e−ihtHoscϕ dell’equazione di Schrodinger con dato

iniziale ϕ. Abbiamo precedentemente visto che, almeno formalmente, si ha

u(t, x) =∑

n

(ϕ,ϕn)e−i( 1

2+n)tϕn(x) =

n

R

ϕ(y)ϕn(y) dy e−i( 1

2+n)tϕn(x)

” = ”

R

ϕ(y)

(∑

n

e−i(12+n)tϕn(y)ϕn(x)

)dy

=

R

ϕ(y)kt(x, y) dy.

La funzione kt viene detta propagatore. La rappresentazione integrale e molto piu comoda diquella di una serie, poiche le tecniche di calcolo per gli integrali sono molto piu semplici e raffinatedi quelle per le serie, cosı che appunto una rappresentazione integrale della soluzione e quanto dimeglio ci si possa attendere. Fisicamente il propagatore ha un significato ben preciso. Se ϕ e lafunzione d’onda al tempo t = 0, il propagatore e un sistema di pesi che deforma la funzione d’ondasecondo la fisica del sistema. Ragionando rozzamente (ma efficacemente) ed immaginando ϕ comeuna distribuzione di probabilita e u(t, ·) la sua corrispondente nel futuro (se per esempio t > 0)allora kt e la ”ricetta” attraverso cui dobbiamo modificare ϕ per ottenere u(t, ·). Immaginiamo peresempio che ϕ sia molto concentrata intorno ad un certo x0. Per eccesso, ϕ = δx0 . Allora

u(t, x) =

R

δx0(y)kt(x, y) dy = kt(x, x0),

cioe kt(x, x0) viene ad assumere il significato di probabilita di trovare al tempo t nel punto x unaparticella partita al tempo 0 dal punto x0. Naturalmente sappiamo che questa interpretazione non ecorretta: ne ϕ ne kt sono distribuzioni di probabilita; sono addirittura funzioni a valori complessi.Ma il senso, piu o meno, e questo.

Per l’oscillatore armonico e possibile determinare esattamente la forma esplicita del propagatore,ed e quello che ora faremo. Osserviamo preliminarmente che

∑ne−i(

12+n)tϕn(y)ϕn(x) = e−i

t2

(∑n

e−int

2nhnn!pn(x)pn(y)

)ϕ0(x)ϕ0(y)

= e−it2

(∑n

(e−it

2h

)n

n!pn(x)pn(y)

)ϕ0(x)ϕ0(y),

cosı che e conveniente introdurre la funzione

Φ(λ, x, y) :=∑

n

λn

n!pn(x)pn(y).

Supponiamo ora di poter fare tutti i conti del caso (cosa che puo essere verificata con un minimo

Page 31: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

31

di pazienza) e cerchiamo un’equazione differenziale per Φ. A tal proposito osserviamo che

∂xΦ =∑

n

λn

n!p′n(x)pn(y) =

n

λn

n!2npn−1(x)pn(y)

= 2λ∑

n

λn−1

(n− 1)!pn−1(x)

(2ypn−1(y)− hp′n−1(y)

)

= 4λy∑

n

λn−1

(n− 1)!pn−1(x)pn−1(y)− 2hλ

n

λn−1

(n− 1)!pn−1(x)p

′n−1(y)

= 4λyΦ− 2λh∂yΦ,

ovvero ∂xΦ+2hλ∂yΦ = 4λyΦ. Anche se non si tratta di un’equazione ordinaria possiamo ricondurlafacilmente ad una di quel tipo se osserviamo che a sinistra c’e la derivata direzionale lungo il vettore(1, 2hλ). Poniamo allora

Ψ(x) := Φ(λ, x, 2hλx+ α), α ∈ R.

Risulta subito che Ψ′(x) = 4λ(2hλx+ α)Ψ(x), da cui

Ψ(x) = Ψ(0)e4λ(hλx2+αx), =⇒ Φ(λ, x, y) = Φ(λ, 0, y − 2hλx)e−4hλ2x2+4λxy.

Calcoliamo ora Φ(λ, 0, y) =∑

nλn

n!pn(0)pn(y). Osserviamo che pn(0) e il termine noto del polinomio

pn e che p0(0) = 1 e p1(0) = 0. In generale,

pn(y) = 2ypn−1(y)− hp′n−1(y) = 2ypn−1(y)− 2h(n− 1)pn−2(y),

da cuipn(0) = −2h(n− 1)pn−2(0) = (−1)2h2(n− 1)(n− 3)pn−4(0) = . . .

E pertanto immediato concludere che pn(0) = 0 se n e dispari, mentre per n = 2ℓ abbiamo

p2ℓ(0) = −2h(2ℓ− 1)p2(ℓ−1)+1(0) = (−1)222h2(2ℓ− 1)(2ℓ − 3)p2(ℓ−2)+1(0)...

= (−1)ℓ2ℓhℓ(2ℓ− 1)(2ℓ − 3) · · · 3 · 1 = (−1)ℓhℓ 2ℓ(2ℓ−1)(2ℓ−2)···3·2·1ℓ(ℓ−1)···2·1

= (−1)ℓhℓ (2ℓ)!ℓ!,

per cui

Φ(λ, 0, y) =∑

λ2ℓ

(2ℓ)!p2ℓ(0)p2ℓ(y) =

(−hλ2)ℓ

ℓ!p2ℓ(y) =: Ω(−hλ2, y).

Ripetiamo il tipo di calcolo fatto sopra con Φ. Abbiamo che

∂yΩ(β, y) =∑

ℓβℓ

ℓ!p′2ℓ(y) =

∑ℓβℓ

ℓ!2(2ℓ)p2ℓ−1(y) =

∑ℓβℓ

ℓ!4ℓ(2yp2(ℓ−1) − hp′2(ℓ−1)(y)

)

= 8yβ∑

ℓβℓ−1

(ℓ−1)!p2(ℓ−1)(y)− 4hβ∂y

∑ℓβℓ−1

(ℓ−1)!p′2(ℓ−1)(y)

= 8yβΩ(β, y)− 4hβ∂yΩ(β, y),

da cui

∂yΩ(β, y) =8β

1 + 4hβyΩ(β, y), =⇒ Ω(β, y) = Ω(β, 0)e

4β1+4hβ

y2 .

Ora,

Ω(β, 0) =∑

ℓβℓ

ℓ!p2ℓ(0) =

∑ℓβℓ

ℓ!(−1)ℓhℓ (2ℓ)!

ℓ!=∑

(−hβ)ℓ

ℓ!(2ℓ)!ℓ!

=∑

ℓ(−2hβ)ℓ (2ℓ−1)(2ℓ−3)···3·1

ℓ!

=∑

ℓ(−4hβ)ℓ (2ℓ−1)(2ℓ−3)···3·1

2ℓ(2ℓ−2)···4·2

=∑

ℓ(−4hβ)ℓ (2ℓ−1)!!

(2ℓ)!!,

Page 32: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

32

dove si e posto (2ℓ − 1)!! := (2ℓ − 1)(2ℓ − 3) · · · 3 · 1 e (2ℓ)!! := 2ℓ(2ℓ − 2) · · · 4 · 2. Lo sviluppoprecedente ricorda uno sviluppo notevole. Precisamente

arcsin η =∑

(2ℓ− 1)!!

(2ℓ)!!

η2ℓ+1

2ℓ+ 1.

Pertanto

∑ℓ(−4hβ)ℓ (2ℓ−1)!!

(2ℓ)!!=∑

(2ℓ−1)!!(2ℓ)!!

(√

−4hβ)2ℓ

2ℓ+1(2ℓ+ 1)

η:=√

−4hβ=

∑ℓ

(2ℓ−1)!!(2ℓ)!!

η2ℓ

2ℓ+1(2ℓ+ 1)

=∑

(2ℓ−1)!!(2ℓ)!!

ddη

η2ℓ+1

2ℓ+1

= ddη

arcsin η = 1√1−η2

= 1√1+4hβ

.

Possiamo finalmente tirare le somme di tutti questi calcoli. Abbiamo finalmente che

Φ(λ, x, y) = Φ(λ, 0, y − 2hλx)e−4hλ2x2+4λxy = Ω(−hλ2, y − 2hλx)e−4hλ2x2+4λxy

= Ω(−hλ2, 0)e−4hλ2

1−4h2λ2 (y−2hλx)2

e−4hλ2x2+4λxy

=1√

1− 4h2λ2e

−4hλ2

1−4h2λ2 (y−2hλx)2

e−4hλ2x2+4λxy.

Abbiamo finalmente la possibilita di dedurre la formula esplicita per il propagatore, ricordato che

λ = e−it

2h. Per tale valore di λ,

Φ

(e−it

2h, x, y

)=

1√1− e−i2t

e− e−i2t

h(1−e−i2t)(y−e−itx)2− e−i2t

hx2+ 2e−it

hxy,

da cui, pertanto

kt(x, y) = e−it2

1√1− e−i2t

e− e−i2t

h(1−e−i2t)(y−e−itx)2− e−i2t

hx2+ 2e−it

hxy

=1√

i2πh sin te

1h

−e−i2t(y−e−itx)2−e−i2t(1−e−i2t)x2+2e−it(1−e−i2t)xy

1−e−i2t

=1√

i2πh sin te

1h

−e−i2t(y2−2e−itxy+e−i2tx2)−e−i2t(1−e−i2t)x2+2e−it(1−e−i2t)xy

1−e−i2t

=1√

i2πh sin te

1h

−e−i2t(x2+y2)+2e−itxy

1−e−i2t .

Anche se non sia evidente, l’argomento dell’esponenziale e un immaginario puro

−e−i2t(x2 + y2) + 2e−itxy

1− e−i2t

Teorema 3.32 (formula di Mehler)

kt(x, y) =1√

i2hπ sin te

1h

(y2

−x2

2− (y−e−itx)2

1−e−i2t

). (3.16)

Al di la del fatto ”emozionale” di essere riusciti a calcolare esattamente il propagatore, si ponesubito una domanda: in che modo il propagatore dipende dalla fisica del sistema (in particolare dalpotenziale V )? Abbiamo detto, all’inizio di questa sezione, che fisicamente il propagatore si associa

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33

a probabilita di transizione. Il quesito e quindi: come queste probabilita dipendono da V ? A questoproblema rispondera in generale la formula di Feynman, che sara oggetto della prossima sezione.Qui ci limitiamo ad un ragionamento poco rigoroso ma efficace.

La prima cosa che si osserva nella (3.16) e che la stessa presenta dei problemi di definizionein t. Scartando per un momento t = 0, la formula funziona fino a che t ∈]0, π[, dopodiche saltanuovamente. Osserviamo anzitutto che

y2 − x2

2− (y − e−itx)2

1− e−i2t =(y2 − x2)(1− e−i2t)− 2(y2 + e−i2tx2 − 2e−itxy)

2(1− e−i2t)

= − (x2 + y2)(1 + e−i2t)− 4e−itxy

2(1− e−i2t)

= −(x− y)2(1 + e−i2t) + 2xy

(1 + e−i2t − 2e−it

)

2(1− e−i2t)

= i

[(x− y)2

2cot t− xy tan

t

2

].

Finora abbiamo fatto manipolazioni puramente formali. Supponiamo adesso che t ∼ 0 e sostituiamoalle espressioni dipendenti da t il loro comportamento asintotico: cot t ∼0

1t, tan t

2∼0

t2. Otteniamo

y2 − x2

2− (y − e−itx)2

1− e−i2t ≈ i[

(x− y)22t

− txy2

].

Si potrebbe obiettare che il secondo termine e trascurabile rispetto al primo per t → 0. D’altraparte adesso vediamo che in realta cosı non e, fisicamente parlando. . . Ricordiamo il significato dikt(x, y): e la probabilita (piu o meno) che una particella che parte al tempo 0 nel punto y al tempot si trovi nel punto x. Allora la quantita x−y

tpuo essere interpretata come una velocita ed allora

12

(x−yt

)2= (x−y)2

2t2e un’energia cinetica. D’altra parte xy

2≈ x2

2= V (x), cosı che

y2 − x2

2− (y − e−itx)2

1− e−i2t ≈ i[

1

2

(x− yt

)2

− V (x)

]t ≈ iA(q),

dove ritroviamo una vecchia conoscenza, l’azione A! Morale: per t ∼ 0

kt(x, y) ≈ 1√i2hπt

eihA(q), (3.17)

dove q e una curva di moto tale che q(0) = y e q(t) = x.Naturalmente questa deduzione e tutt’altro che rigorosa. E interessante perche e un caso partico-

lare della formula di Feynman (che ha pari grado di rigore rispetto a questa). I suoi limiti di validitasembrano legati a tempi piccoli, che pero potrebbero essere aggirati replicando la formula su piccoliintervalli. Vedremo questa operazione piu in generale ed elegantemente nella prossima sezione.

Accenniamo infine ad un ulteriore importantissimo problema. Abbiamo visto col principio d’in-determinazione di Heisenberg che la costante h si lega profondamente alla natura quantistica, nelsenso che rappresenta una limitazione dal basso al prodotto degli errori commessi nel misurare Qe P contemporaneamente. Tali misurazioni sono possibili senza apprezzabili errori (cioe h = 0)nel caso della meccanica classica. Sorge allora naturale il quesito: cosa succede se h −→ 0? Cioe: epossibile in qualche senso opportuno, eliminando l’ostacolo di fondo alla misurazione contemporaneadi posizioni e momenti, ritrovare le traiettorie della meccanica classica? Questo problema va sotto ilnome di limite classico. Per dare un’idea della questione riprendiamo il propagatore dell’oscillatorearmonico.

Ancora una volta partiamo dal significato ”morale” di kt(x, y):

3.9 L’atomo di idrogeno

I calcoli esatti come nel paragrafo precedente si possono fare in un limitatissimo numero di casi,poiche nei modelli interessanti interviene una complessita notevole. Il caso dell’atomo di idrogeno e

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34

uno di questi pochi casi che qui ci limiteremo a raccontare (i conti sono tecnicamente elementari comequelli del caso dell’oscillatore armonico, anche se un po’ piu complessi). In particolare riporteremoi risultati teorici e li compararemo con i dati sperimentali. Questo e un punto molto importante,perche l’atomo di idrogeno dimostra la correttezza della meccanica quantistica, nel senso che il gradodi concordanza tra dati sperimentali e valori predetti dal modello supera la precisione esistente inogni altro ambito della Fisica!

L’atomo di idrogeno e composto da un protone di massa mp e carica e (che costituisce il nucleo)ed un elettrone di massa me e carica −e. Trascurando la forza gravitazionale rispetto a quella diCoulomb, l’hamiltoniana classica e data da

H(qp, qe, pp, pe) =1

2mp|pp|2 +

1

2me|pe|2 − V (qp, qe), V (qp, qe) =

e2

|qe − qp|.

Qui qp, qe ∈ R3 rappresentano rispettivamente le posizioni del protone e dell’elettrone, pp, pe ∈ R

3

le rispettive velocita (per cui |pp|2 = (pp)21 + (pp)

22 + (pp)

23). Nella fisica del sistema e noto anche

che il nucleo e molto pesante rispetto all’elettrone, nel senso che mp ≈ 2000me, per cui si puoimmaginare che di fatto sia l’elettrone a muoversi attorno al protone. Secondo le equazioni dihamilton della Fisica classica l’elettrone si muoverebbe piu o meno come la Terra attorno al Solesu orbite circolari/ellittiche. Il problema e che il moto risulterebbe accelerato e, secondo le leggidell’elettrodinamica classica, si avrebbe una emissione di energia che dovrebbe portare l’elettronea collassare sul nucleo. Tuttavia questo fenomeno non si osserva nella realta. Anzi, le osservazionisperimentali lasciano intendere che non ci sia una variazione continua dell’energia e che quindil’elettrone non possa che trovarsi a determinati livelli ”discreti” di energia. Un avvicinamento odallontanamento dal nucleo sarebbe possibile solo togliendo o fornendo un certo quantitativo dienergia i cui valori sono stati misurati sperimentalmente. Spiegare questo meccanismo e prevederei valori possibili dell’energia e stato uno dei motivi per cui e nata la meccanica quantistica.

Seguendo l’impostazione data in questa sezione i possibili valori dell’energia sono gli autovaloridell’hamiltoniana quantistica

H =1

2mpP 2p +

1

2meP 2e −

e2

|qp − qe|×

dove P 2p = (Pp)

21 + (Pp)

22 + (Pp)

23. Per analogia col caso unidimensionale (Pp)

2i = −ih∂(qp)i

cosı che

Hϕ = − h2

2mp∆qpϕ−

h2

2me∆qeϕ−

e2

|qp − qe|ϕ,

dove ∆qp =∑3

i=1∂(qp)i(qp)i

e il cosiddetto laplaciano. Come si intuisce, risolvere Hϕ = λϕ non

appare un problema semplice(16). Una prima riduzione di complessita del problema puo essere fattaconsiderando il moto relativo dell’elettrone rispetto al protone (vista la differenza tra le masse), cosıche il problema e ridotto a trovare gli autovalori dell’hamiltoniana

H = − h2

2mr∆q − e2

|q|×,

dove mr =memp

me+mp, e q = qe−qp. Si tratta in ogni caso di un problema complesso perche l’equazione

di Schrodinger stazionaria risultante e comunque un’equazione a derivate parziali:

− h2

2mr∆qϕ(q)− e2

|q|ϕ(q) = λϕ(q).

Ad ogni modo, essendoci una dipendenza da q nel potenziale dalla sola distanza di q dall’origine, sipuo pensare di impostare il problema in coordinate sferiche cercando ϕ = ϕ(r, θ, ω). Cio porta aduna riduzione del problema che qui non presentiamo. Il risultato finale e il calcolo degli autovaloriche risultano essere

λn = − mre4

2h2n2, n ∈ N.

Per n = 1 si ottiene E1 = −mre4

2hil valore dell’energia dello stato fondamentale, valore che coincide

con quello misurato sperimentalmente a meno di un errore di 10−8!

16A tal proposito osserviamo che ϕ = ϕ(qp, qe) e una funzione di 6 variabili reali. . .

Page 35: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

35

4 La Formula di Feynman

Abbiamo visto con l’oscillatore armonico una descrizione completa della meccanica quantistica diun sistema ad un grado di liberta sottoposto ad un campo di forze elastiche. In generale, sostituendoall’energia potenziale V (q) = 1

2q2 dell’oscillatore armonico, una qualsiasi energia V non si riuscira

a descrivere esattamente lo spettro dell’hamiltoniana (cioe i valori dell’energia e gli autostati) el’evoluzione dello stato. Ancor piu problemi poi si avranno quando si passa da 1 a N gradi diliberta.

In questa sezione partiremo in generale dal problema di costruire il propagatore per l’equazionedi Schrodinger

ih∂tu(t, x) = − h2

2m∂xxu(t, x) + V (x)u(t, x),

u(0, x) = ϕ(x),

cioe la funzione kt(x, y) tale che

u(t, x) =

R

ϕ(y)kt(x, y) dy.

Gia agli albori della teoria della Meccanica Quantistica, Dirac aveva espresso l’idea che in generaleil propagatore dovesse dipendere dall’azione classica e fosse, in qualche misura, responsabile dellanatura ondulatoria del comportamento degli stati. Piu precisamente questa idea veniva espressa da

Dirac nella formula kt(x, y) ≈ e−ihA(q) dove q e una traiettoria che congiunge y ad x. Effettivamente

abbiamo visto che, nel caso dell’oscillatore armonico e per tempi piccoli, in via ”embrionale” eeffettivamente cosı.

L’eroe della storia divenne a questo punto Feynman, che sviluppo a fondo questa idea in generalepervenendo alla bellissima formula che porta il suo nome e che in questa sezione illustreremo.Feynman ha mostrato che addirittura si puo basare su questa formula il fondamento di tutta laMeccanica Quantistica e questi risultati gli sono valsi il Premio Nobel. Sfortunatamente, da unpunto di vista puramente matematico, la formula di Feynman e priva di fondamento, e nel corso didiverso tempo i tentativi di darle un senso sono risultati insoddisfacenti. Si deve a Kac l’osservazioneche la formula di Feynman puo essere resa rigorosa non appena si trasforma, con un cambiamentodi ”coordinate”, il tempo t reale ad immaginario, convertendo il propagatore k in quello relativoall’equazione del calore, che va a sostituire quella di Schrodinger. Questa operazione getta un ponteimportante con la teoria dei processi stocastici ed, in particolare, coi processi di diffusione, le cuitecniche sono state sviluppate a partire dagli anni trenta del ’900 da Kolmogorov, Ghihman e Ito eche si basa oggi su un’ampiezza e solidita di strumenti a dir poco impressionante.

Anche se tale formula non rappresenta il propagatore di Schrodinger e lo stesso utile per risolvereproblemi concernenti l’equazione stazionaria di Schrodinger come tenteremo di illustrare in questasezione. Una bella panoramica su questo tipo di problemi la si puo trovare su Kac, Integration

in Function Spaces and Some of Its Applications, Scuola Normale Superiore, Pisa.

4.1 L’Integrale Funzionale

Cominciamo dunque dal problema di trovare il propagatore per l’equazione di Schrodinger

ih∂tu(t, x) = − h2

2∂xxu(t, x) + V (x)u(t, x),

u(0, x) = ϕ(x),

Introdotta l’hamiltoniana quantistica

H = − h2

2

d2

dx2+ V (x)× =: − h

2∆ + V,

dove l’ultima espressione a destra e la notazione operatoriale di quella a sinistra, la soluzione u puoessere scritta come

u(t) = e−ihtHϕ = e

− iht(− h2

2∆+V

)ϕ.

Page 36: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

36

Al momento la notazione e− i

ht(− h2

2∆+V

)e solo virtuale, poiche sembra abbastanza problematico

estendere la formula

ez =∑

n

zn

n!,

al caso in questione, producendo

e−ihtH =

n

(− iht)n

n!Hn, (4.1)

a causa delle difficolta che abbiamo gia incontrato con l’operatore LH nella meccanica classica.Per risolvere efficacemente questo tipo di problemi e stata sviluppata la teoria dei semigruppi dioperatori, che pero esula totalmente dai nostri scopi. Vedremo invece di affrontare la situazionepiu o meno con le mani. Per fare questo separiamo i due operatori della somma e consideriamoseparatamente le due equazioni

ihu′(t) = − h2∆u(t), ihu′(t) = V u(t), (4.2)

dove V e l’operatore di moltiplicazione per la funzione V , cioe [V ϕ](x) := V (x)ϕ(x). La secondadelle (4.2) e facilmente risolvibile, essendo di fatto una semplice equazione ordinaria lineare. Infatti,per esteso e

ih∂tu(t, x) = V (x)u(t, x), =⇒ u(t, x) = u(0, x)e−ihtV (x) = ϕ(x)e−

ihtV (x).

Operatorialmente possiamo scrivere che

[e−

ihtV ϕ]

(x) = e−ihtV (x)ϕ(x), ⇐⇒ e−

ihtV = e−

ihtV (x) × .

La prima e molto meno elementare, essendo di fatto un’equazione a derivate parziali

ih∂tu(t, x) = − h2

2∂xxu(t, x).

Non e possibile ripetere il tipo di calcoli fatti con l’oscillatore armonico. Fisicamente si capisce ilperche. L’equazione di Schrodinger precedente corrisponde al caso fisico del potenziale nullo, dunquetotale assenza di forze. Per cui l’energia non avra autovalori diversi da 0 perche non ci saranno valoridell’energia fuori dall’unico valore 0. Questo puo essere verificato direttamente provando a trovare

gli autovalori di H0 = − h2

2d2

dx2 . Di fatto H0 dovrebbe agire attraverso un propagatore unitario

puro, cioe del tipo ei♥ (cosa che per esempio non e nel caso dell’oscillatore armonico come mostrala formula di Mehler). A questo proposito e per evitare confusioni chiariamo un punto: in ogni caso

l’operatore e−ihtH e unitario, cioe conserva la norma in X. Tuttavia puo modificare puntualmente

in estensione lo stato. Ci aspettiamo invece che nel caso di H0 la modifica puntuale sia puramenteunitaria. Per dedurre la forma esplicita di kt(x, y) in questo caso ”ricicliamo” le considerazioniseguenti alla formula di Mehler, ed in particolare quella per cui, almeno per t piccolo si dovrebbeavere

kt(x, y) ≈ 1√i2πht

eihA(q).

Nel nostro caso V = 0 dunque A(q) =∫ t0

12q(s)2 ds ≈ 1

2

(x−yt

)2t = (x−y)2

2t, cosı che si dovrebbe

avere

kt(x, y) ≈ 1√i2πht

eih

(x−y)2

2t

Sorprendente o meno che sia, questa formula e esatta! Precisamente risulta che

e−ihtH0ϕ(x) :=

R

kt(x, y)ϕ(y) dy =

R

ϕ(y)1√i2πht

eih

(x−y)2

2t dy

risolve la prima delle (4.2) per tutti i tempi t (e non solo per t piccolo). Una verifica formale puoessere fatta direttamente facendo le derivate del caso.

Page 37: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

37

Ora passiamo al vero e proprio problema, determinare il propagatore corrispondente all’hamiltonianagenerica H(q, p) = 1

2mp2 + V (q), cioe determinare una funzione kt(x, y) tale che

e−ihtHϕ(x) =

R

kt(x, y)ϕ(y) dy. (4.3)

Nel nostro caso H = H0 + V dunque

e−ihtH = e(−

ihtH0)+(− i

htV ) = eA+B,

dove A = − ihH0 e B = − i

htV . A questo punto il gioco sembra fatto: usando la ben nota formula

eA+B = eAeB si trova che

e−ihtHϕ = e−

ihtH0e−

ihtV ϕ, ⇐⇒ e−

ihtHϕ(x) =

R

1√i2πht

eih

(x−y)2

2t e−ihV (y)ϕ(y) dy. (4.4)

Ma qui avviene un colpo di scena: la funzione scritta a destra nella (4.4) non risolve affattol’equazione di Schrodinger! Il fatto e che la formula eA+B = eAeB e, nel nostro caso, falsa. In-fatti una condizione sotto la quale la si puo dimostrare (almeno formalmente e rigorosamente sottodebite ipotesi su A e B) vale se [A,B] = 0. A noi non interessa dimostrarla poiche il nostro A e deltipo P 2 e B e del tipo V (Q). Siccome P e Q non commutano ci sara da aspettarsi che nemmenoP 2 e V (Q) lo facciano(17). Tutto da buttare? Fortunatamente no grazie al bel

Teorema 4.1 (Formula di Lie) Siano A e B operatori limitati. Allora

eA+B = limn↑∞

(e

1nAe

1nB)n

. (4.5)

Dim. — Per definizione

eA+B =

∞∑

n=0

1

n!(A+B)n,

e la serie converge nella norma operatoriale.

Applichiamo la formula di Lie al nostro caso. Abbiamo che

e−ihtHϕ = lim

n↑∞

[e−

ih

tnH0e−

ih

tnV]nϕ = lim

n↑∞e−

ih

tnH0e−

ih

tnV · · · e− i

htnH0e−

ih

tnV ϕ. (4.6)

Osserviamo anzitutto che

[e−

ih

tnH0e−

ih

tnV ϕ]

(x) =1√i2πh t

n

R

eih

nt

(x−y)2

2

[e−

ih

tnV ϕ]

(y) dy

=1√i2πh t

n

R

eih

nt

(x−y)2

2 e−ih

tnV (y)ϕ(y) dy

=1√i2πh t

n

R

eih

(nt

(x−y)2

2− t

nV (y)

)ϕ(y) dy

=

R

ϑ tn(x, y)ϕ(y) dy,

dove abbiamo posto

ϑs(x, y) =1√

2πhise

ih

(12

(x−y)2

s−sV (y)

).

17Salvo casi banali ovviamente, ad esempio V (x) fosse costante.

Page 38: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

38

Allora[e−

ih

tnH0e−

ih

tnV[e−

ih

tnH0e−

ih

tnV ϕ]]

(x) =

R

ϑ tn(x, z)

[e−

ih

tnH0e−

ih

tnV ϕ]

(z) dz

=

R

ϑ tn(x, z)

R

ϑ tn(z, y)ϕ(y) dy dz

=

R×R

ϑ tn(x, z)ϑ t

n(z, y)ϕ(y) dz dy,

Iterando la procedura e tenendo conto della (4.6) abbiamo che

e−ihtHϕ(x) = lim

n↑∞

Rn

ϑ tn(x, x1)ϑ t

n(x1, x2) · · ·ϑ t

n(xn−1, y)ϕ(y) dx1 dx2 · · · dxn−1 dy. (4.7)

da cui

kt(x, y) = limn↑∞

Rn

ϑ tn(x, x1)ϑ t

n(x1, x2) · · ·ϑ t

n(xn−1, y) dx1 dx2 · · · dxn−1. (4.8)

Apparentemente la questione sarebbe risolta, senonche la rappresentazione (4.8) e difficile da in-terpretare. Sarebbe opportuno avere una formula indipendente dal limite in n. A tal propositoosserviamo che, ponendo x0 = x, xn = y abbiamo

n∏

k=1

ϑ tn(xk−1, xk) =

1√(2πhi)n

(tn

)nn∏

k=1

eih ( 1

2nt(xk−xk−1)2− t

nV (xk))

=1√

(2πhi)n(tn

)n eih

(12

∑k[n

t(xk−xk−1)2− t

nV (xk)]

)

L’idea e ora di interpretare i punti xk come le posizioni di una traiettoria a diversi istanti. Sup-poniamo cioe che q(t) sia una traiettoria che parte al tempo t = 0 dal punto xn = y ed arriva altempo t nel punto xn = x e che agli istanti tk = k t

nsi trovi nella posizione xk, cioe:

q(0) = y, q(t) = x, q(tk) = xk, tk = kt

n.

Allora

1

2

k

[n

t(xk − xk−1)

2 − t

nV (xk)

]=∑

k

[1

2

(q(tk)− q(tk−1))2

tk − tk−1− (tk − tk−1)V (q(tk))

].

Oraq(tk)− q(tk−1) = q(τk)(tk − tk−1),

per cui

1

2

k

[n

t(xk − xk−1)

2 − t

nV (xk)

]=∑

k

[1

2q(τk)

2(tk − tk−1)− (tk − tk−1)V (q(tk))]

∼∫ t

0

1

2q(s)2 − V (q(s)) ds

= A (q) .

Si intuisce che adesso siamo vicini alla generalizzazione (nonche ad una migliore comprensione) della(3.17). In un certo senso potremmo scrivere

kt(x, y) = limn→+∞

Rn

1√(2πhi)n

(tn

)n eih

∑k

[12

(q(tk)−q(tk−1))2

tk−tk−1−(tk−tk−1)V (q(tk))

]dq(t1) · · · dq(tn)

(4.9)

Page 39: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

39

L’idea e adesso quella di interpretare la (4.9) come un integrale sullo spazio di tutte le traiettoriecongiungenti y ad x (cioe tali che q(0) = y, q(t) = x) cioe

kt(x, y) =

C(t,x,y)

eihA(q)dF(q), (4.10)

dove

• C(t, x, y) e lo spazio di tutte le traiettorie q tali che q(0) = y e q(t) = x;

• dF(q) e una ”misura” sullo spazio dei cammini: empiricamente

dF(q) = limn↑∞

1√(2πhi)n

(tn

)nn⊗

k=1

d(q(tk)). (4.11)

La formula (4.10), dovuta a Feynman, prende il nome di formula di Feynman. Il suo significato emolto profondo. Il propagatore esprime come viene ”propagata” la probabilita di trovare la parti-cella in una determinata posizione (ovverosia lo stato ϕ). Questa ampiezza di probabilita per unatransizione dalla posizione y a quella x si ottiene attraverso una media di contributi elementari chesono legati all’azione (la stessa che, minimizzata, caratterizza le traiettorie di moto). Per ulterioriapprofondimenti si rimanda al libro di Feynman & Hibbs18

Il problema matematico (e non e solo una questione formale) e che purtroppo nessuno dei terminiche compongono la (4.10), vale a dire l’esponenziale dell’azione, la costante moltiplicativa e la misuraprodotto, ha senso! In altre parole il limite esiste ma non possiamo identificarlo con una misurasullo spazio delle traiettorie. La questione e matematicamente tanto difficile che ad oggi esistonosolo tentativi molto parziali di dare senso rigoroso alla (4.10).

4.1.1 Il problema del rigore della formula di Feynman

Il problema di dare senso alla formula di Feynman (4.10) e molto complesso. Anzitutto perchel’integrale (4.10) e fatto su uno spazio infinito dimensionale (lo spazio delle traiettorie) ed in secondo

luogo per la particolarita della funzione integranda q 7−→ eihA(q). La teoria generale dell’integrazione,

detta teoria della misura, oggi ben compresa, si e sviluppata a partire dall’inizio del ’900 ad operaprincipalmente di Lebesgue e Borel, ed e un sicuro ambiente di lavoro per trattare problemi comequello della formula di Feynman. Tuttavia negli spazi infinito dimensionali, come prevedibile, lateoria e molto piu complessa che negli spazi finito dimensionali. Uno dei fatti semplici ed interessantie che se immaginiamo il prodotto

⊗n

k=1d(q(tk)) come un prodotto di misure di Lebesgue (le dxk

per intenderci), tutto cio ha un senso fintanto che n e finito, ma quando n e infinito il prodotto perdecompletamente di significato. Il motivo intrinseco e legato alle proprieta caratteristiche della misuradi Lebesgue, che sono di essere invariante per traslazioni ed assegnare misura finita ai limitati.

C’e un semplice ed efficace argomento che ci illustra il problema. Consideriamo la generalizzazionedi R

n, R∞ :=

(xn)

∞n=1 :

∑n|xn|2 < +∞

. Non e difficile dimostrare che R

∞ e uno spazio

vettoriale completo con la norma ‖x‖ :=√∑

nxn. Tale spazio e anche uno spazio di Hilbert

munito del prodotto scalare (x, y) =∑

nxnyn, dove ovviamente x = (xn), y = (yn). Si puo

addirittura dimostrare che R∞ e il prototipo del generico spazio di Hilbert separabile (cioe munito

di un sottoinsieme numerabile denso), nel senso che ogni spazio di Hilbert separabile e isometricoad R

∞. Ora il fatto e che non esiste su R∞ alcuna misura definita sui boreliani(19) di R

∞ che siainvariante per traslazione ed assegni misura finita ai limitati.

Infatti: supponiamo che tale misura λ esista. Consideriamo le palle Bk di R∞ centrate nei punti

ek := (δkn)n (δkn e il simbolo di Kronecker) e di raggio 12. Si vede immediatamente che tali palle

sono tutte disgiunte tra loro e che si possono traslare l’una nell’altra e sono tutte traslate della pallaB0 := B(0, 1

2[, nel senso che Bk = B0 + ek. Ma allora

λ

(⋃

k

Bk

)=∑

k

λ(Bk) =∑

k

λ(B0 + ek) =∑

k

λ(B0).

18Od anche al libretto di Feynman, QED, dove la formula non viene mai esplicitamente introdotta, ma sicela dietro tutto cio che viene detto.

19Con boreliani intendiamo la σ−algebra generata dagli aperti di R∞.

Page 40: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

40

Poiche⋃kBk ⊂ B(0, 2] deve essere λ

(⋃kBk)< +∞; ma allora λ(B0) = 0. E ora facile concludere

che la misura λ di ogni palla deve essere nulla, e quindi λ ≡ 0.Oltre al problema di definire la misura dF la formula di Feynman presenta anche un impor-

tante inconveniente sulla funzione integranda che, essendo questa un esponenziale immaginario,non ”aiuta” molto, almeno a priori, nella convergenza dell’integrale. La cosa interessante e che an-che se e un esponenziale immaginario, e di tipo molto particolare. Infatti consideriamo il caso in

cui V = 0. L’esponenziale e di tipo ei♥2

e questo ricorda gli integrali di Fresnel∫

Reix

2

dx che sonoconvergenti come integrali generalizzati (ma non come integrali alla Lebesgue). In qualche sensoquesto apre una possibile strada, seguita in anni recenti da Albeverio ed altri, per tentare di dareun senso alla (4.10).

4.2 La Formula di Feynman–Kac

Abbiamo detto che il principale problema della formula di Feynman e quello della sua definizionerigorosa. Intorno agli anni ’50 del secolo scorso, Kac riuscı a dare un senso perfettamente rigorosoad una formula simile che, in luogo del propagatore di Schrodinger, rappresenta il propagatoreper la soluzione dell’equazione del calore (o di diffusione). Sebbene l’equazione del calore e quelladi Schrodinger e quella del calore siano profondamente diverse, la formula di Feynman–Kac hapermesso di risolvere rigorosamente una quantita impressionante di problemi anche per la meccanicaquantistica. Mostreremo uno di questi in seguito.

Il punto di partenza e la seguente, forse banale, osservazione. Immaginiamo che u sia soluzionedell’equazione di Schrodinger

ih∂tu(t, x) = − h2

2∂xxu(t, x) + V (x)u(t, x),

ed osserviamo che se, formalmente, pensiamo il tempo t come immaginario puro, cioe se introdu-ciamo la funzione v(t, x) := u(−iht, x) allora

∂tv(t, x) = −ih∂tu(iht, x) =h2

2∂xxu(−iht, x)− V (x)u(−iht, x) =

h2

2∂xxv(t, x)− V (x)v(t, x),

cioe v e soluzione del problema

∂tv(t, x) = h2

2∂xxv(t, x)− V (x)v(t, x) =: Gv(t, x),

v(0, x) = ϕ(x).

(4.12)

Questa e una ben nota equazione della fisica matematica, precisamente quella che governa la diffu-sione del calore in un corpo: v(t, x) e la temperatura al tempo t nel punto x; v(0, x) e la temperaturainiziale. Effettuando la sostituzione t←→ −iht nelle formule scritte sopra si trova che il propagatorediventa

θs(x, y) =1√

2πh2se− 1

2(x−y)2

h2s−sV (y)

.

ed il nucleo (4.10) assume la forma

gt(x, y) =

C(t;x,y)

e−∫

t

0

12h2 q(s)

2+V (q(s)) dsdK(q), (4.13)

dove C(t;x, y) resta definito come sopra e

dK(q) = limn↑∞

1√(2πh2tn

)nn⊗

k=1

d(q(tk)).

Anche in questo caso nessuno dei tre termini che compongono l’espressione (4.13), vale a dire l’e-sponenziale, la costante di normalizzazione e la misura prodotto, ha senso singolarmente preso, ma,in questo caso, il prodotto dei tre invece ha senso! L’idea e di riscrivere la (4.13) come

gt(x, y) =

C(t;x,y)

e−∫

t

0V (q(s)) ds

dWtx,y(q), (4.14)

Page 41: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

41

dove ora

dWtx,y(q) =

1√(2πh2tn

)n e− 1

2h2

∫t

0q(s)2 ds

0<s<t

d(q(s)).

Osservato che ∫ t

0

q(s)2 ds = −∫ t

0

q(s)q(s) ds =

([− d2

dτ 2

]q, q

)

L2(0,t)

.

Per cui possiamo riscrivere la ”misura” Wtx,x′ come

dWtx,y(q) =

1√(2πht∞)∞ e−

12((−D2)q,q)

0<s<t

d(q(s)), (4.15)

dove si e posto D = 1hddx

. Cosı scritta Wtx,y non puo fare a meno di ricordarci la misura gaussiana

N (0, σ) su R definita attraverso la formula

N (0, σ)(A) =1√2πσ

A

e−12σ−1x2

dx.

La sua generalizzazione d–dimensionale e

N (0,Σ)(A) =1√

(2π)ddet(Σ)

A

e−12Σ−1x·x dx1 · · · dxd.

La matrice Σ si dice matrice di covarianza. La Wtx,y sembrerebbe cosı come una sorta di misura

gaussiana infinito dimensionale di covarianza (−D2)−1. Il problema e che la (4.15) contiene troppequantita infinite, per cui bisogna trovare un metodo per definire la W

tx,y . Il primo che e riuscito

rigorosamente a costruire questa misura e stato Wiener nel 1923 e la misura cosı costruita prendeil nome appunto di misura di Wiener e la formula (4.14) e la celebre formula di Feynman–Kac.Poiche la costruzione della misura di Wiener si basa su idee ”fisiche” accenniamo nella prossimasezione alla sua costruzione. Le applicazioni della formula di Feynman-Kac alla meccanica quanti-stica riprenderanno nella sezione successiva alla prossima.

4.3 La misura di Wiener

Questa e una lunga storia. Nel corso dell’800 un botanico, tale R. Brown, si mise ad osservaresperimentalmente il moto di particelle pesanti in sospensione in un fluido riportando delle compli-catissime traiettorie irregolari seguite dalle particelle. Al tempo non erano ancora noti esempi difunzioni particolarmente irregolari, come le funzioni costruite da Weierstrass che non ammettonoderivata in nessuno dei punti del loro dominio di definizione, cosı che il modello delle equazionidifferenziali non sembrava un buon modello per descrivere tale moto e, al tempo stesso, non sidisponeva ancora di modelli alternativi matematicamente.

All’inizio del ’900 l’attenzione su questo fenomeno fisico, che nel frattempo aveva assunto il nomedi moto browniano, sotto l’influsso delle nuove idee statistiche introdotte in fisica da Boltzmann,venne posta da parecchi fisici ed i matematici cominciarono ad interessarsene. Da un lato Einstein& Smoluchowskii avevano pensato ad un modello in cui le particelle si muovessero come in unapasseggiata aleatoria, introducendo il concetto di probabilita di transizione, cioe le probabilita cheuna particella si muova da un punto ad un’altro dello spazio. Tale probabilita, in accordo con ilTeorema del Limite Centrale, veniva calcolata attraverso la formula

Prob. (q(t) ∈ A | q(s) = x) =1√

2πσ2(t− s)

A

e− (y−x)2

2σ2(t−s) dy =:

A

pt−s(x, y) dy, (4.16)

dove σ2 e il cosidetto coefficiente di diffusione. Mettendo assieme i risultati di Einstein & Smolu-chowskii con dati sperimentali e statistica rudimentale, il fisico Perrin riuscı per la prima volta a

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42

determinare il numero di Avogadro, scoperta che gli valse il premio Nobel(20) nel 1926.D’altro canto lo stesso Perrin fu il primo ad osservare che un buon modello del moto browniano

andava ricercato nelle ”mostruose” funzioni introdotte da Weierstrass. Quest’osservazione colpı pro-fondamente Wiener il quale, estendendo la costruzione di Weierstrass, riuscı a definire un modellostatistico in cui si consideravano simultaneamente tutte le traiettorie continue, pensandole comefunzione sia del tempo che di una variabile aleatoria, cioe q = q(t, ω), che fosse coerente con leprobabilita di transizione (4.16), e che inoltre facesse emergere come con probabilita 1 le traiettoriedovessero essere estremamente irregolari. Di fatto questo equivaleva ad aver pensato lo spazio delletraiettorie continue come uno spazio di probabilita munito di una misura di probabilita che succes-sivamente avrebbe assunto il nome di misura di Wiener. La costruzione di Wiener venne ripresapiu volte e generalizzata via via a probabilita di transizione piu generali di quelle di Einstein &Smoluchovskii. Con l’avvento della moderna teoria della misura negli anni ’30 del ’900 Kolmogorovriuscı a fondare su basi rigorose il calcolo delle probabilita. A Kolmogorov e dovuta la costruzionepiu generale e semplice di una misura tipo quella di Wiener, ed e a questa costruzione che oraaccenneremo.

Il punto di partenza sono appunto le densita di probabilita di transizione, cioe le funzioni ph(x, y),h > 0. Queste funzioni sono densita di probabilita probabilita poiche

R

ph(x, y)dy = 1. (4.18)

Quest’equazione non dice altro che la probabilita di andare da qualche parte in un tempo h partendodal punto x e 1. Osserviamo che questa ipotesi e strettamente connessa al fenomeno della diffusionedel calore ed e perfettamente in accordo con l’idea che il calore si propaga a velocita infinita.

Attraverso le probabilita di transizione ph(x, y) possiamo calcolare la probabilita di eventi com-plessi. Di particolare importanza sono gli eventi del seguente tipo: l’insieme delle traiettorie chegiungono ad un certo istante t2 > 0 in I2 passando al tempo 0 < t1 < t2 per I1, partendo al tempo0 < t0 < t1 in x. Si tratta di fare una specie di slalom fra le porte I1 ed I2. E naturale pensare cheanzitutto dovremo andare da x ad un generico x1 ∈ I1 in un tempo t1− t0: la probabilita di arrivarevicino ad x1 a meno di un piccolo errore dx1 sara pt1−t0(x, x1) dx1. Poi da x1 dovremo andare adun certo x2 ∈ I2 in un tempo t2 − t1, e la probabilita di finire vicino ad x2 a meno dell’errore dx2

sara pt2−t1(x1, x2) dx2. Il problema e: come si combinano le due probabilita ? L’idea e quella dipensare i due ”passi” come eventi indipendenti tra loro, per cui

pt1−t0(x, x1) dx1 × pt2−t1(x1, x2) dx2,

sara la probabilita totale. Non ci resta ora che sommare su tutti gli x1 ∈ I1 e tutti gli x2 ∈ I2 perottenere

Prob. (q(t1) ∈ I1, q(t2) ∈ I2 | q(t0) = x) =

I1

pt1−t0(x, x1) dx1

I2

pt2−t1(x1, x2) dx2.

Iterando la procedura consideriamo l’evento che una particella parta ad un determinato istante t0in x e ad istanti via via successivi t0 < t1 < t2 < . . . < tn si trovi rispettivamente in I1, I2, . . . , In.La probabilita corrispondente sara

Prob. (q(t1) ∈ I1, . . . , q(tn) ∈ In | q(t0) = x)

=

I1

pt1−t0(x, x1) dx1

I2

pt2−t1(x1, x2) dx2 · · ·∫

In

ptn−tn−1(xn−1, xn) dxn.(4.19)

20L’idea e approssimativamente la seguente. Dalla (4.16) e possibile ”dimostrare” che lo spostamento mediodi una particella e nullo e che lo spostamento quadratico medio e direttamente proporzionale all’intervallodi tempo in cui si considera lo spostamento. In formule:

Media su q di (q(t′) − q(t)) = 0, Media su q di (q(t′) − q(t))2 = σ(t′ − t). (4.17)

Prendendo ora un gran numero di traiettorie sperimentali si puo calcolare il valore σ(t′ − t). Se t′ − t e notoquesto calcolo determina σ. Ora σ contiene essenzialmente il numero di Avogadro per la formula σ = kT

3aη,

essendo k la costante di Boltzmann, T la temperatura assoluta, a il raggio delle molecole ed η il coefficientedi viscosita. Il legame col numero di Avogadro e dato dalla formula k = R

N, R costante dei gas perfetti ed

N numero di Avogadro.

Page 43: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

43

Si pone a questo punto un problema naturale di coerenza. Infatti potremmo dire che per t0 < s < tdeve essere

Prob. (q(t) ∈ I | q(t0) = x) = Prob. (q(t) ∈ I, q(s) ∈ R | q(t) = x), ∀I ⊂ R,

ovvero che∫

I

pt−t0(x, y) dy =

R

ps−t0(x, y) dy

I

pt−s(y, z) dz =

I

R

ps−t0(x, y)pt−s(y, z) dy dz,

da cui ricaviamo l’equazione di Einstein–Smoluchovskii

pa+b(x, y) =

R

pa(x, z)pb(z, y) dz. (4.20)

E semplice verificare che effettivamente questa equazione e verificata dalle probabilita di transizionedella (4.16). Infine, che e quanto ci interessa, possiamo calcolare la probabilita che la traiettoriaparta al tempo 0 in y ed arrivi al tempo t in x passando attraverso le porte I1, I2, . . . In ai tempi0 < t1 < t2 < . . . < tn < t. Avremo

Prob. q : q(t1) ∈ I1, . . . , q(tn) ∈ In |q(0) = y, q(t) = x

=

I1×···×Inpt1(y, x1) pt2−t1(x1, x2)× · · · × pt−tn(xn, x) dx1dx2 . . . dxn.

(4.21)

Un insieme di traiettorie del tipo di quelli introdotti nella (4.21) viene detto cilindro e lo in-dicheremo nel seguito con Γ(t1, . . . , tn; I1 × · · · × In). Ad essere corretti ed onesti bisogna osser-vare che la (4.21) non e una vera e propria probabilita poiche se, come ci si dovrebbe aspettare,Prob. q : q(t1) ∈ R, . . . , q(tn) ∈ R |q(0) = y, q(t) = x = 1, invece tale ”probabilita” vale esatta-mente pt(y, x). Ad ogni modo il risultato seguente permette di affermare lo stesso che esiste effetti-vamente una misura sullo spazio delle traiettorie (funzioni continue) che assegna ai cilindri il valore(4.21). Il punto chiave e la (4.20).

Teorema 4.2 (Kolmogorov) Se ph(·, ·) : h > 0 e una famiglia di densita di probabilita soddis-facenti alle equazioni (4.18) & (4.20) allora esiste una misura su

C(t;x, y) = q ∈ C([0, t]; R) : q(0) = y, q(t) = x ,

la cui misura sui cilindri e assegnata dalla formula (4.21). Nel caso di ph assegnato dalla formula(4.16), tale misura verra indicata con il simbolo W

tx,y.

Ribadiamo il fatto che Wtx,y non e una misura di probabilita nel senso che W

tx,y(C(t;x, y)) non e

uguale ad 1. In effetti valeW

tx,y(C(t;x, y)) = pt(x, y).

Per ottenere una misura di probabilita basta quindi normalizzare Wtx,y. Questo punto e secondario e

quindi terremo la misura Wtx,y cosı come l’abbiamo definita. Per concludere e importante osservare

che la costruzione fatta si basa solamente sulle equazioni (4.18) & (4.20).A questo e possibile dare un senso rigoroso alla (4.14) sotto un minimo di ipotesi per V . Per

esempio: se V e inferiormente limitata e continua allora la (4.14) e definita come l’integrale su

C(t, x, y) del funzionale q 7−→ e−∫

t

0V (q(s)) ds

rispetto alla misura Wtx,y.

E opportuno qui precisare che la costruzione di Kolmogorov e valida senza variazioni tecnichequando le traiettorie sono a valori vettoriali (cioe q(t) ∈ R

n). Cio rende applicabile immediatamentela (4.14) al caso fisico interessante del potenziale coulombiano.

Page 44: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

44

4.4 Applicazioni della formula di Feynman–Kac alla MQ

La (4.14) e certo una bellissima e suggestiva formula, ma sembra difficile vedere come applicarlaa problemi concreti, sopratutto perche si tratta di un integrale infinito dimensionale, dunque pocomaneggevole per i calcoli. Tuttavia si e mostrato in numerosissime applicazioni che tale formulapermette di studiare moltissime proprieta dei sistemi quantistici. Per un’illustrazione matematicadi tali applicazioni rimandiamo al gia citato libro di Kac, mentre per le applicazioni piu fisiche,anche se in genere quasi prive di rigore, il libro di Feynman & Hibbs e il riferimento piu indicato.

In questa sezione ci limiteremo ad un paio di esempi ”abbordabili” ed interessanti e, comunque,per nulla banali.

4.4.1 La legge di Planck

Una delle prime leggi della fisica atomica e stata introdotta da Planck quando ancora la meccanicaquantistica non era stata formalizzata. Tale legge afferma che i livelli ammissibili dell’energia sonoun certo insieme discreto Enn∈N, En < En+1 e, per n grande, En ∼ 2πhn. Il nostro scopo inquesto paragrafo e dedurre questa legge sotto alcune minime ipotesi.

Ricordiamo anzitutto che i valori ammissibili dell’energia sono gli autovalori λn dell’hamiltonianaquantistica, cioe le soluzioni dell’equazione stazionaria di Schrodinger che qui riportiamo per con-venienza

− h2

2mϕ′′(x) + V (x)ϕ(x) = λϕ(x). (4.22)

Si puo dimostrare che se limx→±∞ V (x) = +∞ e V e limitato dal basso, allora la (4.22) ammetteuna successione λn ր di autovalori con corrispondente base ortonormale ϕn in X = L2(R). Uncaso particolare di cio l’abbiamo visto nel caso dell’oscillatore armonico, dove V (x) = 1

2x2.

Assumiamo per semplicita che m = 1. Ripetendo i conti fatti per il propagatore di Schrodingernel caso del calore, tenuto conto che Gϕn = −λnϕn, abbiamo

v(t, x) =

R

ϕ(y)

(∑

n

e−λntϕn(x)ϕn(y)

)dy =:

R

ϕ(y)gt(x, y) dy,

e, dalla formula di Feynman–Kac (4.14), si ha

n

e−λntϕn(x)ϕn(y) = gt(x, y) =

C(t;x,y)

e−∫

t

0V (q(s)) ds

dWtx,y(q). (4.23)

In particolare, ponendo y = x abbiamo che

n

e−λntϕn(x)2 =

C(t;x,x)

e−∫

t

0V (q(s)) ds

dWtx,x(q),

ed, integrando in x e tenuto conto che ‖ϕn‖ = 1, abbiamo infine la

n

e−λnt =

R

(∫

C(t;x,x)

e−∫

t

0V (q(s)) ds

dWtx,x(q)

)dx. (4.24)

Supponiamo che t ∼ 0. E naturale attendersi che

e−∫

t

0V (q(s)) ds ∼ e−tV (x),

e quindi che∫

R

(∫

C(t;x,x)

e−∫

t

0V (q(s)) ds

dWtx,x(q)

)dx ∼

R

e−tV (x)W

tx,x(C(t;x, x)) dx

=

R

e−tV (x)pt(x, x) dx

=

R

e−tV (x) 1√2πh2t

dx,

Page 45: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

45

cosı che la (4.24) puo essere riscritta, per tց 0 come

n

e−λnt ∼ 1√2πh2t

R

e−tV (x) dx =1

2πh

R2

e−t(

p2

2+V (x)

)dp dx. (4.25)

Introduciamo ora la variabile d’area A = p2

2+ V (x) e guardiamo l’integrale a destra nella (4.25)

per ”fette” rispetto alla variabile A:

R2

e−t(

p2

2+V (x)

)dp dx =

∫ +∞

Amin

e−λt dA(λ),

dove A(λ) = Area(p2

2+ V (x) ≤ λ

). Anche il primo membro della (4.25) puo essere scritto come

un integrale, introducendo la ”misura” di conteggio

N(λ) := ♯ (λn : λn < λ) ,

per cui∑

n

e−λnt =

∫ +∞

λ1

e−λt dN(λ).

Morale ∫ +∞

λ1

e−λt dN(λ) ∼ 1

2πh

∫ +∞

Amin

e−λt dA(λ). (4.26)

Da questa sarebbe ora possibile mostrare che

N(λ) ∼ 1

2πhA(λ), λ→ +∞. (4.27)

da cui,A(λn) ∼ 2πhn, n→ +∞.

Naturalmente la dimostrazione rigorosa della (4.25) e della (4.27) sono un po’ delicate tecni-camente, ma i passaggi precedenti sono lo scheletro della dimostrazione di quanto annunciatonell’introduzione.

5 Il problema della QFT

Siamo finalmente giunti al punto in cui e possibile parlare del problema di quantizzare un campo.Per mostrare l’essenza del problema considereremo il caso piu semplice. Sebbene un po’ idealizzatopermette di illustrare bene le notevoli difficolta che si incontrano nella teoria, senza complicaretroppo gli aspetti formali.

Cominciamo col concetto di campo. Fisicamente l’origine del termine viene dall’elettrodinamicae campo sta per campo elettromagnetico. La teoria della relativita ha poi mostrato l’importanzadel campo gravitazionale nella teoria geometrica dello spazio–tempo (21). L’ente matematico adattoa descrivere un campo e una funzione φ = φ(t, ~x) ∈ R

n con ~x ∈ R3, dove t e il tempo ed ~x e la

variabile spaziale. Per incorporare la teoria della relativita generale bisognerebbe parlare di camposu una varieta differenziale (lo spazio–tempo), e questo introduce ulteriori complicazioni.

In ogni caso, cio di cui disponiamo sono le equazioni di evoluzione del campo, che sono l’analogodelle equazioni di Newton per le particelle nella Meccanica Classica. L’analogia e effettivamentequesta perche si possono introdurre delle equazioni di Hamilton ed il formalismo dei principi vari-azionali per descrivere la dinamica. Su questa base, una volta introdotte le equazioni di Newton,calcoleremo l’hamiltoniana ed introdurremo il formalismo di Heisenberg per la descrizione classicadel sistema. Quindi passeremo il formalismo di Heisenberg dentro alla macchina della quantizzazionegia vista nel passaggio dalla Meccanica Classica a quella Quantistica. Nel fare cio dovremo introdurre

21Rimandiamo a Landau & Lifshiz, Teoria dei Campi, Editori Riuniti, per tutto quanto concerne detteteorie

Page 46: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

46

le nuove parentesi di Poisson, le coordinate canoniche (la ”Q” e la ”P”) e le regole di commutazionefra queste. Quindi per analogia con la meccanica quantistica introdurremo lo spazio degli staticome spazio di funzioni integrabili, le osservabili ed in particolare procederemo alla quantizzazionedelle coordinate canoniche e dell’hamiltoniana. Quest’operazione risultera pero molto complessa eparecchie novita interverranno. In particolare il tentativo di quantizzare l’hamiltoniana mostrerache questa e ”sempre infinita” ed una procedura apposita (detta rinormalizzazione) permettera dicapire come ”modificare” l’hamiltoniana affinche questa ritorni ad avere un senso.

Se la meccanica quantistica e difficile perche comporta un livello di analisi su spazi infinito di-mensionali, la teoria quantistica dei campi e ancora piu difficile, stando in rapporto alla MQ tantoquanto questa e in rapporto con la MC. Volendo mettere in parallelo i principali aspetti potremmoriassumere il tutto con la tabella

MC MQ QFT

Spazio degli stati R2 L2

C(R2) L2

(L2

C(R2)

)

(misura su R2) (misura su spazi di dim. ∞)

Osservabili funzioni operatori operatori

H funz. scalare op. differenziale op. differenziale(ellittico, 1-dimensionale) (ellittico, ∞−dim.)

Necessita rinormalizzazione

Evoluzione stati eq. Hamilton eq. Schrodinger eq. Schrodinger(PDE, 1-dim) (PDE, ∞−dim)

Traiettorie ODE SDE SPDE

dove ODE sta per equazioni differenziali ordinarie, SDE per equazioni differenziali stocastiche eSPDE per equazioni differenziali stocastiche a derivate parziali.

5.1 Equazione di Klein–Gordon

Cominciamo con le ”equazioni di Newton” per il campo elettromagnetico. Qui considereremo il casodi un campo φ = φ(t, x) : R × R → R, dove t indica il tempo ed x lo spazio. In realta un camposarebbe un vettore di funzioni del tipo precedente, ma per non complicare le cose noi ne prenderemouna sola. L’equazione che descrive l’evoluzione del campo si chiama equazione di Klein–Gordon ede

( +m2)φ(t, x) := ∂ttφ(t, x)− ∂xxφ(t, x) +m2φ(t, x) = −f(φ(t, x)). (5.1)

Il simbolo prende il nome di D’Alembertiano od operatore di D’Alembert. L’equazione (5.1) e unariduzione e semplificazione delle equazioni di Maxwell per il campo elettromagnetico. Per brevita eper evitare confusione con le derivate che introdurremo a breve scriveremo ∂ttφ = φtt e cosı via.

Il primo passo consiste nel riscrivere l’equazione (5.1) sotto forma di sistema Hamiltoniano, esat-tamente come abbiamo fatto a suo tempo con le equazioni di Newton. Come allora abbiamo:

φt(t, x) = ψ(t, x),

ψt(t, x) = −(−φxx(t, x) +m2φ(t, x) + f(φ(t, x))

) (5.2)

Si tratta di trovare ora l’Hamiltoniana H (classica), cioe una funzione delle ”coordinate” (φ, π) taleche il sistema (5.2) si possa scrivere come

φt = ∂ψH,

ψt = −∂φH.(5.3)

In questo caso la faccenda si complica perche bisogna dare un senso alle ”derivate” parziali ∂ψHed ∂φH . Anzitutto osserviamo che lo spazio delle fasi sara uno spazio di funzioni, sulle quali richie-deremo tutte le proprieta che via via diverranno necessarie per svolgere i calcoli e dare senso allevarie espressioni che interverranno(22). Chiamiamo S questo spazio. Sara conveniente assumere unaqualche struttura su S e quella piu comoda e sicuramente quella hilbertiana, cosı che considereremo

S := L2R(R).

22Anche se vedremo che, nostro malgrado, il concetto di funzione ordinaria non sara sufficiente. . .

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47

L’hamiltoniana classica H dovra allora essere una funzione H : D(H) ⊂ S × S → R. Una funzionecome la H , cioe una funzione da uno spazio funzionale a valori numerici, viene detta funzionale(23).Il dominio di H potrebbe essere messo a posteriori di modo che effettivamente valga il sistema (5.3).Un dominio comodo, come vedremo, e D(H) = C∞

c (R)× C∞c (R).

Proviamo ora a vedere se riusciamo ad ”indovinare” la forma della derivata ∂πH . Inspirandociall’azione della meccanica classica poniamo

H(φ, π) =1

2

R

π(x)2dx+ V (φ),

dove per il momento V e un non meglio precisato funzionale di φ. Vediamo che la scelta e giusta:

H(φ, ψ + δψ)−H(φ,ψ) =

R

ψδψ dx+ o(δψ)2,

per ogni funzione δψ. La parte∫

Rψδψ dx e lineare nell’incremento δψ per cui e naturale vedere

l’operazione di integrale come un prodotto scalare e porre a vettore rappresentativo di ∂ψH(π)esattamente ψ. La determinazione del funzionale V e un po’ piu complicata ma oramai dovremmoaver capito. Ad esempio un termine del tipo

m2

2

R

φ2 dx, (5.4)

produrra come derivata m2φ. Riflettiamo un istante: la trasformazione φ 7→ m2φ puo essere vistacome φ 7→ g φ, dove g(z) = m2z. Per costruire il funzionale che ha questa trasformazione per

derivata (cioe la sua primitiva) noi prendiamo la funzione G(z) = m2

2z2, cioe G tale che G′ = g ed

il funzionale e dato da ∫

R

G(φ(x)) dx.

Questo modo ”complicato” di scrivere la posizione (5.4) ci permette di vedere facilmente il potenzialedel termine φ 7→ f φ, che sara ∫

R

F (φ(x)) dx,

essendo F una primitiva della funzione numerica f . La verifica e immediata perche∫

R

F ((φ+ δφ)(x)) dx−∫

R

F (φ(x)) dx =

R

f(φ(x))δφ(x) dx+ o(δφ).

Ci rimane il termine φ 7→ −φxx. Ricordando sempre l’azione classica sara naturale porre, comeprimitiva di questa trasformazione,

φ 7→ 1

2

R

φx(x)2dx.

La verifica e la solita formula d’integrazione per parti:

1

2

R

(φ+ δφ)x(x)2 dx− 1

2

R

φx(x)2 dx =

R

φx(x)δφx(x) dx = −∫

R

φxx(x)δφ(x) dx.

In conclusione l’hamiltoniana e il funzionale:

H(φ,ψ) =1

2

R

ψ(x)2 + φx(x)

2 +m2φ(x)2)dx+

R

F (φ(x)) dx. (5.5)

Passiamo ora al calcolo dell’azione. Per questa abbiamo bisogno della lagrangiana. Va detto chein realta esiste una relazione precisa fra hamiltoniana e lagrangiana, una formula che permette

23Un’esempio l’abbiamo gia incontrato con l’azione della meccanica classica.

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48

di calcolarne una nota l’altra. Tale operazione si chiama trasformata di Legendre. Qui andremo acercare direttamente la lagrangiana. Essa sara della forma

A(φ) =

R2

L(φ(t, x), φt(t, x), φx(t, x))dtdx,

dove L : R × R × R → R sara la lagrangiana. Come troviamo questa funzione? Imponendo che∂φA = 0 corrisponda all’equazione di Klein–Gordon. Per non creare confusione chiamiamo conξ, η, ζ le variabili indipendenti di L. Ad esempio Lξ e la derivata parziale di L rispetto alla primavariabile. Dunque, trascurando i termini di ordine superiore al primo nell’incremento δφ,

δA =

R2

L(φ+ δφ, φt + δφt, φx + δφx) dtdx−∫

R2

L(φ, φt, φx) dtdx

=

R2

Lξδφ+ Lη(δφ)t + Lζ(δφ)x dtdx (per parti)

=

R2

Lξ − ∂tLη − ∂xLζ δφ dtdx.

Bisogna notare che la notazione Lη sta per:

Lη(φ(t, x), φt(t, x), φx(t, x)),

avendo omesso l’argomento per mantenere le notazioni il piu possibile compatte. Allo stesso modosi deve considerare Lζ . Ora δA contiene termini trascurabili in δφ se e solo se

Lξ − ∂tLη − ∂xLζ = 0,

da cui si vede l’equazione di Klein–Gordon se

L(φ,φt, φx) =m2

2φ2 + F (φ)− 1

2φ2t +

1

2φ2x. (5.6)

Il caso in cui f ≡ 0 viene detto di campo libero. In questa sezione tratteremo solo questo caso. Lateoria di campo libero e ben compresa. Tuttavia, come suggerisce la denominazione della teoriastessa, riguarda l’assenza di interazioni, per cui non rappresenta un caso fisicamente realistico. Lateoria generale e ancora ad oggi largamente incompleta. Esiste una teoria P (φ)2 completa, chesignifica quando f e un polinomio in φ nel caso di dimensione spaziale 1 (2 sta per una dimensionetemporale ed una spaziale). Ci sono alcuni casi particolari in dimensione 3 = 1 + 2 ma non c’e unateoria generale, cosı come in dimensione 4 = 1 + 3, che e il caso fisicamente interessante.

Per concludere osserviamo che l’hamiltoniana di campo libero e in un certo senso equivalente ad unsistema infinito di oscillatori armonici accoppiati (e questo e un rudimentale sintomo di aumentatacomplessita). Euristicamente si tratta di sostituire alla somma integrale una somma discreta:

H(φ,ψ) =1

2

R

ψ(x)2 + φx(x)

2 +m2φ(x)2)dx ∼ 1

2

n

π2n +m2φ2

n + (φn − φn−1)2.

Il termine φn − φn−1 rappresenta appunto il termine d’interazione.

5.2 Parentesi di Poisson

Abbiamo visto quanta parte abbiano avuto le parentesi di Poisson nel passaggio dalla meccanicaclassica a quella quantistica. Per mantenere il parallelo introduciamo anche qui le parentesi di Pois-son classiche per la teoria dei campi. La procedura formale e la stessa della meccanica classica. Unosservabile f e una funzione sullo spazio delle fasi a valori numerici, un funzionale cioe, non linearein genere. Esempio notevole e appunto l’hamiltoniana (5.5). In generale l’evoluzione dell’osservabilef e regolata dalla formula

f t(φ, ψ) = f(φ(t), ψ(t)),

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ove φ(t) = φ(t, ·), ψ(t) = ψ(t, ·) e la soluzione del sistema (5.2) tale che φ(0) = φ, ψ(0) = ψ.L’equazione differenziale e pertanto

∂tft = ∂φf · φ(t) + ∂ψf · ψ(t) = f,Ht,

dovef, g := ∂φf · ∂ψg − ∂ψf · ∂φg.

Questa formula andrebbe presa con una certa cautela perche le varie derivate parziali sono in realtada intendere come operatori lineari ed il ”prodotto scalare” · da intendere come azione del funzionalea sinistra del segno sul vettore a destra del segno. Ora l’interpretazione puo sembrare chiara nelcaso della formula scritta sopra dove compaiono termini del tipo

∂φf · φ(t).

Qui φ(t) e il vettore e ∂φf il funzionale. Viceversa nella definizione generale non e piu chiaro qualedei due termini debba rappresentare il vettore e quale l’operatore. La cosa e di una certa importanzapoiche a noi interessa calcolare le parentesi delle osservabili piu interessanti, le coordinate. Vediamocome in questo caso la questione venga risolta.

Anzitutto dobbiamo notare che, a differenza del caso della MC dove avevamo una sola osservabile”Q” ed una sola ”P”, definite come Q(q, p) = q, P (q, p) = p rispettivamente, qui di osservabiliclassiche ce ne siano infinite per la Q e per la P . In effetti una ”coordinata” tipo Q e ora tutto uncampo φ = φ(x). Possiamo quindi considerare, al variare di x ∈ R le osservabili

Φx(φ, π) = φ(x).

Analogamente porremoΨy(φ,ψ) = ψ(y).

Calcoliamo (almeno formalmente) Φx,Ψy al variare di x ed y. Abbiamo bisogno delle derivateparziali. Ad esempio calcoliamole per Φx. Ovviamente, poiche Φx non dipende da ψ e

∂ψΦx = 0.

InoltreΦx(φ+ δφ,ψ)− Φx(φ, ψ) = δφ(x).

Essendo questa lineare nell’incremento δφ avremo che

∂φΦx(φ,ψ) · δφ = δφ(x).

Analogamente∂φΨ

y ≡ 0, ∂ψΨy(φ,ψ) · δψ = δψ(y).

Come facciamo ora a calcolare ∂φΦx · ∂ψΨy ? Dobbiamo ”rappresentare” una delle due derivate

parziali con una funzione lasciando agire l’altra come operatore. Per esempio andiamo a rapp-resentare ∂ψΨy (e del tutto indifferente quale delle due, dato che sono identiche formalmente).Possiamo scrivere

∂ψΨy(φ, ψ) · δψ = δψ(y) =

R

δψ(z)δy(z) dz,

dove δy e la celebre funzione δ di Dirac centrata in y, cioe una funzione tale che

δy(z) ≥ 0, δy(z) = 0, ∀z 6= y,

R

f(z)δy(z) dz = f(y) per ogni f.

Una simile funzione e ”difficile” da immaginare ed in effetti non esiste. A meno di cambiare il con-cetto di funzione e passare a quello di funzione generalizzata, o distribuzione. Noi non ci occuperemodi questo problema ”tecnico” che porta a rivoluzionare non poco le possibilita del calcolo.

Dunque, ammettendo che∂ψΠy(φ, ψ) = δy,

avremo cheΦx,Ψy(φ, ψ) = ∂φΦ

x(φ, ψ) · δy = δy(x) = δ0(x− y).

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50

Vediamo qui che l’uso delle funzioni come la δ diventa problematico poiche il risultato della parentesidi Poisson sarebbe 0 se x 6= y mentre varrebbe ∞ per x = y!

Come ho detto sopra, questo problema in realta e sormontabile facilmente generalizzando legger-mente la definizione delle osservabili Φx e Ψy . Per fare cio osserviamo che Φx(φ, ψ) = φ(x) = 〈δx, φ〉,azione del funzionale δx sul campo φ (per definizione: 〈δx, φ〉 := φ(x)). Tale δx non e una funzione,ma puo essere sostituita da una funzione α con ”supporto” molto concentrato intorno al punto x.Poniamo dunque, per analogia

Φα(φ, ψ) := 〈α, φ〉 =∫

R

α(x)φ(x) dx.

Similmente

Ψβ(φ,ψ) = 〈β, ψ〉 =∫

R

β(x)ψ(x) dx.

E chiaro allora che∂φΦ

α(φ, ψ) = α, ∂ψΨβ(φ, ψ) = β,

e come sempre ∂ψΦα ≡ 0, ∂ψΨβ ≡ 0. E ora semplice calcolare la parentesi di Poisson:

Φα,Ψβ = 〈α, β〉. (5.7)

5.3 Rappresentazione di Schrodinger

Siamo ora pronti per ”quantizzare” la teoria sopra esposta. Come abbiamo visto nella MQ abbiamobisogno dei seguenti ingredienti:

i) di uno spazio degli stati X ottenuto come L2C(S): uno stato rappresenta una distribuzione di

probabilita (una volta normalizzato) ed esprime la probabilita di trovare il campo in certe”configurazioni” piuttosto che altre; gli operatori simmetrici rappresentano le osservabili reali;

ii) di parentesi quantistiche: determinano le regole di commutazione fra le osservabili; avendolegia ricavate nella MQ possiamo gia fin d’ora definirle come

ih[F,G] = FG−GF ;

iii) di coordinate canoniche quantizzate: sono una famiglia di coordinate tipo Q ed una di tipoP , rispettivamente Φαα e Ψββ , di cui venga data la regola di commutazione basata sulla(5.7);

iv) di un’hamiltoniana quantizzata.

Si tratta di un programma estremamente complesso che, a parte il secondo punto (invariato rispettoalla MQ), richiedera parecchie modifiche rispetto allo schema che formalmente generalizza quellodella MQ. In questo senso l’approccio di Feynmann dimostra la sua essenziale bellezza descrivendotutta la teoria tramite un solo ente matematico, una misura sullo spazio dei cammini.

5.3.1 Spazio degli stati: misure gaussiane in dimensione infinita

La prima difficolta ci appare quando poniamo, formalmente

X = L2C(S) =

ω : S → C :

S|ω(φ)|2dφ <∞

.

Il problema e: che cosa rappresenta dφ? Abbiamo gia incontrato nel paragrafo 4.1.1 questo tipo diproblema, cioe definire una misura su uno spazio infinito dimensionale. La generalizzazione naturaledalla MQ, per cui dφ e la generalizzazione ad infinite dimensioni della misura di Lebesgue, non epercorribile come visto nel paragrafo 4.1.1. Come fare allora?

Andando a rileggere i risultati per l’oscillatore armonico ci si accorge che lo spazio X della MQ puoessere equivalentemente riscritto in un modo che, come vedremo tra poco, puo essere trasportatoanche al nostro caso. In quel caso, infatti, abbiamo costruito una base ortonormale di autostati perl’hamiltoniana

ϕn(x) =1√

2nhnn!pn(x)ϕ0(x) =: qn(x)ϕ0(x),

Page 51: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

51

dove ϕ0(x) = (hπ)−1/4e−x2

2h . Base significa che

(ϕn, ϕm)L2C(R) = δnm, (ϕ,ϕn)L2

C(R) = 0, ∀n, =⇒ ϕ = 0.

Ora: osservato che

(ϕn, ϕm)L2C(R) =

R

qn(x)qm(x)ϕ0(x)2 dx = (qn, qm)L2

C(R;µ)

dove µ(dx) = ϕ0(x)2 dx = 1√

hπe−

x2

2h dx e una misura gaussiana.autostati che, per costruzione, avevano la forma

ωn(x) = (n!)−1/2ξn(√

2x)ω0(x),

dove ξn(x) e un polinomio, precisamente l’n–esimo polinomio di Hermite e ω0(x) e una gaussiana,precisamente

ω0(x) = π−1/4e−12x2

.

Lo spazio degli stati era L2C(R) e si puo osservare che

ωn ∈ L2C(R)⇐⇒ (n!)−1/2ξn ∈ L2

C(R;ω0(x)2dx),

dove naturalmente

L2C(R;ω0(x)

2dx) :=

p : R→ C |

R

|p(x)|2ω0(x)2dx =

R

|p(x)|2N(0,

1

2

)(dx) <∞

.

Introduciamo qui una notazione molto importante: chiamiamo monomio di Wick24 il polinomio

: xn : := (n!)−1/2ξn(√

2x).

Questa notazione e particolarmente importante perche dire che il sistema di autostati ωnn formauna base ortonormale per L2

C(R) significa dire che : xn : n forma una base ortonormale per

L2C

(R;N

(0, 1

2

)). In particolare,

R

: xn : : xm : N(0,

1

2

)(dx) = δnm,

ove qui δnm sta per la delta di Kronecker, cioe δnm = 0 se n 6= m altrimenti vale 1.Questo discorso ha messo in chiara evidenza la struttura gaussiana gia presente nella MQ. Si

potrebbe andare molto oltre, come ad esempio interpretando il significato dei monomi di Wick.Da un punto di vista puramente matematico questi possono essere visti come il risultato del pro-cedimento di ortogonalizzazione di Gram–Schmidt applicato alla successione standard di polinomi1, x, x2, . . . , xn, . . . nello spazio euclideo L2

C

(R;N

(0, 1

2

)), interpretazione certo non molto ap-

petibile al fisico. L’interpretazione fisica la si ricava quando si mette in relazione l’operatore Q congli operatori di creazione A♥ e distruzione A♠. Precisamente, ricordiamo che

Q =1√2(A♥ +A♠).

Questa equazione si ottiene invertendo la definizione di A♥ e A♠. Ora Q e un operatore (operatoredi moltiplicazione) per cui Qn ha un senso ben preciso e, in virtu dell’equazione precedente puo,essere scritto come

Qn = 2−n/2(A♥ + A♠)n.

Poiche sappiamo che A♥ e A♠ non commutano, precisamente [A♠, A♥] = I , non possiamo conclud-ere che

Qn = 2−n/2n∑

k=0

(n

k

)(A♥)k(A♠)n−k,

24La definizione che di solito viene data di monomio di Wick differisce da quella che riporto qui per uncoefficiente moltiplicativo

Page 52: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

52

come conseguenza dello sviluppo del binomio. Cosa rappresenta allora la quantita a destra, sviluppoformale del binomio come se A♥ e A♠ commutassero ? Ebbene questa e proprio il monomio di Wick: Qn : 25, a meno di un coefficiente moltiplicativo. Precisamente

Teorema 5.1 √n!

2n: Qn := 2−n/2

n∑

k=0

(n

k

)(A♥)k(A♠)n−k, (5.8)

Il fatto e che l’espressione (5.8) assume grandissima importanza nella teoria quantistica dei campi. Ilmotivo e il seguente. In quel caso la definizione analoga di Qn contiene quantita infinite ed in generee mal posta. Questo fatto impedirebbe la costruzione della teoria stessa. Senonche si e osservatoche l’analoga definizione (5.8) ha straordinariamente senso. Cioe mentre nella MQ un’espressionedel tipo Qn ha sempre senso cosı come : Qn :, quando si passa a quantizzare un campo la primaquantita e infinita mentre la seconda no. Per questo le quantita naturali da considerare non sonodella forma Qn ma : Qn :. La cosa per il momento puo apparire molto nebulosa tanto che sia Qn

che : Qn : sono polinomi di grado n in Q per cui non e chiaro per quale ragione uno debba essereinfinito e l’altro no! Questa procedura di sostituzione di quantita infinite attraverso la ”sottrazione”di altre quantita infinte a produrre quantita finite viene chiamata rinormalizzazione. Nella MQ larinormalizzazione non e necessaria quanto invece lo e nella teoria quantistica dei campi. Poichegrande ruolo e giocato dalla formula (5.8) si e soliti definire : Qn : proprio come il secondo membrodella (5.8)26.

Torniamo infine alla questione di come definire la misura gaussiana N (0, C). La digressione sullaMQ, o meglio sulla rivisitazione del caso dell’oscillatore armonico, ci porta inevitabilmente a tentaredi procedere per analogia. Se riflettiamo pero sulla costruzione di quel caso, vediamo che cio dicui abbiamo bisogno e la struttura di autostati dell’hamiltoniana quantizzata. Il guaio e che perquantizzare l’hamiltoniana avremo bisogno della struttura dello spazio X gia definita. Volendoevitare circoli viziosi, accetteremo per il momento la struttura gaussiana non avendo ancora definitola matrice27 di covarianza C.

5.3.2 Regole di commutazione

Definiamo le parentesiih[F,G] := FG−GF,

per F e G operatori lineari su X. Questa definizione e conforme alle regole introdotte in MQ doveabbiamo provato che una parentesi [·, ·] soddisfacente l’assioma 3.7 e necessariamente della formadetta sopra (teorema di Dirac 3.8). Tale deduzione e puramente algebrica e prescinde dallo spaziodegli stati X soggiacente, per cui la riterremo senz’altro valida anche nel contesto dei campi. Unminimo d’attenzione richiede invece la quantizzazione della condizione (5.7).

Anzitutto ad ogni α avremo associato operatori Φα e Ψα su X. Il modo naturale di tradurre la(5.7) e attraverso l’equazione

ih[Φα,Ψβ ] = 〈α, β〉I, ∀α, β. (5.9)

A dire il vero bisognerebbe anche analizzare che succede quando cerchiamo di commutare un oper-atore Φα con Φβ . La risposta ci viene immediatamente dalle parentesi di Poisson classiche poichein tal caso

Φα,Φβ = ∂φΦα · ∂ψΦβ − ∂ψΦα · ∂φΦβ = 0,

perche ∂πΦβ ≡ 0 per quanto visto sopra. Dunque oltre alla (5.9) avremo le

[Φα,Φβ ] = 0, [Ψα,Ψβ ] = 0, ∀α, β. (5.10)

Del resto l’interpretazione e chiara: se vogliamo misurare la posizione od il momento in due puntidiversi dello spazio le due misurazioni non interferiscono fra loro (questo e quanto afferma la

25Cioe quell’operatore che si ottiene sostituendo ad x l’operatore Q nel polinomio algebrico : xn :.26Questo introduce la costante moltiplicativa, di cui abbiamo detto in precedenza, come fattore di

(n!)−1/2ξn(√

2Q).27”Matrice” infinito dimensionale.

Page 53: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

53

(5.10)); se si vuole misurare simultaneamente una posizione ed un momento allora non si ha in-terferenza se si misurano le due quantita simutaneamente in due punti diversi altrimenti si hainterferenza. Quest’ultima interpretazione corrisponde in realta ai campi Φx e Ψy dove l’equazione(5.9) suonerebbe come

ih[Φx,Ψy] = δx−yI.

Tuttavia questa notazione, abbiamo detto in precedenza, e pericolosa ed ambigua. Possiamo lostesso avere una bella interpretazione della (5.9) come segue: Φα e Ψβ non interferiscono fra lorose α e β sono ”spazialmente” separate, cioe se i supporti28 di α e β sono disgiunti.

Chiariamo questo punto con un esempio. Non potendo parlare di Φx e Ψy possiamo pensaresostituire Φx con un operatore del tipo ΦχA dove A ⊂ R e un intorno di x. Cio corrisponde al”mediare” i valori del campo in un intorno di x, per cui l’esito di ΦχA su uno stato ω coinvolgerasolo i valori di φ(z) con vicino ad x (a meno dell’errore definito dall’intorno A). Analogamentesostituiamo Ψy con ΨχB , ove B e un intorno di y. Se x 6= y possiamo sempre trovare A e Bdisgiunti per cui 〈χA, χB〉 = |A∩B| = |Ø| = 0. Da questo segue che ΦχA e ΨχB commutano. In uncerto senso questo rende dell’intuizione che, se per misurare ΦχA ci servono i valori del campo in A,ΦχA , dopo la misurazione, avra perturbato solo quei valori e niente altro. Analogamente per ΨχB ,per cui e chiaro che nessuno dei due debba influire sui risultati dell’altro, donde la commutativita.

5.3.3 Operatori di moltiplicazione e derivazione

Siamo ora giunti alla quantizzazione dei campi29 di operatori Φα e Πβ. Quantizzare significa definireΦα come operatore su X (lineare e simmetrico). Nella MQ avevamo posto [Qω](x) = xω(x). L’ideapotrebbe quindi essere di porre [Φαω](φ) = φω(φ) dopodiche, pero, non avremmo una funzionescalare. In effetti dobbiamo ragionare sempre col caso ideale ω = δφ (cioe lo stato e esattamente ilcampo φ). Allora deve risultare che

[Φxδφ](φ) =

0 se φ 6= φ

φ(x) se φ = φ

= φ(x)δφ(φ) = 〈φ, δx〉δφ(φ).

Da questa ci e immediato porre[Φαω](φ) = 〈φ, α〉ω(φ). (5.11)

E immediato verificare che Φα cosı definita e un’osservabile reale:

(Φαω1, ω2)X=

S〈φ, α〉ω1(φ)ω2(φ)ν(dφ)

=

Sω1(φ)〈φ,α〉ω2(φ)ν(dφ),

essendo 〈φ, α〉 ∈ R.Passiamo a Ψβ . Come gia nel paragrafo 3.8.2 serviamoci dell’equazione di commutazione (5.9). Per

evitare di portarci dietro anche h , poniamo questa costante uguale ad 1. La regola di commutazione,scritta per esteso, assume la forma

i〈φ, α〉[Ψβω](φ)−Ψβ[〈·, α〉ω(·)](φ)

= 〈α, β〉ω(φ). (5.12)

L’operatore Ψβ rappresenta il momento per cui e naturale porre (a generalizzazione della P quan-tistica e seguendo le linee di ragionamento di sopra)

[Ψβω](φ) = −i 〈∂φω(φ), β〉 . (5.13)

28Per supporto di una funzione regolare α s’intende la parte del dominio dove la funzione e diversa da 0.29Diciamo campi perche siamo partiti dall’applicazione tipo x 7→ Φx.

Page 54: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

54

Verifichiamo che Ψβ soddisfa la (5.12). Dobbiamo procurarci Ψβ [〈·, α〉ω(·)]. Basta tener presenteche ∂φ e un’usuale derivata e soddisfa le regole del prodotto:

Ψβ[〈·, α〉ω(·)] = −i 〈∂φ [〈·, α〉ω(·)] , β〉

= −i 〈αω(φ) + 〈α, φ〉∂φω(φ), β〉 =

= −i〈α, β〉ω(φ)− i〈α, φ〉 〈∂φω(φ), β〉

= −i〈α, β〉ω(φ)− iΦα[Ψβω](φ).

Quando andiamo a verificare se Ψβ definito dalla (5.13) e simmetrico in X ci troviamo di fronte adun nuovo problema. Impostando il calcolo

(Ψβω1, ω2

)X

=

S[Ψβω1](φ)ω2(φ)ν(dφ)

= −i∫

S〈∂φω1(φ), β〉ω2(φ)ν(dφ)

= −i⟨∫

S∂φω1(φ)ω2(φ)ν(dφ), β

Il problema sorge quando cerchiamo di fare l’integrazione per parti, di modo da spostare la derivatasu ω2. In effetti dobbiamo tenere conto del fatto che ν(dφ) non e l’ordinaria misura di Lebesgue,invariante per traslazioni (su cui il principio dell’integrazione per parti e basato). Tuttavia la situ-azione non e poi cosı drammatica. Visto che ν = N (0, C) possiamo pernsare che

ν(dφ) = e−12〈C−1φ,φ〉dφ.

Ribadiamo che a regola questa non e corretta perche dφ non ha senso. Noi ora procederemo formal-mente, come se avesse senso e dedurremo una formula d’integrazione per parti dipendente solo daν e prenderemo questa formula per buona. Dunque:

S∂φω1(φ)ω2(φ)e−

12〈C−1φ,φ〉dφ =

= −∫

Sω1(φ)∂φ

(ω2(φ)e−

12〈C−1φ,φ〉

)dφ

= −∫

Sω1(φ)

(∂φω2 − ω2(φ)C−1φ

)e−

12〈C−1φ,φ〉dφ

= −∫

Sω1(φ)

(∂φω2(φ)− ω2(φ)C−1φ

)ν(dφ).

Moltiplicando scalarmente per β arriviamo all’identita∫

S〈∂φω1(φ), β〉ω2(φ)ν(dφ) = −

Sω1(φ)(〈∂φω2(φ), β〉 − ω2(φ)〈C−1φ, β〉)ν(dφ). (5.14)

Reintroducendo la i ed l’operatore Ψβ possiamo interpretare la precedente nella seguente scrittura:

(Ψβω1, ω2

)X

=(ω1,Ψ

βω2 + iΦC−1βω2

)X

. (5.15)

Per reintrodurre ΦC−1β abbiamo usato il fatto che C−1 e a sua volta simmetrico rispetto al prodotto

〈·, ·〉, per cui

〈C−1φ, β〉ω2(φ) = 〈φ,C−1β〉ω2(φ) = ΦC−1βω2(φ).

Page 55: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

55

Dunque quando ”spostiamo” Ψβ da una parte all’altra del prodotto scalare compare un termine ”ex-tra” sommato a Ψβ. Dunque Ψβ non e formalmente simmetrico. Per renderlo tale basta modificarnela definizione nel seguente modo: poniamo

[Ψβω](φ) = −i 〈∂φω(φ), β〉+ i

2[ΦC

−1βω](φ). (5.16)

Se notiamo, per analogia col gradiente classico, che il primo addendo nella (5.16) e −i moltiplicatoper la derivata direzionale nella direzione β porremo

∇βω(φ) = 〈∂φω(φ), β〉 .

Da questa otteniamo

Ψβ = −i∇β +i

2ΦC

−1β.

La formula di integrazione per parti (5.14) si riscrive come:

S∇βω1(φ)ω2(φ)ν(dφ) = −

Sω1(φ)

(∇βω2(φ)− ΦC−1βω2(φ)

)ν(dφ),

e la (5.15) come

(−i∇βω1, ω2)X=(ω1,−i∇βω2 + iΦC

−1βω2

)X

.

A questo punto la simmetria di Ψβ puo essere determinata algebricamente in modo semplice:

(Ψβω1, ω2

)X

= (−i∇βω1, ω2)X+(i

2ΦC

−1βω1, ω2

)X

=(ω1,−i∇β ω2 + iΦC

−1βω2

)X

+i

2

(ω1,Φ

C−1βω2

)X

(perche ΦC−1β e simmetrico)

=(ω1,−i∇β ω2 +

i

2ΦC

−1βω2

)X

=(ω1,Ψ

βω2

)X.

Avendo cambiato la definizione di Ψβ da

−i∇β a − i∇β +i

2ΦC

−1β ,

ed avendo provato chei [Φα,−i∇β ] = 〈α, β〉I,

puo sorgere in dubbio che questa equazione non sia piu soddisfatta da Ψβ cosı come definito dalla(5.16)30. In realta Ψβ e costituito da due parti: una che soddisfa la condizione ed una che commutacon Φα (il cui commutatore e quindi zero e non influisce pertanto sul risultato finale). Precisamente

i[Φα,Ψβ

]= i[Φβ ,−i∇β

]+ i[Φα,

i

2Φβ]

= 〈α, β〉I + 0.

5.3.4 Quantizzazione di H: rinormalizzazione

Questo e il problema piu delicato. L’idea semplicemente di sostituire le espressioni dei campi Φx

e Ψy (che, come abbiamo detto abbiamo in realta solo sotto la forma Φα, Ψβ) porta ad alcuniproblemi. Innanzi tutto abbiamo un problema ”tecnico”: la presenza del termine φx nell’espressionedell’hamiltoniana. La trasformata di Fourier e lo strumento che permette di risolvere elegantementela questione.

30Aprendo lo spiraglio per uno spaventoso circolo vizioso nel quale modifichiamo Φβ affinche valga unacerta condizione e di lı a poco lo rimodifichiamo perche nel primo modo non vale una seconda etc. . .

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56

Teorema 5.2 Data una funzione φ si pone

φ(λ) :=1√2π

R

e−iλxφ(x)dx.

φ si dice trasformata di Fourier di φ e gode delle seguenti proprieta:

(i) (derivazione) φx(λ) = iλφ(λ);

(ii) (isometria) ∫φ(x)ψ(x)dx =

∫φ(λ)ψ(λ)dλ.

(iii) (inversione)

φ(x) =1√2π

∫eiλxφ(λ)dλ,

Applicando due volte la proprieta (i) in particolare si ottiene che

φxx(λ) = −λ2φ(λ).

Per cui il termine dell’hamiltoniana contenente il gradiente puo essere riscritto (applicando unintegrazione per parti e la proprieta (ii)) come

∫φ2x = −

∫φxxφ = −

∫φxxφ =

∫λ2φ(λ)dλ.

Applicando ancora la (ii) ai termini quadratici restanti otteniamo l’hamiltoniana nelle coordinateconiugate:

H(φ,ψ) =1

2

∫ψ(λ)2 + (λ2 +m2)φ(λ)2dλ.

In questa forma ci ricorda ancor di piu l’hamiltoniana di oscillatore armonico, nel senso che, dis-cretizzando l’integrale

H(φ,ψ) ∼ 1

2

n

(ψ2n + µ(n)2φ2

n), (5.17)

ove µ(λ)2 = λ2 + m2. L’hamiltoniana discretizzata ci appare ora come l’hamiltoniana di un os-cillatore armonico infinito dimensionale. La sua troncatura finito dimensionale, che viene dettatroncatura ultravioletta31 , puo essere studiata esattamente come per l’oscillatore armonico unidi-mensionale. Poiche nelle coordinate coniugate sparisce l’interazione l’analisi e molto semplice. Peresempio gli autostati dell’hamiltoniana sono dati da prodotti dei corrispondenti autostati di quella”unidimensionale”. Sarebbe interessante mettere in chiaro la struttura delle soluzioni di questo casoper mettere in chiaro in modo semplice l’origine dei problemi del caso infinito dimensionale, marichiederebbe ulteriore spazio e tempo. . .

Torniamo al nostro problema: quantizzare l’hamitoniana (5.17). Dobbiamo procurarci le versioniquantistiche di φ(λ) e ψ(λ). Procediamo in modo formale:

Φ(λ) =1√2π

∫e−iλxΦxdx,

ed un’analoga definizione per Ψ(λ). Ovviamente sappiamo che Φx e Ψy non esistono, per cuibisognerebbe generalizzare la precedente definizione. Per risolvere questo problema si percorre, piuo meno, la strada delineata in precedenza che ci ha portato alla definizione di Φα e Ψβ. Osserviamoad esempio che

[Φ(λ)ω](φ) =1√2π

∫e−iλx[Φxω](φ)dx = φ(λ)ω(φ),

31Il verbo deriva dall’interpretazione di n, o meglio di λ. Questa e infatti una ”frequenza”, nel senso che,dalla formula d’inversione si puo leggere φ come ricostruita a partire dalle funzioni trigonometriche eiλx,per le quali λ ha significato di frequenza, attraverso una combinazione lineare generalizzata (l’integrale) con

pesi dati da φ(λ).

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57

per cui si potrebbe porre[Φαω](φ) = 〈φ, α〉ω(φ).

Qualcosa di simile puo essere fatto anche per Ψβ. Qui, come ho detto, continueremo con Φ(λ)e Ψ(λ′). Allora Φ(λ)2 e un certo operatore e cosı pure lo e Ψ(λ)2. L’hamiltoniana quantisticadiventerebbe allora una sorta di combinazione lineare generalizzata di questi operatori, cioe

H0 :=1

2

∫Φ(λ)2 + µ(λ)2Ψ(λ)2dλ. (5.18)

L’indice 0 sta a ricordarci che il termine d’interazione f e nullo. La (5.18) e per il momento unadefinizione puramente formale32 ; immaginiamo che il problema degli operatori Φ(λ) e Ψ(λ) possaessere affrontato come abbiamo visto sopra.

Procediamo con l’analogia con l’oscillatore armonico. Il prossimo passo e l’introduzione deglioperatori di creazione e distruzione attraverso i quali introdurre gli autostati. Questo operatorivengono fuori dalla fattorizzazione dell’hamiltoniana quantistica ed e esattamente quello che oracercheremo di fare. Riscriviamo l’hamiltoniana come

H0 =

∫µ(λ)

1

2

[1

µ(λ)Ψ(λ)2 + µ(λ)Φ(λ)2

]dλ.

Gli operatori (o meglio campi di operatori) di creazione e distruzione sono definiti dalla fattoriz-zazione formale del termine in parentesi quadre nell’espressione precedente, vale a dire, rispettiva-mente

A♥(λ) :=1√2

(√µ(λ)Φ(λ)− i√

µ(λ)Ψ(λ)

),

A♠(λ) :=1√2

(√µ(λ)Φ(λ) +

i√µ(λ)

Ψ(λ)

),

(5.19)

Come gia nel caso quantistico c’e d’aspettarsi che A♥(λ) e A♠(λ) non commutino. Come in quel casoper calcolare le regole di commutazione per gli operatori di creazione e distruzione abbiamo bisognodelle stesse per le coordinate generalizzate coniugate. Queste possono essere facilmente ricavate sesi osserva che

i[Φ(λ), Ψ(λ′)

]=

1

∫ ∫e−i(λx+λ

′y)i [Φx,Ψy] dxdy

=1

∫ ∫e−i(λx+λ

′y)δ(x− y)I dxdy

=1

∫e−i(λ−λ

′)xdx I

= δ(λ− λ′)I.

Ovviamente sul penultimo integrale abbiamo chiuso un occhio! Come al solito e facile immaginarequale forma assumera il commutatore. Ora siamo in grado si calcolare il commutatore degli operatoridi distruzione e creazione: [

A♠(λ), A♥(λ′)]

= δ(λ− λ′)I.

Usando quest’equazione l’hamiltoniana e presto riscritta in termini di operatori di creazione e dis-truzione:

H0 =

∫µ(λ)

[A♥(λ)A♠(λ) +A♠(λ)A♥(λ)

]dλ. (5.20)

Abbiamo cosı ottenuto l’equivalente della (3.12). La fattorizzazione (5.18) ci permette di scoprirela singolarita dell’hamiltoniana H0, singolarita che impone una cruciale modifica all’hamiltonianastessa.

32In effetti niente dentro l’integrale e definito rigorosamente

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58

Prendiamo spunto dall’utilita degli operatori di creazione e distruzione (ed dal loro significatofisico). L’operatore di distruzione e stato introdotto col significato di distruggere energia. In parti-colare abbiamo trovato uno stato ω0 tale che

A♠ω0 = 0.

Lo stato ω0 e quello di energia minore, tutti gli altri stati fondamentali (cioe autostati dell’hamiltoniana)vengono ottenuti iterando l’operatore di creazione su ω0. Cambiando poi lo spazio X da L2

C(R; dx)a L2

C(R;N (0, 1/2)) lo stato ω0 diventa particolarmente semplice, essendo la funzione identicamenteuguale ad 1. Siccome in infinite dimensioni, cioe nel caso della teoria dei campi, solo l’ambito gaus-siano ha senso, lo stato fontamentale ω0 deve essere la funzione ω0(φ) ≡ 1. Ora e facile verificareche con le nostre posizioni effettivamente si ha

A♠(λ)1 = 0, ∀λ.

Ma ecco che,

H01 =

∫µ(λ)

[A♥(λ)A♠(λ)1 +A♠(λ)A♥(λ)1

]dλ =

∫µ(λ)dλ = +∞!

Da questo fatto segue ad esempio che∫φ(x)2dx = +∞,

quindi un pezzo consistente dell’hamiltoniana e infinito, e cosı pure lo sono i termini rimanenti. Pervedere questo fatto osserviamo che, invertendo le equazioni,

Φ(λ) =1√

2µ(λ)

[A♥(λ) +A♠(λ)

]. (5.21)

Per cui

Φ(λ)2 =1

2µ(λ)(A♥(λ) +A♠(λ))2 =

1

2µ(λ)

[A♥(λ)2 + A♠(λ)2 + A♠(λ)A♥(λ) +A♥(λ)A♠(λ)

].

Applicando alla funzione ω0 ≡ 1 si trova

Φ(λ)21(φ) =1

2µ(λ)

[[A♥(λ)21](φ) + 1

].

Integriamo su λ ed usiamo l’isometria della trasformata di Fourier:∫φ(x)2dx =

∫φ(λ)2dλ =

∫Φ(λ)2ω0(φ)dλ

=

∫1

2µ(λ)A♥(λ)2ω0(φ)dλ+

1

2

∫dλ

µ(λ).

L’ultimo integrale e di fatto infinito mentre si puo vedere che il primo non lo e. Sono queste le”famose” singolarita da cui nasce la misteriosa operazione della rinormalizzazione.

In effetti il fatto e che si puo mostrare che l’espressione

H0 =

∫µ(λ)

[A♥(λ)A♠(λ) +A♥(λ)A♠(λ)

]dλ = 2

∫µ(λ)A♥(λ)A♠(λ)dλ

ottenuta sostituendo al termine A♠(λ)A♥(λ) il termine A♥(λ)A♠(λ), cioe spostando a destra glioperatori di distruzione ed a sinistra quelli di creazione, e effettivamente ben posta. Per lo meno nonda problemi sullo stato fondamentale ω0, che costituisce il fatto piu importante, visto che tutti glistati si dovrebbero ottenere da questo con creazioni successive. Pi‘ in generale e possibile mostrareche di qualsiasi espressione contenente prodotti di operatori di creazione con operatori di distruzionee priva di senso a meno di non avere spostato tutti gli operatori di distruzione a destra e quelli dicreazione, corrispondentemente, a sinistra.

Page 59: Un’Introduzione alla Teoria Quantistica dei  Campi

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Abbiamo gia incontrato quest’operazione nel paragrafo 5.3.1. Attualizzando quel contesto pren-diamo la (5.21) e supponiamo di voler introdurre la potenza n–esima di Φ(λ). A regola avremmo

Φ(λ)n =1

(2µ(λ)n/2

(A♥(λ) +A♠(Ω)

)n.

Sviluppando la potenza, dato che A♥(λ) e A♠(λ) non commutano vengono a crearsi termini misti.Con un conto del tutto simile a quello visto sopra per il quadrato, sebbene molto piu laborioso,otteniamo senz’altro che ∫

Φ(λ)nω0(φ)dλ = +∞.

Tuttavia l’operatore che formalmente si ottiene se gli operatori di creazione e distruzione commu-tassero,

2−n/2∑

k

(n

k

)A♥(λ)kA♠(λ)n−k,

risulta ben posto. In analogia con la (5.8) il secondo membro della precedente si chiama monomiodi Wick e si denota con : Φ(λ)n :. Si puo vedere che, per n pari (cio e dovuto alla trasformata diFourier) risulta ∫

: φ(λ)n : dλ =

∫: φ(x)n : dx.

In particolare l’operazione di sostituzione dell’hamiltoniana quantisticaH0 con quella rinormalizzataH0 equivale a sostituire l’hamiltoniana classica con l’hamiltoniana

H0(φ,Ψ) =1

2

∫: Ψ(x)2 + φx(x)

2 +m2φ(x)2 : dx.

Il metodo della rinormalizzazione apre quindi la strada per la quantizzazione dei sistemi non lin-eari, cioe quelli in cui e presente interazione, traducibile nella presenza di una non linearita fnell’equazione di Klein–Gordon (5.1). Se ad esempio f(φ(t, x)) = φ(t, x)4 si opera sostituendo Φ(λ)4

con : Φ(λ)4. Rendere matematicamente rigorosa la teoria e un compito molto difficile e tecnico chequi non ho nemmeno sfiorato. La quantizzazione del campo libero invece non e tutto sommato moltodiversa dalla serie di operazioni che ho descritto in quest’ultimo paragrafo, anche se, ovviamente,molta cautela e richiesta nel maneggiare gli infiniti.