UN QUADRO DI DOMENICO BECCAFUMI NEL MUSEO DI … · busti, detto il Tintoretto. Con tale ascrizione...

3
-- ---258 ----------------------. --------------------__ LE ARTI medesima città, risulta elencato (n. o 3209) co- me Scena storica ecc. e intitolato a J acopo Ro- busti, detto il Tintoretto. Con tale ascrizione passò ed è rimasto sinora nella raccolta norve- gese. Al primo sguardo, escluso il presunto rap- porto col maestro citato, si rivela la sicura atti- nenza per ciò che riguarda soggetto e compo- sizione, col noto Martirio dei Santi Marco e Marcellino, che Paolo Veronese dipinse, attorno al 1565, per la chiesa di S. Sebastiano a Venezia. Il disegno misura cm. 21,5 X 31,5; condotto a penna, lievemente toccato di bistro, alquanto impallidito ma in discrete condizioni, si riporta, come sesto, al formato del dipinto (TAV. CIV). (In basso, verso il mezzo, una vecchia scrit - ta, forse decifrabile in Paolo o Polo Veronese). Quanto alla raffigurazione, si vede come la con- cordanza fra i due sia quasi completa. Oltre talune variazioni nel numero, nella distribu- zione e attitudine dei personaggi, la scena del disegno risulta accorciata, mancandovi la por- zione laterale (col gruppo di donne presso il log giato ) che si dimostra addossata alla zona principale del quadro, sicchè, nel primo, con quel rapido concludersi verso destra, l'azione movimentata si avvantaggia in speditezza e ef- ficacia. . Pertanto, il disegno mi sembra piuttosto ri- marchevole, da giustificare, a parte lo sposta - mento di nome, l'attribuzione del Rumohr (o del Catalogo) a mano di maestro. Che poi que- sto giudizio impegnativo abbia a mantenersi nel caso di Paolo Veronese, come suggerirebbe il fatto che debba qualora trattarsi d'un primo pensiero (inteso però come qualcosa più d'un semplice appoggio mnemonico) per la pittura già detta, non credo si possa senz'altro affer- mare, dopo aver ricorso a un congruo esame stilistico del disegno medesimo e agli oppor- tuni raffronti con gli altri .che documentano la pur varia ma sempre coerente maniera disegna- tiva del Veronese, risultandone abbastanza evi- denti i caratteri differenziali. Ciò vale quando ci si voglia riferire al gruppo di disegni vagliati dal von Hadeln per una sicura paternità del Caliari, mentre d'altro lato può rilevarsi una stretta affinità del disegno di OsIo con altro dell'«Albertina» di Vienna, una Adorazione' dei Magi, pur esso a penna e acquarello, ascrittQ al Maestro dal Meder, dal Wickhoff e dai compi- latori del catalogo della Collezione medesima. (Catalogo dell'«Albertina», I: Scuola veneziana, n.O 105, Invent. n.O 1625). A ogni modo, credo che il disegno debba riconoscersi improntato a una vivacità espressiva di primo getto, da eli- minare il supposto d'una sua derivazione dal dipinto, eventualità tanto più da escludersi quando si considerino le notevoli varianti d'as- sieme che si scorgono tra l'una e l'altra com- posizione. ANTONY DE WITT. UN QUADRO DI DOMENICO BECCAFUMI NEL MUSEO DI STATO DI BERLINO. La tavoletta, non grande (0,60 X 1,00 m.), raffigura una scena della leggenda di Santa Lucia (TAV. CIV). Sullo sfondo del paesaggio toscano, fine, tra- sparente, a leggeri riflessi brumosi azzurro avo- rio, si profila l'elegante porticato dell'edificio, ove si svolge l'azione principale. Nell'ombra siede l'imperatore; vestito di ros- so, egli protende in avanti la sinistra nell'atto di comando. Un vecchio, che gli è seduto ac- canto, alza ambe le mani in segno di orrore e di protesta. La Santa Lucia, avvolta in una leggiadra tunica violacea dalle maniche azzurro- gnole, giunge le palme delle mani nell'atto di rassegnazione. Il volto oblungo, il naso breve e la bocca turgida si riscontrano in tanti altri quadri del Beccafumi. Dietro, il carnefice, quasi ignudo, coperte solamente da leggera tunica a riflessi violacei svolazzante sul corpo di caldo avorio sfumato in bruno, alza il braccio destro armato di spada e curva il capo in atteggiamento di forzata ub- bidienza. Due figure virili in fondo a sinistra fanno da spettatori, come pure le donne tra le colonne del porticato. La tavoletta ha tutte le caratteristiche dello stile beccafumiano ed appartiene al gruppo delle pitture con figure di piccole proporzioni, nelle quali il maestro svolse le sue linee fluenti e profuse l'abbagliante ricchezza del colore, senza cadere in volgari deformazioni. Occupa il posto intermedio tra il quadretto La continenza di Scipione nella Galleria di Lucca e gli affreschi della Casa di Marcello Agostini (oggi Bindi-Ser- gardi) eseguiti dal Beccafumi tra il 1520-1525. La tavoletta ha in comune con dette pitture l'armonia coloristica ed il ritmo. cadenzato dei movimenti; il senso prospettico è mirabile; la striscia bianca argentina della strada, fuggente verso le colline lontane, ricorda quella del qua- dro lucchese. Anche nella figurina di Santa Lucia, si ri- scontra la grazia e l'armonia dei movimenti che tanto ingentiliscono la sposa del quadro luc- chese e del riquadro della casa Bindi-Sergardi. ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

Transcript of UN QUADRO DI DOMENICO BECCAFUMI NEL MUSEO DI … · busti, detto il Tintoretto. Con tale ascrizione...

-----258 ----------------------.--------------------__ LE ARTI

medesima città, risulta elencato (n.o 3209) co­me Scena storica ecc. e intitolato a J acopo Ro­busti, detto il Tintoretto. Con tale ascrizione passò ed è rimasto sinora nella raccolta norve­gese. Al primo sguardo, escluso il presunto rap­porto col maestro citato, si rivela la sicura atti­nenza per ciò che riguarda soggetto e compo­sizione, col noto Martirio dei Santi Marco e Marcellino, che Paolo Veronese dipinse, attorno al 1565, per la chiesa di S. Sebastiano a Venezia. Il disegno misura cm. 21,5 X 31,5; condotto a penna, lievemente toccato di bistro, alquanto impallidito ma in discrete condizioni, si riporta, come sesto, al formato del dipinto (TAV. CIV). (In basso, verso il mezzo, una vecchia scrit­ta, forse decifrabile in Paolo o Polo Veronese). Quanto alla raffigurazione, si vede come la con­cordanza fra i due sia quasi completa. Oltre talune variazioni nel numero, nella distribu­zione e attitudine dei personaggi, la scena del disegno risulta accorciata, mancandovi la por­zione laterale (col gruppo di donne presso il loggiato) che si dimostra addossata alla zona principale del quadro, sicchè, nel primo, con quel rapido concludersi verso destra, l'azione movimentata si avvantaggia in speditezza e ef­ficacia.

. Pertanto, il disegno mi sembra piuttosto ri­marchevole, da giustificare, a parte lo sposta­mento di nome, l'attribuzione del Rumohr (o del Catalogo) a mano di maestro. Che poi que­sto giudizio impegnativo abbia a mantenersi nel caso di Paolo Veronese, come suggerirebbe il fatto che debba qualora trattarsi d'un primo pensiero (inteso però come qualcosa più d'un semplice appoggio mnemonico) per la pittura già detta, non credo si possa senz'altro affer­mare, dopo aver ricorso a un congruo esame stilistico del disegno medesimo e agli oppor­tuni raffronti con gli altri .che documentano la pur varia ma sempre coerente maniera disegna­tiva del Veronese, risultandone abbastanza evi­denti i caratteri differenziali. Ciò vale quando ci si voglia riferire al gruppo di disegni vagliati dal von Hadeln per una sicura paternità del Caliari, mentre d'altro lato può rilevarsi una stretta affinità del disegno di OsIo con altro dell'«Albertina» di Vienna, una Adorazione' dei Magi, pur esso a penna e acquarello, ascrittQ al Maestro dal Meder, dal Wickhoff e dai compi­latori del catalogo della Collezione medesima. (Catalogo dell'«Albertina», I: Scuola veneziana, n.O 105, Invent. n.O 1625). A ogni modo, credo che il disegno debba riconoscersi improntato a una vivacità espressiva di primo getto, da eli­minare il supposto d'una sua derivazione dal

dipinto, eventualità tanto più da escludersi quando si considerino le notevoli varianti d'as­sieme che si scorgono tra l'una e l'altra com-posizione. ANTONY DE WITT.

UN QUADRO DI DOMENICO BECCAFUMI NEL MUSEO DI STATO DI BERLINO.

La tavoletta, non grande (0,60 X 1,00 m.), raffigura una scena della leggenda di Santa Lucia (TAV. CIV).

Sullo sfondo del paesaggio toscano, fine, tra­sparente, a leggeri riflessi brumosi azzurro avo­rio, si profila l'elegante porticato dell'edificio, ove si svolge l'azione principale.

Nell'ombra siede l'imperatore; vestito di ros­so, egli protende in avanti la sinistra nell'atto di comando. Un vecchio, che gli è seduto ac­canto, alza ambe le mani in segno di orrore e di protesta. La Santa Lucia, avvolta in una leggiadra tunica violacea dalle maniche azzurro­gnole, giunge le palme delle mani nell'atto di rassegnazione. Il volto oblungo, il naso breve e la bocca turgida si riscontrano in tanti altri quadri del Beccafumi.

Dietro, il carnefice, quasi ignudo, coperte solamente da leggera tunica a riflessi violacei svolazzante sul corpo di caldo avorio sfumato in bruno, alza il braccio destro armato di spada e curva il capo in atteggiamento di forzata ub­bidienza.

Due figure virili in fondo a sinistra fanno da spettatori, come pure le donne tra le colonne del porticato.

La tavoletta ha tutte le caratteristiche dello stile beccafumiano ed appartiene al gruppo delle pitture con figure di piccole proporzioni, nelle quali il maestro svolse le sue linee fluenti e profuse l'abbagliante ricchezza del colore, senza cadere in volgari deformazioni. Occupa il posto intermedio tra il quadretto La continenza di Scipione nella Galleria di Lucca e gli affreschi della Casa di Marcello Agostini (oggi Bindi-Ser­gardi) eseguiti dal Beccafumi tra il 1520-1525. La tavoletta ha in comune con dette pitture l'armonia coloristica ed il ritmo. cadenzato dei movimenti; il senso prospettico è mirabile; la striscia bianca argentina della strada, fuggente verso le colline lontane, ricorda quella del qua­dro lucchese.

Anche nella figurina di Santa Lucia, si ri­scontra la grazia e l'armonia dei movimenti che tanto ingentiliscono la sposa del quadro luc­chese e del riquadro della casa Bindi-Sergardi.

©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

LE ARTI ------------------------------------------ 259-----

I panneggi non formano pieghe aggrovigliate, ma seguono la linea del corpo in curve schema­tiche: due o tre pieghe più pronunciate sono sufficienti a rendere il movimento. Le ginocchia si scostano, la stoffa del v estito si protende, si gonfia, dando alla figura una mossa caratteri­stica. I gesti delle mani, come l'atto di comando dell'imperatore, e l'atto di orrore del vecchio ve­nerando, sono decisi, acquistano vigoria. I colori si liquefanno, diluendosi insensibilmente : i pan­neggi fluiscono quasi senza lasciare distinguere il passaggio insensibile dal panno al corpo ignudo.

Nel quadro berlinese, come nelle altre pit­ture citate, si svolge l'effetto cromatico delle scene lampeggianti, corrusche sopra una gam­ma nuova e ricca.

Il B eccafumi raggiunse con questo mirabile quadretto la perfezione della sua arte, creando un'opera stupenda per la composizione nitida e per l 'efficacia del chiaroscuro.

Oltre l'analisi stilistica che ci porta appunto ad attribuire il quadro berlinese al periodo del dipinto lucchese e degli affreschi di Bindi-Ser­gardi (1520-1525) esiste un documento del 26 lu­glio 1521 in cui si parla di pagamenti al pittore Domenico Beccafumi per un cataletto eseguito p er la Compagnia di Santa Lucia. Il quadro in questione forse faceva parte di detto cataletto. (Archivio del Patrimonio Ecclesiastico - Entra­ta e Uscita della Compagnia di Santa Lucia -Registro D, III, Carta 2).

Il quadro fu acquistato nel 1930 ad una asta pubblica a Parigi. Proveniva dal Palazzo Torlonia a Roma; era poi passato alla Collezione Benson di Londra. Nel 1904 era stato esposto a Londra alla Mostra dell'Arte Senese.

MARIA GIBELLINO-KRASCENINNICOWA.

GLI AFFRESCHI RESTAURATI DI GIOVANNI MARIA CONTI IN SANTA CROCE A ,PARMA.

L'acqua filtrante da una vecchia , canalizza­zione aveva marcito in parte gli affreschi del

l) I. GRASSI, Parmenses pictores, celatores, architecti et impressores, ms. del 1733 c. presso la Biblioteca Pala­tina di Parma, f. 29 v.; R. BAISTROCCHI, Guida di Par­ma, ms. del 1780 presso il R. Museo di Antichità, p. 38; I. AFFÒ, Il Parmigiano servitor di Piazza, 1796, p. lll ; BAISTROCCm e BERTOLUZZI, Biografie di artisti, ms. del secolo XVIII-XIX nel R. Archivio di Stato di Parma, f.29; P. RAVAZZONI, Artisti parmigiani, ms. della fine del secolo XVIII nella Biblioteca Palatina di Parma, n.O 21; A. SANSEVERINO, Notizie storiche artistiche delle chiese di Parma, m s. del secolo XVIII (fine) presso il Museo di Antichità di Parma; P. DONATI, Nuova descri­zione della città di Parma, 1824, p. 121; G. BERTOLUZZI, Nuovissima Guida di Parma, 1830, p. 57; P. GRAZIOLI,

Conti n ella cappella di S. Giuseppe annessa al­l'antica chiesa di S. Croce in Parma.

La difficoltà maggiore del r estauro non era tanto il fis saggio dell'intonaco staccato dal mu­ro e rigonfio di bozze - p er quanto si sia dovuto procedere per alcune zone allo strappo ed alla trasposizione (angioli della prima campata a si­nistra) - come la rimozione di vecchi restauri e « rinvigorimenti » a cera sul colore, compromes­so nel supporto dall'umidità assorbita. Spianate quindi le bozze e rifatto l'intonaco nelle parti vuote, si è proceduto con ogni cautela alla sgrassatura ed alla ripulitura dei pannelli, ri­portando ad pristinum il colore, che è ritornato duttile nel chiaroscuro e con le ombre filtrate come in tutti i conseguenti del Correggio.

Non un ritorno a' tempera, non un penti­mento, non una illuminazione soprammessa: tutto è continuo, liscio e omogeneo anche per la finissima macinazione delle terre che ne ha favorito la ghiacciatura, mentre la miscela ben proporzionata di calce e sabbia non ha prodotto cretti, per cui ne è stato più agevole il puli­mento, anche nei pannelli maggiormente dan­neggiati: il Sogno di Giuseppe e la Fuga in Egitto della parete d'ingresso. Ancora più facile il restauro degli affreschi della nave principa­le, per i quali non è occorsa alcuna assicura­zione, in quanto il colore non aveva subito altro danno oltre quello della polvere e del fumo delle candele. Qualche lacuna causata dalla caduta di lievi scaglie è stata campita, come nella cap­pella di S. Giuseppe, in tinta neutra.

Restituiti così gli affreschi all'originario aspetto, ne è risultata stilisticamente esatta la tradizionale attribuzione a Giovanni Maria Con­ti d. della Camera (1614 ?-1670), ripetuta da tutti i descrittori di Parma 1), il Gabbi eccet­tuato, che attribuisce le pitture della cappella a Pier Antonio Bernabei 2): nè si comprende il perchè dell'affermazione, dato che la « Sa­grestia nuova » o, meglio, la cappella di S. Giu­seppe in S. Croce, veniva costruita tra il 1633 ed il '36 3), quando il Bernabei era morto da

Parma microscopica, 1847, p. 71; C. MALASPINA, Nuova Guida di Parma, 1869, p. 80; G. B. JANELLI, Dizionario biografico dei parmigiani illustri, 1877, p. 124; E. SCk­RABELLI ZUNTI, Documenti e memorie di Belle Arti par­migiane, ms. del secolo XIX presso il R. Museo di Anti­chità di Parma, voI. V (1601-50), pp. 80-81 ,; N. PELI­CELLI in TmEME-BECKER, Kiinstler-Lexikon, VII (1912), pp. 335-336.

2) GABBI, Chiese di Parma, ms. del 1840 c. presso il R. Archivio di Parma.

3) Presso l'Archivio di &tato di Parma si conservano, con l'atto di fondazione della Compagnia di S. Giuseppe del 19 agosto 1628, diverse ricevute per la costruzione della « Sagrestia nuova di S. Giuseppe che detta ,Com-

©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

TAV.Ct

DOME IlCO BEcCAFm n: cena della vita di S. Lucia. Berlino , Museo di Stato.

©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte