Una mano tira l'altra

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GPL: percorsi di giustizia, pace, legalita

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Dove cominciano i diritti umani universali? In posti piccoli, vicini a casa: il quartiere in cui vive, la scuola che frequenta, la fabbrica, il campo o l’uficio in cui lavora. Sono questi i posti in cui ogni uomo, ogni donna, ogni bambino cerca una giustizia equa, pari opportunità, uguale dignità senza discriminazioni.Se questi diritti non signiicano niente là, signiicheranno ben poco ovunque.

(Eleanor Roosevelt – 1958)

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“UNA MANO TIRA L’ALTRA”GPL • PERCORSI DI GIUSTIZIA,

PACE E LEGALITÁ

COORDINAMENTO GPLBassano del Grappa (VI)

Una scrittura collettiva coordinata daRiccardo Nardelli

Comunità Edizioni

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Coordinamento GPL

Percorsi di Giustizia, Pace e Legalità

Sede

Via Sardegna 1236061 Bassano del GrappaTel. 0424 504912Fax 0424 504912e-mail: [email protected]

Copertina e ideazione graica: Simone Maistrello

Finito di stampare: aprile 2010

E’ consentita la riproduzione anche parziale dei testi e dei dati purchè venga citata la fonte

Il Coordinamento GPL Pag. 7

Prefazione di Oscar Mazzocchin Pag. 9e Guido Tallone Introduzione di Riccardo Nardelli Pag. 17Coordinamento GPL

2000-2004: Cittadinanza è Volontariato Pag. 21

2003-2005: L&G – Legalità e Giustizia Pag. 36

2005-2009: La Terra di Mezzo Pag. 49

2007-2009: Social Day Pag. 64

2006-2009: GPL – percorsi di Giustizia, Pag. 80Pace e Legalità

Appendice: racconti dei viaggiatori GPL Pag. 95

Ringraziamenti Pag. 117

INDICEwww.percorsigpl.it

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Il coordinamento informale GPL – percorsi di giustizia, pace e legalità nasce in dicembre 2006 dal lavoro di rete di diverse organizzazioni formali ed informali effettuato sui temi della partecipazione giovanile, della cittadinanza

attiva e del volontariato giovanile. Il coordinamento pro-muove l’attività di una rete composta da semplici cittadi-ni, associazioni di volontariato e organizzazioni del terzo settore, operanti principalmente nell’area “destra Brenta” della città di Bassano.

ATTIVITÀIl coordinamento GPL è quindi un gruppo informale nato con l’obiettivo di trovare uno spazio libero di confronto e di impegno sui temi della giustizia, della pace e della le-galità.

Principali attività di GPL:

• viaggi di scambio e conoscenza in diversi Paesi europei ed extraeuropei;• l’ospitalità di giovani da Paesi europei ed extraeuropei; • campi lavoro, eventi e manifestazioni a livello nazionale; • attività di raccolta fondi destinati a progetti nel sud del Mondo e di volontariato a livello locale;• la realizzazione di video e documentari sui temi di giustizia, pace e legalità;• azioni, eventi e laboratori su temi ambientali, riuso e

decrescita

IL COORDINAMENTO GPLPERCORSI DI GIUSTIZIA, PACE

E LEGALITÁ

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IO NON HO PAURAPensieri personali di dieci anni

di promozione del volontariato sociale

Ogni volta che mi chiedono perché mi sono dato tanto da fare per promuovere il volontariato alle nuove generazioni mi vengono in mente subito tre immagini: 1. la fortuna che va condivisa e non tenuta per sè

2. i grandi monumenti storici

3. i mostri

Il volontariato, nelle mie metafore, ha a che fare con la fortuna: quella fortuna che ho avuto nell’avere due genitori semplici e poveri. La semplicità e la povertà mi hanno per-messo di “crescere in fretta”, di pormi davanti al mondo con una immensa voglia di giustizia, quella giustizia che non è fatta di invidie o risentimenti (non ho mai desidera-to diventare ricco), quella giustizia che si fonda sull’elimi-nazione delle disuguaglianze. Per questo penso che quel-la fortuna che ho avuto vada trasmessa ai giovani. Non fraintendetemi: non desidero che diventiamo tutti più poveri, desidero che diventiamo tutti più giusti, di quella giustizia che è un “affare collettivo” di chi ogni giorno, costantemente, si ricorda di essere cittadino del mondo. E’ per me un dovere civico. La mia esperienza diretta nel vo-lontariato ha reso piacevole la mia vita: perché non dovrei condividere questa mia fortuna con gli altri, specialmente in un momento in cui il dovere civico è diventato più fra-gile nel nostro Paese?

Il volontariato mi ricorda anche i monumenti storici, quelli grandi, belli, maestosi ed imperiosi. Hanno passato i se-

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coli, sono sopravvissuti alle guerre e alle distruzioni, sono rimasti nella testa delle persone che hanno voluto testar-damente la loro manutenzione o il loro restauro. Sono nel cuore di tutti noi. Il volontariato è così, assomiglia ai monumenti storici. Vive di momenti importanti (io ho in mente gli anni dopo il ‘68) ma anche di momenti duri (c’è chi definisce “cattivi” proprio gli anni che stia-mo vivendo) ma nonostante tutto il volontariato resiste. I temi dell’esclusione sono sempre là, dietro l’angolo, ma c’è sempre qualcuno, organizzato o meno, che vede in quell’esclusione anche la sua sconfitta personale, la scon-fitta dell’umanità. Questo è per me il volontariato, la vo-lontà di chi crede che in questo mondo l’esclusione degli altri ha a che fare anche con la propria vita, la vita della propria città e del mondo intero. Sconfiggere l’esclusione è un dovere, una responsabilità collettiva e soprattutto un sogno. E tutti noi sappiamo che non c’è nulla di più forte di voler vedere realizzato un sogno, nessuno nella storia è riuscito a sconfiggere i sognatori.

Il volontariato ha a che fare anche con i mostri, quei mo-stri che fin dalla nostra infanzia ci hanno sempre messo paura. Chissà perché da quando ho a che fare con il vo-lontariato è diminuita la mia paura: è difficile spiegarlo se non si vive direttamente questa esperienza. Non riesco più a vedere nell’altro il nemico, quello che mi fregherà, quello che entrerà dentro ai miei confini per impossessar-si di me e delle mie cose. Proprio nell’era in cui stiamo spendendo molto in sicurezza e telecamere per difenderci dalle nostre paure, consiglio ai politici di investire anche nella promozione del volontariato (oltretutto costa molto meno di qualsiasi impianto di sicurezza cittadina). Ho visto ragazzi e ragazze giovani, uscendo dalle nostre comunità

di accoglienza, più sicuri e anche più leggeri, dopo essere stati con i poveri, i “clandestini”, i ragazzi allontanati dal-la loro famiglia, i malati psichiatrici e i disabili. Più sicuri nel sapere che nell’incontro con il più debole la propria vita vale di più nel significato profondo di cogliere a fondo le proprie risorse e nell’alleggerire i propri limiti. In quei mostri che ci fanno paura potremmo trovare dell’umanità che nemmeno i registi più fantasiosi potrebbero presentar-ci nei loro film.

Infine non dovremmo mai dimenticarci che la nostra città, Bassano del Grappa, vive la libertà data da quei 31 giovani partigiani impiccati in Viale dei Martiri il 26 settembre del 1944, siamo qui che scriviamo, leggiamo, esprimiamo le nostre idee, andiamo in giro tranquilli per le strade, perché loro hanno dato la vita per i valori di libertà che difende-vano. Il mio sogno è che i nostri ragazzi diventino parti-giani del sociale con la loro testimonianza e senza rimet-terci la vita, senza diventare eroi. Persone che si spendono quotidianamente per promuovere i diritti concretamente, non per rispondere ai bisogni. Il mio orecchio è in attesa di sentire il frastuono di una pazienza che non è remissi-va, è rivoluzionaria: penso che possa essere l’unica via che potrebbe salvare questa palla blu che è la nostra bellissima Terra.

Oscar Mazzocchin

educatore

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LA “e” CHE DIVENTA “è”

“Scusami Guido, ho letto in panetteria che questa sera apri l’in-contro per i nuovi volontari del quartiere. Scusami perché non posso proprio esserci. Mi piacerebbe tanto fare del volonta-riato ma non ce la faccio proprio. Non sono ancora pronta per questa esperienza. Fatti sentire.”.

Mia mamma non ha mai amato troppo parlare al telefono. Sempre comunicazioni secche e veloci, l’essenziale. Anche perché, per questa generazione, parlare al telefono rappre-sentava un costo. E buttare via il denaro era stile che nessuno si poteva permettere. Resto “bloccato” da questa sua richie-sta di scuse. Forse avrei dovuto farmi vivo io; avrei dovuto comunicarle che la circoscrizione del “nostro” quartiere (per me “ex quartiere” di residenza) mi aveva invitato per questo momento, ma mi era sfuggito. Sto cercando, come posso, di ribattere alla comunicazione di mia mamma, sto per chie-derle scusa per la distrazione o la disattenzione (senza troppi giri di parole) quando mi accorgo che, con il pensiero, sono fermo al fatto che lei “non può” fare volontariato a causa dei suoi “troppi impegni”. Conosco mia mamma, il suo stile di vita e la sua agenda. So che sta bene; che suo marito gode di ottima salute e che noi figli siamo tutti fuori casa. E’ as-solutamente libera, perciò, da impegni di casa, di famiglia e di lavoro. Perché allora non può fare volontariato che tanto, dice, le piacerebbe praticare?

“Non ti preoccupare mamma. Non mancheranno altre occasio-ni – replico - , ma perché dici che non puoi fare volontariato? Che cosa ti impedisce di coinvolgerti in questo servizio?”. La sua risposta mi lascia senza parole.

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“Ma Guido, dimmi come faccio. Al lunedì sono in casa del-la mia vicina. La conosci anche tu: è senza una gamba. Mi aspetta e se non vado non ce la fa a fare tutto da sola; martedì, mercoledì e giovedì mi occupo dei “miei” quattro piccoli, anche loro li conosci. Sono senza mamma e se non ci fossi io ad ac-cudirli ho paura che potrebbero fare una brutta fine. Al venerdì ho il giro delle bollette per chi non può pagarle… . Ma come faccio?”. La mia domanda è istantanea: “Ma tutto questo non è volontariato?”. “Ma cosa dici. E’ soltanto il mio dovere.”. Chiudo come posso la conversazione. Non riesco più a pensa-re ad altro. Tante parole; tanti corsi; tanti convegni, conferen-ze e seminari di studio sul volontariato. Mai raggiunta però una sintesi così chiara e così lapidaria. Coinvolgersi in solida-rietà e in aiuto verso chi ci è accanto – sostiene mia mamma – non è volontariato, ma semplicemente “il mio dovere”.

“Volontariato e cittadinanza” recitava lo slogan del momen-to fondante il percorso di formazione del 2000 rivolto ai gio-vani di Bassano del Grappa. E non fu senza fatica che quella semplice congiunzione “e” divenne verbo: “è”. Il messaggio fu subito forte e chiaro. Fare del volontariato non è spinge-re il proprio essere cittadini verso i crinali dell’eroismo o del tempo straordinario. “Volontariato è cittadinanza” perché nel coinvolgersi per chi è meno garantito e/o verso l’altro, si orienta concretamente la propria vita verso la dimensione più autentica e più vera dell’essere cittadini: verso il vincolo di solidarietà e di fraternità che ci lega gli uni agli altri nella “polis”, nella comunità civile in cui viviamo.Le pagine che seguono raccontano questa dimensione or-dinaria di tutto ciò che appare - superficialmente – come straordinario. Riportano e descrivono tensioni, momenti e “pagine” di vita in cui l’essere attenti agli altri promuove e dilata la propria libertà ed il proprio esistere. Non solo. Sono

pagine che descrivono come la sola bontà possibile e neces-saria è l’”essere buoni” sul fondamento della giustizia. Sen-za giustizia non si ha bontà, ma assistenzialismo, pietismo, elemosina o, peggio ancora, utilizzo delle necessità altrui per mettere a posto la propria coscienza. Forse per questo alcuni volontari, nonostante il loro impegno di prossimità verso altri, non riescono ad essere sereni, distesi o pienamen-te realizzati. Forse per questo alcuni volontari, nonostante l’impegno di assistenza e di vicinanza a chi sta male, restano imprigionati dalla tentazione del giudicare ed impongono ad altri pesi che nemmeno loro riescono a sopportare. Perché si sono prefissati di essere semplicemente “buoni” e non, al contrario, di muoversi solo ed esclusivamente sul fondamen-to della giustizia. Da quel giorno e da quella telefonata ogni volta che ho ini-ziato un corso sul/per/ai … volontari, ho sperato di ricevere telefonate in cui mi si giustifica l’assenza. In cui mi si chiede scusa per l’impossibilità a partecipare al corso “sul” volon-tariato perché “non posso proprio. Il mio dovere mi chiede al-tro: di aiutare chi mi è vicino perché questo è ciò che devo fare. Niente di più.”. Ed è questa la straordinaria lezione di saggezza, di educazio-ne alla legalità e di vita all’insegna della cittadinanza solidale che emerge dalle pagine di questo testo. Pagine che vale la pena non soltanto di leggere. Ma anche di vivere e di mettere in pratica.Un cordiale grazie al Coordinamento GPL perché continua a non stancarsi di pungolarci. Per obbligarci a cambiare pun-to di vista. Buona lettura.

Guido Tallone

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INTRODUZIONE

Questo breve testo tenta di raccontare un percorso, inizia-to nell’anno 2000, che coinvolge bambini e bambine, ra-gazzi e ragazze, giovani e cittadini del territorio bassanese in azioni e riflessioni sui temi della partecipazione, della cittadinanza attiva, del volontariato, dei diritti, della pace, della legalità e della giustizia sociale. Era difficile 9 anni fa immaginare dove si sarebbe arrivati così come è difficile oggi prevedere gli sviluppi dei prossi-mi anni e i processi che saranno attivati in futuro. Il solco scavato, però, sembra definito: incentivare un cambiamen-to improntato sulla vicinanza solidale, l’attenzione ai vul-nerabili, il volontariato inteso come prassi quotidiana, la difesa dei diritti e la promozione di una società che si fondi sui principi di pace, legalità e giustizia a livello locale, na-zionale ed extranazionale. L’obiettivo pare ambizioso e senz’altro lo è, conforta il vedere come le nuove generazioni bassanesi abbiano di-mostrato nel corso degli anni di costituire davvero una risorsa inestimabile per tutta la comunità locale, e non solo. Proprio scrivendo e costruendo questa “storia” plu-riennale di azioni ed iniziative sociali e solidali, ci siamo resi conto di quante evoluzioni, perlopiù inaspettate, siano scaturite dai vari percorsi e, soprattutto, dai giovani e dalle persone coinvolte. Rileggendo il nostro fare e fermandoci a ri-flettere abbiamo osservato come siano stati gli indivi-dui a provocare i territori e come la spinta motivazionale e valoriale di ciascuno sia stata il vero motore trainante di tutto il percorso.Resta da capire adesso come muoversi all’interno di que-sto solco. Non ci pare importante arrivare a percorrerlo

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INTRODUZIONE INTRODUZIONE

tutto, vogliamo piuttosto imparare ad abitarlo e a so-stare al suo interno, senza farci spaventare dalle deviazioni, le ombre, le asperità che a volte si possono incontrare.Abbiamo sperimentato in questi anni come il solco del-la giustizia vada vissuto e perseguito in tutte le aree del vivere quotidiano.I ragazzi e le ragazze protagonisti dei percorsi di giustizia, pace e legalità promossi dal Coordi-namento informale GPL ci hanno testimoniato più volte questo principio, invitandoci, attraverso un fare concreto, a “sporcarsi le mani” con loro senza cadere in facili pa-radossi figli di questi tempi: pretendere giustizia per sé e per i propri vicini di casa senza indignarsi per l’ingiustizia subita da chi è “altro” da noi, fare volontariato nel proprio quartiere e disinteressarsi dei diritti dei popoli di tutti i continenti, lottare per la pace nel mondo e seminare vio-lenze e prevaricazioni nelle proprie scuole, famiglie, ambiti lavorativi. E’ grazie all’impegno responsabile e alla passione solidale di questi ragazzi e ragazze che i percorsi GPL hanno tro-vato nel tempo una giusta collocazione: nell’informalità e in un “fare riflessivo” che diventa testimonianza concreta al fianco dei contesti locali, con lo sguardo attento alla dimensione globale della giustizia e dei diritti.

Nel testo troverete in riquadro alcuni interventi, racconti, considerazioni di ragazzi e ragazze protagonisti dei per-corsi GPL. Riteniamo che la voce diretta dei giovani at-tivi nelle varie iniziative renda il testo più interessante ed esaustivo, coniugando la descrizione di quanto fatto con le emozioni, le sensazioni e le storie di chi si è “sporcato le mani” concretamente nei diversi percorsi.Al testo è allegato un DVD contenente due video realizzati all’interno del Coordinamento GPL. Il primo, dal titolo

“GPL – percorsi di Giustizia, Pace e Legalità” è il raccon-to e la descrizione per immagini dell’attività del coordina-mento. Il secondo dal titolo “Out there, somewhere” è un docu-film che narra la vita quotidiana dei giovani prota-gonisti in Italia, in Tanzania e in Kosovo.Molti altri video prodotti all’interno del coordinamento sono visibili nel sito www.percorsigpl.it.

Riccardo Nardelli

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2000 - 2004CITTADINANZA É VOLONTARIATO

DESCRIZIONE DEL PERCORSO

Il coordinamento “Cittadinanza è Volontariato” nasce a Bassano del Grappa nel 20001 dall’incontro di 17 asso-ciazioni/enti del territorio (Casa Sichem, Comitato 180, ABC, l’Abbraccio, Ramaloch, Alibandus, Re-Sol, Fon-dazione Pirani/Cremona, Equipe Affidi, Casa Speranza, Libra, Agevad, Casa Colori, Spazio Alisei, Questacittà, Oratorio di S. Maria in Colle e Centro Giovanile di Bassa-no) le quali sentirono la necessità di unirsi, pur operando in ambiti diversi, al fine di ragionare, nello specifico, sul tema del volontariato, sull’essere un volontario e come questo concetto poteva/può essere declinato nell’accezio-ne di “cittadino volontario” e volontariato come “forma di cittadinanza”. In particolare, la necessità primaria su cui si voleva andare a lavorare, in quello specifico mo-mento e in quello specifico contesto, era il sostenere e dar vita a momenti di formazione per i volontari già operanti all’interno delle sopra citate associazioni e, contempora-neamente, promuovere occasioni e spazi di incontro-co-noscenza per approcciarsi al volontariato, indirizzate a persone non operanti nel settore. Fin da subito è emer-sa la grossa peculiarità del progetto che corrisponde alla rete, formata, nel contempo, da organizzazioni pubbliche e privato sociale che lavorano e interagiscono fra loro, non in maniera autoreferenziale ma allargando lo stimolo alla città, perchè la cittadinanza era/è il contesto nel quale ci si voleva porre e nel quale innestare azioni sociali. Il sen-

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A Roberto e Giorgia, nonno e nipote

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so forte dell’iniziativa si innesta in un pensiero condiviso: “siamo tutti cittadini a fianco di altri cittadini”, tutti cioè siamo cittadini, anche chi vive un particolare momento di difficoltà, difficoltà magari solo dovuta ad una povertà di relazioni significative più che ad una incapacità in sé della persona. La con-cittadinanza diventa l’orizzonte dentro il quale ci si muove, l’archetipo verso il quale ci si indirizza intraprendendo la strada della promozione dell’accoglien-za, della promozione del benessere, appunto in termini relazionali più che materiali. Altro aspetto di sicuro rilie-vo, all’interno di questa progettualità, è stata l’attenzione dimostrata verso i giovani, altro grande target da raggiun-gere. Qui, da un lato, si constatava l’effettiva “età alta” dei volontari presenti nelle associazioni, la scarsità di un ricambio generazionale in termini di persone e di idee e, dall’altro lato, l’incapacità di far avvicinare il mondo dei giovani alla realtà del volontariato, di far conoscere le sue diverse sfaccettature e la sua rilevanza sociale.Per far fronte a queste criticità (formazione volontari già inseriti e reclutamento di nuovi volontari possibilmente giovani) venne articolato il progetto Cittadinanza e volon-tariato, che successivamente diverrà Cittadinanza è Vo-lontariato2, su una triennalità formativa a diversi livelli, operativamente gestita dall’Università della strada del Gruppo Abele di Torino, in particolare nella persona di Fulvia Berruti e da Guido Tallone per la capacità di sintesi delle azioni progettuali3.

Partecipare al corso è stato per me un momento importante nel passaggio tra “fare volontariato” ed “essere volontaria”. Il passaggio tra “fare” ed “essere” implica soprattutto una consapevolezza, che spesso manca quando si è presi dall’an-sia dell’agire, del rendersi utili, di dare risposte concrete ai bisogni. Nel momento in cui ci si ferma un istante per ri-flettere su quanto si sta facendo, per confrontarsi con altre persone che condividono un percorso simile al nostro, si può cominciare a guardare la realtà da una prospettiva nuova, forse meno ravvicinata, ma dove una certa distanza consente uno sguardo d’insieme, che manca quando si focalizza l’at-tenzione sul perseguimento di obiettivi a breve termine. E’ una prospettiva che aiuta a superare quella sensazione di impotenza e inadeguatezza in cui siamo precipitati dal ca-rico di aspettative rispetto a dei risultati che sembrano non arrivare mai. In una prospettiva più ampia anche la singola azione di singolo individuo diventa, nel suo piccolo, testi-monianza di uno stile di vita, di un “pensiero” differente, fatto di accoglienza, gratuità, accettazione dei limiti, delle debolezze, delle diversità, che la nostra attuale cultura cerca di cancellare o di nascondere, generando paure e solitudini. La singola azione diventa espressione di cittadinanza, intesa come assunzione di responsabilità, capacità di inclusione e di condivisione, capacità di creare opportunità, e allo stesso tempo di farsi coscienza critica rispetto alle mancanze delle istituzioni e alla negazione dei diritti. Non si tratta certo di una consapevolezza che si trasforma immediatamente in un cambiamento concreto nella pratica di un servizio di volon-tariato o nell’esercizio quotidiano di una cittadinanza attiva. Nel mio percorso come cittadina, come volontaria e anche come operatrice sociale, mi sono resa conto che è molto dif-ficile mantenere quello sguardo d’insieme perché l’impegno sociale spesso si riduce ancora alla gestione delle emergen-

1 Uno degli scopi per cui si costituì tale coordinamento era quello di promuovere, in occasione del 2001 anno mondiale del volontariato, una serie di iniziative su questo tema nel bassanese.2 Il titolo venne cambiato inseguito ad un intervento-relazione di Guido Tallone che mise in luce le spiccate analogie fra i due termini.3 O. Mazzocchin, C. Zara, Esperimenti per un nuovo alfabeto del volontariato. Una ricerca-formazione con le nuove generazioni a Bassano (VI), (pp.63-70), in «Anima-zione Sociale» n°4, Torino, aprile 2006

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ze. Il corso mi ha comunque indicato una direzione che pur con le fatiche della quotidianità, che non sempre permette di alzare lo sguardo, cerco di tenere presente, per non essere sopraffatta dall’urgenza del fare qualcosa e dalle frustrazio-ni che ne derivano, e per ricordarmi che anche i piccoli gesti contribuiscono alla costruzione di una cultura di responsa-bilità reciproca.Marta

ARTICOLAZIONE TRIENNALITÀ:1° anno (1999-2000): partecipanti di età compresa fra i 17 e i 25 anni già volontari, prevalentemente inseriti nell’am-bito dell’accoglienza. Focus su nodi e questioni problema-tiche concrete connesse alla quotidianità operativa.2° anno (2001-2002): il corso si articola su 3 livelli con par-tecipanti e obiettivi diversi.Primo livello: per i nuovi volontari, per coloro che non hanno esperienza. Focus sull’analisi dell’io (motivazione, identità, competenza) al fine di sviluppare la consapevo-lezza delle motivazioni personali dei partecipanti ed espli-citare le relative responsabilità dell’essere un cittadino.Secondo livello: per coloro che avevano già esperienza nel volontariato. Focus indirizzato a creare un luogo di rifles-sione e rielaborazione rispetto alle varie esperienze di vo-lontariato e ai vari settori di intervento.Terzo livello: per i soggetti che nelle associazioni hanno il compito di accompagnare i volontari. Focus: dare stru-menti per diventare “tutor” dei volontari, specialmente dei nuovi, per capire limiti e possibilità della figura del volon-tario in relazione alle aspettative.3° anno (2003): corso rivolto contemporaneamente a nuovi volontari e a persone che avevano già esperienza, con sud-divisione in due sottogruppi in base all’età (oltre o sotto i

25 anni). Focus: analisi degli aspetti dell’azione volontaria anche alla luce della Carta dei valori del volontariato.Al termine di ogni percorso formativo i partecipanti po-tevano accedere ad uno “stage”, ovvero, alla possibilità di iniziare a fare volontariato all’interno di una delle associa-zioni della rete, a scelta.A grandi linee possiamo suddividere la triennalità in due grandi blocchi, il primo (corrispondente al secondo e terzo livello dei corsi del 2001/2002) fortemente marcato dalla volontà di fornire un bagaglio generale di compe-tenze per affrontare il mondo del volontariato, il secondo (corrispondente al primo e terzo anno) impostato preva-lentemente sull’aspetto caratteriale dei nuovi volontari per rafforzare il senso di appartenenza e la motivazione.

Quando mi è stato chiesto se volevo partecipare ad un corso che si intitolava Cittadinanza e Volontariato”, la prima re-azione è stata quella un po’ stupita di chi si chiede cosa mai volesse dire. Beh, la risposta è venuta con il tempo grazie al confronto continuo ed allo scambio reciproco con altri, che come me condividevano l”essere volontario”, seppur in real-tà molto diverse tra loro, ed anche con coloro che a questo “mondo” erano del tutto estranei.E’ stato molto importante “vedere” il volontariato attraver-so gli occhi curiosi dei “novizi” in quanto, questo mi ha fatto ri-scoprire valori e motivazioni, che oramai erano qualcosa di lontano e offuscato nella memoria. Ed è proprio questa ri-scoperta che ha dato nuovo vigore al mio piccolo contribu-to alla vita di questi nostri amici, perché questo sono e non soggetti da “assistere”: persone, così come le incontri per strada tutti i giorni.Ho realizzato, inoltre, l’importanza di entrare in empatia, in relazione, che però non deve essere qualcosa di costruito

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bensì uno scambio reciproco, in cui ciascuno dà quello che ha da condividere: una chiacchiera, una pizza o magari la par-titella a calcetto. Questo al fine di coinvolgere nella nostra quotidianità ed in tutto quello che ci circonda questi nostri amici, così da renderci tutti dei cittadini appartenenti alla stessa comunità, che abitano la stessa terra dei diritti e la stessa terra dei doveri.Edoardo

IL NUOVO ALFABETO DEL VOLONTARIATOSulla scorta di quanto di positivo era nato con il percorso di Cittadinanza è Volontariato, partì il progetto “Il nuovo alfabeto del volontariato”, esperienza che mirava a coin-volgere un gruppo di giovani del territorio per portarli a riflettere e a dar forma concreta ad una “sorta” di dizio-nario che contenesse i termini che a giudizio del mondo giovanile potessero definire il volontariato, la figura del volontario e il suo operare. L’indirizzo su cui si muove-va tale progetto era la volontà di decostruire i “paroloni” come “volontariato” e “volontario” che sembrano porre barriere fra la vita dei ragazzi e le loro azioni “ in ambi-to sociale”, e creare così ponti fra il mondo dei giovani desiderosi di essere protagonisti nel proprio territorio e il mondo del volontariato. Operativamente il progetto partì con un fine settimana in montagna (settembre 2003) in un rifugio ben attrezzato nel quale i ragazzi potevano vivere fianco a fianco la loro quotidianità per tre giorni e lavo-rare, nel contempo, attraverso varie tecniche all’elabora-zione del dizionario del volontariato. Brainstorming e role playing sono state le metodologie più usate, attraverso le quali il gruppo ha messo in campo le proprie esperienze personali e i propri vissuti. Interessante è stato il discutere, il confrontarsi attorno a temi quali diritti, giustizia, im-

pegno civile e sociale, solidarietà e partecipazione, tanto che limando sempre più i paroloni ben presto si è arrivati a vedere che volontariato è un concetto imprescindibile (se non addirittura combaciante) a quello di cittadinanza. Parlare di volontariato in termini nuovi: è quotidianità, è sentirsi accolti, è accogliere, è cittadinanza, è accorgersi dell’altro, è stile di vita.Nello stile che ha contraddistinto la stesura e la realiz-zazione di questo progetto, al termine della tre giorni, il gruppo di ragazzi non è tornato a casa con una “soluzio-ne” con definizioni certe, ma con la volontà di individuare pratiche possibili per il proprio essere cittadini.

Non dimenticherò mai una frase importante che * ha con-diviso con noi durante il corso e che diceva “il volontario si

sporca le mani di fango di giustizia”. Sono parole che ma-gari passano tra tanti altri concetti importanti, ma io non le ho più dimenticate perché rivivo in quelle parole l’esperien-za di volontariato internazionale trascorsa in Brasile, rivivo l’esperienza nel luogo di lavoro quotidiano, rivivo l’esperien-za di essere un cittadino che vuole e cerca di più oltre al registro nello stato anagrafico del proprio comune!Il fango di giustizia è quello che ti sporca per sempre, che non puoi o non vuoi toglierti di dosso. E’ il fango che ogni giorno mi ritrovo nelle mie mani e che mi ricorda che ogni giorno può essere giusto per cambiare.Ilenia

Successivamente il gruppo ha deciso di continuare a in-contrarsi per approfondire le tematiche toccate e di realiz-zare qualcosa di concreto, che raccogliesse tutto il lavoro prodotto. Per quest’ultimo si è scelta la forma del corto-metraggio capace di esprimere concetti ed emozioni con

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l’utilizzo delle immagini, delle parole, dei dialoghi e dei suoni. Allo scopo di lavorare al meglio il gruppo si è così suddiviso:Gruppo regia: responsabile della sceneggiatura e della re-alizzazione del cortometraggio “Volondino e Cittatario”, ovvero, mescolanza fra cittadinanza e volontariato perché i due ambiti sono indistinguibili.Gruppo serbatoio: monitorizzava l’andamento della co-struzione del corto.Gruppo prosecuzione: sottogruppo incaricato di far pro-seguire, di diffondere il progetto attraverso altri canali ol-tre il cortometraggio.Al termine del progetto è stato prodotto il seguente ma-teriale:• O. Mazzocchin, C. Zara, Esperimenti per un nuovo alfa- beto del volontariato. Una ricerca-formazione con le nuove generazioni a Bassano (VI), (pp.63-70), in «Ani- mazione Sociale» n°4, Torino, aprile 2006• Volondino e Cittatario – Il volontariato visto dai giova- ni, cortometraggio realizzato dal coordinamento Citta- dinanza è Volontariato di Bassano del Grappa nell’am- bito della L.R. n° 29/88 – L.R. n° 37/94 anno 2002: “Progetti di intervento a favore dei giovani” Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Veneto

IL SENSOParlare di Volontariato è un po’ come trovarsi dinnanzi ad una montagna sacra: una sorta di timore reverenziale indur-rebbe semplicemente a contemplarla nella sua imponenza, senza spostarne un solo sasso. Questa parola esprime una tale summa di valori, di pratiche, di significati, da scorag-giare l’impresa di ragionarne oltre. E’ un termine perfetto, completo, assoluto. Viene spontaneo scriverlo maiuscolo,

come qualcosa che si autodefinisce. Cosa si può aggiungere ancora del Volontariato che non sia già stato pontificato, in tanti modi diversi, nei templi del Sociale, della Politica, dell’Associazionismo laico o religioso? Diventa forse più facile affrontare questo tema monolitico se si prova a recuperarne l’origine plurale. Che cosa si sarà perso nel passaggio dalla molteplicità soggettiva dei “volon-tariati” all’astrazione singolare oggettiva del Volontariato? I volontari sono persone, i volontariati sono azioni organiz-zate con finalità condivise, il Volontariato è l’approdo finale di una complessa operazione di sintesi concettuale che da azione diventa pensiero, per sublimarsi in valore. I volonta-ri sono “qui e ora”, hanno ciascuno un nome e motivazioni diversi, hanno un volto. Poi i volontari si uniscono, scelgono un campo d’azione, strategie comuni, valori condivisi e di-ventano volontariati: c’è un volontariato del Sociale e uno dell’Ambiente, uno Sanitario e uno Culturale, c’è un volon-tariato internazionale e uno legato a piccole realtà locali, c’è un volontariato organizzato in grandi associazioni nazionali e un volontariato di carattere più spontaneistico. Insomma, un ricco intreccio di storie individuali e di percorsi comuni, di idee e di ideali, di valori e di azioni, che costituisce la tra-ma del Volontariato.E’ difficile allora parlarne senza riferirsi ai suoi volti, alle sue storie, come se fosse un’entità astratta ed autonoma, che si legittima da sé.

Così iniziava l’articolo che descriveva l’esperienza di Cit-tadinanza è Volontariato. Già in queste prime righe si de-lineavano alcuni punti fermi dell’esperienza bassanese: la centralità delle persone, i riferimenti alle storie, del volon-tario e del territorio, e ai volti, degli individui e delle realtà da essi abitate.

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Alcune parole chiave all’interno del progetto sono poi di-ventate il seme dei successivi percorsi:Rete: la rete che nasce con “Cittadinanza è Volontariato” a Bassano costituisce il nocciolo della questione e diventerà nel tempo una realtà sempre più consolidata e operativa. Essa è il fondamento di quella che poi sarà la rete della Terra di Mezzo allargandosi anche alle scuole, luogo ideale per incontrare i giovani. Negli anni si svilupperanno reti a vario livello (in Italia, in Europa e nel Mondo). Territorio: il progetto fin da subito, fin dalla fase della progettazione poneva come conditio sine qua non l’uscita dalle comunità, dalle strutture, la de-istituzionalizzazione per non solo affacciarsi ma innestarsi, mescolarsi con il territorio inteso come la propria città, il proprio contesto di vita (quartiere, zona) che non può essere solo lo sfondo statico per le nostre azioni ma un soggetto attivo (formato da persone, luoghi, strutture) e interagente con la nostra quotidianità.Formazione dei volontari: è un valore aggiunto alle azioni dei volontari, è ciò che ci aiuta a sintetizzare “testa e cuore” (il razionale con l’emotivo), che qualifica l’azione e la ri-motiva. La formazione allargata permette alle persone di avvicinarsi a nuove realtà, e conoscere ulteriori dinamiche.Stage/esperienza di volontariato: il concreto, l’operatività che non manca mai nei nostri percorsi e che incarna, fin dagli albori, il senso dello sporcarsi le mani che, d’ora in-nanzi, diventerà un punto cardinale irrinunciabile.La è di Cittadinanza è Volontariato nuova cittadinanza, una pratica di cittadinanza solidale perchè chi fa volontariato si alleni a pensare se stesso e la società come un luogo in cui l’esercizio della responsabilità e dalla solidarietà costituisce un elemento caratterizzante la comunità locale di apparte-nenza.

Ci si è accorti molto presto, infatti, che quella “e” che tene-va insieme il volontariato e la cittadinanza doveva diventa-re verbo, che il volontariato è cittadinanza e che, allo stesso modo, la cittadinanza è obbligatoriamente volontariato, perché, come ricordava Tallone in un suo intervento, «[…] laddove non si attivano meccanismi di coinvolgimento, laddove non si risponde a difficoltà attraverso assunzione di responsabilità, viene indebolita non soltanto l’umanità ma anche la vita del singolo4».La Cittadinanza, allora, è sembrata il naturale contesto entro cui promuovere qualsiasi iniziativa, l’orizzonte a cui guardare continuamente per orientare qualunque azione sociale. Diversamente, il rischio sarebbe stato di rimanere chiusi dentro alle nostre associazioni, ai nostri servizi, al nostro progetto. Man mano che ci si confrontava andava delineandosi una convinzione che ognuno evidentemente serbava in sé, ma che prendeva sempre più forma e for-za proprio dal confronto, per affermarsi un po’ alla volta come lo stile condiviso dal gruppo: quello che facciamo lo

facciamo perché ha un senso nell’economia collettiva del

benessere e anche il volontariato va ridisegnato in questa

prospettiva. Ciò che sentivamo darci appartenenza e che, nella nostra idea, avrebbe dovuto riunire chiunque si fosse avventurato in questa esperienza, era la consapevolezza di essere tutti

cittadini al fianco di altri cittadini5. Abbiamo ritenuto es-

senziale, quindi, che qualsiasi iniziativa venisse ricondot-ta sotto la giurisdizione ideale della “Concittadinanza”, semplicemente perché è nella città che le persone abitano

4 G. Tallone abstract dall’intervento alla presentazione del corso bassanese Volon-tariato e cittadinanza, 20015 C.N.C.A Coordinamento Nazionale Comunità d’accoglienza (a cura di), Cittadi-no volontario, Comunità Edizioni.

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e si incontrano quotidianamente ed è nella città che fan-no pratica di convivenza e di cura reciproca. Diffondere la cultura dell’accoglienza e avere a cuore i più deboli, fuo-ri dalla retorica del filantropismo e dentro all’ottica della buona cittadinanza, significa ridistribuire ricchezze e be-nessere in termini relazionali avendo in mente l’equilibrio complessivo del sistema in cui viviamo, equilibrio che non può che giovare all’intera comunità. Ci sembrava che si trattasse d’intelligenza sociale, prima ancora che di “cuo-re” o di ideali.Proprio grazie a questo lungo cammino (cui compagno di viaggio prezioso è stato il Gruppo Abele) si sono palesati la necessità ed il desiderio di dare voce ad un silenzio che ci è ad un certo punto sembrato imposto più da scarsa atten-zione che da effettiva mancanza di argomenti: quello dei giovani che si misurano con l’esperienza del volontariato.Insomma, ci siamo chiesti, ma sarà proprio vero che “Non ci sono più i volontari di una volta”? Che “nessuno ha più voglia di far niente per gli altri”? Che “i giovani d’oggi non s’interessano ai problemi della città”? O non rischiano piuttosto, questi, di diventare i soliti luoghi comuni, l’en-nesima etichetta che affibbiamo ai giovani, che amiamo definire e citare, più che ascoltare? Senza tener conto, in tal modo, della testimonianza che ragazze e ragazzi dan-no puntualmente con molta generosità e poco clamore nel nostro territorio6?E’ nata così l’idea di coinvolgere, da protagonisti e non ancora una volta come oggetti dell’ennesima indagine su di loro, i giovani in un viaggio alla ricerca di una ridefini-zione significativa dell’azione volontaria.Lo si è fatto attraverso una sperimentazione concreta

“sporcandosi le mani” nelle organizzazioni e riscrivendo un “Alfabeto del volontario” con le parole ed i significati dati dalle giovani generazioni del nostro territorio, attra-verso le loro sensibilità ed i loro linguaggi comunicativi7.Quest’attività si è rivelata particolarmente significativa. Ritenevamo, infatti, che rivolgere l’attenzione verso le pa-role chiave con cui i giovani definiscono oggi l’impegno volontario, fosse una questione di forte rilevanza. Dal momento che linguaggi e repertori linguistici sono legati a codici simbolici, introdurre un nuovo dizionario del vo-lontariato elaborato dai ragazzi significa ampliare la con-cezione dell’operare sociale con nuovi orizzonti di senso introdotti dall’universo giovanile.Ciò che ne è scaturito non è un’opera sistematica e “let-teraria” di composizione di un vocabolario, bensì, com’è nel loro stile, qualcosa di più creativo, provocatorio ed ironico al tempo stesso, che i ragazzi hanno riassunto in un cortometraggio da loro interamente realizzato. L’idea sviluppata nel filmato dipinge uno scenario in cui il “fare volontariato” si trasforma in un “essere cittadino” attento e capace di portare solidarietà e vicinanza concreti nella propria vita quotidiana, in un gioco di reciprocità che pro-va ad annullare etichette, stereotipi, pregiudizi, mettendo semplicemente le persone di fronte alle persone, con il ba-gaglio di bisogni, desideri, diritti che accomuna tutti nella propria umanità.

Siamo una coppia di animatori parrocchiali felicemente spo-sati, che hanno partecipato al corso di Cittadinanza è Vo-lontariato. Allora, poco più che ventenni, abbiamo scelto di

6 S. Crovato, F. dal Prà, Cittadinanza è Volontariato, ricerca sui percorsi formativi per volontari, Maggio 2006

7 Gruppo Abele, Fondazione Italiana per il Volontariato, Carta dei Valori del Vo-lontariato, maggio 2001

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partecipare senza una reale consapevolezza di cosa ci veniva proposto. Le ragioni della nostra adesione sono state due: la volontà di capire meglio i ragazzi con i quali si lavorava nei gruppi parrocchiali e la curiosità di partecipare ad una iniziativa promossa dalla Cooperativa Adelante. Ai nostri occhi questa cooperativa stava proponendo nel ter-ritorio bassanese un nuovo modo per affrontare le difficoltà di relazione e di gestione di un gruppo in riferimento alle caratteristiche degli adolescenti che incontravamo. Nuovi metodi di interazione, strategie per relazionarsi con ragazzi difficili, persone che hanno fatto del volontariato una profes-sione: tutto questo era bastato per incuriosirci.Tra le tante cose che ricordiamo del corso vi è sicuramente la durata; per molte settimane ci trovavamo il venerdì sera e il sabato mattina per ascoltare relazioni molto interessan-ti o lavorare su noi stessi e per riflettere sul nostro lavoro nel sociale e la cosa non ci pesava. Gli incontri erano tal-mente belli, interessanti, approfonditi e coinvolgenti che la stanchezza veniva meno e la pizza con gli amici non era poi irrinunciabile.Siamo partiti pensando di partecipare ad un corso per capire i ragazzi, ma, con grande sorpresa, abbiamo trovato un per-corso che andava oltre le tecniche e dinamiche educatore-ragazzo. In primo luogo si voleva delineare il profilo di un ragazzo-persona inserito in un contesto sociale di relazioni, quindi di un cittadino in crescita e alla ricerca di punti di ri-ferimento. In secondo ci hanno fatto riflettere su noi stessi, e quindi come cittadini (cioè persone che hanno a cuore la vita della città in cui vivono), e su quanto vogliamo investire sul volontariato in base a ciò che vogliamo ottenere da esso. Non ricordiamo bene i relatori e i temi nello specifico, ma possiamo testimoniare come sia stato un qualcosa che ci ha fatto diventare più consapevoli rispetto al nostro essere vo-

lontari, sul valore da attribuire al nostro operato. Lavorare su noi ancora prima di capire come sono fatti i ragazzi è sta-to molto utile per farci capire cosa siamo in grado di fare noi per primi e cosa possiamo pretendere dal nostro fare.Completo e aperto alle varie questioni, a quasi 10 anni di distanza è ancora il percorso più approfondito e curato cui abbiamo partecipato. Noi attualmente prestiamo il nostro servizio in parrocchia come animatori e ci portiamo un ba-gaglio di esperienze e valori segnate dal percorso Cittadi-nanza è Volontariato.Chiara e Leonardo.

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DESCRIZIONE DEL PERCORSO

L’ambito d’intervento del progetto riguardava i diritti so-

glia e la promozione della solidarietà sociale nel territorio. In particolare modo si è creato un gruppo di giovani cit-tadini che, come forma istituzionale stabile, ha operato su un doppio canale:la riflessione a livello giuridico, culturale e politico su un sapere che dica la dignità di uomini e donne vulnerabi-li, restituendo al territorio un nuovo alfabeto dei diritti e nuove progettualità di solidarietà sociale;la promozione nel territorio dell’esercizio della giustizia at-traverso azioni concrete, realizzate in rete con il territorio.

Il progetto mirava a privilegiare i 5 principi fondamentali del Libro Bianco per la modernizzazione dell’azione pub-blica europea:Apertura: assicurare informazione e comunicazione attiva nei confronti dei giovani.Partecipazione: promuovere l’impegno attivo dei giovani.Responsabilità: sviluppare cooperazione concreta tra gio-vani, territorio e politica.Efficacia: valorizzare la risorsa costituita dalla gioventù.Coerenza: sviluppare una visione integrata delle politiche che riguardano la gioventù.

L&G, coordinato dall’Associazione di Volontariato Gruppo Vulcano, ha coinvolto alcuni soggetti della rete

di “Cittadinanza è Volontariato”, in particolare quelli che operano nel territorio con Comunità residenziali e Comu-nità diurne e con attività di animazione territoriale: As-sociazione SpazioAlisei, Comunità Ramaloch, Comunità Alibandus, Fondazione Pirani/Cremona, Oratorio di S. Maria in Colle e Centro Giovanile di Bassano. Nel per-corso di questi anni si è andato sviluppando fortemente il volontariato che ha permesso ai nostri vari settori di uscire da una logica autoreferenziale e di aprirsi al territorio e, proprio dall’associazione “Cittadinanza è Volontariato”, è emersa un’analisi dei bisogni fatta dai giovani per i gio-vani del territorio.

Curiosità: un giorno una mia prof. mi passa un volantino con scritto: “legalità e giustizia, lo sguardo giovane della solida-rietà”. Mi dice: “ci sono dei ragazzi in gamba, credo potreb-be interessarti”. Ero in quarta superiore, anno che se dovessi riassumere con un aggettivo definirei “iperattivo”. Quindi in ossequio all’iperattività frenetica di quell’anno, un pomerig-gio con un paio di compagni di classe andiamo a vedere cosa diavolo fosse sta cosa. E così è iniziata una nuova avventu-ra, che mi ha portato dall’attività di teatro dell’oppresso, al gruppo alisei, al viaggio in kosovo, a scrivere queste righe. Galeotta fu dunque curiosità, quell’aura elettrica e vitale che noi giovani abbiamo addosso e che riempie la testa di do-mande, e mette in moto a cercare almeno la parvenza di una risposta: “si sta davvero bene dove vivo? cos’è il benessere? attorno a me come vivono gli altri? Il benessere è lo stesso per tutti? Io sto bene dove sono?” “Cavolo altre domande, non bastavano quelle che c’erano già?” Ed è stato a partire da curiosità e domande che ho iniziato un percorso fatto di esperienze che credo mi abbiano almeno consentito di “vivere dentro” a dei prototipi di risposte, all’interno ed all’esterno

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di L & G. Sento di essere stato fortunato a fare tutte le espe-rienze che mi hanno accompagnato a crescere, dal mio primo uscire di casa, non per ultimo di essere appunto capitato in L & G. Oggi la nostra società ha bisogno più che mai di gente responsabile (non solo delle proprie azioni ma interessata e responsabile anche di ciò che ci circonda) e capace di vedere ampi orizzonti (di inventare e vivere un nuovo senso di soli-darietà, equità, giustizia, empatia e non paura del diverso). Riconosco che come lo è stato per me, anche per tutti i ragaz-zi chiamati ad avere parte attiva nel mondo, è necessario fare l’esperienza di uscire dalle proprie case per prendere coscien-za di una delle più antiche leggi che istituiscono, regolano, e sono il senso stesso di essere in una società che vuole dirsi “evoluta”: il BenEssere è vero quando è la felicità di tutti, la solidarietà c’è quando ci si sente società, è l’essere dove c’è bi-sogno senza chiedersi perché non c’è qualcun altro a sgobbare gratis al proprio posto, ma soltanto aiutare con naturalezza. Ieri come oggi vediamo che da qualsiasi comunità in cui ci sia squilibrio, divisione e tensione, siano famiglie, regioni o stati, deriva ulteriore squilibrio per chi è prossimo. Viceversa da dove c’è vero BenEssere, relazioni vere e accoglienza deriva serenità e felicità per tutti i vicini. È necessario però mettersi in gioco, vivere l’esperienza del diverso, del disagio e della sofferenza per comprendere a fondo questa “regola”, in modo da poter vivere, oltre che pensare, non più al singolare ma al plurale. L & G per me è stato un bel contenitore di “vita” di questo tipo, un incontro importante su questa strada.Tutte quelle iniziative che consentono ai giovani di fare que-sto tipo di esperienze sono molto più rivoluzionarie di mille ottime idee…e ora… Lunga vita a GPL, discendente diretto di L&G!Giacomo

OPERATIVITÀ:Inizialmente si è cercato di costituire il gruppo L&G at-traverso la realizzazione di 5 gruppi focus (1 in una scuo-la media, 1 in una scuola superiore, 1 in un’associazione sportiva, 1 in un’associazione sindacale, 1 in un gruppo non formale) nei quali si individuassero le linee guida e gli obiettivi del progetto (cosiddetto coinvolgimento “dal basso”), in particolar modo: quali diritti considerare in modo particolare, con quali strumenti coinvolgere il terri-torio nel percorso e con quali modalità pratiche favorire la promozione della giustizia.In questa fase sono state svolte numerose attività organiz-zative nelle quali sono stati coinvolti sin da subito i giovani: contatti con le scuole coinvolte, gruppi informali giovanili coinvolti, associazioni coinvolte, allestimento Focus, rea-lizzazione dei 5 Gruppi Focus di costituzione del proget-to ed elaborazione di quanto emerso insieme con giovani rappresentanti dei 5 gruppi.

A seguito della costituzione del gruppo si è passati alla fase del coinvolgimento attivo, rivolta ai ragazzi dai 18 ai 25 anni, che ha visto la realizzazione di una decina di gruppi focus in vari “spazi di vita giovanili” (scuole, associazioni, imprese ed enti di apprendimento non formali) con i se-guenti obiettivi:• A partire dalla Carta dei diritti fondamentali (Nizza 2000), creare un documento con i diritti soglia ritenuti indispensabili per ogni cittadino. I ragazzi sfruttando la propria creatività e le proprie competenze hanno riletto e riproposto delle nuove parole giuridiche, così come la vivo-no e la interpretano i giovani. • Lavorare su attività e modalità che promuovessero la giu-stizia a livello locale e globale, trasformando i diritti soglia

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formulati sulla carta in azioni concrete di impegno sociale e politico di solidarietà. Anche questa azione è stata pen-sata dal locale al globale. In questa fase sono intervenute per collaborare a livello operativo e di elaborazione le As-sociazioni di Volontariato coinvolte nel progetto.• Costituire, a partire dai giovani proponenti il progetto e

dai partecipanti ai focus, il gruppo ristretto che lavorasse sul doppio canale di riflessione sulla dignità dei vulnerabili

e di promozione di giustizia ed accoglienza mediante azioni

concrete.

Al termine di questa fase si è giunti alla creazione di un gruppo ristretto di giovani che, diventato stabile nel tem-po, ha elaborato i materiali fin qui prodotti e ha partecipa-to ad un percorso di formazione socio-politica.

A questo punto del percorso sono stati coinvolti circa 20 giovani tra i 18 e i 28 anni provenienti dai gruppi che ave-vamo incontrato realizzando i gruppi focus dando il via a quello che poi sarebbe stato il nucleo di partenza di L&G.Con un incontro ogni due settimane, impostato sull’ap-profondimento di temi d’attualità (immigrazione, lavoro, informazione…) e successivamente mirato alla ricerca dell’attività pratica da svolgere insieme per dare prova concreta dell’appartenenza al progetto, avevamo stabilito dei legami che avrebbero assicurato il valore aggiunto della

dimensione gruppo a qualsiasi nostra azione successiva. Questa fase prevedeva la restituzione alla cittadinanza da parte dei giovani del lavoro svolto sia a livello culturale-politico, sia a livello pratico-sociale.A tal fine sono stati messi a disposizione dei ragazzi stru-menti più vicini alle loro modalità espressive che sono stati usati per esprimere liberamente commenti, emozioni, idee emerse sul tema dei diritti e della giustizia. Tutto il mate-

riale, gli spunti, le proposte emerse sono stati raccolti e rielaborati dai ragazzi con l’aiuto di operatori del Gruppo Vulcano e poi passati ai formatori del gruppo GIOLLI di Reggio Emilia, esperti di “Tecniche di Teatro dell’ Oppres-so” che hanno proposto al gruppo un laboratorio teatrale volto alla costruzione di un teatro forum nel quale i ragazzi potessero impersonare, e quindi raccontare, i protagonisti delle storie che avevano vissuto o di cui avevano sentito parlare in relazione a temi di Cittadinanza. E’ stato realizzato il dvd “Esperimento di Teatro dell’Op-presso nel quartiere Rondò Brenta”

Quando mi è stato chiesto di scrivere questo piccolo testo ho avuto un momento di “scompenso”.Cosa potevo dire sul caro vecchio L&G? Poi mi è venuto in men-te il cerchio che abbiamo fatto durante il corso di “teatro dell’op-presso”, ogni persona camminava e provava a mettersi nei panni di qualcun’altro che era passato per la sua strada, durante la sua vita....mi sono venute in mente le statue delle emozioni, mi sono venute in pancia le emozioni che si provano quando cerchi di capire cosa c’è nel cuore e nella mente dell’altro.Credo di essermi tenuta in tasca dei sassolini del L&G che ogni tanto si fanno sentire. Ho portato a casa con me l’insegnamento che tante volte prima di giudicare, commentare, dare aria alla bocca bisogna pensare a chi si ha davanti. E’ una cosa difficile, non è semplice capire come si può sentire un bambino escluso, un genitore che non riesce a pagare i libri del figlio, ma basta pensa-re un istante a come si sentono quel bambino o quel papà. Credo sia stato per me un momento importante dove ho provato con mano che si può essere empatici anche senza dovere fare grossi sforzi, basta guardarsi dentro e non aver paura dell’altro o di quello che è diverso da te.Nicole

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IL SENSO:Legalità & Giustizia nasce dall’esigenza di mettere in pra-tica anni di riflessioni, discussioni, esperienze dirette, che vogliono dare cittadinanza a tutte quelle persone che vi-vono nei nostri contesti e non hanno riconoscimento. Il percorso ha come obiettivo finale la convivenza civile tra gli abitanti di uno stesso territorio per arrivare al benesse-re inteso come «[…] lo stato emotivo, mentale, fisico, so-ciale e spirituale di ben-essere che consente alle persone di raggiungere e mantenere il loro potenziale personale nella società.»8

«Il tutto parte da un’opportunità da dare ai giovani, sono loro i protagonisti. L’idea è che il protagonismo giovanile dovrebbe essere la prassi nei contesti in cui vivono i ragazzi e le ragazze, anche se spesso vengono relegati a ruoli mar-ginali, di contorno, sono etichettati e raramente avvicinati nel vero senso della parola. Spesso, purtroppo, nel loro tempo libero sono subissati di proposte incentrate quasi esclusivamente sul divertimento. Sono i ragazzi e le ragaz-ze che stanno intorno a noi la possibilità per il nostro fu-turo, per il nostro non il loro. Il loro è il presente costante e imperterrito presente, presente collegato a immediato»9.

Con questo progetto prende il via uno stile di crescita/ edu-cazione/ animazione adattato alla velocità e compressione del nostro tempo. Alcune modalità e forme innovative del progetto sono state le seguenti:Il coinvolgimento diretto dei giovani nella gestione del per-corso, il coinvolgimento non è stato di tipo consultivo, ma è stata una vera e propria progettazione partecipata.

Sono stati coinvolti i giovani in tutte le fasi del progetto, dalla costituzione, alla realizzazione, all’elaborazione, alla restituzione.È stata incentivato un lavoro di rete sia nella fase prelimi-nare (Gruppi Focus in diversi spazi di vita giovanili, for-mali ed informali, pubblici e privati), sia nella fase centrale (ancora con i Focus e con lavoro congiunto del gruppo di rappresentanza e dei gruppi del territorio coinvolti nel progetto), sia nella fase finale (con le azioni concrete in rete).È stata creata una forma istituzionale stabile di rappre-sentanza giovanile pensata per uno spazio di tempo plu-riennale e destinata a un continuo ricambio generazionale (sempre sotto i 30 anni). È stata data ai giovani la possibilità di sperimentare forme

di partecipazione, garantendo loro un percorso di forma-

zione socio-politica.È stata offerta la possibilità ai giovani di dire realmente ciò che pensano davanti ai politici, al territorio, alla citta-dinanza dopo un percorso serio e coerente di riflessione e di azione. L’esperienza costruita con il gruppo stabile dei ragazzi partecipanti al percorso ha messo in evidenza molti aspetti positivi che hanno lasciato lo spazio, in fase di rielabora-zione, a nostre riflessioni che, in particolare, hanno preso in considerazione lo sviluppo e quindi il futuro del gruppo stesso.Ci sembra importante sottolineare in questa parte dell’ana-lisi la spontaneità con la quale sono state impostate le diver-se azioni messe in atto. Sembrava che il percorso fosse ben chiaro soprattutto ai ragazzi che non hanno esitato a lan-ciarsi, ad esempio, nell’esperienza del laboratorio teatrale.Un’altra dimensione da sottolineare è il profilo dell’infor-

8 U. Galimberti, L’ospite inquietante, Feltrinelli Editore, 20079 U. Galimberti, L’ospite inquietante, (p. 146 e seguenti) Feltrinelli Editore, 2007

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malità che ha contraddistinto la partecipazione agli incon-tri. L’appartenenza al progetto passava attraverso l’instau-rarsi di relazioni significative tra animatori e ragazzi e tra i ragazzi stessi.Per questi motivi principalmente è risultato naturale il passaggio a gruppo territoriale aperto che potesse dare a chiunque lo volesse la possibilità di sperimentarsi, di co-noscere, di sporcarsi le mani nel mondo della giustizia del-la pace e della legalità.

L’analisi del contesto in cui ci si è mossi nel progetto L&G ha avuto come riferimento il territorio allargato in cui un individuo può vivere (comune, provincia) e l’ambiente fa-

miliare – esperienziale al quale una persona effettivamente partecipa.

Per quanto riguarda l’ambiente familiare ed esperenziale si è privilegiato, come già visto in Cittadinanza è Vo-lontariato, l’individuo all’organizzazione e si è cercato di lavorare con i giovani a partire dalle loro storie, dai loro vissuto e dalle tracce individuali che ognuno di noi segna nelle esperienze che vive.Per quanto riguarda il territorio allargato, possiamo ritrovare significative considerazioni generali, riguar-danti aspetti sociali, culturali, economici riscontrabili nel nostro territorio, nel volume “Il grigio oltre le siepi” a cura di F.Vallerani, M.Varotto – NuovaDimensione Edizioni.L&G nasce da queste convinzioni che ci hanno aiutato, negli anni, a definire il contesto relazionale/sociale in cui ogni individuo può esprimersi, sottolineando che ha subito un forte mutamento negli ultimi decenni:

• La popolazione si è vivacemente diversificata con la pre-senza di comunità di migranti che spendono parte della loro esistenza nel nostro “Sistema occidentale”. Questo , invece di essere colto come una opportunità di arricchire la cono-scenza , ad esempio di altri stili di vita diversi dal proprio, si è rivelato facile pretesto per intraprendere “campagne per la sicurezza degli italiani” (spesso, tra le altre cose, sola-mente mediatiche). • L’attuazione scoordinata di politiche di assetto territoriale

sotto il profilo urbanistico ha cambiato, in alcuni casi stra-volto, intere zone del territorio veneto.Basti sottolineare come dato eclatante il proliferare, nell’ul-timo decennio, di comitati spontanei di semplici cittadini (uno ogni cinque comuni delle province di Treviso, Vicenza e Padova, come riporta l’ aggiornamento del 2007 condotto dal Dipartimento dell’Università di Geografia di Padova su una mappatura del 1998 sulle trasformazioni del Veneto) sorti, il più delle volte per mancanza di trasparenza e comu-nicazione da parte delle istituzioni, per protestare contro decisioni di carattere paesaggistico – ambientali. • Altri “luoghi” meno architettonici o paesaggistici, ma non

per questo meno importanti per la socialità, come le piaz-ze, i centri giovanili o sociali, o quelli istituzionali come la parrocchia, la scuola, la cittadinanza (inteso come parteci-pazione alla vita della città) hanno radicalmente rivisto le loro funzioni originarie. In molti casi le esperienze maturate in decenni di vita di comunità sono andate perse, frantuma-te e soppiantate da nuovi modelli di sviluppo urbanistico e sociale. • Il mondo del lavoro ha subito una forte ondata concor-renziale, soprattutto in relazione allo sviluppo produttivo ed economico dei paesi del sud est asiatico, facendo emergere la scarsa competitività di un modello veneto basato sulla di-

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mensione famigliare della produzione del lavoro, con margini di sviluppo creativo limitati e, non ultimo, in balia di un siste-ma finanziario poco affidabile.

La lista potrebbe essere più lunga e particolareggiata per-ché molti ricercatori in questi anni hanno dato e conti-nuano a dare letture interessanti e preoccupanti allo stesso tempo. In ogni caso non vuole essere questo il luogo per affrontare discussioni su tematiche molto complesse e di difficile lettura. Ci bastano però per prendere spunto, per interpretare le necessità di chi ogni giorno frequenta e vive i nostri luoghi, soprattutto i giovani.Il progetto L&G, partendo da queste considerazioni, ha tentato di dare opportunità di partecipazione reale ai gio-vani, attraverso la co-costruzione di percorsi e la speri-mentazione in iniziative concrete.Mettendo insieme questi diversi tasselli, che definiscono in buona sostanza i confini entro i quali un giovane in-dividuo può ricercare un livello di benessere per se e per le persone a esso vicine, ha preso il via nel gruppo L&G la riflessione sulle modalità d’intervento che potevamo esprimere, come organizzazione giovanile, per affrontare e “rendere meno impattante” il cambiamento in atto, fa-vorendo l’integrazione e le relazioni tra le diverse compo-nenti del tessuto sociale: migranti e bassanesi, vulnerabili e giovani che vivono nell’agio, diverse generazioni.

E’ a partire da questa prima sperimentazione di gruppo stabile di rappresentanza giovanile che, nel dicembre 2006, nasce il Coordinamento Informale Giovanile GPL – per-

corsi di giustizia, pace e legalità.Ho partecipato all’esperienza di L&G a diciassette anni e da lì, dopo 2 anni, sono entrata nei percorsi GPL e ho avuto l´occasione di partecipare ad un viaggio in Kosovo nell´estate del 2007 con altri tre ragazzi. Si è trattato di un´esperienza molto importante: toccare con mano e vedere con i propri occhi le situazioni di povertà e i tristi risultati delle guerre di cui si sente parlare al telegiornale ci obbliga a prendere coscienza della vastità e della complessità del mondo che ci aspetta fuori della porta di casa. In Kosovo ho visto povertà e distruzione per la prima volta nella mia vita, ma ho co-nosciuto molte persone che credevano nella ricostruzione e davano il loro tempo e le proprie risorse ed energie per far cessare il razzismo tra serbi e albanesi almeno nelle giovani generazioni coinvolgendole in attività di vario genere. Que-sta meravigliosa esperienza mi ha insegnato che in tanti si può fare molto, addirittura costruire un centro giovanile, e che passo dopo passo si realizzano grandi sogni come quello di cancellare l´odio tra popoli che si son combattuti in pas-sato.Credo sia importante rendersi conto che non si è soli e che c´è sempre qualche cosa da fare per migliorare la vita di chi ci sta vicino e, di riflesso, la nostra. Nessuno ci chiede di essere eroi, ma solamente di tirar fuori noi stessi e dare del nostro meglio in piccoli gesti quotidiani che, raccolti tutti assieme, possono dare al mondo un altro aspetto.Ciascuno di noi dovrebbe sentirsi chiamato dalla sua stessa natura umana a rendersi utile dove altri suoi simili soffrono qualsiasi tipo di disagio.Miriam

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APPENDICE

Teatro dell’oppresso è una filosofia teatrale che comprende differenti tecniche create dal regista brasiliano Augusto Boal già direttore del teatro Arena di San Paolo. Le ac-comuna l’obiettivo di fornire strumenti di cambiamento personale, sociale e politico per tutti coloro si trovino in situazioni di oppressione.Ispirato alle idee di Paulo Freire ed al suo conosciuto trat-tato, La Pedagogia degli Oppressi, Il Teatro dell’Oppresso nasce in Brasile negli anni 70, in un clima di lotte operaie e contadine. In origine questo metodo era un mezzo per rendere coscienti le persone rispetto ai conflitti sociali. Nel suo passaggio in Europa il teatro dell’oppresso è stato uti-lizzato per lavorare sui conflitti personali.Il teatro e la recitazione hanno qui il fine di rappresentare le oppressioni quotidiane con l’intento di trovare strategie per la trasformazione dei conflitti.Oggigiorno si applica in tutto il mondo dove l’oppressione continua ad esistere sia in forme sottili che conclamate, principalmente come squilibrio di potere o esclusione so-ciale. Uno dei motivi della popolarità del TdO è l’idea di attivare lo spettatore ponendolo al centro del lavoro tea-trale, al fine di includere differenti rappresentazioni della realtà ed esplorarne possibili trasformazioni in forma cre-ativa e socializzata.

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2005 - 2010LA TERRA DI MEZZO

DESCRIZIONE DEL PERCORSO

Che cos’è il volontariato? Un esempio di contatto privile-giato con il disagio e la vulnerabilità o una pratica di cit-tadinanza fondata sull’esercizio consueto di relazioni con persone? Una relazione d’aiuto o un modo di garantire dei diritti? Significa fornire un servizio o perseguire giustizia? Come si collocano i giovani rispetto a queste domande ed a questi temi e soprattutto si può parlare di cittadinanza attiva e consapevole con ragazzi di 14-16 anni?. L’associazione “Gruppo Vulcano”, sulla scia di queste riflessioni ha tentato nel corso degli anni, di sperimenta-re e consolidare alcuni percorsi funzionali per parlare di volontariato con i giovani. Nell’anno 2005, infatti, nasce il progetto “Nuove generazioni di volontari – la Terra di Mezzo” il quale, fino ad oggi, anno 2009, si è rivelato uno strumento utile e interessante nel coinvolgere direttamen-te giovani, scuola e territorio attraverso pratiche di cittadi-nanza attiva.Sin dall’inizio, grazie al contributo del Centro Servizi per il Volontariato di Vicenza e della Regione Veneto, l’Asso-ciazione Gruppo Vulcano ha coordinato il percorso, svi-luppato in maniera complessa in tutto il territorio provin-ciale, con la partecipazione di alcune organizzazioni del privato sociale di Bassano e di altri comuni del vicentino.Per quanto riguarda i giovani nel contesto bassanese è stato possibile lavorare con gli studenti di otto scuole di Bassano (ITCG “Einaudi”, Liceo Scientifico “Da Ponte”,

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IPSIA “Scotton”, Liceo “Brocchi”, Liceo Artistico “Fa-bris”, ITIS “Fermi”, IPSAA Parolini e IPSSCST Remon-dini con ruolo di capofila), le quali già facevano parte di un progetto “Crescere insieme a scuola – alunni solidali”, nato sui temi di educazione e solidarietà tra pari.La scuola, che molto spesso fa da “contenitore” ai pro-getti, è stata scelta come attrice principale del percorso in quanto agenzia educativa fondamentale per i ragazzi che, a nostro parere, ha una grande forza nell’essere luogo di testimonianza di valori, possibilità di confronto reale e di educazione reciproca. Gli insegnanti referenti per ogni scuola sono stati coinvolti in prima persona sin dalla fase progettuale e, in seguito, si sono impegnati con competen-za e passione per tutto il triennio di progetto.Per quanto riguarda il territorio, le associazioni di volon-tariato della zona, hanno riconosciuto di essere poco co-nosciute nel contesto di appartenenza e hanno deciso di investire in questa direzione, a partire dai ragazzi e dalle ragazze del territorio. Un coordinamento di associazio-ni, legato al progetto Cittadinanza è Volontariato, deci-de allora che il progetto “Terra di Mezzo” può diventare un’occasione per mettere in contatto il mondo dell’asso-ciazionismo e i ragazzi in modo nuovo, originale e con un linguaggio più vicino a quello giovanile. Dall’anno 2005 le associazioni del territorio che hanno aderito al progetto sono cresciute sempre di più, sia a livello numerico (oggi la “rete della Terra di Mezzo” conta 40 associazioni) sia a livello di partecipazione effettiva alla realizzazione del percorso.

Sembrerà strano, ma gli incontri effettuati con persone com-petenti, mi hanno aperto un po’ la strada su un mondo che da tempo volevo scoprire: il volontariato.

E’ stato molto importante, infatti, secondo me, diventare un tutt’uno con il concetto di “cittadinanza attiva” e di “parte-cipazione”.Ho appreso che fare volontariato non consiste solo in un gesto o nell’aderire ad una iniziativa grande e famosa, questi eventi sono solo l’apice.Per poter fare con mano propria qualcosa di utile a se stessi e agli altri bisogna seguire un percorso, un percorso che ti porta a capire, a conoscere e a far conoscere i tuoi ideali, ciò in cui credi. Per essere un volontario, poi, si ha bisogno di una certa conti-nuità nelle azioni, soprattutto in quelle piccole.Oggi come oggi, se dici ad una persona “faccio volontariato” essa automaticamente pensa a qualche progetto per il sud del mondo, a qualche raccolta fondi, ecc ecc. Anch’io prima di aderire a questo progetto la pensavo un po’ in questo modo, nel senso che quando ho detto ai miei genitori che avrei fre-quentato un corso di volontariato già pensavo a grandi cose. Ma poi, prendendo parte agli incontri su temi come giustizia, pace, legalità, cittadinanza attiva, conoscenza e sporcarsi le mani, sono stata ricondotta al senso della parola e del con-cetto volontariato.Il dizionario, alla parola volontariato dice: “attività volontaria e gratuita svolta a favore di terzi”. Non è però specificato chi sono i “terzi”. Tutti possono rientrare in questa categoria. Il volontariato quindi, non parte dalle grandi azioni, anzi, vede come punto di partenza la quotidianità. Salutare i vicini, raccogliere la penna caduta al tuo compagno di classe, aiu-tare un’anziana con la spesa, sostenere un amico in difficol-tà, raccogliere una carta per terra, insomma, non c’è bisogno di prendere parte a grandi iniziative o essere membri di grandi gruppi per essere un “volontario”. Probabilmente sono riuscita a diventare effettiva protagoni-

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sta di quanto si è fatto in questa “Terra di mezzo” grazie alla fiducia che gli adulti hanno riposto in noi giovani. Hanno la-sciato spazio alle idee e potrei anche dire all’esuberanza tipica di noi giovani, non facendoci mai mancare un appoggio sicuro e una mano sempre aperta e disponibile a darci un aiuto. E’ bello sapere che alcuni adulti ci vedono come risorsa e come fonte di energie piuttosto che come un problema o una malat-tia. Sapere di essere presi in considerazione da loro, sapere che essi contano su di noi e sui nostri ideali, ci dà una marcia in più, una marcia che ci permette di sporcarci le mani e di crescere dal punto di vista personale”.Chiara

Fase operativa. Articolazione del progetto in annualità.

ANNO 2005/2006 - LA TERRA DI MEZZO -Già in fase progettuale si è costituito un gruppo di lavoro di animatori-educatori i quali, nella fase iniziale del per-corso, hanno condotto, all’interno di alcune mattinate di scuola, un corso di formazione rivolto agli studenti coinvol-ti sui temi di volontariato, partecipazione e cittadinanza. Attraverso attività individuali e di gruppo i ragazzi hanno affrontato principalmente il concetto di volontariato spon-taneo e quotidiano che ognuno di noi effettua giornalmente senza quasi accorgersene, il volontariato che assiste (farsi carico dei vulnerabili, di chi è temporaneamente o stabil-mente più fragile, delle caratteristiche “deboli” di una per-sona) e il volontariato che denuncia, ingiustizie ed inadem-pienze di vario tipo.Si è cercato di valorizzare al massimo questi ragazzi attri-buendo loro il ruolo di cittadini responsabili, risorse in-dispensabili per poter sperimentare, assieme, pratiche di

volontariato giovanile.In seguito agli incontri di formazione “teorica”, sempre all’interno di una mattinata scolastica, i partecipanti del corso hanno potuto conoscere le associazioni di volonta-riato del territorio le quali si sono presentate spiegando agli studenti il ruolo del volontario al loro interno e dando vita a quella che da quel momento in poi si è chiamata “Presentazione delle associazioni”. I ragazzi, infatti, suc-cessivamente, hanno scelto ed effettuato un’esperienza

come volontari all’interno dell’associazione scelta, per poi ritrovarsi a scuola, assieme agli educatori, a rappresentar-la in modo simbolico (es. con una foto, con uno slogan, con un disegno, con una frase, un video….). Le diverse rappresentazioni hanno dato vita ad un volume originale, la “Mappa Giovane”, autentica testimonianza della real-tà associazionistica del territorio, conosciuta ed esperita dai ragazzi stessi. Gli animatori-educatori hanno accom-pagnato i giovani durante l’intera esperienza incoraggian-doli ad una presa di responsabilità e autonomia ma con-temporaneamente ponendosi come adulti di riferimento. L’esperienza nelle associazioni si è rivelata vincente, tanto che alcuni dei ragazzi hanno proseguito l’attività di volon-tariato nei gruppi conosciuti durante nel percorso durante l’estate mentre altri sono diventati volontari a tempo pie-no nell’associazione conosciuta durante il progetto.Il 30 settembre 2006 si è tenuta la giornata finale del pro-getto a Vicenza dove i ragazzi hanno presentato la loro mappa giovane e il loro “viaggio” nel mondo del volonta-riato ad un formatore che, attraverso il suo intervento, ha valorizzato il loro lavoro riuscendo a coglierne e ad espli-citare gli aspetti di senso più significativi. L’evento finale realizzato a Vicenza è stato un’occasione per rilanciare il progetto per l’anno scolastico 2006/2007 valorizzando i ra-

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gazzi del primo anno come “volàno” e come collegamento per i compagni. I ragazzi coinvolti si sono rivelati abilissi-mi comunicatori e testimoni di valori e pratiche, creando, in un modo del tutto spontaneo e “fresco” una sorta di “cultura giovane del volontariato” in grado di coinvolgere altri coetanei.

ANNO SCOLASTICO 2006/2007 - ACCOMPAGNATORI DI STORIE -Il progetto “Terra di Mezzo”, in questo secondo anno, è diventato “Accompagnatori di storie”, titolo che sottolinea l’intrecciarsi di storie e di relazioni che hanno caratteriz-zato e caratterizzano l’intero percorso. Le iscrizioni sono state numerose, le domande addirittura superiore ai posti previsti. Molti dei ragazzi iscritti avevano sentito parlare del progetto durante l’anno precedente. Ancora una volta la diffusione e la comunicazione del lavoro svolto ad opera dei giovani si è rivelato un ottimo strumento per dare vi-sibilità e continuità al progetto il quale, pur mantenendo la struttura del primo anno racchiude in sé alcuni cambia-menti significativi. Dai ragazzi è emerso il bisogno di uno sforzo sempre mag-giore volto a coinvolgere in quel che si fa (anche solo a livello di informazione) la totalità delle realtà interessate (es. tutti i ragazzi delle scuole, tutti gli insegnanti, tutte le Associa-zioni del territorio), agevolare un collegamento diretto tra scuola e mondo del volontariato in maniera tale da puntare gradualmente a processi di interazione autonomi a favore dei giovani tra questi 2 mondi. Dai ragazzi stessi infine è emerso il desiderio di poter svolgere esperienze concrete in associazioni per un periodo più significativo riuscendo magari a sperimentarsi anche in più di un’organizzazione. L’esigenza di “sporcarsi le mani” per i giovani, ossia di fare

pratica, è stato uno dei punti salienti del progetto emerso più volte in fase di valutazione. Il progetto ha quindi visto il potenziamento della rete con il coinvolgimento di un’altra scuola (IPSAA Parolini), l’al-largamento della rete di associazioni e la partecipazione di gruppi informali giovanili al percorso (in tutto più di 30 gruppi) e la partecipazione di 80 ragazzi (10 per ogni scuo-la) che hanno lavorato divisi in 2 gruppi. Gli incontri di formazione con i ragazzi e quello di cono-scenza delle associazioni sono stati mantenuti, così come l’esperienza concreta. Fin dal primo anno, infatti, ci si è accorti dell’importanza di accostare gli aspetti teorici del volontariato a quelli più pratici in nome di una trasmissio-ne di valori pregni di testimonianza. A differenza dell’anno precedente i partecipanti quest’anno hanno avuto la pos-sibilità di scegliere tra un’esperienza breve di conoscenza e un’esperienza lunga di volontariato (da 35 a 100 ore). Circa il 55% dei ragazzi ha effettuato quella lunga; i giovani, inol-tre hanno avuto la possibilità di svolgere un’esperienza di volontariato in estate, sia nelle associazioni conosciute du-rante il percorso, sia inserendosi in attività “speciali” estive (CREC, ferie, viaggi, pulizie dei boschi, campi lavoro….). Un’altra innovazione importante di questo secondo anno è stata l’incontro congiunto tra scuole e associazioni realizza-to il 28 novembre 2006. Il confronto diretto tra insegnanti e associazioni ha permesso il superamento di molti stereotipi e una conoscenza reciproca più approfondita. L’evento finale del progetto, realizzato il 9 giugno 2007, è stata una festa, svolta al Centro Giovanile di Bassano, aper-ta a tutti i protagonisti del progetto. Si sono intervallati: l’ intervento del formatore che aveva concluso il percorso il primo anno, un concerto organizzato da alcuni ragazzi del-le scuole partecipanti e un asta decrescente a fini benefici.

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ANNO SCOLASTICO 2007/2008 - LE CITTÀ INVISIBILI -Per il terzo anno si è scelto il titolo suggerito dal celebre libro di Calvino: “Le città invisibili”. Le città invisibili del volontariato che si fanno carico del disagio, delle difficoltà e dei bisogni di un territorio, le città invisibili di migliaia di persone che investono il loro tempo con e per gli altri, le città invisibili di gruppi, associazioni ed organizzazioni che operano delicatamente e silenziosamente producendo cambiamenti sociali inestimabili.Il nuovo percorso si è fondato sulle riflessioni emerse dalle valutazioni fatte con ragazzi, associazioni ed insegnanti nel mese di maggio del 2007.I contenuti più rilevanti emersi dai ragazzi riguardavano essenzialmente il desiderio di mantenere le esperienze di volontariato, a loro parere, indispensabili per toccare con mano le realtà del territorio e per potersi mettere alla pro-va, in prima persona, individualmente per la collettività. Gli insegnanti avevano invece chiesto un anticipo crono-logico nello svolgimento dello stesso in quanto in maggio iniziano molti stages scolastici e gli alunni sono molto im-pegnati nello studio.Le associazioni da parte loro hanno notato una crescita di consapevolezza dei ragazzi nelle esperienze quasi come se, in qualche modo, essere al 3° anno di progetto abbia già dato un po’ di storia allo stesso. Hanno condiviso con i ragazzi il bisogno di esperienze di volontariato più lunghe, e perciò più pregnanti e significative.Sulla base di queste considerazioni il progetto è andato incontro ad alcune evoluzioni.Il gruppo di insegnanti referenti, ormai consolidato ed esperto del percorso, ha collaborato fattivamente sia in fase di programmazione delle attività sia in fase operativa. Le associazioni di volontariato sono state responsabilizza-

te sempre di più affidando direttamente a loro la gestione delle esperienze concrete, la durata e le modalità delle stes-se. Sempre le associazioni, inoltre, hanno proposto insie-me ai ragazzi una nuova gestione della giornata della Pre-sentazione delle Associazioni molto più snella e proficua per il dialogo tra referenti del volontariato e studenti. I ragazzi hanno iniziato ad essere maggiormente protago-nisti nella gestione del percorso. In ognuna delle 8 scuole coinvolte sono stati creati degli staff di ragazzi motivati, sia appartenenti ai percorsi precedenti sia nuovi, che, ac-compagnati e sostenuti da un tutor, si sono occupati di organizzare per le proprie scuole il percorso di sperimen-tazione concreta di esperienze di volontariato in associa-zioni, iniziative di volontariato rivolte a tutta la scuola, occasioni di ricaduta del progetto per gli altri ragazzi (ad es. durante le assemblee di istituto, attraverso laboratori in classe con associazioni di volontariato…).

ANNO SCOLASTICO 2008/2009 E 2009/2010 - TERRA DI MEZZO -Il progetto, al termine del triennio sperimentale, è tornato al nome originario “Terra di Mezzo” e ha mantenuto le azioni progettuali ormai consolidate negli anni (due mat-tinate di formazione, spiegazione del progetto, presenta-zione delle associazioni, organizzazione delle esperienze di volontariato); puntando sempre di più sull’aumento del protagonismo dei ragazzi e degli altri attori coinvol-ti (insegnanti, associazioni) nella gestione del progetto e coinvolgendoli molto anche in orario extrascolastico. Gli incontri di staff si sono rivelati un’ottima opportunità per i ragazzi i quali, individualmente e in gruppo hanno po-tuto verificare i punti di forza e i nodi critici del percorso assumendosi sempre maggiori responsabilità, rimanendo

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comunque all’interno di un contesto informale.L’annata scolastica 2009/2010, durante la quale stiamo ul-timando la scrittura di questo testo, ha visto raddoppiare le richieste dei ragazzi portandoci ad estendere la nostra rete di associazioni e di opportunità, per permettere a 170 ragazzi tra i 16 e i 18 anni di entrare in questa “Terra di Mezzo”.Una simile richiesta ci ha indotto a interrogarci sulle mo-tivazioni di un simile boom: è un aumento contingente ed isolato dettato dalla casualità, è effetto del passaparola tra i giovani degli ultimi anni, è sintomo di una prima “resi-stenza” di ragazzi e ragazze ad un clima sociale, politico e culturale che, in maniera e in misura desolante, sta sem-pre più ritirandosi dalla cultura dei diritti verso la cultura dell’iperconsumo, trattando i diritti come privilegi, le vit-time come colpevoli e i bisogni come merce?Con ogni probabilità sarà la storia dei prossimi 10 anni a darci risposte, a noi non resta che formulare ipotesi positi-ve e proseguire responsabilmente.

La nostra esperienza con la “Terra di Mezzo” ci ha porta-te ad affiancare delle giovani madri con i loro bambini che vengono accolte in una casa famiglia. Anche qui la diversità rappresentava un elemento sia di forte unione che di contro-versie. Il primo impatto fu un po’ difficoltoso perché in strut-ture “protette” come quella non si è abituati a relazionarsi con l’esterno. Infatti, soprattutto durante il tirocinio, è stato impegnativo conquistare la fiducia delle mamme che, con il passare del tempo, hanno trovato in noi oltre a delle sem-plici volontarie anche delle amiche con le quali confidarsi e scherzare. Anche se è un’esperienza che potrebbe avere i suoi aspetti negativi, ovvero dover seguire delle situazioni serie e delicate, trascorrere molto tempo con loro è stato utile per-

ché abbiamo ben imparato che non bisogna mai giudicare le persone basandosi solo sull’aspetto estetico o sul colore della pelle ma che è necessario prima conoscere la loro sto-ria e personalità. Quest’anno trascorso lo terremo sempre nel cuore per le splendide ragazze che abbiamo incontrato e per la dimostrazione d’affetto che esse hanno sempre avuto verso i rispettivi figli nonostante i vari problemi che potevano ostacolare la loro felicità (da quelli economici a quelli fami-liari o relativi all’ètà).Giulia

IL SENSODopo cinque anni possiamo affermare che il lavorare as-sieme, attraverso il coordinamento di realtà diverse, si è rivelato vincente. Promuovere collegamenti e relazioni tra diversi protagonisti del territorio (giovani, scuole, territo-

rio…) pare essere la strada giusta per creare dinamiche proficue e generatrici di mutamento sociale. Il confronto, l’approfondimento e la collaborazione tra questi mondi, a volte così distanti, diventa testimonianza di un modo di lavorare che, D.Luigi Ciotti del Gruppo Abele di Torino, definisce un “lavorare sulle E non sulle O”10. Uscire dai propri confini, trovare delle modalità per costruire una prassi condivisa nella forma e negli ideali, è indice di una preziosa consapevolezza, ovvero che “il centro della nostra attenzione non sono i nostri gruppi o le nostre istituzioni ma sono le persone verso le quelli cerchiamo di metterci in gioco11”. Proprio per questo motivo si è cercato di coinvolgere pro-gressivamente gli attori coinvolti nella rete del progetto.

10 Intervista a Luigi Ciotti di Anna Pizzo, Cantieri Sociali, maggio 200411 Don Luigi Ciotti abstract dall’intervento alla presentazione del corso bassanese “Volontariato e cittadinanza”

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Il coinvolgimento delle associazioni è cresciuto molto nel triennio. E’ stato positivo interrogarsi insieme a loro sugli sviluppi e le criticità del percorso al termine di ogni anno di sperimentazione.Si è rivelato, inoltre, molto utile il coinvolgimento progres-

sivo degli insegnanti nel corso degli anni. Per i ragazzi, inol-tre, è stato fondamentale essere sostenuti ed accompagnati da insegnanti che hanno condiviso con loro un percorso di responsabilità e cittadinanza, di partecipazione alla vita sociale del territorio, dimostrando come la scuola possa

essere luogo in cui trovano spazio impegno individuale ma

anche collettivo.

Un aspetto sicuramente rilevante, all’interno di questa progettualità, è stata l’attenzione dimostrata verso le nuo-

ve generazioni, le quali hanno potuto partecipare con un grado di responsabilità e imprenditività sempre maggiori, in un clima di conoscenza e fiducia reciproca costruite nel tempo. Attraverso le formazioni e gli incontri con le associazioni si è tentato di utilizzare un linguaggio che potesse avvici-nare i giovani, anziché allontanarli, potenziando al massi-mo la loro capacità di comunicazione e diffusione di infor-mazioni tra pari. I partecipanti, infatti, si sono dimostrati in grado di farsi generatori di un sapere, una nuova cultura del volontariato, e di poterlo trasmettere ai coetanei dan-do vita ad un apprendimento collettivo.Si è dimostrato, inoltre, essenziale puntare molto sulla fase

esperenziale e concreta del progetto. I giovani hanno gradi-to moltissimo un tipo di conoscenza legata all’esperienza. “C’è un mare di parole che ci circondano, ma quello di cui c’è veramente bisogno è che ad esse si accompagnino la continuità e la coerenza del fare12”. Il progetto è riusci-to a far sperimentare a ragazzi e ragazze, attraverso una

testimonianza concreta, un volontariato come pratica di

cittadinanza e di partecipazione attivando rapporti e rela-zioni autentiche nella propria comunità (istituzioni, scuo-le, associazioni di volontariato, realtà locali, famiglie). E’ riuscito inoltre a promuovere e rendere visibile al territorio lo sguardo giovane e l’impegno concreto sui temi legati al volontariato. La formazione calata nel fare ha voluto riaffermare il grande valore che ha per noi la conoscen-za, indispensabile per riuscire a leggere i cambiamenti e le nuove realtà che ci circondano, in quanto, come afferma Ciotti, “Educare vuol dire conoscere, come cittadini, come volontari, tutti abbiamo bisogno di attrezzarci per poter conoscere13”. E’ la cultura che genera conoscenza e consa-pevolezza, condizioni indispensabili per giovani cittadini che vivono e operano nella propria città, perché, “tutti noi dobbiamo impegnarci per mettere il maggior numero di persone in condizione di vedere e non solo di guardare, di ascoltare e non solo di sentire, di capire e non solo di sapere. In troppi vedono senza guardare, sentono senza ascoltare, sanno senza capire14”.L’accompagnamento dei ragazzi da parte degli educatori, insegnanti e tutor delle associazioni ha permesso loro di sperimentarsi in un percorso di crescita personale e auto-nomia, proprio perché affiancati da adulti competenti in grado di offrire un’ampia gamma di strumenti più che ri-sposte preconfezionate.Il responsabilizzare i ragazzi mantenendo un contesto in-formale è risultato vincente per riuscire a creare percorsi e

12 Don Luigi Ciotti abstract dall’intervento alla presentazione del corso bassanese “Volontariato e cittadinanza”13 Don Luigi Ciotti abstract dall’intervento alla presentazione del corso bassanese “Volontariato e cittadinanza”14 Don Luigi Ciotti abstract dall’intervento alla presentazione del corso bassanese “Volontariato e cittadinanza”

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non appartenenze. I giovani che hanno partecipato al pro-getto nel tempo non sono stati sempre gli stessi; l’obietti-vo, infatti, di rinnovare di anno in anno i partecipanti, an-ziché creare gruppi stabili e strutturati è stato pienamente raggiunto e ha caratterizzato l’intero processo.Nel tempo sono stati coinvolti, con consapevolezza, an-che i ragazzi di scuole professionali e non solamente quelli appartenenti a Licei o a Scuole Sociali. Il coinvolgimento di questi ragazzi in progetti di volontariato e di cittadinan-za solidale risulta indubbiamente più complesso per gli operatori, anche a causa dei mille impegni dei ragazzi (ad esempio lunghi periodi di stage lavorativi), ma riteniamo indispensabile continuare a lavorare anche con questo tipo di giovani. I numeri in Italia rispetto ad esperienze di scuo-la e volontariato parlano di una partecipazione di Licei ed Istituti Tecnici molto più alta rispetto a quella di Scuole Professionali. Il tentativo del progetto è di invertire questa tendenza: il volontariato è un diritto per tutti i ragazzi di qualunque scuola.

“E’ necessario sporcarsi le mani”, questa è una delle prime frasi che ci sono state dette una volta iniziate le riunioni con Terre di Mezzo. E mi è rimasta fortemente impressa nella memoria.In realtà lì per lì mi ha lasciata un pò perplessa. La prima cosa a cui ho pensato è stata la terra, quella terra morbida e fertile che se coltivata in modo corretto può dare buoni frutti e grandi soddisfazioni.Poi ci è stato spiegato che noi siamo cittadini, idea che a me risultava ancora più bizzarra ed estranea. Non mi ero mai sentita parte attiva della comunità, e più in generale dello stato.“Cittadino è colui che è originario, abitante e/o residente

in uno stato e del quale possiede la cittadinanza avendone i conseguenti diritti e i doveri” detto così sembra una concetto freddo e distante. Ma non lo è affatto. Gli organizzatori ci hanno coinvolto e seguito passo passo in questo progetto fa-cendoci capire che il cittadino è innanzitutto quell’individuo che agisce con le sue mani nel territorio in cui si trova, che si impegna per le persone che gli stanno attorno, che cerca di migliorare i luoghi e le situazioni a lui vicine. E lo fa spor-candosi le mani. Arrivati a questo punto era sorto in me un dubbio: “l’agente macchiatore delle nostre candide estremi-tà” qual è?Di certo non la terra morbida e fertile sopra citata, ma qual-cosa di molto simile che è noto al secolo col nome di volonta-riato! Non sarà un terriccio umido e scuro ma dà sicuramen-te buoni frutti e grandi soddisfazioni. Io l’ho sperimentato nella “Casa a Colori”, entrando in contatto con bambini e ragazzi immigrati, che in alcuni casi non parlavano nemme-no l’italiano, e sono veramente molto grata a queste persone, perchè mi hanno fatto scoprire tante cose, dandomi la possi-bilità di guardare il tutto da una diversa prospettiva, e quindi di crescere sperimentandomi veramente e finalmente da vero cittadino per la mia comunità.Eva.

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2007 - 2010SOCIAL DAY

DESCRIZIONE DEL PERCORSO

L’idea del Social day

In questi anni abbiamo incontrato molti giovani de-siderosi di darsi da fare per gli altri, molti giovani con spiccate inclinazioni alla solidarietà, molti ragazzi e ra-gazze alla ricerca di un impegno sociale. Dall’altro lato abbiamo conosciuto una società capace di lucrare anche su missioni umanitarie, una parte del mondo del volon-tariato impegnata spesso più a fare beneficenza (o carità) che solidarietà, più a fare assistenzialismo che effettivo sviluppo.L’idea di un “Social Day” è nata da questa rete di relazio-ni e da numerose esperienze che ci hanno testimoniato la forte volontà dei ragazzi di promuovere percorsi effettivi di partecipazione, ideati e gestiti dalle giovani generazio-ni troppo spesso, a torto, tacciate e accusate di indifferen-za o peggio di egoismo e individualismo.Così, quando abbiamo letto del Social Day in un articolo di “Repubblica” nell’estate del 2006, la notizia ci ha da subito affascinato e, per questo, alcuni di noi sono anda-ti in Kosovo a visitare un progetto di SHL15 (un Centro Giovanile a Rahovec) e ad informarci meglio su quanto descritto nell’articolo. L’iniziativa in questione, nata in Scandinavia negli anni ’60, successivamente ripresa nel 1998 in Germania e chiamata “Social Day”, prevede-va l’impegno diretto degli studenti delle scuole di ogni

ordine e grado in una giornata di lavoro al posto della normale attività scolastica. Tutti i ragazzi, dai piccoli delle elementari ai grandi delle superiori, si “sporcava-no le mani” andando a lavorare per un giorno (tagliare l’erba, lavare le macchine, pulire i magazzini, pitturare muri, baby sitter…per i piccoli feste, vendita dei lavoretti, marce benefiche…) e con i proventi di quella giornata si organizzavano progetti umanitari nell’Europa dell’est (in particolare nella ex Yugoslavia): costruzione di scuole, di centri giovanili, di campi sportivi…e negli ultimi anni veri e propri progetti di Cooperazione e Sviluppo. Dalla rielaborazione del progetto tedesco è nata la nostra pro-posta che mira ad adeguare le caratteristiche del Social Day della Germania al nostro contesto locale. Il Social Day bassanese mira ad incentivare un processo capace di produrre mutamento sociale; non un semplice evento pe-riodico sporadico, ma un percorso in grado di proporre a tutti i ragazzi una sperimentazione diretta del volonta-riato: non “mettere mano” al portafoglio ma sporcarsi le mani16, lavorando per gli altri. Sperimentazione diretta che per noi non significa inviare i soldi raccolti ad un’as-sociazione, ma rendere i ragazzi protagonisti effettivi del progetto di solidarietà che si intende finanziare, questo per favorire la partecipazione diretta dei giovani ad ogni fase del percorso.Da tali presupposti è scaturita l’idea progettuale im-prontata sui concetti di giustizia, di pace e di legalità e la successiva nascita del Coordinamento informale GPL (percorsi di giustizia, pace e legalità) formato da alcu-ni giovani particolarmente attivi nell’organizzazione del Social Day.

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16 Lo “slogan” è ripreso da una affermazione di Don Luigi Ciotti «Le parole sono stanche, è tempo di sporcarsi le mani».

15 SHL, Schüler Helfen Leben, associazione tedesca ideatrice e responsabile del Social day in Germania.

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Alla prima esperienza del Social Day non avevo idea della grandezza che avrebbe avuto poi per centinaia di ragazzi e per la cittadinanza. Fin dall’ inizio della mia esperienza mi ha accompagnato un’ espressione: “ giustizia è quando ti in-digni per il torto subito da qualcun altro”. Questa è stata una cosa che ho dovuto imparare, era oneroso poter dire di aver raccolto dei soldi per un paese tanzaniano ma è sta-to molto più difficile capire davvero cosa significava aiutare qualcuno.Credo sia facile avere un po’ di presunzione e superiorità all’ inizio quando ci si rapporta con persone meno fortuna-te ma non è questione di sentirsi bravi o migliori di altri dopo aver fatto volontariato.Il Social Day è stata per me un’ occasione per matura-re e rendermi conto che i volontari impegnati in questo per-corso hanno molto da insegnarci e hanno una visione diversa del mondo, un altro paio di occhiali.L’ atteggiamento che mi accompagna è quello dell’ umiltà … e ho ancora molta strada da fare, per mia fortuna ho mol-ti esempi attorno a me che mi aiutano.Io penso che il volontariato sia una scelta di vita, una scelta di cittadinanza che condiziona il modo di relazionarti con tutte le persone e di gestire la tua vita; credo anche che il la-voro che facciamo non sarà mai abbastanza, ci sarà sempre qualcosa da migliorare o qualcuno da aiutare. È un servizio che facciamo alla nostra comunità, locale e globale, in con-testi anonimi e con semplicità.Far questo mi ha permesso di mettere in gioco ciò in cui credevo e speravo; coinvolgere nostri coetanei e vedere con quando entusiasmo partecipavano mi ha reso soddisfatta e fiduciosa.Eleonora

LA STRADA VERSO IL SOCIAL DAYIl Social Day di per sé dura un giorno, un sabato in cui i ragazzi e le ragazze delle scuole lavorano durante la mat-tinata e nel pomeriggio si aggiungono i giovani dei gruppi informali del territorio. Le attività realizzate sono preva-lentemente lavori manuali: sgombero cantine, pulizia aree verdi, tinteggiatura di locali, giardinaggio, lavaggio auto, pulizia di ambienti (negozi, librerie...), preparazione e vendita torte, baby-sitting, volantinaggio, ecc. Nel Social Day la partecipazione dei giovani avviene su due livelli: nel primo un gruppetto ristretto di ragazzi partecipa ad un percorso formativo e poi alla giornata del Social Day, nel secondo i ragazzi partecipano solo alla giornata del Social Day. Il percorso di formazione antecedente è dura-to, nel 2007 da gennaio a maggio, nel 2008, 2009 e 2010 da novembre ad aprile. In questo progetto i ragazzi possono scegliere un’attività per il Social Day che sia in linea con le loro attitudini, con il loro percorso scolastico, con i loro interessi specifici, liberamente. Per es. un paio di ragazzi dell’istituto agrario hanno scelto di svolgere il Social Day presso una fattoria che vede impegnate persone con disabi-lità psichica, potendo così mettere effettivamente in cam-po le competenze tecniche acquisite a scuola. Altri hanno potuto sperimentarsi nell’ideazione grafica dei volantini di promozione del progetto o nell’aspetto più organizzativo della giornata, sempre potendo scegliere spontaneamente.

OPERATIVITÀIl Social Day è un’iniziativa che dal 2007 è andata ad in-nestarsi nel percorso di formazione già esistente “La Terra di Mezzo”.Nel 2007 (prima edizione) gli operatori dell’ass. Vulcano hanno lavorato per 4-5 incontri con circa 30 ragazzi del

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Liceo Scientifico “Da Ponte” di Bassano del Grappa pro-venienti da un corso di formazione sul volontariato tenuto nei mesi precedenti. A questi ragazzi sono stati proposti percorsi ed informazioni sui temi di giustizia, pace e le-galità al fine di arrivare a cogliere e a condividere con gli operatori il senso del Social Day. Contemporaneamen-te i ragazzi hanno lavorato per la realizzazione concreta dell’evento: richiesta permessi/autorizzazioni, creazione del materiale informativo e di pubblicizzazione da diffon-dere fra i compagni di scuola, reclutamento di altri ragazzi della scuola per farli partecipare alla mattinata, reperi-mento sul territorio dei lavoretti da fare, ecc.Nella seconda edizione (2008) il progetto ha previsto al-cune aggiunte significative: innanzi tutto un percorso di formazione più ampio sui temi del volontariato, della giu-stizia, della pace e della legalità (da novembre ad aprile) con i ragazzi, divisi per scuole, in gruppetti denomina-ti “staff”. In questi “staff” i ragazzi sono stati coinvolti nella rielaborazione dell’esperienza di volontariato (Terra di Mezzo) e nell’organizzazione della giornata del Social Day con le stesse modalità dell’anno precedente.Nella terza edizione (2009) sono state coinvolte anche le scuole elementari e medie del bassanese, i 3 Circoli Di-dattici e le Scuole Medie Vittorelli e Bellavitis, e numerosi gruppi informali del territorio (squadre sportive, compa-gnie informali, gruppi parrocchiali…). Con tutti i gruppi coinvolti (classi o altro) è stata effettuata un’attività di for-mazione sui diritti e sui temi del volontariato, della giusti-zia, della pace e della legalità.

Il 4 Aprile 2009 abbiamo partecipato a una giornata alter-nativa nella quale “ci siamo sporcate le mani” con lo scopo di raccogliere denaro che poi sarebbe stato inviato ai Pa-

esi più poveri. Come noi, tanti altri ragazzi del bassanese si sono resi disponibili in questa esperienza. È stato molto soddisfacente dedicarsi a un’attività manuale e vedere nel nostro piccolo il risultato concreto. L’impegno in questo contesto lavorativo ci ha anche portate ad avere un’idea di come potrebbe essere il futuro nel campo del lavoro, al di là dello studio. Inoltre, ci ha ripagate il fatto che molti giovani, giudicati al giorno d’oggi superficiali ed egoisti, si siano de-dicati al fine di conoscere e aiutare realtà lontane e diverse dalla nostra. Questa giornata è risultata molto istruttiva ed è molto importante ripeterla cosicché ogni anno sempre un maggior numero di ragazzi partecipino e scoprano la diversi-tà che sta alla base del nostro mondo.Laura

Nella quarta edizione del 17 aprile 2010, che sta prenden-do vita mentre va in stampa questo testo, il Social day bas-sanese ha visto l’allargamento ad altri comuni quali Nove, Cartigliano, Marostica, Vallata, Cassola, con il conse-guente aumento di ragazzi e ragazze coinvolti che portano nuova linfa ad un percorso in continuo divenire.E’ stato, inoltre, a livello sperimentale, ampliato a livello provinciale con la partecipazione di scuole e contesti in-formali di Vicenza, Schio, Thiene, ArzignanoNelle quattro edizioni il “Social Day” si è svolto di sabato mattina (12 maggio 2007, 19 aprile 2008, 4 aprile 2009 e 17 aprile 2010), il primo anno coinvolgendo solo ragazzi pro-venienti da una scuola superiore, il secondo con ragazzi di otto scuole superiori, il terzo con 13 scuole (elementari, medie e superiori) e con i gruppi informali che hanno la-vorato anche il pomeriggio e il quarto con una possibile base di più di 40 scuole e 40 contesti informali in tutta la provincia.

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I ragazzi hanno, prevalentemente, lavorato nel territorio dell’Ulss 3 presso, famiglie, imprese, comuni, oratori, as-sociazioni, riuscendo così a coinvolgere più soggetti, sia della sfera privata che di quella pubblica. Tutti i lavori sono stati ricompensati con una piccola cifra devoluta poi alla costruzione di un politecnico per i giovani della dioce-si di Njombe in Tanzania, di una Scuola per Bambini tri-bali in India e al sostegno di un’Associazione per bambini lavoratori in Bolivia (20.000 € nel triennio 2007/2009).Ogni anno viene organizzato un viaggio presso i proget-ti finanziati per assicurare la partecipazione e lo scambio diretto tra gli stessi e i giovani bassanesi. Anche in questo caso l’idea è di incentivare nei ragazzi partecipazione con-creta e diretta ai percorsi che si finanziano nel Mondo: il legame tra Bassano e questi Paesi non consiste nell’offer-ta sporadica dei fondi del Social Day, ma punta ad essere continuo e stabile.

Nel 2008 e nel 2009 ho avuto la possibilità di andare in Tan-zania in uno dei progetti sostenuti dal Social day e più preci-samente a visitare il Politecnico di Njombe che sta crescen-do anche grazie al supporto dei ragazzi e delle ragazze che partecipano, ormai da 3 anni, e che si “sporcano le mani” in questa giornata. Vedere e toccare con mano quello che sta crescendo grazie a questi aiuti è stata una grande emozione che mi ha fatto riflettere molto e soprattutto mi ha fatto ca-pire che con dei piccoli gesti si può far molto per persone che hanno poche se non nulle possibilità di realizzare i loro sogni e le loro ambizioni, i quali consistono semplicemente in una vita normale e dignitosa e hanno bisogno di mezzi e strutture che possano permettere loro tutto ciò.Il paragone è stato immediato: i ragazzi che “si sporcano le mani” facendo lavori che comunque sono utili per la società,

ma non indispensabili, per aiutare dei ragazzi i quali inve-ce lavorano per costruirsi una scuola dove poter studiare e crescere.Noi spesso guardiamo “l’erba del vicino” che si dice essere sempre più verde ed invece non guardiamo oltre, dietro l’an-golo, dove ci sono quelle persone che non hanno nemmeno un giardino nel quale far crescere l’erba e dove poter giocare sere-ni e questo perché è fuori dalla portata della nostra “vista”.Con il Social day è stato possibile in qualche modo guarda-re lontano a partire dai nostri territori e dal nostro micro e “sporcarsi le mani” per i nostri vicini/non vicini.Il senso che ho trovato partecipando al Social day sta pro-prio nel fatto che non necessariamente per aiutare qualcu-no bisogna farlo direttamente di persona (anche perché non sempre è possibile), ma lo si può fare anche “ingegnandosi” facendo qualcosa di utile vicino a casa, nel proprio palaz-zo, nel proprio quartiere, ecc. Anche così e possibile aiutare bambini e ragazzi distanti migliaia di km, ma molto vicini in quanto persone con uguali diritti e sogni.Simone

IL SENSOSinteticamente, a nostro parere, i risultati più significativi dell’esperienza del Social Day sono stati:• l’aver promosso nel territorio una esperienza di solidarie-tà correlata ad una raccolta fondi che ha visto centinaia di ragazzi partecipare attivamente e da protagonisti ad ogni fase della realizzazione del progetto, ragazzi che “si sono sporcati le mani” per coetanei che non conoscono, che vi-vono nel sud del mondo.• l’intergenerazionalità (adulti che lavorano a fianco di

ragazzi) e la territorialità del progetto (tutta l’area del bassanese è stata coinvolta)

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• la cifra raccolta

• gli “echi” che questa esperienza ha prodotto: ragazzi che

sono rimasti nelle associazioni a fare volontariato, ragazzi che hanno partecipato ad altri progetti delle varie associa-zioni, la rete territoriale che si amplia conscia della bontà dell’iniziativa.

Ai ragazzi che hanno preso parte al progetto è stata data la possibilità di sperimentarsi in una azione di solidarietà rivolta al proprio territorio e di “entrare” da protagonisti nel mondo del volontariato. Per quanto riguarda il mon-do degli adulti crediamo che essi, almeno per un giorno, abbiano potuto constatare direttamente che ci sono mol-

tissimi giovani che hanno voglia di impegnarsi per gli altri e che meritano di essere responsabilizzati. Questo, simboli-camente, è un piccolo passo orientato a scardinare alcuni luoghi comuni sui giovani “che non hanno voglia di fare niente” o “che pensano solo a loro stessi”, luoghi comuni che purtroppo spesso portano a confondere delle rappre-sentazioni fuorviate della realtà con la realtà stessa.Il progetto ha creato sicuramente dei legami, in primis fra le associazioni di volontariato, tanto che andremo a ripro-porre il progetto per la quarta volta, e fra noi e le scuole che ora conoscono bene il progetto e stanno dando spazio valido ai temi che trattiamo, riconoscendoli come attività formativa.Decisamente significativo è stato il legame creato con i ragazzi partecipanti. Molti di loro non solo continuano attivamente a partecipare al Social Day ma hanno deciso di andare oltre, di proseguire nel volontariato e/o di far parte, di partecipare, ad altri progetti della nostra associa-zione o del Coordinamento informale GPL. Il Social Day dà, a nostro parere, la possibilità a molti ragazzi, con sto-

rie e percorsi scolastici diversissimi, di sperimentarsi nel mondo del volontariato, di avere un approccio concreto a temi quali la cittadinanza attiva e partecipe, la conoscenza del proprio territorio in tema di risorse e di componenti (per es. le associazioni di volontariato), di dar vita ad un evento lavorandoci dall’interno, costruendolo da protago-nisti passo passo con gli adulti.Dal punto di vista più prettamente operativo, questa pro-gettualità, nella sua globalità, ha fatto sì che più compo-nenti della realtà in cui viviamo collaborassero attivamen-te, ognuno con compiti specifici: le associazioni, le scuole, le famiglie, il pubblico, soggetti privati/pubblici.

Il poter scegliere liberamente un ambito dove svolgere un’esperienza di volontariato o come lavorare alla costru-zione del Social Day evidenzia un aspetto, a nostro avvi-so, fortemente significativo e nel contempo essenziale per questo tipo di progettualità: l’accessibilità a tutti e a vari livelli. L’accessibilità consiste nel permettere la partecipa-zione ad ogni ragazza e ragazzo che lo chiede, tutti posso-no partecipare perchè, all’interno delle molteplici azioni previste, c’è, con la stessa importanza, sia la dimensione del fare pratico, manuale, sia quella più intellettuale, or-ganizzativa, di gestione. Lo sviluppo di iniziative in senso così trasversale e la modalità fondamentalmente gruppale, di cooperative learning con cui si realizzano, favorisce la partecipazione anche di ragazzi che vivono un particolare momento di vulnerabilità o di esclusione sociale (perchè sono stranieri, perchè vivono in comunità d’accoglienza o in famiglie affidatarie, perchè vivono percorsi scolastici fallimentari...), i quali riescono a mettere in campo le loro competenze riuscendo così a concretizzare, senza tituban-ze, la convinzione che siamo sempre tutti cittadini a fianco

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di altri cittadini, sicuramente un punto cardine del nostro operare. «Troppo spesso le persone in difficoltà rimango-no chiuse nel loro problema specifico: sono immerse nel loro disagio al punto che non riescono ad entrare in co-municazione con gli altri. E’ importante permettere loro di incontrarsi [...] il ruolo dell’operatore è sostenere le reti so-ciali intorno a loro, sia valorizzando la rete nella quale già sono, sia attivando una rete nella quale le persone possano avere interazioni una con le altre. In altre parole, riteniamo che in un approccio sociale ai problemi quello che diviene importante è che le persone non siano inchiodate ad una condizione di “pazienti” ma possano esprimere una parola sulle loro condizioni sociali di esistenza e trovare un luogo dove questa parola sia accolta e considerata»17. Che ci sia “posto per tutti” all’interno di questo percorso non signi-fica dar vita ad un gran calderone dove tutto è ben accetto e tutto va bene, significa piuttosto lavorare continuamente nell’individuazione di momenti e di occasioni nei quali i ragazzi possano sperimentarsi e provare a rendersi prota-gonisti nel proprio territorio. Ecco che anche una breve esperienza di volontariato, a cui i ragazzi arrivano dopo la formazione, non deve essere letta come una esperienza “mordi e fuggi” ma l’opportunità di far muovere a dei gio-vanissimi i primi passi nella galassia dell’accoglienza, per cogliere l’importanza dell’accorgersi dell’altro e del valore della responsabilità di esserci, di partecipare, di proporre.

Pensare al volontariato come pratica alta di cittadinanza, ribadire che il volontariato agisce non solamente per forni-re “aiuto” a chi ne avesse bisogno, ma anche per affermare un esserci come diritto/dovere di cittadinanza accogliente,

solidale e impegnata nel perseguire il bene comune: questo è l’orizzonte di senso più forte dentro il quale si anima e af-fonda le sue radici una progettualità come il Social day. La convinzione di fondo che ci muove a rinnovare la proposta del Social day è che «[...] Tutti possiamo essere cittadini volontari, ovvero cittadini caratterizzati dalla solidarietà, persone e gruppi che tra i propri diritti di cittadinanza pre-vedono anche i diritti di dare, di donarsi, di essere soggetti di relazioni sociali umanizzanti, promozionali e liberanti. Essere cioè parte di un volontariato che condivida la pro-spettiva di costruire prossimità, comunità, socialità, cultu-ra e politica solidale, e di contrastare e superare qualun-que discriminazione18». Tale orizzonte di senso ci permette di organizzare le diverse attività e percorsi da noi proposti nell’ottica di dar vita ad una città solidale e sensibile, fatta di persone attente a ciò che le circonda e capaci di accor-gersi dell’altro, delle sue esigenze e problematicità.

Il Social day si articola e si sviluppa seguendo due diret-trici di senso fondanti: lo sporcarsi le mani e l’azione volon-

taria gratuita di chi opera con gli altri e per gli altri. Cosa significhi per noi sporcarsi le mani va rintracciato nelle parole di Luigi Ciotti: « [...] le “parole sono stanche”. O riusciamo a saldare le parole alla vita (e la vita alle parole) oppure non se ne esce. Abbiamo bisogno di parole vere: se parliamo di “pace” abbiamo bisogno di pace positiva e ba-sta; se parliamo di solidarietà deve essere chiaro che non parliamo di elemosina e lo stesso vale per i diritti, la le-galità, la giustizia. Siamo sommersi dalle parole, seminari assemblee discussioni che si fermano alle parole. Quello di cui abbiamo bisogno, invece, sono buone pratiche e soprat-

17 E. Enriquez, Per un’etica del Lavoro Sociale – orientamenti per l’azione (p. 35), in I Geki di Animazione Sociale, n° 5, anno 2007, Torino.

18 C.N.C.A Coordinamento Nazionale Comunità d’accoglienza (a cura di) , Di Nuovo volontariato, Comunità edizioni

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tutto esempi concreti. Ad ogni “dire” deve corrispondere il “fare”, perchè il fare è la grammatica basilare della giu-stizia. C’è un mare di parole che ci circondano, ma quello di cui c’è veramente bisogno è che ad esse si accompagnino la continuità e la coerenza del fare. La società civile si deve interrogare su questi temi senza fare sconti a nessuno19». Queste iniziative di solidarietà sono riaffermate dall’azione volontaria che noi intendiamo rimarcare con una serie di iniziative, di stili di vita, che dovrebbero essere “normali”, routine quotidiana. Accogliere un minore in difficoltà, ac-corgersi di chi va sostenuto e non abbandonato significa semplicemente essere “cittadini di una città umana”. Creare varie forme di cittadinanza solidale significa nulla più che impegnarsi a far dilagare il più possibile l’area dei diritti e dei doveri, poiché dà risalto alla dimensione della solida-rietà, della condivisione e dell’accoglienza. Chi condivide “vede” con uno sguardo dal basso le persone, le logiche e i sistemi relazionali, i diritti, il welfare funzionante o meno, fa attenzione ai servizi.«La gratuità come caratteristica essenziale e distintiva del volontariato che apporta un messaggio positivo sia a chi aiuta sia a chi viene aiutato nella relazione di sostegno e di promozione. Si espande nelle relazioni sociali, diventa con-viviale, va là dove si elaborano “nuove sapienze collettive” nelle quali si restituisce alle città e al territorio un modo “nuovo” di vedere l’altro, il detenuto o il forestiero o la per-sona con disabilità o con altre difficoltà della vita20».Questi valori della gratuità e del fare come sporcarsi le mani sono testimoniati dall’azione dei ragazzi tenendo ben presente che i valori non vanno semplicemente trasmessi

ma testimoniati.21

Tutto il nostro lavoro con le “nuove generazioni” ha l’am-bizioso obiettivo di creare mutamento all’interno delle città e questo passa anche attraverso la scelta non secondaria di lavorare all’interno delle scuole. A nostro parere lo svilup-po, nei giovani, di motivazioni etiche e solidarietà socia-le prende forma anche grazie all’importante incontro fra mondo della scuola e mondo del volontariato. E’ partendo da questa convinzione che negli ultimi anni assieme alle associazioni di volontariato abbiamo intensificato attività di promozione e di informazione all’interno delle scuole, incontrando docenti e studenti nella convinzione che le as-sociazioni debbano e possano assumere la complessità che comporta l’incontro con le scuole: essere cioè in grado di arricchire e trasformare le iniziative didattiche curriculari. La scuola, infatti, può e deve trovare nelle associazioni, nella loro esperienza fatta di comprensione e di accoglien-za, una fonte di arricchimento che integri percorsi di stu-dio, di riflessione e di rielaborazione culturale. La scuola, come il volontariato, agisce sulla centralità della persona e sull’importanza della comunità e del vivere sociale e allora le associazioni devono essere in grado di proporsi come vera e propria “agenzia educativa” capace di suggerire scel-te, di interagire con il Piano dell’offerta formativa, di in-serirsi nella progettazione di percorsi integrati, di offrire esperti sia sul piano metodologico che del contenuto. Se pensiamo infatti che i più giovani sono soggetti di per sé in formazione e che le esperienze in questi anni segnano in buona parte l’intero corso della vita, allora contribui-re alla loro crescita in quanto “cittadini attivi”, pare una finalità di grande rilievo, innanzitutto per ricostruire un rapporto positivo fra le azioni individuali ed il contesto che ci circonda.

19 Intervista a Luigi Ciotti di Anna Pizzo, Cantieri Sociali, maggio 200420 C.N.C.A, Di Nuovo volontariato, Comunità edizioni21 G. Tallone abstract dall’intervento alla presentazione del corso bassanese “Vo-lontariato e cittadinanza”

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Il nostro originario punto di partenza, ormai collocabile nell’anno 2000, diceva che la base associativa delle orga-nizzazioni invecchia, mentre la società diventa sempre più complessa. In apparenza sembra un motivo di stampo pri-vatistico, ma abbiamo visto insieme come la creazione di

una Città sicura, in quanto solidale e giusta, sia al contrario

questione collettiva e fondante del ben-essere sociale.

Per ultimo vorremmo soffermarci su un altro concetto che ritorna spesso nelle nostre diverse attività che è quello di identità, inteso come identità personale dei vissuti che incontriamo, in particolare dei giovani. In questi anni ab-biamo captato una forte richiesta di protagonismo, voglia di esserci che si esprime attraverso relazioni significative. I ragazzi chiedono, a partire dalla loro esperienza quotidia-na segnata da mille proposte e mille stimoli non sempre efficaci, di essere aiutati ad assumere e tradurre «...quelle “e” che vivono ogni giorno22» in grado di scardinare le “o” dell’esclusione e dell’emarginazione, quelle “o” che segna-no differenziazione e separazione, tentano, cioè di tenere assieme ciò che altri vorrebbero dividere.Diventa dunque fondamentale lavorare per creare situa-zioni, occasioni, dove i giovani, magari accompagnati da-gli adulti, possano cimentarsi in tal senso perché «la loro identità sarà segnata da queste “e”. Assumerle e provare a confrontarci con loro, su come realizzare questo difficile lavoro di regia non è solo il servizio che siamo chiamati a svolgere per loro; è anche il regalo che ci proviene da chi ha il coraggio di ascoltare quanti sono nati dopo di noi e vogliono, con noi, lasciare ai loro figli un mondo migliore di come l’hanno trovato23».

L’essenza del Social Day ha voluto esprimersi nell’ atto stes-so della partecipazione. Essa si è però manifestata in due forme differenti ma fondamentali: la prima è la partecipa-zione dei ragazzi che assieme hanno svolto i più svariati la-vori, la seconda è la partecipazione delle stesse attività svol-te dai ragazzi finalizzate alla realizzazione di un progetto più grande. Questa considerazione permette di individuare due livelli di intervento compiuti da una stessa cellula, ov-vero, l’ attivazione di un processo di cooperazione tra indivi-duo e territorio che genera autoriconoscimento e dall’ altro lato il decentramento di un’ attività, anche solo periferica, nell’ orizzonte più ampio dello sviluppo internazionale, ed è proprio in questo doppio effetto che può essere intesa la ric-chezza del Social Day. Così esso diviene coscienza di citta-dinanza e globalità, conoscenza delle problematiche sociali e contributo concreto alla loro soluzione. Basta pensare a quanto di inaspettato e sorprendente possa esserci nel solo pensare di poter ricevere un sorriso proveniente dall’ altra parte del mondo donandone uno al suolo e alla città che ci ha da sempre ospitato, per rendersi conto di quanto si possa in realtà oltrepassare, almeno nella nostra mente, quel pallido scarabocchio geografico quale è il confine.Edwin

22 Intervista a Luigi Ciotti di Anna Pizzo, Cantieri Sociali, maggio 2004 23 Intervista a Luigi Ciotti di Anna Pizzo, Cantieri Sociali, maggio 2004

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CHI SIAMO Il coordinamento GPL nasce dal lavoro di rete, finora de-scritto, di diverse organizzazioni formali ed informali del bassanese effettuato sui temi della partecipazione, della cittadinanza attiva e del volontariato giovanile.Il progetto riguarda l’attività di una rete composta da sem-plici cittadini, associazioni di volontariato e organizzazio-ni del terzo settore, dalla quale, nel Dicembre 2006, è nato un coordinamento comune chiamato “GPL – percorsi di Giustizia, Pace e Legalità” nel territorio di Bassano del Grappa e dei paesi limitrofi. Lo scopo è quello di creare dei “percorsi” attraverso cui le persone, i giovani in particolare, possano dar forma ad un nuovo modo di concepire il ruolo di cittadino, fondato su un’idea di giustizia, legalità e pace. Con i percorsi GPL ci si vuole posizionare in un contesto più “informale” di cittadinanza, senza dover creare delle apposite strutture o nuove associazioni, ma sfruttando le risorse, i canali, i contatti e la capacità già presenti. Il Coordinamento GPL è assolutamente informale e non si riferisce a Direttivi, Consigli di Amministrazione, Statu-ti o quant’altro. La partecipazione a GPL è libera, tempo-ranea e non vincolante.Progetta, organizza e gestisce direttamente eventi simbo-lici sulle tematiche suddette; le azioni progettate di anno in anno sono gestite da sottogruppi di GPL formati da giovani volontari.

GPL è stato pensato a partire dalla volontà di creare un “luogo”, non necessariamente fisico, dove ognuno si sen-tisse libero di poter dire la propria, di “sporcarsi le mani”, perchè effettivamente viene data la possibilità a chi vuole sperimentarsi praticamente, di vedere cose al di fuori del nostro contesto sociale e di vita, sia dal punto di vista pret-tamente geografico, ad esempio attraverso l’esperienza dei viaggi, sia dal punto di vista delle azioni locali che metto-no in relazione giovani e persone differenti.

I cittadini, ovvero coloro che partecipano alla vita di una società, non possono accontentarsi del carattere “astratto” di diritti e doveri loro propri, ma debbono pure concretizzare tali diritti e doveri in buone prassi affinché effettivamente i diritti e i doveri siano loro e propri, e non solo per asserzione teorica. Per vegliare sullo stato di salute del nostro essere cittadini occorre misurarsi costantemente con alcune domande: Conosco gli umani diritti? E conosco i doveri che ne corri-spondono?Con le mie azioni sto difendendo i diritti? Sto rispondendo ai miei doveri?Le occasioni offerte da esperienze come quelle proposte da GPL consentono la ricerca di risposte intorno a tali quesiti fondamentali. La cortesia nei confronti di una persona di un’altra città, la gratuità di un lavoro svolto con cura, l’in-crocio con gli occhi di qualcuno che dalla vita ha avuto altro rispetto a noi, sono tutte sostanza di un mirabile impegno di cittadinanza.Marco

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ATTIVITÀIl coordinamento GPL è quindi un gruppo informale nato con l’obiettivo di trovare uno spazio libero di confronto e di impegno sui temi della giustizia, della pace e della le-galità. I percorsi GPL sono accomunati dal desiderio di proporre un incontro tra persone, di attraversare luoghi nuovi, di promuovere accoglienza in relazione con storie e culture differenti.

Principali attività:

• i viaggi di scambio e conoscenza in vari Paesi del Mondo

(Tanzania, Kosovo e Brasile e altri);• l’ospitalità di giovani tanzaniani, kosovari e brasiliani (e

altri);• la partecipazione alla Giornata della memoria delle vit-time della mafia, organizzato dall’Associazione Libera-associazioni, nomi e numeri contro le mafie;• campi lavoro nel sud dell’Italia in terreni confiscati alla

Mafia dall’associazione Libera, nel CPA Sant’Anna di Cro-tone e altre esperienze di volontariato a livello nazionale;• la partecipazione e il sostegno organizzativo al “Social

Day”, evento che vede l’impegno diretto dei giovani in at-tività di raccolte fondi nel territorio, destinati a progetti nel sud del mondo;• il “Social year”, un’evoluzione del “Social day” che pre-vede un impegno di giovani volontari non per un solo giorno simbolico ma durante tutto l’anno, all’interno del-la propria quotidianità di vita;• la realizzazione di video e documentari sui temi di giusti-zia, pace e legalità;• mercatino del riuso e dei libri di testo usati;

• giornate territoriali della decrescita: giornate simboliche

con laboratori di decrescita (mercatini equosolidali e sul

consumo critico, laboratori artigianali, sul corretto utilizzo dell’acqua, sul riciclaggio…) tenuti da persone del territo-rio (artigiani, negozianti, falegnami, esperti, educatori…) e rivolti alle scuole del territorio e a tutta la cittadinanza.

LA STORIA La storia inizia nel 2000, quando alcune associazioni di Bassano del Grappa e un gruppo di giovani dai 17 ai 25 anni avvertono il bisogno di incontrarsi e di riflettere insie-me sulla risorsa volontariato. Ne nasce il Coordinamento stabile “Cittadinanza è volontariato”.Nel 2005 si avvia il progetto “Terra di Mezzo” per la sen-sibilizzazione alla partecipazione e al volontariato rivolto a ragazzi dai 14 ai 18 anni delle Scuole Superiori di tutta la provincia di Vicenza. Nell’area bassanese il progetto coinvolge una rete che nel 2009 arriva a contare 40 Orga-nizzazioni eterogenee per struttura e finalità, 13 scuole tra elementari, medie e superiori, e oltre 300 ragazzi in 4 anni che, dopo un percorso formativo, realizzano esperienze concrete di volontariato presso i soggetti della rete.Dal 2007 alcuni tra questi ragazzi organizzano e realizza-no il Social Day Bassanese, ispirandosi ad un’esperienza nata nel 1998 in Germania. L’iniziativa coinvolge in tre anni più di 1.500 ragazzi e ragazze del territorio.

Le proposte di GPL oltre al Social Day, si sviluppano su tre grandi temi ad ognuno dei quali si abbinano azioni concrete:Giustizia sociale: si contribuisce economicamente alla co-struzione di un Politecnico in Tanzania, si organizzano viaggi di scambio, accogliendo anche operatori africani per esperienze formative. Si organizzano eventi per promuovere la convivenza sociale tra diversità, si realizza un’esperienza

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di volontariato presso il CPA (Centro di Prima Accoglien-za) Sant’Anna di Crotone, il più grande d’Europa.Pace: si dà vita ad uno scambio formativo e culturale tra giovani italiani e giovani kosovari, serbi ed albanesi, di un Centro Giovanile a Rahoveç in Kosovo, costruito con il Social Day tedesco.Legalità: si partecipa ad iniziative e campi di lavoro orga-nizzati da soggetti del Sud Italia legati a “Libera – associa-zioni, nomi e numeri contro le mafie”. Dalla primavera 2007 si realizzano altre attività legate al riuso, al tema della decrescita, ai viaggi, all’informazione, al volontariato. Trasversalmente a tutto ciò si investe in maniera significa-tiva sulla comunicazione e un’informazione indipendente rispetto alle tematiche di GPL, attraverso un sito internet – www.percorsigpl.it – facebook, mailing list e la produ-zione di video, raccolte fotografiche e docu-film.

Le proposte di GPL, in continua evoluzione, prevedono per il futuro la creazione di altre opportunità di viag-gi sociali sia per gruppi di giovani sia per adulti e classi scolastiche; l’avvio di sperimentazioni rispetto a Gruppi di Acquisto Solidale e a ad una rete di solidarietà per le persone vulnerabili del territorio; progettazione europea coinvolgendo di volta in volta ragazzi e ragazze con mino-ri opportunità del territorio bassanese.

GPL è stato incontro di giovani-sconosciuti, persone che per caso hanno vissuto esperienze comuni. GPL ha significato riflessione e in-formazione, è stato riunioni e discussioni profonde: discorsi fatti in un clima di crescita, rispetto, cu-riosità di scoprire il valore delle idee altrui, ma sempre nella consapevolezza del grande progetto comune che volevamo

costruire all’inizio della scommessa, come ora.GPL è stato schede infinite di nomi di partecipanti alle mille attività promosse per sensibilizzare la comunità, voglia forte di far conoscere, di dare motivo di aggregazione e aiuto.GPL è stato per me un viaggio a Polistena, in Calabria, per lavorare i terreni sottratti ai mafiosi, per vivere la fatica del-la crescita responsabile, volendo approfondire la storia delle disuguaglianze italiane.GPL nelle scuole è invece entrato come Social Day, mo-mento di collaborazione e di vera intromissione della nostra “mission” nella quotidianità dei corridoi scolastici dei bam-bini, ragazzi e giovani adulti bassanesi.GPL è stato, ed è tuttora, racconti di vita, tramandati da culture diverse, per chi cerca di mettere a disposizione sol-tanto orecchie per ascoltare, mani per sostenere e pensieri, dedizione e apertura per costruire una società che sentiamo davvero come specchio di ciò che vorremmo essere.Martina

IL SENSO

Le parole chiave

Rete

L‘esistenza della rete, “Cittadinanza è volontariato” pri-ma e “Terra di Mezzo” poi, ha permesso a tutti i ragazzi di sperimentarsi in attività concrete di volontariato e, spesso, di diventare volontari a tempo pieno nel territorio. I con-tatti con le scuole dei soggetti della rete hanno poi agevola-to il coinvolgimento di tutti gli Istituti Scolastici superiori del territorio. La caratteristica della rete è di coinvolgere soggetti di diversa natura: Associazioni di volontariato, Enti del Privato sociale, Oratori, Gruppi informali, Strut-ture pubbliche.

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Accessibilità

Chiunque condivida un interesse per questi temi può par-tecipare a GPL. L’adesione è sempre volontaria e mai ob-bligatoria, nemmeno nelle iniziative rivolte ai ragazzi delle scuole, la partecipazione è costruita in maniera tale che l’impegno non sia necessariamente prolungato nel tempo, ma possa essere temporaneo.Sviluppo

E’ interessante come, a partire da progetti formali finan-ziati da Enti terzi, sia nato un Coordinamento spontaneo, informale e volutamente destrutturato come il GPL, capa-ce di coinvolgere giovani, anche minorenni, del territorio, di promuovere un lavoro di rete e di favorire rapporti pari-tari intergenerazionali tra ragazzi ed adulti, tra organizza-zioni formali e gruppi e giovani dell’informalità.Vantaggi

Oltre alla tutela dei beni comuni, alla partecipazione e al protagonismo giovanile, alla sensibilizzazione al volonta-riato, i percorsi GPL hanno il pregio di far conoscere e riconoscere una visione del mondo giovanile “sana e po-sitiva”, utile alla produzione futura di capitale sociale e fiducia. Il carattere informale di GPL ha permesso, inoltre, di coinvolgere positivamente ragazzi spesso ai margini della partecipazione, come gli studenti in difficoltà o i giovani in situazioni di disagio seguiti dalle Associazioni. Spesso sono proprio loro a rappresentare una risorsa significativa per il coordinamento.Condivisibilità

Con il termine “condivisibilità” si vuole sottlineare il fatto che la partecipazione di qualsiasi individuo ad un intervento di cittadinanza attiva non impedisce la con-temporanea partecipazione di chiunque altro. In questo

caso, la condivisibilità è piena. Essa diviene anzi un valore fondante di ogni azione intrapresa, perché è la condizione indispensabile affinché si possano realizzare momenti di integrazione. Principi Costituzionali di riferimento

L’articolo 2 della Costituzione afferma: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inde-rogabili di solidarietà politica economica e sociale”. Nel caso di GPL è evidente la connessione all’articolo 2, in particolare nel richiamo all’adempimento dei doveri in-derogabili di solidarietà sociale.Forte è inoltre il legame con il principio di legalità. Per rendere tutte le attività corrispondenti ad esso si è cercato di svolgerle correttamente e con la massima trasparenza possibile. La spinta motivazionale che in questi anni ha mosso i partecipanti dei Percorsi di GPL si ritrova nei det-tami espressi al 2° comma dell’art. 4 della Costituzione. Esso afferma che “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’atti-vità o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Le attività realizzate in questi anni nei vari percorsi di GPL hanno in comune una visio-ne di fondo secondo cui le azioni di ogni singolo individuo devono favorire il progresso dell’intera società, alla quale spetta di conseguenza il dovere di operare al fine di con-correre al pieno sviluppo della persona umana secondo quanto richiamato all’art. 3 comma 2.”L’uguaglianza “formale” e “sostanziale” espressa all’arti-colo 3 della Costituzione è il valore a cui implicitamente si ispira l’intero caso. Oltre ad essere il mezzo, essa diventa anche il fine di tutte le attività.

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Esperienze come tre settimane in Brasile, accolti in un centro di solidarietà internazionale, oppure una settimana a Croto-ne nel più grande Centro Accoglienza per immigrati d’Italia, o ancora la semplice partecipazione dal 2007 a oggi alla gior-nata in ricordo delle vittime di mafia organizzata da Libera, sono state tutte per me importantissime in questi anni.Spesso si crede, almeno io a 20 anni lo credevo, di poter in qualche modo contribuire a cambiare quel mondo che a me così come è non piace; a vent’anni hai la presunzione di poter cambiare quello che ti circonda senza provare a cambiare in primo luogo te stesso.Vivere queste esperienze di volontariato per me ha avuto un significato più alto del dare, perché nella possibilità di farlo. Ha voluto dire rimettermi in discussione e aprirmi a tutte le realtà incontrate verificando gli ideali e i valori sui quali sto costruendo il mio futuro .Ogni esperienza con GPL, vissuta in contesti diversi da quelli in cui vivo solitamente, mi ha permesso di crescere in primo luogo come persona e in secondo modo nel rapporto, nella disponibilità e nella competenza che posso offrire a chi mi incontra.Altro aspetto importante di queste esperienze è la possibilità di viverle in gruppo: così si riduce il rischio di adattare le situazioni incontrate al proprio punto di vista riuscendo invece ad ampliarlo grazie al contributo degli altri viaggiatori.In questo senso credo che esperienze come queste mi possano aiu-tare nel formarmi: come uomo e come cittadino consapevole.Edo

Due questioni inerenti al Coordinamento GPL su cui vo-gliamo porre l’accento riguardano i concetti di movimen-

tismo e di autorealizzazione dei giovani rispetto ai temi di

volontariato e partecipazione.

La sensazione è che sia vincente nel nostro contesto propor-re per i ragazzi percorsi temporanei in cui sentirsi protago-nisti attivi; accompagnare i ragazzi nell’evidenziare risorse e potenzialità spesso non valorizzate in altri contesti. La mission condivisa dai partecipanti di GPL è di investire sul diritto al diritto, nel senso che i bisogni delle persone vulnerabili divengano diritti, soggetto di giustizia, e non favori, oggetto di “volontariato”. Promuovere occasioni di partecipazione per ritrovare i ragazzi in percorsi e luoghi diversi, in progetti o contesti coordinati da attori sociali differenti, ma comunque capaci di contribuire a disegnare insieme alle giovani generazioni territori e paesi abili (per-ché allenati) nel promuovere giustizia. In qualche modo questo pare ben adattarsi alla “velocità” che connota la società moderna e le modalità che stanno sperimentando i giovani (e non solo loro) rispetto alla de-finizione d’identità, alla vita quotidiana, alla sperimenta-zione di esperienze.Spesso nel Volontariato organizzato vediamo persone che hanno investito gran parte della loro vita in un’associazio-ne o una “missione”. GPL investe su una generazione di ragazzi, per età o anche per l’evoluzione della società che vivono, sembrano incapaci di far questo. Appare sempre più chiaro però che questi “cittadini del futuro” avranno

identità definitesi in multi esperienze e, per questo, più ric-

che e complesse; e questo non deve essere per forza letto in chiave negativa.Don Ciotti tanti anni fa a Bassano ci disse: “il mio sogno è che il volontariato sparisca” e nel 2008 ci ha ripetuto a Montecatini “Il nostro obiettivo non è la solidarietà ma costruire condizioni di giustizia”.Forse anche a livello di volontariato il movimentismo e l’au-torealizzazione potrebbero essere un modo per avvicinarsi

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alla “sparizione” del volontariato inteso come tale verso una comunità locale fondata sulla cittadinanza e l’impegno. Utopicamente: “Non sono più disposto ad impegnarmi ani-ma e corpo in un’associazione di volontariato, ma le molte esperienze fatte hanno fatto di me un genitore solidale, un collega solidale, un imprenditore solidale, un amico solidale, un cittadino giusto, una persona responsabile…”GPL propone ai giovani percorsi a termine, micro esperienze

a rilevante valenza simbolica, contesti sperimentali, palestre

di cittadinanza. Tenta di aiutare i ragazzi a definirsi e de-finire il territorio in cui abitano (dal locale al globale) of-frendo loro possibilità di partecipare e di impegnarsi nella comunità (locale e globale).L’idea è di metter loro in tasca delle monetine, che forse si potranno rivelare utili in futuro e in altri contesti, uscen-do dalla dialettica impegno/disimpegno, responsabilità/irresponsabilità, coerenza/incoerenza, gratuità/reciprocità e promuovendo nei progetti proposti:• la partecipazione nel fare e nel pensare insieme, fortemen-te significante e significativa per i ragazzi;• relazioni intergenerazionali (fare insieme adulti e ragazzi),

• relazioni tra i diversi percorsi (anche se “leggere”);

• relazioni tra i diversi soggetti della comunità educante;

• abitare i diversi luoghi senza temere la nuova orizzontali-tà dei nostri territori (dalla scuola, al bar, all’oratorio, alle famiglie, alla discoteca…).

Ho iniziato a partecipare agli incontri di GPL perché mi rico-noscevo nella volontà di fare qualcosa di concreto che potesse migliorare il benessere di coloro che erano e sono meno fortu-nati di me. In quei mesi ero reduce da un viaggio e mi ero appena iscritto alla laurea specialistica.

Ero uscito dal contesto a cui da sempre appartenevo ed avevo iniziato ad aprire gli occhi sul mondo, rimanendone da un lato estremamente affascinato ma dall’altro abbastanza colpito a causa delle ingiustizie che avevo visto.Mi piaceva l’idea di fare qualcosa per cambiare il mondo e ritrovavo questa volontà nel gruppo di persone che apparte-nevano a GPL.Da subito mi sono calato nelle riflessioni, nei dubbi e nelle domande che emergevano nei nostri incontri. In particolare, posto che tutti noi volevamo provare a cambiare il nostro pez-zo di mondo, pensavo molto: come poterci riuscire? Fino ad allora mi capitava spesso di prestare attenzione ed appassionarmi ai grandi temi quali la povertà, la fame nel mondo, la politica, ecc. Adesso, a posteriori, mi rendo conto che mi mancava una sor-ta di collegamento tra queste macro-questioni e ciò che facevo io personalmente nella mia vita.È stato in quel momento che ho “scoperto” il tema della de-crescita, declinata in una dimensione personale. Mi ha dato veramente tanto incontrare delle persone che quotidianamen-te mettevano in pratica dei comportamenti concreti, umili, rispettosi dei tempi e degli spazi degli altri, anteponendo il benessere degli altri al loro.Contemporaneamente frequentavo l’università e studiavo etica, scelte sociali, economia e diritto. I docenti della mia facoltà appartenevano al filone dell’etica razionale e propo-nevano complicate teorie con cui si cercava per cercare di mo-dellizzare il comportamento umano sulla base di scelte auto interessate massimizzanti il benessere individuale.Nella mia testa si scontravano due approcci, uno molto teo-rico e astratto, l’altro estremamente concreto e relazionale. Ma la questione che mi premeva era sempre la stessa: come potevo io nel mio piccolo cambiare il mondo?!?

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Ho sempre creduto che i grandi cambiamenti nella società siano il frutto di tanti e piccoli cambiamenti nella vita di cia-scuno di noi, i quali si compongono in una sorta di equilibrio in grado di reggere nel corso del tempo. Un po’ alla volta mi sono fatto l’idea che i comportamenti e le scelte personali siano dettati dalle nostre aspettative sul futuro, dalle credenze che possediamo rispetto a determinati eventi, dalle nostre motivazioni e dalle nostre preferenze per-sonali. Riassumendo credevo e credo che per cambiare il mondo fosse necessario cambiare le suddette componenti, in particolare le credenze individuali e le motivazioni ad agire di ciascuno. Per questo fin da subito mi sono riconosciuto nel senso e nelle attività di GPL: - perché vanno dritte e dirette verso questa direzione. - perché il loro pensiero “alto” si concretizza nelle cose picco-le, concrete e umili. - perché le varie attività realizzate prestano molta attenzione alla cura delle relazioni personali e obbligano chiunque vi par-tecipi a “sporcarsi le mani” lasciando anche lo spazio ad altri per sperimentarsi e crescere.- perché sintetizzano perfettamente l’idea di agire localmente pensando globalmente. E tutto ciò dal mio punto di vista contribuisce moltissimo ad influenzare positivamente le credenze e le motivazioni indivi-duali, indirizzandole verso i temi della giustizia, della pace e della legalità. I principi su cui a mio parere dovrebbe basarsi il mondo ideale.Infine uno sguardo verso il futuro. Penso che chi fa parte di GPL voglia un mondo migliore e sia disposto ad impegnarsi in prima persona per questo. Ciò è un onore ma anche un onere, perché richiede una forte coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa. Ma è davvero stimolante

perché dà un obiettivo forte rispetto a ciò che si vuole essere e a ciò che si vuole fare nel proprio futuro.Fabio

GPL in questi anni si è evoluto e articolato in base alle

storie: storie dei ragazzi partecipanti, storie dei contesti che si abitano, storie dei Paesi e delle persone con cui si è venuti a contatto. Obiettivo di GPL è stato sin dall’inizio il cambiamento e a dettare le direzioni, le velocità e le mo-dalità del cambiamento sono state proprio le storie. L’in-tersecarsi delle passioni, delle attitudini e delle aspirazioni dei giovani protagonisti hanno, di volta in volta, disegnato nuovi scenari di partecipazione e di cittadinanza.La passione per i nuovi stili di vita legati alla decrescita, la conoscenza di giovani musulmani e ortodossi dell’Europa dell’est, la caparbietà di due giovani rispetto al progetto di costruzione del Politecnico in Tanzania, le parole e il ca-risma di Don Ciotti che scuotono ed indignano numerosi adolescenti bassanesi rispetto al tema delle mafie e dell’il-legalità. I percorsi GPL nascono e si sviluppano da queste esperienze, gettano semi, cambiano direzione, provocano i territori, aprono nuove strade, promuovono il cambia-mento a partire dai vissuti individuali di ciascuno.Le persone, e i giovani in particolare, abitano e gestiscono una complessità di azioni che, partendo dal singolo e dai contesti locali, si amplia verso una dimensione pubblica ed extranazionale, incentivando e promuovendo processi di

mutamento sociale dal basso.

Le attività di GPL hanno una forte connotazione e valen-za simbolica. Simbolo deriva da Symbolon, in greco, vuol dire segno – dal quale si riconosce, si argomenta, si presu-me –. Le attività di GPL puntano proprio a diventare dei segni dai quali si possano riconoscere e presumere i prin-

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cipi e i valori sottesi al fare, principi di giustizia, di pace e legalità. Partire dal fare per far conoscere e ri-conoscere.

Simbolo deriva anche dal verbo Symballo, composto di Syn, con-insieme e Ballo, getto-metto. La valenza simbo-lica dei percorsi GPL sta anche nel gettare dei semi e farlo insieme, in rete con altri soggetti, pubblici e privati, con altri ragazzi e ragazze, con altre persone al di là della pro-venienza specifica di ciascuno.Non operare da soli è elemento prioritario dei percorsi

GPL.

2006 - 2010 APPENDICE

APPENDICEI RACCONTI DEI VIAGGIATORI GPL

Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone. John Steinbeck

Troppa gente si occupa del senso. Mettetevi in cammino. Voi siete il senso e il cammino. Jean Sullivan, sacerdote cattolico

RIO DE JANEIRO - BRASILE Quartiere Grajaù.Giugno e luglio 2008É difficile esprimere delle sensazioni, passano molto di più per gli sguardi visto la deficienza del mio portoghe-se. Dopo pranzo giriamo in autobus per Rio, per renderci un po´conto della città: enorme, caotica, cambia faccia rapidamente. Le favelas dominano l´orizzonte delle colli-ne, tante cose viste: negozi, banche, autobus, taxi, tutto ti scorre; non so cosa mi ha impressionato, mi è rimasto un fiume di immagini su cui riflettere ancora per dire di averle viste. Ti ubriaca un pò, questa è stata la sensazione avuta oggi pomeriggio in queste 2 ore di autobus….Se ieri gli sguardi dei bambini si associavano a nomi, oggi quegli sguardi che si chiedevano chi fossimo erano senza un nome e forse per quello ti entravano ancor più dentro, anche se sapevi che di sicuro molti di quelli di certo non sono angioletti, ti dimentichi e li guardi solo nella loro uniforme, nel loro modo di viversi la loro età e pensi a quello che facevi tu alla loro età.É difficile collocare degli aggettivi a queste esperienze. Rio mi sembra tutto una contraddizione, anche il come la sto

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vivendo tra questo modo di vivere la giornata e la tran-quillità della casa dove abitiamo…La favelas non è mai come te l´aspetti. Qui le strade sono cementate, la gente è sempre in strada, c´è musica ovun-que. Ti accorgi di essere in favelas per la densità di popo-lazione, le case tutte attaccate l´una all´altra, per i bambini sempre in strada e perché devi sempre essere accompagna-to per andar in giro. Il traffico di droga è visibile per le persone che fanno da guardia costantemente nelle strade, per le moto che di continuo passano con gente anche ar-mata. E appunto ti accorgi perché vedi gente armata in cir-colazione. Ma sono talmente integrate nell´ambiente che velocemente non ci fai quasi più caso. La nostra accom-pagnatrice è un buon lasciapassare e nessuno ovviamente ci ha visto in modo negativo. Piuttosto apparivamo come degli alieni. Il tempo lo abbiamo trascorso andando casa per casa a salutare degli amici e a mangiare.Dal diario di Tobia

DIOCESI DI NJOMBE – TANZANIANovembre 2009Questo racconto è un collage di eventi, pensieri ed emozioni di Chiara, Eleonora, Simone e Fabio, un gruppo di giovani GPL che dal 4 al 12 Novembre 2009 si è recato in Tanza-nia a visitare il Politecnico finanziato negli ultimi 3 anni dal Social Day. Le sette costruzioni che compongono il cuore dell’edificio sono quasi ultimate e finalmente nei primi mesi del 2010 dovrebbero iniziare i corsi scolastici e l’accoglienza dei giovani studenti tanzaniani. Ore 3.00 del mattino.Pronto con le valigie in mano, agitatissimo e pieno di entu-siasmo nonostante per me sia la seconda volta che parto per la Tanzania. D’altronde in Africa non si può dare per scon-tato nulla, pur programmando, non si è mai certi che le cose vadano come prestabilito. Un viaggio lungo ci attende, ma dopo una serie di code, controlli e scali qua e là atterriamo nella capitale. Dar Es Salaam (Porto della Pace) con la sua aria calda e umida ci accoglie all’una di notte, insieme a John, la no-stra guida-autista-tuttofare. La città dorme, ma lungo le strade deserte si intravede qualche senzatetto sonnecchiare sui marciapiedi accanto alle baracche chiuse dei venditori. Poi l’arrivo in ostello e la stanchezza che prende il soprav-vento. Il mattino seguente lo scenario è completamente diverso. Tra Dalla-Dalla, clacson, grida del mercato e i colori can-gianti dei vestiti delle donne, ci siamo lasciati alle spalle la città per addentrarci nel cuore dell’ Africa. NgereNgere, Morogoro, Mikumi, Iringa, Mockamba-co,… Fin da subito, lungo la strada, abbiamo potuto cogliere vari spezzoni di vita quotidiana: bimbi in divisa che an-

APPENDICE APPENDICE

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davano e tornavano da scuola, le chiacchiere infinite degli uomini stesi all’ombra degli alberi, le bancarelle dei vendi-tori ambulanti e il camminare ondulante delle donne con le brocche colme d’acqua in equilibrio sulla testa. Il primo impatto non è semplice, un misto di tristezza e sporcizia. Al posto delle belle case occidentali con giardino e cuc-cia del cane, le pseudo-capanne che abbiamo visto sono composte essenzialmente da un pavimento in cemento, dei muri in mattone e un tetto in lamiera d’alluminio; questo è lo standard minimo che consente a coloro che ci abitano di allacciarsi alla rete elettrica. Purtroppo molte persone vivono ancora in capanne con pavimento in terra, muri composti da legno e fango, tet-to in paglia essiccata e il “giardino” pieno di immondizie gettate dai finestrini dei numerosi autobus e auto di pas-saggio.Tuttavia osservando più attentamente le persone, specie i bambini, che si incontrano nei pressi dei villaggi o lungo la strada, ci si accorge presto che dai loro volti traspare sempre un sorriso. Ti nascono mille domande tra cui forse la più spontanea: com’è possibile sorridere in questa si-tuazione? Ed era solo il primo giorno…Poi finalmente dopo più di 800km l’arrivo a Njombe. Njombe e il suo politecnico… Quel mattino Alfred Maluma, vescovo di Njombe, ci ha accolto con il sorriso. Credo fosse lieto di incontrarci. Con Veneranda ed Erasmo, suoi collaboratori, ci siamo diretti verso il luogo dove è stato costruito il Politecnico, un alti-piano molto bello non lontano da due fonti d’acqua. Mi sono resa conto di quanto fatto finora, non solo vedendo le file di mattoni rossi o il granito per terra, ma soprattutto

ascoltando le parole del Vescovo. Ci raccontava la non sem-plice situazione dei ragazzi tanzaniani. La maggior parte di loro, una volta finita la scuola dell’obbligo, si ritrova senza lavoro e senza nessuna professionalità da spendere, spesso costretta ad affrontare problematiche enormi che mettono a repentaglio la loro salute, in primis aids e malaria. Le sue parole ci hanno trasmesso l’idea di quanta impor-tanza assume una scuola in quel territorio. In momenti del genere ti senti spiazzato. Da una parte ti rendi conto di quale fortuna hai avuto nell’ essere nato in un posto dove questi problemi non esistono; dall’altra provi un senso di disagio e impotenza di fronte ad una situazione così complicata anche perché effettivamente non sei in grado di fare molto. Tuttavia il vescovo Maluma non ci ha lasciato con le mani in mano. La sua ricetta è piut-tosto semplice, ma lungimirante. Ci ha detto: “ragazzi, prin-cipalmente da voi non ci aspettiamo soldi, ciò di cui abbiamo più bisogno è istruzione, educazione e tecnologia”.

Il prosieguo del nostro viaggio ci ha portato a conoscere altri progetti realizzarti dal Cefa, un’ONG italiana che si occupa di realizzare in vari ambiti dei progetti di sviluppo e cooperazione. In campo agricolo abbiamo visitato l’ al-levamento di polli e maiali di Matembwe, un villaggio tra le strade sterrate della provincia di Njombe, dove si trova anche un centro femminile di formazione con annesso un laboratorio per la colorazione delle stoffe attraverso il me-todo del “tie&die”. Ad Ikondo, un villaggio disperso tra la montagne e le ver-dissime coltivazione di tè, abbiamo visitato una falegna-meria, un laboratorio di sartoria e una sorta di fabbrica in cui grazie ad una macchina donata da degli italiani si produce l’olio di semi di girasole.

APPENDICE APPENDICE

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Di ritorno a Njombe abbiamo visitato una latteria che, grazie al latte raccolto dagli allevatori della zona, produce yogurt, formaggi e latticini. Sono tutti progetti indirizzati alla responsabilizzazione dei lavoratori al fine di far cono-scere loro tecnologie e tecniche in grado di contribuire allo sviluppo della comunità locale. Un pomeriggio è capitato di trovarci in un locale e la situa-zione ci metteva piuttosto a disagio. Quando entri in un locale e ti accorgi di essere l’unico bianco presente ...beh lì puoi capire come si può sentire uno straniero qui da noi, anche se le situazioni sono ben diverse. Benché non ci sen-tissimo propriamente a nostro agio, le altre persone non sembravano minimamente preoccupate dalla nostra pre-senza, anzi se avessimo saputo qualche parola di swahili probabilmente avremmo socializzato. Facendo un paragone, qui da noi i pregiudizi nascono pri-ma dei saluti.Di ritorno a Makambako, agli sgoccioli del nostro viag-gio, abbiamo conosciuto Stefano e altri otto ragazzi italia-ni che stanno svolgendo il Servizio Civile Internazionale presso un orfanotrofio e un centro per la cura di bimbi disabili. Con loro abbiamo chiacchierato di questa espe-rienza, di ciò che fanno, delle loro impressioni e dei primi problemi “tecnici” affrontati, anche per poi promuovere questa iniziativa con le persone che conosciamo. E’ strano descrivere come l’iniziale tristezza ad un certo punto sia trasformata in una sorta di normalità. Mi accorgo che quello che prima mi rendeva triste erano le case fatiscen-ti e le condizioni non proprio confortanti ma non di sicuro i valori umani. A volte dimentichiamo che la vita non è fatta di sole cose materiali, ma di rapporti umani e devo dire che in questo bisognerebbe imparare molto da queste persone.

Qui abbiamo incontrato persone molto cordiali, disponibili ed ospitali che si aiutano l’uno con l’altra e non importa se questo significa dividersi l’ultimo goccio d’acqua dell’ultimo secchio rimasto a diposizione per aiutare il vicino.

I giorni sono trascorsi velocemente. Forse troppo. Giusto il tempo di ritornare a Dar Es Salaam, fermarci ai mercatini dell’ebano, immergere i piedi nell’oceano India-no e di nuovo in volo verso casa.Al ritorno la sensazione di confusione è stata dominante, vi-vere qui fisicamente ma essere ancora lì con la mente, non è cosa facile. Come in ogni viaggio quello che più ti rimane nel cuore sono le persone incontrate, dagli italiani che cambiano vita per prodigarsi per gli altri, ai bambini vivaci che popolano le strade rosse d’ Africa. Tutti sono stati dei grandi esempi per me e hanno contribuito a costruire una parte del senso a questo viaggio. Mi piacerebbe molto che coloro che in questi anni si sono accostati ai Percorsi GPL potessero loro stessi provare e toccare: il coraggio delle persone che davanti alla miseria e alla sofferenza non smettono di credere che nel loro paese qualcosa possa cambiare; la tenacia dei volontari nel portare avanti la propria scelta di vita; l’accoglienza e l’ospitalità delle persone sempre pronte ad offrire prima che a chiedere e poi Prisca, Eva, la piccola Thio, Norbert e tutti i tanzaniani incontrati perché sorridevano sempre, apprezzan-do quello che avevano.Da qui è facile parlare, molti sono i discorsi che si fanno, ma credetemi, tra sapere dell’esistenza di queste realtà e toccar-le e vederle, beh, c’è un abisso. Esempio banalissimo: lì non c’è acqua corrente, giusto? Bene, un conto è prendere atto della cosa un conto è avere i capelli sporchi per una setti-

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mana!! Ora effettivamente so cosa significa “lì non hanno acqua”.A Njombe ma non solo, abbiamo avuto la possibilità di con-frontarci con persone che si dedicano agli altri non solo nel tempo libero o come hobby, ma che hanno fatto una scelta di vita ed hanno avuto il coraggio di scegliere. Qualunque scelta, solo per il fatto di essere stata fatta, va rispettata, ma a mio avviso chi decide di far scivolare la propria vita in secondo piano per condividerla con altre persone, beh, ci vuole molto coraggio e forza di volontà.Una cosa è certa per decidere, qualunque decisione sia, bi-sogna essere consapevoli di tutte le possibilità che ci circon-dano e l’unico modo per farlo è conoscere, ma non solo a livello teorico, le parole sono importanti sì, come inizio pos-sono andare, ma poi bisogna mettere un freno alla lingua e agire, portare nel concreto tutti i grandi discorsi, insomma, SPORCARSI LE MANI.Personalmente, questo viaggio non poteva capitare in un mo-mento migliore. In questi anni sono chiamata a decidere del mio futuro, devo scegliere su cosa crearmi delle competenze per poi riuscire ad esprimerle in un futuro non molto lonta-no, sottoforma di un lavoro retribuito, ma questo l’ho capito solo dopo questo viaggio. Ora tra i mille dubbi che restano mi chiedo sempre più spes-so “Cosa voglio fare, veramente? A cosa voglio dare la pre-cedenza? Dalla parte di chi scelgo di stare?”Chiara, Eleonora, Simone e Fabio

RAHOVEC – KOSOVOCentro Giovanile Schueler Helfen Leben (SHL)Agosto 2009E` piuttosto naturale per noi ricchi europei associare alla parola Kosovo un immaginario di terre desolate senza luce alcuna, di persone povere e ignoranti, noi, accompagnati dalla musica allegra di matrimoni lunghi intere giornate abbiamo potuto confutare tale opinione. Tra moschee e monasteri ortodossi, tra byrek e vino prodotto dai mo-naci, abbiamo toccato con mano la ricchezza di questo paese dove coesistono culture, tradizioni e interpretazioni storiche diametralmente opposte, dove gli uni vietano la rappresentazione di Dio e gli altri ricoprono le chiese di icone, dove ci si distingue nelle accentuate differenze dei tratti somatici, dove chi ha combattuto la guerra recente diventa martire o terrorista a seconda di chi con fervore ne parla. Ed e` in questo paese diviso che abbiamo incontrato giovani come noi con cui confrontarci, discutere, dialogare e scoprire e capire le differenze. L’idea del viaggio nasce quasi per caso in una stanza del Centro, dove il Gruppo Giovani di Nove si riunisce: la voglia di un viaggio alter-nativo, di una meta non “comune” per conoscere e capire culture diverse, la voglia di vedere luoghi diversi, impronte di una memoria che non è nostra, la voglia (non di tutti i membri) di guidare un furgone ci ha spinto ad attraversare i Balcani dalla Slovenia al Kosovo passando per Croazia e Serbia.Perché il Kosovo? Perché abbiamo sfogliato un volantino. Un volantino del Coordinamento GPL – percorsi di giu-stizia, pace e legalità e della loro visita a Rahovec/Oraho-vec cittadina a sud del Kosovo nello Youth Center gesti-to dall’associazione tedesca SHL. Il Centro lavora sulla relazione e la convivenza pacifica tra i giovani delle due

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etnie che abitano la città: quella serbo-ortodossa e quel-la albanese-musulmana. La divisione tra serbi e albanesi a Rahovec/Orahovac, è ancora molto accentuata (nono-stante la guerra sia terminata da dieci anni) e le famiglie serbe vivono nella parte alta della città, chiamata “Upper Part”, di fatto separata dal resto. Il Centro Giovanile ha una sede nella zona serba e una sede nella zona albanese e cerca in ogni modo di riunire tutti i giovani: corsi di chitar-ra e inglese, laboratori di fotografia e ballo, tornei sportivi e una “pasta (italiana) comune” che e` stato il nostro pic-colo contributo alle iniziative del centro.Laura

POLISTENA - CALABRIA, ITALIACooperativa Valle del Marro, Associazione LiberaSettembre 2008E!STATE LIBERI! - Racconto di un campo di lavoro sui terreni confiscati alle mafie in Calabria.Scriviamo. Perché bisogna raccontare, viaggiare vuol dire anche tornare. Per tornare si parte. La partenza è un inizio: iniziamo. Rotoliamo da nord verso sud, la testa ciondola da sinistra a destra sognante. Due furgoncini si rincorrono lungo la via..Casello! Si entra a Dueville, uscita…siamo a Polistena, una piccola, calda cittadina calabrese dove l’estate invoglia a un gelato. Ma il bar illuminato, il bar a fianco, quello a 50 metri dalla gelateria e la gelateria a 150m dal bar è meglio evitarli. Sono mafiosi. Non vuole essere una sentenza, ma una chiara constatazione e una spiegazione perché la ma-fia, in Calabria “‘ndrangheta”, è una realtà paesana creata dall’abitudine familiare di vivere convivendo con l’illegalità. Se pensiamo ad un mafioso, immaginiamo una figura virile che, minacciosa e con voce rauca, dirige uomini-burattini che sottomettono intere famiglie. Così aggettivi come in-genua e impotente si ritrovano associati alla figura della famiglia, mentre è proprio da questa che si genera la ma-fia, che non è un isolato individuo, ma una rete di nuclei familiari che portano con loro il resto della popolazione ad assuefarsi all’abitudine di un falso benessere, convincendo-li che i favori sono preferibili ai diritti, perché più diretti e facilmente raggiungibili. Ma se c’è questo nero e questo grigio opportunista che non sceglie, c’è anche il bianco. Che sceglie di non scegliere il nero. E il bianco è anche in que-sta vecchia scuola elementare dove stanchi abbiamo steso i nostri sacchi a pelo. Qui arrivano e partono molti gruppi che hanno deciso di

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non semplicemente transitare, ma di vivere una settimana nei campi di Libera Terra.La mattina sono molti i peperoncini che raccogliamo in que-sti campi che sequestrati o confiscati alla mafia, sono stati assegnati al Comune e da questo alla Cooperativa Sociale Valle del Marro - Libera Terra, impegnata nell’antimafia e nel riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie.Antonio, un magro uomo poco più che trentenne, il pome-riggio ci parla di Mafia, di Sud, ma anche di Nord.Ingenui pensiamo che la mafia sia piaga del Sud, limitata e confinata a quella terra, ma Antonio spiega, legge da un libro, ci mostra nomi di famiglie mafiose che operano qui, al Nord dove ciechi rimaniamo grigi e indifferenti.Ascoltando Antonio impariamo la definizione di Mafia, ma non solo. Ora sappiamo riconoscere l’atteggiamento mafioso del giornalaio che non ci vende il biglietto del bus (che a lui non porta guadagno) se non compriamo il gior-nale, dell’autista spericolato che persi i punti non frequenta il corso previsto ma paga per riavere la sua patente, del pro-fessore universitario che non ci ammette alla Facoltà se non siamo raccomandati, del pizzaiolo che insieme alla pizza non ci rilascia lo scontrino, di noi che non lo richiediamo. Passa così una settimana intensa di parole, di persone… Marina, Pino, Renato, Massimo…contadini dei terreni… ma anche oltre questa associazione… Matteo, Maria Ca-tena, Grazia e Giangi, ragazzi della nostra età, e altri molti cittadini, come il barista che ci fa un gelato, tre palline, pan-na e cioccolato, 1 e 50.Torniamo nei due furgoncini, dai finestrini non vediamo, ma guardiamo l’Italia tutta ,tutta intera. E quando scendiamo non sentiamo,ma ascoltiamo.Agnese e Sara

Luglio 2009Il 13 luglio tre furgoncini sono partiti da Bassano del Grap-pa per raggiungere la Calabria. Dentro c’eravamo noi ra-gazzi del coordinamento GPL: divisi in due gruppi della provincia di Vicenza abbiamo affrontato il lungo viaggio (circa quindici ore!) per dare il nostro “piccolo” contributo alla lotta alle mafie. Abbiamo passato un’intensa settimana a Polistena, cittadina tra lo Ionio e il Tirreno nella piana di Gioia Tauro, dove la mattina aiutavamo a lavorare i cam-pi nei terreni confiscati alla mafia, il pomeriggio e la sera partecipavamo ad attività formative con i ragazzi del posto. Prima di partire avevamo poche idee su ciò che ci avrebbe aspettato: soprattutto conoscere meglio il fenomeno ma-fioso e “sporcarci le mani”, oltre che divertirci tutti insie-me. E la realtà ha superato di molto le nostre aspettative! Il momento più faticoso -e divertente!- è stato sicuramente il lavoro nei campi. Grazie a Libera, l’ associazione che co-ordina le attività contro la mafia, è stata approvata la legge n. 109/96 che permette il riutilizzo a scopo sociale dei beni mafiosi confiscati. Ciò vanifica il vantaggio economico su cui si regge il sistema mafioso e ora 100 ettari di terreno sono utilizzati dalla cooperativa Valle del Marro per com-merciare tipici prodotti calabresi nelle Coop e nei mercati equo e solidali d’Italia. E allo stesso tempo è ora possibile per noi e per tantissimi altri ragazzi che vengono ogni anno da tutta Italia conoscere una realtà quotidiana diversa dalla nostra e vedere come questa quotidianità si oppone corag-giosamente al sistema mafioso.E’ stata un’esperienza di vita: perché abbiamo lavorato in-sieme, perché abbiamo conosciuto una terra ricchissima ma stretta dal giogo mafioso, perché abbiamo conosciuto per-sone che si impegnano ogni giorno, con le loro scelte, a mi-gliorare il paese in cui vivono e indirettamente l’Italia tutta.

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Perché anche noi, così lontani geograficamente, ci sentiamo loro vicini spiritualmente e ci siamo portati nel cuore tanta volontà di risolvere i problemi che ci circondano, che è il primo passo per migliorare la realtà.Laura

…In particolare ricordo una frase…la frase di Francesco, un autista di Reggio Calabria che, durante il periodo di fe-rie estive, saliva ancora su un pullman per portare i giovani volontari dalla scuola dove alloggiavamo fino ai campi e agli stabilimenti produttivi: “Io non sono qui per lavorare, ma per combattere”. Esempi significativi che fanno com-prendere che, anche in una terra vittima, ma spesso anche complice della mafia, vi sono ancora molte persone dispo-ste a combattere e a lottare per cercare nuovi orizzonti ed un futuro forse migliore del loro presente per i loro figli. Un esperienza che “fa riflettere anche su tutti quei pregiu-dizi e luoghi comuni che spesso animano noi del Nord nei confronti di quelli del Sud”, mossi soprattutto da un vero e proprio odio razziale e da una paura discriminante nei confronti del “diverso”, non ricordando che anche noi sia-mo profondamente simili a loro, che anche noi qui abbiamo delle forme di mafia, una mafia molto diversa, che non uc-cide, come i corleonesi o la ‘ndrangheta, ma che comunque esiste e va fermata. Martina

Tutto è iniziato un lunedì sera...dopo 15 estenuanti ore di viaggio ci siamo ritrovati nella scuola elementare “Trieste” di Polistena, il luogo che per una settimana sarebbe diven-tato la nostra “casa”. Terminate presentazioni e comunica-zioni varie, Gianfranco (il responsabile del campo di lavoro) ci ha consegnato le mitiche magliette “E!STATELIBERI!”,

che ci avrebbero resi riconoscibili agli occhi della gente come “portatori di legalità”. La mattina seguente è iniziato il vero e proprio campo di lavoro: da martedì a venerdì le nostre giornate si sono svolte ad un ritmo veramente intenso, nien-te a che vedere con le nostre abitudini quotidiane! Sveglia alle 6.15, colazione e... via nei campi accompagnati dal pulmino guidato da “Zio Ciccio”. Nei terreni della “Valle del Marro” abbiamo svolto i lavori più svariati: sradicato le erbacce che infestavano le piante di peperoncino, raccolto insetti, lavato bidoni e pelato melanzane; il tutto non ci è pesato, anzi, ci siamo divertiti a sporcarci le mani per una giusta causa e tutta l’energia spesa è stata ripagata dalla soddisfazione nel vedere quanto si riesce a fare armati sola-mente di buona volontà e di tanto spirito di cooperazione. Così si svolgevano le nostre mattinate, mentre nel pomerig-gio eravamo impegnati in interessanti attività formative che ovviamente trattavano il tema della mafia. Abbiamo parte-cipato ad un incontro con il signor Antonio (presidente di “LIBERA TERRA”), ad una conferenza con un procura-tore e ad un’altra con i membri dell’associazione antiracket. Le serate, invece, le trascorrevamo passeggiando per la cit-tà, allietati dalla compagnia dei ragazzi di Polistena, sempre disponibili e cordiali nonostante il caldo e la stanchezza. Durante questi giorni è anche stato organizzato apposita-mente per noi un buffet di prodotti tipici (cucinati dall’as-sociazione “Il Samaritano”) e un cineforum in cui ci è stata proposta la visione del film “Il giudice ragazzino”. Venerdì pomeriggio, inoltre, ci siamo rimboccati le maniche per ani-mare un gruppo di bambini dell’”ESTATE RAGAZZI” e sabato sera siamo stati spettatori del loro divertentissimo spettacolo. Dopo le quattro giornate di lavoro ci siamo go-duti il tanto atteso week end tra le acque cristalline di Gio-iosa Ionica, i vecchi borghi di Scilla, il lungo mare di Reggio

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Calabria e il suggestivo paesino di San Giorgio (dove ha sede lo spaccio di LIBERA TERRA)...località meraviglio-se che meritano veramente di essere visitate! Concludendo, ritengo che tutte le nostre aspettative siano state più che soddisfatte, è stata un’esperienza magnifica, la quale ci ha trasmesso un’infinità di valori umani, ci ha fatto crescere, ci ha reso in grado di vedere il mondo da un altro punto di vista, ci ha permesso di conoscere da vicino il fenomeno della mafia, ci ha insegnato cosa significa collaborare e ci ha dato la possibilità di instaurare nuove amicizie...insomma penso che a molti di noi abbia veramente lasciato un segno incancellabile, un ricordo che porteremo nel cuore per tutta la vita e che speriamo di far “rivivere” l’anno prossimo.Serena

Voglio raccontarvi un particolare aspetto di questa magni-fica settimana: l’unità del nostro gruppo, l’affiatamento di una vera squadra.Inizialmente ero un po’ preoccupata all’ idea di convivere con persone di cui conoscevo a malapena il nome, tutti di età differenti, tutti con delle motivazioni ed obiettivi assolu-tamente personali che li avevano portati a dire sì al richiamo della legalità.Poi il viaggio.Vi assicuro che 15 ore in furgoncino non volano...ma hanno un grande aspetto positivo: ti “costringono” a fare cono-scenza con i tuoi compagni d’ avventura!Questo è stato quindi il primo passo, quello che mi faceva capire che forse non sarebbe stato come me l’ aspettavo, ma molto molto meglio!....e infatti è stato così!In un paio di giorni sono spiccate le più svariate personali-tà; timidi, riservati, energici, buffoni e saggi.Primo giorno di lavoro.

Dovevamo dividerci i compiti, chi lavare delle botti di pla-stica, chi sradicare l’ erba dalle piccole e indifese piantine di peperoncino, chi togliere gli insetti dalle foglie di melanza-na...in breve tempo ci siamo divisi le mansioni con l’ entu-siasmo di chi sa che il lavoro che sta per svolgere è qualcosa di prezioso non solo per sé, ma per gli altri, per la buona riuscita del progetto e perché no, per una piccola soddisfa-zione personale.Eravamo come una catena, non ci fermavamo mai se non per bere dell’ acqua e per fare una pausa a metà mattina...e piano piano ci siamo accorti che tutto funzionava a meravi-glia! vi porto un piccolo esempio...io facevo parte del grup-po che sradicava l’ erbaccia e quando ci siamo voltati indie-tro per vedere il nostro lavoro.....wow....tra una chiacchiera e l’ altra avevamo fatto tantissimo, senza accorgercene!!!!Quello che mi ha sorpreso è stato il fatto che in questi mo-menti, nei momenti impegnativi come anche gli incontri di formazione, alzavo gli occhi e vedevo volti che esprimevano lo stesso interesse , la stessa voglia di giustizia, di impegno vero....e si respirava un’ aria nuova, di speranza!!!L’ immagine che porterò sempre con me però, è quella di tutte le volte che passeggiavamo per le strade di Polistena con la maglietta di E!STATE LIBERI! tra noi e la gente che ci guardava passare, si creava una sorta di linguaggio fatto di sguardi......ed eccoci alla fine della settimana...guardandomi alle spalle vedevo dei ragazzi qualunque decisi a dare una mano per cambiare le cose col sudore della fronte, con la curiosità di chi è deciso a raggiungere la meta.Ora, più affiatati che mai, siamo decisi che INSIEME con la forza del legame creato...a combattere ci siamo anche noi!Sonia

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CROTONE - CALABRIA, ITALIACentro di Accoglienza Sant’AnnaAgosto 2009Milleduecento chilometri si possono fare in tanti modi. L’abbiamo scoperto al Centro di Accoglienza Sant’Anna di Isola di Capo Rizzuto, Crotone, Calabria. Solitamente la direzione nord-sud è più facile della “sud-nord”, voglio dire, la strada è la stessa, la lunghezza anche, cambia la pro-spettiva, cambia lo stato d’animo, cambiano le motivazioni. Quasi sempre la prima ha un’andata ed un ritorno, la secon-da invece ha quasi sempre solo un’andata. Entrare nel CA di Crotone con il nostro passo tranquillo, le nostre belle facce pulite, la pancia piena, le nostre t-shirt e le scarpe modaiole è stato il vero inizio del nostro viaggio; ancora una volta ci siamo sentiti ingiustificabilmente privilegiati fra quell’uma-nità così ingiustamente discriminata. Oltrepassare quel cancello, con il nostro pass firmato dalla prefettura, ci ha permesso di abbandonare tutto, di lasciare nel pullmino le nostre false certezze e i nostri naturali pregiudizi e affronta-re quegli occhi che raccontano storie e sofferenze come gli occhi di persone, né clandestini, né rifugiati né criminali, né stranieri, solo persone. Il campo è un “non luogo”, il tempo è sospeso, scandito da giornate senza capo né coda in un susseguirsi di code, attese, richieste ai vari uffici. Abbiamo conosciuto Abdil, ragazzo afghano, scappato dal proprio paese e dai taliban. Abbiamo conosciuto un ragazzo eritreo fuggito dalla guerra attraverso il Sudan e la Libia. Abbiamo ascoltato. Sembra strano ma è stata la cosa più importante che abbiamo fatto durante questa settimana. Ascoltato le storie personali, i sogni di riscatto, gli sfoghi isterici e di-sperati. Abbiamo avvertito in tutti, che quello era ciò di cui avevano bisogno, parlare ed essere ascoltati. Le storie alla fine si assomigliano molto visto che la violenza e la povertà

sono le ragioni principali che determinano la fuga. Ottenere lo status di rifugiato dà una possibilità e occorrerebbe capi-re che non sono questi i clandestini dei quali aver paura.I giorni sono corsi via velocemente, avremmo voluto fer-marli quando ci siamo resi conto che ormai entravamo nel campo da soli, ci riconoscevano, ci cercavano. Noi ormai ci sentivamo parte di loro e questo è stato finalmente l’appro-do del nostro viaggio.Francesco

Il campo di prima accoglienza “Sant’Anna” nei pressi di Crotone ospita al momento circa mille persone provenienti da diversi luoghi dell’Africa e dell’Asia, che hanno fatto ri-chiesta di permanenza nel nostro Paese al momento del loro arrivo. La maggior parte di questi individui ha affrontato (pagando) viaggi inenarrabili per mare dopo essere fuggiti dalla guerra o dalle persecuzioni nei loro paesi di origine, attraversando il Mediterraneo a bordo di pseudo-imbarca-zioni e mettendo a rischio la loro vita. Per questi individui l’esito della domanda di permesso (in media ci vogliono sei mesi) è questione vitale, in quanto rappresenta il confine tra la possibilità di una vita “rego-lare”, dignitosa e alla luce del sole in un paese che li può\deve accogliere e la clandestinità con tutti i rischi che essa comporta per loro e per gli altri, compresa la possibilità di doversene tornare ai luoghi di origine.Non mi ero fatto alcuna aspettativa prima del viaggio su cosa avrei trovato e fatto di preciso all’interno del campo, tant’è vero che non ho comunicato a nessuno la reale desti-nazione del viaggio in Calabria. I primi giorni sono stati ne-cessari per ricevere un po’ di infarinatura generale su quali fossero i servizi alla persona offerti e su come funzionasse l’aspetto legale a supporto degli ospiti, oltre che per vede-

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re dove e come vivevano queste persone. Successivamente la mia attenzione si è rivolta soprattutto all’aspetto umano delle persone che vivevano, lavoravano o operavano come volontari all’interno del campo. Il compito che mi sono sentito di intraprendere è stato quello di chiedere e di ascol-tare delle storie, magari dando una parola di conforto, di raccontare di come si muove il mondo al di fuori e di cosa potrebbero aspettarsi dalle persone una volta usciti, ma an-che semplicemente di regalare un sorriso, di stare assieme a queste persone giocando a calcio o pallavolo. Nel parlare con questi individui si capisce che ognuno ha la sua storia, ha la sua umanità, tanti son disposti anche ad offrirti qualcosa della loro immensa povertà pur di ringra-ziarti o di farti sentire a tuo agio, forse perché così facendo riescono a creare un legame alla pari.E si capisce che a volte l’uomo ha più dignità e dà il meglio di se stesso quando si trova con il fango fino al collo piut-tosto di quando soddisfatti i propri bisogni primari cade in preda all’egoismo e alla paura di quello che secondo lui po-trebbe impensierire il suo stato delle cose.In mezzo a tanta sofferenza c’è un sommerso positivo enor-me, dato anche dalla buona volontà , ma soprattutto dalla carità di alcuni operatori che si prodigano per rendere mi-nore il divario con queste persone. A queste persone va il mio più sentito grazie perché cosi facendo danno una spe-ranza di integrazione in mezzo a tanta indifferenza. In mezzo a questa povertà mi sono conciliato con Dio, l’ho sentito parlare in tante lingue , l’ho visto pregare in maniere diverse e sotto aspetti fisionomici diversi.Tante sono le emozioni che mi porto a casa ma il pensiero va ai vari Juliette, Sunday, Alì, Stanley, Muhammed (ri-uscirà a vedere l’inter vincere la coppa campioni?): quale sarà il loro destino? Quanto desidererei conoscere cosa sarà

di loro…E io nel mio piccolo cosa posso fare? testimoniare, rac-contare e rimanere saldo senza lasciare che queste cose col tempo scivolino via. Devo essere cassa di risonanza pres-so amici, colleghi, familiari, ben consapevole che da solo sono una goccia, ma solo cosi facendo le gocce possono diventare via via torrente, fiume, ecc. La testimonianza poi può essere fatta anche operando in qualche associazione, o dandole sostegno. Chi crede inoltre può affidarsi alla forza della preghiera, cosa che ho visto fare a parecchi ospiti nel campo, tanto da chiedersi che a volte cerchiamo Dio chissà dove ed esso è nelle cose più piccole.Volevo concludere con alcune righe del vangelo di Luca. Credo che anche una persona non credente, ma che abbia un minimo di buon senso e umanità le possa condividere.“Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio” (Lc 6, 36-38).

E’ dura tornare alla vita di sempre dopo esperienze come il viaggio a Crotone: lo è stato l’anno scorso tornato dal Bra-sile, lo è tutt’ora dopo una settimana così intensa.Questa esperienza ha avuto un’importanza immane nella mia vita perché mi ha permesso di vivere in prima persona, seppur sempre da una posizione di privilegiato, la realtà dei centri di accoglienza per immigrati e di rimando il fenome-no dell’immigrazione in Italia. Per una settimana ho potuto visitare il Centro d’Accoglienza per immigrati di Sant’An-na, il più grande d’Europa per capienza.In questa settimana oltre a poter parlare direttamente con

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gli immigrati del centro che richiedevano il permesso come rifugiati, ho potuto anche affiancare tutte quelle figure che forniscono servizi all’interno del Centro come assistente le-gale e psicologico e mediatori culturali.Se da un lato il puro e semplice dialogo con gli immigrati mi ha dato molto dal punto di vista umano, come ogni volta che si decide di accostarsi all’ascolto di qualcuno, l’affian-camento ai “tutori” mi ha permesso di meglio comprendere la realtà del fenomeno migratorio in Italia, purtroppo ben lontano da quello che ci viene raccontato da tv e mezzi d’in-formazione.Importanti per questo, secondo me, sono stati gli incontri con tutte quelle persone che del fenomeno immigrazione in qualche modo fanno parte, perché ci lavorano e che quin-di sono i soli che possono spiegarmi come davvero esso è strutturato.Da quando sono tornato, a tutti quelli che mi chiedevano di raccontargli di questa mia esperienza, a nessuno ho parlato delle storie personali dei migranti, ma a tutti ho parlato di come funziona il fenomeno migratorio in Italia, e per quel-lo che mi è stato spiegato, anche dei miei dubbi sul nuo-vo pacchetto sicurezza del Governo. Anche per questo nel presente resoconto non mi fermo a parlare dei sorrisi, delle emozioni e delle storie di vita che questi uomini e donne hanno condiviso con me.Penso che aver potuto conoscere la vera dimensione di un fenomeno che mi riguarda da vicino, non solo perché del mio Paese, sia la cosa più importante che questo viaggio mi abbia regalato.Poter conoscere dal vivo, seppur ammetto per poco, questa realtà mi ha permesso di rivalutare le idee che prima di par-tire avevo sulla realtà degli immigrati.Edo

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RINGRAZIAMENTI

Don Luigi Ciotti, che molto ha ispirato il nostro operare di questi anni, in un incontro realizzato a Calvene nel 2008 ci ha trasmesso un messaggio significativo.Per me è molto importante la capacità di fermarsi, di inter-rogarsi, di riflettere. Io auguro a tutti voi, lo auguro anche a me, di trovare un monte nella vostra vita, perchè sul monte si sale, dal monte si guarda lontano, si vede oltre, si vede l’aurora e il tramonto.Ogni uomo, ogni donna ha bisogno di un monte nella sua vita perchè qualunque cosa noi facciamo io penso sia necessario un luogo in cui sali per poi scendere, ma sali soprattutto per guardarti dentro, per fare silenzio e perchè dal monte guardi lontano, riesci a guardare lontano, non è solo un’immagine. Per me questo ha un grande significato, il bisogno di un si-lenzio, della riflessione, di interrogarci.Nel nostro servizio abbiamo una grande responsabilità per-ché dall’altra parte ci sono delle persone. Ognuno cerchi un monte, il monte, proprio quella capacità di salire per poi co-minciare, da cui si scende, ma il primo modo di scendere è scendere dentro di noi per guardarci dentro, per interrogarci, per fare il punto della situazione, per rinforzare le motiva-zioni.In questa scrittura collettiva ci è parso davvero di salire su un monte e da lì guardar giù, sentire un silenzio satu-ro di storie, interrogarci e riflettere. Con questo libretto abbiamo voluto condividere il nostro so-stare sulla vetta delle nostre azioni; speriamo di averlo fatto con semplicità e leggerezza.

Al termine di queste pagine ci sentiamo in dovere di con-

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dividere l’entusiasmo assorbito in questi anni con il terri-torio che ce lo ha trasmesso. E’ questa la sensazione più forte che ci rimane: una gratitudine infinita per tutta la rete di attori che abbiamo conosciuto e con cui abbiamo interagito in questi anni.“Mai soli” è sempre stata la nostra parola d’ordine: i mu-tamenti sociali vanno condivisi, negli onori e negli oneri, lo abbiamo creduto sin dall’inizio. Quello che forse non ci aspettavamo è stata la forza della rete che, con il semplice operare, è riuscita spesso a mutare obiettivi e linee opera-tive dei percorsi GPL.Una rete viva, una rete attiva, una rete protagonista dell’azione sociale intrapresa.In un tempo in cui sono tornate in voga parole come bar-riere, limiti, muri, respingimenti, il sostegno della comu-nità locale, di soggetti pubblici e privati, formali ed infor-mali, giovani e adulti, ha costituito per GPL una spinta impagabile a scrivere, nei propri percorsi, parole diverse, parole responsabili.Parole e azioni belle, perché come ci ha insegnato la gior-nata in memoria delle vittime della mafia del 2009 “l’etica libera la bellezza”.

I percorsi GPL continuano…

E’ alle giovani generazioni e alla loro appassionata parte-cipazione che dobbiamo la qualità dei percorsi attivati in questi anni. Il nostro più sentito grazie va quindi ai ragazzi e alle ragazze che hanno creduto in questi progetti e agli adulti che li hanno accompagnati facendo rete e stringen-dosi in un’azione sociale sinergica e condivisa.

Grazie a tutti i compagni di viaggio che in questi anni han-no percorso con noi le strade della giustizia, della pace e della legalità: approfittiamo di queste pagine per provare a ricordarli tutti.Ci siamo impegnati e divertiti nel ripensare a tutti i visi e alla passione dei volontari, insegnanti, animatori, educa-tori, famiglie, persone adulte che hanno camminato insie-me in tutti questi anni, nel tentativo di promuovere una cittadinanza solidale e una società il più possibile giusta. Se ne avessimo dimenticato qualcuno ci scusiamo per la nostra mancanza, sappia nel caso di essere comunque par-te delle storie narrate in questo libro.ABC Associazione Bambini Cerebrolesi di Bassano, A.G.E.V.A.D. Bassano, Antela Piccola Società Cooperati-va Sociale arl, Associazione AMAD, Associazione Anffas e Ceod di Nove, Associazione Amici dei Giardini Paroli-ni, Associazione Amici del Bosco Magico, Associazione Babele, Associazione Casa a Colori, Associazione Casa di pronta accoglienza Sichem, Associazione culturale Pungi-laluna, Associazione Culturale Progetto Zero+, Associa-zione di Promozione Sociale Giovani Forme, Associazio-ne di volontari Protezione Civile di Nove, Associazione di volontariato La Brenta, Associazione Gruppo Volontari Casa di Riposo Sturm, Associazione I.E.S.S., Associazio-ne La Casa sull’Albero, Associazione Lega Nazionale per la Difesa del Cane - sezione di Bassano del Grappa, Asso-ciazione Giovani Forme, Casa di Riposo I.S.A.C.C. Cima Colbacchini, Associazione Gruppo Vulcano, Associazione Granello di Sole, Associazione InVeneto, Associazione La Casa sull’Albero, Associazione La Conca d’oro, APS La Formichina, Associazione Macondo, Associazione Nord/Sud, Associazione Oratorio Don Bosco di Breganze, As-sociazione Questacittà, Associazione SpazioAlisei, Asso-

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ciazione Telefono Amico Bassano, Associazione Unitalsi, Casa Alloggio Speranza, Centro Giovanile - Parrocchia di Santa Maria in Colle di Bassano del Grappa, Centro Parrocchiale Girolamo Bortignon Vescovo di Fellette di Romano d’Ezzelino, Circolo Oratorio San Michele Ar-cangelo di Mussolente, Città Sociale coordinamento di enti del privato sociale, Cittadinanza è Volontariato Coor-dinamento di Associazioni di volontariato, CNCA Veneto Coordinamento nazionale comunità d’accoglienza, Color Cafè – Animatori di idee, Patronato Parrocchia SS. Trinità di Angarano, Comitato 180 onlus, Comunità diurna Ra-maloch, Comunità residenziale Alibandus, Cooperativa La Valle del Marro di Polistena in Calabria, Cooperativa Sociale Adelante, Cooperativa Sociale Ferracina, Coope-rativa Sociale Insieme di Vicenza, Cooperativa Sociale Job Mosaico di Caldogno, Cooperativa Sociale Libra, Coope-rativa Sociale Progetto Zattera Blu di Schio, Cooperativa Sociale Radicà di Calvene, Cooperativa Sociale Tangram di Vicenza, Coordinamento “Brenta Monte Grappa” Vo-lontari Protezione Civile – Antincendi Boschivi, Coordina-mento informale GPL – percorsi di Giustizia, Pace e Lega-lità, Coordinamento Per una Città Positiva, Equipe affidi dell’Ulss n. 3, Equipe Fuoridea di Animazione di Strada, Fondazione Pirani Cremona - Progetto Arabam, Gruppo Al-Anon della città di Bassano, Gruppo di volontariato L’Abbraccio, Gruppo GIOLLI di Reggio Emilia, Gruppo giovani Calimero di San Pietro di Rosà, Gruppo giovani di San Giuseppe di Cassola, Gruppo giovani di Vallonara, Gruppo giovani Marakaibo di Mussolente, Gruppo gio-vani Wanted di Rosà, Gruppo informale al femminile Le Mante, Gruppo informale Centodonnecentobici, Gruppo Tonel, Incontro fra i Popoli ONG, Libera Veneto Coordi-namento per la promozione della legalità, Officina Syndi-

kè, Operazione Mato Grosso, Oratorio Piergiorgio Frassa-ti di Bassano, Oratorio San Marco affiliato NOI, Palomar Gruppo informale di giovani bassanesi per la promozione dei diritti, Polisportiva Jonathan, Reti di solidarietà asso-ciazione, Sportelli Caritas di Bassano, Suore della Divina Volontà, Cooperativa Unicomondo di Bassano, WWF se-zione di Bassano,

IPSCST “G.A. Remondini”, Liceo Scientifico “J. Da Ponte”, ITCG “L. Einaudi”, IPSIA “A. Scotton”, Liceo “G.B. Brocchi”, Istituto d’Arte “G. De Fabris”, ITIS “E. Fermi”, IPSAA “A. Parolini”, Primo Circolo Didattico di Bassano del Grappa, Secondo Circolo Didattico di Bassa-no del Grappa, Scuola primaria “ IV Novembre” Terzo Circolo Didattico di Bassano del Grappa, Scuola Media “G. Bellavitis” di Bassano del Grappa, Scuola Media “J. Vittorelli” di Bassano del Grappa, Istituto Comprensivo “Pasquale Antonibon” di Nove e Cartigliano,

Associação Beneficente AMAR in Brasile; Associazione School For Children di Milano, Associazione Tierra Pro-metida a Santa Cruz de la Sierra in Bolivia, Centro Giova-nile SHL Kosova “Gezim Hamza” a Rahovec/Orahovac in Kosovo, Centro Social Bem Querer de Brenha in Portogal-lo, NGO Njombe Development Office in Tanzania, NGO Student Helping Life in Kosovo, ÖKO-Service a Graz in Austria, Zelena Akcija a Zagabria in Croatia,

Grazie anche ai numerosi Enti co-finanziatori che ci hanno sostenuto dal 2000 ad oggi, ognuno in attività specifiche: l’Unione Europea, il Ministero delle Politiche Giovanili e Attività Sportive (POGAS), il Ministero della Gioven-tù, UPI – Unione Province d’Italia, la Regione Veneto, il

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Co.Ge. – Comitato di gestione del fondo speciale regionale per il volontariato, la Fondazione Vicentina, la Fondazio-ne Cariverona, il Centro di Servizio per il Volontariato del-la Provincia di Vicenza, il Comune di Bassano del Grappa, il Comune di Cartigliano e il Comune di Nove.

Grazie a tutti coloro che hanno contribuito con testi, sto-rie e racconti alla stesura di questo libro.Grazie a Elisa, Valeria e Bruno: instancabili e impagabili scrittori.Grazie a Simone che ha disegnato con appassionata e competente creatività i nostri percorsi di questi anni.Grazie a Guido e Oscar consulenti preziosi e testimoni concreti.

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Tutti pensano a cambiare il mondo,

ma nessuno pensa a cambiar se stesso

(Lev Tolstoj)

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