UNA STORIA DEL MATERIALE - Lorenzelli...La nostalgia del «primitivo» o megli l'inclinazioneo vers...

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UNA STORIA DEL MATERIALE Nell'arco cronologico che abbraccia l'undicesimo e il dodicesimo secolo la storia dell'impiego del legno come materiale per la decorazione a tutto tondo sembra cono- scere un radicale cambiamento, almeno sul piano della sua espansione. Precedentemente esso era «nascosto» dal rivestimento metallico e impreziosito dall'incastonamen- to delle pietre. Come si è già visto il passaggio dalla fun- zione di «anima» a quella di supporto docile alla policro- mia è momento di svolta che rende l'impiego del materia- le assolutamente diverso. Ora, nella policromia squillante dei contrasti primari, in un accordo ancora una volta con il metallo eventual- mente presente accanto alla stoffa come materiale decora- tivo mobile rispetto alla scultura nuda, la scultura-reli- quiario in legno cede il passo, nelle cattedrali cittadine co- me nelle chiese conventuali «madri», alla decorazione in pietra mentre una produzione in legno continua alla peri- feria dei grandi centri, con una durata che sembra costi- tuire una sorta di storia «parallela», non ufficiale, rispetto alla produzione scultorea dei grandi centri di potere. Pa- rallelismo non vuol dire comunque indifferenza o man- canza di relazione fra il circuito «maggiore» e quello «mi- nore» che appunto dovrebbe essere costituito dalla pro- duzione in legno. Proprio agli esordi di una letteratura novecentesca sul tema lo stesso approccio alla materia, così diverso rispet- to allo specialismo del lapicida, veniva indicato come ca- ratteristica del mondo monastico in cui le statue veniva- no realizzate con un'opera di pazienza, invece che con l'abilità e l'impegno anche tecnologico che lo spostamen- to e la messa in opera delle storie scolpite nella pietra o nel marmo comportavano. (Fogolari, 1903). Le miniature che illustrano la «società» delle cattedrali intenta alla sgrossatura in loco delle pietre che divente- ranno i capitelli e i portali delle chiese testimoniano un la- voro di équipe, uno sforzo collettivo dell'intera città e una specializzazione delle maestranze che contrastano con il più diretto e solitario lavoro attorno al tronco o alle parti di legno assemblate per dar vita all'immagine della devozione. Nel primo caso uno sforzo collettivo, nel se- condo il rapporto individuale, che eventualmente può pregiudicare la qualità del manufatto, evidentemente non l'intenzione con cui è stato realizzato. E questo carattere «umile» del materiale è anche luogo comune nella letteratura sull'argomento: se ne prendano due esempi, cronologicamente distanziati, ma significati- vamente affini: quello di Giorgio Vasari, all'esordio di un interrogativo sulla progressività dell'espressione plastica, dopo decadenze e rinascite, nel cuore nel Manierismo, e quello di Hegel, anch'esso collocato in una situazione svolta della cultura europea, con la fine dell'arte classica e l'affermarsi di un'arte romantica dalla fisionomia assolu- tamente diversa rispetto alle fasi precedenti, di liberazio- ne dalla forma ancora costretta dalle necessità rappresen- tative dovute alla credenza religiosa e superato lo stesso concetto di «forma» bella a vantaggio di una espressività legata al sentimento e all'individualità. Nella sua ricognizione d'esordio delle «Storie» dedica- ta ai materiali e alle tecniche di approccio per raggiunger- ne la perfezione espressiva, Vasari discute, significativa- mente all'ultimo posto rispetto a altri materiali della scul- tura, il legno, definendone le qualità espressive: «Chi vuo- le che le figure di legno si possino condurre a perfezzione, bisogna che e' ne faccia prima il modello di cera o di terra come dicemmo. Questa spezie si è usata molto nella cri- stiana religione, atteso che infiniti maestri hanno fatto molti crocifìssi e diverse figure ancora. Ma invero, non si dà al legno quella carnosità e morbidezza che al metallo et al marmo et a le sculture che noi veggiamo, ciò è cose o di stucchi o di cera o di terra» (Vasari p. 56). Anche se al materiale in oggetto viene accordata la stessa metodologia di approccio della materia maggiore, la pietra, il passaggio cioè dal modello di dimensione ri- dotte, in cui si sperimenta nella osservazione ravvicinata e coadiuvata dalla esperienza del tatto, alla dimensione mo- numentale, il legno presenta delle deficitarie capacità a imitare quegli aspetti della figura umana, «la carnosità», che invece affascinano, nell'ordine di una consumata abi- lità tesa alla meraviglia, la sensibilità di Vasari. Solo la «pietà» della religione cristiana, a cui fa significativamente riferimento Vasari, può colmare la distanza fra il modello e la sua replica incapace di rappresentare gli aspetti essen- ziali. Ma il nesso ideologico fra osservatore e soggetto rap- presentato inaugurato da Vasari viene ampiamente ripre- so da Hegel che trova nel legno il materiale più antico, r

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U N A STORIA DEL M A T E R I A L E

Nell'arco cronologico che abbraccia l'undicesimo e i l dodicesimo secolo la storia dell ' impiego del legno come materiale per la decorazione a tu t to tondo sembra cono­scere un radicale cambiamento, almeno sul piano della sua espansione. Precedentemente esso era «nascosto» dal rivestimento metallico e impreziosito dall'incastonamen-to delle pietre. Come si è già visto i l passaggio dalla fun­zione di «anima» a quella d i supporto docile alla policro­mia è momento di svolta che rende l ' impiego del materia­le assolutamente diverso.

Ora, nella policromia squillante dei contrasti primari , in un accordo ancora una volta con i l metallo eventual­mente presente accanto alla stoffa come materiale decora­tivo mobile rispetto alla scultura nuda, la scultura-reli­quiario in legno cede i l passo, nelle cattedrali cittadine co­me nelle chiese conventuali «madri», alla decorazione i n pietra mentre una produzione in legno continua alla peri­feria dei grandi centri, con una durata che sembra costi­tuire una sorta di storia «parallela», non ufficiale, rispetto alla produzione scultorea dei grandi centri d i potere. Pa­rallelismo non vuol dire comunque indifferenza o man­canza di relazione fra i l circuito «maggiore» e quello «mi­nore» che appunto dovrebbe essere costituito dalla pro­duzione in legno.

Proprio agli esordi di una letteratura novecentesca sul tema lo stesso approccio alla materia, così diverso rispet­to allo specialismo del lapicida, veniva indicato come ca­ratteristica del mondo monastico in cui le statue veniva­no realizzate con un'opera di pazienza, invece che con l'abilità e l ' impegno anche tecnologico che lo spostamen­to e la messa in opera delle storie scolpite nella pietra o nel marmo comportavano. (Fogolari, 1903).

Le miniature che illustrano la «società» delle cattedrali intenta alla sgrossatura i n loco delle pietre che divente­ranno i capitelli e i portali delle chiese testimoniano un la­voro di équipe, uno sforzo collettivo dell'intera città e una specializzazione delle maestranze che contrastano con i l più diretto e solitario lavoro attorno al tronco o alle parti di legno assemblate per dar vita all 'immagine della devozione. N e l pr imo caso uno sforzo collettivo, nel se­condo i l rapporto individuale, che eventualmente può pregiudicare la qualità del manufatto, evidentemente non l'intenzione con cui è stato realizzato.

E questo carattere «umile» del materiale è anche luogo comune nella letteratura sull'argomento: se ne prendano due esempi, cronologicamente distanziati, ma significati­vamente affini : quello di Giorgio Vasari, all'esordio di un interrogativo sulla progressività dell'espressione plastica, dopo decadenze e rinascite, nel cuore nel Manierismo, e quello di Hegel, anch'esso collocato in una situazione svolta della cultura europea, con la fine dell'arte classica e l'affermarsi di un'arte romantica dalla fisionomia assolu­tamente diversa rispetto alle fasi precedenti, di liberazio­ne dalla forma ancora costretta dalle necessità rappresen­tative dovute alla credenza religiosa e superato lo stesso concetto di «forma» bella a vantaggio di una espressività legata al sentimento e all'individualità.

Nella sua ricognizione d'esordio delle «Storie» dedica­ta ai materiali e alle tecniche di approccio per raggiunger­ne la perfezione espressiva, Vasari discute, significativa­mente al l 'ul t imo posto rispetto a altri materiali della scul­tura, i l legno, definendone le qualità espressive: «Chi vuo­le che le figure di legno si possino condurre a perfezzione, bisogna che e' ne faccia prima i l modello di cera o di terra come dicemmo. Questa spezie si è usata mol to nella cri­stiana religione, atteso che inf in i t i maestri hanno fatto m o l t i crocifìssi e diverse figure ancora. Ma invero, non si dà al legno quella carnosità e morbidezza che al metallo et al marmo et a le sculture che noi veggiamo, ciò è cose o di stucchi o di cera o di terra» (Vasari p. 56).

Anche se al materiale in oggetto viene accordata la stessa metodologia di approccio della materia maggiore, la pietra, i l passaggio cioè dal modello di dimensione r i ­dotte, in cui si sperimenta nella osservazione ravvicinata e coadiuvata dalla esperienza del tatto, alla dimensione mo­numentale, i l legno presenta delle deficitarie capacità a imitare quegli aspetti della figura umana, «la carnosità», che invece affascinano, nell'ordine di una consumata abi­lità tesa alla meraviglia, la sensibilità d i Vasari. Solo la «pietà» della religione cristiana, a cui fa significativamente riferimento Vasari, può colmare la distanza fra i l modello e la sua replica incapace di rappresentare g l i aspetti essen­ziali.

Ma i l nesso ideologico fra osservatore e soggetto rap­presentato inaugurato da Vasari viene ampiamente ripre­so da Hegel che trova nel legno i l materiale più antico,

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nella sua vicinanza con il mondo naturale facilmente fre­quentato dall 'uomo, per la rappresentazione del fenome­no religioso che viene titolato come "simbolico*' in oppo­sizione all'arte classica, libera in quanto tale da vincoli rappresentativi. In un rapporto simbolico fra oggetto e soggetto, l'imperfezione e la limitata capacità di alludere alla realtà dell'espressione scultorea viene in qualche mo­do completata dalla devozione dell 'uomo, nella sua fase ingenua, infantile, come nella fase dominata dalla super­stizione: quanto manca alla rappresentazione completa del soggetto viene neutralizzato dalla tensione dell 'uomo adorante, del credente a cui è sufficiente una traccia anche labile della realtà in cui crede perché possa avvenire co­municazione. Questo particolare atteggiamento da una parte rende all'arte religiosa una «stazionarietà» che coin­cide con l ' immagine «a temporale», diretta, cui si è fatto riferimento precedentemente; dall'altra sottolinea la «convenzionalità» dell 'immagine, la sua appartenenza a una cerimonia le cui coreografìe esorbitano dall'osserva­zione dell'oggetto i n quanto tale, della sua capacità repli­cativa e rappresentativa.

Ecco allora ai pr imordi dell'infanzia dell 'uomo la scel­ta del legno come materiale capace di «alludere», nella sua sostanziale incapacità illusionistica, alla presenza del m i ­stero nel contingente. «Fra i materiali d i diverso genere di cui g l i scultori si servivano per le statue degli dei, uno dei più antichi è i l legno. U n bastone, un palo sormontato da una testa costituì l'inizio...» (Hegel p. 863). I l bastone co­mando, la cui capacità assiale di congiungere cielo e terra, è tema caratteristico della società tribale e la sua trasfor­mazione nello scettro della divinità cristiana o del monar­ca occidentale accentua una catena simbolica delle «figu­re» primordial i su cui è diffìcile costruire una teoria ma che in ogni caso rappresenta un «luogo» ineliminabile e ingombrante in un ragionamento sul simbolico, i l basto­ne appunto richiama per «figura» e per «materia» un uni­verso naturale la cui interpretazione «simbolica» è alla ra­dice della conoscenza del mondo dalla sua infanzia. È d'al­tra parte interpretazione cara alla sensibilità europea, nel­la continuità di una riflessione sulla storia umana di carat­tere organico, attribuire all'infanzia, e conseguentemente al pr imit ivo , una capacità fantastica nei confronti dei fe­nomeni naturali e dei suoi elementi che contrasta con l'ar­tificialità e la razionalità del pensiero moderno. I l legno allora, già presente in natura nella figura essenziale dell'al­bero della vita, nella sua capacità di radicarsi alla terra e di svettare verso i l cielo, verso la spiritualità, diventa agli oc­chi di chi ha già in sintesi recensito la storia simbolica dell'Occidente, i l f rut to d i una indagine primit iva, essen­ziale: successivamente verranno la pietra e i l metallo, i n cui la quantità e la complessità delle operazioni che porta­no alla redazione definitiva del manufatto conoscono tempi e modi assolutamente distanti rispetto alla società dei raccoglitori e dei manipolatori , più attenti e rispettosi alle «figure» scopribili nel materiale che consci della razio­nale capacità di modificare la materia ai desideri e all ' ini

maginazione dell'ani male-uomo ormai emancipato, e quindi distante, dalla fase dell'istintività. La nostalgia del «primitivo» o meglio l'inclinazione verso esso, per usare una espressione di Giacomo Leopardi, mette in relazione una «infanzia» del genere umano e una «infanzia» del sin­golo soggetto, a cui nell'epoca della maturità si ritorna, in una sorta di rifugio capace di accogliere quanto di irrisol­to, d i non compreso, quanto di aspettativa delusa può af­fermarsi nell'evoluzione del pensiero adulto. L'ingenuità, l'approssimazione, ma anche la vicinanza al naturale dell'espressione plastica che i l legno può produrre, diven­tano agli occhi d i Hegel, ma nel complesso possiamo alla sua accostare tanta sensibilità attuale nell'apprezzamento del pr imi t ivo , dell'arcaico, colpita dalla immediatezza, dalla semplicità e nello stesso tempo dalla profondità del sentimento espresso, i caratteri salienti dell'arte «simboli­ca», successivamente superati dall'artificialità autonoma dell'arte classica del cui declino i l filosofo sembra essere testimonio e interprete essenziale.

I n questa ricognizione del carattere «simbolico» del materiale legno, è opportuno riconoscerne la dipendenza con la sua forma naturale, con l'albero della vita si è detto, ma anche con quelli della profezia testamentaria, che ne recuperano completamente la funzionalità rispetto all'uo­mo. I l totem-scettro del comando o la strada-feticcio si trovano, appunto collegati dalla materia con cui vengono realizzati, in sintonia con una serie di artefatti d i natura estremamente ampia: i l materiale, sia pura modificato dalla necessità dell 'uomo - dalla forma-vincolo che è la forma eretta si passa al suo ridisegno funzionale - è comu­ne allo strumento di lavoro nei campi come alla staccio­nata che perimetra i l luogo della proprietà, o al rivesti­mento laterale o allo stesso tetto dell'edifìcio. Ma ancora il medesimo legno è la fonte di energia e di calore fra i più frequenti: la sua vitalità, la sua essenzialità nella vita della società antica rende i l nostro ragionamento aperto a una complessità di andamenti «centrifughi» che sembrano scoraggiarne una indicazione sistematica. Al le soglie della selva, quella soglia della foresta che è a un tempo soglia della non civiltà, luogo della incertezza della vita mortale come di quella spirituale, e fonte di una nuova ricchezza in quanto terreno vergine, da dissodare e da restituire alle ingigantite esigenze del l 'uomo della riconquista della ter­ra, risulta centrale un materiale, appunto i l legno, che sot­to la forma dell'albero costituisce, nell'universo simboli­co come in quello materiale, della sopravvivenza, un car­dine insostituibile. I l mondo del raccoglitore lo venera, i l coltivatore ne seleziona la specie e I'innestatore inizia una artificializzazione della natura la cui storia è ancora i n cor­so: la visione profetica del paradiso ne prevede l'abbon­danza, e la copiosità dei f r u t t i , con un r i tmo che cresce con l'avvicinarsi della predizione. I I giardino paradisiaco di Ezechiele si molt ipl ica nella visione dell'Apocalisse ca­nonica; in quelle apocrife di Pietro e di Paolo la visione di una natura incommensurabilmente abbondante rispetto alla soddisfazione del necessario, trova la sua esplicitazio-

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ne più ampia: l'albero produce frut t i in una abbondanza c he solo una mentalità contadina, vicina alla osservazione realistica del fenomeno ciclico, può apprezzare nella sua enormità: ma l'albero-legno è anche segnale di una sta­gionalità, di una periodizzazione del tempo che se trova una sua logica nella successione breve delle stagioni, in­contra i l paragone più arduo nel confronto con l'assolu­tezza e la defìnitorietà del giudizio u l t imo, appunto al ter­mine di un percorso pure segmentato dal r i tmo del siste­ma nascita/morte/resurrezione. Del complesso simbolis­mo dell'albero risulta comunque essere uno degli esempi più intricati proprio quell'albero della croce la cui storia Jacopo da Varagine, nella sua Legenda aurea segue citando fonti differenti: dal ramoscello che l'angelo offre a Set per Adamo moribondo all'albero adulto che viene gettato da­gli operai di Salomone perché inaccessibile a qualsiasi la­vorazione, alla deferenza mostrata dalla Regina di Saba, al suo seppellimento nella piscina probatica e al finale util iz­zo come strumento di pena per Cristo.

Ma la croce-albero universale è tema troppo ampio perché se ne possa rendere conto i n questo contesto.

Per una mentalità «vicina» alla vita «naturale» del le­gno i riferimenti possono essere evidenti, come nel Pasto­re di cui si possono riferire due diverse interpretazioni del legno nella sua fase vitale. Nella «Allegoria seconda» Er­ma vede un olmo e una vite intrecciati. La spiegazione, costantemente richiesta per ogni apparizione che i l prota­gonista ha occasione di vedere, è esauriente: «Questa vite porta frutto, mentre l 'o lmo è un albero infrutt i fero. Ma se la vite non si arrampica sull 'olmo, non può produrre mol t i f rut t i e quei pochi che produce giacendo sul terre­no sono infradiciti perché manca i l sostegno. Invece quando la vite sta avvinghiata all 'olmo porta f rut to per sé e per l 'olmo. Vedi dunque che anche questo u l t i m o porta frutto non meno della vite, anzi, forse più abbondante» (Cort i , 1966 p. 298). L'abbondanza dell 'uno e la deficien­za dell'altro albero e la solidarietà che si instaura fra i due vegetali per la loro mutua sopravvivenza sono lett i come i l rapporto vicendevole fra ricco e povero, capaci d i inte­grarsi in una armonia spirituale conciliante rispetto alla realtà terrena e alle sue contraddizioni che sembra essere preoccupazione costante dell'autore. L' immaginario su­scitato è quello di una familiare frequenza con la natura assoggettata al dominio dell 'uomo: i l paragone evidenzia­to dal testo della prima cristianità si affida a una cono­scenza dell'albero erede di una tradizione appropriativa secolare che i l mondo dell'alto Medioevo sembra aver d i ­menticato. Ma anche la natura nella sua spontanea mani­festazione costituisce un repertorio frequentato dal no­stro autore; nell 'Allegoria successiva, significativamente, alla prima immagine della solidarietà fra la vite e l 'o lmo ne viene offerta una seconda, in cui gl i alberi, nella stagio­ne invernale, presentano una medesima e indifferente fac­ciata di squallore e di morte: «Mi mostrò m o l t i alberi pr i ­vi di foglie che mi parevano quasi secchi, ed erano tut t i eguali... I n questo mondo non si vede chi è giusto e chi è

peccatore: t u t t i sono uguali. Questo mondo è un inverno per i giusti : stanno insieme con i peccatori e non si mani­festano. D' inverno, infatti , gl i alberi, perdute le foglie, so­no tut t i s imil i , e non si può distinguere quali siano secchi e quali siano vegeti; così in questo mondo non si può ve­dere chi è giusto e chi è peccatore: sono t u t t i eguali» (cit. p. 3 0 0 ) .

Della sterminata letteratura simbolica sull'albero, co­me capacità di unire cielo e terra ma anche come collega­mento spazio-temporale fra entità che la fede colleziona in quanto dipendenti l'una dall'altra che la logica comun­que può anche separare per la distanza del tempo o la d i ­versità del luogo, non è questo l 'ambito per riproporre una sintesi, anche se nell 'immaginario iconografico del Medio Evo, dalla cornice e dagli stipiti delle cattedrali ai margini dei fogli miniat i , la ricorrenza della figura sembra assumere una continuità che ne rende centrale la memo­ria ogni volta che se ne affronti un aspetto, sia pure latera­le, come i l materiale di cui è composto. I n questo senso la parentesi sul «legno naturale» non sembra assolutamente estranea all ' immaginario di cui stiamo trattando: anche i l legno con cui sono realizzate le sculture della devozione, se pure risponde a necessità d i natura funzionale, alla ca­pacità del reperimento del materiale e alla necessità di una «immagine» adeguata al trasporto, abilitata alla manipola­zione, si intreccia indissolubilmente con la sua orìgine na­turale, con la sua organicità che l'occhio pr imi t ivo con­fronta, in una lettura unitaria del creato, con i l più genera­le ordine dell'universo. Che un suo frammento, apparte­nente all'ordine superiore del vivente e in stretto rappor­to con altri manufatti che risultano essenziali alla soprav­vivenza dell 'uomo, sia destinato all'erezione di un simula­cro di salvezza, da venerare e da accrescere con la donazio­ne delle proprie ricchezze e dell'atto cerimoniale della ve­nerazione, costituisce un ulteriore, ineliminabile, anello della nostra storia.

Fra i fattori che si sono indicati come determinanti la scelta del legno come materiale adatto alla scultura a tut to tondo nella cappella del convento o della chiesa alle so­glie della civiltà cittadina, si sono indicati quelli della vici­nanza della materia alla dimensione ambientale dell'inse­diamento, ai l i m i t i della foresta che procura altre font i d i sostentamento, dall'architettura all'arredo interno degli stabili, quelli ancora di una simbolica catena che lega l'ele­mento naturale «vivo» come l'albero alla «rinascita» spiri­tuale che si vuole testimoniare erigendo un segnale tangi­bile e fisico della salvezza, una presenza sensorialmente percepibile del mistero che ha trovato una sua forma al­trettanto tangibile di manifestazione, la semplificata tec­nologia del materiale, che può essere aggredito e soprat­tut to manipolato dal singolo monaco-artigiano e che quindi semplifica i l complesso di lavoro parcellizzato che caratterizza la grande fabbrica. Sono ulteriore elemento comprobante una scelta del materiale derivata dalla ne­cessità liturgica, proprio le caratteristiche manipolabili, di trasporto nella cerimonia come nella semplice vestizione

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dell'arredo sacro coincidente con la festa: in questo modo la statua in legno, nella duttilità della sua costituzione or­ganica, si apparenta in modo inevitabile con i l reliquiario o i l porta- messale, con l'arredo liturgico «minore» che, a differenza della statuaria in pietra, conosce la frequenza dell'uso in modo così ampio da rendere legittimo il suc­cessivo intervento, nell'ambito del restauro come in quel­lo dell'adeguamento della figurazione al mutamento del gusto, dell 'immaginario. È certo che nello spinto medie­vale - ma i l rilievo deve essere esteso anche a ogni sorta di '•aggiornamento" nell'ordine della censura come in quello dell'ammodernamento, che l 'immagine sacra o l'oggetto d'uso liturgico conosce fino alla sensibilità filologica di una temperie più recente - non esiste attenzione archeolo­gi*, a, o meglio etnologica, al mantenimento del documen­to originale come «segnale» di una mentalità storicamente definibile: da questo punto di vista la statua della devo­zione deve seguire, conoscendo mutilazioni, sostituzioni, interpretazioni eccentriche, la variabilità della sensibilità in quanto «segnale» di una sensibilità anch'essa i n conti­nuo mutamento. La sovrapposizione di cromie differenti, la sostituzione anche arbitraria di parti mancanti con in­terpretazioni più consone al gusto delle varie epoche, sembrano essere comunque attività non troppo distanti da un lontano o un recente passato. I I restauro «creativo» che un intervento sui marmi classici (Rossi Pinelli 1986) «interpretati» a partire dalla sensibilità manierista ha chia­ramente stigmatizzato ma che giunge a quello altrettanto impietoso della «imbiancatura» delle chiese romaniche dalle «incrostazioni» barocche effettuate dallo scientifico intervento delle Autorità del nuovo stato italiano, ha alla sua base, indipendentemente dalle ironie o dalle «distan­ze» critiche che si possono assumere una volta tramontata o modificata la moda o l ' immaginario che lo ha determi­nato, la volontà di rendere attuale, o vicino alla propria immagine dell'universo, un soggetto, sia esso quello sa­cro della Vergine o del Cristo o quello più laico dell 'uo­m o e del suo rapporto con lo spazio architettonico o d i ­pinto.

Il restauro integrativo, o anche stravolgente, che co­noscono le sculture lignee medioevali risponde allora a una necessità, non tanto distante dalla sensibilità di ogni tempo, di adeguare un immaginario alla sensibilità visiva e simbolica che si evolve con il mutare delle coscienze e della propria immagine del mondo, e quindi della crea­zione delle fattezze del «modello».

La statua di pietra può conoscere nel corso del tempo una traumatica mutilazione: g l i atti che la distruggono appartengono alle azioni collettive violente in cui la d i ­struzione dell'icona coincide con una festa collettiva, con un r i to che osserva, nella cancellazione dell ' immagine, la sparizione dell 'ultima memoria del tiranno: la cancella­zione o la trasformazione della figura in legno, anche per la sua più modesta pretesa ostensiva, all ' interno e non all'esterno dell'architettura, mobile come posizione, può conoscere una più immediata perdita, ma anche la longe­

vità sofferta del reperto che, in quanto trasportabile e toc­cabile, può assorbire le aggressioni «estetiche» più oltrag­giose senza particolari traumi.

E i l particolare rapporto fra la pietà e l'oggetto, fra la devozione e l'identità dell 'immagine cui ci si riferisce che motiva e legittima i l mutamento: i l carattere a-temporale del tema e i l desiderio di adeguarlo rende l'opera scolpita assolutamente subalterna rispetto al soggetto. La statua in legno è allora affine all'oggetto d'uso comune nella l i ­turgia, non staccato ma in continua evoluzione proprio a partire dalla sua qualità di essere manipolato e essere inse­ri to in una cerimonia collettiva che legittima, in quanto attualità, i l mutamento.

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