Un momento tragico e dolorosotragico e doloroso per il ...Scorsese e il Papa, quando, durante il...

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L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 6 agosto 2020 anno LXXIII, numero 32 (4.056) Un momento Un momento tragico e doloroso tragico e doloroso per il Libano per il Libano

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L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 6 agosto 2020anno LXXIII, numero 32 (4.056)

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

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«Non sono mai stata altrove che malata. In uncerto senso la malattia è un luogo, più istrutti-vo di un lungo viaggio in Europa, e un luogodove nessuno ti può seguire. La malattia pri-ma della morte è cosa quanto mai opportuna echi non ci passa si perde una benedizione delSignore. Quasi altrettanto isola il successo, eniente mette in luce la vanità altrettanto be-ne».

Le parole usate, con la solita precisione chi-rurgica, dalla scrittrice Flannery O’C o n n o r,racchiudono in modo estremamente efficace ilsenso dell’intensa intervista rilasciata dal regi-sta Martin Scorsese al direttore de «La CiviltàCattolica», Antonio Spadaro. Tra i due ormaisi è consolidata una vera e profonda amiciziache trapela anche tra le righe di quest’ultimaconversazione apparsa nel numero della rivistadei gesuiti uscito il 18 luglio con il titolo signi-ficativo L’asma e la grazia.

Tra questi due poli, già evidenziati dalle pa-role della O’Connor che parlava di malattia edi benedizione, si sviluppa una riflessione atratti toccante, vertiginosa, che parte da unameditazione sul periodo che sta attraversandoil mondo investito dal “tifone” del covid-19,un periodo in cui ha fatto la sua apparizione,afferma Scorsese, «una nuova forma di ansia.L’ansia di non sapere nulla. Proprio nulla. Eratutto in sospeso, rinviato a non si sapevaquando, come in un sogno in cui corri a per-difiato, ma non arrivi mai alla meta. In unacerta misura, è ancora così. Quando sarebbefinita? E poi una domanda precisa: Se nonavessi potuto girare il mio film, chi ero io?».

Il viaggio all’interno del polo negativo (lamalattia, l’asma) viene compiuto fino in fon-do: «L’ansia è andata crescendo, e con essa laconsapevolezza che avrei potuto non uscirnevivo. Soffro di asma da tutta la vita, e questovirus a quanto pare attacca i polmoni piùspesso che qualsiasi altra parte del corpo. Misono reso conto che avrei potuto davvero tira-re il mio ultimo respiro in quella stanza dellamia casa che era stata un rifugio e ora era di-ventata una specie di fortezza, e stavo inizian-do a sentirla come la mia prigione. Mi sono ri-trovato solo, nella mia stanza, a vivere da unrespiro all’a l t ro » .

Leggere queste parole fa, quasi automatica-mente, pensare a Papa Francesco che, come ènoto, a 21 anni a causa di una grave forma dipolmonite ha subito l’asportazione chirurgicadi una parte del polmone destro e che haspesso usato la metafora del polmone, del re-spiro, del palpito. Ad esempio nella recentepubblicazione La preghiera. Il respiro di vitanuova (pubblicato dalla Libreria Editrice Vati-cana) ha affermato: «Ci sono nel corpo umanoalcune funzioni essenziali come il battito delcuore e il respiro. Mi piace immaginare che lapreghiera personale e comunitaria di noi cri-stiani sia il respiro, il battito cardiaco dellaChiesa, che infonde la propria forza nel servi-zio di chi lavora, di chi studia, di chi insegna(...). Non sempre si è coscienti di respirare, manon si può smettere di respirare».

Scorsese e Bergoglio, legati non solo dai co-muni problemi respiratori, ma anche da unrapporto di stima profonda e grande affetto,

«Respirare. Qui. Adesso»La malattia e la benedizioneIl regista, il Papa, il gesuita

#editoriale

di ANDREA MONDA

Rileggendol’intervistadi Martin Scorsesea «La CiviltàCattolica»

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sentimenti tangibili anche nel loro ultimo rapi-do incontro di ottobre, durante il Sinodo perl’Amazzonia, quando il Papa e il regista hannoconversato del film The Irishman e, quindi, diDostoevskij, comune passione letteraria.

Stimolato dalle domande di padre Spadaro,il regista italo-americano ha ricollegato quelmomento di crisi vissuto durante la pandemiaad una precedente crisi, vissuta circa 40 annifa, ai tempi del grande successo di Toro scate-nato, un momento drammatico in cui Scorseseha praticamente incarnato il pensiero di Pascalper cui «tutta l’infelicità degli uomini derivada una sola causa, dal non sapere starsene dasoli, in una camera» e si è trovato a pensare:«“Potrò mai stare da solo in una stanza, dasolo con me stesso? Potrò mai soltanto esse-re ? ”. Ed ecco che, tanti anni dopo, di colpo,eccomi qui, da solo nella mia stanza, a viverel’attimo, ogni attimo prezioso del mio esserevivo. Ovviamente è stata una situazione pe-sante, ma eccola».

Il momento critico viene vissuto fino in fon-do, senza sconti, ma poi accade qualcosa:«Poi, qualcosa... è arrivato. Si è posato su dime e dentro di me. Non so descriverlo diversa-mente. All’improvviso ho visto tutto da unpunto di vista diverso, migliore. Sì, non sape-vo ancora che cosa sarebbe successo, ma nonlo sapeva nessuno. Avrei potuto ammalarmi enon lasciare mai più quella stanza, ma, se fos-se accaduto, non avrei potuto farci niente. Èdivenuto tutto più semplice e ho provato unsenso di sollievo. E questa consapevolezza mi

ha riportato agli aspetti essenziali della mia vi-ta. Ai miei amici e alle persone che amo, allepersone di cui devo prendermi cura. Alle be-nedizioni che ho ricevuto: ai miei figli, a ognimomento trascorso con loro, a ogni abbraccio,ogni bacio e ogni saluto... a mia moglie, equanto sono fortunato ad aver trovato qualcu-no con cui sono riuscito a crescere e a far cre-scere insieme una bambina e al tempo stesso...a poter fare il lavoro che amo». Parole, quelleusate da Scorsese che possiedono quella forza

semplice che impedisce di apporre qualsiasiforma, anche la più discreta, di commento.

Emerge da questo parlare così nudo, essen-ziale, la consapevolezza di aver ricevuto undono: «E poi qualcosa ci è stato rivelato, ci èstato donato. Le vecchie domande abituali:“Come stai?”, “Stai bene?” sono diventate im-mediate e cruciali. Sono diventate vitali. Ab-biamo scoperto di essere davvero tutti insieme,non solo nella pandemia, ma nell’esistenza,nella vita. Siamo diventati veramente uno».

Un pensiero l’anziano regista lo invia ai gio-vani e qui viene in mente un altro incontro traScorsese e il Papa, quando, durante il Sinododei giovani, nel 2018, fu presentato il libro Lasaggezza del tempo, curato da padre Spadaro, inun momento di incontro tra generazioni e cifu un bel dialogo tra il Papa e l’artista che og-gi, per mezzo dei microfoni della Civiltà Cat-tolica, dice ai giovani: «Quanto sono fortunatia essere vivi in un momento così illuminante.Molti di noi pensano che tutto tornerà comeprima, ma ovviamente non va mai così: tuttocambia sempre, e proprio questo periodo ce loricorda con forza. Può ispirarci a riconoscerela nostra capacità di cambiare in meglio. Difatto è questo che sta succedendo, al momen-to, con le proteste di massa in tutto il mondo:i giovani stanno combattendo per migliorare lecose».

Il finale dell'intervista è sull’arte, sul cinema,la letteratura. Rispunta quindi Dostoevskij e isuoi fratelli Karamazov e poi Steinbeck e Ki-

#editoriale

pling e infine un film di Ken Burns dedicatoalla figura di William Segal. Toccanti le parolecon cui Scorsese commenta questo film con-cludendo la sua intervista, e anche in questocaso si tratta di parole così vere e poetiche chenon conviene provare a commentarle: «C’èuna scena in cui Segal invita, con l’esp erienzadella sua quiete e della sua meditazione, apuntare la nostra attenzione su ciò che è es-senziale, su ciò che accade proprio ora, tra unrespiro e l’altro. Essere. Respirare. Qui. Ades-so. Tutto questo non è grazia?».

Ken Burnse William Segal nel 1992

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Siamo in un luogo simbolo del giornalismo, aricordare una storia che è essa stessa simbolo.A far sì che su di essa non scenda il silenzio.Siamo qui per dire grazie a padre PaoloD all’Oglio per quello che la sua vita ha testi-moniato e testimonia ancora.

Ho pensato, venendo qui, a cosa potrebbedire lui qui, oggi, a noi riuniti in presenza ocollegati via web. E ho pensato che ci parle-rebbe forse dell’importanza del buon giornali-smo. Per vedere e far vedere le cose nella loroessenza. Per rompere i pregiudizi. Per costruirecapacità di incontro. Ho pensato che ci parle-rebbe sicuramente dei suoi, dei nostri fratellisiriani. Ci direbbe, da credente, che nulla èperduto per sempre. Che un futuro di pacesempre è possibile; e che è nelle nostre manise non stessimo solo a guardare. E che quelfuturo ci riguarda direttamente. Ci ripeterebbeche è proprio perché ha visto e ha creduto cheha parlato. Con le azioni più che con le paro-le. Con le chiacchiere, direbbe lui. E che pro-prio questo è, sarebbe il compito dei giornali-sti. Saper vedere. Saper raccontare.

Ci parlerebbe del dinamismo sempre vivodel bene, del dialogo, delle relazioni.D ell’amore che solo conosce. Ci racconterebbeforse anche della staticità sempre morta delmale, intrinsecamente imprigionato dal ranco-re, dalla incapacità di ascoltare, di cambiare. Eci direbbe, forse, che tutto questo purtroppospesso sfugge a chi fa comunicazione.

Ho pensato che ci chiederebbe di raccontarele sofferenze e le speranze dei monaci e dellemonache della sua comunità. Di raccontare esostenere (anche attraverso il nostro racconto)una storia di dialogo e di accoglienza. Una av-ventura che rimane magnifica. Una storia che

continua. La storia di un rapporto diversopossibile fra mussulmani e cristiani. Di comeun luogo piccolo e remoto può essere il centrodi una storia grande e centrale.

Ho pensato che da comunicatore ci direbbeanche, come Papa Francesco, che noi siamociò che raccontiamo. E proprio questo tocca anoi: raccontare. Senza qualcuno che la raccon-ta, la storia sarebbe muta, immobile, congela-ta. Invece la storia è viva, cammina. Va dovela portiamo anche noi.

Come scrive Martin Buber ne I racconti deiChassidim, (Milano, 1979, pagine 3-4), «La pa-rola che narra è più che semplice parola, essatrasmette effettivamente l’accaduto alle genera-zioni future, anzi la narrazione è accadimentoessa stessa, ha la sacralità di un rito (…) Ilracconto è lo stesso avvenimento, ha l’unzionedi un atto sacro (…) E l’essenza sacra di cuidà testimonianza continua a vivere in essa».Tutti (anche se spesso non ce ne rendiamoconto) siamo responsabili del mondo che lanostra narrazione ricama.

Ho pensato allora a un’altra cosa che forseci direbbe padre Paolo: che la verità che cer-

chiamo, nella sua storia, la conosciamo già. Ètutto chiaro. Noi sappiano. Paolo le sa. Pa o l osapeva le tribolazioni che avrebbe incontrato,ma sapeva anche (dalla lezione del santo dicui porta il nome, Seconda lettera ai Corinzi, 8-15, lettura della liturgia del 25 luglio 2013, po-chi giorni prima della sua scomparsa) che nonne sarebbe stato schiacciato; sapeva che avreb-be potuto essere sconvolto, ma non disperato;perseguitato, ma non abbandonato; colpito, manon ucciso. Sapeva da battezzato, da sacerdote,da credente di portare sempre e dovunque nel

C o n t i n u a rea tramandarei valori della pace

L’opera di padreDall’Oglior i c o rd a t ain una conferenzastampanel settimoa n n i v e rs a r i odel rapimento

#approfondimenti

di PAOLO RUFFINI

Mercoledì 29 luglio, alle ore 11, nel settimoanniversario del rapimento del padre gesuitaPaolo Dall’Oglio, si è svolta una conferenzastampa presso la sede della Fnsi (FederazioneNazionale Stampa Italiana) per ricordare l’o p e radel religioso e i lati oscuri del suo sequestro.Alla conferenza, organizzata dall'associazioneGiornalisti amici di padre Dall’Oglio eda Articolo21, hanno partecipato le tre sorelledel gesuita sequestrato e hanno preso la parola,tra gli altri, padre Federico Lombardi,il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, padreCamillo Ripamonti del Centro Astalli, il direttorede «L’Osservatore Romano» e il prefettodel Dicastero per la comunicazione di cuipubblichiamo qui di seguito il testo dell’intervento.

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proprio corpo la morte di Gesù, perché anchela vita di Gesù si possa manifestare.

Anche noi sappiamo. Noi sappiamo che chici ha sottratto la presenza fisica di padre Paolovoleva/vorrebbe soffocare ogni dialogo conl’altro; voleva/vorrebbe farci precipitare in unaspirale di odio, nel meccanismo amico-nemico,eletti e reietti. Un circolo infernale direbbe pa-dre Paolo. Una trappola diabolica.

Come ha scritto un giornalista franco-liba-nese, saggista e romanziere, Amin Maalouf inLes identités meurtrières, (Grasset&Frasquelle,1998): «Se i nostri contemporanei non verran-no incoraggiati ad assumere le loro moltepliciappartenenze, se non riusciranno a conciliare illoro bisogno di identità con una aperturaschietta e priva di complessi alle culture diver-se, se si sentiranno obbligati a scegliere fra lanegazione di se stessi e la negazione degli al-tri, formeremo legioni di pazzi sanguinari, le-gioni di squilibrati».

Questo discorso ci riguarda direttamente.Tutti noi sappiamo quanto siano importanti inquesto i mezzi di comunicazione per romperequesto gioco perverso. Possono contribuire aricostruire l’unità della famiglia umana, la con-sapevolezza di essere parte di un unico destinocondiviso; o possono, al contrario, essere la viaper continuare ad alimentare gli equivoci, i ri-sentimenti, le inimicizie, che hanno purtropposin qui aggrovigliato il nostro presente e mi-nacciato il nostro futuro.

Sta a noi, come ha affermato con forza PapaFrancesco (Udienza alla Stampa estera, 18maggio 2019), far sì che la comunicazione siastrumento per costruire, non per distruggere;per incontrarsi, non per scontrarsi; per dialo-gare, non per monologare; per orientare, nonper disorientare; per capirsi, non per frainten-dersi; per camminare in pace, non per semina-re odio.

Tocca anche ai giornalisti diffondere con illoro lavoro questa verità, questa consapevolez-za, questa conoscenza; custodire e tramandarei valori della pace, denunciare l’uso strumenta-le delle religioni, restituire alla fratellanza ilconcetto e il coraggio di alterità. Dire che sipuò rimanere se stessi e allo stesso tempo rico-noscere nell’altro un fratello.

È quel che Paolo ha fatto in occidente e inoriente, con la sua rude dolcezza: raccontandoagli uni la storia degli altri. «Ognuno di noi —disse nella sua ultima, credo, intervista — ha lasua appartenenza, io sono cattolico e appar-

tengo a Roma, che problema c’è in questo? Ese l’altro è cristiano ortodosso avrà e porteràrapporti privilegiati con Istanbul, con la Gre-cia e la Russia. Dobbiamo mettere tutte questeappartenenze in un quadro di comprensionecaratterizzato dalla religiosità. Alcuni di noidicono che la religione è di Dio e la patria ditutti. Io non rifiuto questa frase. Ma voglio unPaese plurale e armonioso, dove regni la reli-giosità, cioè dove le persone si amano perchéesseri umani, creature di Dio, e quindi con di-ritti e dignità e il meritato rispetto. Religiositàsignifica guardarsi come Dio guarda le suecreature». I suoi figli. I figli di Isacco e i figlidi Ismaele.

Ricordare senza tradirla la storia di Paolonon può non partire da qui. Dalla sua testimo-nianza più che dal calcolo sbagliato di chi hapensato di poterla fermare. Dalla ricerca co-stante del dialogo fra i figli di Abramo. Dallosforzo ostinato di sottrarre le religioni al ricat-to dei fondamentalismi fanatici. Dallo sguardocapovolto di chi si mette nei panni dell’a l t ro ,più che dallo sguardo corto di chi pensa dipotersi salvare da solo, separandosi dall’a l t ro .Dal paradosso evangelico secondo cui è pro-prio l’escluso che diventa l’eletto. Dalla consa-pevolezza ragionevole che quel che ci unisce èmolto di più di quello che ci divide.

Prendo ancora in prestito le sue parole perdirlo: «Se solo riuscissimo a pensare in modorazionale non escludendo gli altri, potremmoimmaginare di costruire un Paese dove regnala convivenza, la comprensione, la fratellanza,la solidarietà, e la diversità …. Se ciascuno dinoi chiude la sua mente e crede che le coseandranno come vuole lui, resterà deluso: pro-cedendo in questo modo le cose andranno co-me vuole il diavolo».

Ciascuno di noi. Ecco il punto. Queste paro-le, profetiche, ci dicono della sua presenza. Cisfidano a un racconto diverso di quel che acca-de e che ci accade. Penso che sia questo il com-pito che ci è assegnato come giornalisti, comecomunicatori, nel raccontare la Siria, il Mediooriente, il mondo, e la stessa storia della tem-poranea scomparsa di padre Paolo da una pro-spettiva diversa. E che sia questo, anche, il mo-do migliore (nella certezza cristiana di poterlocomunque un giorno riabbracciare) per ritrova-re Paolo, per ritrovarci con Paolo; smentendo ilcalcolo perverso di chi sette anni fa ha pensatodi poterlo sottrarre alla Siria e a tutti noi.

#approfondimenti

Il sacerdote Fabio Salernosegretario personale di Papa Francesco

Papa Francesco ha chiamato«come suo Segretario persona-le don Fabio Salerno, attual-mente impiegato presso la Se-zione per i Rapporti con gliStati della Segreteria di Stato».Lo ha reso noto nella mattinadi sabato 1° agosto, una comu-nicazione del direttore dellaSala stampa della Santa Sede,Matteo Bruni, precisando che«nel contesto di un normaleavvicendamento di persone, di-sposto da Papa Francesco per icollaboratori della Curia Ro-mana, il reverendo monsignor

Yoannis Lahzi Gaid, segretariopersonale del Santo Padredall’aprile 2014, conclude ilsuo servizio. Monsignor Gaidcontinuerà l’attuale incarico dimembro dell’Alto Comitatoper la Fratellanza Umana».

Nato a Catanzaro il 25 apri-le 1979, don Fabio Salerno èstato ordinato sacerdote il 19marzo 2011 per l’arcidio cesimetropolitana di Catanzaro-Squillace. Ha conseguito ildottorato in Utroque Iurepresso la Pontificia universitàLateranense in Roma e, dopo

essere stato alunno della Ponti-ficia accademia ecclesiastica, haprestato servizio come segreta-rio della nunziatura apostolicain Indonesia e della Missionepermanente della Santa Sedepresso il Consiglio d’Europa aS t r a s b u rg o .

Don Fabio Salerno affiancail sacerdote uruguayano Gon-zalo Aemilius, chiamato loscorso gennaio a sostituiremonsignor Fabián PedacchioLeániz come nuovo segretariopersonale del Papa.

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All’inizio degli Esercizi spirituali sant’Ignazio cimette di fronte a questo Dio vero, Dio nostroSignore, Gesù Cristo, testimone di verità. E cifa considerare alcune verità sulla nostra vita,quelle verità basilari alle quali ci farà ricorrerenei momenti più decisivi della scelta (cfr. ES170, 184-185).

La prima è la nostra verità creaturale.«L’uomo è creato» (ES 23). Viene da Dio, èstato fatto da Lui. Ma creato come persona,come se fosse l’unico, «plasmato» dalle manidi Dio, che in lui ha riposto le proprie aspet-tative. Io non lascio Dio indifferente. Egli miha in mente, mi ama, mi cura, fa di me il si-gnore della creazione, che — con la mia libertà— devo orientare a Lui, Signore assoluto. Eper farlo devo servire, da servo inutile (cfr. Lc17, 10), per essere riconosciuto definitivamentecome un servo fedele (cfr. Mt 25, 21-23). Sonochiamato a lodare, a riverire, a sforzarmi di af-fermare con tutto il mio essere, la mia mente,la mia parola, il mio corpo, la mia modestia,che c’è un solo Signore degno di ogni lode:«L’Agnello, che è stato immolato, è degno diricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza,onore, gloria e benedizione» (Ap 5, 12). La ve-rità sui casi della vita: salute e malattia, vitalunga e vita breve, ricchezza e povertà, onoree disonore. Il mio effettivo comportamentodavanti a essi. La verità su questi eventi chenon dipendono da me, ma mi riguardano nelmio accettarli; e la verità su quelli che dipen-dono da me, sulla scelta e sul rifiuto.

La verità sulla mia libertà: il modo in cui liscelgo, il modo in cui li respingo. La mia fa-miglia religiosa, la mia comunità, il mio atteg-giamento di «massima abnegazione e continuamortificazione» al servizio del più a cui sonochiamato.

La verità sui nostri desideri affinché siano fe-condi: «Desiderando e scegliendo soltantoquello che più ci conduce al fine per cui siamoc re a t i » .

Questa è la verità che ci rende liberi, di unalibertà del cuore inedita per le nostre possibili-tà meramente umane, perché questa libertà èuna grazia, un dono. Un dono, tuttavia, delquale non possiamo disinteressarci: un donoda meritare con il nostro lavoro e con il nostrooperato. Questa verità significa indifferenza atutto ciò che non è Dio.

Due cose attirano l’attenzione quando s’ini-zia la meditazione sui peccati. La prima è la

preghiera preparatoria (cfr. ES 46). Chiediamoa Dio nostro Signore, cioè Gesù Cristo, il Si-gnore del «Principio e fondamento», che «tut-te le mie intenzioni, azioni e attività siano pu-ramente ordinate a servizio e lode di sua divi-na maestà» (ES 46). Qui ripetiamo il «Princi-pio e fondamento», ma c’è qualcosa di più:appare esplicitamente l’idea di ordine, «essere

Tra verità su Dioe su noi stessi

Gli «Esercizispirituali»

in alcunemeditazioni scritte

da Bergoglionegli anni Ottanta

#illibro

Il 31 luglio la Chiesa ha celebrato la memorialiturgica di sant’Ignazio di Loyola, fondatore dellaCompagnia di Gesù e autore dei celebri « E s e rc i z ispirituali». In alcune riflessioni scritte da JorgeMario Bergoglio tra il 1980 e il 1986 epubblicate nel 1987 — tradotte, per la primavolta integralmente in italiano, e contenute nelvolume edito da Solferino con il titolo«Cambiamo!» (Milano, 2020) — si ritrovanoelementi e riflessioni per comprendere alcunielementi della spiritualità ignaziana mutuatadall’esperienza personale, comunitaria e pastoraledi Papa Bergoglio. Questi brani permettono di«entrare nello sguardo del Pontefice» e di«comprendere meglio il modo di giudicare e diagire», come scrive padre Antonio Spadaro,direttore de «La Civiltà Cattolica» nellaprefazione alla nuova edizione. Dalla parteiniziale che ha come titolo «Veracità econversione», contenente «meditazioni sulla primasettimana di Esercizi», pubblichiamo alcuni passitratti dai capitoli “Principio e fondamento”,“Peccato” ed “Esame”.

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ordinato a», che contrasterà con il disordinedella tragedia del peccato. Sant’Ignazio vuoleche consideriamo questo disordine del peccatoa partire da un cuore che desidera essere ordi-nato; e qui già sono scintille, perché si scon-trano due realtà.

La seconda cosa che colpisce in entrambi gliesercizi sul peccato (cfr. ES 45 e 55) è la com-posizione di luogo: «Consisterà nel vedere conla vista immaginativa e nel considerare la miaanima imprigionata in questo corpo corruttibi-le, e tutto il composto in questa valle, comeesiliato, tra bruti animali. Per composto si in-tende anima e corpo» (ES 47). Due realtà del-la nostra esistenza: l’assenza di libertà (essereimprigionati) e l’esilio: entrambe conseguenzedel peccato originale ed entrambe ricorrentinella storia di salvezza del popolo d’Israele.

Il popolo fu fatto schiavo (Egitto, Babilo-nia, Roma). Gesù stesso, il Signore del «Prin-cipio e fondamento», ha conosciuto l’esilio (inEgitto e nei brevi espatri in Galilea) e la schia-vitù (nella notte del giovedì santo).

Quando considero la mia persona, incatena-ta e deportata, sottoposta alla corruzione eagli assalti di bruti animali, mi identificheròcon il Signore glorioso del «Principio e fonda-mento» che ha voluto portarsi in cielo le suepiaghe come ricordo della schiavitù e dell’esi-lio che ha patito. Farò la meditazione sul pec-cato con questa disposizione, e concluderòcontemplando questo Signore «davanti a me eposto in croce», considerando che «da Creato-re è venuto a farsi uomo, e da vita eterna amorte temporale, e così a morire per i mieipeccati» (ES 53), che equivale a considerareCristo deportato e fatto schiavo da me, quelCristo che «pur essendo nella condizione diDio, non ritenne un privilegio l’essere comeDio, ma svuotò se stesso assumendo una con-dizione di servo, diventando simile agli uomi-ni. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umi-liò se stesso facendosi obbediente fino allamorte e a una morte di croce» (Fil 2, 6-8). Difronte al disordine della prima disobbedienzas’innalza, maestosa nella sua umiliazione, l’im-presa d’instaurare l’ordine con l’obb edienza.

Faremo il primo esercizio sui tre peccati checi propone sant’Ignazio: in primo luogo, ilpeccato degli angeli. Presenteremo alla memo-ria il peccato degli angeli, «come essi, essendostati creati in grazia, non volendosi usare conla loro libertà per riverire e obbedire al loroCreatore e Signore, divennero superbi, passa-rono dallo stato di grazia a quello di malizia efurono cacciati dal cielo nell’inferno» (ES 50).Quindi il peccato di Adamo ed Eva e infine ilterzo peccato, «il peccato particolare di unoche per un peccato mortale sia andato all’in-ferno» (ES 52).

Immediatamente dopo il «Principio e fon-damento», sant’Ignazio dedica ampie pagineall’esame di coscienza (cfr. ES 24-43).

La lettura mostra la cura scrupolosa che eglipone affinché appaia la verità su noi stessi e,in questo modo, veniamo liberati da qualsiasiinganno. L’esame di coscienza ignaziano è ilpercorso della ricerca della nostra verità al co-spetto di Dio. Ma è anche il percorso nel qua-le cerchiamo la verità di Dio su di noi e la ve-rità del cattivo spirito su di noi, in modo che,esaminando le mozioni, comprendiamo a chepunto siamo e impariamo a discernere la veritàdalla menzogna.

Perciò l’esame si prolunga, in modo stru-mentale, nelle «Regole per sentire e conoscerein qualche modo le varie mozioni che si pro-ducono nell’anima: le buone per accoglierle ele cattive per respingerle» (ES 313-336). Infine,tutto questo processo di conoscenza della veri-tà viene sostenuto dall’intelaiatura delle anno-

conduce, costui sappia che chi riconduce unpeccatore dalla sua via di errore lo salverà dal-la morte e coprirà una moltitudine di peccati»(Gc 5, 19-20).

Correggere e lasciarsi correggere. Avere ilcoraggio di dire a un fratello (cercando il mo-do di rendere accettabile quel che dico) chesta allontanandosi dalla verità. E avere l’ap er-tura di cuore di lasciare che lo dicano a mequand’è il caso. Sant’Ignazio nelle Costituzio-ni insiste su questa apertura di cuore e sulladisponibilità a essere avvertiti delle propriemancanze e a ricevere bene queste avvertenze.

tazioni (cfr. ES 1-20) e delle varie note com-plementari (cfr. ES 73-90; 127-133; 157; 199; 204-207; 226-229).

Sant’Ignazio è consapevole del fatto chenon è facile conoscere la verità su noi stessi esu Dio nostro Signore, e la verità di Dio no-stro Signore su di noi. Il buon seme seminatonel buon campo cresce insieme alla zizzania,seminata di notte dal nemico (cfr. Mt 13, 25).Imparare a riconoscerla è parte della nostra vi-ta spirituale. Domandiamoci con san Paolo:«Chi vi ha tagliato la strada, voi che non ob-bedite più alla verità?» (Gal 5, 7). «Non acco-gliemmo l’amore della verità» (cfr. 2 Ts 2, 10)per varie ragioni. Bisogna scoprirle. Gesù stes-so ce lo fa notare: «La preoccupazione delmondo e la seduzione della ricchezza soffoca-no la Parola» (Mt 13, 22; cfr. Mc 4, 19). E l’in-ganno ci indebolisce, ci rende simili a certedonnette «che non rie-scono mai a giungerealla conoscenza della verità» (2Tim 3, 7-8). Permantenersi sulla via della verità servono lealtàe fortezza, perché «la via della verità sarà co-perta di disprezzo» (2Pt 2, 2) e bisogna com-battere di continuo per non restare ingannati.Ora comprendiamo perché sant’Ignazio abbiadato tanta importanza all’esame di coscienza(dal quale non dispensava mai) e sia giunto aesaminare se stesso al tocco di ogni ora.

Infine, per non perdere mai di vista la con-creta possibilità di allontanarsi dalla verità, divivere nella menzogna, conviene essere apertiai moniti dei fratelli: «Fratelli miei, se uno divoi si allontana dalla verità e un altro ve lo ri-

#illibro

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C Serve uno spirito creativoper guarire il mondo

Al l ’udienzag e n e ra l e

un nuovo ciclodi catechesi

sull’attualitàdella pandemia

#copertina

ari fratelli e sorelle, buongiorno!La pandemia sta continuando a causare fe-rite profonde, smascherando le nostrevulnerabilità. Molti sono i defunti, moltis-simi i malati, in tutti i continenti. Tantepersone e tante famiglie vivono un tempodi incertezza, a causa dei problemi socio-economici, che colpiscono specialmente ipiù poveri.

Per questo dobbiamo tenere ben fermo ilnostro sguardo su Gesù (cfr. Eb 12, 2) econ questa fede abbracciare la s p e ra n z a delRegno di Dio che Gesù stesso ci porta (cfr.Mc 1, 5; Mt 4, 17; CCC, 2816). Un Regnodi guarigione e di salvezza che è già pre-sente in mezzo a noi (cfr. Lc 10, 11). UnRegno di giustizia e di pace che si manife-sta con opere di carità, che a loro volta ac-crescono la speranza e rafforzano la fede(cfr. 1 Cor 13, 13). Nella tradizione cristiana,fede, speranza e carità sono molto più chesentimenti o atteggiamenti. Sono virtù in-fuse in noi dalla grazia dello Spirito Santo(cfr. CCC, 1812-1813): doni che ci guarisco-no e che ci rendono guaritori, doni che ciaprono a orizzonti nuovi, anche mentre na-vighiamo nelle difficili acque del nostrotemp o.

Un nuovo incontro col Vangelo della fe-de, della speranza e dell’amore ci invita adassumere uno spirito creativo e rinnovato.In questo modo, saremo in grado di tra-sformare le radici delle nostre infermità fisi-che, spirituali e sociali. Potremo guarire inprofondità le strutture ingiuste e le pratichedistruttive che ci separano gli uni dagli al-tri, minacciando la famiglia umana e il no-stro pianeta.

Il ministero di Gesù offre molti esempidi guarigione. Quando risana coloro chesono affetti da febbre (cfr. Mc 1, 29-34), dalebbra (cfr. Mc 1, 40-45), da paralisi (cfr.Mc 2, 1-12); quando ridona la vista (cfr. Mc8, 22-26; Gv 9, 1-7), la parola o l’udito (cfr.Mc 7, 31-37), in realtà guarisce non solo unmale fisico, ma l’intera persona. In tal mo-do la riporta anche alla comunità, guarita;la libera dal suo isolamento, perché l’haguarita.

Pensiamo al bellissimo racconto dellaguarigione del paralitico a Cafarnao (cfr.Mc 2, 1-12), che abbiamo sentito all’iniziodell’udienza. Mentre Gesù sta predicandoall’ingresso della casa, quattro uomini por-tano il loro amico paralitico da Gesù; enon potendo entrare, perché c’era tanta fol-la, fanno un buco nel tetto e calano la ba-rella davanti a lui che sta predicando. «Ge-sù, vista la loro fede, disse al paralitico: Fi-gliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati» (v. 5).E poi, come segno visibile, aggiunse: «Al-zati, prendi la tua barella e va’ a casa tua»(v. 11).

Che meraviglioso esempio di guarigione!L’azione di Cristo è una diretta risposta al-la fede di quelle persone, alla speranza cheripongono in Lui, all’amore che dimostra-no di avere gli uni per gli altri. E quindiGesù guarisce, ma non guarisce semplice-mente la paralisi, guarisce tutto, perdona ipeccati, rinnova la vita del paralitico e deisuoi amici. Fa nascere di nuovo, diciamocosì. Una guarigione fisica e spirituale, tut-to insieme, frutto di un incontro personalee sociale. Immaginiamo come questa amici-zia, e la fede di tutti i presenti in quella ca-

sa, siano cresciute grazie al gesto di Gesù.L’incontro guaritore con Gesù!

E allora ci chiediamo: in che modo pos-siamo aiutare a guarire il nostro mondo,oggi? Come discepoli del Signore Gesù,che è medico delle anime e dei corpi, sia-mo chiamati a continuare «la sua opera diguarigione e di salvezza» (CCC, 1421) insenso fisico, sociale e spirituale.

La Chiesa, benché amministri la graziarisanante di Cristo mediante i Sacramenti,e benché provveda servizi sanitari negli an-goli più remoti del pianeta, non è espertanella prevenzione o nella cura della pande-mia. E nemmeno dà indicazioni socio-poli-tiche specifiche (cfr. San Paolo VI, Lett. ap.Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 4).Questo è compito dei dirigenti politici esociali. Tuttavia, nel corso dei secoli, e allaluce del Vangelo, la Chiesa ha sviluppatoalcuni principi sociali che sono fondamen-tali (cfr. Compendio della Dottrina Socialedella Chiesa, 160-208), principi che possonoaiutarci ad andare avanti, per preparare ilfuturo di cui abbiamo bisogno. Cito i prin-cipali, tra loro strettamente connessi: ilprincipio della dignità della persona, il

principio del bene comune, il principiodell’opzione preferenziale per i poveri, ilprincipio della destinazione universale deibeni, il principio della solidarietà, dellasussidiarietà, il principio della cura per lanostra casa comune. Questi principi aiuta-no i dirigenti, i responsabili della società aportare avanti la crescita e anche, come inquesto caso di pandemia, la guarigione deltessuto personale e sociale. Tutti questiprincipi esprimono, in modi diversi, le vir-tù della fede, della speranza e dell’a m o re .

Nelle prossime settimane, vi invito ad af-frontare insieme le questioni pressanti chela pandemia ha messo in rilievo, soprattut-to le malattie sociali. E lo faremo alla lucedel Vangelo, delle virtù teologali e deiprincipi della dottrina sociale della Chiesa.Esploreremo insieme come la nostra tradi-zione sociale cattolica può aiutare la fami-glia umana a guarire questo mondo chesoffre di gravi malattie. È mio desiderio ri-flettere e lavorare tutti insieme, come se-guaci di Gesù che guarisce, per costruireun mondo migliore, pieno di speranza perle future generazioni (cfr. Esort. ap. Evan-gelii gaudium, 24 novembre 2013, 183).

«Guarire il mondo» è il tema del nuovo ciclodi catechesi inaugurato da Papa Francesco,che nella mattina di mercoledì 5 agostoha ripreso le udienze generali dopo la pausaestiva del mese di luglio. Sospendendomomentaneamente le riflessioni sulla preghiera,il Pontefice ha voluto soffermarsi sull’attualitàdella pandemia da covid-19 e, nel rispettodelle misure volte a contenerela diffusione del contagio, ha continuatoa tenere l’udienza nella Biblioteca privatadel Palazzo apostolico vaticano, senzala presenza di fedeli.

«Ieri a Beirut, nella zona del porto, dellefortissime esplosioni hanno causato decine dimorti e migliaia di feriti, e molte gravidistruzioni. Preghiamo per le vittime e per iloro familiari; e preghiamo per il Libano,perché, con l’impegno di tutte le suecomponenti sociali, politiche e religiose,possa affrontare questo momento così tragicoe doloroso e, con l’aiuto della comunitàinternazionale, superare la grave crisi che staattraversando». Con queste parole, nei salutial termine dell’udienza generale, PapaFrancesco ha espresso solidarietà e vicinanzaalla popolazione libanese dopo la terribileesplosione avvenuta il giorno precedente nelporto della capitale e che ha devastato inparticolare il centro storico, causando lamorte di almeno cento persone e il ferimentodi altre quattromila; centinaia sarebbero idisp ersi.Le immagini di alcuni video mostrano alcuneesplosioni ravvicinate seguite da una piùviolenta e devastante, il cui boato è statosentito anche a Cipro. Secondo per ilgoverno libanese a provocare le esplosionisarebbe stato un incendio in un deposito nelporto dove erano immagazzinate 2.750tonnellate di nitrato di ammonio, sequestratediversi anni fa da una nave. Il presidenteMichel Aoun, che ha parlato con la stampasubito dopo una riunione d’emergenza delsupremo consiglio della difesa nel palazzopresidenziale di Baabda, in un tweet haaffermato: «È inaccettabile che 2.750tonnellate di nitrato di ammonio fosserotenute immagazzinate in condizioni nonsicure. Un’inchiesta è in corso per appurarecosa abbia provocato l’esplosione». Il primoministro Hassan Diab ha dichiarato che «iresponsabili della catastrofe ne pagheranno ilprezzo», senza sbilanciarsi in alcuna ipotesi.

B e i ru tin ginocchio

La preghiera di Francesco

Preghiamo per le vittimedelle esplosioni a Beirut

e per i loro familiari; e preghiamoper il Libano, perché, con l’impegno

di tutte le sue componenti sociali,politiche e religiose,

possa affrontare questo momentocosì tragico e doloroso.

(@Pontifex_it)

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Carissimi!L’incontro annuale dei giovani a Medjugorje èun tempo ricco di preghiera, di catechesi, difraternità. Esso offre a tutti voi la possibilità diincontrare Gesù Cristo vivo, specialmentenell’Eucaristia, celebrata e adorata, e nella Ri-conciliazione. E così vi aiuta a scoprire un al-tro modo di vivere, diverso da quello che offrela cultura del provvisorio, secondo la qualenulla può essere definitivo ma conta solo go-dere il momento presente. In questo clima direlativismo, nel quale è difficile trovare le ri-sposte vere e sicure, le parole-guida del Festi-val: «Venite e vedrete» (Gv 1, 39), rivolte daGesù ai discepoli, sono una benedizione. An-che a voi Gesù rivolge il suo sguardo e vi invi-ta ad andare e a stare con Lui.

Non abbiate paura! Cristo vive e vuole cheognuno di voi viva. Egli è la vera bellezza egiovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Luitocca diventa giovane, diventa nuovo, si riem-pie di vita e di senso (cfr. Esort. ap. Christusvivit, 1). Lo vediamo proprio in quella scenaevangelica, quando il Signore chiede ai duediscepoli che lo seguono: «Che cosa cercate?».E loro rispondono: «Rabbì, dove dimori?». EGesù dice: «Venite e vedrete» (cfr. Gv 1, 35-39). E loro vanno, vedono e rimangono. Nellamemoria di quei discepoli rimase talmente im-pressa l’esperienza dell’incontro con Gesù, cheuno di loro registrò perfino l’ora: «Erano circale quattro del pomeriggio» (v. 39).

Il Vangelo ci racconta che dopo essere statia casa del Signore, i due discepoli diventaronodei “mediatori” che permettono ad altri di in-contrarlo, di conoscerlo e di seguirlo. Andreaandò a dirlo subito a suo fratello Simone e locondusse da Gesù. Quando vide Simone, ilMaestro gli diede subito un soprannome: “Ce-fa”, cioè “Pietra”, che diventerà il nome Pietro(cfr. Gv 1, 40-42). Questo fa vedere che incon-trando Gesù si diventa una nuova persona, esi riceve la missione di trasmettere questaesperienza ad altri, ma sempre tenendo losguardo fisso su di Lui, il Signore.

Carissimi giovani, avete incontrato questosguardo di Gesù che vi chiede: «Che cosa cer-cate?»? Avete udito la sua voce che vi dice:«Venite e vedrete»? Avete sentito quell’impul-so a mettervi in cammino? Prendetevi il tempoper stare con Gesù, per riempirvi del suo Spi-rito ed essere pronti all’affascinante avventuradella vita. Andate incontro a Lui, state conLui nella preghiera, affidatevi a Lui che èesperto del cuore umano.

Questo bellissimo invito del Signore: «Veni-te e vedrete», raccontato dal giovane e amatodiscepolo di Cristo, è rivolto anche ai futuridiscepoli. Gesù vi invita ad incontrarlo e que-sto Festival diventa un’occasione di poter “ve-nire e vedere”. La parola “v e n i re ”, oltre ad in-dicare un movimento fisico, ha un senso piùprofondo, spirituale. Indica un itinerario di fe-de il cui fine è “v e d e re ”, cioè fare l’esp erienzadel Signore e, grazie a Lui, vedere il senso pie-no e definitivo della nostra esistenza.

Il grande modello della Chiesa dal cuoregiovane, pronta a seguire Cristo con freschez-za e docilità, rimane sempre la Vergine Maria.La forza del suo «sì» e di quell’«avvenga perme» che disse all’angelo ci colpisce sempre. Ilsuo «sì» significa coinvolgersi e rischiare, sen-za altra garanzia che la certezza di essere por-tatrice di una promessa. Il suo «Ecco la serva

Oltre la cultura del provvisorio

Fra n c e s c oai giovani riunitia Medjugorje

#messaggio

In occasione all’annuale incontro dei giovania Medjugorje, nella sera di sabato 1° agostoè stata data lettura di un messaggio inviatodal Papa ai partecipanti . Il testo originale croa-to è stato consegnato dall’arcivescovo Luigi Pezzu-to, nunzio apostolico in Bosnia ed Erzegovina.Ne pubblichiamo di seguito la versione italiana.

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del Signore» (Lc 1, 38) è l’esempio più belloche ci racconta cosa succede quando l’uomo,nella sua libertà, si abbandona nelle mani diDio. Che questo esempio vi affascini e vi gui-di! Maria è la Madre che veglia «su di noisuoi figli che camminiamo nella vita spessostanchi, bisognosi, ma col desiderio che la lucedella speranza non si spenga. Questo è ciò chevogliamo: che la luce della speranza non sispenga. La nostra Madre guarda questo popo-lo pellegrino, popolo di giovani che lei ama,che la cerca facendo silenzio nel proprio cuorenonostante che lungo il cammino ci sia tantorumore, conversazioni e distrazioni» (Christusvivit, 48).

#messaggio

LETTERE DAL DIRETTORE

Ripartire dalla ninnananna

Cari giovani, «correte attratti da quel Voltotanto amato, che adoriamo nella santa Eucari-stia e riconosciamo nella carne del fratello sof-ferente. Lo Spirito Santo vi spinga in questacorsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vo-stro slancio, delle vostre intuizioni, della vostrafede» (ibid., 299). Nella vostra corsa per ilVangelo, animata anche da questo Festival, af-fido tutti voi all’intercessione della Beata Ver-gine Maria, invocando luce e forza dallo Spiri-to affinché possiate essere veri testimoni diCristo. Per questo prego e vi benedico, e chie-do anche a voi di pregare per me.

Roma, San Giovanni in Laterano29 giugno 2020

Non è facile addormentarsi inquesto periodo di calura estiva.Soprattutto nelle città la tem-

peratura arriva a livelli tali anche la se-ra che il “prendere sonno” diventacomplicato, non scontato, faticoso. Di-ciamo “prendere sonno”, ma dovrem-mo dire al contrario, rovesciando alpassivo la frase, “essere presi dal son-no”. Infatti anche se suona come unossimoro, bisogna riconoscere che ad-dormentarsi è una “attività passiva” incui la persona è senz’altro protagonistama non come autore di un’azione pre-cisa e da lui decisa, bensì come ele-mento inserito in un processo di cuinon ha il controllo, il dominio. Nessu-no decide di addormentarsi, dormirenon è un atto volontario ma assomi-glia più a un abbandono, a una resa.Il momento dell’assopirsi ha quel calo-re, quel fascino e quella grazia propridei piccoli e dimessi gesti della vita co-me il battito del cuore e il palpito deipolmoni che ci ricordano che le coseessenziali della vita sono al di là dellanostra volontà. Così come nessuno de-cide di addormentarsi (e anzi più ciincaponiamo a voler dormire meno

riusciamo a ottenerlo), nessuno decidedi svegliarsi ma anche di innamorarsio, purtroppo, di ammalarsi. C’è ap-punto una grazia in tutto questo: qual-cosa è sottratto alla nostra decisione ela logica che qui si impone è quellapiù larga, smisurata, del dono. In que-sto scontro tra la forza tenace del vo-lontarismo e la resa di fronte alla forzapiù grande del dono, si legge in con-troluce una cifra della modernità equindi della contemporaneità. Uno deipadri dell’epoca moderna è senza dub-bio Cartesio con il suo cogito ergo sum,la primazia dell’Ego, al quale ha rispo-sto secoli dopo il grande teologo pro-testante Karl Barth rovesciando al pas-sivo la frase: cogitor ergo sum, sono pen-sato dunque sono. L’esistenza umanatrova il suo fondamento fuori da sé,nel pensiero generativo, nell’a m o recreativo, di un Altro.

C’è un’immagine collegata a questitemi filosofici e teologici così alti ed èuna scena tra le più dimesse e quoti-diane possibili, che è inscritta nella

memoria più profonda di ciascun esse-re umano e che ha a che fare propriocon il sonno e l’addormentarsi. È lascena di un bambino piccolo che vienevegliato e cullato dalla mamma checanta una ninnananna. Quel piccolobambino è, esiste, perchè qualcuno losta pensando, qualcuno veglia su dilui. Lo ha espresso molto efficacemen-te il teologo Cesare Pagazzi in un arti-colo apparso su «Avvenire» lo scorso28 luglio: «Il bimbo si abbandona alsonno quando è sicuro che non saràabbandonato; solo a patto che gli ri-sulti affidabile la promessa del ritornodel mattino e, con esso, della mamma,del papà, dei giocattoli e della casa.Esigendo la vicinanza dei genitori allettino (come il morente desidera avereal capezzale tutti i suoi affetti), il bim-bo si lascia andare, sicuro che essi sta-ranno con lui, anche se non visti, pertutta la durata della notte. Il suo son-no risulta dalla veglia di qualcun altroche gli annuncia e prepara il domani».È un atto, non benchè ma proprio per-

chè involontario, teologicamente densoquello dell’addormentarsi al canto del-la ninnananna. Vivere, lieti, superandol’incertezza e la paura, all’interno diun canto. Da questo punto di vista èefficace la definizione di modernità co-me età del disincanto. Cartesio nascenel 1596; esattamente un secolo doponasce a Napoli uno dei grandi santidella modernità cattolica, sant’AlfonsoMaria de’ Liguori a cui abbiamo dedi-cato sul quotidiano un’intera pagina incui in particolare è stata sottolineata,con una bella riflessione del musicistaAmbrogio Sparagna, la sua grande ar-te musicale che gli permise di compor-re canti popolari sacri ancora oggiamati ed eseguiti in tutto il mondo co-me ad esempio Fermarono i cieli eQuanno nascette Ninno che, da soli con-fermano la potenza di quel gesto pri-mordiale, radicale, profondamenteumano che è il canto della ninnanan-na. Ricordare questa semplice, disar-mata e disarmante potenza potrebbeaiutare tutti noi, anche in queste gior-nate così calde e cariche di incertezza.

A.M.

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MERCOLEDÌ 29 LUGLIO

«Gli uomini e le donne che pregano sannoche la speranza è più forte dello scoraggia-mento. Credono che l’amore è più potentedella morte e che di certo un giorno trionferà,anche se in tempi e modi che non conoscia-mo». Lo ha scritto il Papa con un tweetsull’account @Pontifex, rilanciando l’hashtag#Preghiera. E qualche giorno dopo, il 3 ago-sto, sempre su Twitter, ha anche offerto mo-delli di riferimento per la preghiera: «Guardia-mo — ha esortato — ai “santi della porta accan-to” che, con semplicità, rispondono al malecon il bene, hanno il coraggio di amare i ne-mici e pregare per loro».

GIOVEDÌ 30«La tratta di persone continua ad essere unaferita nel corpo dell’umanità contemporanea.Ringrazio di cuore tutti coloro che operano afavore delle vittime innocenti di questa merci-ficazione della persona umana. Tanto rimaneancora da fare!»: lo ha scritto il Papa con untweet sull’account @Pontifex rilanciando l’ha-shtag #EndHumanTrafficking in occasionedella Giornata mondiale indetta dall’Onu nel2013 — l’anno dell’elezione di Bergoglio al so-glio di Pietro — con l’obiettivo di sensibilizza-re la comunità internazionale sulla situazione esui diritti delle vittime di questa vera e propriapiaga, che attualmente coinvolge almeno 40milioni di nuovi «vulnerabili». E l’e m e rg e n z asanitaria provocata dal covid-19 ne sta esaspe-rando ulteriormente in tempo di pandemia gliaspetti più dolorosi, come denunciato nellestesse ore da Caritas internationalis. Del resto,la tratta è «un flagello che ferisce la dignitàdei fratelli e delle sorelle più deboli» ha scrittoPapa Francesco, in un messaggio a firma delcardinale segretario di Stato, Pietro Parolin,inviato alla Commissione nazionale giustizia epace (CNJYP) della Conferenza episcopale ar-gentina, in occasione dell’incontro in rete svol-

L’#amicizia è un regalo della vita e un dono di Dio.Gli amici fedeli che sono al nostro fianco nei momenti

difficili sono un riflesso dell’affetto del Signore,della sua consolazione e della sua presenza amorevole.

(@Pontifex, 30 luglio)”tosi sulla piattaforma Zoom alla presenza vir-tuale di oltre 600 partecipanti. L’o rg a n i s m oformato prevalentemente da laici, attraversol’équipe “No alla tratta” ha tenuto infatti unseminario online, durante il quale il presiden-te, l’ingegnere Emilio Inzaurraga, ha letto iltesto pontificio in cui si evidenzia come l’ep o-ca contemporanea sia «tristemente marcata dauna prospettiva utilitaristica, che guarda alprossimo secondo i criteri di convenienza e ditornaconto personale, troncando così il cam-mino verso la realizzazione dell’umanità di cia-scuno, in conformità con la sua unicità e il suoessere irripetibile». Ecco allora che «nel conte-sto di questa drammatica e persistente situa-zione di commercializzazione rappresentatadalla tratta di persone, nelle sue molteplici for-me — continua il messaggio, che si concludecon la benedizione e un’invocazione alla Ver-gine di Luján — il Papa incoraggia l’imp egnonello sradicamento totale di questa piaga», so-stenendo gli sforzi in atto «per aiutare i so-pravvissuti e collaborare in modo decisivo allacostruzione di percorsi che conducano al benecomune e alla piena realizzazione della vitaumana».

#7giorniconilpapa

Una vita aspra, fatta di fatica e di lontananze, spesso di pericoli e disfruttamento. Nel centesimo anniversario dell’Apostolato del mare –Stella Maris, il video della rete mondiale di preghiera del Papa per ilmese di agosto è dedicato al mondo dei marittimi. Una sequenza diimmagini con scene di lavoro nei pescherecci, nei porti, nei grandibastimenti, tra mari in tempesta e faticose operazioni di carico e sca-rico merci, viene drammaticamente accostata a figure di familiari cheattendono con ansia sulla riva il ritorno di una nave partita chissàquanti mesi prima.

Il breve filmato — diffuso nel pomeriggio di martedì 4 — ha unrespiro che abbraccia l’intero pianeta, occupandosi di un complessodi attività umane nel quale si dimostra chiaramente come tutto sia“i n t e rc o n n e s s o ”. Papa Francesco invita a pregare «per tutte le perso-ne che lavorano e vivono del mare, compresi marinai, pescatori e leloro famiglie», ricordando come la loro vita sia «molto dura», se-gnata, per molti, dalle piaghe dello sfruttamento e dell’abuso. L’atti-vità dei marittimi, infatti, sottolinea il Pontefice, «a volte è caratte-

Nell’intenzione per il mese d’agosto

Il Papa prega per i lavoratori del mare

rizzata dal lavoro forzato o dall’e s s e reabbandonati in porti lontani», spesso ècomplicata dalla «concorrenza della pe-sca industriale» e dall’«inquinamento».Eppure si tratta di un lavoro prezioso:«Senza i marittimi — dice Francesco —in molte zone del mondo si soffrirebbela fame».

Il filmato — diffuso, come di consue-to, attraverso il sito internet www.thepo-pevideo.org e tradotto in nove lingue —è stato creato e prodotto dalla Retemondiale di preghiera del Papa in colla-borazione con l’agenzia La Machi e ilDicastero per la comunicazione.

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!Il Vangelo di questa domenica ci presenta ilprodigio della moltiplicazione dei pani (cfr.Mt 14, 13-21). La scena si svolge in un luogodeserto, dove Gesù si era ritirato con i suoi di-scepoli. Ma la gente lo raggiunge per ascoltar-lo e farsi guarire: infatti le sue parole e i suoigesti risanano e danno speranza. Al calar delsole, le folle sono ancora lì, e i discepoli, uo-mini pratici, invitano Gesù a congedarle per-ché possano andare a procurarsi da mangiare.Ma Lui risponde: «Voi stessi date loro damangiare» (v. 16). Immaginiamo le facce deidiscepoli! Gesù sa bene quello che sta per fa-re, ma vuole cambiare il loro atteggiamento:non dire “congedali, che si arrangino, che tro-vino loro da mangiare”, no, ma “che cosa cioffre la Provvidenza da condividere?”. Due at-

teggiamenti contrari. E Gesù vuole portarli alsecondo atteggiamento, perché la prima pro-posta è la proposta di un uomo pratico, manon generosa: “congedali, che vadano a trova-re, che si arrangino”. Gesù pensa in un altromodo. Gesù, attraverso questa situazione, vuo-le educare i suoi amici di ieri e di oggi alla lo-gica di Dio. E qual è la logica di Dio che ve-diamo qui? La logica del farsi carico dell’a l t ro .La logica di non lavarsene le mani, la logica dinon guardare da un’altra parte. La logica difarsi carico dell’altro. Il “che si arrangino” nonentra nel vocabolario cristiano.

Non appena uno dei Dodici dice, con reali-smo: «Qui non abbiamo altro che cinque panie due pesci!», Gesù risponde: «Portatemeliqui» (vv. 17-18). Prende quel cibo tra le suemani, alza gli occhi al cielo, recita la benedi-zione e comincia a spezzare e a dare le porzio-ni ai discepoli da distribuire. E quei pani equei pesci non finiscono, bastano e avanzanoper migliaia di persone.

Con questo gesto Gesù manifesta la sua po-tenza, non però in modo spettacolare, ma co-me segno della carità, della generosità di DioPadre verso i suoi figli stanchi e bisognosi.Egli è immerso nella vita del suo popolo, necomprende le stanchezze, ne comprende i limi-ti, ma non lascia che nessuno si perda o vengameno: nutre con la sua Parola e dona cibo ab-bondante per il sostentamento.

Senza lavorofamiglie e società non vanno avanti

Il Papa pregaper il popolodel Nicaraguaricorda il “P e rd o n odi Assisi”e auspica nuoveformedi solidarietàper il dopopandemia

#angelus

Con il segno della moltiplicazionedei pani «Gesù vuole educare i suoi amici di ierie di oggi alla logica di Dio», quella «del farsicarico dell’altro»: è la lezione che Francescoha tratto dal Vangelo domenicale del 2 agosto,commentato dalla finestra dello studio privatodel Palazzo apostolico vaticano prima di recitarela preghiera mariana di mezzogiorno con i fedelipresenti in piazza San Pietro — nel rispettodelle misure di sicurezza adottate per evitareil diffondersi del contagio da covid-19 —e con quanti lo seguivano attraverso i media.

Con il segnodella moltiplicazione

dei pani (cfr. Mt 14, 13-21)Gesù vuole educare

i suoi amici di ieri e di oggialla logica di Dio: la logica

del farsi carico dell’a l t ro .# Va n g e l o d i O g g i

(@Pontifex_it)

CO N T I N UA A PA G I N A 14

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Attentato alla cattedrale di Managua

In questo racconto evangelico si percepisceanche il riferimento all’Eucaristia, soprattuttolà dove descrive la benedizione, la frazione delpane, la consegna ai discepoli, la distribuzionealla gente (v. 19). E va notato come sia strettoil legame tra il pane eucaristico, nutrimentoper la vita eterna, e il pane quotidiano, neces-sario per la vita terrena. Prima di offrire séstesso al Padre come Pane di salvezza, Gesù sicura del cibo per coloro che lo seguono e che,pur di stare con Lui, hanno dimenticato di fa-re provviste. A volte si contrappone spirito emateria, ma in realtà lo spiritualismo, come ilmaterialismo, è estraneo alla Bibbia. Non è unlinguaggio della Bibbia.

La compassione, la tenerezza che Gesù hamostrato nei confronti delle folle non è senti-mentalismo, ma la manifestazione concretadell’amore che si fa carico delle necessità dellepersone. E noi siamo chiamati ad accostarci al-la mensa eucaristica con questi stessi atteggia-menti di Gesù: [anzitutto] compassione dei bi-sogni altrui. Questa parola che si ripete nelVangelo quando Gesù vede un problema, unamalattia o questa gente senza cibo. “Ne ebbecompassione”. Compassione non è un sentimen-to puramente materiale; la vera compassione èpatire con, prendere su di noi i dolori altrui.Forse ci farà bene oggi domandarci: io hocompassione? Quando leggo le notizie delleguerre, della fame, delle pandemie, tante cose,ho compassione di quella gente? Io ho com-passione della gente che è vicina a me? Sonocapace di patire con loro, o guardo da un’altraparte o dico “che si arrangino”? Non dimenti-care questa parola “compassione”, che è fidu-cia nell’amore provvidente del Padre e signifi-ca coraggiosa condivisione.

Maria Santissima ci aiuti a percorrere ilcammino che il Signore ci indica nel Vangelodi oggi. È il percorso della fraternità, che è es-senziale per affrontare le povertà e le sofferen-ze di questo mondo, specialmente in questomomento grave, e che ci proietta oltre il mon-do stesso, perché è un cammino che inizia daDio e a Dio ritorna.

Al termine dell’Angelus il Ponteficeha pregato per il «popolo del Nicaragua

che soffre per l’attentato alla Cattedraledi Managua», ha parlato dell’indulgenzaplenaria offerta dal “Perdono di Assisi”e ha auspicato un rilancio dell’occupazionesoprattutto in vista del post-pandemia

Cari fratelli e sorelle,penso al popolo del Nicaragua che soffre perl’attentato alla Cattedrale di Managua, dove èstata molto danneggiata — quasi distrutta —l’immagine tanto venerata di Cristo, che ha ac-compagnato e sostenuto durante i secoli la vitadel popolo fedele. Cari fratelli nicaraguensi, visono vicino e prego per voi.

Da ieri e fino alla mezzanotte di oggi ricor-re il “Perdono di Assisi”, il dono spirituale cheSan Francesco ottenne da Dio per intercessio-ne della Vergine Maria. Si tratta di un’indul-genza plenaria che si può ricevere accostandosiai Sacramenti della Confessione e dell’Eucari-stia e visitando una chiesa parrocchiale o fran-cescana, recitando il Credo, il Padre nostro epregando per il Papa e le sue intenzioni. L’in-dulgenza può essere anche destinata a unapersona defunta. Com’è importante rimettereal centro sempre il perdono di Dio, che “gene-ra paradiso” in noi e intorno a noi, questo per-dono che viene dal cuore di Dio che è miseri-c o rd i o s o !

Saluto con affetto voi qui presenti, romani— tanti! — e pellegrini: vedo gli alpini di Palo-sco lì, li saluto! Anche tanti brasiliani lì, con lebandiere. Saluto tutti, anche i devoti all’Im-macolata, sempre presenti.

E allargando il pensiero a tutti quanti sonocollegati, auguro che in questo periodo moltipossano vivere qualche giorno di riposo e dicontatto con la natura, in cui ricaricare anchela dimensione spirituale. Nello stesso tempoauspico che, con l’impegno convergente di tut-ti i responsabili politici ed economici, si rilanciil lavoro: senza lavoro le famiglie e la societànon possono andare avanti. Preghiamo perquesto è e sarà un problema della post-pande-mia: la povertà, la mancanza di lavoro. E civuole tanta solidarietà e tanta creatività per ri-solvere questo problema.

A tutti auguro una buona domenica. E perfavore, non dimenticatevi di pregare per me.Buon pranzo e arrivederci!

#angelus

«Un atto terroristico»: così il cardinaleLeopoldo José Brenes Solórzano,arcivescovo di Managua, ha definitol’attentato avvenuto il 31 luglio contro lacattedrale della capitale nicaraguense.In base alle ricostruzioni basate sulracconto di alcuni testimoni, un uomoincappucciato ha lanciato una bombamolotov nella cappella del Sangue diCristo all’interno della cattedrale,provocando un incendio che, tra l’a l t ro ,ha bruciato un antico crocifisso. SanGiovanni Paolo II sostò in preghieradavanti al crocifisso durante la visita allacattedrale nel febbraio 1996. L’incendio— dicono i media locali — è stato domatoin tempi abbastanza rapidi. Non ci sonostati feriti, ma l’attacco haprofondamente colpito la comunitàcattolica e l’intero paese. Un comunicatodell’Arcidiocesi afferma che si tratta di«un atto premeditato e pianificato,compiuto da una persona esperta». Ilcrocifisso — si sottolinea — «è stato

bruciato nella sua interezza». Si escludein modo deciso, come invece affermatoda alcuni, «l’ipotesi di un incendioaccidentale» in quanto nell’area non cisono candele. L’Arcidiocesi parla quindidi «una deplorevole azione» che«offende e ferisce profondamente» tutti icattolici perché il crocifisso distrutto «èuna delle più amate e venerate daifedeli» nicaraguensi.I vescovi chiedono di identificaremandanti ed esecutori del gesto.«Questo fatto riprovevole — prosegue ilcomunicato — si aggiunge a una serie diatti sacrileghi, di violazioni alla proprietàdella Chiesa, di assedi ai templi, che nonsono altro che una catena di eventi cheriflettono l’odio verso la Chiesa cattolicae la sua opera di evangelizzazione. Gliattacchi contro la fede del popolocattolico richiedono un’analisiapprofondita, per chiarire gli autoriintellettuali e materiali di questo attomacabro e sacrilego».

CO N T I N UA Z I O N E DALLA PA G I N A 13

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L’Osservatore Romanogiovedì 6 agosto 2020il Settimanale

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Il nostro destinoLa festa dell’Assunzione di Maria ci parla del suocorpo glorificato, immagine e prefigurazione dellanostra sorte. Ma questa immagine contrasta terribil-mente con le immagini che vediamo in televisione:uomini, donne, bambini — soprattutto di cristiani —barbaramente mutilati, o sepolti ancora vivi!

Ci auguriamo, e preghiamo, che l’i n t e rc e s s i o n edella Madonna ottenga la cessazione di questa bar-barie.

La Madonna ci precede; lei è andata avanti, e noila seguiamo. Anche noi giungeremo alla glorificazio-ne del nostro corpo. Forse, abituati come siamo avedere le meraviglie della natura, non abbiamo l’o c-chio abbastanza aperto sul mistero meraviglioso delnostro corpo. Eppure, è la custodia di affetti, di sen-timenti, di pensieri, di desideri di sofferenze che du-rano tutta la nostra vita!

«È un compagno qualche volta pesante, qualchevolta noioso, qualche volta ingombrante» (don Pri-mo Mazzolari). È utile pensare: qual è il destino diquesto povero e meraviglioso nostro corpo?Sant’Efrem Siro ci invita a meditare: «Più gloriosadel corpo è l’anima. Più glorioso dell’anima è lo spi-rito. Più misterioso dello spirito è la divinità. Alla fi-ne il nostro corpo rivestirà la bellezza dell’anima.L'anima si rivestirà della bellezza dello spirito. E lospirito rivestirà l’immagine della maestà divina».

Ecco il nostro destino! Ecco l’onore e il rispettoche dobbiamo al nostro corpo che, sull’esempio diMaria, può diventare «sacrificio vivente, santo e gra-dito a Dio» (Romani 12, 1).

Senza il corpo non è possibile comunicare, amare,pensare. E pur sapendo che veniamo dalla terra, ealla terra torneremo, ricordiamo quanto ha scrittoDomenico Giuliotti: «Il fango è infinitamente piùprezioso dell’oro, se Dio, per rifarlo a sua immagi-ne, si fece uomo».

Sabato 15 agostoAs s u n z i o n edella BeataVergine MariaAp 11, 19; 12,1-6.10Sal 441Cor 15, 20-26Lc 1, 39-56

#spuntidiriflessione

di LEONARD OSAPIENZA

Non solo bricioleIl brano del Vangelo di oggi mi ha ricordato un fatto di cronaca: un uomo ha uc-ciso la moglie che lo rimproverava per le briciole di pane sul tavolo!

Nel Vangelo, le briciole di pane servono a dimostrare la fede e a meritare il mi-racolo; nella cronaca, servono a scatenare gli istinti animaleschi dell’uomo!

C’è una donna: ha sentito parlare di Gesù, e ha un moto di fiducia verso dilui; lo ritiene un uomo affidabile. E c’è Gesù, che non sopporta di essere vistosemplicemente come un guaritore, uno che fa miracoli.

Di fronte al rifiuto di Gesù, la donna si sente delusa, ma resiste, non si scorag-gia. E le sue parole fanno cambiare l’atteggiamento di Gesù. Sa di aver diritto co-me tutti alla misericordia di Dio.

Anche nella seconda Lettura, del resto, si dice che «Dio vuole usare a tutti lasua misericordia». E così, tornando al Vangelo, dopo un dialogo serrato e dram-matico tra la donna e Gesù, il miracolo avviene. È il premio per chi ha fede! Ildono di Gesù è per chi lo chiede con fiducia, non per chi lo pretende o per chi,invece di avere fede, chiede soltanto un segno!

Domandiamoci, piuttosto, se anche noi siamo capaci di vivere il Vangelo senzapregiudizi, e senza ritenerci popolo eletto. Con qualche briciola sottratta alla no-stra tavola, molti dei cosiddetti “pagani”, stranieri, “lontani” dalla fede, con la lo-ro fede umile e ostinata, potrebbero restituirci il sapore di un pane universale, of-ferto e ricevuto gratuitamente. (l.s.)

Domenica 16XX del Tempo

o rd i n a r i oIs 56, 1.6-7

Sal 66Rm 11, 13-15.29-

32Mt 15, 21-28

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#controcopertina

Cari fratelli sacerdoti, chiediamoal Signore di essere uomini

che testimoniano con la loro vitala compassione e la misericordia

che solo Gesù può donarci.# S a n t o C u ra t o d Ars

(@Pontifex_it, 4 agosto)

#SantIgnazio ci insegni l’umiltà:l’umiltà che ci rende consapevoli

che non siamo noi a costruireil Regno di Dio, ma è sempre

la grazia del Signore che agisce in noi,fragili vasi d’argilla, ma nei quali

c’è un tesoro immenso che portiamoe che comunichiamo.

@Pontifex, 31 luglio