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G. Filippo Dettori Una ricerca empirica con studenti e docenti di scuola secondaria di primo grado La scuola media che vorrei

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G. Filippo Dettori

Una ricerca empiricacon studenti e docenti di scuola

secondaria di primo grado

La scuola media che vorrei

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I edizione: giugno 2009

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Indice

11 Presentazione 15 Introduzione 19 CAPITOLO I Fuga dalla scuola: possibili spiegazioni di un fenomeno

complesso

1.1. Una pluralità di definizione, 19 – 1.2. Qualche dato statistico, 20 – 1.3. La complessità del fenomeno dell’abbandono scolastico, 25 – 1.4. Caratteristiche dello studente che abbandona, 28 – 1.5. Le responsabilità del sistema scolastico, 31 – 1.6. Le problemati-che sociali che favoriscono il drop–out, 35 – 1.7. La teoria del di-simpegno scolastico come comunicazione di disagio, 38 – 1.8. Dall’abbandono scolastico alla devianza minorile, 41

45 CAPITOLO II La ricerca: il quadro metodologico, gli strumenti, i risultati

2.1. Dare voce ai protagonisti, 45 – 2.2. Descrizioni e fasi della ri-cerca, 51 – 2.3. La prima fase della ricerca: l’intervista ai ragazzi drop–out, 53 – 2.3.1. Strumento e metodologia della raccolta dei dati, 53 – 2.3.2 Soggetti coinvolti, 55 – 2.3.3. Risultati emersi dalle interviste, 56 – 2.3.3.1. I sentimenti e gli stati d’animo nei confron-ti della scuola, 56 – 2.3.3.2. Rapporto con i docenti, 60 –2.3.3.3 Rapporto con i compagni, 64 – 2.3.3.4. La didattica, 67 – 2.3.3.5. Causa delle ripetenze, 69 – 2.3.3.6. Rapporti scuola–famiglia, 71 – 2.3.3.7 Valore della scuola nell’ambiente di appartenenza, 74 – 2.3.4. Riflessioni conclusive sui dati delle interviste, 76 – 2.4 La seconda fase della ricerca: dall’intervista al sondaggio, 78 – 2.4.1.

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Indice 10

Struttura del questionario utilizzato, 79 – 2.4.2. I soggetti coinvol-ti: tre tipologie di studenti a confronto, 80 – 2.4.3. I Risultati del sondaggio, 81 – 2.4.3.1. Dati relativi ai giovani autori di reato, 81 – 2.4.3.2. Dati relativi agli studenti di prima superiore, 87 – 2.4.3.3. Dati relativi ai ragazzi che all’esame di licenza media han-no avuto la valutazione “Ottimo”, 94 – 2.4.4. Riflessioni conclusi-ve sui dati del sondaggio, 98 – 2.5. La terza fase della ricerca: il coinvolgimento dei docenti, 100 – 2.5.1. Il focus group, 100 – 2.5.2. Soggetti coinvolti, 101 – 2.5.3. Gli incontri, 102

117 CAPITOLO III Possibili percorsi didattici di miglioramento

3.1. Fare ricerca didattica con gli insegnanti, 117 – 3.2. Arricchi-re/migliorare l’offerta didattica utilizzando il metodo Feuerstein, 122 – 3.2.1. Reuven Feuerstein, 122 – 3.2.2. I principi fondamen-tali del metodo, 123 – 3.2.3. La sperimentazione, 125 – 3.2.4. I ri-sultati della ricerca: due punti di vista a confronto, 126 – 3.2.4.1. Il punto di vista dei docenti, 127 – 3.2.4.2. Il punto di vista dei ragazzi, 130 – 3.2.5. Considerazioni conclusive, 134 – 3.3. Mi-gliorare il rapporto scuola–famiglia: il cineforum nella formazione degli genitori, 136 – 3.3.1. La scuola che coinvolge le famiglie, 136 – 3.3.2. La scuola forma i genitori, 137 – 3.3.3. Cinema e for-mazione degli adulti, 139 – 3.3.4. Descrizione dell’esperienza, 141 – 3.3.5. Le considerazioni dei partecipanti sull’efficacia del per-corso, 148 – 3.3.6. Considerazioni conclusive, 150 – 3.4. Arricchi-re /diversificare l’offerta formativa: il Progetto “Partiamo con l’arte”, 151 – 3.4.1. Il bisogno di imparare facendo, 151 – 3.4.2. Laboratori artistici per esprimere le emozioni, 152 – 3.4.3. Descri-zione dell’esperienza, 154 – 3.4.4. I risultati: le impressioni dei ra-gazzi, 154 – 3.4.5. Considerazioni conclusive, 161

163 Conclusioni 165 Bibliografia 173 Questionario

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Capitolo I

Fuga dalla scuola: possibili spiegazioni di un fenomeno complesso

1.1. Una pluralità di definizioni

Già da diversi anni il fenomeno della dispersione scolastica ha inte-ressato una pluralità di studi e di ricerche che hanno analizzato il pro-blema da diversi punti di vista soffermandosi in particolar modo sulle cause che spingono giovani ancora in età di formazione a lasciare la scuola.

Nell’accezione etimologica il termine dispersione scolastica indica il non raggiungimento dei traguardi formativi da parte dell’individuo, ma anche il fallimento dell’istituzione che non riesce a perseguire i suoi obiettivi educativi. Possiamo intenderla quindi come «la dissipa-zione di intelligenze, di risorse, di potenzialità dei giovani e dell’isti-tuzione scolastica nel suo complesso»1.

Col termine dispersione scolastica2 la letteratura indica oltre al-l’abbandono precoce degli studi anche la pluralità dei fenomeni ad es-so connessi (assenze frequenti, bocciature, ripetenze, basso rendimen-to, atteggiamenti inadeguati, rifiuto delle regole) che possono essere considerati espressioni di malessere e allo stesso tempo fattori predit-tivi dell’insuccesso.

Con l’espressione evasione scolastica ci si riferisce ai giovani che lasciano la scuola prima di avere raggiunto i traguardi formativi con-

1 GHIONE V. (2005), La dispersione scolastica. Le parole chiave, Carocci, Roma, p. 51. 2 ALLOISIO C., GRADINO A., STORACE L. (2004), Un modello per la prevenzione della di-

spersione formativa, Franco Angeli, Milano.

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Capitolo I 20

siderati dalla legge obbligatori. Il termine evasione, preso in prestito dalla condizione carceraria, evoca una situazione di permanenza co-strittiva in una scuola definita dell’obbligo che fa pensare all’impo-sizione più che il piacere della scoperta3.

La definizione disadattamento4 scolastico indica le difficoltà di natura cognitiva, emotiva e sociale che il giovane incontra nel suo percorso di studio, esso è di solito graduale: inizia con piccoli ostacoli nel portare a termine le proposte didattiche e diviene sempre più generalizzato fino ad interessare i diversi momenti della vita della scuola. Il disadattamento di-venta disagio quando lo studente si sente inadeguato e percepisce il con-testo scolastico ostile e lontano dai suoi bisogni ed interressi.

Il disagio può diventare insuccesso quando l’allievo non riesce a portare a buon fine i compiti richiesti e consegue con regolarità valu-tazioni negative5. Un atteggiamento di rifiuto prolungato favorisce il fenomeno della mortalità scolastica quando il giovane lascia definiti-vamente la scuola6.

La letteratura internazionale utilizza il termine drop–out per indica-re coloro che interrompono il percorso scolastico senza concluderlo ma anche quei numerosi studenti che, seppure iscritti e frequentanti, non rispondono alle richieste della scuola. Alla base dei comporta-menti di rifiuto per le proposte scolastiche ci sono difficoltà emozio-nali e comportamentali (emotional and behavioural difficulties) che generano disimpegno e sentimenti di sfiducia nei confronti di se stessi (basso senso di autoefficacia) e/o dell’istituzione percepita come op-pressiva e svalutante (disaffection).

1.2. Qualche dato statistico

Le statistiche degli ultimi anni indicano che in Europa il 24% degli studenti non completa il ciclo di studi di base, ossia dopo la licenza

3 BUZZI C. (a cura di) (2005), Crescere a scuola. Il profilo degli studenti italiani, Fondazio-

ne per la scuola della compagnia San Paolo, Torino. 4 DUTTO M. (2001), Dalla lotta alla dispersione alla promozione del successo scolastico, in

BOMBARDELLI O., DALLARI M. (a cura di), La scuola alla prova, Labirinti 52, Collana del Di-partimento di Scienze Filosofiche e Storiche, Editrice Università degli Studi di Trento.

5 FONZI A. (2002), Star male a scuola. Indicatori e correlati del disagio scolastico, in Età evolutiva,71: 53–105.

6 FRABBONI F., BALDACCI M. (2004), Didattica e successo formativo. Strategie per la pre-venzione della dispersione scolastica, Franco Angeli, Milano.

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Fuga dalla scuola: possibili spiegazioni di un fenomeno 21

media, non intraprende un percorso formativo – professionalizzante. Rispetto a questo fenomeno gli stati dell’Unione Europea con la “Stra-tegia di Lisbona” hanno individuato come benchmarck la riduzione al 10% del tasso di dispersione scolastica entro il 20107. L’istruzione in-fatti è stata considerata fattore importante oltre che per la formazione culturale della persona anche per lo sviluppo economico e sociale di ogni Paese che deve contare su cittadini competenti e capaci di essere competitivi nel mercato internazionale del lavoro.

Nel 2000 la situazione italiana si presentava piuttosto critica, infatti il 25,3% dei giovani fra i 18 e i 24 anni non aveva proseguito gli studi dopo la licenza media e non frequentava corsi di formazione, percen-tuale molto superiore rispetto ad altri paesi europei come la Francia (13,3%), la Germania (14,9%), l’Olanda (15,5%).

I dati relativi al 2005 della commissione europea indicano un mi-glioramento: la percentuale degli studenti italiani che abbandona pre-cocemente (school leavers) è scesa al 21,9% ma risulta tuttavia più al-ta rispetto ad altri paesi come la Francia (12,6%) o la Germania (12,1%).

Nel 2006 si registra la riduzione di oltre un punto di percentuale ri-spetto all’anno precedente che ha portato al 20,6% il tasso di abban-dono. I dati evidenziano però una situazione preoccupante in alcune regioni, in modo particolare nella Sardegna e nella Sicilia, dove rispet-tivamente il 29,7% e il 30,4% degli studenti abbandona gli studi dopo la licenza media senza conseguire alcun titolo8.

I dati relativi all’Italia non sono però sempre negativi, lo studio IAE–PIRLS9 che si propone di misurare periodicamente la compren-sione della lettura nel quarto anno della scuola elementare in quaranta paesi, nel 2006 collocano i bambini italiani al 6° posto al mondo e al 1° in Europa. La scuola primaria risulta essere quindi didatticamente molto più efficace nei diversi ambiti disciplinari rispetto agli altri or-dini di istruzione.

I rapporti più recenti, relativi al giugno 2007 ci offrono una pano-ramica articolata della situazione scolastica italiana, attraverso 152 in-

7 Vedasi trattato firmato Stati membri dell’Unione Europei a Lisbona: http://europa.eu. 8 MPI (2006), La dispersione scolastica. Indicatori di base per l’analisi del fenomeno Anno

scolastico 2004/05. SISTAN, p. 3; disponibile anche su www.pubblica.istruzione.it 9 http://www.bdp.it/db/docsrv/PDF/completo.PDF

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Capitolo I 22

dicatori sono state misurate le aree di eccellenza e criticità eviden-ziando differenze per regione e province10.

Lo studio presenta un quadro nazionale con notevoli punti di criti-cità relativamente a 5 macroaree: strutture e risorse, organizzazione e servizi, condizioni del personale, livelli di istruzione, risultati scola-stici.

La prima macro area riguarda i beni patrimoniali delle scuole, la spese degli Enti Locali per la scuola, le tecnologie didattiche presenti. Il rapporto evidenzia che le risorse finanziare e gli strumenti su cui possono contare le istituzioni scolastiche sono piuttosto modesti. Co-me è noto, oggi le scuole autonome oltre ai finanziamenti dello Stato e degli Enti Locali, trovano le loro risorse anche mediante partenariati e collaborazioni con soggetti esterni. L’indagine evidenzia che in media le regioni del Nord possono contare su budget superiori rispetto al sud: Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte si trovano infatti ai pri-mi posti mentre Molise, Campania e Sardegna si collocano in coda.

La seconda macro aerea riguarda l’organizzazione e i servizi, ossia il numero degli alunni per classe, i servizi scolastici, il tempo scuola, l’efficienza amministrativa. Anche in questo settore è possibile regi-strare un’inadeguatezza complessiva nel sistema imputabile alla diffi-coltà delle istituzioni autonome a decidere su questioni importanti come per esempio il numero degli allievi per classe (ancora vincolate al parere dell’Amministrazione centrale), il servizio mensa, il tempo scuola, la tempestività nella nomina del personale supplente. Nel rap-porto si parla di «autonomia negata o quanto meno incompiuta» poi-ché le istituzioni sono fortemente condizionate dai vincoli delle am-ministrazioni locali. Al top della classifica troviamo le regioni Um-bria, Piemonte e Liguria mentre in basso alla graduatoria si posiziona-no rispettivamente Campania, Puglia e Sicilia.

La terza macroarea riguarda il personale: età, mobilità, genere, pre-carietà, ecc. Un aspetto particolarmente importante è la stabilità del personale nella scuola. Nella classifica di questa macroarea si ha un’inversione di tendenza rispetto alle tre precedenti: le regioni del sud si trovano ai primi posti (Sicilia e Campania) mentre il centro si trova nei posti più bassi (Toscana, Molise, Umbria).

10 Tuttoscuola (2007), Primo Rapporto sulla Qualità della Scuola. Tutti i dati provincia per

provincia, Think &Print, Roma.

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Fuga dalla scuola: possibili spiegazioni di un fenomeno 23

L’ultima macroaerea ci offre un quadro alquanto articolato dei li-velli di istruzione raggiunti dagli allievi. Ecco la sintesi del rapporto:

Si trova nel Nord – Est e al Centro Italia la migliore scolarizzazione degli stu-denti e della popolazione italiana. Meno dispersione, tassi di ripetenza conte-nuti, buoni livelli di alta scolarizzazione di massa fanno di queste aree del pae-se una mittel Europa della scolarità e delle potenze formative11. Ancora una volta agli ultimi posti troviamo le regioni del Mezzo-

giorno: Campania, Sicilia e Sardegna che vedono le province di Ca-gliari, Nuoro, Caltanissetta come le più bisognose di interventi finaliz-zati al miglioramento. Altro dato di rilievo, anche tenendo conto delle nuove disposizioni che prevedono l’innalzamento dell’obbligo, è che un’alta percentuale di studenti “si perde” nel biennio della scuola su-periore.

Analizzando il fenomeno della frequenza scolastica nel tempo si può notare come l’Italia negli ultimi anni abbia avuto un innalzamento di rilievo nella partecipazione dei giovani all’istruzione secondaria su-periore: si è passati infatti dal 78,3% dell’anno 1994/95 al 92,4 del 2005/06. Soprattutto nel Sud vi è stato un significativo incremento che ha fatto sì che si superasse il forte divario con il Nord che nel 1994/95 si aggirava a circa 7,5 punti percentuali12.

Le ripetenze crescono progressivamente con l’aumentare dell’età: 0,2% scuola primaria, 2,3% secondaria di primo grado, 6,9% seconda-ria di secondo grado. Degno di rilievo il dato relativo all’insuccesso scolastico nel primo anno della scuola superiore: 17 allievi su 100 non riescono a concludere positivamente (4 perché ritirati e 13 perché re-spinti), mentre il 35% degli studenti anche se promosso deve recupe-rare dei debiti13.

Nell’anno 2005/06, sono stati 93.747 (pari al 3,7%) gli studenti i-scritti alla scuola secondaria di secondo grado, “non valutati” perché hanno interrotto precocemente; interessante notare che il 40,8% di essi erano iscritti al primo anno14.

11 Ivi, p. 94. 12Cfr. AA.VV. Quaderno bianco sulla scuola, Ministero della pubblica istruzione, 2007 con-

sultabile nel sito del Ministero della Pubblica Istruzione (www.pubblica.istruzione.it) 13 MPI (2006), La dispersione scolastica. Indicatori di base per l’analisi del fenomeno Anno

scolastico 2004/05, op. cit., p. 6. 14 Ivi, p. 9.

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Capitolo I 24

Quali sono le difficoltà che questa moltitudine di studenti incontra nella scuola secondaria? Esistono delle lacune gravi che si portano dietro dalle scuole precedenti e che non consentono loro di affrontare la prima classe di scuola superiore?

La risposta ancora una volta va ricercata nelle indagini internazio-nali che mettono al confronto i nostri studenti con quelli di altri paesi. Le indagini OCSE –PISA 200615 presentano la situazione italiana ca-ratterizzata da un numero maggiore di studenti con livelli inferiori di competenze (specie per la matematica e la lettura) rispetto a molti pae-si industrializzati. Forti criticità ancora una volta si registrano nelle regioni italiane del Centro e soprattutto del Sud. I risultati di queste indagini ci pongono di fronte a una situazione alquanto preoccupante: nel Sud oltre uno studente su cinque in matematica e uno su sette in lettura non è capace di affrontare «con sufficiente grado di padronanza i compiti più elementari e di routine». Le considerazioni degli esperti che hanno condotto l’indagine sono decisamente critiche nei confronti di una scuola che non riesce a dare risposte ai bisogni educativi dei propri allievi.

La scuola sembra essere lontana da una sostanziale equità, non soltanto nel non riuscire a compensare in qualche modo queste differenze (legate al livello socio–economico–culturale degli studenti e al tipo di scuola frequentata), ma anche nel non riuscire a garantire a tutti i nostri studenti una sostanziale ugua-glianza di opportunità16. Il confronto con i risultati di altri paesi coinvolti nella ricerca O-

CSE PISA ci conferma un impoverimento culturale e l’evidenza che nel contesto italiano ad un innalzamento della quantità di tempo nella scuola non è corrisposto un aumento della qualità degli apprendimenti. Gli studenti italiani hanno infatti un significativo ritardo nei livelli di competenza, ovvero nella capacità di utilizzare conoscenze e abilità nei diversi contesti di vita. Nello studio sulla dispersione scolastica va quindi presa in esame la qualità dell’esperienza, ossia il rapporto con insegnanti e compagni, la percezione dell’importanza dell’apprendi-mento, l’interesse per le proposte scolastiche e le sollecitazioni del-

15 AA.Vv., (2008), Le competenze in scienze, Lettura e matematica degli studenti quindicen-

ni. Rapporto Nazionale Pisa 2006. Armando, Roma. 16 Ivi, p.167.

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Fuga dalla scuola: possibili spiegazioni di un fenomeno 25

l’extrascuola, in modo particolare internet e tv, che i giovano trovano più interessanti.

Degni di rilievo i dati del settimo e ottavo rapporto Eurispes – Te-lefono Azzurro; rispettivamente del 2006 e 2007, che dicono che una percentuale non sottovalutabile di adolescenti (intorno al 10%) riferi-sce di incontrare notevoli difficoltà nell’apprendimento e nelle rela-zioni con adulti e coetanei e manifestano forte insofferenza nei con-fronti di un’organizzazione scolastica che reputano ostile. Sono invece attratti da altri sistemi di informazione e comunicazione dei quali di-cono di non poter fare a meno: il 29,6% (tre bambini) su dieci dichiara di non poter rinunciare alla televisione ed il 20,2% alla Playstation; il 4,7% sostiene di trascorrere molte ore al giorno su Internet17. 1.3. La complessità del fenomeno dell’abbandono scolastico

Gli studi hanno cercato di individuare le principali cause che por-tano l’allievo a vivere l’esperienza scolastica negativa e frustrante. Particolarmente accurata la proposta di Morrow che ha analizzato le seguenti categorie di drop–out:

― coloro che la scuola allontana perché problematici (pushout); ― coloro che non trovano interesse per la scuola (disaffiliated); ― coloro che abbandonano il percorso senza raggiungere il tra-

guardo (educational mortalities); ― coloro che pur avendo le capacità per riuscire non rispondono

alle richieste della scuola (capable drop–out); ― coloro che interrompono il percorso per un periodo più o meno

lungo ma poi riprendono (stop–out).

Tali categorie, seppure utili nello studio del fenomeno, difficilmen-te riescono a rappresentare lo studente che fallisce: ogni storia di ab-bandono richiede un’analisi che tenga conto dei vissuti personali e familiari e delle differenti esperienze di vita18.

17 http://www.azzurro.it/Site/medias/PDFS/270.pdf. 18 MORROW G. (1986), “Stardandizing pratice in the analisi of school drop–outs” in NA-

TRIELLO G. (a cura di), School drop–outs. Patterns and Policies, Teachers College Press, New York.

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Capitolo I 26

In Italia a partire dagli anni ottanta è aumentato in maniera cre-scente l’interesse sul problema della dispersione scolastica la Besozzi ha proposto un’accurata analisi di ripetenze, abbandoni e ritardi al-l’interno del sistema scolastico. Secondo l’autrice le cause cambiano a seconda dell’età e dell’ordine di scuola frequentato: nella scuola dell’obbligo, per esempio, incidono in maniera rilevante i fattori socio culturali relativi alla famiglia di appartenenza, mentre nella scuola su-periore a provocare maggiormente l’insuccesso sono elementi riguar-danti la personalità del singolo19.

Gli studi più recenti hanno evidenziato che non è possibile analiz-zare un fenomeno variegato e complesso come quello della dispersio-ne attraverso modelli deterministici, si sollecita quindi la necessità di uno studio multifattoriale attraverso l’utilizzo di modelli sistemici.

Alla base del disimpegno e dell’abbandono, infatti, c’è un forte di-sagio che Mancini e Gabrielli definiscono

uno stato emotivo, non correlato significativamente a disturbi di tipo psicopa-tologico, linguistici o di ritardo cognitivo, che si manifesta attraverso un in-sieme di comportamenti disfunzionali (scarsa partecipazione, disattenzione, comportamenti prevalenti di rifiuto e di disturbo, cattivo rapporto con i com-pagni, ma anche assoluta carenza di spirito critico), che non permettono al soggetto di vivere adeguatamente le attività di classe e di apprendere con suc-cesso, utilizzando il massimo delle proprie capacità cognitive, affettive e rela-zionali20. La comprensione del fenomeno diventa particolarmente complessa

perché rivolta sia a coloro che abbandonano senza concludere il ciclo di studi (dropped–out) sia a quella moltitudine di studenti che conti-nuano a frequentare le lezioni ma senza trarne benefici importanti (tu-ned–out) perché non trovano in essa le giuste motivazioni.

L’abbandono non avviene quasi mai dall’oggi al domani, ma è di solito un percorso graduale che inizia con assenze più o meno fre-quenti fino ad arrivare all’allontanamento definitivo. Una statistica in-glese del 2000 rileva che la maggioranza dei giovani che a 11 anni si assentavano “piuttosto spesso” e iniziavano a “marinare” la scuola

19 BESOZZI E. (1990), Le cause dell’insuccesso e abbandono scolastico, in Scuola Democ-

ratica, 13 (1): 80–86. 20 MANCINI G., GABRIELLI G. (1998), TVD Test di valutazione del disagio e della dispersio-

ne scolastica, Erickson, Trento,

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(truancy), all’età di 17 erano usciti definitivamente dai circuiti scola-stici21.

Gli interventi di supporto e prevenzione più efficaci sono i più pre-coci ed indirizzati a coloro (in school drop–aut) che sin dalla scuola primaria iniziano a manifestare insofferenza e mancanza di interesse per le proposte didattiche22. Pur ribadendo la necessità di evitare generalizzazioni e riconoscendo l’importanza di un’analisi attenta di ogni caso specifico, in questa sede si è cercato di individuare i comportamenti scolastici predittivi dell’insuccesso:

― difficoltà nell’apprendimento. I giovani che non provano inte-resse per la scuola spesso hanno difficoltà nel portare a termine le consegne, essi cercano di evitare i compiti che percepiscono difficili. Tali difficoltà possono essere legate a problematiche di tipo cognitivo o possono avere origini psicologiche se nascono dalla paura di non riuscire che genera ansia da prestazione e de-ficit nell’attenzione;

― svogliatezza e distrazione frequente. Uno dei primi segnali del disagio a scuola è proprio l’apatia per le proposte e la frequente distrazione. L’allievo che sistematicamente si distrae, che chie-de continuamente di andare in bagno e/o di uscire prima per malesseri vari, di certo non sta vivendo un’esperienza scolastica appagante;

― problematiche emozionali – comportamentali. L’insofferenza è a parere di docenti ed esperti uno dei aspetti più comuni nei giovani che manifestano disagio a scuola. Iperattività, nervosi-smo, aggressività verso i compagni e i docenti, ansia, basso li-vello di tolleranza delle frustrazioni, mutismo sono i primi se-gnali che indicano una situazione di disagio;

― rifiuto delle norme. Gli studiosi utilizzano il termine disaffec-tion per indicare i giovani che trovano difficoltà nell’integrarsi nel sistema sociale, che faticano nel riconoscere le regole e nel partecipare attivamente alla vita del gruppo sociale di cui fanno

21 DFEE (2000), Yout Cohort Study: Education, Training and Employement of 16–18 Years

Olds in England and the Factors Associated with Non–Partecipation, Statistical bullettin 02/2000, HMSO, London.

22 WEIS L., FARRAR E., PETRIE H.G. (a cura di) (1989), Drop outs from school. Issues, Di-lemmas and Solutions, State University of New York Press.

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Capitolo I 28

parte. Nella scuola si manifestano le prime condotte irregolari, i primi rifiuti delle norme, le risposte aggressive e minacciose ai richiami, i danneggiamenti verso strutture e arredi.

LeCompt e Dworkin23 sintetizzano in quattro categorie i fattori re-

sponsabili dell’abbandono scolastico che di seguito saranno breve-mente analizzati:

1) relativi agli studenti (personalità, esperienze, stimoli familiari e

ambientali); 2) relativi al sistema scolastico (aspetti didattici e organizzativi,

docenti non qualificati); 3) relativi all’interazione fra i primi due fattori che si influenzano

reciprocamente; 4) macrosistemici, ossia relativi al sistema socio economico di una

società. 1.4. Caratteristiche dello studente che abbandona

Fino a poco tempo fa la responsabilità dell’insuccesso era attribuita esclusivamente allo studente che non si impegnava abbastanza e/o non aveva le necessarie competenze cognitive per assolvere alle richieste della scuola. Successivamente lo studio della dispersione scolastica ha assunto un carattere più analitico prendendo in esame agli aspetti af-fettive, cognitive e sociali che possono facilitare o ostacolare l’appren-dimento24.

Negli ultimi anni i ricercatori hanno individuato strategie e stru-menti per la diagnosi e l’intervento sulla dispersione scolastica proprio partendo da un’attenta analisi del disagio scolastico mediante l’uti-lizzo di test specifici25.

L’età, come si è visto dalle statistiche, rappresenta un fattore non trascurabile nello studio dell’insuccesso scolastico. Nel periodo di vita

23 LECOMPTE, M.D., DWORKIN, A.G. (1991), Giving up on School: Teacher Burnout and

Student Dropout, Corwin Press, Newbury Park, CA. 24 LIVERTA SEMPIO O., CONFALONIERI E., SCARATTI G. (1999), L’abbandono scolastico.

Aspetti culturali, cognitivi, affettivi, Raffaello Cortina, Milano. 25 MANCINI G., GABRIELLI G.(1998), TVD test di valutazione del disagio e della dispersione

scolastica, op. cit.

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Fuga dalla scuola: possibili spiegazioni di un fenomeno 29

che va dai 7 ai 15 anni si manifestano più frequentemente le difficoltà di attenzione e di apprendimento. Secondo il DSM–IV26 il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (DDAI) si presenta attraverso due ma-nifestazioni: inattenzione e impulsività/iperattività che si palesano con maggiore evidenza durante le lezioni27. Il disturbo si manifesta con forme di irrequietezza e insofferenza, atteggiamenti di prevaricazione e prepotenza, forti e ripetuti conflitti con coetanei e insegnanti. A que-ste condotte la scuola generalmente risponde con sanzioni repressive che possono favorire l’allontanamento del ragazzo. Tecniche di recu-pero sono state testate con bambini e adolescenti, i risultati sono stati particolarmente positivi nei soggetti molto giovani28. Marzocchi e Cornoldi propongono una scala per la rilevazione di comportamenti problematici nei bambini con deficit di attenzione e iperatività che può rappresentare uno strumento molto utile per i docenti29.

Va precisato che nei suddetti contributi quando si suggeriscono strategie e strumenti per la diagnosi precoce non si chiede all’inse-gnante di fare valutazioni mediche, lo si vuole mettere in condizioni di cogliere i primi segnali del disturbo che saranno oggetto di approfon-dimenti da parte dello specialista. Evitare che problemi legati al fun-zionamento intellettivo, a patologie cognitive vengano confuse con poca volontà e scarso impegno, rappresenta il primo passo per preve-nire l’esclusione e l’abbandono scolastico.

Gli studi tuttavia dimostrano che nella maggioranza dei casi le dif-ficoltà che il giovane incontra nel rapporto con la scuola non coinci-dono con patologie cognitive ma hanno origini psico–emotive dovute

26 American Psychiatric Association, (1994), DSM–IV Manuale diagnostico e statistico dei

disturbi mentali, Masson, Milano. 27 Da uno studio recente condotto su un campione di 703 allievi è emerso che il disturbo da

deficit di attenzione/iperatività è un fattore di rischio nella messa in atto di condotte disfunzionali in classe (CAROVITA S., FABIO R.A. (2006), Il DDAI come fattore di rischio dei comportamenti prevaricanti in classe: uno studio pilota, in Difficoltà di apprendimento, 11 (3): 54–63). Anche una ricerca americana ha richiamato l’attenzione sulla diffusione del problema: su un campione 104 bambini frequentanti la scuola, il 5,7% di essi aveva una diagnosi di disturbo da deficit di at-tenzione/iperatività (KEENAN K., SCHAW D.S. E WALSH B. (1997), DSM–III– R disorders in pre-school children from low–income families in Journal of American Academy of Child and Adole-scent Psychiatry, 36 (5): 620–627).

28 PURDIE N., HATTIE J. E CARROL A. (2002), The review of the research on intervention for attentino deficit hyperactivity disorder: What works best? in Review of Educational Research, 72 (1): 61–99.

29 MARZOCCHI G.M. E CORNOLDI C. (2002), Una scala di facile uso per la rilevazione dei comportamenti problematici dei bambini con deficit dia attenzione e iperattività, in Psicologia clinica dello sviluppo, 4 (1): 43–63.

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Capitolo I 30

a diffidenza verso l’adulto, scarso investimento, frustrazione, senso di impotenza30.

Il giovane nel rapportarsi con la scuola è infatti influenzato dalla personale storia evolutiva che lo porta a mettere in atto diverse moda-lità di funzionamento mentale. Per esempio i ragazzi che hanno spe-rimentato vissuti di frustrazione primaria presentano un’immaturità globale in adolescenza, sono incapaci di mantenere un investimento affettivo–cognitivo costante. La scuola rappresenta per questa tipolo-gia di studenti un luogo di ulteriore frustrazione che acuisce il disagio precedente31.

Secondo Kaplan e Pec l’insuccesso scolastico incide negativamen-te sull’autostima favorendo la svalutazione della scuola e il desiderio di fuga32.

L’allievo che percepisce la prestazione scolastica come elemento che può indebolire la propria autostima, mette in atto meccanismi di difesa che lo portano prima a sminuire il valore della scuola con as-senze ripetute, azioni di disturbo, disimpegno, atteggiamenti che favo-riscono a lungo andare una graduale fuoriuscita dal sistema (volonta-ria o forzata mediante espulsione)33.

Lo studente di solito decide di abbandonare quando la situazione diventa psicologicamente insostenibile ossia quando non riesce più a stare al passo con le richieste della scuola che egli percepisce sempre più insuperabili34.

Il fallimento scolastico allora assume un valore molto più grande del non raggiungimento del traguardo formativo, rappresenta una sconfitta personale, una “mortificazione del sé”. Scrive a questo pro-posito Lancini:

30BLANDINO G., GRANIERI B. (2002), Le risorse emotive nella scuola. Gestione e formazione

nella scuola dell’autonomia, Raffaello Cortina, Milano. 31 PELANDO E. (1999), Il dolore psichico: una chiave di lettura dell’abbandono scolastico in

LIVERTA SEMPIO O., CONFALONIERI E., SCARATTI G. (a cura di), L’abbandono scolastico. As-petti culturali, cognitivi, affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano.

32 KAPLAN D.S., PEC B.M., KAPLAN H.B. (1997), “Decomposing the accademic failure – drop–aut, realtinship: a longitudinal analisis” in The Journal of Educational Research, 90 (6): 331–343.

33 CORNOLDI C. (1999), Le difficoltà di apprendimento a scuola, il Mulino, Bologna. 34 COMOGLIO M. (1999), Un approccio Cognitivista al fenomeno del drop–aut, in SEMPIO

O.L., CONFALONIERI E., SCARATTI G. (a cura di), L’abbandono scolastico. Aspetti culturali, co-gnitivi, affettivi, op. cit.

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Fuga dalla scuola: possibili spiegazioni di un fenomeno 31

La bocciatura è un evento che spesso acuisce il dolore mentale dell’adole-scente in crisi, rappresenta comunque un fallimento che può provocare una fe-rita narcisistica e che può contribuire al processo di mortificazione del Sé. […] Il fallimento scolastico e la bocciatura da parte di adulti significativi di ri-ferimento sono eventi che rappresentano con evidenza che, almeno in questo compito della crescita, si è ancora indietro, che ancora si vestono prevalente-mente i panni del figlio dipendente, che per il momento non sono stati fatti passi significativi o comunque non sufficientemente in avanti. Non si hanno, a detta degli adulti, i requisiti per accedere ad una classe successiva, ad una classe di adolescenti, appunto, più evoluti35.

In un contesto non problematico le difficoltà fanno parte dell’appren-dimento, anzi il superamento di esse fungono da stimolo per un impe-gno sempre maggiore finalizzato al raggiungimento di obiettivi cono-scitivi e sociali importanti. Nello studio del disagio scolastico è importante soffermarsi sul rap-porto dello studente con la difficoltà: se non ci sono problemi di natu-ra psicologico essa rappresenta uno stimolo per l’apprendimento, in caso invece di disturbi particolari (per esempio nei soggetti ansiosi) viene percepita come un pericolo da sfuggire. In questo senso è sempre attuale la teoria della dissonanza cognitiva di Festinger36 che parte proprio dal presupposto che piccoli conflitti co-gnitivi portano l’individuo a individuare percorsi di soluzione e li mo-tivano a ricercare adeguate risposte alle diverse situazioni problemati-che viste come occasioni di miglioramento. La difficoltà funge da stimolo per l’apprendimento se non è vissuta dallo studente come un ostacolo insormontabile, in questo caso anzi-ché promuovere l’impegno e la perseveranza favorisce il rifiuto e il di-stacco psicologico ed emotivo dal compito.

1.5. Le responsabilità del sistema scolastico In un passato non troppo lontano la scuola era di élite, teoricamente

aperta a tutti ma di fatto solo per i più dotati. La selezione non riguar-dava solo le capacità di apprendimento ma anche fattori quali il censo e la classe sociale di appartenenza. Don Milani e i ragazzi di Barbiana accusavano la scuola di essere classista e disinteressata a coloro che si

35 LANCINI M., (2003), Ascolto a scuola. La consultazione con l’adolescente, Franco Angeli, Milano, p. 27.

36 FESTINGER L. (1997), Teoria della dissonanza cognitiva, Franco Angeli, Milano.

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Capitolo I 32

perdono durante il percorso: «La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde… A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi che li perdete e non tornate a cercarli»37.

Le difficoltà nel coinvolgimento dei giovani verso il sapere e il gu-sto della scoperta nascono da una profonda crisi della nostra società, una tarda modernità definita sensistica e che necessita di una rinascita culturale e spirituale su basi “intellettuali più nobili ed elevate38”.

La scuola negli ultimi anni ha vissuto molti cambiamenti nella or-ganizzazione che hanno introdotto modificazioni importanti nella strutturazione delle attività didattiche. Le riforme a partire da quella sull’Autonomia e le numerose indicazioni ministeriali più recenti han-no cercato di trovare risposte idonee ai bisogni di un allievo e di una società profondamente diversa rispetto ad un passato relativamente re-cente. La necessità di riorganizzare i percorsi didattici e di formare i docenti su metodologie innovative e coinvolgenti è stata da anni og-getto di riflessioni pedagogiche e didattiche39.

Negli ultimi vent’anni c’è stato un innalzamento della scolarità che ha favorito l’accesso all’istruzione alla quasi totalità degli aventi diritto.

In questi ultimi anni si è registrato un aumento notevole di iscritti e frequentanti ma molti studenti riferiscono esperienze di disagio, noia, indifferenza per le proposte scolastiche.

Alcuni studi hanno dimostrato quanto sia difficile coinvolgere i giovani nell’apprendimento specie se provenienti da contesti familiari e sociali problematici40.

Le difficoltà della scuola nel rapporto con le nuove generazioni di studenti nascono dalla incapacità di aggiornare metodologie didattiche e proposte educative. Carroll e Tober in un saggio divenuto ormai fa-moso parlano di bambini Indaco: anticonformisti rispetto ad ogni si-stema, precoci, intuitivi, creativi, innovatori, sensitivi. Faticano ad ac-cettare metodi educativi tradizionali e rifiutano in molti casi l’autorità di genitori e insegnanti. A volte vengono curati con psicofarmaci per frenare la loro esuberante energia, giudicata eccessiva. Sono di fatto

37 SCUOLA DI BARBIANA (1996), Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina,

Firenze. 38 SOROKIN P. (2000), La crisi del nostro tempo, Arianna, Casalecchio. 39 Per una rassegna aggiornata delle problematiche che investono la scuola dei nostri giorni

vedasi per esempio: Cerini G., Spinosi M. (2008), Voci della scuola, Tecnodid, Napoli. 40 WILKINSON C. (1995), The Drop Out Society: Young People on the Margin, Youth Work

Press, Leincester.

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Fuga dalla scuola: possibili spiegazioni di un fenomeno 33

bambini diversi che chiedono interventi educativi nuovi sia alla fami-glia che alla scuola41.

Dal canto loro gli studenti documentano, servendosi dei videotele-fonini, episodi di divertimento misto alla noia, di esclusione, violenza, sopraffazione all’interno delle pareti scolastiche. Tali video si trovano nei siti da loro stessi accuratamente gestiti e ormai diventati famosi perché visitatissimi anche dagli adulti42. Questa testimonianza telema-tica ci dà l’idea di una scuola che fa fatica a svolgere il proprio ruolo educativo e documenta situazioni di grande malessere: allievi che ag-grediscono e subiscono violenza, che fanno uso di alcol e droga da-vanti ai docenti e compagni, insegnanti che non riescono a tenere la disciplina e vengono sottomessi da studenti sempre più spavaldi e pre-potenti. In un ambiente del genere, che in molti casi diviene pericolo-so e frustrante, molti ragazzi perdono l’interesse per l’apprendimento.

L’abbandono scolastico è una resa, una sconfitta. Da parte del ragazzo che non ce la fa a sopportare un ambiente che sente ostile, difficile oppure inutile. Da parte della scuola che non sa proporsi in modo accogliente e realmente e-ducativo. Da parte di tutti noi che non siamo in grado di trasmettere al bambi-no e all’adolescente la capacità di sforzarsi, la consapevolezza che per rag-giungere un traguardo occorre impegno, la progettualità di vita che faccia inte-riorizzare come lo studio sia importante per il futuro di ognuno43. Le istituzioni scolastiche, attraverso processi di valutazione e auto-

valutazione, si interrogano sulle proprie responsabilità e cercano con progetti, interventi specifici, supporto di specialisti di prevenire e con-trastare il disagio scolastico e la conseguente dispersione.

Quali sono dunque i motivi che portano il giovane a non investire nella scuola? Perché si sente inadeguato, incompreso, frustrato? Per-ché dichiara di non capire e/o non condividere le richieste dei docenti?

Uno studio condotto nel contesto canadese, attraverso interviste a 168 studenti che avevano lasciato la scuola precocemente, ha rilevato che i giovani hanno indicato le seguenti fra le motivazioni più ricor-renti del loro abbandono scolastico:

― rapporto difficile con i docenti,

41 CARROLL L., TOBER J. (2003), Il bambino Indaco, Macro edizioni, Firenze. 42 Vedasi per esempio http://it.youtube.com oppure http://scuolazoo.blogspot.com. 43ANTONELLI COSTAGGINI G., CIARAVINO A., MILLEFIORINI P., POLLO M. (a cura di)

(2006), Chi abbandona chi? La dispersione scolastica tra cause e soluzioni, Il Delfino, Roma.

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Capitolo I 34

― poco interesse per gli oggetti di studio nei curricoli proposti, ― difficoltà nel seguire le proposte didattiche, ― voglia di lavorare44.

Le dinamiche interpersonali (cognitive, emotive, affettive) fra al-lievo e docente sono alla base del successo scolastico, l’appren-dimento dei contenuti didattici avviene se si stabilisce fra allievo e do-cente una comunicazione efficace che sia il più possibile serena, chia-ra, coinvolgente.

Il problema più grosso sembra riguardare la comunicazione fra al-lievi e docenti: i primi si lamentano perché trovavano le lezioni poco interessanti e coinvolgenti; gli insegnati perché gli studenti sono in molti casi scorretti, strafottenti e disinteressati a qualsiasi proposta.

Anche la ricerca di un lavoro e la possibilità di soddisfare dei biso-gni materiali e di indipendenza è una ragione molto ricorrente fra le motivazioni addotte dai ragazzi alla richiesta dei ricercatori sui motivi del precoce abbandono scolastico45.

Per molti studenti che vivono con disagio l’esperienza scolastica è proprio la relazione con l’insegnante che risulta essere molto proble-matica46.

Va anche precisato che di solito i ragazzi non si lamentano dei do-centi, si assumono loro la responsabilità dell’insuccesso, ammettendo però di annoiarsi durante le lezioni.

Nel complesso, i ragazzi e le ragazze sostengono che gli insegnanti non sono poi così male, non sono delle persone antipatiche e che, anzi, li trovano simpa-tici e cordiali quando si fermano a scambiare due chiacchiere con loro nei cor-ridoi o nei cambi dell’ora. L’unico momento in cui li trovano un po’ noiosi è durante l’ora di lezione, quando insegnano la loro materia. Ma subito dopo aggiungono: «Comunque io non li disturbo… faccio altro»47. Le scuole secondarie di primo e secondo grado non sempre sem-

brano essere pensate per i giovani di oggi che hanno bisogni molto di-versi dagli studenti di un passato anche recente, Pellerey le definisce

44 TANNER J., HARTNAGEL T., KRAHN H. (1995), Fractured transitions from school to

works: revisting the dropout problem, University of Toronto Press, Toronto. 45 TANNER J., HARTNAGEL T., KRAHN H. (1995), Fractured transitions from school to

works: revisting the dropout problem, op. cit. 46 RONDANINI L., LONGHI M. (2003), Quello sguardo sottile, Erickson, Trento. 47 LANCINI M. (2003), Ascolto a scuola. La consultazione con l’adolescente, op. cit, p. 23.

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Fuga dalla scuola: possibili spiegazioni di un fenomeno 35

così: «programmi troppo rigidi ed esigenti che mirano esclusivamente alla riproduzione meccanica dei contenuti ed un apprendimento poco significativo e poco orientato all’operatività48».

1.6. Le problematiche sociali che favoriscono il drop–out

Sorokin nel 1965 riconosceva al sistema scolastico un ruolo di se-lezione sociale, di indirizzo verso l’assegnazione di ruoli di valore e potere nella società: «[…] è certo che la scuola mentre rimane un’isti-tuzione di “istruzione e educazione” è nello stesso tempo parte di un meccanismo sociale che prova la capacità degli individui, che li setac-cia, li selezione e decide della loro posizione sociale49».

La frequenza della scuola rappresentava quindi l’occasione di fare parte di una classe sociale medio alta. Le scelte non sono però incon-dizionate poiché l’individuo è fortemente influenzato dal contesto fa-miliare d’origine. Agli inizi degli anni settanta Bourdieu affermava che ogni ragazzo eredita dalla propri famiglia d’origine e dal contesto sociale di appartenenza gusti, stili di vita, abitudini, modi essere e di pensare. Anche le scelte educative e formative, a parere dell’autore, sarebbero notevolmente influenzare da questo habitus iniziale che ha un potere incisivo sulle decisioni future50.

Alcune ricerche hanno dimostrato che gli studenti appartenenti a famiglie con un basso livello di scolarità partono svantaggiati perché mancano di competenze culturali di base e di adeguate sollecitazioni; in modo particolare la percezioni dei genitori sul ruolo della scuola in-fluenza l’atteggiamento dell’allievo verso le proposte didattiche51.

I ragazzi provenienti da famiglie multiproblematiche sono più a ri-schio di insuccesso scolastico e di abbandono precoce perché poco stimolati e incoraggiati dalle figure genitoriali52.

48 PELLEREY M. (1992), Riflessioni operative sul problema del drop – out, Annali della Pub-

blica Istruzione, 38 (1): 12–22. 49 SOROKIN P. (1965), La mobilità sociale, Edizioni di Comunità, Milano, p. 186. 50 Bourdieu P., Passeron J.C. (1974), La riproduzione. Elementi per una teoria del sistema

scolastico, Guaraldi, Rimini. 51 CAVALLI A., FACCHINI C. (a cura di) (2001), Scelte cruciali. Indagine IARD su giovani e

famiglie di fronte alle scelte alla fine della scuola secondaria, il Mulino, Bologna. 52 MERTON B., PARROT A. (1999), Only connect: successful practice in educational work

whit disaffected young adults, National Institute of Adult and Continuing Education, Leincester.

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Capitolo I 36

Le sollecitazioni famigliari d’origine hanno un grande peso nell’in-vestimento del giovane nelle proposte della scuola, gli studi hanno dimostrato che i giovani appartenenti a famiglie con un livello cultura-le alto hanno possibilità notevolmente maggiori di completare il ciclo di studi superiore. Una ricerca ha infatti provato che il 91% dei sedi-cenni figli di professionisti con titolo di studio elevato permangono più a lungo e con successo nel sistema scolastico, percentuale che scende al 61% per i figli dei non professionisti53.

Anche in Italia questa tendenza è stata confermata dagli studiosi: i risultati del quinto rapporto IARD del 2000 ci dicono infatti che solo il 2,4% dei giovani appartenenti a famiglie con livello culturale alto non hanno proseguito gli studi dopo la scuola media, percentuale che sale al 44,6% nel caso dei figli di famiglie con basso livello culturale54.

Il ceto ed il benessere materiale incidono ancora molto nel succes-so scolastico e la motivazione: i giovani che appartengono a famiglie senza reddito fisso sono più spesso portati a lasciare la scuola alla ri-cerca di un lavoro anche per incrementare il reddito familiare55.

Aitkenhead, in uno studio condotto negli Stati Uniti, ha rilevato che un bambino su tre appartenente a famiglie con un reddito più bas-so della media è a rischio di esclusione dal sistema scolastico ed edu-cativo prima dei 16 anni56.

Il bisogno di soddisfare le esigenze primarie distoglie dall’impegno verso lo studio, le ricerche hanno dimostrato che i giovani appartenen-ti a contesti socio familiari deprivati manifestano maggiore disponibi-lità verso lavori che non richiedono un titolo di studio specifico e che danno una retribuzione immediata sebbene poco elevata. Questi ra-gazzi non vedono i benefici a lungo termine della formazione scolasti-ca perché impegnati nel rispondere all’esigenza più urgente di avere un piccolo reddito per integrare quello familiare57.

Diverse ricerche hanno provato quanto la motivazione per le pro-poste della scuola sia fortemente influenzata dalle sollecitazioni pro-

53 SEU (1999), Bridging the gap: new opportunities for 16–18 year old not in Education,

Employment or Training: report by the Social Exclusion Unit, London, HMSO. 54 Vedasi Quinto rapporto IARD sulla condizione giovanile in Italia, 2000, p.20. 55 MERTON B., (1998), Finding the missing: action–research into disaffection and the non–

partecipation of young adults in education, training and employment in three areas of England and Wales, Youth Work Press, Leicester.

56 AITKENHEAD D. (1999), Small expectations, in Search, Summer, 32: 12–15. 57 WILLIAMSON H. (1998), Status zero youth and the ‘underclass’: some consideration, in

MACDONALD S. (1998), Youth, the Underclass and Social Exclusion, Routledge, London.

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Fuga dalla scuola: possibili spiegazioni di un fenomeno 37

venienti dall’ambiente sociale e familiare al quale l’individuo appar-tiene58.

A questo proposito uno studio di Davies ha dimostrato che un’altissima percentuale di giovani figli di entrambi i genitori disoccupati manifesta forti disagi sociali e presto abbandonano la scuola o per loro scelta o perché l’istituzione (direttamente o indirettamente) li respinge59.

È confermato da numerosi studi che i ragazzi provenienti da fami-glie problematiche, figli di genitori assenti, alcolisti, culturalmente svantaggiati hanno un minore controllo e scarse sollecitazioni nei con-fronti della scuola, inoltre possono godere di pochissimo aiuto e so-stegno nello studio a casa60.

Il processo che porta all’abbandono avviene in maniera graduale e in molti casi coincide con l’ingresso nella piccola criminalità; molti giovani che iniziano il percorsi verso l’illegalità frequentano la scuola con discontinuità, sono figli di famiglie che vivono in quartieri mal-famati, hanno abitazioni inadeguate, sono seguiti dai servizi sociali61.

Il disagio socio familiare può rappresentare un fattore importanti nella dispersione scolastica perché in famiglia non viene esercitato un controllo adeguato62. Le ricerche condotte in diversi paesi ci mostrano che un’alta percentuale di giovani che abbandona precocemente la scuola inizia presto a commettere reati, a bere alcolici, a fare uso di cannabis più o meno regolarmente e di altre droghe occasionalmente63.

I giovani che lasciano la scuola per intraprendere percorsi devianti non sono però sempre appartenenti a famiglie che si disinteressano dei figli: al contrario quando è stato chiesto ai giovani drop–out che at-teggiamento assumevano i genitori nei confronti della scuola, nella maggioranza dei casi hanno risposto che frequentemente venivano ri-

58 Vedasi sull’argomento: BRODIE I. (2001), Children’s homes and school exclusion: redefi-ning the problem, London: Jessica Kingsley e BENVENUTO G., RESCALLI G., VISALBERGHI A. (a cura di) (2000), Indagine sulla dispersione scolastica, La Nuova Italia, Firenze.

59DAVIES N. (2000), Children for whom school has no point, in The Guardian, 10 July. On-line: hpp://www.guardianunlimited.co.uk/archive/article/0,4273,4038774,00.html

60 Per esempio i figli di genitori detenuti sono particolarmente a rischio di esclusione scola-stica, in uno studio recente su un campione di 56 giovani autori di reato che hanno abbandonato la scuola molto presto, 36 di essi ha dichiarato di vivere con un genitore o con il compagno del genitore che è stato arrestato (Hodgson P., Webb D., (2005), Young People, Crime and School Exclusion: a case of some surprise, in The Howard Journal, 44(1): 12–28).

61 PARSON C. (1999), Education, exclusion and citizenship, Routledge, London. 62 HARRIS, N., HEDEN, K., BLAIR, A. (2000), Challenges to school exclusion, Routledge,

London. 63 HODGSON P., WEBB D. (2005), Young People, Crime and School Exclusion: a case of

some surprise, op. cit, p. 17.

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Capitolo I 38

chiamati e rimproverati per il poco impegno ed esortati alla frequenza scolastica regolare64. Non risulta dunque che i genitori sottovalutassero l’importanza della scuola e/o fossero indifferenti se i ragazzi si assenta-no dalle lezioni ma i loro richiami non avevano un’incidenza sufficien-temente rilevante su giovani che erano “attratti” dalle facili occasioni criminose offerte dai contesti sociali in cui vivevano.

Gli studi hanno dimostrato che nella prevenzione dell’abbandono sco-lastico non è tanto importante se i genitori rimproverano i figli perché non si impegnano a scuola quanto la serenità del clima familiare. Se un ragaz-zo vive in clima sereno, ricco di sollecitazioni da parte di genitori attenti e premurosi ha maggiori possibilità di raggiungere mete scolastiche alte ri-spetto a chi è inserito in un contesto fortemente conflittuale e cultural-mente povero. Uno studio ha dimostrato infatti che i preadolescenti ap-partenenti a famiglie caratterizzate da rapporti conflittuali dove i genitori comunicano poco con i figli e sono piuttosto indifferenti alle aspirazioni e problematiche degli stessi hanno maggiore possibilità di entrare nei cir-cuiti dell’illegalità e del disimpegno scolastico65.

La famiglia ha inevitabilmente un ruolo importante nelle scelte scolastiche degli adolescenti soprattutto se riesce a stringere rapporti di collaborazione costante con il corpo docente. Alcuni psicologi par-lano di passaggio dalla famiglia tradizionale alla famiglia “affettiva”. «La famiglia degli affetti ha messo fine all’alleanza incondizionata con l’istituzione scolastica e con i ruoli adulti che operano quotidia-namente al suo interno […]. I genitori, in alcuni casi, assumono volen-tieri e ritengono consono il vestire i panni del sindacalista scolastico dei figli»66. L’alleanza scuola–famiglia appare elemento imprescindi-bile per la riduzione dei tassi di dispersione e per la promozione del benessere scolastico dei giovani.

1.7. La teoria del disimpegno scolastico come comunicazione di disagio

L’adolescente che vive ai margini, non riuscendo a comprendere le

richieste e l’importanza dell’impegno scolastico, in alcuni casi si op-

64 Ibidem, p. 18. 65VIENO A., SANTINELLO M., PASTORE M. (2008), Lo sviluppo del comportamento antiso-

ciale durante la fase preadolescenziale, in Giornale Italiano di Psicologia, 1:175–192. 66 LANCINI M. (2003), Ascolto a scuola. La consultazione con l’adolescente, op. cit., p.32

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Fuga dalla scuola: possibili spiegazioni di un fenomeno 39

pone alle norme, diviene elemento di disturbo, tenta di attirare l’atten-zione degli altri mettendo in atto comportamenti provocatori.

Le condotte di disturbo potrebbero essere modalità estreme per ri-chiamare l’attenzione degli adulti e comunicare loro il proprio disagio perché si percepiscono esclusi e diversi e si sentono oppressi in un ambiente che considerano ostile. La mancanza di una socializzazione adeguata nella primissima infanzia e la difficoltà a riconoscere ed os-servare le norme genera in molti ragazzi il rifiuto per la scuola e le sue richieste.

La scuola rappresenta per i ragazzi privi di una struttura familiare attenta, o con struttura familiare disfunzionale o patologica (genitori tossicodipendenti, alcolisti, malati di mente, detenuti) l’unica alternativa per introiettare modelli di riferimento che permettano un corretto processo di socializzazione e un processo educativo nella norma67. La classe, proprio perché è regolata da precise disposizioni, appare

per il ragazzo problematico un luogo ostile per i continui richiami all’osservanza delle norme.

L’incapacità di cogliere il senso della norma provoca atteggiamenti di opposizione che vanno dall’isolarsi e rifiutare le proposte didattiche fino al danneggiamento degli arredi, furti, atti vandalici. Sono forme di manifestare un disagio nello stare in un ambiente considerato co-strittivo e respingente che li fa sentire diversi.

Significativa la testimonianza dei giudici che si sentono dire: Signor giudice meglio a Nisida (Carcere minorile di Napoli) che a scuola! Questi ragazzi preferiscono il carcere dove si sentono “uguali”, alla scuola, dove soffrano l’etichettamento di “diversi” questa tragica risposta, perciò, bol-la la scuola dell’obbligo come incapace a gestire il rapporto con il ragazzo dif-ficile, è capace solo di espellerlo e tagliarlo fuori dal corpo sociale68. Nella ricerca delle spiegazioni dei comportamenti umani ed in mo-

do particolare di quelli degli adolescenti negli ultimi anni ha avuto particolare interesse l’approccio comunicativo e sistemico che si fonda su un paradigma interpretativo multifattoriale. Secondo la psicologia sociale, il comportamento umano, specie del giovane, va interpretato

67 CAVALLO M. (2002), Ragazzi Senza. Disagio devianza e delinquenza, Mondatori, Milano,

p. 51. 68 Ivi, p. 54.

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Capitolo I 40

attraverso lo studio delle interazioni e dei processi comunicativi fra soggetto che produce una condotta irregolare e i soggetti che produco-no controllo sociale69.

Partendo da questi principi potremmo affermare che anche l’ab-bandono scolastico e/o la condotta oppositiva nella scuola possono es-sere studiati attraverso l’approccio comunicativo che meglio si presta all’analisi accurata delle dinamiche e delle relazioni. L’agire “antisco-lastico” che favorisce l’esclusione del soggetto dalla scuola può senz’altro essere interpretato come la volontà (consapevole o no) del-l’adolescente di esprimere un messaggio al mondo adulto, alla fami-glia, all’istituzione scuola, alla società. Il ragazzo è consapevole che la condotta irregolare nella scuola ha ripercussioni in una pluralità di si-stemi di controllo sociale che vanno dall’istituzione scolastica stessa, alla famiglia, al tribunale per i minorenni, al servizio sociale. L’azione che il ragazzo mette in atto in classe (dal disimpegno, alla violenza, ai fenomeni di vandalismo o di bullismo) ha un valore comunicativo ver-so la comunità in genere. Sono altre agenzie preposte per il controllo sociale (servizi sociali, tribunale per i minorenni) che intervengono in risposta alle dinamiche trasgressive che si presentano nella scuola.

La teoria della devianza come comunicazione di un disagio, precisa che l’azione non coincide con il comportamento manifesto e si rivolge ad una lettura più analitica dell’azione comunicativa che va oltre la so-la espressione del fatto per prendere in esame il soggetto che agisce, che elabora socialmente e cognitivamente i vari tipi di condiziona-menti70.

Il ragazzo che rompe il banco, che imbratta i muri della scuola o che danneggia le porte dei bagni non lo fa per il solo scopo di creare un danno all’istituzione ma per esprimere un messaggio che susciti una risposta da parte del sistema di controllo sociale (scuola, famiglia, servizi sociali, ecc.).

Nell’agire deviante dell’adolescente, a parere di De Leo, la com-ponente espressiva prevale su quella strumentale:

Mentre infatti per quanto riguarda la criminalità in senso generale molto spes-so i comportamenti messi in atto sono di tipo strumentale (si ruba per accumu-lare denaro, si uccide per eliminare un avversario ecc.), anche se gli aspetti espressivi, comunicativi sono comunque sempre rilevanti e pertinenti, per

69 Cfr. DE LEO G. (1998), La devianza minorile, Carocci, Roma. 70 DE LEO G. (1998), La devianza minorile, op. cit.

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quanto riguarda l’età evolutiva, invece, sembra prevalere la dimensione e-spressiva, comunicativa. In altre parole ciò equivale a dire che i ragazzi vivo-no di meno la funzione strumentale del loro comportamento, mentre esprimo-no più bisogni legati all’identità, alle relazioni, ecc.71. Il ragazzo che va a scuola ma che non segue, che disturba, non e-

segue le consegne e mette in atto comportamenti aggressivi, non lo fa perché vuole trarre benefici dalle azioni stesse ma per comunicare il disagio personale, familiare o sociale che sta vivendo.

1.8. Dall’abbandono scolastico alla devianza minorile

La cura e la valorizzazione dell’ambiente nei contesti educativi è uno degli elementi pedagogici più importanti nella promozione della persona in un’ottica di valorizzazione del singolo che impara osser-vando, confrontandosi con l’altro, sperimentando situazioni nuove72. In una ricerca di comprensione del significato delle azioni è importan-te stabilire se, e in che misura, l’abbandono scolastico può favorire l’inizio per percorso di devianza. Negli ultimi anni gli studi hanno cercato di comprendere se l’esclusione scolastica favorisca l’ingresso nei circuiti dell’illegalità.

In altri termini: l’abbandono scolastico, poiché genera disimpegno, offre molto tempo libero, consente di entrare in contatto con altri gio-vani disimpegnati e/o devianti può rappresentare una occasione in più per l’ingresso nei circuiti dell’illegalità?

Searle è del parere che coloro che non vanno a scuola sono più e-sposti all’azione illecita (specie furti), al contatto con gang criminali, all’utilizzo di droga perché trascorrono il tempo annoiati e vanno spesso in giro per i centri commerciali e i negozi del quartiere73.

La letteratura internazionale su questa tematica richiama spesso la pubblicazione di Graham e Bowilng del 1995 che propone la tesi che l’esclusione dalla scuola favorisce nei giovani la messa in atto di comportamenti devianti e azioni criminali. Le loro ricerche, condotte nel contesto londinese, hanno mostrato infatti che sia i tre quarti dei

71 Ivi, p. 145. 72 POJAGHI B., NICOLINI P., (2003), Contributi di psicologia sociale in contesti socio–

educativi, Franco Angeli, Milano. 73 SEARLE C. (1994), The culture of exclusion, in BOURNE J., BRIDGES L., SEARLE C., Out-

cast england: how schools exclude black children, Institute of Race Relations, London.

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maschi e la metà delle femmine escluse temporaneamente dalla scuola sia tutti i maschi e più della metà delle femmine che avevano definiti-vamente abbandonato gli studi avevano commesso reati74. L’esclusio-ne dalla scuola sembrerebbe quindi favorire l’ingresso nei circuiti del-l’illegalità. Statistiche inglesi confermano questi dati perché oltre il 75% dei giovani fra i 16 e 17 anni che arrivano davanti alla giustizia minorile non frequenta più la scuola né ha un impiego stabile75.

La teoria che il disimpegno favorisca l’ingresso nella devianza è stata messa in discussione da molti studiosi che hanno replicato che non si può semplificare un problema che richiede di essere studiato nella complessità76.

Interessanti in questo senso i risultati di uno studio condotto in America nel 2005 su un campione di giovani minorenni autori di rea-to: il 90% di essi hanno ammesso di avere messo in atto la condotta il-lecita (their offending) ma prima della loro esclusione dalla scuola. L’89% dei giovani ha inoltre dichiarato che non c’è maggiore probabi-lità di compiere azioni illegali se si è esclusi dalla scuola77. L’allon-tanamento dalla scuola non incentiverebbe dunque l’ingresso nella criminalità poiché il giovane comincia prima ancora di lasciare gli studi. Secondo queste tesi l’abbandono scolastico non può quindi esse-re considerato un “comportamento predittivo” della devianza minorile proprio perché si inizia a deviare durante la frequenza della scuola. Su questa linea sono anche i risultati di una ricerca di Holdaway che ha provato che il 61% dei minori hanno avuto i primi contatti con la giu-stizia minorile erano ancora nella scuola78.

È importante però chiedersi che grado di impegno avessero nella scuola e verificare se frequentavano regolarmente e con profitto le le-zioni.

74 GRAHAM J., BOWLING B. (1995) Young people and crime (Home Office Research Study

N. 145), London HMSO. 75 SEU (1999), Bridging the gap: new opportunities for 16–18 year old not in Education,

Employment or Training: report by the Social Exclusion Unit, HMSO, London. 76 Cfr. BERRIDGE D., DRODIE I., PITTS J., PORTEOUS D., TARLING R. (2001), The independ-

ent effects of permanent exclusion from school on the offending careers of young people (RDS Occasional Paper N.71), Home Office, London.

77 HODGSON P., WEBB D., (2005), Young People, Crime and School Exclusion: a case of some surprise, in The Howard Journal, 44 (1): 12–28.

78 HOLDAWAY, S., DAVIDSON, N., DIGNAN, J., HAMMERSLEY R. (2001) New strategies to adress youth offending: the national evaluation of the pilot youth offending teams (RDS Occa-sional Paper N.69), Home Office, London.

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Si potrebbe ipotizzare che fossero il disimpegno, la noia, l’insod-disfazione a favorire l’ingresso nella devianza più che l’abbandono della scuola.

Il problema più delicato è stabilire come mai la scuola non sia riu-scita a cogliere il disagio degli studenti e ad offrire loro risposte edu-cative capaci di evitare il disinteresse prima e l’abbandono poi.

Gli studi di psicologia dell’età evolutiva concordano nel ritenere che in adolescenza molti giovani commettono dei reati in maniera oc-casionale, l’infrazione non continuativa della norma rappresenta una modalità per mettersi alla prova e sperimentare le proprie capacità sfi-dando le istituzioni. Sono di solito episodi sporadici che quasi mai ar-rivano agli organi giudiziari competenti79.

Diversa è la situazione di coloro che perseverano nell’infrangere le regole, che hanno fatto dell’agire deviante un comportamento costan-te, in questi casi siamo di fronte a problematiche di forte disadatta-mento che possono portare a situazioni di devianza vera e propria. I giovani in questioni si riconoscono come “autori di reato” e membri di un gruppo che sistematicamente infrange le norme80.

Il ragazzo che lascia la scuola entra in un meccanismo psicologico di disaffection and non partecipation che lo porta a vedersi “diverso” rispetto ai coetanei impegnati nei compiti scolastici. Bentley e Gurumurthy sono del parere che lo svantaggio in differenti sfere dalla vita (materiale, educativo, familiare, psicologico, con il gruppo dei pari) può generare nel giovane sentimenti di disagio e di ri-fiuto delle proposte educative81.

Dall’analisi della letteratura sull’argomento si può concludere che il disimpegno scolastico non può essere considerato una causa della devianza perché in molti casi i ragazzi commettono reati pur frequen-tando ancora la scuola. Va però evidenziato che sovente i ragazzi che poi vengono coinvolti in procedure giudiziarie non hanno concluso con successo i cicli di formazione obbligatoria82. Alcuni di essi inoltre

79 GOLDSON B. (2001), A rational youth justice? Some critical reflections on the research

policy and practice relation, in Probation Journal vol. 48(2): 76–85. 80 EMLER N., REICHER S. (2000), Adolescenti e devianza. La gestione collettiva della repu-

tazione, il Mulino, Bologna. 81 BENTLEY, T., GURUMURTHY. R. (1999), Destination Unknown: Engaging whit the Prob-

lems of Marginalised Youth, Demos, London. 82 LÖSEL, F., (2001) Rehabilitation of the criminal offender, in International encyclopedia of

the social and behavioral sciences, editid by N. J. Smelser and P.B. Baltes. Oxford, Uk: Perga-mon.

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non hanno beneficiato di interventi di recupero e di supporto perché provenienti da contesti familiari poco disposti ad una collaborazione con la scuola83.

Sembrerebbe che i ragazzi che commettono reato da minorenni fanno fatica ad investire su un obbiettivo e a perseverare nel portare avanti un compito. La difficoltà di questi giovani non riguarda solo le prestazioni scolastiche ma anche lavorative.

Coloro che hanno fallito nei percorsi formativi arrivano al mondo del lavoro con una duplice difficoltà: non hanno gli strumenti necessa-ri per svolgere le mansioni (conoscenze, abilità competenze) e allo stesso tempo sono più vulnerabili alle difficoltà, perché non hanno fi-ducia in se stessi e non mostrano costanza nel portare avanti un com-pito84.

L’esclusione dalla scuola e l’incapacità di trovare e/o mantenere un impiego può favorire l’ingresso nei circuiti dell’illegalità che in molti casi offre incentivi allettanti (sia materiali che relativi alla gratifica-zione di sé) per i giovani disimpegnati.

Nella fase dell’adolescenza, dove l’individuo è alla ricerca di con-ferme e di affermazione del proprio io, il fallimento scolastico assume un valore molto più negativo dell’insuccesso didattico poiché si riflet-te su tutta la sfera dell’autostima. È ampiamente dimostrato dalla psi-cologia sociale che gli esiti positivi riportati nella scuola dell’obbligo contribuiscono ad acquisire sicurezza nelle proprie capacità, favoren-do un investimento verso l’impegno sociale e la progettualità verso il futuro. Il ragazzo che durante gli anni della scuola dell’obbligo accu-mula insuccessi, convincendosi di non riuscire perché incapace, è pos-sibile che riproponga le medesime modalità incerte e insicure anche da adulto specie nella sfera lavorativa85.

83 FARRINGTON, D. P., WELSH B.C. (1999), Deliquency prevention using family–based inter-

ventions, in Children & Society 13(4): 287–303. 84 VICOLI D. (1999), Percorsi di inserimento per giovani in difficoltà, in Professionalità,

52(1): 66–79. 85AMPOLA M. (1986), Dalla marginalità all’emarginazione, Vita e Pensiero, Milano.