UNA STORIA ROMANA MILLENARIA: Iuxta … origini al XI...come avveniva a Roma sulle altre vie...
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Serie "I quaderni storici" n. 2
Ultimo aggiornamento maggio 2015
U.O.C. Impianti Tecnologici
UNA STORIA ROMANA MILLENARIA: Iuxta Lateranum dalle origini XI secolo d.C.
di
CINZIA MARTINI (Storico dell'arte, albo dei giornalisti n.107244/98)
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Il Complesso ospedaliero di San Giovanni sul Celio, compreso tra Piazza San Giovanni in Laterano e le vie di
Santo Stefano Rotondo, della Navicella e dell’Amba Aradam, insiste su un’area di particolare rilievo
archeologico, un vero palinsesto, nel quale sono rappresentate le diverse fasi d vita della Roma repubblicana,
imperiale, sino all’alto Medioevo.
Il nome primitivo dell’antico colle romano era quello di Mons Querquetulanus dai boschi di querce che lo
ricoprivano nei tempi remoti, mentre, secondo la tradizione, quello di Caelius deriverebbe, dai due fratelli etruschi
nativi di Vulci, Caile (Caelius) e Avile (Aulus) Vipinas (Vibenna), che avrebbero aiutato il re Servio Tullio1 ad
impadronirsi prima del colle e poi di tutta Roma. L'altura a circa 50 metri s.m., rimase per molto tempo,
piuttosto marginale rispetto alla città, in gran parte fuori dal limite sacro del Pomerium, ovvero quello spazio di
terreno libero da costruzioni che correva lungo le mura, un’area periferica, dunque, solo parzialmente inclusa
entro le mura urbane Serviane2. La collocazione esterna al Pomerio lo rese, per un certo periodo di tempo, sede
di santuari per la devozione delle divinità straniere, in particolare di quelle il cui culto era stato trasferito a Roma,
a seguito delle conquiste di altre città e territori.
Nel periodo della Roma Repubblicana, l’area Lateranense si trovava, dunque, al di fuori del circuito delle mura
dell’Urbe ed era innervata dalla via consolare Tuscolana3. Il percorso di questa strada è ancora attualmente
ricalcato dal viale interno all’Ospedale4, che, dall’Arco Trecentesco, laterale alla Chiesa di Sant’Andrea e
Bartolomeo, si volge a sud, fiancheggiando l’estremità della Corsia Nuova5. Andando avanti la via si innestava tra
il Battistero Lateranense6 e le Terme Severiane, all’inizio dell’odierna Via dell’Amba Aradam, sino a scendere
verso la porta d’accesso per le guardie di ronda, oggi scomparsa, delle più tarde mura Aureliane7.
Le prime testimonianze archeologiche sono da riferire a sepolture romane disposte lungo tale percorso, così
come avveniva a Roma sulle altre vie consolari, si tratta di tombe “a camera”8 medio-repubblicane, rinvenute su
via di Santo Stefano Rotondo, o di frammenti ceramici del VII sec. a.C., rivenuti sotto il Palazzo Lateranense,
1Sesto re di Roma, che secondo la tradizione regna dal 578 a.C. al 539 a.C.
2Sono le prime mura di Roma del VI secolo a.C., fatte costruire da Tarquinio Prisco, secondo la tradizione, poi ampliate e dotate di un ampio fossato dal successore, Servio Tullio, dal quale presero il nome. 3La via Tuscolana è un'importante strada di Roma, ha un percorso parallelo alla via Appia, ma non fu costruita dai romani; le sue
origini risalgono infatti all'epoca medioevale, quando furono unificati antichi tracciati che erano spezzati. La strada deve il suo nome al fatto che collegava Roma a Tuscolo, città distrutta nel 1191. Questa strada sostituì l’antica via Latina, che collegava Roma ai Colli sino alla odierna Frascati. 4 L’attuale Presidio Ospedaliero di San Giovanni. 5 Il cui nome moderno è quello di Sala Mazzoni. 6La prima costruzione del Battistero, risalente al IV secolo ed dovuta probabilmente all’Imperatore Costantino, presentava già una
forma ottagonale con colonne angolari. La costruzione era posta sopra un impianto termale, forse di un palazzo imperiale o della Domus Faustae, così da poter supporre che la sua prima costruzione fosse semplicemente l’adattamento di uno degli ambienti preesistenti. 7 La cinta muraria costruita tra il 270 ed il 275 per difendere la città da eventuali attacchi dei barbari, aveva un percorso di circa 19 km, oggi, dopo ristrutturazioni di varie epoche, ridotto a 12,5 km. 8 Le tombe erano costruite sulle principali strade consolari o sulle loro traverse, sempre fuori dalle mura cittadine, poiché era proibita la sepoltura dei defunti entro le mura cittadine sin dal 450 a.C. quando entro le leggi delle Dodici Tavole era stato stabilito: Tabula X Hominem mortum in urbe ne sepelito neve urito (Non si seppellisca né si cremi all’interno della città alcun morto).
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oppure ancora di un luogo di culto, probabilmente piccolo, testimoniato da ritrovamenti di manufatti votivi,
databili dal IV al III sec. a.C., emersi presso l’area più moderna dell’Ospedale di San Giovanni.
Nell’antichità l'area, oggi occupata dalla Basilica di San Giovanni in Laterano, dal Palazzo del Vicariato,
dall'Università Pontificia, dall'Ospedale San Giovanni e dalla Piazza omonima, corrisponde al Campus
Caelimontanus (la parte meridionale del Celio, quella verso la via consolare Appia9) e spesso serviva per le
esercitazioni militari della gioventù romana, in sostituzione del Campo Marzio, specie quando quest’ultimo
veniva inondato dalle acque del fiume Tevere. Per molto tempo, dunque, il nostro Campus Lateranense è stato un
sito adibito in particolare all’addestramento sportivo e militare; la vera urbanizzazione della zona, inizia nel I sec.
a.C. a partire dall'ultimo periodo dell’età repubblicana, quando diviene luogo di edificazioni lussuose del
patriziato, mentre sulle pendici prospicienti del colle Esquilino sorgono case popolari in affitto, così come nella
limitrofa valle lacustre, dove più tardi verrà edificato l’Anfiteatro Flavio10.
L’area del Celio diviene definitivamente importante nel corso del I sec. d. C., quando, i primi nuclei edilizi
vengono riassorbiti ed unificati nelle lussuose ville patrizie ed il quartiere vede fiorire ricche domus e giardini, che
trasformano l’area in un insediamento residenziale di alto livello, affiancato da più modeste insulae per attività
produttiva agricola e con diverse funzioni commerciali, e, si è ipotizzato, anche “industriale” per la realizzazione
di manufatti laterizi.
La divisione amministrativa della città di Roma, in 14 regioni, voluta da Augusto nel 7 a.C., pone quest’area nella
II Caelimontium, ma non è ancora difesa da mura, così dopo le devastazioni dovute ai due grandi incendi
dell'inizio dell'Età Imperiale, nell'anno 27 d.C. sotto Tiberio e nel 64 d.C. sotto Nerone, il Celio viene scelto
come sede di caserme a presidio della città, in tal modo sorgono la Castra Peregrinorum, nella zona di Santo
Stefano Rotondo, la Castra Priora nella zona di via Tasso, e la Castra Nova Equitum Singularium, eretta sotto
Settimio Severo, tra il 193 e il 196, a seguito della demolizione ed interramento delle precedenti domus dell’area,
corrispondente all’attuale Basilica di San Giovanni11, cui compete un particolare reparto di pretoriani, voluto da
Traiano nel 101, con il compito di sorvegliare le strade consolari e di essere guardia personale a cavallo
dell’imperatore. Questa caserma abbandona l’antico orientamento dato dalla via Tuscolana, per prendere quello
9La via Appia, chiamata per la sua importanza regina viarum,è la strada sorta dal 312 al 190 a. C. per unire Roma a Brindisi, il più
importante porto per la Grecia e l'Oriente nel mondo antico. 10
La costruzione dell' Anfiteatro Flavio ebbe inizio nei primi anni del regno di Vespasiano, nella valle compresa tra Palatino, Esquilino e Celio, che in precedenza aveva costituito il centro della Domus Aurea e dello stagno artificiale di Nerone. Il luogo fu scelto da Vespasiano per restituire al pubblico godimento le parti della città incluse da Nerone nella sua gigantesca dimora. Tito portò a termine i lavori sino alla grandiosa cerimonia dedicatoria dell'80, che durò cento giorni, successivamente l'opera fu rifinita da Domiziano, che condusse i lavori "fino agli scudi" che decoravano l'ultimo ordine esterno. 11E’ la mater et caput di tutte le chiese di Roma e del mondo. Sorge sull’area che anticamente ospitava la dimora di proprietà della nobile
famiglia dei Laterani, la cui domus sorgeva verso l’attuale Via Amba Aradam ed i terreni coprivano tutta la zona che comprende anche
l’attuale area basilicale. Nonostante le traversie storiche della famiglia Laterani, le loro abitazione dovevano essere così lussuose e così
importanti da costituire un punto di riferimento topografico, anche dopo la loro scomparsa, al punto che sino al Medioevo si
continuerà ad indicare gli edifici di quest’area con la locuzione iuxta Lateranis (presso il Laterano).
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nord-sud, più adatto all’utilizzo dello spazio a disposizione della doppia guardia imperiale. E’ importante
osservare che questo allineamento si è poi conservato nei secoli, imponendosi alla Basilica Costantiniana ed alla
successiva urbanistica del quartiere, essendo lo stesso adottato anche dalle antiche corsie del nostro Ospedale.
Le testimonianze dirette letterarie, a partire dagli “annali” di Tacito, e quelle indirette archeologiche, permettono
di individuare le residenze disposte nel II Regio e di proprietà di diversi personaggi storici, si tratta di abitazioni
a carattere signorile, della tipologia di villa rustica, con pitture parietali, giardini interni ed impianti agricoli, una
tipologia dovuto alla presenza dell’acquedotto celimontano e dell’amenità del sito. A testimonianza del grande
uso d’acqua che in questa zona veniva fatto, che rimarrà una delle sue caratteristiche anche durante l’attività
dell’antico Nosocomio, stanno i piloni dell’acquedotto di epoca romana imperiale, che corrono paralleli all’asse
costituito dalla via di San Giovanni e dalla piazza omonima, questi sono pertinenti all’Aqua Claudia, iniziata nel
38 da Caligola ed inaugurata nel 52 d.C., inoltre, antiche fonti storiche situano nella zona anche il Rivus
Herculaneus, importante diverticolo del ramo principale dell’Aqua Marcia.
Una delle più antiche testimonianze, sita sotto la Basilica Lateranense, è la presenza di un caseggiato del I sec.
d.c. della nobile e potente famiglia dei Laterani, di cui un esponente, Lucio Sestio Laterano (da lui inizia l’uso del
toponimo) è il tribuno della plebe che, insieme al suo collega Caio Licinio Stolone, riuscì a far approvare le leggi
Licinio – Sestie, con le quali anche i plebei ottenevano l’accesso al potere consolare. Fu proprio lui il primo
plebeo della storia di Roma a divenire console.
La zona residenziale, almeno in parte e gradualmente, entra nella proprietà imperiale, per eredità o per confisca,
come quando tra il 65 e il 66 d.C. Roma viene sconvolta dalla congiura dei Pisoni, famiglia con varie proprietà
nella zona del Laterano, scoperto il complotto contro l’imperatore, la repressione di Nerone fu sanguinosa,
perirono in molti, anche Lucio Anneo Seneca, e come consuetudine seguì la confisca dei beni dei congiurati, che
investì anche la famiglia dei Laterani.
Al di sotto dell’Ospedale vi sono cospicui resti della Villa di Annio Vero12, nonno dell’Imperatore Marco
Aurelio, e degli Horti di Domitia13 Lucilla, madre dell’imperatore ed appartenete ad una ricca famiglia
proprietaria di fabbrica di laterizi (figlinae). La Villa e gli Horti, passati verosimilmente in eredità a Marco Aurelio
e poi al figlio Commodo, dovettero in tal modo entrare a far parte del demanio imperiale. Si tratta di un
complesso, articolato da edifici appartenenti a varie fasi dal i al IV d.C., comprendente domus e giardini, il cui
12 Il console Marco Annio Vero, della dinastia degli Antonini, dall’unione con la nobildonna Rupilia Faustina ebbe tre figli: Marco Annio Libone, Faustina Maggiore, che andrà sposa all’Imperatore Antonino Pio e l’omonimo Marco Annio Vero, che sposerà Domizia Lucilla, erede di una ricca famiglia. Da questa unione nascono due figli: il futuro imperatore Marco Aurelio (nato nel 121) e Annia Cornificia Faustina (nata nel 123), i quali alla morte prematura del padre, avvenuta nel 124, saranno adottati dal nonno paterno. In questa Villa Marco Aurelio passa la sua giovinezza, sino a quando Domitia Lucilla non compera per lui l’affiliazione e quindi la successione dall’Imperatore Adriano, alla morte del quale succede alla guida dell’Impero Antonino Pio, che nel 139 adotterà anch’egli Marco Aurelio. 13 Idem.
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peristilio si trova proprio al di sotto della Corsia Nuova, dove sono collocate alcune fistole14 in piombo per
l’adduzione dell’acqua, recanti il nome della proprietà.
Il peristilio è orientato in modo differente rispetto la Corsia Vecchia15, questo perché le strutture romane sono
allineate alla via Tuscolana. Si distingue una vasca circolare, il cui fondo è stato rialzato in un secondo momento
da un nucleo murario, al quale potrebbero essere appartenuti dei rilievi marmorei raffiguranti una processione al
tempio, la vasca è posta al centro di un’area scoperta, circondata da un portico a pilastri con pavimento di opus
sectile16 di cipollino e giallo antico, a schema detto “isodomo li stellato”, assai fine e ben conservato. Più a sud si
trovano altre strutture murarie ed una vasca pavimentata da mattoni pibedali bollati. Pur identificando alcune
strutture risalenti al I sec. d.C., la fase principale è sicuramente quella rappresentata dai bolli laterizi, imposti su i
mattoni prodotti da Domitia Lucilla (137 d.C.) e da Annio Vero (123 d.C.). Si tratterebbe, dunque, di una villa
costruita su dei terrazzamenti con due giardini interni circondati dagli ambienti necessari al vivere quotidiano. La
struttura primitiva dell'edificio è in opus reticolatum17 in tufo, successivamente l'edificato è in opus listatum18, mattoni
che con i loro bolli ci ricordano l'epoca del rifacimento. Nel II sec. dopo Cristo la domus passa da economia
agricola a industriale e quello che era un impianti familiare per la produzione del vino, diventa un complesso ad
alta produzione, forse commercializzata; gli orti vengono trasformati, uno per la vendemmia con frantoio ed orci
per la scelta dell’uva, il secondo in basso per la decantazione del mosto con cella vinaria ed anfore disposte su
grandi mensole per la conservazione. Si riscontrano anche murature relative ad interventi successivi, risalenti al
III e IV secolo. Nel III secolo le cantine della casa si trasformano in tabernae e nel tardo impero, nelle aree
limitrofe alla domus si insediano botteghe artigiane come quelle di fabbro, vetraio e mattonificio.
Da più parti è stato ipotizzato che il monumento equestre di Marco Aurelio19, presente in campo Laterano
almeno dal VIII secolo e sino al suo spostamento sul Colle Capitolino, avvenuto nel 1538 per volere papale20,
14 La fistula aquaria è una conduttura idrica solitamente in piombo, ma anche, più raramente, in terracotta. Era usata sia per impianti domestici che per gli acquedotti. Il ritrovamento di fistulae è importante per la presenza, su di esse, di un bollo o iscrizione con un nome o patronimico. Secondo alcuni studiosi è il nome del committente, secondo altri il nome del produttore delle tubazioni o del costruttore dell'edificio. 15 Il cui nome moderno è quello di Sala Folchi. 16 Si tratta di un'antica tecnica artistica che utilizza marmi o paste vitree tagliate per realizzare pavimentazioni e decorazioni murarie ad intarsio. 17Si tratta di una tecnica compositiva di mattoni di tufo a forma di diamante, disposti intorno a un nucleo di opera cementizia. 18 Si tratta di una tecnica edilizia nella quale il paramento del nucleo della muratura è costituito da filari di laterizialternati a filari di altri materiali, specialmente blocchetti di tufo. 19 La statua rimane in questa zona durante tutto il medioevo, salvandosi dalla distruzione, dovuta alla necessità, data la carenza di materiale in bronzo, probabilmente per una tradizionale ed erroneamente identificazione con la statua di Costantino. Presso la Cappella Carafa in Santa Maria sopra Minerva negli affreschi compiuti da Filippino Lippi tre il 1488 e il 1493, è possibile vedere la piazza con al centro il monumento bronzeo equestre di Marco Aurelio, posto su un basamento in marmo con bassorilevo superiore composto da un fascione con stemmi e festoni. 20Paolo III papa. - Alessandro Farnese (Canino 1468 - Roma 1549) é l’iniziatore della Controriforma alla quale dedicò gran parte della sua attività, ma fu anche un grande mecenate, grazie al quale si ebbe il grandioso impulso dell’edilizia rinascimentale di Roma. Nel 1532 la Statua equestre in Laterano viene riconosciuta come Marco Aurelio dall’analisi delle medaglie rappresentate sulla corazza, così nel 1539 il Senato Romano affidò a Michelangelo l'incarico di risistemare la statua del Marco Aurelio ed il grande artista fiorentino, invece
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potesse sorgere al centro dell’atrio porticato della domus, su di un basamento, che in fase tarda occupava la
vasca ovale, ma la collocazione di una tale statua in ambito privato, è assai dubbia, anche perché nell’area
lateranense questo monumento non era l’unico, anzi vi si trovavano numerosi bronzi di grandi dimensioni, come
la Lupa Capitolina, la testa di Costantino, la mano con la cosiddetta Palla Sansonis, lo Spinario e la Zingara. Una
presenza difficilmente attribuibile per tutti ad un rinvenimento causale, ma certamente dalle indubbie valenze
simboliche e politiche.
Allo stesso complesso vanno attribuite le strutture termali, immediatamente a sud, sotto la Corsia Vecchia. Si
tratta di strutture orientate verso nord-ovest e sud-est, secondo l’antico andamento della via Tuscolana. Il muro
su cui fonda il lato sud della Corsia Vecchia è di età romana e fa parte di questo complesso, costituendone il
limite nord, attraversato da porte che anticamente immettevano sulla strada parallela all’acquedotto Claudio-
Neroniano.
A nord-est vi sono una serie di ambienti pavimentati in opus spicatum21, segue un ambiente absidato, forse dotato
di suspensurae, pavimenti sospesi su pilastri di mattoni impilati, evidentemente un ambiente riscaldato e quindi
parte di un complesso termale privato. A nord si trova una scala che conduce ai piani superiori, dove si trovano
altri tre ambienti, dotati dei resti di pavimentazione musiva in bianco e nero.. Le strutture sembrerebbero datarsi
alla prima metà del II sec. d.C. e fanno parte dello stesso complesso della domus di Domitia Lucilla. Verso il IV
secolo d. C. questi ambienti subiscono delle trasformazioni, la pavimentazione viene rialzata di mezzo metro, va
fuori uso l’ambiente termale e viene data una nuova destinazione agli ambienti, questo è forse il motivo per il
quale solitamente viene usato il termine errato di Fornaci per l’insieme di questo sito.
Proseguendo verso ovest, al di sotto dell’ala occidentale del moderno edificio ospedaliero, si trovano i resti una
un’altra residenza, che grazie alle fistulae iscritte è stata identificata con quella dei due fratelli Quintili, Condiano
e Massimo, consoli nel 151 d.C. la cui morte si deve all’imperatore Commodo ed alla sua volontà di
impadronirsi delle loro ricchezze, compresa la grande villa sulla via Appia. Da qui si giunge presso il sito
principale degli Horti di Domizia Lucilla, passando vicino ai resti della Fullonica. Si tratta di una piccola
“industria” dove venivano lavate o trattate le stoffe e la lana. L’allestimento tipico di tale ambiente prevedeva sui
lati doli22 dimezzati, incastrati nella pavimentazione in coccio pesto impermeabile e muretti per appoggiarsi eper
la pestatura dei panni, al centro invece, si trovavano le vasche dove lavare le stoffe, vasche poste in pendenza per
far scorrere l’acqua dall’una all’altra, infine allo stesso piano od ad un piano superiore stavano pilastri e travi sulle
quali stendere le stoffe ad asciugare. Di fatto l’unico inconveniente della Fullonica, era il prodotto usato per il
lavaggio, era in uso lì utilizzo di sostanze alcaline come la soda, non esistendo ancora il sapone, ma soprattutto
di limitarsi a progettare una sistemazione idonea per il monumento, ne fece il perno del complesso architettonico rappresentato dalla piazza del Campidoglio. 21E’ un tipo di paramento costituito da laterizi collocati di taglio secondo la disposizione di una lisca di pesce o meglio di una spiga di grano. 22Il dolium è un contenitore di terracotta di forma sferica, con altezza compresa fra 1,50 e 1,60 metri e larghezza superiore a 1,50 metri nel punto di massima espansione. La sua capacità era di circa 1500-2000 litri ed era adibito prevalentemente al trasporto di vino.
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dell’urina umana od animale, per tale motivo, dall’età di Vespasiano in poi, venne tassata anche l’urina umana
per uso industriale, come pure l’acqua per i fullones, questo episodio storico è riassumibile nella frase attribuita
proprio a Vespasiano: “Pecunia non olet” (il denaro non puzza) .
Su largo Orazio Plunkett, passato l’antico Arco Trecentesco ed alle spalle del ricostruito Portico Medioevale, si
trova l’Antico Ospedale dell’Angelo e l’edificio annesso, praticamente ad angolo retto tra le strutture murarie
romane del Peristilio Inferiore degli Annii e degli Edifici sulle vie Basolate del II e III secolo d. C.
Al di sotto dell’Antico Ospedale dell’Angelo si trova una struttura a due piani, risalente al II e III sec. d. C.
probabilmente parte dell’articolato complesso degli Horti di Domitia Lucilla. Il piano superiore si trova a
3,25 m. sotto il pavimento, mentre l’inferiore, a 3 m. sotto il primo, sembra un seminterrato, poiché l’accesso
dalla strada avveniva mediante una scala che scendeva per due metri. Successivamente in epoca tardo
medioevale, in queste strutture è stata inserita una grande fornace, che ha demolito parte dell’oratorio e della sala
superiore, danneggiando parzialmente gli ambienti preesistenti, nonostante ciò il complesso risulta ancora
leggibile negli aspetti essenziali. Al piano superiore vi è una aula decorata lussuosamente, il pavimento in opus
sectile marmoreo è di elevata qualità, mentre sul lato sud-orientale si trovano due basi marmoree di statue con
dedica iscritta, qui collocate certamente per essere riutilizzate come materiale edile. Il primo basamento è
dedicato a Costantina (318-354) figlia dell’imperatore Costantino, il secondo all’imperatrice Eudoxia (422-493),
figlia di Teodosio II e moglie di Valentiniano III. Questo ambiente è stato identificato con la Statio Patrimoni
Augusti, ovvero la sede dell’ufficio che amministrava il patrimonio imperiale, che al piano nobile dell’edificio
aveva la sede ed al piano inferiore ospitava gli ambienti di servizio composti da tre vani. La sala del piano alto
precede certamente l’insediamento cristiano, la tecnica costruttiva della volta e la fattura pavimento, infatti sono
collocabili in età severiana, non oltre il III secolo.
La più accreditata ricostruzione indica la nascita dell’oratorio nella seconda metà del IV secolo, riutilizzando i
preesistenti vani di servizio A e B e decorandoli con 9 pannelli dipinti. Nei decenni centrali del V secolo, poi, la
cappella viene ampliata con l’annessione del vano C, accessibile da un nuovo ingresso e l’aggiunta di pilastri
decorati, abside ed altare. Sono proprio questi tre ambienti a rappresentare la fase tardo-antica del sito, che si
può considerare definitivamente trasformato tra il V e VI secolo d.C. Si tratta dell’Oratorio Paleocristiano, che
ha riutilizzato questi ambienti contigui, coperti a crociera ed in parte affrescati con pitture di buona qualità, in
una prima fase con pannelli raffiguranti scene evangeliche e scene della prima comunità cristiana della seconda
metà del IV secolo, tranne uno del III secolo, ed in una seconda fase con due grandi pannelli posti ad angolo
raffiguranti reggenti e santi del V secolo, tranne uno del III secolo. Durante gli scavi del 1959/64 furono
riportati alla luce gli affreschi dei vani denominati A e B, poi solo successivamente quelli del vano C. Gli
affreschi dei primi due ambienti, sono stati immediatamente staccati e sottoposti a restauro ed a continuo
monitoraggio conservativo ed oggi sono conservati presso l’Antiquarium dell’Ospedale . Invece gli affreschi del
vano C, rimasti in loco, hanno subito un importante intervento di restauro nel 2007 ed attualmente sono oggetto
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di
di nuove ricerche.
Gli affreschi della prima fase, quella dei vani A e B sono stati messi in rapporto al vescovo della comunità locale
ed alle maestranze che operarono nelle fornaci, si tratta di due pannelli con iconografia, ispirata alla vita
quotidiana delle prime comunità cristiane: Figura femminile stante con la fiaccola nella mano destra e recipiente contenente il
fuoco vico sospeso ad un gancio; Scena di unzione con Genovius che pone la mano destra sulla testa di un giovane e con la sinistra
tiene un corno potorio e di sei pannelli con scene Neotestamentali: Resurrezione di Lazzaro; Figura rivolta verso destra e in
alto un motivo vegetale; Incontro di Cristo con la Samaritana al pozzo;, Personaggio maschile in posizione frontale ad una figura
eretta di cui rimane la spalla; Figura maschile e una figura in ginocchio di cui rimane il panneggio; Scena di unzione di Cristo con
in basso tracce di un’aureola.
Gli affreschi della seconda fase, quella del vano C, rivelano la creazione di un luogo di culto ufficiale, forse da
riferire alla sovrastante sede amministrativa della famiglia imperiale, si tratta di grandi pannelli rettangolari, a
nord si trova il Salvatore che con corno potorio vivifica attraverso lo Spirito Santo i Santi Crescenziana Modesto e Vito, mentre
più all’interno il Cristo che incorona di Eudoxia e Valentiniano . Bisogna rilevare che il riferimento a Valentiniano,
figlio di Gallia Placidia ed imperatore per volere divino, sotto il pontificato di San Leone Magno (440-461), così
come il culto di santi non romani, come quelli qui rappresentati, si inserisce a pieno nella fase del potenziamento
della Chiesa, con la costituzione di nuove strutture religiose e civili.
L’intero ambiente funzionava come calcara, in epoca Rinascimentale ed ancora attiva nel Seicento, per la
produzione di calce viva ed a tale calcara, faceva riscontro l’attività della fornace, documentata per ben due
secoli, a rifornimento delle suppellettili per le esigenze dell’Ospedale, contrassegnate, come nello stemma della
Confraternita, dai candelabri che affiancano l’effigie di Cristo; da ultimo, alla fine del XIX secolo, perduto ormai
da tempo il suo carattere sacro, la struttura venne usata come magazzino e dispensa del Nosocomio.
Sotto l’Ospedale Militare, si trova la domus dello storico Lucio Mario Massimo, che nel III sec. d. C. fu per due
volte console e prefectus urbi, mentre presso il nucleo storico dell’Ospizio di Sant’Antonio ed in quello
adiacente dell’Ospedale delle Donne23, si trovano diverse strutture di epoca romana, dal I sec. a.C. al IV d.C.,
scavate in vari periodi, una di esse, tramite fonti archeologiche, è stata ricondotta, non senza controversie, alla
Domus di Licinio Sura, uomo d’affari nel campo idraulico, attivo nelle Terme o Balnea Suriane sul colle
Aventino, console e genero dell’imperatore Marco Ulpio Traiano, più volte raffigurato con lui nelle scene in
bassorilievo delle campagne daciche del 101-106 d. C. che corrono per l’intera altezza della Colonna Traiana,
inaugurata nel 113 d.C. Un’ipotesi propone l’esistenza di una prima casa padronale, fornita di ambienti di
servizio e di un grande giardino terrazzato con accesso da un portico, una residenza del I sec. a.C. sulla quale nel
IV secolo si innesta una nuova villa e più tardi un grande catellum aquarum, una cisterna colossale a pianta
quadrata con sette diagonali che la dividono in quattro settori, anch’essa tardo antica, ed una fontana al centro
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L’attuale Presidio Ospedaliero Santa Maria.
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del cortile, con i vari nuclei residenziali serviti da una strada basolata. Sono presente nell’ipogeo dei pannelli
musivi distaccati risalenti al IV sec. d.C. si tratta di uno splendido opus sectile marmoreo e dei resti di un mosaico
policromo, con i busti raffiguranti due stagioni.
Poco distante dalla parte originaria del nucleo ospedaliero del SS. Salvatore, sull’antica via Caelemontana,
nell’attuale area del Presidio Addolorata, affacciava la Domus Valeriorum, proprietà di una prestigiosa famiglia
aristocratica di antica tradizione, i cui componenti ricoprono importanti incarichi di Stato, specie dal III sec.
d.C. in poi. Questa domus, per molto tempo è rimasta la più misteriosa, seppur citata dalle fonti storico
letterarie, così come per la domus Simmaci e la domus Faustae, i rinvenimenti soprattutto epigrafici, derivano in
primis dagli scavi pontifici incontrollati del XVI secolo. Sino all’Ottocento della villa dei Valeri si conoscevano i
pavimenti in mosaico, il ninfeo laterizio, ed il nucleo termale, poi i lavori iniziati nel 1902 per il Nosocomio
geriatrico dell’Addolorata24 hanno portato al rinvenimento di ulteriori vani arricchiti da fontane e giardini e da un
peristilio, più un settore della antica casa cui appartenevano statue e colonne, basamenti e lamine bronzee,
riferite al console Valerius Publicola Balbinus Maximus, a due Aradii Rufini Valerii Proculi, titolari di consolati,
prefetture e governatorati in Africa nel IV secolo ed a Valerious Severus, prefetto dell’Urbe nel 382 e padre di
Valerius Pinianus. Molti manufatti preziosi, provenienti da questa domus,sono oggi conservati al Museo
Nazionale Romano, ma altri oggetti sono andati dispersi o confluiti in diverse collezioni, come il mosaico
nilonico con pigmei oggi al Museo di Napoli, la lucerna bronzea a forma di nave del Museo di Firenze ed il
tesoro di argenterie con simbologia cristiana, conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. La maggior
parte delle strutture, oggi non più visibili, fu rinvenuta nel settore settentrionale dell’ospedale, verso la via di S.
Stefano Rotondo. Sulla base di questi ritrovamenti si consolidò la ricostruzione tradizionale della domus,
secondo la quale la parte residenziale era concentrata soltanto sulla sommità del colle, mentre il resto della
proprietà, delimitata a sud da una strada selciata di collegamento fra il Laterano e la valle delle Terme di
Caracalla, era destinata a parchi e giardini. Negli anni 2000, al di sotto delle fondazioni del Presidio
dell’Addolorata, ulteriori lavori, per la realizzazione del Dipartimento di Oncoematologia, hanno portato alla
luce un nuovo assetto abitativo, perfettamente allineato al precedente, costituito da un ampio corridoio con
mosaico pavimentale in bianco e nero ed un giardino interno, il Viridarium, entrambi totalmente affrescati.
Grazie a scoperte successive, effettuate in anni recenti, fino agli scavi del 2005 e a quelli che si sono conclusi nel
2013, è possibile oggi delineare un quadro più ampio, arricchito da nuovi e sconosciuti settori residenziali in aree
in cui si riteneva vi fossero soltanto giardini. Di questi ultimi rinvenimenti, il nucleo principale è costituito da un
corridoio interamente affrescato che fungeva da collegamento tra vari ambienti e che si apriva con grandi
finestre proprio sul Viridarium. Queste strutture testimoniano una sistemazione a terrazze digradanti verso il
fondo valle, monumentalizzate con la costruzione di nuclei articolati lungo il versante meridionale del Celio. La
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L’attuale Presidio Ospedaliero dell’Addolorata.
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costruzione di questo padiglione è databile all’età tardo-adrianea, dopo il 134 d.C., come attestato dalla presenza
di un bollo laterizio rinvenuto nella cortina del muro settentrionale.
Il corridoio conservato per circa 10 metri, con orientamento N/E-S/O, che costituiva il limite meridionale e
orientale del Viridarium, è l’ampliamento di epoca medio imperiale, di un impianto precedente risalente all’età
della tarda repubblica ed al periodo augusteo, il contrasto risulta piacevole tra la severità del pavimento e la
vivacità delle decorazioni parietali, che al di sopra di uno zoccolo rosso vinaccia, si dipana in grandi riquadri
bianchi con fregi vegetali, dove i personaggi al centro si alternano a figurette laterali su i bordi, insieme a
colonnine e candelabri, mentre in alto vi sono zone a fondo bianco con figure entro prospetti architettonici ed
al di sopra un fregio di stucchi dipinto con elementi geometrici e figure fantastiche. La parete di fondo del
Viridarium ha una decorazione a graticcio su fondo nero, tipico delle pitture da giardino, vivificata dal verde del
fogliame e dei colori rosso, bianco e azzurro delle semicolonne e delle lesene, sono presenti ancora ollette di
terracotta per le piante. Gli ambienti hanno subito una distruzione volontaria25, agli inizi del III secolo per una
mutata destinazione d’uso dell’edificio, con una crollo al suolo del soffitto e la parte superiore delle pareti del
corridoio, poi la ricostruzione ha comportato un grande scarico di materiali, tra i quali sono stati identificati
intonaci e stucchi dipinti riconducibili al III e IV stile pompeiano, ovvero tra il I e il II secolo d.C. Di fatto, tutta
l’area fu interrata con una serie di riporti che innalzarono il livello di calpestio di oltre 3 metri rispetto alla fase
tardo-adrianea. L'intervento rientrò in una radicale ristrutturazione di questa parte della residenza, che modificò
anche l’articolazione dei dislivelli del terreno, ma non si conosce l’esito di questo rifacimento, dal momento che
la parte superiore degli interri è stata sbancata all’inizio del secolo scorso per la costruzione dell’ospedale.
La villa sul Celio, esistente sin dall’epoca repubblicana, nel V sec. d. C. venne messa in vendita dall’ultimo
proprietario Valerius Pinianus, marito di Santa Melania, ma il lusso della casa era tale da scoraggiare gli
acquirenti, finché la devastazione del sacco d’Alarico, nel 410, non la tramutò in rovine fumanti e fu venduta ad
un presso irrisorio.
Nel IV secolo per volere dell’imperatore Costantino la Domus Lateranorum ed i terreni limitrofi, compresi quelli
della sua residenza personale denominata Domus Faustae, passano in appannaggio di Papa Milziade prima e poi di
Papa Silvestro (314-355)26, così a seguito di una completamente trasformazione viene creato il Patriarchio, ovvero
25 L’intervento di ristrutturazione è stato datato dagli archeologi tra il 211 e la fine del III secolo d.C. a seguito della testimonianza offerta da una moneta in bronzo, rinvenuta nell’interro che ricopriva gli strati di crollo del corridoio ed emessa da Settimio Severo per Giulia Domna, nel periodo ricompreso dal 211 al 217.
26Durante la sua esistenza Costantino, convertito al cristianesimo nel 314 d. C.diviene fautore di molteplici atti, donazioni ed edificazioni a favore della Chiesa. Altra cosa è la “Donazione di Costantino”, ovvero l’atto secondo il quale la Chiesa per secoli ha giustificato il potere politico dei pontefici. Secondo questo documento l'imperatore aveva espresso lavolontà che il vescovo di Roma avesse il ‛ principatum ' sui patriarchi orientali, e, di conseguenza, su tutte le chiese del mondo, ordinando che la Basilica lateranense fosse venerata quale ‛ caput et vertex ' di tutte le chiese, e che il palazzo del Laterano divenisse residenza ufficiale dei pontefici. Sempre in base a tale donazione al papa andava il potere sulla città di Roma e l'Occidente ed alla Chiesa romana venivano attribuiti i poteri e le dignità dell'Impero, sì che il pontefice potesse portare insegne imperiali, e che il clero di Roma avesse gli stessi onori degli ufficiali dell'Impero.Nel XV secolo Nicola Cusano e Lorenzo Valla (De falso credita et ementita Constatini donatione declamatio) dimostrarono che la
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la dimora ufficiale dei papi per quasi tutto il Medioevo27, nello stesso momento al posto del Castra Nova Equitum
Singularium28, viene edificata la Basilica dedicata al SS. Salvatore29, considerata madre e capo di tutte le chiese
urbis et orbis. Costantino assegna al Vescovo di Roma la “Domus Ecclesiae” nel senso antico del termine: luogo
d’istruzione catechetica, di preghiera, di oblazione, di carità, ostello, ospedale, dispensario, biblioteca, vescovato.
Da qui le varie funzioni e servizi che nei secoli verranno a trovarsi ubicati nell’area lateranense e negli annessi
edifici. All’interno del Patriarchio, al piano superiore dell’archivio, si trovava l’oratorio privato del pontefice,
denominato San Lorenzo in Palatio, che solo a partire dal IX sec., per la gran quantità di reliquie custodite, prende
il nome di Sancta Sanctorum30, ma tra tutti questi oggetti sacri e preziosi, uno dei più antico e venerati è la sacra
immagine del SS. Salvatore, detta Acheropita, ovvero non dipinta da mano umana. Si tratta di una tempera su tela
di canapa, incollata su tavola di noce, di circa 142x70 cm. Due sono le leggende legate alla sua provenienza, nella
prima si dice sia arrivata da Gerusalemme, iniziata dall’evangelista San Luca e terminata da un angelo, nella
seconda si ritiene provenga da Costantinopoli al tempo della persecuzione iconoclasta di Leone Isaurico nel VIII
secolo. In realtà è una delle poche icone antiche romane, risalente al V secolo.
Così come le domus romane sono la base topografica e strutturale dell’Ospedale di San Giovanni, le sue basi
storiche e devozionali sono la Basilica del SS.Salvatore ed il Patriarchio, mentre quelle etiche e programmatiche
sono l’Oratorio di San Lorenzo e l‘icona dell’Acheropita. Non è un caso se uno degli antichi nomi dell’Ospedale
sia quello del SS. Salvatore, oppure che la sua gestione, per secoli, sia detenuta dalla Congregazione detta anche di
San Lorenzo, e che quest’ultima abbia tra i suoi compiti la custodia e l’esposizione in processione del Cristo
Acheropita.
Il Campo Laterano inizia la sua decadenza nel corso del V secolo, prima nel 410 con le devastazioni dei Visigoti
di Alarico poi nel 455 con quelle dei Vandali di Genserico, cui segue lo spopolamento dell’intera città e la crisi
economica che l’attanaglia e ciò comporta anche il declassamento delle ricche domus, oppure il loro riutilizzo
parziale o totale per altri scopi produttivi e funzionali. La struttura urbana di Roma a seguito di incendi,
terremoti e saccheggi, si sgrana progressivamente e gli insiemi abitativi rimasti si polarizzano attorno alle
basiliche costantiniane, così tra il IV ed il VII secolo, anche in quest’area appaiono sepolture, nonostante sia
ormai una zona urbana a tutti gli effetti, sin da quando, con Aureliano e Probo il colle in questione era stato
incorporato nella città, all’interno delle mura edificate dal 271 al 279 d.C.
"Donazione" non poteva essere stata scritta all'epoca di Costantino, ma solo alcuni secoli dopo; la dimostrazione di falsità si basò su argomenti di carattere storico e linguistico che portarono ad ipotizzare, più tardi, una stesura del documento durante il pontificato di Stefano II (seconda metà dell'VIII secolo) oppure in occasione dell'incoronazione di Carlo Magno (800) ad imperatore del Sacro
Romano Impero. 27
Sino al trasferimento della Curia Pontificia ad Avignone nel 1309. 28 Costantino I riformò definitvamente l’esercito abolendo la Guardia Pretoria e gli Equites Singurares. 29 Più tardi intitolata ai Santi Giovanni Battista ed Evangelista. 30
Nel Sancta Santorum, l’unico sito che rimane relativamente integro sino al 1300, è conservata la Scala Santa del Pretorio di Gerusalemme, portata a Roma da Elena, madre di Costantino.
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Alle consuetudini di vita delle famiglie imperiali subentrano, dunque, le adunanze di persone devote, raccolte
presso chiese ed oratori, per celebrare pratiche religiose e di pietà, per onorare un mistero od un santo ed anche
per esercitare uffici caritatevoli.
Il pellegrinaggio, pratica non specificamente cristiana, dal forte significato simbolico, che identifica nella fatica
del cammino il difficile dispiegarsi del vivere umano, ora acquista un ulteriore valore salvifico nel
raggiungimento della meta, ovvero dei luoghi della vita terrena del Cristo, degli Evangelisti, dei Martiri e Santi,
oppure dei luoghi custodi dei sepolcri, delle reliquie sacre e della sede del successore di Pietro. In tal modo,
accanto al viaggio in Terra Santa, si pone quello presso i luoghi santi dell’Europa, che disegnano il tracciato degli
assi stradali principali, per la grande comunicazione del Medioevo, dove Roma diviene la destinazione prediletta.
Dunque moltitudini di pellegrini, spaesati e stranieri, per secoli si distaccarono e non per diletto, dal baricentro
della loro esistenza, per volgere verso l’ignoto, senza tutele e senza certezza dell’esito finale, arrivando a Roma
spossati se non piagati ed ammalati.
La potenza politica ed economica della Chiesa, tenta di far fronte alla grave crisi cittadina ed alla situazione
determinata dalla massa degli stranieri viaggiatori, ampliando il Patriarchio e costruendo edifici adatti ad ospitare
tutte le funzioni di un’amministrazione centralizzata, con la volontà di fare dell’area Lateranense l'epicentro della
città. Mentre decadono gli antichi insediamenti, si moltiplicano i centri di assistenza ed accoglienza31 per dar
rifugio ai poveri ed ai pellegrini ; al momento non esistono edifici speciali e collettivi per i malati, ma esistono gli
Xenodochi, spesso annessi alle chiese, ovvero case per i viaggiatori e gli stranieri, cui ora vengono assegnati, in
ossequio al principio di carità ed alle opere di misericordia corporali, anche i compiti di assistenza dei mendicanti
locali, delle vedove, degli orfani, dei vecchi, dei malati, dei deboli, degli esposti sul sagrato, ed anche dei
criminali o supposti tali. Bisogna tener presente che almeno sino al IX secolo, xenodochio ed ospizio hanno il
medesimo compito di assistenza pratica della popolazione e dei pellegrini, cui si affiancano il cenobio32e
l’oratorio33 per l’assistenza spirituale della comunità cristiana tutta, poiché tutto prende origine dalla religiosità e
dalla Chiesa, non esistendo un concetto “laico” di assistenza a carico o per dovere civile dello Stato. Il primo
Xenodochio sull’antica via Caelemontana, è quello dedicato ai pii e prodighi coniugi Valerius Pinianus e Santa
Melania, sorto sulle rovine della Villa Valerii, cui segue il Cenobio di Sant’Erasmo, sede di monaci greci e più
tardi benedettini, ampliato per volere di Papa Adeodato nel VII secolo ed infine distrutto dai Normanni di
Roberto il Guiscardo durante assedio del 1084.
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in latino hospitalitas, medesima radice semantica di Ospedale, Ospizio ed Hotel; 32Si tratta di una comunità di monaci riuniti sotto la medesima regola. 33Si tratta di luogo consacrato, solitamente di piccole dimensioni, destinato alla preghiera e al culto privato di famiglie o comunità.
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Le vicende reali che si possono desumere anche attraverso le biografie dei papi, riportate nel Liber Pontificalis e
quelle avvolte nella leggenda, concordano nel rappresentare la tradizione di ospitalità del Laterano.
San Gregorio Magno (590-604), il Papa che modifica definitivamente il nome della Basilica, dedicandola ai Santi
Giovanni Battista ed Evangelista, sotto i cui nomi già esisteva in Laterano un primo monastero posto presso il
Patriarchio, offre una mensa giornaliera ai poveri, alla quale secondo la leggenda assistono Gesù e gli angeli.
Questo Santo Pontefice, appartenente alla famiglia Anicia proprietaria di alcune residenze sul colle del Celio, fa
dono alla Chiesa della propria dimora per fondarvi un altro monastero, al quale nel 575 annette una piccola
chiesa dedicata a Sant’Andrea. Tale complesso, dopo un lungo abbandono, viene restaurato nel VIII secolo e
prende il nome di Monastero Sant’Andrea e San Gregorio al Celio.
Papa Onorio I (625-638), figlio del console Petronio, è tra i pontefici più attivi dell’alto medioevo dal punto di
vista del patronato artistico. A lui si devono, tra le altre, la Chiesa di S. Adriano sul sito dell’antica Curia Senatus,
la “Porta Argentea” del Vaticano, la Basilica di Santa Agnese sulla via Nomentana, la Chiesa di Sant’Apollinare
ed il restauro del cimitero dei Santi Marcellino e Pietro, soprattutto questo Pontefice fa edificare, presso la casa
paterna sul Laterano, un piccolo Oratorio intitolato ai SS. Andrea e Bartolomeo, che resisterà al tempo, sino
ad essere inglobato nel nostro Nosocomio. L'accostamento iconologico dei due santi, risulta fortemente
simbolico. Seppur in modo diverso, infatti, entrambi nel I sec. d.C. subirono il martirio della croce, a seguito
della loro opera di evangelizzazione. Dal momento che, Andrea condusse opera di apostolato in occidente e
Bartolomeo in oriente, insieme ben costituiscono l'emblema del trionfo della croce, su tutto il mondo allora
conosciuto. Dal punto di vista strutturale, considerato il periodo di passaggio a Roma tra cultura proto
medioevale, di influenza ravennate-bizantina, e cultura altomedioevale, si può ipotizzare che il sacello, in questo
momento, sia composto da un'aula a pianta basilicale quasi sicuramente a navata unica. La sua forma è
inconsueta, con una pianta a V rovesciata, certamente dipendente dall’edificazione su preesistenze antiche, poste
all’incrocio tra due strade. Un secolo dopo, nella seconda metà del VIII, si ha notizia di un Monastero di
Sant’Andrea e Bartolomeo (o Monastero di Onorio) incidente sullo stesso sito, che viene edificato inglobando
anche i resti della Villa imperiale, come vuole la romana consuetudine pratica del riuso e rappresenterà il primo
nucleo ospedaliero, individuato nei pressi del Laterano.
L’area Lateranense continua ad accrescere il suo prestigio spirituale e la sua connotazione assistenziale durante
tutto il corso del VII secolo, così viene edificato anche l’Oratorio di San Venanzio adiacente al Battistero
Lateranense, utilizzando un edificio preesistente, per volere di Papa Giovanni VI (640-642), mentre il suo
successore Teodoro I (642-649) dopo aver promosso la traslazione delle reliquie dei Santi Primo e Feliciano dal
cimitero della via Nomentana alla Chiesa di Santo Stefano Rotondo al Celio, fa realizzare l’Oratorio di San Sebastiano
all’interno del Patriarchio.
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Tra il secolo VIII e IX si accresce l’importanza del Patriarchio e della Basilica e gradualmente si forma un borgo
cintato, adoperando, come manufatti architettonici di supporto, l’acquedotto Claudio Neroniano e le Mura
Aureliane, ciò viene fatto a difesa della zona, abbandonando così ogni pretesa di allaccio urbanistico alla città.
Papa Adriano I (772-795) decide di cambiare il volto di Roma, attivando così tanti cantieri da dover reclutare la
manodopera persino in Campania e chiedendo aiuto a Carlo Magno per un programma a favore di tutte le chiese
e gli edifici fatiscenti e pericolanti dell’Urbe. Al Laterano oltre al rifacimento del tetto della Basilica costantiniana
e del quadriportico, ricostruisce il Monastero di Sant’Andrea e Bartolomeo e vi insedia una comunità di
monaci impegnati a garantire la recita dell’Opus Dei nella Basilica del SS. Salvatore, in appoggio alla comunità
del Monastero di San Pancrazio, da li poco distante. Non minor cura ricevono le mura aureliane con le relative
torri, e tutti gli acquedotti, necessari per garantire approvvigionamento idrico e funzionamento dei mulini. Ma
soprattutto aumenta il numero delle diaconie, portandolo a diciotto, per soddisfare le esigenze dei poveri, in
favore dei quali viene stabilito che ogni giorno, all’interno del portico del Patriarchio Lateranense, a cento di loro
deve essere elargito del cibo. D’ora in poi il Patriarchio diverrà il centro di un’area costellata di chiese minori,
monasteri ed ospizi dediti all’accoglienza, un eterogeneo complesso di costruzioni, quasi una gran fattoria tra
vigneti, oliveti, frutteti, giardini e mulini, cisterne, queste ultime alimentate dall'acquedotto claudio-neroniano
nuovamente riparato e riattivato nel 1120, una eccezione se si pensa che il resto di Roma per bere acqua di
sorgente e non di pozzo, dovrà attendere la riapertura della Fontana di Trevi ad opera di Niccolò V (1447-1455).