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Un solo mondo N. 3 / SETTEMBRE 2012 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE www.dsc.admin.ch Efficacia Come migliorare l’aiuto e misurare il suo impatto? Reportage dal Benin Ucraina: è dura rimanere, ma anche partire Filippine: il Corpo svizzero di aiuto umanitario è subito sul posto

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Un solo mondoN. 3/ SETTEMBRE 2012LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONEwww.dsc.admin.ch

EfficaciaCome migliorare l’aiuto e misurare il suo impatto?Reportage dal BeninUcraina: è dura rimanere, ma anche partire

Filippine: il Corpo svizzero di aiutoumanitario è subito sul posto

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Sommario

3 Editoriale4 Periscopio

26 Dietro le quinte della DSC33 Servizio 35 Nota d’autore con DJ Bobo35 Impressum

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenziadello sviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE), è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è unapubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta, infatti, ancheopinioni diverse. Gli articoli pertanto non esprimono sempre ilpunto di vista della DSC e delle autorità federali.

D S C

F O R U M

EFFICACIA6 L’aiuto allo sviluppo è solo una parte della soluzione

Il dibattito internazionale sull’efficacia dell’aiuto allo sviluppo ha avuto ripercussioni sugli interventi, sui programmi e sull’analisi dei risultati

9 Edificare lo Stato dalla base Com’è possibile ridurre efficacemente la povertà? Reportage dal Benin

16 Cifre e fatti

18 Terra di confine in transizione L’Ucraina è considerata il granaio d’Europa, ma all’agricoltura mancano capitali e specialisti

21 Una giornata tipica di... Guido Beltrani, coordinatore DSC in Ucraina

22 Scrittori poco letti, ma molto influentiOksana Sabuschko sul ruolo degli scrittori nella società ucraina

23 Bus per scolari lettoni In Lettonia, grazie al sostegno della Svizzera è stato possibile acquistare scuolabus per 9000 bambini di 59 comuni

24 Natale a Mindanao Intervento del Corpo svizzero di aiuto umanitario dopo una devastante tempesta tropicale nelle Filippine

31 Impressioni bangladesiGli scatti del fotografo GMB Akash presentano la quotidianità in Bangladesh e sono un omaggio alla sua gente

O R I Z Z O N T I

C U L T U R A

D O S S I E R

27 Nessun successo senza rischio Intervista a Brian Atwood, direttore del Comitato di aiuto allo sviluppo dell’OCSE

30 Non c’è pace senza giustizia Carta bianca: La nepalese Rubeena Mahato scrive del difficile processo di pace nella sua patria

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Ultimamente ho visitato un piccolo ospedale di provin-cia in Bangladesh sostenuto dalla DSC. Per l’occa-sione, davanti al nosocomio avevano organizzato tuttol’occorrente per una riunione: sedie, panche, tavole ealcuni teli fissati tra le palme per proteggere dal sole im-pietoso. Piano piano le fila si sono riempite e poco dopoanche il podio, dove sono andati ad accomodarsi me-dici e personale amministrativo. In seguito, è iniziato undibattito appassionante. Uomini e donne si sono alzatiper esprimere le loro opinioni e dar voce alle loro preoc-cupazioni, proposte, critiche. I responsabili hanno ri-sposto, spiegato, fatto promesse. In un attimo, mi sonofatto un quadro preciso della situazione, di quel chefunzionava bene e dei problemi irrisolti. Ho scopertomolto di più di quanto avessi visto e capito durante lavisita guidata all’ospedale a cui avevo partecipatoprima.

Che c’entra questo racconto con l’efficacia della co-operazione allo sviluppo? Moltissimo. Un sistema sani-tario è efficace se la popolazione ha accesso alle sueprestazioni. Non si tratta di avere a disposizione un so-fisticato sistema di alta tecnologia, progettato a tavo-lino da teorici e messo a disposizione della popolazionenelle zone più remote, come la manna caduta dal cielo.Solo se la popolazione conosce i propri diritti (traspa-renza) ed è in grado di rivendicarli (obbligo di rendi-conto), l’ospedale avrà successo a lungo termine. Conmisure di prevenzione, come l’assemblea dei benefi-ciari, si lotta contro la corruzione. Si tematizza, peresempio, l’assenteismo del personale specializzato,uno fra i maggiori problemi del sistema sanitario di que-sti Paesi. Ed è anche possibile individuare eventuali la-cune operative, per poi eliminarle.

Questo esempio ci dimostra che l’efficacia dipende infondo dal comportamento e dall’impegno di partner ebeneficiari. Sono loro a determinare il successo o il fal-

limento di un’iniziativa. Il compito della cooperazioneallo sviluppo è di includere queste riflessioni e di pro-muoverle. Questo è aiuto all’autoaiuto.

Nei dibattiti pubblici, incentrati sull’efficacia della cooperazione allo sviluppo, quest’aspetto cruciale èconsiderato raramente. La grande responsabilità deipartner è importante non solo per i singoli progetti eprogrammi, ma riguarda anche una dimensione più ampia e più politica. Affinché la lotta contro la povertàsia decisiva, è fondamentale che siano i Paesi partnerstessi a determinare il loro sviluppo – la direzione e lavelocità.

Per la cooperazione svizzera allo sviluppo, le strategiedei Paesi partner sono oggi il fulcro attorno al qualeruota tutto il lavoro. In occasione della conferenza diBusan a fine 2011 è stata istituita una nuova partner-ship fra i Paesi dell’OCSE e quelli in via di sviluppo, cheverte proprio su questo principio. Solo così la coopera-zione allo sviluppo può essere efficace anche a lungotermine.

Quando penso alle accese discussioni davanti al pic-colo ospedale, ogni tanto riaffiora anche un altro pen-siero: non potremmo imparare qualcosa da questeesperienze, quando si tratta di impiegare in maniera piùefficace le limitate risorse del nostro sistema sanitario?

Martin DahindenDirettore DSC

(Tradotto dal tedesco)

Editoriale

Efficacia – la parola magica della cooperazioneallo sviluppo

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PeriscopioCaccia ai «minerali del sangue» ( jls) Nella regione dei GrandiLaghi, l’estrazione illecita di minerali finanza gruppi armati e alimenta i conflitti. Per lottarecontro questo traffico, alla finedel 2010 gli undici Paesi mem-bri della Conferenza internazio-nale sulla regione dei GrandiLaghi hanno deciso di imple-mentare un meccanismo di con-trollo e di certificazione. Loscorso mese di febbraio, laRepubblica Demo- cratica delCongo è stata il primo Paesedella regione a integrare questostrumento nella sua legislazione.Ogni pacco in circolazione deveessere accompagnato da un do-cumento indicante, in partico-lare, il luogo di origine del mi-nerale e il nome e l’indirizzodell’imprenditore. Queste infor-mazioni garantiscono la traccia-bilità della merce esportata.Secondo il ministro congoleseper l’industria mineraria MartinKabwelulu, ogni minerale privodi certificato sarà sequestrato el’esportatore considerato allastregua di un trafficante. Daquesto provvedimento il mini-stro si attende anche un impor-tante gettito fiscale. Attualmentel’80 per cento dell’oro estrattonella Repubblica Democraticadel Congo è esportato illecita-mente, causando al governo per-dite per 122 milioni di dollari.

Lago Titicaca minacciato (bf ) Il lago Titicaca si estende su 8300 km². È lo specchiod’acqua dolce più vasto del Sudamerica ed è anche il lagonavigabile più alto al mondo. Situato sul confine tra Boliviae Perù a un’altitudine di 3810 metri sul livello del mare, èfonte di sussistenza per due milioni di persone. Si tratta di una risorsa irrinunciabile per acqua potabile, pesca,agricoltura, allevamento, turismo, industria e produzione dienergia. A causa dei cambiamenti climatici, dell’industriamineraria e degli scarichi di stabilimenti e abitazioni è statodichiarato il «lago più minacciato del 2012» dalle due orga-nizzazioni ambientali Global Nature Fund (GNF) e LivingLakes. Queste ultime hanno individuato nel riscaldamentoclimatico – che provoca lo scioglimento dei ghiacciai delleAnde, la costante diminuzione del volume idrico e l’aumentodella temperatura dell’acqua – la minaccia maggiore. Labiodiversità ne soffre, il patrimonio ittico s’impoverisce emolti pescatori si convertono alla coltivazione di patate,orzo, mais e quinoa e all’allevamento di bestiame, metten-do ulteriormente a repentaglio la sopravvivenza del lago.

Boom africano(bf ) Dal 2000, in Africa l’econo-mia cresce più che in ogni altrocontinente. Ben sei dei dieciStati al mondo, che tra il 2001 e il 2010 hanno fatto segnare ilmaggiore sviluppo economico,si trovano in Africa meridionale.L’Angola guida questa partico-lare classifica. Secondo il FondoMonetario Internazionale, tra il2011 e il 2015 saranno addirit-tura sette Paesi africani su dieci a presentare la crescita più rapida.Entro il 2020, il PIL del conti-nente radoppierà. Attualmentesolo India e Cina battonol’Africa, popolata da 1,2 miliardi

di persone. Il boom africano èriconducibile alla crescita delceto medio. Stando alla Bancaafricana per lo sviluppo, fareb-bero parte di questa classe sociale 313 milioni di persone,ossia circa un terzo della popola-zione complessiva, con un aumento del 27 per cento rispetto al 2000. Il 39 per centodelle imprese interpellate da un recente sondaggio della rivistabritannica «The Economist»considera il ceto medio in cre-scita come l’aspetto più interes-sante per realizzare investimentiin Africa, più allettante ancoradella stessa crescita economica.

Da braccianti a proprietari (bf ) In Guatemala, i tesori sonomolti: petrolio, legnami pregiati,centinaia di migliaia di ettari diterreno agricolo. Tutto ciò causail disboscamento velocissimodella foresta vergine per farespazio a fattorie, piantagioni dipalme da olio, terreni agricoli episte d’atterraggio illegali per ivelivoli dei trafficanti di droga.Stando alle stime delle organiz-zazioni ambientali, il 40 percento della foresta pluviale, riccadi specie animali e vegetali, è giàandato irrimediabilmente per-duto. Che le cose potrebberoandare diversamente lo dimostrala cooperativa Afisap, la qualepraticando una silvicoltura eco-solidale sostiene molte famiglie.Nel 2011, l’iniziativa ha otte-nuto il Premio per l’ambientedel Programma ambientale delleNazioni Unite (UNEP). Dal2000, 170 soci della cooperativacoltivano 52 000 ettari di forestenella zona cuscinetto della ri-serva della biosfera Maya, conun proprio vivaio di piante ar-boree, che fornisce legnamicommerciabili come il moganoo il cedro, un’apicoltura e unafalegnameria. «Prima ero un lavoratore a giornata, ora sonocomproprietario», afferma conorgoglio il sessantenne sociodella cooperativa EduardoQuixchen.www.afisap.org

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Cellulari Fair Trade(gn) In futuro, i consumatoripotranno contribuire a miglio-rare le condizioni di lavoro e divita acquistando apparecchi elettronici ecosolidali Fair Trade.Questo è l’obiettivo dell’inizia-tiva olandese FairPhone. I pro-motori intendono lanciare sulmercato un cellulare con com-ponenti – dalla batteria allascheda SIM – prodotti in situa-zioni eque. Non vengono consi-derate soltanto le condizioninelle fabbriche, ma anche quellein cui vengono estratte le mate-rie prime. Molti metalli come ilcobalto o il tungsteno, utilizzatiper la produzione di dispositivielettronici, provengono dallaRepubblica Democratica delCongo. Secondo FairPhone, solonella provincia di Katanga

l’industria mineraria impiega150 000 persone, fra cui 50 000bambini, per lo più in condi-zioni disumane. FairPhone staora cercando miniere disposte a creare e rispettare standard di equità e intende contempora-neamente promuovere il rici-claggio dei metalli rari.www.fairphone.com

Futuro solare(gn) Nell’ultimo anno, in India iprezzi dei pannelli solari si sonopraticamente dimezzati. Nel2011, l’energia solare è stata perla prima volta meno cara dell’e-lettricità prodotta dai generatoria diesel. Ciò nonostante, nelloStato dell’Asia meridionale, unquarto della popolazione non haaccesso all’elettricità e sono inmolti a non potersi permettere

un impianto fotovoltaico. Lasperanza di un’energia solareconveniente potrebbe arrivaredalla Svizzera. Venti anni dopo la straordinaria scoperta dellacella fotovoltaica, il chimico diLosanna Michael Grätzel è riuscito a costruire un pannellosolare senza utilizzare il costososilicio. È un’invenzione che po-

trebbe dare inizio a una svoltaenergetica. La cella convenienteed ecosostenibile non è però an-cora completamente efficiente:ha un grado di produzione del12,3 per cento. Per essere com-petitiva sul mercato, la sua effi-cienza deve raggiungere il 15per cento.

Edificare partendo dalla base

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L’aiuto allo sviluppo èsolo una parte dellasoluzioneIl dibattito internazionale sull’efficacia degli aiuti sta modifi-cando progressivamente le pratiche della cooperazione. Coin-volta direttamente in questo processo, la DSC s’impegna permigliorare la qualità dei suoi programmi e per dimostrare all’o-pinione pubblica e al Parlamento che grazie al denaro dei con-tribuenti è possibile ridurre la povertà. Ciò la sprona ad affina-re l’analisi dei suoi risultati.

( jls) Determinata a diminuire la povertà nel mon-do, nel 2000 la comunità internazionale ha adot-tato gli Obiettivi di sviluppo del millennio e si èdata 15 anni per raggiungerli. Questo piano ambi-zioso richiedeva non soltanto un aumento del vo-lume finanziario degli aiuti, ma anche un miglio-

ramento della qualità, poiché fino ad allora i risul-tati avevano deluso le attese. Uno dei problemi ri-siedeva nell’aumento smisurato di progetti orga-nizzati, finanziati e gestiti direttamente dai dona-tori. Tale approccio ostacolava la pianificazionedello sviluppo da parte del Paese beneficiario. Inol-

Grazie a una distribuzione a tappeto di zanzariere, in Tanzania si sono ottenuti risultati tangibili: diminuzione dellamortalità infantile e meno ammalati di malaria.

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tre, la mancanza di coordinamento tra i donatori sitraduceva in doppioni e imponeva ai governi lo-cali un pesante onere amministrativo. Per invertire questa tendenza, i donatori e i Paesibeneficiari hanno avviato un lungo dibattito sul-l’efficacia degli aiuti, scandito da quattro forum dialto livello. Nel 2005, hanno concluso a Parigi unaccordo destinato a riformare le modalità di di-stribuzione e gestione dei fondi stanziati. La Di-chiarazione di Parigi invita i Paesi poveri a pren-dere in mano il proprio sviluppo e i donatori adallinearsi alle priorità definite dai loro partner (veditesto a margine, pagina 8).

Efficacia dello sviluppo in primo piano Dalla firma della Dichiarazione, il dialogo è stato

esteso a tutti gli altri attori che contribuiscono allosviluppo. Così, il quarto forum sull’efficacia degliaiuti, convocato nel 2011 a Busan, in Corea delSud, ha riunito anche la società civile, il settore pri-vato, le fondazioni filantropiche e i donatori emer-genti. Dopo aver costatato che l’attuazione della

Dichiarazione di Parigi stava progredendo troppolentamente, i tremila delegati presenti al forum han-no riaffermato gli impegni assunti nel 2005 e pro-messo di accrescere i loro sforzi.La tappa di Busan ha segnato anche un’altra svol-ta decisiva: in futuro il dibattito non si concentre-rà più sull’efficacia degli aiuti, ma sull’efficacia del-lo sviluppo. Niklaus Zingg, specialista di questi pro-blemi presso la DSC, spiega la differenza: «Finorail processo si concentrava soprattutto sulle proce-dure applicate dai donatori, trascurando gli altri fat-tori che intervengono nella riduzione della pover-tà. A Busan si è riconosciuto che l’aiuto è solo unaparte della soluzione ai problemi di sviluppo e chequest’ultimo dovrebbe piuttosto svolgere un ruo-lo catalizzante per mobilitare le altre fonti di fi-

nanziamento». Il Forum ha gettato le basi del par-tenariato globale per una cooperazione allo svi-luppo più efficace, abbracciando tutti gli attori.

Al posto di guida La cooperazione elvetica partecipa a questo dia-

La promozione dei diritti umani, come in Nepal, non ha effetti immediati e facilmente verificabili sulla vita di tutti i giorni.

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logo internazionale fin dalle prime battute. Inquesto momento contribuisce all’edificazione delpartenariato di Busan, concentrandosi su argo-menti a lei particolarmente cari, come il sostegnoagli Stati fragili, la verifica dei risultati o il ruolodel settore privato.Sul terreno fa di tutto per applicare i principi del-la Dichiarazione di Parigi. Da diversi anni, la DSCpartecipa a programmi settoriali grazie ai quali rie-sce a mettere «al posto di guida» il Paese benefi-ciario. Il governo elabora un piano di sviluppo inun settore specifico, come la salute o l’istruzione,e i donatori si iscrivono in questa strategia. «I pro-grammi settoriali sono essenziali per rafforzare lecapacità di un Paese», spiega Adrian Maître, capodella Sezione e rete Garanzia della qualità degli aiu-ti della DSC. «Dove il contesto lo permette, noi viaderiamo sempre».La partecipazione a questo tipo di programma puòassumere diverse forme. I donatori hanno la pos-sibilità di assegnare le proprie risorse a un «fondocomune», destinato al finanziamento di tutte le at-tività pianificate. Si tratta di un aiuto al bilancio ditipo settoriale. Un’altra modalità consiste nel re-alizzare progetti di sviluppo orientati alle prioritàdel governo. A differenza di altri Paesi donatori, laSvizzera non è tuttavia passata interamente all’aiu-to al bilancio settoriale, ma continua a realizzare an-che progetti individuali. «Le esperienze o le inno-vazioni maturate sul terreno nutrono il dialogo po-litico con il governo», precisa Adrian Maître.La cooperazione svizzera è, invece, poco impegnataa livello di aiuto al bilancio generale. Finora nonha mai consacrato a quest’ultimo più del 5 per cen-to delle proprie risorse finanziarie.

Dove finiscono gli aiuti svizzeri?Da qualche anno, la DSC orienta la gestione sem-pre ai risultati. In particolare ha sviluppato diversistrumenti e standard volti a migliorare la qualità deisuoi programmi. Parallelamente effettua valutazio-ni dell’impatto per illustrare i risultati sul campo.In questo senso, le richieste sono sempre più in-calzanti. Parlamento e opinione pubblica voglionosapere come viene utilizzato il denaro dei contri-buenti. «Le domande che ci vengono poste sono legitti-me. Un ente pubblico che gestisce un budget an-nuale superiore al miliardo di franchi deve essereefficiente nelle sue attività e renderne conto», evi-denzia Martin Sommer, capo della Sezione Con-trolling della DSC. «Purtroppo non è sempre pos-sibile dimostrare quale sia il contributo concretodella Svizzera, poiché i nostri investimenti si me-scolano con quelli degli altri donatori impegnatinello stesso settore». Inoltre, l’aiuto non è l’unico

I cinque principi dellaDichiarazione di ParigiLa Dichiarazione di Parigisull’efficacia degli aiuti illu-stra cinque principi fonda-mentali, arricchiti da dodiciindicatori e 21 obiettivi. I Paesi beneficiari defini-scono le proprie strategiedi lotta alla povertà e gesti-scono autonomamentel’aiuto estero (principio diappropriazione). I donatorisi allineano alle strategiedei Paesi partner e utiliz-zano i sistemi nazionalidelle finanze pubbliche edegli appalti (allineamento),coordinano i loro interventie implementano i dispositivicomuni (armonizzazione).Donatori e Paesi beneficiaridanno la priorità ai risultatie misurano l’impatto del-l’aiuto sullo sviluppo (ge-stione orientata ai risultati).Essi sono corresponsabilidel raggiungimento degliobiettivi prefissati e infor-mano il partner sui risultati(responsabilità reciproca).

fattore di sviluppo. Se in una regione le condizio-ni di vita migliorano, può, per esempio, essere do-vuto al fatto che gli immigrati spediscono a casapiù soldi o che il reddito della popolazione è au-mentato.

Verifiche e valutazioniIn alcuni casi, il contributo della cooperazione èevidente. In Tanzania, ad esempio, diversi donato-ri hanno appoggiato la distribuzione su larga sca-la di reti antizanzare per prevenire la malaria. Cin-que anni dopo, il numero di infezioni si era di-mezzato e la mortalità infantile era notevolmentediminuita. L’impatto degli aiuti è meno facile dadimostrare quando il progetto interessa settori nontecnici, come il buongoverno o la promozione deidiritti umani.Ogni anno, la DSC valuta circa il 10 per cento deisuoi progetti al fine di verificare se hanno raggiuntogli obiettivi di sviluppo prefissati. Di tanto in tan-to affida anche a esperti indipendenti il compito dimisurare l’impatto di talune strategie o partecipa avalutazioni congiunte con altri donatori. «Questidue tipi di analisi interessano un Paese o un inte-ro settore. Le conclusioni sono dunque rilevanti per tutta l’istituzione. Queste ultime mettono inevidenza i risultati ottenuti con il contributo del-la Svizzera e ci permettono di correggere deter-minate carenze concettuali», spiega Martin Som-mer. I documenti scaturiti dalle verifiche e valuta-zioni vengono pubblicati nei rapporti sull’efficaciadegli interventi della DSC e della SECO. ■

(Tradotto dal francese)

«Un ente pubblico che gestisce un budget annuale

superiore al miliardodi franchi deve essere efficiente

nelle sue attività e renderne conto».

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commerciante di quarant’anni, che assieme al fra-tello ha percorso 350 chilometri in automobile perfarsi operare un tumore all’intestino: «Lavoranobene, qui. Nella mia regione non si trovano servi-zi medici di uguale qualità. Se Dio vuole, prestofarò ritorno a casa». Mama Bouraïma esce dalla sala operatoria dopoaver eseguito otto interventi, di cui cinque ernie.«È una patologia comune nella regione. La popo-

Dopo un viaggio interminabile, i familiari piantano le tende nei pressi dell’ospedale di Nikki. Attendono con pazienza cheil loro caro possa ritornare a casa.

Edificare lo Statodalla base Ostacolata da una governance fragile, l’attuazione della Di-chiarazione di Parigi in Benin progredisce solo lentamente. Perla popolazione l’efficacia degli aiuti rimane tuttavia un elemen-to fondamentale. Nelle zone rurali del nord, dove sono con-centrate le attività della DSC, diversi attori dello sviluppo espri-mono la loro opinione sul modo più efficace per ridurre la po-vertà. Reportage di Jane-Lise Schneeberger.

Attorno all’ospedale di Nikki, piccola cittadina neldipartimento di Borgou, gli assistenti di cura sononumerosi. Un paziente non è mai solo. La sua fa-miglia campeggia davanti agli edifici o nel cortile,spesso per parecchi giorni. C’è anche chi viene dalontano. L’ospedale serve tre comuni, un bacino di350 000 utenti, ma la sua fama va ben oltre i con-fini del distretto sanitario. Circa il 20 per cento deipazienti proviene dalla vicina Nigeria. Come un

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lazione pratica essenzialmente l’agricoltura e l’al-levamento, lavori che richiedono un notevole sfor-zo fisico», spiega il chirurgo che dirige l’ospedaledal 2003. La malaria è la malattia più diffusa. Nel-la stagione delle piogge, il servizio pediatrico è pre-so d’assalto dai bambini vittime dell’epidemia.

Corruzione: tolleranza zeroLa DSC sostiene l’ospedale di Nikki dal 1996. Hacostruito o ristrutturato diversi edifici, fornito at-trezzature e formato il personale. Oggi il nosoco-mio, che dispone di 181 letti, è autonomo. È in gra-do di far fronte da solo a quasi tutti i costi d’eser-cizio e riesce anche a ingrandirsi attingendo afondi propri.

Nel dipartimento di Borgou, la DSC sostiene an-che tre altri ospedali, che tuttavia non sono anco-ra autonomi. Come si spiega, allora, il successo diNikki? Il dottor Mama accenna, in primo luogo,alla qualità dell’assistenza: «Per ottenere risultati du-revoli, bisogna fissare obiettivi concreti, valutare pe-riodicamente i progressi e programmare attenta-mente il momento in cui il donatore si ritirerà. Nelnostro caso, questo approccio ha avuto successo. LaDSC ha diminuito gradualmente il suo sostegno,

Allievi assenti«Negli ultimi vent’anni, idonatori hanno profusoenormi sforzi per migliorarele prestazioni del sistemasanitario. Quando erobambino, uscivamo dascuola alle cinque di serasenza mai essere certi diritrovarci al completo ilmattino seguente. Colera,meningite o altre malattieinfettive potevano portarevia uno di noi durante lanotte. Da quando vengonoorganizzate campagne divaccinazione e la popola-zione viene informata sullemisure igieniche, le epide-mie sono notevolmente di-minuite».Ismaïlou Yacoubou, me-dico consulente della reteRéseau Alliance Santé

finché non siamo stati in grado di autofinanziar-ci», illustra il medico. «Il carattere comunitario del-l’ospedale, che ha coinvolto la popolazione sin dal-la creazione nel 1989, ha avuto un ruolo determi-nante», aggiunge. Altri attori sanitari ritengono che la vera chiave delsuccesso sia la gestione rigorosa imposta dal diret-tore. Fin dal suo arrivo, il dottor Mama ha adotta-to severi provvedimenti contro la corruzione. «Hoscelto di essere assolutamente intransigente e san-zionare con il licenziamento qualsiasi atto illecito»,conferma. «In Benin è considerato un comporta-mento eroico, ma non c’è nulla di più normale».Oggi, l’ospedale di Nikki è quello meglio ammi-nistrato del Paese.

In transito dalle casse dello StatoCome sindaco di Nikki, comune rurale che di-pende dagli aiuti esterni, Oumarou Lafia conoscemolto bene le differenti modalità di sostegno econsidera appropriato coinvolgere i beneficiari nelfinanziamento di un progetto: «Alcuni donatori, peresempio, esigono una partecipazione del 15-20per cento per la trivellazione dei pozzi. Quando gliabitanti del villaggio devono sudare, perché obbli-gati a fare la loro parte, hanno più cura delle infra-

La maggior parte dei pazienti sono contadini o allevatori che spesso devono farsi operare d’ernia. Le malattie più diffusesono la malaria, le infezioni alle vie respiratorie e la diarrea.

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Efficacia

Difetti del sistema sanitarioNegli ospedali e nei centrisanitari non è raro che ilpersonale arrotondi il sala-rio sulle spalle dei pazienti.Ogni astuzia è buona perapprofittare del sistema:fatture gonfiate, vendita illegale di farmaci rubati, ricette mediche fasulle.Queste irregolarità sonouna conseguenza direttadel livello molto basso deisalari. Negli ospedali pub-blici, un infermiere o unalevatrice guadagna non piùdi 180 franchi al mese, unmedico generico 270 fran-chi. Dal canto loro, i malatinon affiliati a un’assicura-zione sanitaria devono pa-gare di tasca propria lespese mediche. Ma permolti il soggiorno in ospe-dale è proibitivo. Così, perevitare la fattura, se la svi-gnano prima di aver com-pletato le cure.

strutture rispetto a quando vengono loro sempli-cemente donate».Dal 2008, Nikki riceve anche un sostegno finan-ziario che passa dal governo centrale. Diversi do-natori sovvenzionano il Fondo di sostegno allo svi-luppo dei comuni (Fadec), gestito dal ministero peril decentramento. «Questo denaro ci permette dicostruire scuole, uffici e depositi. In linea di prin-cipio, è una buona cosa che gli aiuti siano ridistri-buiti dallo Stato. Bisognerebbe tuttavia eliminare illungo iter burocratico che rallenta i versamenti»,suggerisce Oumarou Lafia.

Diffidenza dei donatoriSul modello del Fadec, due altri fondi comuni fi-

nanziano programmi governativi; uno nel settoredell’istruzione, l’altro dell’approvvigionamentoidrico. Assieme all’aiuto generale al bilancio, que-sto tipo di dispositivo rientra nelle modalità rac-comandate dalla Dichiarazione di Parigi. In Beninrimane però limitata a questi tre settori. I donato-ri sono sempre più riluttanti a utilizzare i sistemifinanziari del Benin per convogliare i loro aiuti. «È una questione di fiducia. Noi non siamo mol-to convinti della tenuta stagna delle procedure sta-

tali», commenta Alain Gallez, funzionario dell’am-basciata belga. Questa diffidenza interessa anchel’aiuto generale al bilancio, ormai praticato da soletre agenzie multilaterali.Per Christophe Dossouvi, responsabile di un uffi-cio di studi specializzato nel sostegno alla sanità, lagovernance debole è solo una scusa: «Il Benin nonè più corrotto di altri Paesi. In realtà i donatori pre-feriscono forme di assistenza più visibili che l’aiu-to al bilancio. Sui progetti vogliono poter issare laloro bandiera». Secondo Dossouvi, l’efficacia passada un’attuazione rigorosa della Dichiarazione diParigi. Da un’indagine realizzata dall’OCSE nel2010 è tuttavia emerso che in Benin la maggiorparte degli obiettivi di questo accordo non è stata

raggiunta. I progressi riguardano soprattutto l’ar-monizzazione. Sul fronte del principio fondamen-tale dell’allineamento, si è notata invece una ten-denza negativa. Attualmente, oltre il 70 per cento degli aiuti è as-segnato sotto forma di progetti o di cooperazionetecnica. «A lungo termine questo approccio noncontribuisce a rendere più autonomo il governo.In questo senso è probabilmente inefficace. Tutta-via sul terreno fornisce risultati concreti. È un’al-

Il dottor Mama Bouraïma dirige l’ospedale di Nikki, sostenuto dal 1996 dalla DSC, ma che ora si autofinanzia.

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Talib, bovari e gandoIn Benin, tre categorie dibambini in particolare ri-mangono esclusi dal si-stema scolastico. I talibsono i ragazzi che le fami-glie offrono agli insegnanticoranici. Diventano prati-camente i loro schiavi evengono costretti a mendi-care per portare denaro almaestro. I bovari sono i figli degli allevatori. Fin dapiccoli devono condurre ilgregge al pascolo e aiutarenei campi. I gando discen-dono dall’etnia bariba, pre-sente nel nord del Benin.Sono considerati deglistregoni perché sono naticon malformazioni, podalicio la madre è morta duranteil parto. I genitori se nesbarazzano affidandoli aipulli, che li utilizzano comeguardiani di bestiame.

Non è sufficiente costruire pozzi e badare alla loro manutenzione. Per mantenere pulita l’acqua durante il trasporto, è ne-cessario che le taniche siano chiuse in maniera ermetica.

tra forma di efficacia, più operativa», riconosceAlain Gallez.

Verso un’assicurazione malattia generale Il direttore dell’Ufficio della cooperazione elveti-ca Jean-Luc Virchaux è invece convinto che il so-stegno agli attori istituzionali alla base può avereanche un impatto sulle politiche nazionali. «La Di-chiarazione di Parigi postula una riforma dello Stato dall’alto. In un Paese dove il buongoverno è debole, è importante partire anche dal basso e raf-forzare gli attori locali, come i comuni, le orga-nizzazioni socio-professionali e i servizi decentra-ti dello Stato, che in seguito potranno dialogare conil governo e partecipare all’edificazione dello Sta-to». Nel quadro di diversi progetti, precisa Virchaux, èpossibile testare alcune innovazioni che potrannopoi essere riprodotte a livello nazionale. La rete Réseau Alliance Santé (RAS) ne è un esempio. Dal1994, la DSC sostiene la creazione di assicurazio-ni sanitarie, un concetto inedito per il Paese. In ter-mini di adesioni, i risultati sono modesti: la RASinteressa soltanto il 5 per cento della popolazione.

Il basso tasso di penetrazione è riconducibile es-senzialmente alla povertà delle popolazioni ruraliche per diversi mesi all’anno non hanno nessunafonte di reddito. Inoltre, molte persone credono chesi attiri la malattia pagando una quota sanitaria.Eppure questa rete è un successo, poiché servirà damodello al futuro piano di assicurazione sanitariagenerale, decretato lo scorso mese di dicembre. Perlanciare la propria rete, il governo – che parte dazero – si baserà sulle mutue esistenti nella regionedi Nikki. Per il medico consulente della RASIsmaïlou Yacoubou, questa è una prova dell’effica-cia dello sviluppo dalla base: «Bisogna iniziarecreando un modello che funzioni bene a livello lo-cale e poi farlo risalire fino ai vertici dello Stato,mettendo a disposizione del governo i frutti del la-voro realizzato alla base».

Acqua pulita, ma non per moltoDato che anche altri fattori influenzano il proces-so di sviluppo, i donatori sono spesso confrontaticon la difficoltà di dimostrare i risultati ottenuti coni loro progetti. Le valutazioni sull’impatto sonocomplesse e dispendiose. Tuttavia, tali analisi dan-

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Bravi insegnanti cercansiCon il sostegno dei dona-tori, negli ultimi anni ilBenin ha fatto notevoli pro-gressi verso un accessogeneralizzato all’istruzione.Ha costruito scuole, for-mato o riqualificato inse-gnanti. Questi sforzi sonoperò ancora insufficientiper assorbire tutti i bambiniche entrano nel mondodella scuola ogni anno.Circa il 40 per cento degliinsegnanti non disponedelle necessarie qualificheprofessionali: è stato as-sunto in mancanza di can-didati migliori. Così, la qua-lità dell’insegnamentocontinua a peggiorare. Sela stragrande maggioranzadei bambini è ormai scola-rizzata, la percentuale dicoloro che abbandona,boccia o ripete è enorme.Un terzo degli scolari nontermina la scuola elemen-tare.

no la possibilità di trarre degli insegnamenti e dimigliorare quindi l’efficacia degli interventi futuri.L’anno scorso, la cooperazione olandese e quella te-desca hanno finanziato uno studio sull’impatto deiprogrammi idrici realizzati in Benin. Un’equipe diricercatori internazionali è giunta alla sorpren-dente conclusione che la trivellazione di un poz-zo aumenta indiscutibilmente la quantità d’acquadisponibile per le famiglie e riduce le distanze dimarcia per le donne, ma non contrasta le malattie.«Uscita dal pozzo pulita, l’acqua viene contamina-ta durante il trasporto o lo stoccaggio, soprattuttoperché la gente la tocca con le mani, favorendo latrasmissione di agenti patogeni», spiega Isabel Gün-ther, ricercatrice presso il Politecnico federale diZurigo, che ha partecipato allo studio.Questi risultati mostrano che la misurazione del-l’efficacia non deve limitarsi ai risultati immediatidi un intervento. «Per lungo tempo, i donatori sisono limitati a contare il numero di pozzi, scuoleo ponti costruiti per assicurarsi che i loro obietti-vi fossero raggiunti. Spesso, queste infrastrutturenon sono tuttavia sufficienti a ridurre la povertà»,osserva Isabel Günther. Affinché la costruzione dipozzi possa avere un impatto sulla salute, i pro-grammi dovrebbero includere sistematicamenteuna sensibilizzazione all’igiene o altre misure diprevenzione, come la clorazione dell’acqua o la di-stribuzione di recipienti ermetici.

Donne ai vertici nei comuni In mancanza di valutazioni sull’impatto, le testi-monianze dei beneficiari sono una preziosa fonted’informazione per misurare l’efficacia delle atti-vità di sviluppo. La 29enne Adama Djaouga Sou-maïla è una di queste testimoni. Cresciuta a Nik-ki in condizioni molto precarie, con altri 31 fra-telli e sorelle nati dalle sei mogli del padre, hasempre desiderato studiare, ma «il vecchio» non l’hamai appoggiata. «Uno zio mi ha dato la possibilità

di frequentare le scuole superiori, ospitandomi perquattro anni nella sua casa a Parakou. Poi ho avu-to fortuna e ho ottenuto una borsa di studio dellacooperazione svizzera. Così ho potuto studiarelegge all’università». Oggi, la giovane avvocato èimpiegata quale caposervizio presso il comune diNikki.Il programma svizzero di sostegno all’istruzionedelle ragazze è stato lanciato nel 2000, poco primadel decentramento, con l’intento di formare per icomuni donne quadro, all’epoca praticamente as-senti. L’iniziativa interviene a ogni livello scolasti-co, cercando di rimuovere gli ostacoli che solita-mente impediscono alle ragazze di ottenere la ma-turità. Alle diplomate provenienti da famigliepovere offre una borsa di studio e supporto tecni-co, affinché possano proseguire gli studi all’univer-sità. In dodici anni, addirittura 230 beneficiarie di bor-se di studio hanno ottenuto un diploma universi-tario. «Al di là delle cifre, è soprattutto entrando nelle amministrazioni comunali di Borgou che sipuò misurare l’efficacia di questo sostegno. Oggi,molte donne amministrano lo sviluppo del posto»,

Adama Djaouga Soumaïla è cresciuta in una famiglia molto povera. Oggi lavora come avvocato presso l’ammi-nistrazione della città di Nikki.

I risultati ottenuti con gli adulti e i bambini negli istituti sco-lastici bilingui sono davvero impressionanti.

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Demografia galoppanteLa popolazione del Beninè passata dai 2 milioni del1961 ai 9,1 milioni del2011. La crescita continuaa un tasso del 3,2 percento, pari a circa 300 000abitanti in più ogni anno.Questo fenomeno ha duespiegazioni. Da una partela mortalità è diminuita – lasperanza di vita nel 1960non superava i 41 annimentre attualmente è di 62 anni – dall’altra il tassodi natalità rimane uno dei più alti al mondo. Loscorso decennio oscillavatra i cinque e i sei figli perdonna. Nel nord del Paesela crescita demografica haaddirittura raggiunto il 4,35per cento e ogni donnamette al mondo otto figli.La pressione demograficadetermina una forte do-manda sociale in termini di alimentazione, salute eistruzione.

Con una migliore formazione di base e con corsi di aggiornamento è possibile aumentare la sicurezza alimentare e ga-rantire un’entrata supplementare, grazie alla vendita di alcuni prodotti al mercato.

sottolinea la coordinatrice del programma Esther Adimi.

Istruzione per tutti, anche per gli esclusi La DSC interviene anche fuori le mura scolasti-che. Dà la possibilità di seguire una formazione ainumerosi bambini che non hanno mai frequenta-to la scuola o che l’hanno abbandonata prematu-ramente. Lo scorso mese di ottobre, il Programmadi sostegno all’istruzione e alla formazione deibambini esclusi dal sistema educativo (Paefe) hainaugurato 21 centri d’insegnamento bilingue. Nelcorso del primo anno gli allievi imparano a legge-re, scrivere e far di conto nella loro lingua. Dal se-condo anno scoprono il francese, che gradual-mente si sostituisce all’idioma locale. «Con questoapproccio, una novità in Benin, in quattro anni iragazzi recuperano il programma che nelle scuolestatali viene elaborato in sei anni ed è impartito so-lamente in francese. Dopo sei mesi i risultati sonogià impressionanti: ragazzi che non erano mai sta-ti a scuola leggono già in modo fluente», si ralle-gra Im-Rashina Garba, vice coordinatrice di Hel-vetas in Benin, organizzazione che implementa ilPaefe.

Studi e attività manuali Una classe simile è stata avviata nel villaggio di Sou-mon, a sud di Parakou. In poco tempo gli iscrittierano 43. Secondo l’insegnante, questo successo èdovuto all’uso della lingua locale e al fatto che ilcentro valorizzi le espressioni culturali locali e pro-ponga attività manuali. Molti bambini siedono die-tro un banco di scuola per la prima volta nella lorovita. «Fino all’anno scorso mi alzavo molto prestoal mattino per condurre il gregge al pascolo, poiandavo a lavorare nei campi», racconta Worou, ra-gazzo 15enne. «Poi, i miei genitori hanno compresol’importanza dell’istruzione anche per chi, in fu-turo, farà l’agricoltore o l’allevatore. Chi è stato ascuola sa come migliorare e aumentare il raccolto.Inoltre, sa curare il bestiame, una fonte di sosten-tamento fondamentale. Più tardi mi piacerebbe insegnare». Bossè, ragazza di dodici anni, sogna di fare la sar-ta. Ha frequentato la scuola per quattro anni pri-ma di abbandonarla. «Non capivo nulla. Qui, ilmaestro ci parla nella lingua locale ed è più facile.Impariamo anche il cucito, l’intreccio e l’orticol-tura». Nel giardino della scuola gli studenti colti-vano ortaggi che vendono al mercato.

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Tassa sull’acquaLa maggior parte delle fontid’acqua risanate prelevauna tassa, utilizzata per lamanutenzione e le ripara-zioni delle installazioni.Quest’imposta varia da unvillaggio all’altro, secondo il tipo di impianto. Alle fon-tane pubbliche riempire unbacile tradizionale, che puòcontenere dai 25 ai 40 litri,costa in media l’equiva-lente di 3,9 centesimi svizzeri. I pozzi dotati dipompe manuali doman-dano 2,3 centesimi per lastessa quantità d’acqua.Per attingere esclusiva-mente a una fonte sicura,una famiglia povera devedestinare al consumo d’ac-qua dal 3 al 7 per centodel suo reddito annuo.

Alfabetizzati e autonomi A Baka, nella periferia di Parakou, una quindicinadi adulti segue attentamente le spiegazioni dell’in-segnante. Siamo in uno dei 540 centri di alfabe-tizzazione di Borgou finanziati dalla DSC e gesti-ti da organizzazioni del Benin. Alcune panchine inlegno e una lavagna sotto un tetto di paglia sonolo spartano mobilio. I corsi sono incentrati sulla vitapratica.Alcuni studenti raccontano come l’istruzione ab-bia cambiato la loro vita. «Non ho più timore del-le persone che hanno frequentato la scuola statale.La mia visione del mondo è cambiata», afferma latrentenne Awaou Alagbé. «Ora posso scrivere dasola a parenti che vivono in un altro villaggio sen-za che qualcun altro legga i miei segreti. Il centromi ha anche insegnato a fabbricare sapone con ilburro di karité». Il 20enne Zaccharie Soroukou Ya-rou ha seguito una formazione scolastica, ma si èiscritto a questi corsi perché si svolgono in linguabariba. «Per me è un grande vantaggio saper legge-re e scrivere nella mia lingua. Qui ho anche impa-rato ad allevare i polli. Ora, per lanciarmi in que-st’attività devo solo trovare un piccolo capitale»,racconta il giovane.

Il governo del Benin non investe praticamente nulla nell’educazione anche se nel Paese il 70 percento della popolazione è analfabeta. La coopera-zione svizzera favorisce l’alfabetizzazione sin dallontano 1970. «Questo programma è straordinaria-mente efficace e poco costoso. Non è normale cheun donatore si sostituisca al governo per quaran-t’anni. Ma continuo a nutrire la speranza che ungiorno lo Stato sarà in grado di assumersi questocompito educativo», sottolinea Jean-Luc Virchaux.

Un sogno e un aiuto per realizzarlo Fra gli attori locali che beneficiano degli aiuti el-vetici figura l’associazione per la promozione di ini-ziative di sviluppo sostenibile (Apidev). Questastruttura privata si prefigge di garantire la sicurez-za alimentare di contadini e allevatori, aiutandoli amigliorare i sistemi di produzione e a diversificarele colture. «Gli aiuti ‘classici’ hanno favorito l’in-staurarsi di una mentalità assistenziale», afferma in-dignato il direttore Adamou Mama Sambo. «Ap-pena vede sorgere un progetto, la gente stila unelenco dei propri bisogni. È un’aberrazione che av-velena da quarant’anni i rapporti tra donatori e be-neficiari».

Invece di soddisfare i bisogni materiali, l’associazione Apidev promuove una maggiore autoresponsabilità e una visioneverso il futuro. Zénabou Aboudou (a destra) coltiva otto ettari di terreno senza rinunciare al suo grigri con il quale proteggele colture.

Tre obiettivi in vistaIl Benin dovrebbe raggiun-gere entro il 2015l’Obiettivo di sviluppo delmillennio (OSM) relativo al-l’accesso all’istruzione: il tasso di scolarizzazioneprimaria è già dell’88 percento. Grazie alle campa-gne di vaccinazione, lamortalità infantile è note-volmente calata. Conmolta probabilità, anchequesto OSM verrà rag-giunto – al pari della diffu-sione dell’acqua potabile: il64 per cento della popola-zione ha già accesso a unafonte risanata (obiettivo: 68 per cento). Nelle zonerurali, solo il 4 per centodegli abitanti dispone di la-trine o servizi igienici. Fuoridalla portata rimane anchel’OSM relativo alla ridu-zione della povertà: il 41per cento della popola-zione vive ancora conmeno di un dollaro algiorno, a fronte di unobiettivo del 27 per cento.

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Invece di rispondere ai bisogni materiali, Apidevpunta alla responsabilità, cercando di indurre le fa-miglie a guardare al futuro e a trovare soluzioni pri-ma di tutto con le proprie potenzialità. «La gentedi qui non ha l’abitudine di anticipare gli eventi,credendo che il proprio avvenire dipenda soltantoda Dio. Ma non si possono cambiare le cose senzaavere una visione a lungo termine e strategie perrealizzarla», spiega Adamou Mama Sambo. Quan-do i beneficiari hanno definito il loro progetto divita, l’associazione offre loro consulenze e forma-zioni per concretizzarlo.

Un’agricoltrice dinamica Zénabou Aboudou ha beneficiato del sostegno diApidev. Questa bariba di 45 anni vive nel villaggiodi Bahounkpo con il marito, cinque figli e altre trespose. Quattro anni fa confezionava e vendeva pro-dotti a base di manioca e burro di karité. Senza ab-bandonare questo commercio ha deciso di lanciarsianche nella produzione agricola. Dopo aver assol-to due formazioni, ha iniziato a lavorare un terre-no paludoso fuori dal villaggio. Oggi, i suoi cam-pi si estendono su otto ettari. Zénabou Aboudouvi coltiva verdure, granoturco, manioca, canna da

zucchero e tabacco. Il suo reddito annuo si è quin-tuplicato, passando da 200 000 FCFA (358 franchisvizzeri) a oltre 1 milione (1 800 franchi), permet-tendole di acquistare qualche capo di bestiame eun’area edificabile. Ha anche potuto mandare ascuola i figli. Deve però lavorare sodo per portareavanti le diverse attività. «Ogni mattina, lascio il vil-laggio alle otto e non rientro prima delle otto disera. Spesso ingaggio dei braccianti, ma devo sem-pre sorvegliarli», racconta Zénabou Aboudou. Sospeso a un ramo, un grigri protegge le colture.L’agricoltrice non svelerà mai il contenuto delledue bottiglie avvolte nel tessuto, ma confida senzaesitazione il destino riservato ai ladruncoli: saran-no colpiti da paralisi. ■

(Tradotto dal francese)

Cifre e fattiContributo svizzero alla riduzione della povertàDa qualche anno, le due agenzie responsabili della coopera-zione svizzera informano regolarmente sull’efficacia dei loroprogrammi. DSC e SECO elaborano congiuntamente rapportid’efficacia inerenti settori specifici. I primi due documenti, pubblicati nel 2008 e nel 2010, erano dedicati rispettivamenteall’acqua e all’agricoltura. In rapporti distinti, pubblicati nel2011, le due agenzie hanno tracciato un bilancio delle loro attività nei quattro anni precedenti. La Suisse en action presentai risultati ottenuti dai programmi della DSC in otto campi d’azione, mentre Le SECO fait le bilan fornisce alcuni esempipratici dei successi ottenuti dalla cooperazione economica e illustra le sfide per l’aiuto allo sviluppo. Ambedue i rapporti sono disponibili in francese, tedesco e inglese.www.dsc.admin.ch, (chiavi di ricerca: Documentazione, Rapporti annuali, Rapporto d’efficacia)www.seco-cooperation.admin.ch, (chiave di ricerca:Documentation)

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Efficacia

Fonti di informazioneDossier dell’OCSE sull’efficacia degli aiuti www.oecd.org (chiavi di ricerca: Thèmes, Développement,Efficacité de l’aide)

Rapporto 2011 sul raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio (OSM)www.un.org/fr/millenniumgoals (chiave di ricerca: Rapports)

4o Forum di alto livello sull’efficacia degli aiuti, Busan, 2011www.aideffectiveness.org/busanhlf4

BetterAid, coalizione di 700 organizzazioni della società civile per lo sviluppowww.betteraid.org

Iniziativa internazionale per la valutazione dell’impatto (3ie)www.3ieimpact.org

Alcune cifreUn primo OSM è già stato raggiunto: a fine 2010, l’89 per centodella popolazione mondiale aveva accesso all’acqua potabile.Questa percentuale supera leggermente l’obiettivo, fissato all’88 per cento.

Gli sforzi rimangono insufficienti per raggiungere entro il 2015l’OSM relativo al risanamento. Soltanto il 63 per cento degli abi-tanti del pianeta ha accesso a servizi igienici o altre istallazioni migliorate. L’obiettivo è del 75 per cento.

La percentuale di persone che vivono sotto la soglia di povertà è diminuita dal 52 per cento del 1981 al 22 per cento del 2008.Questa riduzione è dovuta soprattutto alla rapida crescitadell’Asia orientale, in particolare della Cina.

L’assenza di coordinamento degli aiuti crea un sovraccarico dilavoro ai Paesi in via di sviluppo. Il Niger, ad esempio, ha accoltosoltanto nel 2010 quasi 900 missioni di donatori.

Tra il 2005 e il 2010, il numero di Paesi poveri a essersi dotato di strategie nazionali di sviluppo è triplicato.

Tra il 1960 e il 2011, l’APS è notevol-mente aumentato in cifre assolute (curvablu), passando da 37 a 133 miliardi didollari. Rispetto al reddito nazionale lordo(RNL) (curva rossa) è però in netto calo:dallo 0,49 per cento del 1960 è precipi-tato allo 0,22 per cento del 1997, prima di risalire e raggiungere lo 0,31 per centonel 2011.

Fonte: OCSE

Citazioni «Non basta misurare il volume di fondi erogati, né il numero di insegnanti formati, i chilometri di strade costruite o i gruppi didonne istruite. Se vogliamo veramente essere sicuri che il denaroinvestito migliori la vita della gente, l’unica soluzione è introdurredelle valutazioni dell’impatto su larga scala che consentano diraccogliere le prove di ciò che funziona, perché e a quale prezzo».Howard White, direttore esecutivo di 3ie

«La gestione orientata ai risultati non può essere ridotta a un semplice rapporto qualità-prezzo. Il suo scopo deve essere quello di garantire i diritti umani e lo sviluppo a tutti, in particolare alle popolazioni povere ed emarginate». Antonio Tujan, copresidente di BetterAid

Flussi finanziari netti di aiuto pubblico allo sviluppo (APS) dal 1960 al 2011

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Immerso nella luce d’estate, il paesino di Movtsha-nivka è particolarmente pittoresco. Un ruscello gor-gheggia facendosi strada sul terreno coperto di mu-schio, galline schiamazzano e razzolano nei cortili.Davanti ad una piccola casa in mattoni di terracot-ta, Vladimir Pobereschnij si arrampica sul trattore,impugna un cacciavite e aggrotta la fronte. «C’è sem-pre qualcosa che si rompe», dice il 24enne con i ca-

pelli rasati a zero. Il trattore con pala integrata ha noveanni più del suo proprietario. Per Pobereschnij, ilvecchio trattore è stato un colpo di fortuna, una veraoccasione: l’ha pagato solo 2500 grivna, l’equivalentedi 280 franchi. Ora passa il suo tempo libero a ripa-rarlo. Pobereschnij fa il trattorista nell’azienda del vi-cino vecchio kolchoz e guadagna 1000 grivna almese, circa 112 franchi.

Terra di confine in transizione L’Ucraina è considerata il granaio d’Europa. All’agricolturamancano tuttavia i soldi e gli specialisti. Mentre una parte della popolazione rurale continua a coltivare i campi come neidecenni passati, le grandi aziende portano tecnologia e pro-gresso nelle regioni più povere. Di Ann-Dorit Boy*.

Vladimir Pobereschnij fa il trattorista in un kolchoz e guadagna 112 franchi al mese. Per sbarcare il lunario coltiva patatee alleva maiali.

L’UE blocca, la Russia compra L’Ucraina era il granaiodell’Unione Sovietica,prima che la produzione si dimezzasse negli anniNovanta. Solo dal 2000 sista assistendo a una mo-derata ripresa dell’agricol-tura. Al momento, l’agricol-tura e l’industria alimentaregenerano il 12 per centodel prodotto interno lordo.Circa il 20 per cento dei di-pendenti lavora in questosettore. L’agricoltura è unarealtà molto eterogeneasotto il profilo dell’efficienzae della capacità competi-tiva. Vi sono oltre 8000grosse aziende commer-ciali, nonché 43 000 azien-de agricole a gestione fa-miliare. Circa 4,7 milioni difamiglie si approvvigionanocon prodotti propri. Lamaggior parte dei prodottiè esportata in Russia e nei Paesi dell’ex UnioneSovietica, perché l’Unioneeuropea protegge la pro-pria agricoltura con quotedi importazione.

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Ucraina

La vita è duraVi sono solo pochi giovani come Pobereschnij nelpaese di 200 abitanti, perché la vita nell’idilliaco vil-laggio di Movtshanivka nella regione di Ternopil,nell’Ucraina occidentale, è dura. Da quando lo Sta-to ha privatizzato i terreni agricoli, la famiglia di Po-bereschnij possiede otto ettari di campagna, di cuisette dati in affitto al kolchoz, come hanno fatto qua-si tutti i vicini. Ma non rende molto. «Per sopravvi-

L’Ucraina in sintesi

Capitale Kiev

Superficie 603 550 km2

Abitanti 44,8 milioni

Etnie Ucraini: 67 per cento Russi: 24 per cento Diversi: meno dell’uno per cento

Prodotti di esportazione Diversi metalli, petrolio,prodotti chimici, macchinee apparecchiature di tra-sporto, derrate alimentari

Principali partner com-mercialiRussia: 24 per cento Turchia: 6 per cento Italia: 5 per cento

Paesaggio Soprattutto steppe e alto-piani fertili, zone monta-gnose nella parte occiden-tale (Carpazi) e nella zonameridionale della penisoladi Crimea.

vere dobbiamo coltivare patate, allevare maiali e occuparci di mucche e galline», racconta il giovaneagricoltore. Pobereschnij è nato a Movtshanivka, dove ha fre-quentato le scuole. Per il momento vive con i geni-tori, con la moglie e il figlio di nove mesi nella casacostruita dalla famiglia ancora ai tempi dei soviet.Non è mai andato in vacanza e nemmeno all’este-ro. La prende però con filosofia. «Sono affezionatoal mio paesino», dice. Poi si dedica di nuovo al trat-tore, che continua a dargli del filo da torcere.

Impossibile restare Fino alla Prima guerra mondiale, la regione di Ter-nopil, a circa 300 chilometri a Ovest di Kiev, è sta-ta per 150 anni parte dell’impero austro-ungarico.In seguito, questa striscia di terreno di soli 14milametri quadrati, ha assicurato l’approvvigionamentodi grano e zucchero dell’Unione Sovietica. A diffe-renza dell’est del Paese, la zona occidentale del-l’Ucraina non è quasi stata industrializzata dai soviet. Le fabbriche di chip elettronici, fatte costruireda Mosca alla fine degli anni Ottanta, hanno chiu-so i battenti dopo il crollo dell’Unione Sovietica.Nemmeno il combinat tessile, insieme di impresespecializzate, e la fabbrica di macchine agricole han-no resistito a lungo dinanzi alla forte pressione com-petitiva.Negli anni Novanta la produzione agricola è crol-lata. Oggi, Ternopil registra il livello salariale più basso e una quota di disoccupazione ufficiale fra lepiù alte dell’Ucraina. Nonostante i terreni fertili, l’a-

gricoltura si riprende solo lentamente. Mancano of-ferte formative al passo con i tempi e infrastruttureadeguate. La regione vive soprattutto dell’esporta-zione di forza lavoro a basso costo nei Paesi esteri edelle rimesse di questi lavoratori emigrati. La situazione è particolarmente difficile per i gio-vani, dice Miroslava Walej, mentre spinge un carret-to carico di fasci di paglia per i suoi maiali, scansan-do le buche più grandi sulla strada di Movtshaniv-

ka. I giovani vanno via, emigrano in tutto il mon-do, perché qui non trovano lavoro, se non mal re-tribuito. Alcuni sono andati in Italia, altri in Olan-da, Irlanda, America o a Mosca. Anche la figlia di Wa-lej fa parte di questi profughi economici. Con il suolavoro di insegnante guadagnava solo 400 grivna.Dopo lunghe riflessioni ha fatto le valigie ed è par-tita per Mosca. Walej, fazzoletto variopinto attorno ai capelli egrembiule blu, ha 65 anni. Ha lavorato una vita inuna banca nella vicina cittadina. Suo marito faceval’autista. «Ora che siamo in pensione, lavoriamo piùdi prima», dice. La pensione è solo un po’ più altadel salario mensile del vicino di casa, il giovane con-ducente di trattori. Una volta pensionati, molti vec-chi tornano in campagna per sbarcare il lunario gra-zie all’economia di sussistenza.La provincia è tagliata fuori dallo standard di vitaquasi europeo che regna in alcune grandi città.Movtshanivka è allacciata alla rete del gas solo dal-la metà degli anni Novanta. Walej ricorda bene i lun-ghi decenni in cui accendeva la stufa a legna e ri-pensa al fumo nel soggiorno. Ancora oggi non vi èuna canalizzazione; ogni tanto passa un’autobotte asvuotare le fosse dietro le case.

Gli investimenti degli emigranti A Ternopil, la capitale regionale di 200 000 abitan-ti, il vicegovernatore Wassil Genzko siede nel suo ufficio nel grattacielo dell’amministrazione e parlacon prudente ottimismo. L’ondata migratoria piùimportante sembra sia passata, dice il politico. Cer-

In campagna, tutto sembra essere rimasto come nel periodo dei soviet. Lo sviluppo avanza solo lentamente nella regione, eccezion fatta per alcuni silos giganteschi.

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Polonia

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Molte famiglie arrotondano il salario vendendo verdura e frutta coltivate nel proprio giardino.

to, sono ancora in molti a lavorare all’estero, ma delle rimesse inviate a casa trae beneficio tutta la regione. «Molti emigranti si costruiscono la casa qui, investendo dunque nell’edilizia locale», diceGenzko. Secondo lui, nei prossimi anni, non pochitorneranno a casa. Dopo la crisi economica del 2009, che aveva fattocrollare il prodotto nazionale lordo del 15 per cen-to, l’economia si è ripresa. Ultimamente, la doman-da relativa ai prodotti regionali ha registrato un’im-pennata, dice Genzko. Nel 2011, la produzione agri-cola è aumentata del 25 per cento. In sei zuccherificila regione produce oltre il dieci per cento dello zuc-chero di barbabietola dell’Ucraina. Anche l’amplia-mento delle capacità di stoccaggio procede bene.Recentemente sono stati costruiti tre silos e i pro-duttori ora non sono più costretti a vendere subitodopo il raccolto e a ogni costo il grano, il mais ol’orzo.

La parola d’ordine è sviluppo Uno dei nuovi silos è in costruzione a 40 chilome-tri a sud di Ternopil. Le torri del granaio si ergonoargentate nel cielo. Attualmente possono essere pu-lite e stoccate 64 000 tonnellate di cereali. Una vol-ta completato, il silo avrà una capacità di stoccaggiodi 110 000 tonnellate e sarà dunque il più grande eil più moderno della regione. Proprientaria è la agro-holding Mriya, un’azienda modello e primo datoredi lavoro a Ternopil. Il fondatore, Ivan Guta si è lanciato in questa attività nel 1992 con 50 ettari diterreno e 20 collaboratori. Convincendo gli inve-stitori esteri sulla bontà della sua iniziativa, ha pun-tato sull’alta tecnologia. Nel frattempo, l’aziendaconta 5000 impiegati e coltiva 240 000 ettari di ter-reno in diverse regioni dell’Ucraina occidentale.Inucraino, il nome dell’azienda significa «sogno» e ilmotto dell’impresa è: «Ci occupiamo dello sviluppo».Molte scuole e giardini d’infanzia in prossimità deisiti produttivi sono stati costruiti o rinnovati a spe-se della ditta. Il patriarca Guta vuole rendere parte-

cipe l’intera regione al suo successo e accrescere lostandard di vita generale, dichiara l’addetta stampa.Nella scuola agricola della società Mriya, vengonoformati alcuni studenti promettenti, provenienti dal-le università locali, perché mancano gli specialisti in grado di occuparsi dei moderni macchinari del-la ditta.

Sono solo in pochi a farcela Nikolai Ratuschnij è fra coloro che grazie a Mriyaha realizzato il sogno di un lavoro interessante e benpagato. Il 32enne è ingegnere responsabile del nuo-vo silo, è a capo di 40 collaboratori ed è orgogliosodel suo deposito. «È semplicemente fantastico chemi abbiano affidato questa struttura magnifica», diceil giovane. Al computer ci dimostra com’è possibi-le sorvegliare automaticamente l’umidità e la tem-peratura dei delicati cereali. «Il grano respira e suda»,spiega Ratuschnij, ecco perché sono necessari con-tinui controlli nel laboratorio adiacente. Ratuschnij è uno dei pochi specialisti della regionead aver studiato tecnologia alimentare ed è un pe-rito affermato per le questioni relative allo stoccag-gio di cereali. «Durante la mia formazione non avreimai pensato di avere un giorno l’opportunità di la-vorare in un impianto così moderno», afferma. Glistudi non erano incentrati sulla tecnologia moder-na. Lui ha avuto fortuna. Per questo lavoro gratifi-cante accetta ben volentieri di fare la spola fra le di-verse località della regione. Per coltivare un pezzodi terreno gli manca però il tempo – Ratuschnijcompra il latte e le patate in negozio. ■

*Ann-Dorit Boy è libera corrispondente da Mosca per di-verse testate germanofone (fra cui «Neue Zürcher Zeitung»,«Die ZEIT», «Spiegel Online») e viaggia regolarmentein Ucraina.

(Tradotto dal tedesco)

Sviluppo politicoDurante la rivoluzionearancione del 2004, il po-polo ucraino ha protestatocontro le manipolazioni deirisultati elettorali, eleggendoquale presidente il demo-cratico e portatore di spe-ranze Viktor Juscenko.Tuttavia, il politico non harealizzato le riforme econo-miche promesse. Anchel’obiettivo di portarel’Ucraina nell’Unione euro-pea e nella NATO non èstato raggiunto. In com-penso Juscenko ha litigatocon la sua compagna dilotta di lunga data, il primoministro Julija Timoshenko.Nel gennaio 2010,Juscenko è stato scalzatoproprio dal suo avversariofilorusso, Viktor Janukovytc.Quest’ultimo, in politicaestera, oscilla tra Russia eOccidente. La condannaper abuso di potere inflittaall'antagonista JulijaTimoshenko ha suscitatovive proteste e critiche.

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Cooperazione Ucraina-SvizzeraLa Svizzera ha riconosciutol’Ucraina quale Stato indi-pendente nel 1991. Nel1997, i due Paesi hannosottoscritto un accordo dicooperazione tecnica, eco-nomica e umanitaria. Inquesto momento, la DSC e la segreteria di Stato perl’economia (SECO) sosten-gono una quindicina diprogetti in Ucraina incen-trati sui temi prioritari:buongoverno locale e ser-vizi comunali, salute ripro-duttiva, efficienza energe-tica, sviluppo finanziario edeconomico, nonché giusti-zia (sino a fine 2012). Ilcontributo nell’ambito dellastrategia di cooperazione2011-2014 ammonta, per il momento, a 60 milioni difranchi. www.deza.admin.ch/ucrainawww.swiss-cooperation.admin.ch/ukraine

Una giornata tipica di...Guido Beltrani, coordinatore DSC in Ucraina

fretta stadi e alberghi, ampliati gli aeroporti e risa-nate numerose strade. A Kiev, queste trasformazio-ni sono percepibili e tangibili ovunque. In questo momento, sto portando a termine il no-stro tema prioritario «Giustizia». Con questo pro-gramma abbiamo cercato di raggiungere diversiobiettivi: condizioni migliori per i detenuti nellecarceri o basi legali migliori per una giustizia indi-pendente, per citarne solo due. Anche se il caso Ti-moshenko ha fatto gridare allo scandalo sui gior-nali di tutta l’Europa, si può affermare che le con-dizioni di detenzione nelle carceri femminili sonomigliorate. La nuova possibilità offerta alle madri ditenere con sé i figli fino all’età di tre anni è, peresempio, un indicatore di tale progresso. Inoltre, ilParlamento ha varato recentemente una legge cheestende i diritti della difesa e prevede, fra l’altro, lapossibilità degli arresti domiciliari al posto della de-tenzione preventiva. La Svizzera ha insistito su que-sti punti e adesso ci rallegriamo che siano stati in-tegrati nella legge. Di tempo libero, ne rimane ben poco. Siamo peròampiamente ripagati dalla calorosa accoglienza, fat-ta di pane appena sfornato e canti ucraini, riserva-taci quando, a temperature di 25° sotto lo zero, vi-sitiamo un progetto. Ogni tanto mi godo una pas-seggiata fra gli stupendi parchi che costeggianomolte chiese e monasteri. Di sera, esco a cena conla mia compagna oppure mi immergo nella lettu-ra. Leggo sempre in italiano, visto che da quandoavevo 19 anni non ho più vissuto in un’area italo-fona. Da ticinese con radici siciliane la mia linguamadre mi sta a cuore. ■

(Testimonianza raccolta da Mirella Judith Wepf)

(Tradotto dal tedesco)

In Ucraina, i brindisi fanno parte della tradizionelocale. Un pranzo comune senza numerosi toasts èimpensabile. Il terzo «alla salute» è sempre dedica-to alle donne. Un’abitudine che diverte le mie col-leghe di lavoro, in particolare se pronuncio qualcheparola in russo, perché di solito la nostra lingua dilavoro è l’inglese. Fra la popolazione, l’inglese è tut-tavia poco diffuso, ecco perché mi impegno a im-parare almeno il russo, una lingua che la maggiorparte degli ucraini padroneggia come la lingua ma-dre. Quando ho assunto questa carica avevo solo al-cune nozioni elementari di russo. Al momento, lasituazione è la seguente: se capisco il 30-50 per cen-to, il mio interlocutore parla russo, se non capiscoquasi nulla, ucraino. E così continuo a prendere le-zioni. Di solito di mattina presto, prima di recarmial lavoro. Abito in centro, insieme alla mia compagna, a soli15 minuti a piedi dall’ufficio. Quando dalla mia ul-tima sede di servizio a Pristina, in Kosovo, mi sonotrasferito qui, a Kiev, era importante per me poter-mi recare al lavoro a piedi. Se si sopporta il freddo,va benissimo. Il nostro appartamento è stato risa-nato con cura, le scale e la facciata sono tuttavia in

uno stato pietoso. È tipico per l’Ucraina. Gli ap-partamenti sono stati privatizzati dopo il crollo dell’Unione Sovietica; tutto ciò che si trova al di làdella porta del proprio appartamento fa parte peròdello spazio pubblico e quindi sostanzialmente nonviene curato. Per questo motivo, la Svizzera ha lanciato vari programmi volti a promuovere l’effi-cienza energetica e sostenere il risanamento degliimmobili, contribuendo così alla protezione del cli-ma.L’ampliamento dell’infrastruttura è un argomentodi grande attualità in Ucraina – soprattutto que-st’anno in concomitanza dei campionati europei dicalcio. Per i campionati sono stati costruiti in tutta

«Siamo ampiamente ripagatidalla calorosa accoglienza,

fatta di pane appena sfornato e canti ucraini,

riservataci quando, a tempe-rature di 25° sotto lo zero,

visitiamo un progetto».

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Una voce dall’Ucraina

Recentemente, in occasione di una lettura pubbli-ca a Vienna, mi è stato chiesto di spiegare quale po-sto occupino gli scrittori nella società ucraina equale sia il loro influsso. Di primo acchito, ero ten-tata di rispondere: quale influsso voleteche abbiano, visto che un ucraino suquattro non legge libri, non ci sonoquasi librerie e se persino all’aeroportodi Kiev non vi è un’edicola che vendelibri? Poi mi sono tuttavia ricordata del-la mia foto, apparsa nella lista delle «100persone più influenti dell’Ucraina» epubblicata dalla stampa economica,nonché delle molte ore passate a dareautografi a centinaia di persone cheaspettavano pazientemente il loro turnocon i libri sottobraccio. Situazioni chenon accadono neanche alle fiere del li-bro di Francoforte o di Lipsia. Mi sonoresa conto che ogni contesto assume unaspetto diverso se lo si osserva dal suointerno o da fuori. I miei colleghi scrit-tori occidentali quando si recano inUcraina sono, per esempio, sempre en-tusiasti del concorso di pubblico alle se-rate letterarie, che in media accolgono200, ma a volte anche 800 persone. E delfatto che non tutti trovino posto nellasala, obbligando gli organizzatori a mon-tare un grande schermo fuori, sulla stra-da. Un fenomeno che in Occidente ac-cade forse solo quando è in programmauna partita di calcio.

Ho condiviso questa riflessione con il mio pubbli-co viennese, aggiungendo che un tale interesse nonandava visto come indicatore del grado di benes-

Scrittori poco letti, ma molto influentisere culturale del Paese, ma piuttosto come unaconseguenza della crisi che ha fatto perdere alla po-polazione la fiducia in tutta l’élite. Oggi, servonole «autorità morali». Uno scrittore come perso-

naggio pubblico, da interrogare su «Dioe il mondo» – Come si può cambiare lanostra coscienza ambientale? C’è il fem-minismo in Ucraina? Che ne pensa delfilm «Melancholia» di Lars von Trier? –in realtà e per forza assume quel ruoloche in Paesi con una storia più felice, fra cui sicuramente c’è anche l’Austria,è assunto da politici e rappresentantidella Chiesa.

Mentre parlavo, un mormorio sospettosi è fatto largo fra il pubblico «storica-mente più felice» e qualcuno improvvi-samente ha chiesto – non a me, ma allagente in sala: «Ma perché da noi nonvengono mai 500 persone ad una lettu-ra pubblica?». Io, sbalordita, ho rivolto amia volta una domanda alla platea: «Al-lora, anche da voi le cose non vannomolto bene?», uscita che ha suscitatoun’allegra risata in sala.

Se a casa nostra discutiamo continua-mente di politici corrotti, forse dimen-tichiamo che questa malattia oramai haraggiunto dimensioni epidemiche. Latipologia del politico che agisce da ven-ditore, come lo definisce Umberto Eco,o ancora peggio, come Wadym, il per-

sonaggio del mio romanzo «Museum der verges-senen Geheimnisse», si è diffusa oltre le frontieredell’ex blocco comunista. Probabil- mente, il pub-blico in ognuno dei Paesi, verso i quali i miei com-patrioti al di là del «muro di Schengen» guardanocon tanta nostalgia e invidia, risponderebbe con lostesso fervore alla mia «diagnosi ucraina», ricono-scendovisi. Perché tutto il mondo è paese. La crisidei valori porta a una crisi delle autorità e lo spa-zio che si è liberato viene occupato dalle «cele-brità» – da persone che, come diceva lo scrittorebelga Frédéric Beigbeder, «sono famose solo peressere famose». E se fra loro, per caso, vi sono an-che degli scrittori, forse, non è neanche il male peg-gio-re. Il mercato ha fatto diventare anche noi dei«venditori», ma contrariamente ai politici, noi al-meno commerciamo ancora in idee proprie. E cau-siamo sicuramente meno danni ai nostri Paesi. ■

(Tradotto dall’ucraino)

Nel suo Paese, l’ucraina

Oksana Sabuschko è

considerata una delle

scrittrici contemporanee

più importanti. È nata nel

1960 e vive a Kiev. Ha

studiato filosofia, lavorato

per l’accademia ucraina

delle scienze, è stata ad

Harvard e Pittsburgh in

qualità di borsista

Fulbright e presso la

Penn State University in

qualità di Writer-in-

Residence nel 1992.

Attualmente è vicepresi-

dente del centro Pen

ucraino e insegna scrit-

tura creativa

all’Università di Kiev.

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le strade solo per necessità. In Svizzera sarebberostati tolti dalla circolazione già da un pezzo».L’istruzione è un tema cruciale della cooperazio-ne con i Paesi dell’Est europeo, anche se in moltiluoghi il grado di scolarizzazione è già molto alto.Le scuole però devono essere raggiungibili. Grazieai nuovi autobus, 9000 bambini lettoni di 59 co-muni discosti possono ora recarsi agevolmente ascuola. Il contributo della Svizzera è stato di circa14 milioni di franchi. Christine Grieder ha assistito spesso alla consegnadegli scuolabus. Ricorda in particolare la festa perl’inaugurazione del primo mezzo, alla quale ha par-tecipato con l’ambasciatrice svizzera Gabriela Nüt-zi Sulpizio: «Le donne del piccolo casale di Gro-bina avevano preparato un’enorme pagnotta perl’occasione. Anche in altre località l’accoglienza èstata toccante, suscitando forti emozioni e ricordiindelebili». ■

(Tradotto dal tedesco)

Bus per scolari lettoni La crisi economica ha duramente colpito la Lettonia. Ingentitagli nel bilancio statale hanno provocato la chiusura di scuo-le e la soppressione parziale dei trasporti pubblici. Grazie al so-stegno della Svizzera è stato possibile finanziare nuovi scuo-labus per 9000 bambini di 59 comuni.

Dai microcrediti alle iniziative per i giovaniLa Legge federale sullacooperazione con gli Statidell’Europa dell’Est è labase legale per il contri-buto svizzero all’allarga-mento a favore dei nuoviPaesi dell’UE. Il Consigliofederale ha firmato il rela-tivo accordo quadro bilate-rale con la Lettonia nel2007. I dodici progetti, paria un ammontare di circa60 milioni di franchi e ge-stiti dalla SECO e dallaDSC fino alla metà del2017, prevedono, tral’altro, il risanamento di siti contaminati nel portoindustriale di Riga, la con-cessione di microcrediti, il sostegno di iniziative pro-mosse da giovani e unfondo per l’aiuto della società civile. www.contributo-allarga-mento.admin.ch (chiave di ricerca: Lettonia)

(mjw) Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la suc-cessiva indipendenza del 1991, la Lettonia ha do-vuto ricostruire interi settori economici e struttu-re commerciali. E lo ha fatto con un certo succes-so, in particolare negli ultimi anni. Tuttavia, a cau-sa della crisi economica mondiale, il Paese balticoha subìto un grave contraccolpo. Alla luce della dif-ficile situazione, il contributo svizzero all’allarga-mento, con cui la Confederazione sostiene i dodi-ci Stati entrati a fare parte dell’Unione europea nel2004 affinché vengano colmate le disparità eco-nomiche e sociali in seno all’UE, è di vitale im-portanza. A beneficiare di questa collaborazione lettone-svizzera sono dodici progetti, uno dei qua-li prevedeva l’acquisto di 110 scuolabus.

Al momento opportuno Secondo Christine Grieder, che dall’ufficio di Rigaha coordinato l’impegno della Svizzera sino a fineluglio 2011, la popolazione lettone ha enorme-mente apprezzato questo progetto: «In Lettonia cir-cola un gran numero di autobus obsoleti, spesso ri-parati alla bell’e meglio e autorizzati a circolare sul-

Ora tutti possono raggiungere le scuole grazie ai nuovi bus.

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(gn) Quando riceve la chiamata della responsabiledel CSA, Claudio Valsangiacomo si trova su un tre-no diretto in Ticino, dopo aver partecipato a unaconferenza a Berna. Nemmeno 24 ore dopo è dinuovo in viaggio, questa volta in aereo, per un in-tervento d’urgenza nelle Filippine. Porta con sé tregrandi valigie nere con due laboratori mobili perl’analisi batteriologica e chimica dell’acqua: è l’at-trezzatura di base dello specialista sanitario e idrico.Nelle prime ore del mattino del 17 dicembre 2011,le violente precipitazioni e il rapido aumento dellivello dei fiumi provocano devastazione e mortenelle Filippine, in particolare nelle città costiere diCagayan de Oro e Iligan City, nel nord dell’isoladi Mindanao, dove l’inondazione travolge moltepersone nel sonno. Il primo bilancio è di 650 mor-ti e oltre 800 dispersi – cifre che si rivelano benpresto troppo ottimistiche. Com’è sua consuetudine in casi simili, la Svizzera

Natale a MindanaoLo scorso anno, la tempesta tropicale Washi ha devastato le Fi-lippine. La catastrofe ha provocato oltre mille vittime e decinedi migliaia di senzatetto. Sul posto sei soccorritori svizzeri han-no prestato un importante aiuto d’emergenza. Un intervento ti-pico del Corpo svizzero di aiuto umanitario (CSA).

offre immediatamente sostegno al governo filippi-no. Dopo una prima analisi della situazione, la cen-trale CSA decide di inviare un team di pronto in-tervento nella zona colpita.

Squadre altamente specializzate Sei membri del CSA, quattro specialisti sanitari e idrici e due esperti logistici, vengono mandatinell’area sinistrata per un intervento di un paio disettimane. Si tratta di lavoratori dipendenti che pergli interventi del CSA ricevono un congedo dal da-tore di lavoro o prendono dei giorni di vacanza.Per Claudio Valsangiacomo, collaboratore scienti-fico presso la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI), si tratta del terzoNatale trascorso lontano dalla famiglia, dopo lo tsunami del 2004 e un’epidemia di colera in Zim-babwe nel 2008. «Non è un problema. La mia fa-miglia è felice quando rientro e ho tante cose da

Arrivato sul posto, il gruppo di intervento immediato ha trovato una città distrutta dalla tempesta tropicale.

Sguardo su un altromondo«Amo i viaggi, le altre culture, il cibo esotico e incontrare nuove persone»,risponde Claudio Valsan-giacomo alla domanda sulperché sia sempre prontoa rimettersi in viaggio versoregioni devastate da unacatastrofe. Il biologo cin-quantenne e padre di duefigli fa parte da dieci annidel gruppo di specialisti delCSA per l’acqua e l’igienee svolge regolarmente in-terventi brevi, che possonodurare da una a tre setti-mane. «In passato ho viag-giato per la scienza. In quelperiodo ho conosciuto so-prattutto il ricco Occidente.Il CSA mi mostra ora unaltro mondo, ossia il rove-scio della medaglia. Perme è una grande opportu-nità fare qualcosa laggiù.In ogni intervento imparocose nuove e spesso ri-cevo, sia a livello personaleche professionale, più diquello che riesca a dare»,afferma con entusiasmo ilnostro giramondo.

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raccontare», dice senza esitazioni Valsangiacomo.Il biologo è membro da dieci anni del pool di cir-ca 700 specialisti del CSA. In media compie da unoa due interventi l’anno. Quello nelle Filippine è ilsuo primo mandato in qualità di responsabile di unasquadra. Nel gruppo costituito ad hoc ci sono al-tri veterani del CSA, come il chimico Peter Dario,l’ingegnere Urs Rupper o l’esperto di logistica Pa-trick Frehner, ma anche i geologi Ellen Milnes eThomas Rosenberg, entrambi al loro primo inter-vento d’emergenza. Allo scalo di Manila, l’amba-sciatore svizzero consegna a Claudio Valsangiaco-mo circa 40 000 franchi, affinché, giunto sul posto,il team possa agire rapidamente e in maniera au-tonoma.

Subito al lavoroUn quadro devastante attende i soccorritori a Ca-gayan de Oro: un intero quartiere spazzato via dal-l’inondazione, molte abitazioni e il laboratorio dianalisi distrutti. A causa della rottura di una tuba-zione, il 60 per cento dei 500 000 abitanti sono senz’acqua potabile. Occorre agire rapidamente.«Siamo atterrati alle tre del pomeriggio, alle cin-que abbiamo discusso la situazione con la respon-sabile dell’approvvigionamento idrico della città etre ore dopo stavamo eseguendo le prime analisidelle acque», ricorda Claudio Valsangiacomo, elo-giando l’efficiente collaborazione con i responsa-bili locali. Fin da subito, il team riconosce l’enorme impor-tanza dell’equipaggiamento da laboratorio porta-to dalla Svizzera. Nei giorni e nelle settimane suc-cessivi i laboratori sono molto sollecitati. Ognigiorno si eseguono una quarantina di analisi per

stabilire quale acqua è potabile e dov’è necessariodepurare i pozzi di captazione.

Corso intensivo di clorazione Il 24 dicembre, appena due giorni dopo il loro ar-rivo sul luogo della catastrofe, i soccorritori pos-sono già far capo al resto del materiale. «Questotrasporto rapido, in pieno periodo prenatalizio, èstato un capolavoro di logistica», ricorda il respon-sabile dell’équipe. Grazie alle dieci cisterne per l’ac-qua fornite dalla Svizzera è possibile risolvere mo-mentaneamente il grave problema dell’approvvi-gionamento idrico. Per garantire la potabilitàdell’acqua distribuita, gli specialisti del CSA dan-no un minicorso intensivo di clorazione ai con-ducenti dei mezzi pesanti e a tutti gli addetti alladistribuzione di acqua potabile. Offrono inoltre illoro aiuto nella depurazione e ripristino di innu-merevoli pozzi. A Iligan installano 33 servizi igie-nici Ecosan. Infine, poco prima di concludere la missione, ilteam avvia un’azione di trattamento delle acque re-flue e dei fanghi nel quartiere problematico di Ba-lulang. Per troncare sul nascere eventuali tensioni,nell’iniziativa vengono coinvolti anche l’Imam locale e il sacerdote cristiano. Alla partenza deglisvizzeri, i lavori sono ancora in pieno corso. Conil denaro rimanente si noleggiano carriole e pale,escavatori e camion e si assicura il salario di 150donne e uomini, impegnati per una settimana asgomberare dal fango le strade del quartiere. Nelteam si è discusso a lungo se questo programma«Cash for Work» non fosse troppo rischioso. La fotoche Claudio Valsangiacomo riceve da Balulang unpaio di settimane dopo dissipa però ogni dubbio:è valsa la pena correre il rischio. ■

(Tradotto dal tedesco)

Mentre l’ingegnere Urs Rupper (a sinistra) valuta i danni auna canalizzazione dell’acqua con alcuni colleghi, il re-sponsabile del gruppo Claudio Valsangiacomo (in alto) sioccupa di una cisterna d’acqua mobile.

Dal Mali ad Haiti, dallaThailandia alla LibiaPassaporto e vaccinazionicontro le principali malattietropicali in regola: sono requisiti fondamentali perogni soccorritore delCorpo svizzero di aiutoumanitario CSA. Chi simette a disposizione perun incarico in un team dipronto intervento, deve es-sere operativo e pronto apartire in tempi brevissimi.Tra il 1° gennaio 2011 e lafine di aprile 2012, 97 per-sone del CSA hanno pre-stato 1059 giorni di servi-zio in tutto il mondo con20 team di pronto inter-vento. Oltre ad aver parte-cipato alle operazioni suc-cessive al terremoto inGiappone o a quelle con-seguenti la crisi umanitariain Libia, sono intervenuti inPakistan, Mali, RepubblicaDemocratica del Congo,Bosnia ed Erzegovina,Thailandia, Turchia, Egitto,Tunisia, Kenya, Brasile,Liberia, Haiti, Costad’Avorio e Filippine.

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Dietro le quinte della DSCCertificati di qualità dell’acqua(mqs) Le esperienze positivefatte con i certificati per lacompensazione facoltativadelle emissioni di CO2 lascianosperare che si possa utilizzareun simile meccanismo di fi-nanziamento anche per pro-getti realizzati nel settoreidrico. Sempre più impreseprivate puntano, per motivi sia ecologici che economici, al risparmio di acqua. Inoltre,un numero crescente di con-sumatori chiede beni prodotti in modo sostenibile. Ora, leaziende possono compensareil loro consumo idrico acqui-stando i certificati di progettiselezionati e realizzati nell’am-bito dell’approvvigionamento,della depurazione o della pro-tezione delle acque. Tali certi-ficati completano gli sforziprofusi dalle imprese per ri-durre la loro impronta idrica e sono un mezzo supplemen-tare per promuovere un usosostenibile di questa impor-tante risorsa. La DSC parte-cipa al finanziamento dellostudio di fattibilità di questainiziativa e alla sua attuazionenei primi due anni. Il coordina-mento tra aziende e progettisostenibili è garantito dalla so-cietà per il commercio diquote di emissioni FirstClimate.Durata: fino al 2013Budget: 658 000 CHF

Sostegno ai popolidell’Hindu Kush(bm) La zona montagnosadell’Hindu Kush, a cavallo tral’Afghanistan e il Pakistan, èmolto povera e martoriata daiconflitti. L’insicurezza alimen-tare minaccia le popolazionirurali. I servizi pubblici sonorari e poco efficaci. Oltre che

per la mancanza di infrastrut-ture, tecnologie appropriate eaccesso ai mercati, l’agricol-tura – principale attività eco-nomica della regione – soffre acausa dei cambiamenti clima-tici. La DSC ha lanciato unprogetto per migliorare i mezzidi sussistenza degli abitanti eridurre la loro vulnerabilità aipericoli naturali e ai conflitti.Da questa iniziativa ci si at-tende un migliore accesso al-l’acqua potabile e ai servizi dibase, lo sviluppo di sistemi diirrigazione e la promozionedelle filiere di produzione lo-cali. Questo progetto rientranel nuovo programma regio-nale della DSC per l’HinduKush in Afghanistan e Pakistane illustra l’impegno dellaSvizzera nei contesti fragili. Durata: 2012 – 2015 Budget: 15,1 milioni di CHF

Un passo verso la riunifica-zione di Mitrovica(mpe) La città kosovara diMitrovica è ancora profonda-mente divisa. Separati fisica-mente dal fiume Ibar, dalla finedella guerra serbi e albanesicontinuano a rifiutare ogni

contatto. La creazione di unascuola multietnica è uno deirari progetti finora realizzatiper avvicinare le due comu-nità. Situato sia nella zonanord che nella zona sud dellacittà, l’International BusinessCenter contribuisce alla ricon-ciliazione di alcuni gruppi digiovani. Il progetto, sostenutodalla DSC e da altri donatori,risponde a un bisogno reale,visto che 120 studenti si sonoiscritti all’anno accademico2011-2012. Anche se ci vorràben altro per riavvicinare gliabitanti di Mitrovica, questainiziativa è un notevole passoavanti sul cammino lento edifficile verso la riunificazionedella città e la pacificazionedel Kosovo.Durata: 2012 – 2013 Budget: 1,25 milioni di CHF

Monitoraggio ambientale nel Sahel(bm) Da decenni, l’Africa staperdendo considerevoli super-fici coltivabili. Questo feno-meno è riconducibile non sol-tanto alla diminuzione delleprecipitazioni, ma anche aldegrado ambientale causatodalle attività umane (monocol-ture, disboscamenti, abitudinedi dare fuoco alla sterpaglia).Nella regione del Sahel, laperdita di produttività au-menta la vulnerabilità dellepopolazioni. La DSC sostieneun progetto volto a sensibiliz-zare gli abitanti sulle cause esulle conseguenze dei cam-biamenti climatici, permet-tendo loro di partecipare alledecisioni e di tutelare i propriinteressi. Si tratta di elaborareinformazioni ambientali diqualità e di trasmetterle ai di-retti interessati. Questi docu-menti consentiranno di pren-dere delle decisioni grazie alle

quali sarà possibile attenuarel’impatto dei cambiamenti climatici e migliorare le condi-zioni di vita. Il progetto è im-plementato dall’Osservatoriodei Paesi del Sahel e delSahara. Durata: 2012 – 2015Budget: 3,75 milioni di CHF

Preparazione ai terremoti inAmerica centrale (gjf) L’America centrale vieneregolarmente colpita da terre-moti che causano importantidanni alle infrastrutture e nu-merose vittime. Sovraffollate,le città sono particolarmenteindifese. Un progetto realiz-zato dalla DSC si propone dirafforzare le capacità regionalidi ricerca e salvataggio in unambiente urbano, istruendo iresponsabili delle capitali cen-troamericane affinché il lorointervento in caso di sisma siapiù efficace. Un centro di for-mazione regionale istituito aSan José, in Costa Rica, ospi-terà le squadre di specialistiprovenienti da diversi Paesidell’istmo. Inoltre, una piatta-forma assicurerà la standar-dizzazione dei metodi d’inter-vento, la collaborazioneregionale e la stabilità del pro-getto. Stando alle stime, 12milioni di persone potrebberopotenzialmente trarre vantag-gio da questa iniziativa.Durata: 2012 – 2014 Budget: 1,2 milioni di CHF

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«Un solo mondo»: Per molto tempo, i Paesiindustrializzati del Nord erano i capifila in-discussi della cooperazione allo sviluppo.Oggigiorno, altri attori rivestono un ruolosempre più importante. Con quali conse-guenze?Brian Atwood: Siamo dinanzi a grandi sfide. Inuovi Stati donatori seguono modalità proprienella cooperazione e non vogliono che i Paesi delNord interferiscano nelle loro relazioni con i Pae-si partner. Dicono che le cosiddette cooperazioniSud-Sud e Nord-Sud si completano. Ora dobbia-mo esaminare in quale misura ciò corrisponda allarealtà. Secondo me, il ruolo del settore privato ècentrale. Quest’ultimo, tuttavia, interviene in un se-condo tempo, quando lo sviluppo ha raggiunto uncerto livello. Soltanto allora l’economia privata èdisposta a investire in un Paese.

Che cosa significano queste nuove premes-se per il CAS?Diamo grande importanza al dialogo con i nuoviattori. Fa parte della nostra strategia nelle relazio-ni globali. Con la partnership globale per una mag-giore efficienza nella cooperazione allo sviluppo,decisa recentemente a Busan, abbiamo trovato unabuona formula. Ora ci stiamo occupando dellamessa a punto delle strutture per il futuro della co-operazione allo sviluppo. Il CAS sarà sicuramenterappresentato nella presidenza e si impegnerà an-che in altri settori. Anche il tentativo di affrontarei compiti in tre è un valido approccio per progre-dire: un Paese partner riceve assistenza contempo-raneamente da un membro CAS e da un rappre-sentante degli Stati emergenti. Sono convinto chepossiamo imparare molto, se ci impegniamo perraggiungere obiettivi di sviluppo comuni.

Nessun successo senza rischio Il contesto in cui agisce la cooperazione allo sviluppo è note-volmente cambiato. Oggi, accanto agli Stati donatori classici,sono attivi sempre più Paesi emergenti come la Cina o il Brasi-le, ma anche fondazioni private e aziende. A colloquio con Ga-briela Neuhaus, il direttore del Comitato di aiuto allo sviluppodell’OCSE (CAS) Brian Atwood parla delle sfide e delle oppor-tunità insite in questa nuova situazione.

La Somalia fa parte dei cosiddetti Paesi fragili. In futuro vuole definire da sola le priorità dei suoi programmi e progettidi sviluppo.

J. Brian Atwood presiededal gennaio 2011 il Comi-tato di aiuto allo sviluppodell’OCSE (CAS/Develop-ment Assistance Commit-tee). La sua variegata carriera, iniziata nel 1966presso il Servizio esterodegli USA, lo porta a rive-stire numerose cariche siadiplomatiche che politichee ad assumersi compitiscientifici. Svolge le primemissioni in Costa d’Avorioe in Spagna. Durante il governo di Jimmy Carter,Atwood è direttore del di-partimento Congressionalrelations del ministero degliesteri degli Stati Uniti. Dal1993 al 1999, durante lapresidenza di Bill Clinton,Atwood ricopre la carica diamministratore dell’Agen-zia statunitense per lo sviluppo internazionale(USAID). Nel 2001, è aiservizi del Panel per le misure di pace dell’alloraSegretario generale delleNazioni Unite Kofi Annan.

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Visto il numero esiguo di successi raggiun-ti finora dalla cooperazione allo sviluppo neiPaesi più poveri e maggiormente colpiti daconflitti, ora è stato deciso di intensificarel’impegno in queste zone. Che cosa signifi-ca concretamente?A seguito del dialogo istauratosi in seno alla Reteinternazionale sulle situazioni di conflitto e di fra-gilità del CAS si è formato un gruppo di Paesi chesi autodefiniscono fragili, i cosiddetti G7+. Questiultimi hanno cercato il dialogo con quaranta altriPaesi. Da questi colloqui è scaturito un nuovo ac-

cordo, il così chiamato New Deal. L’intesa ponel’accento sulla costruzione dello Stato, che in fu-turo dovrà avere la facoltà di decidere autonoma-mente quali programmi e progetti saranno priori-tari. Considerando la situazione specifica di ogniPaese, definiremo insieme gli obiettivi di sviluppoe i criteri per misurarli. Intanto, il New Deal è an-cora in fase di realizzazione. Mi rallegro partcolar-menete del fatto che il ministro danese per lo svi-luppo, insieme alla sua omologa di Timor-Leste, abbia assunto la presidenza del dialogo internazio-nale. Ma anche altri membri del CAS, fra cui laSvizzera, si stanno adoperando con grande dedi-zione per tradurre in realtà il New Deal.

Secondo Lei, quale peso ha la piccola Sviz-zera nel contesto internazionale?Per me la Svizzera non è un attore piccolo, poichéil suo influsso supera di gran lunga la dimensionedel Paese. La decisione di portare i fondi in favoredella cooperazione allo sviluppo allo 0,5 per cen-to del reddito nazionale lordo è stata un passo im-portante. La popolazione viene così sensibilizzatasull’ottima qualità di vita in Svizzera, migliore ri-spetto a quasi tutti gli altri Paesi del mondo, e sul-la necessità di assistere gli Stati più poveri, se si vuo-le che questa situazione perduri. Inoltre, a mio av-viso, la Svizzera può vantare la miglior democraziaal mondo. Sia ben chiaro, nessuna democrazia èperfetta e non si può certo proporre di esportareil modello svizzero tale e quale negli altri Stati. Tut-tavia, gli elevati standard elvetici per quanto ri-guarda il buongoverno fungono da importantipunti di riferimento. Per me è questo il maggiorepunto di forza della Svizzera.

Nella cooperazione internazionale, la Sviz-zera dovrebbe dunque concentrarsi esclusi-vamente sul tema del buongoverno? Le re-centi raccomandazioni del CAS invitano ilnostro Paese a restringere ulteriormente icampi di azione e i temi prioritari.Il principio che esige un approccio sempre più fo-calizzato è giusto e vale per tutti i membri CAS.In tal modo è possibile aumentare l’impatto in queisettori in cui si è attivi. Ammetto tuttavia che è piùsemplice elaborare delle raccomandazioni che tra-durle in realtà. Vi sono determinati vincoli e regionidel mondo in cui l’impegno è un imperativo ca-tegorico, come in Medio Oriente, una regione intransizione, o nel Myanmar, dove l’apertura fa na-scere nuove opportunità. Con la richiesta di una

Secondo Brian Atwood, l’apertura in Myanmar offre anche alla Svizzera nuove opportunità per l’aiuto allo sviluppo.

«Ammetto che è piùsemplice elaborare

delle raccomandazioniche tradurle in realtà».

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maggiore concentrazione si punta soprattutto a unmiglior coordinamento fra i Paesi finanziatori. Dov’è attiva l’UE, dove intervengono gli USA,quali bisogni sono già stati soddisfatti, dove possooffrire un contributo complementare? Sono que-

siti difficili, ma sono convinto che in futuro i fi-nanziatori dovranno dialogare più intensamente fraloro, concentrandosi di più sui campi d’azione neiquali dispongono di forze o capacità specifiche. Ne potrebbe conseguire la necessità di ridurre ulte-riormente il numero di Paesi partner e i temi prio-ritari dello sviluppo.

L’argomento non è nuovo. Già nel 2005, conla Dichiarazione di Parigi, è stata convenu-ta una cooperazione allo sviluppo efficace...Uno solo dei tredici obiettivi di sviluppo d’alloraè stato raggiunto. Continueremo a sprecare risor-se destinate allo sviluppo perché non abbiamo fat-to bene il nostro lavoro. Credo che la Conferenzadi Busan abbia gettato le basi per progredire. A Busan abbiamo assistito a un cambiamento di para-digmi, che poggia su un’accresciuta autoresponsa-bilità e un maggiore potere dei Paesi partner. Conla nuova convenzione, le risorse devono essere ge-stite dagli stessi Stati partner. In futuro, l’assenza di

istituzioni e di sistemi adeguati sarà imputata ai Pae-si donatori che non potranno più campare scuse.In questo modo cambiano i nostri approcci. Fino-ra noi, i Paesi industrializzati, abbiamo agito inmodo molto conservativo, perché non volevamorischiare di spendere male i soldi dei nostri con-tribuenti. Se non si è disposti a correre dei rischi,non si ottengono però nemmeno successi.

La situazione potrebbe inasprirsi ulterior-mente a causa dell’attuale esigenza di risul-tati sempre più rapidi e misurabili.La cooperazione allo sviluppo è un business mol-to complesso. Sono importanti solo quei risultatiche contribuiscono a migliorare le condizioni divita della popolazione. Tuttavia, solo le persone sulposto possono valutare gli effetti reali. È vero, i Pae-si finanziatori devono poter fornire un resocontodei successi e degli insuccessi a chi paga le tasse,però la vera responsabilità spetta ai Paesi partner. Illoro investimento nello sviluppo è notevolmentesuperiore agli aiuti di tutti i donatori internazio-nali. Qui si parla di una responsabilità reciproca: irisultati devono essere misurati dai Paesi partner.Noi abbiamo soltanto il compito di verificare qua-li cambiamenti sono stati avviati grazie ai nostri sol-di. Sono soprattutto le persone direttamente inte-ressate ad avere il diritto di sapere dai loro gover-ni quali risultati vengono raggiunti. ■

L'intervista completa a Brian Atwood sul tema dell’ef-ficacia si trova sul sito www.deza.admin.ch (chiave di ricerca: efficacia).

(Tradotto dall’inglese)

«Se non si è dispositi a correre dei rischi,non si ottengono

nemmeno successi». Un comitato potente Il Development AssistanceCommittee DAC è ilComitato di aiuto allo svi-luppo dell’Organizzazioneper la cooperazione e losviluppo economico OCSE (CAS). I 34 Paesidell’OCSE si impegnanoper la democrazia e l’eco-nomia, un credo sposatoanche dal CAS. Costituitonel 1961, conta 24 mem-bri, fra cui la Svizzera.Sono gli Stati finanziatoribilaterali più importanti. IlCAS rappresenta circa il90 per cento dell’aiuto allosviluppo bilaterale pubblico.Con la Dichiarazione diParigi del 2005, il CAS havarato delle norme per au-mentare l’efficacia dellacooperazione allo sviluppo. Inoltre, il CAS verifica periodicamente laqualità dell’impegno per losviluppo dei suoi membri,rilasciando raccomanda-zioni di miglioramento.www.oecd.org/dac

I nuovi Stati donatori, tra i quali anche la Cina, hanno metodi loro nell’aiuto allo sviluppo e confidano molto nella colla-borazione Sud-Sud e Nord-Sud.

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Carta bianca

Rubeena Mahato è una corri-spondente del Nepali Times, il più importante settimanale inglese del Nepal che forniscenotizie specialistiche e com-menti su politica, economia esocietà. I suoi articoli trattanoargomenti relativi allo sviluppo,alla politica e all’informatica.Crede nel giornalismo orientatoalle soluzioni e ha scritto nume-rose storie e articoli sullo svi-luppo orchestrato dalle comu-nità locali e sulle attività dimicroimprenditoria locale. Nutreun vivo interesse per le que-stioni legate a governo e poli-tica pubblica e ha percorso ilPaese in lungo e in largo incerca di storie di speranza e ricostruzione dopo la fine di un lungo decennio di guerra.

Dopo dieci anni di spargimentidi sangue, quindicimila morti eun periodo di transizione duratocinque anni, all’inizio del mesedi aprile, i nepalesi hanno tiratoun sospiro di sollievo. È statodeciso di integrare gli ex com-battenti maoisti e le loro arminell’esercito regolare; un passofondamentale che dà la possibi-lità di inserire completamente letruppe di guerriglia nella societàcivile e di completare il processodi pace.

Eppure, questa rappresenta solouna delle tante iniziative dacompiere per raggiungere unapace duratura nel Paese. Troppimorti, troppe famiglie divise,una generazione cresciuta nellaviolenza. Ci vorrà del tempo per guarire le ferite.

Non c’è pace senza giustizia Sono ancora centinaia le fami-glie che ignorano la sorte deiloro cari. Migliaia di padri, vit-time degli atti di violenza per-petrati dallo Stato e dai ribelli,sono scomparsi lasciando i fami-liari nella più nera povertà. Ora,gli insorti vogliono che sia fattagiustizia. Aspettano da sei anni ela loro pazienza si sta esaurendo.La nostra risposta al loro disagiosarà decisiva per il successo delprocesso di pace.

La pace non è solo cessate ilfuoco e consegna delle armi. Lapace s’instaura soltanto se tutte edue le parti belligeranti, vittimee autori degli atti di violenza,elaborano il lutto, ammettono leproprie colpe e decidono di an-dare avanti. Lo Stato deve im-pegnarsi nella riabilitazione delle

vittime della guerra, pagando indennizzi e aiuti in favore delloro reinserimento. Inoltre, deveattivarsi per informare i super-stiti sul destino dei familiari.Invece, l’approccio titubante concui si è creata la Commissioneverità e riconciliazione (TRC)non ha fatto altro che aumentareil dolore e la miseria della popo-lazione. Stando alle promesse del pre-mier Baburam Bhattarai, lacommissione avrebbe dovuto essere attiva nel giro di tre mesi.Tuttavia, a otto mesi dalla suaistituzione si è ancora al puntodi partenza. Il governo è andatooltre: ha chiuso l’Ufficiodell’Alto commissariato per i di-ritti umani dell’ONU per sot-trarsi alla vigilanza internazio-nale qualora la TRC fosseformata. Ogni governo succes-sivo ha cercato di impedire qual-siasi azione penale contro gli au-tori degli indicibili crimini. Inuna riunione di gabinetto è stataconcessa l’amnistia al maoistaBal Krishna Dunghel, condan-nato per assassinio dalla Cortesuprema. Non è un segnale posi-tivo all’indirizzo dei partner in-ternazionali che si adoperanoper lo Stato di diritto. A parte le vittime, in Nepal, nessuno sembra volere la TRC.Il silenzio dei partiti politici èindicativo della loro paura di esporsi. Temono la persecuzionepenale da parte della TRC e rivendicano perciò un’amnistiagenerale.

C’è bisogno di riconciliazione edi compromessi, su ambo i lati.La guerra non può mai fungereda pretesto per commetteregravi violazioni dei diritti umanisenza dover rispondere in se-guito delle proprie azioni. I familiari hanno diritto di sa-pere cos’è successo ai loro cari.Processi giusti, nel rispetto dellenorme internazionali, sono ilminimo che ci si aspetti dal

governo. I criminali di guerra di ogni schieramento devono essere sottoposti a processi equi,la decisione sull’amnistia spettaunicamente alle famiglie dellevittime.

Con il ritiro della Missione in Nepal delle Nazioni Unite(UNMIN) e la costituzione di un meccanismo nazionale, finanziato fra l’altro anche dallaSvizzera, il Nepal prende inmano le redini del processo dipace. Per il governo si tratta diun’occasione unica per dimo-strare che si impegna davveroper la pace e che è in grado dirisolvere da solo i propri pro-blemi. La costituzione di unaTRC forte e indipendente rap-presenta un passo importante suquesto cammino. ■

(Tradotto dall'inglese)

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Hip hop e graffiti al posto delle bombeImpressioni bangladesi

Gli scatti del 35enne fotografo bangladese GMB Akash sono stati pubblicati nelle più prestigiose riviste fotografiche al mondo e han-no raccolto più di 60 premi internazionali. Questa primavera, l’artista ha esposto a Friburgo in occasione dei festeggiamenti del 40°anniversario delle relazioni bilaterali fra la Svizzera e il Bangladesh. L’esposizione intitolata «Soulscapes» è stata patrocinata dal Mi-nistero degli affari esteri bangladese, dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) e dalla DSC. La mostra è stata organizzatanell’ambito del Festival internazionale del film di Friburgo (FIFF), che nel 2012 era incentrato sulla creazione cinematografica indipen-dente in Bangladesh. Le foto rendono omaggio agli uomini e alle donne bangladesi, al loro sorriso luminoso, alla loro umanità e ca-pacità straordinaria di superare le difficoltà. Inoltre, permettono di guardare a una società in rapida trasformazione, in cui la gente pren-de in mano il proprio destino a dispetto delle difficili condizioni di vita.www.gmb-akash.com

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Focus sulla DSC(hel) La DSC presenta la sua istituzione in un nuovo film. Il filmè incentrato sull’impegno della Svizzera nella cooperazione allosviluppo, ma anche sull’impegno individuale di ogni singola col-laboratrice, di ogni singolo collaboratore della DSC. Ne accom-pagniamo quattro nella loro vita quotidiana professionale, all’e-stero e in Svizzera. Ci spiegano i loro compiti, ci illustrano i programmi attuali e le sfide che comportano. Il direttore dellaDSC Martin Dahinden parla dell’importanza della cooperazioneallo sviluppo in un mondo globalizzato. Alcuni brevi trailer pre-sentano l’organizzazione e i suoi quattro settori operativi. Sononati così dodici cortometraggi, utilizzabili insieme o singolar-mente. Il film è disponibile su DVD e su internet. Si rivolge a unvasto pubblico e in particolare alle scuole.«DSC – Film dell’istituzione»; lingue: tedesco, francese, italiano,inglese e spagnolo.È possibile ordinarlo o scaricarlo al seguente indirizzo:www.deza.admin.ch (chiavi di ricerca: documentazione, pubbli-cazioni)

Compagni di tamburo(bf ) Il film documentario«Trommelgefährten» accompa-gna il quartetto di percussioni«Beat Bag Bohemia» in un viag-gio avventuroso attraversol’Africa e l’Europa. Il complessonasce quando lo zurighese LucasNiggli – uno degli artisti più famosi nel campo della musicaimprovvisata contemporanea –trascorre un soggiorno inSudafrica in qualità di «Artist in Residence». Nel Paese arcoba-leno incontra il jazzista KesivanNaidoo di Città del Capo,Rolalno Lamussene del Mozam-bico e il grigionese PeterConradin Zumthor. Il cineastaMartin Fuchs disegna un quadrovariegato della band e dei suoiprotagonisti. Gli artisti narranostorie a ritmo di tamburo, rac-conti capaci di appassionare le

persone nelle township delSudafrica ma anche nel lontanoNord.«The Fellowship of the Drums» di Martin Fuchs; per informazioni eordinazioni: www.washingline.ch

Quotidianità filippina A Manila s’incrociano le stradedi due nonne filippine. Un in-contro che nessuna delle due hacercato. Una ha perso il nipote,vittima di un atto di violenza,l’altra lotta per la liberazione del nipote, accusato di aver com-piuto quell’omicidio. «Lola» diBrillante Mendoza è un film

ambientato nel lontano arcipe-lago pacifico. Il nome del registaha un suono spagnolo, a testimo-nianza delle occupazioni e dellecolonizzazioni passate. Negliscorsi anni, si è parlato molto di Mendoza; a Cannes e aVenezia ha presentato dei film al limite del raffigurabile, in untentativo di immortalare con lacinepresa realtà viste dai marginidella violenza. Fra le sue opereanche «Lola», il capolavoro com-movente che racconta la storia didue nonne esposte alle tempestee agli acquazzoni di Manila. Èuna realtà sceneggiata che vive di una prossimità immediata, nonrecitata.«Lola» di Brillante Mendoza,DVD, versione originale: Tagalog;sottotitoli: tedesco e francese; per ordi-nazioni e informazioni: www.trigon-film.org

Le moderne catene perl’Africa (dg) Dagli anni Settanta, legrandi potenze internazionali e i gruppi multinazionali hannospinto i Paesi dell’Africa versonuovi rapporti di dipendenza at-traverso un sofisticato sistema diindebitamento. Il Fondo mone-tario internazionale FMI ha unruolo centrale a tale proposito.Le sue misure di adeguamentostrutturali si sono tradotte so-prattutto in importanti tagli all’istruzione e alla sanità, co-stringendo gli Stati alle privatiz-zazioni e all’esportazione di ri-sorse naturali. Il film «Der Preisder Schulden» (Il prezzo dei debiti) tematizza con altri duefilmati riuniti sotto il titolo«Globalisierte Wirtschaft»(Economia globalizzata) questicomplessi rapporti, servendosidell’esempio della RepubblicaDemocratica del Congo. Integranumerose interviste e voci criti-che nei confronti del FMI, madà la parola anche all’ex direttoredella Banca mondiale. Anche ilcongolese Victor Nzuzi occupa

una posizione centrale nel film.Con il suo linguaggio, fatto diimmagini, rende visibili le con-seguenze di questo colonialismoeconomico che agisce in sordina. «Globalisierte Wirtschaft», DVDcon 3 film (86 minuti), dai 14 anni;per informazioni e ordinazioni:«Filme für eine Welt»; www.filmeei-newelt.ch; è disponibile anche infrancese «Economie mondialisée» e«Le salaire de la dette», ma non initaliano

Miracolosamente riposante(er) L’aridità del paesaggio è unacaratteristica di Capo Verde, l’ar-cipelago al largo della costa occi-dentale dell’Africa. Queste isole,tagliate fuori dal mondo, sor-prendono per la ricchezza musicale unica nel suo genere, di cui fa parte anche la musicaMorna, sinonimo di nostalgia“saudade”. È stata la «Divascalza», la grande Cesária Évora,scomparsa l’anno scorso, a farla conoscere al mondo intero. La cantante 37enneNancy Vieira esce ora dall’ombradella grande «Diva». Con il suoquarto album, pubblicato di re-cente, ci regala un’interpreta-zione semplice, sobria, al con-tempo intensa e sensibile di unadozzina di poemi nati dallapenna di famosi compositori. Si fa accompagnare da un ritmoelegantemente ondeggiante, tipi-camente capoverdiano, con lecorde frizzanti e armoniose dichitarra, cavaquinho (strumentoa corde portoghese), pianoforte etracce di flauto. Un insieme mi-racolosamente riposante come ilsole che tramonta su un vasto

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ville dei ricchi, la fotografa, chedalla metà degli anni Novantavive in Svizzera, ha raccoltoscatti di spazi privati e di traccelasciate dai loro abitanti. Il risul-tato è un confronto artisticostraordinario, pluripremiato, pro-vocatorio, che non mostra sol-tanto le differenze economiche,ma anche le similitudini cultu-rali.«Guadalupe Ruiz» presso ilPhotoforum PasquArt a Bienne; dal14 ottobre al 25 novembre 2012

L’Afghanistan visto con i suoi occhi(bf ) Se osservata attraverso l’o-biettivo di fotografi afghani, laquotidianità in Afghanistan cam-bia rispetto all’immagine di unPaese dilaniato dai conflitti dif-fusa dai media internazionali?Quattro giovani fotografi hannovoluto rispondere a questa do-manda e per dieci anni hannopercorso in lungo e in largo laloro patria. Dai loro scatti è nataun’esposizione con immaginiche presenta una panoramica di-versa e sorprendente della realtàquotidiana in Afghanistan, fattadi mille sfaccettature culturali,sociali ed economiche. A Kabul,dopo l’inaugurazione l’esposi-zione ha registrato 5000 visita-tori afghani nel giro di diecigiorni . Ora la mostra fa sosta in Svizzera.«New Afghanistan through AfghanEyes» fino al 16 settembre presso ilKornhausforum a Berna

L’ottimista (bf ) L’economista della Bancamondiale Charles Kenny do-vrebbe sprofondare nel pessimi-smo più nero quando analizza losviluppo economico dell’Africae di altre regioni del mondo at-tualmente in fase di stallo. Nelsuo libro «Getting Better» fa in-vece proprio il contrario: dif-fonde ottimismo. Anche se am-mette che da una parte, a livellodi reddito pro capite, le diffe-

mare tinto di azzurro.Nancy Vieira: «No Amá»;Lusafrica/Musikvertrieb

Commovente folclore (er) I reporter di world music di«World Routes», la trasmissionedi BBC Radio 3 andata in ondaper la prima volta nel 2000 e nelfrattempo seguita in tutto ilmondo, ci invitano a parteciparea un giro del mondo musicale. Ilcosiddetto fieldrecording, realizzatoin ogni angolo del mondo, con-siste in registrazioni in loco disuoni e ritmi autentici e origi-nali. Ci propongono ora su dueCD registrazioni inedite raccoltenegli scorsi dieci anni di trasmis-sione, splendidamente documen-tate da un attraente libretto in-formativo di 44 pagine. I 30brani provenienti da 18 Paesi, tracui Cina, Brasile, Georgia, Mali,Perù, Azerbaijan e Grecia, sonodavvero sorprendenti. Personaggifamosi della scena musicale, qualiil vincitore dei Grammy AwardToumani Diabate o Tito Paris &Ilham Al Madfai, propongonouna collana affascinante di suonivocali e strumentali di ogni co-lore. Due ore e mezza di musicafolcloristica commovente, senzazuccherini pop masterizzati. Ibrani sono invece impreziositi dasuoni genuini, che faranno fre-mere di fronte alla loro bellezza!Various: «World Routes - On TheRoad» (BBC – Nascente/online)

Capolavoro senza tempo(er) Questa voce sonora, scura,magica, a volte un po’ caustica ciapre le orecchie. È la voce dell’i-cona angolese Bonga. Negli anniSettanta, il cantante 70enne si èimpegnato a favore dell’indipen-denza dell’Angola. Dall’esilio hadenunciato le cruenti guerre ci-vili. Oggi, con il suo album piùrecente, rivendica giustizia so-ciale nella sua patria. I messaggi,divulgati in forma di ballata,sono venati di una dolceamaramalinconia e sottolineati da bel-

lissime voci di coro, di passaggidi chitarra e basso armoniosi, diritmi di percussione spumeg-gianti e a volte chiari suoni diaccordeon. Invitano all’ascolto eal ballo, per esempio, nei com-moventi duetti con il cantautoreBernard Lavilliers o con l’attricee cineasta francese Agnès Jaoui. E dire che la sua musica affondale radici nel semba tradizionale, il samba angolese. Con «HoraKota» (L’ora dei vecchi) hacreato un’opera senza tempo, insignita, a giusto titolo, del pre-stigioso premio della DeutscheSchallplattenkritik.«Hora Kota» di Bonga(Lusafrica/Musikvertrieb)

Oggetti ornamentali e santini (bf ) La colombiana GuadalupeRuiz ha imbracciato la mac-china fotografica e ha percorsole strade della sua città nataleBogotá alla ricerca del divariosociale. In sei quartieri corri-spondenti ognuno a una classedi reddito diversa e rappresenta-tivi di un determinato ceto so-ciale. Ruiz ha immortalato case,appartamenti, interni, oggetti ornamentali e personali, santinie foto di famiglia. Dagli alloggidi fortuna del ceto più basso alle

renze fra i Paesi emergentidell’Asia e quelli in via di svi-luppo sono enormi, dall’altraparte costata che sul piano dellaqualità di vita è in corso un pro-cesso di avvicinamento.Malgrado le disparità di redditotra gli Stati industrializzati equelli in via di sviluppo si assistea una riduzione del divario perquel che riguarda la speranza divita, la scolarizzazione e addirit-tura la prospettiva di vivere inpace e libertà. Sulla scorta diqueste osservazioni, deduce pertanto che non vi è motivo di rassegnarsi o di sminuire il valore dei progressi raggiunti inAfrica negli ultimi decenni. Il libro di Kenny è di facile lettura,dà molte informazioni e riassumein modo comprensibile studiche per i non addetti ai lavorisono di solito difficili da capire. «Getting Better. Why GlobalDevelopment is Succeeding – andHow We Can Improve the WorldEven More»; Basic Books New York2011, non è disponbile in italiano

Ai margini dell’Africa (bf ) Il fotografo Pieter Hugo si è conquistato da tempo e oltre i confini della sua patria, ilSudafrica, la reputazione di arti-sta serio e sperimentale. Eglisfida in particolare i limiti dei ritratti tradizionali, sperimenta-zione artistica premiata a più ri-prese. Hugo trova i suoi soggettiai margini della società, nellediscariche, nelle stradine disse-state dei quartieri di periferia –e non solo in Sudafrica, manell’Africa intera. Le sue foto-grafie ritraggono uomini nige-riani dall’aspetto arcaico con leloro iene maculate, giovani checon sguardo perduto cercanoqualcosa da riciclare tra i rifiutidelle discariche in Ghana, albini,ciechi o paesaggi sperduti e in-quietanti. Sono immagini cheracchiudono in sé l’intero conti-nente e che lasciano una tracciaindelebile nella memoria. «This

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Un solo mondo n.3 / Settembre 2012 35

Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affariesteri (DFAE)

Comitato di redazione:Martin Dahinden (responsabile) Catherine Vuffray (coordinamento globale) Marie-Noëlle Bossel, Marc-André Bünzli, Beat Felber, Thomas Jenatsch, Pierre Maurer,Sabina Mächler, Nicole Suhner

Redazione:Beat Felber (bf – produzione)

Gabriela Neuhaus (gn) Jane-LiseSchneeberger (jls) Ernst Rieben (er), Luca Beti (versione italiana)

Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia e Stampa: Vogt-Schild Druck AG,Derendingen

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentita previa consultazione della redazione e citazione della fonte. Si prega di inviare una copia alla redazione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente (solo in Svizzera) presso: DFAE, Servizio informazioni, Palazzo federale Ovest,

Vari

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3003 BernaE-mail: [email protected]. 031 322 44 12Fax 031 324 90 47www.dsc.admin.ch

860215346

Stampato su carta sbiancata senza cloro per la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 54 200

Copertina: Giovane impegnato ad annaffiare, Cotonou, in Benin; Jean-PaulClajot/Aurora/laif

ISSN 1661-1683

Nota d’autore

Un incorreggibile idealista

Con 14 milioni di dischi venduti,DJ Bobo è uno dei musicisti dimaggior successo in Svizzera. Dal 2006 è ambasciatore per ilProgramma alimentare mondialedelle Nazioni Unite per la lottacontro la fame nel mondo.

Impegnandomi per il Programmaalimentare mondiale dell’ONU midedico a chi ne ha davvero biso-gno. Al contempo, voglio incorag-giare la comunità internazionale aportare avanti la lotta contro la po-vertà e la denutrizione. Sono sem-pre stato un idealista. Anche nellemie canzoni parlo spesso delle in-giustizie, della parità dei diritti edella libertà. Naturalmente adoroviaggiare, andare nei posti piùesotici. Per me un posto non è mai abbastanza esotico.Recentemente siamo andati inMongolia per un concerto. E vistoche vi è un collegamento aereosolo ogni cinque giorni ne ab-biamo approfittato per conoscerela popolazione locale. È vero chela mia musica è influenzata so-prattutto dall’America, ma è anchevero che vi sono punti di contattocon altri stili musicali. Nel 2010,per esempio, mi sono esibito in unduetto con la cantante del BeninAngélique Kidjo. La sua musica èdavvero eccezionale e vi consigliodi ascoltarla.

(Testimonianza raccolta da Beat Felber)

Must Be The Place» è il titolosia di una mostra itinerante, chedi un libro.«This Must Be The Place» di PieterHugo; Prestel Verlag Monaco 2012

Portale on-line sull’Africa occidentale ( jls) Il sito Portail de l’Afrique del’Ouest permette di accedere facilmente a numerose informa-zioni affidabili su questa regionedel mondo. Vi si trovano in par-ticolare mappe, statistiche, rap-porti, interviste e una rassegnastampa. Il sito internet, in fran-cese e inglese, è stato lanciatorecentemente dal Segretariatodel Club del Sahel e dell’Africaoccidentale (CSAO). Il sito curaanche lo scambio d’informa-zioni e la promozione del lavorofornito dai soci CSAO. Istituitoin seno all’OCSE, il club anno-vera Paesi e organizzazioni chesi impegnano insieme per lo sviluppo e l’integrazionedell’Africa occidentale. Il club èanche uno spazio di dialogo chefa crescere negli ambienti inter-nazionali la considerazione neiconfronti di iniziative dell’Africaoccidentale. La Svizzera è mem-bro del CSAO dalla sua fonda-

zione nel 1976 ed è rappresen-tata dalla DSC. Il portale per-mette di condividere esperienzee di presentare i programmi at-tivi nella regione.www.portailouestafrique.org

Un aiuto sollecitato ( jls) La cooperazione allo svi-luppo è scossa dalla perdita deisuoi punti di riferimento tradi-zionali e dalla moltiplicazione dinuove sfide globali. Nel numero3/2012 di Revue internationale de politique de développement, unaquindicina di autori analizzaquesta evoluzione. Esaminano lestrategie perseguite dagli attoridell’aiuto internazionale e leloro capacità di rinnovarsi. La rivista è pubblicata in francese einglese dall’Istituto di alti studiinternazionali e dello sviluppo(IHEID) con sede a Ginevra.«Revue internationale de politiquede développement»; nº 3, 2012,256 pagine; versione cartacea 39 franchi; non è disponibile in ita-liano; articoli liberamente accessibilisul sito www.poldev.revues.org

Beduini nel Sinai (bf ) È lontano e a portata dimano, il mondo dei beduini nelSinai, in Egitto. Da secoli, laloro, vita è scandita dalle regoleoriginarie della loro cultura tri-

bale. La loro giornata ruota attorno all’allevamento del bestiame, alla religione, alla famiglia. I due fotografi AninaGmür e Daniel Auf der Mauer,insieme all’etnologa KatrinBiallas, raccontano nel loro libro «Mzayna» la vita di tre beduini della stirpe dei Mzayna.Un uomo e due donne apparte-nenti a generazioni diverse par-lano dei primi turisti negli anniSettanta, di circoncisioni, matri-moni, famiglie, prospettive, sognie speranze. Le interviste e le immagini permettono ai lettoridi immergersi in un mondoricco di contrasti.«Mzayna» di Anina Gmür, KatrinBiallas e Daniel Auf der Mauer;Benteli Verlag Berna, 2011; dispo-nibile solo in tedesco

DFAE: esperti a vostra disposizioneDesiderate ottenere informa-zioni di prima mano su temi dipolitica estera? Le specialiste egli specialisti del Dipartimentofederale degli affari esteri DFAEsono a disposizione di scuole, associazioni e istituzione perconferenze e discussioni su nu-merosi temi di politica estera. Il servizio è gratuito, ma è of-ferto solamente in Svizzera.All’incontro devono parteciparealmeno 30 persone. Per informazioni: servizio delle conferenze DFAE, Palazzo federaleovest, 3003 Berna; telefono; 031 322 31 53 o 031 322 44 12;e.mail:[email protected]

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«Per ottenere risultati durevoli, bisognafissare obiettivi concreti, valutare peri-odicamente i progressi e programmareattentamente il momento in cui il donatore si ritirerà». Mama Bouraïma, pagina 10

«Siamo atterrati alle tre del pomerig-gio, alle cinque abbiamo discusso la situazione con la responsabile dell’ap-provvigionamento idrico della città e tre ore dopo stavamo eseguendo leprime analisi delle acque». Claudio Valsangiacomo, pagina 25

«Il silenzio dei partiti politici è indica-tivo della loro paura di esporsi». Rubeena Mahato, pagina 30