Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

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Politecnico di Milano Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea in Ingegneria Elettrica (vo) Un metodo per l’identificazione di modelli termici ridotti di convertitori statici Tesi di Laurea di: Matteo Gattanini Relatori: prof. Francesco Castelli Dezza ing. Alberto Riboni Anno Accademico 2004/05 Parte

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Politecnico di Milano

Facoltà di Ingegneria

Corso di Laurea in Ingegneria Elettrica (vo)

Un metodo per

l’identificazione di modelli

termici ridotti di

convertitori statici

Tesi di Laurea di:

Matteo Gattanini

Relatori:

prof. Francesco Castelli Dezza ing. Alberto Riboni

Anno Accademico 2004/05Part

e

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Riassunto

In questo lavoro si individua un metodo adatto adapplicazioni system level che consenta di stimare latemperatura di giunzione dei dispositivi integrati neimoduli plastici usati nei convertitori statici di mediapotenza.

Il modello è basato sulla rappresentazione mediantereti resistivo-capacitive; questo genere di modelli sonostati ampiamente adottati e validati in letteratura, erappresentano la scelta più conveniente in questi livelliapplicativi.

Nel lavoro viene predisposta una procedura per l’iden-tificazione, ottenuta componendo misure esterne ditemperatura con la caratterizzazione del modulo for-nita dal produttore, realizzando gli strumenti softwarenecessari per la misura e l’elaborazione dei dati.

Il sistema preso in considerazione per l’attuazione del-la procedura e la verifica dei risultati è molto sempli-ce e consiste in una unità di frenatura che utilizza unmodulo igbt.

La meta-validazione effettuata confrontando per va-ri regimi di funzionamento le misure di tempe-ratura dell’involucro con i valori simulati indicauno scostamento entro il grado di approssimazioneprevisto.

- documento compilato il 24 luglio 2005, versione 1.03 - Sul documentoQuesto documento è stato creato in ambiente WindowsR©; i sorgentisono stati editati con WinEdt 5.4 e compilati con MiKTEX 2.4.Il formato pdf di questo documento è stato ottenuto con ps2pdf, pro-gramma fornito con l’interprete PostScript AFPL GhostScript 8.50

(AFPL = Aladdin’s Free Public Licence), il quale ha convertito ilfile ps ottenuto processando col driver PostScript dvips (di TomasRokicki) il file dvi (DeVice Independent) prodotto dalla compilazionedei sorgenti.

Il formato pdf ha diversi pregi; primo fra tutti è la portabilità (non acaso l’estensione è l’acronimo di Portable Document Format); esisto-no infatti visualizzatori gratuiti disponibili per la quasi totalità dellepiattaforme (palmari compresi), primo fra tutti Adobe ReaderTM, svi-luppato dai creatori del formato stesso.

Il documento incorpora fonti PostScript, quindi scalabili; tuttavia èconsigliabile, per una piacevole lettura a video, attivare nel programmadi visualizzazione la funzione di smoothing dei caratteri.Una interessante comodità che incoraggia la consultazione a videoè la presenza di link attivi in corrispondenza dei riferimenti interni(figure, equazioni, indici, . . . ) ed esterni (come gli URL in questapagina).

Le figure sono disegnate con il potente pacchetto PStricks

(Timothy Van Zandt), che consente di creare macro PostScript consemplici comandi; esse sono quindi contenute nel codice sorgente evengono disegnate “on the fly” da dvips; questo modo di procedereconsente di avere figure dinamiche, dipendenti da parametri (modifi-cabili facilmente in fase di compilazione) e di non dover allegare al-cunché ai file di testo sorgenti; unico svantaggio è non poter compila-re direttamente con dvipdfm o pdfTEX (perlomeno non senza qualchelimitazione).I circuiti elettrici sono stati disegnati grazie al pacchetto pst-circ,(come si evince dal prefisso si basa su pstricks), di Herbert Voss eChristophe Jorssen.Il pacchetto hyperref (Sebastian Rahtz) è servito per creare i linkipertestuali.

Sugli strumentiQuesto documento è stato un buon esercizio per acquisire familiaritàcon LATEX2ε.LATEX è il modo più comune di accedere al potente linguaggiomultipiattaforma di formattazione testi TEX, sviluppato a cavallodegli anni settanta e ottanta dal geniale Dr.Donald E. Knuth, ilquale rese disponibile gratuitamente al resto del mondo il suo lavoro.LATEX è un insieme di macro TEX scritte da Leslie Lamport, checonsentono di ottenere testi di elevata qualità tipografica occupandosisolo dei contenuti, ben separati dalla forma con cui essi vengonoorganizzati.

Razionalità, qualità, flessibilità, portabilità sono indubbi vantaggi diquesto strumento; il fatto di poter di incorporare i comandi in macrosempre più complesse ne estende l’uso a qualunque tipo di applicazio-ne, dalla produzione di slides alla scrittura di musica. Centinaia dipacchetti aggiuntivi sono catalogati e distribuiti da una rete di servers;alcuni di essi costituiscono un mondo a sé nella vasta e caotica ga-lassia di LATEX, nella quale è facile rimanere confusi o quantomenorischiare di fare un cattivo uso delle estensioni, perdendo di vista lafilosofia su cui lo strumento stesso è basato.Il dilagante analfabetismo informatico rende poco diffuso LATEXpresso l’utenza media, le cui modeste esigenze, spesso ricorsivamenteconseguenti alla mediocre cultura informatica, sono meglio soddisfat-te da strumenti più immediati e limitati.

Grazie alla gratuità del TEX esistono motori liberamente distribuibiliper tutte le piattaforme, ad esempio MiKTEX per WindowsR© e teTEX(di Thomas Esser) per Unix/Linux.Gli ingressi di questi motori sono dei semplici file di testo; moltieditors ne facilitano la creazione, implementando il riconoscimentodella sintassi e facilitando l’accesso agli eseguibili dei compilatori.Tra quelli particolarmente specializzati nel supportare la produzione didocumenti con LATEX è doveroso citare WinEdt (shareware), un editormolto popolare in ambiente WindowsR©; molto potente è lo storicoEmacs di Richard Stallman, nato in ambiente libero e parte integrantedi ogni distribuzione gnu-Linux.

scritto in: LATEX2εcompilato con: MiKTEX 2.4 PSTricks

inside

IParte

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Prefazione

Un compito essenziale dell’ingegneria è affrontare lacomplessità della realtà cercando di descriverla secon-do le finalità preposte e in modo compatibile con i co-sti, i tempi e i mezzi a disposizione. Gran parte diquesto lavoro è quantificare il peso delle approssima-zioni possibili al fine di individuare la descrizione piùidonea e, soprattutto, di conoscerne i limiti.

Credo che l’argomento di questo lavoro di laurea(non certo il modo in cui esso è svolto) sia un casoesemplare di questa attività.

Avere la descrizione di una porzione di realtà significaessenzialmente due cose: poterne prevedere il compor-tamento e poter progettare qualcosa che si comportinel modo voluto. Senza di essa non resterebbe altroche fare come gli antichi: cercare di indovinare il fu-turo, sovradimensionare, e procedere per tentativi. . .

IIParte

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Ringraziamenti

Questo piccolo lavoro è stato sostenuto nell’aziendaStatic Control Systems di Verderio inferiore.

Vorrei ringraziare sentitamente:" Alberto Riboni per tutto il sostegno

K Emanuele Pozzi per la sapiente scelta del

momento delle pause

H Paolo Mazza per la comprensione e l’appoggio

morale

% Fausto Molinelli per i preziosi interventi e

consigli

z prof. Francesco Castelli Dezza , del dipartimen-

to di elettrotecnica del Politecnico di Milano,

per la libertà accordata

IIIParte

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Ai miei genitori

Parte

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Indice

1 Introduzione 1

1.1 Il contesto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.1.1 Esigenze progettuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.1.2 Nuove tendenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31.1.3 L’azienda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

1.2 Lo scopo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41.2.1 Tema essenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41.2.2 Le specifiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

1.3 Il sistema in esame . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61.3.1 Prime osservazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61.3.2 Prime considerazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

1.4 Contenuti del lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91.4.1 Argomenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91.4.2 Struttura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

2 Sul componente di potenza 12

2.1 Sulle “valvole statiche” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

2.2 Sull’IGBT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132.2.1 Struttura e funzionamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152.2.2 Commutazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 202.2.3 Gli effetti della temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . 242.2.4 Potenza dissipata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

2.3 Moduli di potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 332.3.1 Architettura DCB . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 332.3.2 Caratterizzazione termica dei moduli . . . . . . . . . . . . . 35

3 Trasmissione del calore 38

3.1 Bilancio termico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38

3.2 Conduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40

VParte

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3.2.1 Legge di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 403.2.2 Equazione del calore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 413.2.3 Sistemi monodimensionali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 423.2.4 Modelli a parametri concentrati . . . . . . . . . . . . . . . . 48

3.3 Convezione e irraggiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 513.3.1 Convezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 513.3.2 Irraggiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52

4 Trattazione del tema 54

4.1 Uno sguardo alla letteratura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 544.1.1 Informazioni generiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 544.1.2 Dentro nei moduli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 554.1.3 Tecniche di identificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56

4.2 Modelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 584.2.1 Caratterizzazione classica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 584.2.2 Modelli numerici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 594.2.3 Soluzioni analitiche approssimate . . . . . . . . . . . . . . . 594.2.4 Reti resistivo-capacitive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60

4.3 Approccio al problema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 674.3.1 Scelta del modello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 674.3.2 Ideazione delle misure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 724.3.3 Identificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 774.3.4 Uso del modello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 824.3.5 Verifica del modello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83

4.4 Sui limiti del modello scelto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 844.4.1 La monodimensionalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 844.4.2 La discretizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 854.4.3 La linearità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 854.4.4 Mutuo riscaldamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 874.4.5 Calcoli approssimati della dissipazione . . . . . . . . . . . . 87

5 Implementazione 89

5.1 Software di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89

5.2 Ottenimento del modello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 895.2.1 Passaggio da rete Foster a Cauer . . . . . . . . . . . . . . . 905.2.2 Determinazione della rete complessiva . . . . . . . . . . . . . 925.2.3 Calcolo della potenza dissipata . . . . . . . . . . . . . . . . 975.2.4 Modello complessivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104

5.3 Simulazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105

VIParte

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6 Il sistema in esame 109

6.1 Sull’apparecchio considerato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1106.1.1 Funzionamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1106.1.2 L’unità di frenatura ufs15 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1106.1.3 Struttura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1116.1.4 Dissipatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112

6.2 Il modulo Eupec bsm75gb120dlc . . . . . . . . . . . . . . . . 1136.2.1 Caratteristiche termiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1176.2.2 Caratteristiche elettriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119

7 Il sistema di misura 121

7.1 Allestimento di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121

7.2 Strumenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1237.2.1 Misura delle grandezze elettriche . . . . . . . . . . . . . . . 1247.2.2 Misure di temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125

7.3 Sulla non idealità delle condizioni di misura . . . . . . . . . . 1307.3.1 Linea di alimentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1317.3.2 Sonde elettriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1317.3.3 Sulle misure di temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . 1317.3.4 Misura della temperatura di interfaccia . . . . . . . . . . . . 133

8 Identificazione e simulazione 134

8.1 Sulle misure effettuate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134

8.2 Misure statiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1348.2.1 Dimensionamento del carico . . . . . . . . . . . . . . . . . 1358.2.2 Grandezze elettriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1358.2.3 Misure statiche di temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . 136

8.3 Identificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1398.3.1 Misura della risposta al gradino . . . . . . . . . . . . . . . . 1398.3.2 Elaborazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140

8.4 Ingresso intermittente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1468.4.1 Sulla risposta del sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1468.4.2 Confronto delle perdite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1498.4.3 Confronto della temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . 151

9 Conclusione 155

9.1 Sviluppi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155

9.2 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 156

VIIParte

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A Ulteriori informazioni 157

A.1 Sulle simulazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157

A.2 Altri scripts MatLabR© . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158A.2.1 Fitting delle curve . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158A.2.2 Caratteristiche del dispositivo . . . . . . . . . . . . . . . . . 160

A.3 Altre misure . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161

B Applicazioni sviluppate 163

B.1 Un segnale di comando . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163

B.2 Comunicare con il data logger . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166

C Convezione 170

C.1 Le equazioni in gioco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 170

C.2 Forma adimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174

C.3 Convezione naturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177

C.4 Piastra verticale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 180

C.5 Nota conclusiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 184

Bibliografia 188

Elenco delle figure

1.1 Cause di guasto dei dispositivi elettronici . . . . . . . . . . . . 21.2 Rappresentazione black-box del modello cercato . . . . . . . . 51.3 Legami tra gli aspetti principali del problema . . . . . . . . . 61.4 Bilancio energetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91.5 Schema a blocchi del problema . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10

2.1 Campo di applicazione dei dispositivi di potenza . . . . . . . . 142.2 Porte elettriche dell’IGBT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152.3 Struttura dell’IGBT verticale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162.4 Portatori di carica nell’IGBT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172.5 Caratteristiche esterne dell’IGBT . . . . . . . . . . . . . . . . . 182.6 Un circuito equivalente dell’IGBT . . . . . . . . . . . . . . . . 19

VIIIParte

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2.7 Un altro modello circuitale dell’IGBT . . . . . . . . . . . . . . 192.8 Un IGBT che comanda un carico induttivo . . . . . . . . . . . 202.9 Accensione dell’IGBT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212.10 Spegnimento dell’IGBT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 222.11 Commutazione dell’IGBT vista all’oscilloscopio . . . . . . . . . 232.12 Classificazione delle perdite nell’IGBT . . . . . . . . . . . . . . 262.13 Classificazione delle perdite nel diodo di ricircolo . . . . . . . . 262.14 Dissipazione di energia durante lo switching . . . . . . . . . . 282.15 Una stima della potenza istantanea dissipata nell’IGBT . . . . 292.16 Corrente nel diodo allo spegnimento dell’IGBT . . . . . . . . . 312.17 Perdite nel diodo di ricircolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 322.18 Struttura di un modulo DCB . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 342.19 Resistenze termiche in una struttura DCB . . . . . . . . . . . . 36

3.1 Temperature statiche delle pareti di un sistema multistrato . . 443.2 Grafico di un integrale dell’equazione del calore . . . . . . . . 473.3 Rete equivalente del modello discretizzato . . . . . . . . . . . 493.4 Identificazione della rete termica per ispezione . . . . . . . . . 50

4.1 Sovrapposizione degli effetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 584.2 Geometria tipica dei sistemi in studio . . . . . . . . . . . . . . 614.3 Rete Cauer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 634.4 Ispezione del sistema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 634.5 Rete Foster . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 644.6 Rete Foster giunzione-case . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 694.7 Sistema avente un solo modulo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 704.8 Esplicitazione di un modello per la parte esterna . . . . . . . . 704.9 Schema dei calcoli delle dissipazioni . . . . . . . . . . . . . . . 714.10 Unione della caratterizzazione del modulo e del sistema esterno 734.11 Esempi di acquisizioni della curva di riscaldamento . . . . . . 754.12 Rete Cauer della parte esterna . . . . . . . . . . . . . . . . . 754.13 Modello complessivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 774.14 Rete Foster del modulo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 784.15 Rete foster equivalente del sistema di dissipazione . . . . . . . 784.16 Fotogramma di una simulazione FEM . . . . . . . . . . . . . . 834.17 Interazione tra più sorgenti di calore . . . . . . . . . . . . . . 844.18 Conduttività termica del silicio e temperatura . . . . . . . . . 86

5.1 Entrate e delle uscite dello script FosterToCauer.m . . . . . . 905.2 Entrate e delle uscite dello script MergeToCauer.m . . . . . . . 925.3 Identificazione della rete complessiva . . . . . . . . . . . . . . 97

IXParte

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5.4 Schema a blocchi del calcolo delle perdite . . . . . . . . . . . . 975.5 Grafico delle perdite calcolate per segnali lenti . . . . . . . . . 1035.6 Particolare delle perdite calcolate . . . . . . . . . . . . . . . . 1035.7 Grafico delle perdite calcolate per segnali veloci . . . . . . . . 1045.8 Schema a blocchi del modello complessivo . . . . . . . . . . . 1055.9 Implementazione della rete termica in pspice

TM

. . . . . . . . 108

6.1 Il circuito di potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1096.2 Interno dell’unità di frenatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1116.3 Dati del dissipatore L8044 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1136.4 Il modulo Eupec bsm75gb120dlc low-loss . . . . . . . . . . . 1136.5 L’interno del bsm75gb120dlc . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1146.6 Particolare del chip nel bsm75gb120dlc . . . . . . . . . . . . 1156.7 Posizione delle sorgenti del calore . . . . . . . . . . . . . . . . 1156.8 Struttura del modulo in esame . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1166.9 Impedenze termiche del bsm75gb120dlc . . . . . . . . . . . 1176.10 Caratteristiche del modulo bsm75gb120dlc . . . . . . . . . . 120

7.1 Il sistema di misura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1227.2 Pilotaggio esterno dell’unità di frenatura . . . . . . . . . . . . 1237.3 Connessioni al modulo di potenza . . . . . . . . . . . . . . . . 1247.4 Posizionamento della termocoppia sul case . . . . . . . . . . . 1257.5 Posizione delle termocoppie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1267.6 Coefficienti di Seebeck . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1277.7 Giunzioni nelle termocoppie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1287.8 Giunzioni nelle termocoppie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1287.9 Schema interno del nudam 6018 . . . . . . . . . . . . . . . . . 1307.10 Il moduli nudam . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1307.11 Rumore sulle termocoppie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132

8.1 Circuito di potenza durante la conduzione . . . . . . . . . . . 1358.2 Ripple della potenza persa in conduzione . . . . . . . . . . . . 1368.3 Misure statiche di temperatura . . . . . . . . . . . . . . . . . 1378.4 Percorso case-ambiente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1378.5 Tratto case-dissipatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1388.6 Misure sul dissipatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1398.7 Insieme delle risposte al gradino misurate . . . . . . . . . . . . 1418.8 Errore asintotico nel raffreddamento . . . . . . . . . . . . . . . 1428.9 Riscaldamento del case per un gradino di 48 W . . . . . . . . 1448.10 Particolare delle elaborazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1448.11 Raffreddamento del case . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145

XParte

Page 12: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

8.12 Risposta a potenza intermittente . . . . . . . . . . . . . . . . 1478.13 Diagramma di Bode della rete . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1478.14 Temperature misurate con ingresso intermittente . . . . . . . . 1488.15 Sovrapposizione delle dinamiche . . . . . . . . . . . . . . . . . 1488.16 Grandezze elettriche nel circuito di potenza . . . . . . . . . . . 1498.17 Grandezze elettriche in accensione . . . . . . . . . . . . . . . . 1508.18 Grandezze elettriche in spegnimento . . . . . . . . . . . . . . . 1518.19 Validazione per un riscaldamento pulsante . . . . . . . . . . . 1528.20 Particolare del riscaldamento pulsante . . . . . . . . . . . . . 1538.21 Validazione per un raffreddamento pulsante . . . . . . . . . . 1548.22 Particolare del raffreddamento pulsante . . . . . . . . . . . . . 154

A.1 Misure ad ingresso pulsante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161A.2 Grandezze elettriche con carico induttivo . . . . . . . . . . . . 162A.3 Misure di temperatura in alta tensione . . . . . . . . . . . . . 162

B.1 xCtrlSet - selezione delle caratteristiche del segnale . . . . . . 165B.2 xCtrlSet - selezione del pin della porta . . . . . . . . . . . . . 166B.3 Uno screenshot del “nudam manager” . . . . . . . . . . . . . . 167

C.1 Piastra verticale: profili di velocità e temperatura . . . . . . . 181C.2 Piastra verticale: velocità e temperature al variare di Pr . . . 182C.3 Numero di Nüsselt al variare del tipo di moto . . . . . . . . . 183

XIParte

Page 13: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Elenco degli acronimi

ASCII American Standard Code for Information Interchange

AN Application Note

API Application Programming Interface

BJT Bipolar Junction Transistor

CFD Computational Fluid Dynamics

CJC Cold Junction Correction

DCB Direct Copper Bonding

EIA Electronic Industries Alliance

FEM Finite Element Method

IEEE Institute of Electrical and Electronics Engineers

IGBT Insulated Gate Bipolar Transistor

IPEM Integrated Power Electronics Module

JEDEC Joint Electron Device Engineering Council

LTI Linear Time Invariant

MCM Multi Chip Module

MOS Metal Oxide Silicon

MOSFET Metal Oxide Silicon Field Effect Transistor

NPT Non Punch Through

ODE Ordinary Differential Equation

XIIParte

Page 14: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

PDE Partial Differential Equation

PT Punch Through

PWM Pulse Width Modulation

RCCM Resistors Capacitors Component Model

RTS Request To Send

TRAIT Thermal Resistance Analysis by Induced Transient

TSP Temperature Sensitive Parameter

TTIC Transient Thermal Impedance Curve

XIIIParte

Page 15: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Capitolo 1

Introduzione

In questo capitolo viene introdotto il lavoro di laurea presentando ilcontesto in cui è inserito, il traguardo che si propone e le parti prin-cipali che lo compongono, dopo aver descritto sommariamente il si-stema in esame e i fenomeni che prendono parte nel problema inquestione.

1.1 Il contesto

1.1.1 Esigenze progettuali

Negli ultimi decenni i dispositivi a semiconduttore hanno rivoluzionatole aree degli azionamenti elettrici e della conversione dell’energia; il rapi-do sviluppo tecnologico ha progressivamente realizzato prodotti in grado disoddisfare le crescenti esigenze applicative.

Se da un lato questi dispositivi hanno permesso di raggiungere traguarditecnologici notevoli, dall’altro hanno complicato non poco i sistemi da stu-diare: una loro pesante non linearità deriva dal fastidioso legame del lorocomportamento elettrico con la temperatura, circostanza che ha accentua-to il bisogno di descrivere il comportamento termico del sistema per poterprevedere in modo accurato quello elettrico. Per poter tenere in conto deglieffetti dell’autoriscaldamento nella simulazione elettrica è necessario basarsisu strumenti di simulazione termica in grado di interfacciarsi in modo veloceai simulatori circuitali, oppure addirittura mettere in condizioni questi ultimidi gestire autonomamente il modello termico del sistema.

Esiste anche un’esigenza meno accademica che motiva questo tipo di studi

1Parte

Page 16: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Introduzione - 1.1. Il contesto 2

(e questo lavoro): la temperatura del dispositivo non ha solo il potere dialterarne il comportamento, ma anche quello di distruggerlo.

La massima potenza trasferibile dai convertitori elettronici è limitata daquanto calore è possibile dissipare mantenendo la temperatura di funziona-mento entro valori accettabili: gli effetti nefasti della temperatura sul tem-po di vita dei dispositivi sono ampiamente provati e documentati in diversistudi1, come quelli illustrati in figura 1.1.

Vibrazioni

20%

Sporcizia

6%

Umidità

19%

Temperatura

55%

Figura 1.1: Principali cause di guasto dei dispositivi elettronici di potenza(fonte: USA Air Force Avionics Integrity Program)

In proposito ai guasti dovuti alla temperatura non bisogna pensare soloal cambiamento radicale della chimica dei materiali ed alla conseguente al-terazione irreversibile delle caratteristiche fisiche e meccaniche (bruciatura,fusione), ma anche semplicemente alla modificazione reversibile del compor-tamento elettrico che porta ad un funzionamento al di fuori dalle specifichedi progetto; dannose sono inoltre le variazioni di temperatura, indipenden-temente dal valore assoluto: i cicli di riscaldamento-raffreddamento causanostress meccanici dovuti ai differenti coefficienti di espansione termica dei ma-teriali costituenti il componente; queste sollecitazioni possono dare luogo arotture in seguito alla diffusione e raggruppamento dei difetti, danneggiandole connessioni elettriche o termiche.

1Ben nota è la legge empirica che lega la vita del dispositivo alla temperatura difunzionamento: un esponenziale decrescente.Part

e

Page 17: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Introduzione - 1.1. Il contesto 3

Per l’utilizzatore di questi dispositivi diventa quindi fondamentale capirequando essi corrono seri rischi di guasto a causa del riscaldamento eccessivo;formulando il concetto con termini più appropriati questo si traduce nellacapacità di tracciare le zone di funzionamento dove il dispositivo è in gra-do di funzionare in modo continuativo senza guastarsi, e nel quantificare larobustezza e l’affidabilità nelle condizioni di esercizio più gravose.

1.1.2 Nuove tendenze

La temperatura è quindi la grandezza principale che limita la modalitàdi impiego dei dispositivi elettronici e che influisce sulla robustezza a lungotermine; questo comporta che nella realizzazione dei componenti elettronicidi potenza, ma anche nella progettazione degli apparecchi che ne fanno uso, èfondamentale fornire un adeguato canale di dissipazione termica in modo dalimitare il riscaldamento dovuto alla potenza dispersa internamente; questanecessità progettuale aggiunge ulteriormente importanza lo studio termicodel sistema.

L’attuale tendenza nell’elettronica di potenza è avere grandi capacitàdi conversione in dimensioni sempre più piccole e componenti sempre piùcomplessi, composti da più dispositivi integrati nello stesso modulo.

Questo aumento della densità di potenza ha accresciuto la temperatu-ra di esercizio influenzando negativamente la probabilità di guasti: per noncompromettere l’affidabilità dei prodotti i margini di progettazione termicadevono assottigliarsi, rendendo necessario l’uso di modelli più accurati chenel passato.

Questa necessità si trasferisce dai produttori dei componenti a chi li uti-lizza nei propri apparecchi; ciò motiva il fiorire di studi, trattazioni e pro-dotti hardware e software riguardanti la caratterizzazione termica dei sistemielettronici di potenza.

1.1.3 L’azienda

Questo lavoro è stato svolto all’interno dell’azienda Static Control Systemsdi Verderio inferiore. scs opera nel settore degli azionamenti elettronici dal1977, inizialmente nella progettazione e realizzazione di quadri elettrici perl’automazione di macchine ed impianti, poi nella produzione di convertitoriin corrente continua e nella distribuzione e assistenza tecnica dei convertitoridi frequenza ed AC servo Mitsubishi Electric.

La produzione comprende azionamenti per motori sincroni a magneti per-manenti e unità di frenatura. Il cuore di questi prodotti è costituito dai moduliche contengono i dispositivi a semiconduttore realizzati dalle grandi aziendePart

e

Page 18: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Introduzione - 1.2. Lo scopo 4

mondiali del silicio; in particolare per queste applicazioni di media potenza( 10 ÷ 100Kw ) sono utilizzati gli Insulated Gate Bipolar Transistors (IGBTs).

scs, in quanto utilizzatore di questi componenti, ha l’esigenza di studiareil comportamento termico dei suoi apparecchi e di migliorare l’accuratezzadel modello precedentemente adottato.

Una stima della temperatura nei moduli è importante non solo in faseprogettuale, nella scelta dei componenti e del sistema di dissipazione, maanche per caratterizzare il prodotto finito valutandone il livello di affidabi-lità e definendo i regimi e le condizioni di funzionamento ottimali; questacaratterizzazione è inoltre utile per quanto riguarda il supporto agli utentidel prodotto, i quali spesso domandano di stimare le condizioni di pericolorelative ad eventuali manovre anomale, il che presuppone una descrizioneprecisa dei fenomeni in gioco.

Oltre a questo non è da sottovalutare la possibilità di un impiego on-linedel modello: se esso fosse riducibile ad un’equazione alle differenze ed elabora-bile in tempi opportuni da un microprocessore, sarebbe possibile implemen-tare una protezione software direttamente a livello della logica di comandodei dispositivi, aumentando la robustezza del prodotto.

1.2 Lo scopo

1.2.1 Tema essenziale

Il tema essenziale di questo lavoro è l’indagine del legame tra la mo-dalità di funzionamento di un convertitore switching e la sua temperaturaoperativa; in particolare verranno considerati apparecchi basati su moduli dipotenza contenenti dispositivi IGBT, che coprono ormai la quasi totalità delleapplicazioni di media potenza.

Con la consapevolezza di essere ben lungi dal trattare in modo esaurientequesto vasto argomento, in questo lavoro si cerca di individuare la metodo-logia più opportuna per caratterizzare dal punto di vista termico, a livello diutilizzatore, un sistema di conversione statica che fa uso di moduli di potenza.

In altre parole, ciò che motiva questo lavoro è la definizione di un percorsoadeguato al contesto di applicazione appena descritto che consenta di indivi-duare una descrizione degli apparecchi in produzione che incorporano modulielettronici di potenza, al fine di stimare con una ragionevole accuratezza latemperatura del dispositivo note le grandezze elettriche di funzionamento.

Volendo rappresentare il problema con gli schemi a blocchi dei sistemisti,si tratta di individuare il contenuto della scatola nera in figura 1.2.Part

e

Page 19: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Introduzione - 1.2. Lo scopo 5

Sistema elettrico esternoPilotaggio

}

Tji

Figura 1.2: Rappresentazione black-box del modello cercato

1.2.2 Le specifiche

Il modello cercato, perché possa dirsi appropriato nel contesto di utiliz-zo descritto, e quindi essere realmente utile a qualcuno, deve possedere deirequisiti ben precisi:

• In primo luogo, considerazione che appare banale, il modello deve essere iden-

tificabile con gli strumenti a disposizione, che in sostanza sono un normale

oscilloscopio e delle termocoppie.

• Il modello non deve essere identificato per ogni singolo apparecchio ma deve

essere rappresentativo dell’insieme di apparecchi dello stesso tipo.

• Il modello non deve richiedere ulteriori misure al variare della marca o della serie

del modulo di potenza usato.

• Il modello deve essere identificabile attraverso un processo ben definito e il più

possibile automatizzato.

• Il modello deve essere correlato in modo noto alla topologia del sistema in modo

da facilitare la fase progettuale e l’ottimizzazione del dissipatore.

• Il modello deve essere possibilmente scalabile, ovvero poter essere facilmente

ridotto in forme semplificate e implementabili per elaborazioni in tempo reale.

Una considerazione su queste specifiche: rappresentare il comportamen-to di un insieme di oggetti significa prevedere un margine di pessimismoche comprenda fattori aleatori che influenzano le uscite del sistema, comePart

e

Page 20: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Introduzione - 1.3. Il sistema in esame 6

ad esempio il differente tipo di pasta termica usata in diversi lotti di pro-duzione, le tolleranze sulla pressione di fissaggio del modulo al dissipatore,oppure semplicemente le differenti condizioni ambientali di funzionamento;questo comporta una necessità meno stringente sull’accuratezza del modelloda adottare, a sua volta in qualche modo legata alla tipologia di strumentidi misura a disposizione per l’identificazione.

Specifiche del modello, strumenti a disposizione e accuratezza del modellosono tre aspetti che devono essere perfettamente bilanciati affinché non siabbia spreco di risorse o risultati senza alcun valore: la figura 1.3 vorrebberappresentare i legami tra questi aspetti; in un mondo ideale gli strumentie il tempo a disposizione non sarebbero imposti ma dipenderebbero solo dalmodello da identificare scelto in base alle specifiche.

Modello

Strumenti,tempo Specifiche

Figura 1.3: Legami tra gli aspetti principali del problema

1.3 Il sistema in esame

Descriviamo in modo discorsivo i fenomeni in gioco, con il duplice in-tendimento di tratteggiare una prima descrizione del problema e sviscerare ipunti principali dello studio, compresi i possibili punti critici.

1.3.1 Prime osservazioni

Consideriamo un generico convertitore switching: esso è costituito da unacerta configurazione di interruttori controllati, tipicamente transistori di po-tenza integrati in uno o più moduli, comandati secondo un opportuno cri-terio di funzionamento da una logica di controllo e un circuito di comando(driving).Part

e

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Introduzione - 1.3. Il sistema in esame 7

Una parte del substrato di silicio che realizza i transistori sarà sede di unadensità di corrente che per gli effetti resistivi provocherà un riscaldamento,perturbando il campo di temperatura1 altrimenti uniforme.

Per ogni componente ciò che interessa è il campo di temperatura all’in-terno del silicio, ed in particolare un suo valore rappresentativo2, che chia-meremo Tj , temperatura di giunzione; è a questo valore che in genera fannoriferimento i modelli elettrici che tengono conto della temperatura, ma l’a-spetto più importante in questo ambito è il fatto che il buon funzionamentodel dispositivo è garantito per Tj al di sotto di una soglia critica.

Il campo di temperatura nel silicio dipenderà da quanto calore viene ge-nerato e da come esso si trasferisce al resto del sistema. Il calore generatodipenderà dalle condizioni di utilizzo del dispositivo, che comprendono il si-stema elettrico esterno al quale è collegato, la logica di pilotaggio, il segnaledi comando; esso sarà anche strettamente legato ai meccanismi di conduzioneelettrica nel semiconduttore, e poiché questi sono fortemente influenzati dallatemperatura, ecco una fastidiosa non linearità3, che potrà essere ignorata perbadare all’essenziale, ma che non dovrà essere dimenticata.

Il calore generato provocherà un riscaldamento del silicio e fluirà attra-verso fenomeni di conduzione verso le zone adiacenti, seguendo prevalente-mente il percorso termicamente più favorevole, espandendo il fronte dellaperturbazione di temperatura verso le zone più lontane del sistema.

Le regioni attive del chip, dove viene prodotto il calore, saranno carat-terizzate dalle dinamiche più veloci della temperatura, anche per la piccolaenergia termica che sono in grado di assorbire, con costanti di tempo al disotto del millisecondo; via via allontanandosi il tempo di variazione si dilata,arrivando a costanti di tempo di decine di minuti del dissipatore.

È da osservare che le caratteristiche termiche del silicio, da buon se-miconduttore, sono fortemente dipendenti dalla temperatura; sarà quindiopportuno perlomeno non dimenticarsi di questa non linearità.

Il calore quindi diffonde per conduzione alle regioni adiacenti il silicioaddensandosi per la via più conduttiva, costituita dagli strati di rame e dalsubstrato ceramico, attraverso le resine epossidiche collanti fino alla basemetallica (baseplate) dell’involucro (case), e poi tramite la pasta termica diinterfaccia al dissipatore (heatsink).

1Naturalmente si sta considerando il volume occupato dal sistema.2Ad esempio il valore massimo.3Questa dipendenza motiva i diversi modelli elettrotermici proposti in letteratura per

i vari dispositivi a semiconduttore, rafforzando la necessità di uno studio termico percaratterizzare in modo accurato il comportamento elettrico di questi dispositivi.Part

e

Page 22: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Introduzione - 1.3. Il sistema in esame 8

Una piccola parte del calore riscalderà le connessioni elettriche esterne, ilgel siliconico di riempimento e l’involucro plastico del modulo.

Sulla superficie che delimita il volume occupato dal sistema, principalmen-te la superfice del dissipatore, il calore è trasmesso all’ambiente circostanteattraverso fenomeni piuttosto complessi e fortemente non lineari. L’aria acontatto con la superficie si riscalderà per conduzione; alla locale diminu-zione di densità corrisponderà, a causa del campo gravitazionale, una forzadi galleggiamento (buoyancy) che darà luogo ad un moto convettivo tantopiù vigoroso quanto è maggiore il salto di temperatura; grazie a questo motoil calore scambiato è ordini di grandezza maggiore di quello che si avrebbeunicamente per conduzione.

Oltre al fenomeno convettivo parte dell’energia sarà ceduta all’ambienteper irraggiamento: la superficie calda emetterà onde elettromagnetiche aventienergia maggiore rispetto quelle ricevute dall’ambiente.

1.3.2 Prime considerazioni

Il sistema scambia energia col mondo esterno non solo attraverso le sueporte elettriche, ma anche attraverso gli scambi termici al suo contorno;in ogni istante deve valere l’equazione di bilancio energetico, che con laconvenzione degli utilizzatori si scrive:

energia

elettrica

entrante

=

incremento

energia

interna

+

{calore

uscente

}

(1.1)

Il bilancio espresso nell’equazione (1.1) è rappresentato, in termini di po-tenza, dalla figura 1.4, nella quale sono ben visibili i tre aspetti da sviluppareper affrontare il problema: quantificare la potenza elettrica scambiata conl’esterno, quantificare quanta energia viene accumulata dal sistema e in chemodo essa fluisce all’esterno.

Con un po’ di fantasia si possono immaginare le principali forme di accu-mulo di energia nel dispositivo: una elettrostatica, legata alle capacità inter-ne, una magnetica dovuta alle induttanze parassite e una termica legata allacapacità termica dell’oggetto. Quest’ultima è esprimibile nel seguente modo,una volta definito il contorno del sistema:

energia

termica

immagazzinata

=

V

ρcTdV (1.2)

Dove V è il volume interessato e ρ , c , T rispettivamente i campi didensità, calore specifico e temperatura definiti in esso.Part

e

Page 23: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Introduzione - 1.4. Contenuti del lavoro 9

dW

dt

Pe

Qu

Figura 1.4: Bilancio energetico

Può essere sensato ritenere che la parte preponderante dell’energia accu-mulata sia termica; in tal caso il bilancio energetico del nostro sistema, intermini di potenze, si scrive così:

Pe =d

dt

[∫

V

ρ c T dV

]

+dQu

dt(1.3)

È proprio grazie al fenomeno conservativo espresso dalla (1.3) che il si-stema può assorbire picchi di potenza entrante senza per questo subire unsensibile innalzamento della temperatura, ed è per questo che di solito i mo-duli di potenza sono progettati in modo da avere una adeguata capacità diimmagazzinare energia termica.

1.4 Contenuti del lavoro

1.4.1 Argomenti

Dalle precedenti considerazioni emerge che il problema in questione èscomponibile in due parti principali: la determinazione della sorgente delcalore e lo studio su come esso influenza il campo di temperatura del sistema.

Volendo rappresentare con uno schema a blocchi la struttura del problemasi potrebbe disegnare qualcosa di simile alla figura 1.5.

Le caselle blu corrispondono agli argomenti da sviluppare per poter de-scrivere opportunamente il problema.

La parte che ha a che fare con la determinazione della sorgente del ca-lore sottintende lo studio del legame tra le grandezze elettriche ai morsettiesterni del dispositivo e le condizioni di funzionamento, ovvero la politica dipilotaggio del dispositivo e le caratteristiche del sistema elettrico nel quale èinserito, in particolare il comportamento del carico.Part

e

Page 24: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Introduzione - 1.4. Contenuti del lavoro 10

Modalità di funzionamento

• logica di pilotaggio

• circuito esterno

• alimentazione

Grandezze elet-triche sulle portedel dispositivo

Pe

Sistema termico

• struttura del modulo

• dissipatore

Tamb

Tj

Modello del caricoSegnale di comando:azionamenti pwm

Modello elettricodel dispositivo

RiscaldamentoTrasmissione del caloreProprietà termiche dei ma-teriali

Figura 1.5: Schema a blocchi del problema

La parte primaria dello studio, che ha a che fare più direttamente conl’aspetto termico consiste nell’indagine dei meccanismi di trasmissione delcalore del sistema e come siano influenzati dalla sua geometria.

1.4.2 Struttura

Il lavoro si struttura in una prima parte generale, il cui fine è, senzaalcuna velleità di completezza, fornire un compendio nozionistico riguardantei due aspetti principali del problema: ci occuperemo anzitutto di calcolarela potenza dissipata nei moduli di potenza, per poi esaminare le leggi cheregolano la conduzione del calore; infine verranno presi in considerazione isistemi elettronici di potenza, per i quali, dopo una rapida panoramica deglistudi riguardanti lo studio termico, verrà proposta una strada possibile perottenere una descrizione adeguata in questo contesto applicativo.

Nella seconda parte verrà reso in considerazione un sistema reale, sulquale verificare la bontà delle considerazioni teoriche. In definitiva il lavoroè così strutturato:

• Generalità sull’IGBT e sui moduli di potenza

• Generalità sulla trasmissione del caloreParte

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Introduzione - 1.4. Contenuti del lavoro 11

• Approccio al problema

· Letteratura

· Individuazione del modello più opportuno

· Individuazione del metodo di identificazione

• Implementazione del processo di ottenimento del modello

• Un sistema concreto

{· Descrizione dell’apparecchio

· Descrizione del sistema di misura

• Misure e simulazione

· Misure statiche

· Risposta al gradino e identificazione

· Ingresso intermittente: simulazione e meta-validazione

• Conclusione

Parte

Page 26: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Capitolo 2

Sul componente di potenza

In questo capitolo viene descritto il protagonista di questo stu-dio, l’IGBT, fornendo nozioni generali sulla sua struttura e fun-zionamento, ed anche sull’architettura dei moduli di potenza che licontengono.

Con interruttore si intende un bipolo ideale, lineare, tempovariante, ebistabile, caratterizzato cioè dal presentare due diverse caratteristiche elet-triche a seconda del suo stato, e in grado di passare da uno stato all’altro inun tempo nullo.

Allo stato di interdizione, corrisponde la caratteristica elettrica di ungeneratore di corrente nulla (circuito aperto o resistenza infinita); nell’altrostato, detto di conduzione, l’interruttore esibisce il comportamento di ungeneratore di tensione nulla (corto circuito o resistenza nulla).

L’utilità di questa astrazione si chiarisce nella sezione seguente.

2.1 Sulle “valvole statiche”

Il principio di funzionamento della maggior parte dei convertitori elettricidi energia, dagli alimentatori agli azionamenti elettrici, è basato su configu-razioni di interruttori1, in grado di aprire e chiudere il circuito a frequenzemolto alte.

Il ruolo principale dei dispositivi elettronici di potenza è proprio quellodi interruttore2 in queste applicazioni, dette di tipo switching; è quindi pos-sibile svolgere alcune considerazioni generali a prescindere dalla loro strut-

1O più propriamente valvole, perché di solito consentono sempre il passaggio di correntein un senso.

12Parte

Page 27: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 13

tura interna e dalle particolari soluzioni tecnologiche che ne influenzano lecaratteristiche.

Gli interruttori elettronici hanno due porte elettriche: una di potenza,dove viene realizzato l’interruttore, e l’altra di bassa potenza, dove vieneapplicato il segnale di comando; in genere si presentano come dei tripoli.

Gli sforzi dei produttori di questi componenti sono volti ad avvicinareil più possibile la caratteristica degli interruttori ideali al fine di diminui-re le perdite interne, principale fattore che limita la potenza trasmessa el’affidabilità.

Se nello stato di interdizione la potenza persa è trascurabile, durante laconduzione si avrà una dissipazione dipendente dalla caduta di tensione sullaporta di potenza e dalla corrente richiesta dal carico. È da sottolineare cheuna parte sostanziale delle perdite ha luogo durante il transitorio di commu-tazione, il quale, a dispetto delle condizioni ideali, richiede un tempo finito.Nel corso delle fasi di accensione e spegnimento tensione e corrente sullaporta di potenza assumono valori tali da avere picchi di potenza dissipata,limitando così la frequenza operativa dell’interruttore elettronico.

Tipicamente migliorare le prestazioni in commutazione significa peggiora-re quelle in conduzione: il miglior compromesso tra velocità e potenza dipendedall’applicazione in cui deve essere impiegato il dispositivo.

Ormai la maggior parte dei sistemi di conversione, se non quelli di altapotenza, fanno uso di dispositivi basati sulla tecnologia Metal Oxide Silicon(MOS), il cui processo produttivo è ormai consolidato e consente una buo-na integrazione dei componenti; questi dispositivi sono avvantaggiati dellafacilità di pilotaggio e del buon comportamento in commutazione.

Se le applicazioni caratterizzate da alte frequenze di commutazione (finoed oltre 500kHz ) e basse potenze sono dominate dai transistori Metal Oxi-de Silicon Field Effect Transistor (MOSFET), quelle di media potenza sonoormai dominate dagli IGBT, come si può osservare in figura 2.1 nella paginaseguente.

2.2 Sull’IGBT

Disponibile sul mercato dal 1988, l’IGBT combina la capacità di sostenerealte densità di correnti tipica dei dispositivi bipolari, con un buon compor-tamento in commutazione e la facilità di pilotaggio proprie dei dispositiviMOS.

2Spesso gli “elettrici” si riferiscono a questi dispositivi con il termine interruttori statici,distinguendoli così dai congegni meccanici che realizzano lo stesso bipolo.Part

e

Page 28: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 14

100 W

1 kW

10 kW

100 kW

1 MW

10 MW

100 MW

10 Hz 1 kHz 100 kHz 10 MHz

1 GWThyristor

GTO/IGCT

IGBT

MOSFET

Figura 2.1: Panoramica del campo di applicazione dei dispositivi di potenza(fonte: G.Joòs, Power Electronic Systems)

Grazie a questo ottimo compromesso, alla facilità di utilizzo in parallelo,ed anche al fatto di condividere con i MOSFET la tecnologia produttiva e icircuiti di pilotaggio, Gli IGBT hanno avuto una grande diffusione sostituendoprogressivamente i transistori bipolari (Bipolar Junction Transistor (BJT))nei sistemi di conversione di media potenza (centinaia di kW ), lavorandocon frequenze di commutazione fino a 20kHz (ed oltre in applicazioni soft-switching); sono inoltre allo studio sistemi di potenza oltre il 1MW .

Questa natura ibrida motiva l’uso di indicare i corrispondenti morsetti didrain e source come collettore ed emettitore; il simbolo circuitale adottato inquesto documento (figura 2.2) evidenzia lo stretto legame con il transistorebipolare.

Il dispositivo che stiamo considerando è un tripolo, quindi caratterizzatoelettricamente, in regime quasistazionario, dalle tensioni e correnti presentisulle tre porte elettriche; queste sei grandezze sono legate dalle due relazionidi Kirchhoff, quindi si hanno solo due due porte elettriche indipendenti; disolito si considerano quelle rappresentate in figura 2.2, dove si può distinguerela porta di comando e quella di potenza.

Esaminiamo ora in modo sommario la struttura ed il funzionamento diquesto dispositivo (si veda ad esempio [BGG99], oppure [MUR95]).Part

e

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Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 15

b

b

b

G

C

E

IG

IC

VGE

VCE

Figura 2.2: Porte elettriche dell’IGBT

2.2.1 Struttura e funzionamento

Per completezza ed a vantaggio del lettore descrivo in modo discorsivoe senza alcuna velleità di completezza la struttura e il principio di funzio-namento dell’IGBT, focalizzando l’attenzione sugli aspetti che potrebbero farcomprendere meglio alcuni punti di questo documento.

Struttura

Come si può vedere in figura 2.3 nella pagina successiva la struttura dellacella elementare dell’IGBT a canale n ottenuto per diffusione verticale è moltosimile a quella del MOSFET, ad eccezione di uno strato p+ posto nella regionedi drain.

Questo strato forma con lo strato sovrastante la giunzione pn J1 , cheinietta portatori minoritari nella regione di drift, dando luogo al fenomenodella modulazione di conduttività, che consente all’IGBT di sopportare del-le densità di corrente venti volte maggiori rispetto alla struttura MOSFET

equivalente.Lo stato di conduzione e interdizione del dispositivo è controllato, come

nel MOSFET, dalla tensione di gate, ossia la differenza di potenziale tra gate edrain. Se questa tensione è minore di una certo valore di soglia non si crea lostrato di inversione e il dispositivo è interdetto; pur applicando una tensionediretta tra collettore ed emettitore fluirà tra essi solo la piccola correntedi dispersione della giunzione J2 inversamente polarizzata. Poiché tutta laPart

e

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Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 16

Figura 2.3: Struttura dell’IGBT verticale (fonte: [MUR95])

tensione applicata cade su di essa, il valore massimo di tensione diretta1 cheè possibile bloccare dipende dalla tensione di rottura di questa giunzione edè quindi strettamente legata alla concentrazione dei droganti nella regionen di deriva: minore è il drogaggio, maggiori sono le dimensioni della zonadi svuotamento e quindi la tensione di rottura, e, naturalmente, peggiori leprestazioni in conduzione.

In alcuni IGBT, come quello in figura 2.3, detti Punch Through (PT), vieneaggiunto uno strato “tampone” n+ (buffer layer) tra la zona p+ del drain e laregione di deriva (drift region), che impedisce alla zona di svuotamento dellagiunzione J2 di invadere il collettore, consentendo di minimizzare lo spes-sore della regione di deriva migliorando il comportamento in conduzione malimitando notevolmente la tensione diretta che è possibile bloccare; inoltre lapresenza di questo strato favorisce la ricombinazione dei portatori minorita-ri durante lo spegnimento, diminuendo il tempo necessario per passare allo

1forward breakdown voltageParte

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Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 17

stato di interdizione.

Conduzione

Applicando una tensione positiva tra il gate e l’emettitore maggiore delvalore di soglia si innesca la transizione verso lo stato di conduzione: si for-ma lo strato di inversione che permette all’emettitore (source) di immettereelettroni nella regione di deriva, mentre il collettore inietta dall’altro latolacune. Una pregevole rappresentazione del percorso dei portatori di carica èin figura 2.4.

B A

p+

B´A´ Gate Emitter

SiO2

p+

Al

n+

p-

Emitter

p+

n-

p+

n-

-

-

-

-

-

-

--

-

-

-

-

-

-Collector

p-d

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

++

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

+

2 3 1 1 3 2

Figura 2.4: Percorso dei portatori di carica durante la conduzione (fonte: [SEM])

Questo meccanismo porta ad avere una elevata concentrazione di porta-tori liberi nella regione di deriva e quindi di esibire un comportamento daconduttore.

Il comportamento in conduzione è sintetizzato nel primo quadrante dellacaratteristica elettrica esterna statica in figura 2.5 nella pagina successiva (a),dove si distinguono due regioni di funzionamento distinte.

Per una tensione di gate VGE di poco superiore al valore di soglia, lacorrente di collettore IC è indipendente dalla tensione collettore-emettitoreVCE ma è legata al valore di VGE con una relazione univoca del tipo riportatoin figura 2.5 nella pagina seguente (b), dove si può distinguere la definizionedella transconduttanza diretta gfs , in analogia al MOSFET.

In queste applicazioni dove si vuole che il dispositivo approssimi la ca-ratteristica di un interruttore bisogna evitare assolutamente il funzionamen-Part

e

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Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 18

Forward Blocking Characteristic

VGE < VGE(th)

IF (-IC)

V(BR)CES-VCE

Ava

lan

ch

e-B

rea

kd

ow

n

Sa

tura

tio

n R

eg

ion

Active

Re

gio

n

IC

VGE

IGBT with hybrideAntiparallel-Diode

IGBT without hybrideAntiparallel-Diode

IC

VGEVGE(th)

gfs=IC

∆VGE

VCE

a)

b)

Figura 2.5: Caratteristiche esterne dell’IGBT (fonte: [SEM])

to in questa regione, detta attiva (active region), date le elevate dissipazio-ni termiche che comporta; è chiaro però che essa è attraversata durante lacommutazione.

Lo stato di on dell’interruttore è ben approssimato dalla regione di sa-turazione (saturation region), dove la caduta di tensione VCE è minima e,tipico dei dispositivi bipolari, poco sensibile alla corrente di collettore, deter-minata dal circuito esterno; questo regime di funzionamento si raggiunge pertensioni di gate ben oltre la soglia, ed è caratterizzato dal valore della cadutadi tensione in saturazione, che per quanto detto è sensibilmente minore diquella del MOSFET.

Circuito equivalente e fenomeni parassiti

Alcune delle lacune iniettate si ricombineranno nella regione di deriva,ma altre diffonderanno fino all’opposta regione p (➁ in figura 2.4). L’IGBT

può quindi essere assimilato ad un transistore bipolare pnp la cui corrente dibase è fornita da un MOSFET attraverso la regione di deriva, così i modellicircuitali di questo dispositivo hanno la struttura di figura 2.6 nella paginasuccessiva, dove oltre al MOSFET e il BJT pnp in configurazione Darlington siPart

e

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Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 19

può notare il transistore parassita npn formato dalla zona n del source, dallaadiacente zona p (body) e dalla regione di deriva.

RMOD

C

E

E

G RBE

Figura 2.6: Un circuito equivalente dell’IGBT (fonte: Mitsubishi)

La RBE rappresenta la resistenza trasversale della zona p, la cui cadutadi tensione può polarizzare direttamente il transistore parassita causando unaelevata iniezione di elettroni nella regione p; questo fenomeno, detto latch-up,porta il dispositivo fuori controllo e, probabilmente, alla sua distruzione.

Un modello circuitale più preciso e il suo legame con la struttura è ripor-tato in figura 2.7, dove sono evidenziati gli effetti capacitivi di cui parleremoaffrontando la commutazione.

E(Emitter)

(Collector)C

G

(Gate)

RW

CCECGC

RG

CGE

RD

p+

Emitter

SiO2

p+

Al

n+

p-

Emitter

p+

n-

p+

n-

Collector

p-

Gate

RW

RD

RG

CGC

CGE

CCE

a) b)

Figura 2.7: Un modello circuitale più accurato e la corrispondenza con lastruttura (fonte: [SEM])Part

e

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Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 20

Il transistore npn fa parte del tiristore parassita evidenziato in figura 2.3a pagina 16; per ridurre il rischio che esso si attivi causando il latch-up sicerca di minimizzare la resistenza trasversale RBE e si usano tecniche dicontrollo del tempo di vita dei portatori minoritari per ridurre il guadagnodel componente parassita.

2.2.2 Commutazione

Il passaggio tra gli stati di interdizione e conduzione comporta picchidi dissipazione di potenza, come già osservato infatti per tensioni di gatevicine al valore di soglia il dispositivo funziona in zona attiva, dove tensione ecorrente della porta di potenza possono essere contemporaneamente elevate.Le perdite in commutazione spesso rappresentano la parte preponderantedelle perdite totali, influenzando quindi pesantemente la modalità di lavorodel dispositivo.

Durante la commutazione dell’IGBT b

b

b

b

b

b

IC

R

L

VGE

VCE

VDCc

e

g

Figura 2.8: Un IGBT che comanda uncarico induttivo

si possono distinguere le due diver-se dinamiche associate al MOSFET eal BJT dei quali lo possiamo pensa-re composto. Come ci si può aspet-tare la parte iniziale dei transitorihanno tratti molto simili a quelli deiMOSFET.

La dinamica più veloce è quellarelativa al segnale di comando, lega-ta alle capacità ed alla resistenza digate. Dal punto di vista del circuitodi comando l’IGBT appare come unamaglia rc alla quale deve essere for-nita e rimossa nel più breve tempopossibile una certa quantità di carica.

Minore è il valore della resistenza, minore sarà il tempo di stabilizzazionedella tensione di gate, maggiore la corrente che il circuito di pilotaggio dovràessere in grado di erogare per caricare e scaricare le capacità.

Molte applicazioni richiedono all’IGBT l’apertura e la chiusura forzata(hard switching) di carichi di tipo induttivo (tipicamente motori), aventi co-stante di tempo molto maggiore del periodo di commutazione del transistore.

Descriviamo in queste condizioni le fasi della commutazione di un IGBT,riferendoci alla configurazione di figura 2.8.Part

e

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Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 21

Accensione

Applicando una tensione positiva2 alla porta di comando gate-emettitore,la tensione di gate sale con un andamento esponenziale che come già anticipa-to dipende essenzialmente dal valore della resistenza di gate RG e dalla capa-cità gate-emettitore CGE ; la capacità di Miller CGC è molto piccola a causadegli alti valori di tensione sulla porta di potenza (collettore-emettitore).

Quando la tensione di gate raggiunge il valore di soglia (istante t1 infigura 2.9), la corrente tra collettore ed emettitore comincia a salire con unandamento lineare. Se il diodo di ricircolo del carico è ancora polarizzatodirettamente, durante questa fase la tensione collettore-emettitore VCE ècirca uguale alla tensione di alimentazione VDC .

VGth

t1 t2 t3 t4

VG

IC

VCE

.VDC

IL

VCEon

Figura 2.9: Grandezze elettriche all’accensione dell’IGBT

Quando il diodo si polarizza inversamente la VCE comincia a decrescere(istante t2 in figura 2.9); in questa fase si possono distinguere due intervalli,uno corrispondente al passaggio nella regione attiva e l’altro nella regioneohmica. Mano a mano che la VCE si fa piccola l’effetto della capacità diMiller si fa rilevante; quando essa si scarica completamente la tensione digate aumenta e l’IGBT entra in saturazione piena (istante t4 in figura 2.9).

È importante osservare che il comportamento in commutazione è stret-tamente legato alla tensione di gate secondo leggi ben definite; questa carat-teristica, ereditata dal MOSFET, permette ad esempio di limitare la rapidità

2Pensiamo a dispositivi a canale nParte

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Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 22

di variazione della corrente e della tensione della porta di potenza attraver-so una retroazione sulla porta di comando, evitando di aggiungere circuitilimitatori esterni.

Spegnimento

VGth

t1 t2 t3 t4

VG

IC

VCE

.VDC

IL

VCEon

Figura 2.10: Grandezze elettriche allo spegnimento dell’IGBT

Applicando un segnale di tensione negativo alla porta di comando si os-serva che la tensione di gate VGE decresce in modo approssimativamentelineare; quando viene oltrepassata una soglia minima (istante t1 in figu-ra 2.10) il canale tra collettore ed emettitore diverrà meno conduttivo e larelativa caduta di tensione comincerà ad aumentare, anch’essa linearmente.Nel frattempo la corrente di collettore tenderà a mantenersi inalterata a cau-sa dei fenomeni induttivi, fino a quando la tensione VCE non raggiunge latensione continua di ingresso VDC (istante t2 in figura 2.10). Quando ciòaccade il diodo di ricircolo del carico entra in conduzione e IC comincerà adecrescere; anche qui si possono riconoscere due diversi intervalli. Al primotratto, corrispondente allo spegnimento della parte MOSFET, segue una codadi pendenza minore dovuta alla parte BJT (istante t3 in figura 2.10), corri-spondente allo svuotamento della carica dei portatori minoritari nella zonadi deriva, che può avvenire solo per ricombinazione. È proprio questa coda,tipica dei dispositivi bipolari, che rende maggiori le perdite di turn off e chelimita la frequenza di commutazione del dispositivo.Part

e

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Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 23

In proposito è interessante osservare che rendere minore il tempo di vitadei portatori in eccesso nella zona di deriva significa diminuire il tempo dispegnimento e quindi le perdite di commutazione, aumentando però la cadutadi tensione in conduzione e quindi le relative perdite. Questo compromessospiega la presenza in commercio di IGBT cosiddetti veloci, ottimizzati cioèper lavorare ad alte frequenze di switching, e IGBT low-loss, ottimizzati perapplicazioni lente, come quelli usati nelle unità di frenatura.

Come già anticipato il tempo di rimozione delle cariche in eccesso puònotevolmente essere migliorato grazie ad uno strato aggiuntivo n+ posto so-pra il collettore (struttura PT): l’elevato tasso di ricombinazione rispettol’adiacente zona di deriva provoca un gradiente di densità delle lacune equindi un flusso di diffusione uscente che migliora notevolmente il tempo disvuotamento.

Fenomeni parassiti

In figura 2.11 si possono osservare degli andamenti più realistici di VCE

e IC durante la commutazione, che testimoniano la presenza di fenomeniparassiti di cui non avevamo tenuto conto.

Figura 2.11: Commutazione dell’IGBT vista all’oscilloscopio (fonte: Eupec)

La sovraelongazione della corrente di collettore in accensione è dovutaalla corrente di recupero del diodo di ricircolo che si spegne, mentre duranteil turn-off si può notare un picco della tensione tra collettore ed emettito-re, dovuto al rilascio dell’energia magnetica immagazzinata dalle induttanzeparassite.

La caduta di tensione sulle induttanze parassite è dipendente dalla rapi-dità di variazione della corrente di collettore ( di

dt), che può essere controllataParte

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Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 24

attraverso il segnale di comando, in particolare agendo sulla resistenza di ga-te. Una variazione di corrente troppo rapida ha effetti molto negativi sul buonfunzionamento del dispositivo: essa potrebbe dar luogo a sovratensioni sulleinduttanze non sopportabili dal dispositivo, inoltre la caduta sull’induttanzaparassita comune di emettitore si sovrappone alla tensione di comando, circo-stanza molto pericolosa; queste sovratensioni possono inoltre avere un cattivoeffetto sulla corrente di recupero del diodo in antiparallelo, che a sua voltapuò causare pericolose sovratensioni. Per limitare di

dtsi agisce aumentando

la resistenza di gate, quindi peggiorando il tempo di commutazione.Il valore della resistenza di gate ha un marcato effetto sulle prestazioni

dinamiche dell’IGBT. Se un valore basso consente di caricare e scaricare piùvelocemente le capacità di gate consentendo di ridurre il tempo di commu-tazione e quindi le perdite, esso può dare luogo a di

dttroppo elevati ed a

oscillazioni tra le induttanze delle connessioni e le capacità in ingresso.La corrente massima di collettore è fissata in modo da evitare il latch-

up del tiristore parassita, in base alle condizioni dinamiche peggiori; corri-spondentemente viene specificato un valore massimo della tensione di ga-te per limitare le sovracorrenti dovute ai guasti, forzando il funzionamen-to nella regione attiva dove la corrente si mantiene costante al variare diVCE ; ovviamente questa condizione di funzionamento, caratterizzata da altedissipazioni, è sopportabile solo per pochi istanti.

2.2.3 Gli effetti della temperatura

La temperatura influenza pesantemente il comportamento elettrico deisemiconduttori.

Come già accennato i dispositivi a conduttore cessano di funzionare nelmodo preordinato se la temperatura di funzionamento è troppo elevata; in[SWF98] si è osservato che la temperatura di giunzione operativa per IGBTsPT, anche se dipendente dalle condizioni di lavoro, si può collocare nell’in-tervallo 115 ÷ 170◦C , mentre per quelli di tipo Non Punch Through (NPT),termicamente più stabili, può superare i 200◦C .

Senza considerare valori tali da pregiudicare totalmente il funzionamento,gli effetti dell’incremento di temperatura di giunzione nei transistori IGBT sitraduce in un generale peggioramento delle prestazioni.

La caduta di tensione diretta e quindi le perdite in conduzione cresco-no negli IGBT di tipo NPT in modo proporzionale alla temperatura (men-tre decrescono nei PT), circostanza che evita il rischio di fughe termichenell’esercizio in parallelo di più dispositivi.

Con la temperatura aumenta il tempo necessario alla commutazione, inparticolare le perdite in fase di spegnimento possono aumentare in modoPart

e

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Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 25

significativo a causa dell’accentuamento della coda finale di corrente (tailingeffect), così come avviene nei BJT; questo significa avere una grave instabilitàtermica per dispositivi spinti alle frequenze di funzionamento limite.

Un altro effetto pericoloso dell’aumento di temperatura è la diminuzionedella tensione di soglia di accensione (e anche della transconduttanza chelega la tensione di comando alla corrente di collettore), facendo aumentare ilrischio di accensioni non volute.

Tipicamente per evitare questi rischi i produttori raccomandano unatemperatura di funzionamento massima di 125 ÷ 150◦C .

2.2.4 Potenza dissipata

Il fine ultimo che motiva queste considerazioni sul dispositivo di potenzaè il calcolo di quanta potenza esso assorbe, degradandola in calore al suointerno. Con le convenzioni della figura 2.2 la potenza elettrica entrante neldispositivo è data da:

Pe = VGEIG + VCEIC ≃ VCEIC (2.1)

La potenza scambiata attraverso il gate ha un valore relativamente piccoloe la trascuriamo; bastano quindi le grandezze elettriche sulla porta di potenzaper caratterizzare lo scambio di potenza elettrica col mondo esterno.

Lo schema di figura 2.12 suddivide le perdite nel dispositivo in base allostato di funzionamento, ricordando il fatto che oltre alla potenza necessariaal comando anche la corrente inversa nello stato di interdizione è in generetrascurabile.

Questa classificazione evidenzia i due principali termini che compongonole perdite nel chip dell’IGBT: conduzione e commutazione.

La potenza persa nel diodo di ricircolo in parallelo all’IGBT (free-wheelingdiode) può essere scomposta nei termini visualizzati nello schema di figu-ra 2.13.

Anche per il diodo si possono ritenere trascurabili le perdite nello stato diinterdizione3; le perdite in fase di spegnimento (che ha luogo quando l’IGBT siaccende) sono dovute al processo di svuotamento delle cariche, che comportal’assorbimento di una corrente di recupero; nei diodi veloci spesso è possibiletrascurare questo termine.

3È da puntualizzare che questo potrebbe non essere vero per i diodi Schottky, la cuicorrente inversa è fortemente dipendente dalla temperatura.Part

e

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Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 26

PerditeIGBT

(IGBT

losses)

Statiche(staticlosses)

Commutazione(switchinglosses)

Pilotaggio(drivinglosses)

Conduzione(on-statelosses)

Interdizione(blockinglosses)

Accensione(turn-onlosses)

Spegnimento(turn-offlosses)

Figura 2.12: Classificazione delle perdite nell’IGBT

Perdite diodo(diode losses)

Statiche(staticlosses)

Dinamiche(switchinglosses)

Conduzione(on-statelosses)

Interdizione(blockinglosses)

Accensione(turn-onlosses)

Recupero(recoverylosses)

Figura 2.13: Classificazione delle perdite nel diodo di ricircolo

Perdite in conduzione

Le perdite di conduzione dell’IGBT e del diodo sono date dal prodottodella caduta di tensione diretta del dispositivo per la corrente assorbita dalcarico.

Visto che le cadute di tensione diretta dell’IGBT e del diodo sono in generepiccole rispetto la tensione sul carico, la corrente che li attraversa dipendeben poco dal loro comportamento elettrico ed è in sostanza fissata dalla lineadi alimentazione e dal carico stesso.

Grazie alla modulazione di conduttività la caduta di tensione diretta diParte

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Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 27

questi dispositivi varia meno che linearmente al crescere della corrente (figu-ra 2.5 a pagina 18), tanto da approssimarla costante in calcoli di massimache riguardano variazioni limitate di corrente4.

La caratteristica di uscita VCE (IC) oltre che dipendere dalla tensionedi comando VGE è influenzata dalla temperatura di giunzione, ma questadipendenza è raramente messa in conto negli usuali calcoli, anche perchésolitamente i produttori nel fornire questi dati considerano un solo valoredi temperatura corrispondente alla condizione peggiore di funzionamento (dinorma 125◦C ).

Riassumendo il calcolo della potenza dissipata durante la conduzione com-porta la determinazione della corrente del carico e la conoscenza del primoquadrante della caratteristica di uscita VCE (IC) , corrispondente alla tensionedi comando dell’IGBT.

Poiché durante la conduzione dell’IGBT il diodo è interdetto, la potenzapersa in esso è trascurabile.

Perdite in commutazione

Per visualizzare invece cosa accade durante la commutazione è illuminanteosservare il grafico di figura 2.14 nella pagina successiva, che visualizzato ilprodotto tra tensione e corrente durante l’accensione e lo spegnimento di uncarico induttivo, e dove tra l’altro è visibile la usuale definizione dell’intervallodi commutazione.

In esso si possono notare i picchi di potenza dissipata durante i transitoririspetto il valore ben più basso durante la conduzione; l’area di questi picchicorrisponde all’energia assorbita.

Per prevedere cosa accade durante questi transitori non serve solo un mo-dello dettagliato del dispositivo, ma anche la conoscenza del sistema elettricoesterno; in genere l’unica via ragionevole per quantificare queste perdite èaffidarsi a misure dirette, oppure, quando questo non è possibile, alle misureeffettuate dal produttore stesso del modulo che tipicamente fornisce i valori dienergia persa durante l’accensione e lo spegnimento dell’IGBT ( Eon , Eoff ),e l’energia di spegnimento o di recovery del diodo di ricircolo integrato nelmodulo ( Erec ); in genere questi valori sono forniti al variare della correntedi collettore e della resistenza di gate, per un valore fissato della tensione dialimentazione e della temperatura di giunzione.

Di solito per riportare il valore dell’energia persa per tensioni di ali-mentazione diverse da quella relativa alle curve riportate si usa un legame

4Nell’IGBT considerato in questo lavoro VCE varia di un volt e mezzo per correnti dicollettore da 25A a 125A .Part

e

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Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 28

n

d

VCE

IC

10%10% 10%10%

ESW(off)

P = IC X VCE

ESW(on)

Figura 2.14: Dissipazione di energia durante lo switching (fonte: Mitsubishi)

lineare:

Eloss(VDC) = E

loss�V

DCN

� VDC

VDCN

(2.2)

Note queste energie, la potenza dissipata media di commutazione duranteun regime intermittente di frequenza fc è stimabile con:

Pon/off = fc Eon/off (2.3)

In mancanza di questi dati sperimentali forniti dal produttore è possibileeffettuare una stima in prima approssimazione dell’energia persa in commuta-zione nell’IGBT a partire dai valori della tensione tra collettore ed emettitoredurante lo stato di off ( VDC ) e la corrente assorbita dal carico durante lo statodi on ( IL ), azzardando un valore del tempo di commutazione e ipotizzandodegli andamenti lineari:

Eon/off =VDCIL

2ton/off

Ovviamente se è necessaria una stima della potenza istantanea occorreunire all’informazione riguardante l’energia persa quella relativa ai tempi dicommutazione. I produttori indicano i tempi di commutazione in condizionistandard5 fornendo addirittura i tempi relativi alle dinamiche veloci (quellelegate al MOSFET) e lente.

5Carico induttivo, pilotaggio consigliato, tensione di alimentazione e corrente dicollettore nominali, temperatura di giunzione a 25◦C e a 125◦C .Part

e

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Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 29

In particolare vengono indicati i tempi di “reazione” al segnale di co-mando, definiti come l’intervallo di tempo tra quando la tensione di gate haraggiunto il 90% del valore di regime e la tensione tra collettore ed emetti-tore è cambiata del 10% del valore precedente; questi tempi si indicano disolito con tdon

(turn-on delay time) e tdoff(turn-off delay time).

Le dinamiche lente sono invece individuate dai tempi tr (rise time) etf (fall time), che indicano i tempi in cui la IC completa la transizione,passando nel primo caso dal 10% al 90% del valore finale e nel secondocaso dal 90% al 10% del valore iniziale.

I tempi totali di commutazione possono essere stimati sommando questiparametri: {

ton = tdon+ tr

toff = tdoff+ tf

L’ordine di grandezza dei valori dei tempi di commutazione è attorno aidecimi di microsecondo.

Perdite nell’IGBT

Con queste informazioni siamo in grado di rappresentare in qualche modola potenza istantanea dissipata dall’IGBT, ad esempio assumendo il profilorettificato illustrato in figura 2.15.

t

P

ton

Eon

toff

Eoff

P maxon

P maxoff

Pcond

Figura 2.15: Una stima della potenza istantanea dissipata nell’IGBT

In tal caso, volendo esprimere in linguaggio matematico la potenza du-Parte

Page 44: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 30

rante il turn-on (il turn off è speculare) si può scrivere:

Pon(t) =

P maxon

tonr

∆t , 0 < ∆t < tonr

−P maxon − Pcond

tonf

(∆t − ton) + Pcond , tonr< ∆t < ton

(2.4)

Dove la potenza in conduzione e il picco in commutazione sono date da:

Pcond = VCE(I) IC , P maxon =

2 Eon − Pcond ton

ton(2.5)

In questa stima si è pensato di poter distinguere nel tempo di commu-tazione ton l’intervallo di salita tonr

e di discesa tonfdella potenza; senza

affliggersi troppo sul loro effettivo valore, questi potrebbero ad esempio essereassunti identici.

Naturalmente il calcolo si può perfezionare adottando un profilo più rea-listico, usando ad esempio una funzione esponenziale per il fronte di discesa;tuttavia è bene non dimenticare qual è il livello di approssimazione di questicalcoli.

È da osservare che questo tipo di considerazioni, che si risolvono nel fissarea priori l’andamento della potenza dissipata, perdono di senso se gli intervallitra le commutazioni sono minori dei tempi di commutazione stessi; del restouna condizione di esercizio simile sarebbe a dir poco irragionevole.

Perdite nel diodo

Le perdite nel diodo hanno luogo durante le fasi transitorie che seguonola commutazione dell’IGBT.

A seguito del turn on dell’IGBT il diodo si spegne e assorbe una potenzastimabile in modo analogo alle potenze di commutazione dell’IGBT dal valoredell’energia di recovery Erec e da una stima del tempo di recovery trec , anchese il peso sul bilancio energetico di queste perdite è in genere molto più piccolodi quelle dell’IGBT; il comportamento del diodo in turn off è importantesoprattutto per quanto riguarda il valore delle sovratensioni innescate dallabrusca variazione di corrente.

Nella fase che segue il turn off dell’IGBT il diodo conduce la correntealimentata dall’induttanza del carico; la potenza istantanea dissipata saràdata dal prodotto della caduta di tensione diretta sul diodo per la correnteche lo attraversa, data dalla differenza tra la corrente di ricircolo del caricoe la coda di corrente assorbita dall’IGBT in fase di spegnimento:

PDcond = VDF (I) IDF = VDF (I) (IL − IC) (2.6)Parte

Page 45: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 31

Mentre la caduta di tensione diretta può essere stimata usando la caratte-ristica di uscita del diodo fornita dal produttore, la corrente dipenderà dallecaratteristiche del carico (volendo essere precisi, della maglia che forma conil diodo).

L’andamento della corrente nel carico induttivo nella fase successiva lospegnimento non sarà tanto lontano da un’esponenziale decrescente, la cuicostante di tempo è data dalla resistenza e induttanza della maglia diodo-carico, in genere approssimabili a quelle relative al solo carico:

IL = IL e−tτ

Dove IL è la corrente di regime. La corrente che attraversa il colletto-re dell’IGBT durante lo spegnimento può essere assunta, sulla spinta delleapprossimazioni fatte, come una retta decrescente:

IC = IL

(t

toff− 1

)

Le correnti così calcolate e la loro differenza sono rappresentate nel graficoin figura 2.16.

t

I

b

toff

b

IL

Figura 2.16: Corrente che attraversa il diodo durante lo spegnimento dell’IGBT

In definitiva le perdite nel diodo sono stimabili se si conosce l’energiadi recupero e la caratteristica di uscita del diodo, e la costante di tempo delcarico. Analogamente a quanto visto per l’IGBT, esse possono essere calcolatecome in figura 2.17 nella pagina successiva.

Una nota sulle misure dirette

In virtù dell’equazione (2.1), la potenza dissipata nel dispositivo potreb-be essere sperimentalmente determinata misurando con un oscilloscopio ten-sione e corrente tra collettore ed emettitore e facendo il prodotto dei dueandamenti.Part

e

Page 46: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Sul componente di potenza - 2.2. Sull’IGBT 32

b

b b

trec 4 ÷ 5 τL

Erec

on off t

P

Figura 2.17: Perdite nel diodo di ricircolo

Il verbo è coniugato nel modo congiuntivo perché la tensione e la correnteeffettive ai capi dell’IGBT non sono accessibili fisicamente a causa degli ele-menti parassiti: è chiaro quindi che la potenza misurata comprende anche lapotenza che questi elementi conservativi palleggiano con l’esterno.

Se quindi il valore istantaneo della potenza misurata non coincide conquello della potenza dissipata, è da osservare che ipotizzando un regime pe-riodico, per la conservazione dell’energia, le media temporali dovranno esserele stesse.

D’altra parte, se è noto il comportamento termico statico del sistema, èpossibile stimare la potenza dissipata media attraverso misure di temperaturaall’equilibrio termico:

Pe =TAB

RthAB(T)

In questo lavoro sono utilizzati entrambe le strade come verifica dellabontà delle stime effettuate con i dati del produttore.

Parte

Page 47: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Sul componente di potenza - 2.3. Moduli di potenza 33

2.3 Moduli di potenza

Le prestazioni e la robustezza dei componenti elettronici di potenza di-pendono strettamente da come vengono fornite loro l’isolamento e le connes-sioni elettriche, il supporto meccanico, la protezione dall’esterno, il canaleper smaltire il calore: in una parola, dal packaging del componente.

In un modulo di potenza (IPEM) uno o più dispositivi a semicondutto-re sono integrati su un supporto comune unito ad una piastra metallica didissipazione elettricamente isolata e protetto da un involucro plastico.

I moduli di potenza sono prodotti pensati per essere usati in produzionidi massa, e perciò dovrebbero essere caratterizzati da una lunga vita, buonaaffidabilità ed un basso costo.

L’affidabilità è intimamente legata alle prestazioni termiche; queste siquantificano misurando la temperatura del die di silicio, data una certapotenza dissipata: minore è la temperatura, migliore è il modulo.

Nonostante lo svantaggio di avere solo un lato a disposizione per la dissi-pazione termica, i moduli di potenza sono sempre più utilizzati per i numerosivantaggi che offrono, come la facilità di utilizzo, grazie al fatto che il dissipa-tore è elettricamente isolato, e la flessibilità delle funzionalità implementate,nulla vieta infatti di integrare nello stesso modulo i circuiti di protezione e dicontrollo (smart modules); non bisogna sottovalutare poi i bassi costi dovutialla produzione di massa.

C’è da dire che le prime produzioni di moduli avevano seri problemi diaffidabilità principalmente dovuti alla qualità della realizzazione dell’interfac-cia di saldatura tra i vari materiali, messe alla prova dagli stress meccanicidovuti ai cicli termici.

Le tipiche ragioni di guasto sono il formarsi di intercapedini d’aria nelcanale di dissipazione termica, che causano dannosi surriscaldamenti locali,oppure il distaccamento dei fili di Alluminio usati per le connessioni elettrichesui chip.

L’uso di materiali aventi coefficienti di espansione termica vicini ha mi-gliorato di molto le cose; grandi passi sono stati fatti nella direzione dell’af-fidabilità a lungo termine dei moduli plastici, e la ricerca continua.

2.3.1 Architettura DCB

La struttura interna dei moduli di potenza deve equilibrare esigenze didiversa natura, ad esempio dal punto di vista elettrico è necessario mini-mizzare le induttanze parassite delle connessioni interne, causa di pericolosesovratensioni durante lo spegnimento; allo stesso tempo deve essere assicu-rato un adeguato isolamento tra i conduttori; dal punto di vista termico lePart

e

Page 48: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Sul componente di potenza - 2.3. Moduli di potenza 34

zone attive devono essere il più congiunte possibile al dissipatore; dal puntodi vista meccanico serve una protezione dall’esterno e inoltre sarebbe idealeche non ci esistessero sforzi interni alla struttura.

Una tecnologia costruttiva di grande impatto sulla robustezza e tempo divita dei moduli è l’architettura Direct Copper Bonding (DCB).

Attraverso un processo ad alta temperatura e pressione vengono fissatedelle lamine di rame ad uno strato isolante ceramico ( Al2O3 o AlN ): ilfissaggio è così saldo da permettere sforzi interni tali che i due materialisaranno soggetti alla stessa espansione termica. Gli spessori di queste laminesono dell’ordine di 300 µm .

Su un lato del substrato così ottenuto sono saldati i chips di silicio, mentrel’altro lato viene unito mediante un materiale di saldatura eutettico allapiastra metallica di smaltimento del calore baseplate) del case, tipicamentecostituita da uno spesso strato di Rame. Questa tecnica combina una buonaconduttanza termica verso l’esterno ed una alta tensione di isolamento.

Bonding WireIGBT ChipDiode Chip

Chip Solder

Rame

Al2O3

Rame

solder

DCB

substrate

Baseplate

Figura 2.18: Struttura di un modulo DCB

Il silicio è quindi saldato allo strato metallizzato del substrato isolante, cheoltre fornire l’isolamento elettrico dalla piastra metallica esterna costituisce lavia principale per lo smaltimento del calore. Le connessioni elettriche internesono fornite dallo strato metallizzato e da filamenti metallici (bonding wires)saldati sul lato superiore dei chips, annegati in un gel siliconico termicamenteconduttivo.

Questo sandwich di materiali differenti comporta diversi problemi di “con-vivenza”, ad esempio stress meccanici dovuti al differente coefficiente di espan-sione termica: cicli di riscaldamento-raffreddamento ripetuti possono causarela separazione localizzata del substrato ceramico dalla base metallica, cau-sando vuoti che ostacolano il flusso di calore verso l’esterno e che quindipossono portare al danneggiamento definitivo del modulo; in proposito sonoeloquenti le immagini ottenute con l’ecografia ad ultrasuoni in [GSH97].Part

e

Page 49: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Sul componente di potenza - 2.3. Moduli di potenza 35

2.3.2 Caratterizzazione termica dei moduli

Vediamo come i produttori quantificano la qualità del canale di dissipa-zione termica dei moduli di potenza.

Resistenza termica

Le prestazioni termiche dei moduli sono in genere quantificate con il rap-porto all’equilibrio termico del il salto di temperatura tra tra le parti attivedel chip (giunzione) e la parte del modulo a contatto con l’esterno (case)con la potenza dissipata costante che lo genera; questa quantità è chiamataresistenza termica giunzione-case ( Rth jc ).

Rth jc =Tj − Tc

Pe

(2.7)

L’uso di questa grandezza è un modo grossolano ed estremamente pratico(quindi diffuso ed abusato) per descrivere il comportamento termico staticodei moduli; è bene osservare che esso sottintende una precisa modellizzazio-ne del sistema in cui si suppone che il calore fluisca dal chip all’ambienteattraverso un’unica via, ipotesi non sempre rappresentativa delle condizionireali.

Affinché la resistenza termica possa fungere da termine di confronto delleperformances termiche dei moduli di potenza è inoltre importante che essasia rilevata nelle stesse condizioni di misura, magari seguendo gli standardproposti a livello internazionale1.

La misura della resistenza termica è un concetto semplice in teoria macomplicato in pratica, perché comporta la difficile rilevazione della tempera-tura di giunzione.

Uno dei fattori che più influenzano la resistenza termica è l’area del chip,ovvero la dimensione della prima zona di diffusione del calore generato neglihot spot del die. Come già accennato la struttura DCB offre una buona per-formance termica, ma ci si può chiedere quale sia il collo di bottiglia tra glistrati costituenti la struttura.

La figura 2.19, presa da una pubblicazione di Semikron, dà un’idea di comesi distribuisce il salto di temperatura statico sui diversi strati costituenti unmodulo DCB con IGBT da 1200V , con substrato ceramico in Allumina epiastra in Rame.

Come si può notare il contributo maggiore alla resistenza termica è da-to dal substrato ceramico, la cui presenza è fondamentale per assicurarel’isolamento elettrico con la piastra del case.

1Queste misure sono standardizzate da JEDEC nella serie di documenti EIA/JESD 51.Parte

Page 50: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Sul componente di potenza - 2.3. Moduli di potenza 36

56%

6%

8%

10%20%

Al2O3

Solder

BaseplateCu

Si

Figura 2.19: Distribuzione del salto di temperatura in un modulo DCB ( Al2O3 ebase di rame) da 1200V , area chip 9mm × 9mm (fonte: [SEM])

Impedenza termica

La resistenza termica fornisce informazioni solo sul comportamento sta-tico del sistema; solitamente i produttori forniscono anche una misura delcomportamento termico dinamico del modulo attraverso la curva di impe-denza termica (Transient Thermal Impedance Curve (TTIC)), che riproducela risposta temporale del salto di temperatura giunzione-case all’applicazionedi un gradino unitario di potenza dissipata, mantenendo il case a temperaturacostante.

Con impedenza termica ( Zth(t) ) si intende in effetti il rapporto tra il saltodi temperatura e la potenza fluente in regime transitorio; essa quindi definitacome:

Zthjc(t) =Tj (t) − Tc

Pe(t)

(2.8)

È da osservare che le curve di impedenza termica pubblicate nei data-sheets sono in genere maggiorate rispetto quelle effettive per tenere conto dieventuali variazioni dovute al processo produttivo o al tempo.

Queste informazioni riguardano solo il percorso termico tra chip e case;uno studio a livello di sistema complessivo deve essere svolto unendo le in-formazioni che riguardano il sistema di dissipazione esterno al modulo, in ge-nere dipendente anche da fattori poco prevedibili come la resistenza termicadell’interfaccia case-dissipatore.Part

e

Page 51: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Sul componente di potenza - 2.3. Moduli di potenza 37

La misura della temperatura di giunzione

La misura della temperatura di giunzione è non è affatto semplice a cau-sa della difficile raggiungibilità del punto di misura e alla sua particolaresensibilità alle perturbazioni esterne a fronte della piccola capacità termica.

La misura diretta deve quindi essere svolta con sensori poco invasivi edelettricamente isolati, come i sensori ad infrarossi. Più frequentemente la tem-peratura viene rilevata attraverso misure indirette, sfruttando la sua influen-za sul comportamento elettrico del dispositivo: individuato un parametroelettrico facilmente misurabile e dipendente dalla temperatura (TemperatureSensitive Parameter (TSP)), si procede alla rilevazione della relazione che lolega allo stato termico attraverso delle misure svolte portando il dispositivoa temperature note (calibrazione).

Il parametro più comunemente usato è la tensione ai capi di una giunzionepn polarizzata direttamente con una piccola corrente; nel caso di transistoridi potenza si utilizza la caduta di tensione diretta VCE o la tensione gate-emettitore.

Uno dei vantaggi di questo metodo è che una volta eseguita la calibrazioneesso non richiede nessuna speciale modifica al dispositivo; lo svantaggio èche il legame tra parametro elettrico e temperatura varia da dispositivo adispositivo e deve essere ogni volta determinato.

Parte

Page 52: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Capitolo 3

Trasmissione del calore

In questo capitolo vengono illustrate alcune considerazioni teori-che sulla trasmissione del calore, in particolare sul fenomeno dellaconduzione termica.

Il calore si trasmette attraverso tre meccanismi: per mezzo di onde elet-tromagnetiche, per mezzo di trasporto macroscopico di materia, e per mezzodell’interazione tra atomi o molecole che consente la diffusione dell’agitazionetermica.

I primi due modi coinvolgono fenomeni fortemente non lineari la cui trat-tazione teorica non è affatto semplice, e di cui nella maggioranza dei casisi tiene conto solo attraverso risultati empirici, quando non vengono bru-talmente linearizzati come in questo lavoro; grande importanza ha il terzomeccanismo, che rappresenta l’unico modo di trasmissione tra le parti caldee la superficie esterna del sistema.

3.1 Bilancio termico

Per scrivere le equazioni differenziali che governano la trasmissione delcalore e per meglio comprendere il significato delle grandezze termiche ca-ratteristiche dei materiali, è utile partire scrivendo il bilancio energetico delgenerico sistema delimitato da una superficie chiusa S che racchiude un vo-lume V , nel quale è definito un campo scalare di densità di massa1 ρ , cherende conto della materia che costituisce il sistema.

1[Kg · m−3

]

38Parte

Page 53: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Trasmissione del calore - 3.1. Bilancio termico 39

Definito un campo scalare di densità di energia interna per unità di massa2

w , l’energia interna complessivamente immagazzinata sarà:

W =

V

ρ w dV (3.1)

Se il sistema non è isolato la sua energia interna può variare in seguito ascambi termici attraverso la frontiera; questi scambi possono essere descritticon una grandezza che renda conto di quanto calore passa attraverso unasuperficie in un certo tempo, rappresentata da un campo vettoriale delladensità di flusso di potenza3 q ; introdotto questo campo, se S è la superficiedi frontiera, l’energia accumulata dovrà diminuire nel tempo in conseguenzaal flusso di calore uscente dal volume:

d

dt

V

ρ w dV = −∫

S

q · n dS (3.2)

L’energia interna inoltre può variare in seguito a conversione di energieesterne all’interno del volume, rappresentabili da una densità volumetrica dienergia4 j sovente indicata come “sorgente” di calore; aggiungendo questotermine alla (3.2) il bilancio termico del sistema è completo:

d

dt

V

ρ w dV

︸ ︷︷ ︸

energiainterna

=

V

j dV

︸ ︷︷ ︸sorgenteinterna

−∫

S

q · n dS

︸ ︷︷ ︸potenzatermicauscente

(3.3)

La (3.3) si può porre facilmente in forma locale ricordando che il flusso diun campo vettoriale attraverso una superficie chiusa è calcolabile integrandonel volume la divergenza del campo:

V

d (ρw)

dtdV =

V

j dV −∫

V

∇·q dV (3.4)

E quindi, in forma locale:

d (ρw)

dt= j − ∇·q (3.5)

Per avere una descrizione completa bisogna poter quantificare in qualchemodo la densità di energia interna w e il calore fluente q .

2[J · Kg−1

]

3[W · m−2

]

4[J · m−3

]Parte

Page 54: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 40

L’energia termica interna è ovviamente legata allo stato termico del corpo,individuato dal campo di temperatura T ; di solito si esplicita questo legamenel modo seguente:

w = c T (3.6)

Dove il coefficiente c , in generale dipendente dalla temperatura, è unaproprietà caratteristica del materiale detta calore specifico5, misurata attra-verso prove sperimentali.

In molti materiali, per variazioni di temperatura non elevate, c si puòconsiderare con buona approssimazione costante, quindi si può ritenere l’e-nergia proporzionale alla temperatura.

Possiamo quindi scrivere il bilancio energetico per sistemi che accumulanoenergia termica:

d (ρcT )

dt= j − ∇·q (3.7)

Per quanto riguarda il calore fluente q , esso dipenderà dal meccanismodi trasmissione del calore; spendiamo qualche parola su questi meccanismi.

3.2 Conduzione

3.2.1 Legge di Fourier

I tipici esperimenti riguardanti il passaggio di calore nei solidi sono ef-fettuati con lastre di materiale le cui pareti sono mantenute a temperatu-re differenti; questa infatti è la tipica configurazione che per simmetria èriconducibile ad un sistema unidimensionale.

Fourier mostrò che approssimativamente esiste una semplice relazionedi proporzionalità tra la potenza termica passante e il salto di temperaturatra le pareti1: la costante di proporzionalità rappresenta la facilità con cui ilsistema conduce il calore e quindi è detta conducibilità termica, la cui parteindipendente dalle dimensioni del sistema rappresenta la capacità intrinsecadel materiale a condurre il calore, ed è detta conduttanza termica2 k :

dQ

dt=

(

kS

l

)

∆T (3.8)

5[J · Kg−1 · K−1

]

1Proprio per questi studi sulla trasmissione del calore elaborò la teoria dellascomposizione in serie in seni e coseni delle funzioni continue periodiche.

2[W · m−1 · K−1

]Parte

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Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 41

In modo più generale e in forma locale questa legge si esprime così3:

q = − k ∇T (3.9)

3.2.2 Equazione del calore

Unendo questa informazione al bilancio di potenza del sistema (3.7) ot-teniamo:

d (ρcT)

dt= j − ∇·(−k ∇T) (3.10)

In una regione dove la conducibilità non dipende dalle coordinate spazialie si possano ritenere densità e calore specifico costanti nel tempo si puòscrivere:

ρ cdT

dt= j + k∇2T (3.11)

Dalla (3.11) si ottiene la forma con cui di solito si scrive l’equazione didiffusione termica nei solidi, chiamata anche equazione del calore, nelle zoneesterne alle sorgenti4 ( j = 0 ):

ρ cdT

dt= k∇2T

dT

dt= κ∇2T = κ

(∂2T

∂x2+

∂2T

∂y2+

∂2T

∂z2

)

(3.12)

Dove si è introdotto il coefficiente di diffusività termica5 κ = kρc

, cheriassume le caratteristiche termiche del materiale.

L’equazione (3.12) consente di determinare il campo di temperatura lon-tano dalle sorgenti in un sistema dove il calore fluisce per conduzione, datedelle opportune condizioni al contorno; è questa equazione che viene integratacon metodi numerici dai simulatori 3d.

Le condizioni che individuano le soluzioni della (3.12) possono esseredi tre tipi: può essere data ad esempio la condizione iniziale del campo ditemperatura:

T(x ,y ,z ,0 ) = f(x,y,z)

3Come si può notare è del tutto analoga alla legge di Ohm, che lega campo elettrico edensità di corrente attraverso la conduttività elettrica:

j = σe = −σ∇v

4Nel caso dei sistemi in esame il termine sorgente j è non nullo solo nelle regioni attivedel Silicio, quindi in una parte molto piccola del volume del sistema.

5[m2 · s−1

]Parte

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Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 42

Il valore di temperatura alla frontiera del sistema:

T(x ,y ,z ,t)

∣∣∣∣(x,y,z)∈S

= f(x,y,z,t)

∣∣∣∣(x,y,z)∈S

(3.13)

Oppure il calore scambiato alla frontiera, tipicamente usata per specificarele pareti adiabatiche:

− k∂T(x ,y ,z ,t)

∂n

∣∣∣∣(x,y,z)∈S

= qn (3.14)

Le non linearità della (3.12) sono dovute alla dipendenza dalla tempera-tura dei parametri termici, tuttavia per molti solidi questo effetto è contenutotanto che spesso non è un grave errore considerare costante la loro diffusivitàtermica. È da notare che questa approssimazione può essere troppo grossola-na per materiali semiconduttori, a causa della marcata dipendenza della loroconduttività termica con la temperatura.

Notiamo infine che le soluzioni stazionarie della (3.12) sono date dall’e-quazione di Laplace:

∇2T = 0 (3.15)

Le cui soluzioni sono indipendenti dalle caratteristiche termiche del siste-ma e dipendono solo dalle condizioni sulla frontiera.

3.2.3 Sistemi monodimensionali

I sistemi aventi simmetria assiale nei quali le isoterme, ossia le superficieequipotenziali del campo di temperatura, coincidono con i piano normaliall’asse di simmetria, sono descrivibili con una sola coordinata spaziale perchéil gradiente di temperatura è esprimibile come:

∇T =∂T

∂xi

In questo caso l’equazione (3.12) diventa:

dT

dt= κ

∂2T

∂x2(3.16)

Possono essere ricondotti a questa trattazione monodimensionale sistemimodellizzabili con lastre indefinite, o con cilindri aventi pareti adiabatiche,entrambi ovviamente composti da materiale omogeneo.Part

e

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Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 43

Soluzioni stazionarie: resistenza termica

Le soluzioni stazionarie della (3.16) sono date da:

∂2T

∂x2= 0 ⇒ T = Ax + B

Quindi si ha un profilo di temperatura lungo la coordinata spaziale retti-lineo.

Vediamo una soluzione particolare immaginando il problema definito dauna lastra omogenea di spessore L nella cui parete sinistra x = 0 vengainiettata una potenza costante Pe e la cui parete destra sia mantenuta atemperatura costante Ta ; se S è la superficie delle pareti laterali questecondizioni al contorno si esprimono così:

− k∂T

∂x

∣∣∣∣x=0

= Pe

S

T(L) = Ta

Quindi la soluzione è data da:

T(x) = Pe1

k S(L − x) + Ta

Come si può notare, il salto di temperatura tra le pareti della lastradipende dalla potenza iniettata secondo una relazione piuttosto familiare anoi elettrici6:

T(0 ) − T(L) =1

k

L

SPe

Ecco quindi che scopriamo in forma integrale la similarità descrittiva cheaccomuna i fenomeni della conduzione del calore e della conduzione elettrica.

Il coefficiente di proporzionalità tra la potenza fluente e il salto di tem-peratura è chiamato, in analogia ai fenomeni elettrici, resistenza termica.Se fossimo interessati solamente al valore di temperatura in prossimità dellepareti basterebbe la conoscenza della resistenza termica per caratterizzarestaticamente il comportamento termico del sistema.

6Chi non conosce la relazione costitutiva di un conduttore ohmico?

∆V = ρL

SI = RIPart

e

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Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 44

Alla luce di queste osservazioni è facile constatare che le temperaturesulle pareti in un sistema multistrato costituito da più lastre sovrappostecorrispondono alle tensioni ai capi delle resistenze termiche poste in serieperché attraversate dalla stessa potenza fluente (figura 3.1).

∆T1 ∆T2∆T3

PeR1 R2 R3

Figura 3.1: Temperature statiche delle pareti di un sistema multistrato

Soluzioni non stazionarie

Senza voler appesantire eccessivamente la trattazione, esploriamo in qualeforma si presentano le soluzioni non stazionarie della (3.16).

Ipotizzando a priori che il campo di temperatura sia esprimibile nellaforma:

T(x ,t) = X(x) Γ(t)

Riservandoci di tornare su questa assunzione nel caso non esistano solu-zioni, sostituendo la forma della temperatura nella (3.16) otteniamo:

1

X

dX

dx=

1

κ Γ

dΓ(t)

dt

Se il materiale è omogeneo e ha un comportamento termico indipendentedalla temperatura, la diffusività κ è uniforme e costante, quindi esprimibilecon una costante reale. In tal caso l’equazione si può integrare col metododi separazione delle variabili, infatti l’unica condizione affinché l’uguaglianzadei due membri sia sempre verificata è che entrambi siano costanti:

1

X

d2X

dx2= −ω2

1

κ Γ

dΓ(t)

dt= −ω2Part

e

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Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 45

La scelta di indicare la costante con la bizzarra forma −ω2 è motivata dalsignificato fisico che assume; questo spiega anche perché la pensiamo reale.

L’equazione alle derivate parziali si è quindi divisa in due equazioni diffe-renziali ordinarie (ODE), le cui soluzioni sono ben note a qualsiasi ingegnere:

X(x) = A′ cosωx + B′ sinωx

Γ(t) = C e−ω2κ t

Quindi la forma generale di un integrale della (3.16) è:

T(x ,t) = ( A cosωx + B sinωx) e−ω2κ t (3.17)

Per mostrare come si possa ricavare in modo analitico una soluzione nonstazionaria della (3.16), consideriamo un semplice problema omogeneo.

Pensiamo ad una lastra di materiale, di spessore L le cui restanti dimen-sioni sono indefinite e immaginiamo che essa sia a temperatura uniforme T .Vediamo cosa succede se nell’istante t = 0 forziamo entrambe le pareti adavere temperatura nulla7.

Questo problema corrisponde al problema di Dirichlet omogeneo, espressodalle condizioni:

{T(x ,0 ) = T (profilo iniziale)

T(0 ,t) = T(L,t) = 0 (condizioni al contorno)(3.18)

Le condizioni al contorno nulle consentono di avere un problema omogeneoe quindi semplice da trattare: applicandole alla (3.17) si ottiene che A deveessere nullo e il semi-periodo del seno deve essere un sottomultiplo dellospessore della lastra L , affinché sulle pareti la temperatura sia sempre nulla,condizione che si esprime nel seguente modo:

ω= L ⇒ ωn =

π

Ln , n = 1, 2, 3, . . . (3.19)

Quindi esistono infinite soluzioni indipendenti della (3.17), ognuna asso-ciata ad un numero naturale n :

Tn(x ,t) = ( Bn sinωnx) e−ω2nκ t (3.20)

7Il problema formulato potrebbe trovare applicazione nella tempra di lastre d’acciaio.Parte

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Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 46

Ogni soluzione possibile è quindi esprimibile, per il principio di sovrap-posizione degli effetti, come combinazione lineare delle (3.20):

Tn(x ,t) =

∞∑

n=1

Bn sin(πn

Lx)

e−(πnL )

2κ t (3.21)

Le costanti Bn sono fissate dalla condizione iniziale:

T(x ,0 ) = T =∞∑

n=1

Bn sin(πnx

L

)

Bn =2

L

∫ L

0

T sin(πnx

L

)

dx

Come si può notare l’espressione coincide con lo sviluppo in serie diFourier del profilo iniziale. Nel nostro caso i coefficienti sono pari a:

Bn = −2T

πn

[

cos(πnx

L

)]L

0=

{

0 , per n pari

4Tπn

, per n dispari

Quindi la soluzione del nostro problema è infine:

T(x ,t) =4T

π

∞∑

i=0

1

2i + 1sin

(2i + 1

Lπx

)

e−( 2i+1L

π)2κ t (3.22)

Questa soluzione è rappresentata graficamente dalla superficie in figu-ra 3.2, dove si vede il progressivo livellamento col passare del tempo delprofilo di temperatura nella lastra, inizialmente rettangolare.

Abbiamo quindi visto come si ottiene la soluzione al problema di Dirichletomogeneo dell’equazione del calore; con un procedimento molto simile si puòarrivare alla soluzione del problema omogeneo di Neumann, le cui condizionial contorno consentono di specificare il flusso di calore scambiato attraversol’interfaccia col mondo esterno (è chiaro che problema omogeneo significaavere pareti adiabatiche); in genere è molto più frequente avere a che farecon questo tipo di condizione.

Questo tipo di problemi sono i più semplici immaginabili; problemi po-co più complessi richiedono metodi di integrazione molto più pesanti, ren-dendo allettante la strada dell’integrazione numerica o l’uso di descrizionisemplificate.

L’equazione (3.22) mostra la forma della soluzione per il problema diDirichlet omogeneo, nella quale si può distinguere la dipendenza tempora-le costituita dalla somma di infiniti esponenziali, aventi costanti di tempoPart

e

Page 61: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 47

Figura 3.2: Soluzione dell’equazione del calore per una lastra con frontiera atemperatura nulla; l’asse temporale è uscente dal foglio

progressivamente più piccole:

T(x ,t) =

∞∑

i=0

Ai(x) e−( 2i+1L

π)2κ t

Poiché i coefficienti Ai(x) decrescono all’aumentare di i , gli esponenzialipiù lenti hanno il peso maggiore. Se si dovesse approssimare questo sistemadi ordine infinito con un primo ordine, sarebbe quindi opportuno consideraresolo l’esponenziale più lento, corrispondente a i = 0 :

e−( 2i+1L

π)2κ t

∣∣∣i=0

= e− t

L2

π2κ = e−tτ

La cui costante di tempo ha la forma:

τ ∝ L2

κ=

L2ρc

k

S

S=

ρcSL

k S

L

= RthCth

Riconosciamo la resistenza termica della lastra, incontrata ispezionando lesoluzioni stazionarie del sistema, e la capacità termica del volume di materialedella lastra. Supponendo ancora di essere interessati solo alla temperaturasulle pareti della lastra, abbiamo di fronte un transitorio relativo ad una reteelettrica rc del primo ordine.Part

e

Page 62: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 48

Questo ragionamento, a dire la verità un po’ tirato per i capelli, può farintuire il percorso che porta alle descrizioni semplificate dei sistemi termicicaratterizzate da equazioni formalmente identiche a quelle relative a reti co-stituite da resistori e condensatori. È da sottolineare che la discretizzazionedella equazione del calore non si applica solo a sistemi monodimensionali.

3.2.4 Modelli a parametri concentrati

Come si può osservare l’equazione (3.16) è formalmente identica all’e-quazione della tensione in una linea di trasmissione caratterizzata dai so-li8fenomeni resistivi longitudinali e capacitivi trasversali:

1

r c

∂2v

∂x2=

∂v

∂t

Un buon ingegnere elettrico ricorda come questa equazione viene risoltaper separazione delle variabili, e come può essere discretizzata fino addirit-tura ottenere una semplice rete equivalente a T o a Π . Svolgiamo alcuneconsiderazioni generali in merito a questa analogia formale.

La conduzione del calore fa parte della vasta categoria di fenomeni fisicidi tipo diffusivo o propagativo i quali, limitandosi al caso lineare, possonoessere descritti mediante la forma generale:

{∇u = −z i∇ i = −y u

In queste equazioni si possono distinguere i parametri distribuiti z ey , che possono essere visti in termini elettrici, nel caso monodimensionale,rispettivamente come l’impedenza e l’ammettenza per unità di lunghezza.Queste equazioni ammettono una soluzione rappresentabile tramite l’analogiaelettrica e la trasformata di Laplace.

Quando la geometria del sistema è così semplice da consentire l’integra-zione delle equazioni locali, è possibile ottenere un modello composto daimpedenze globali in forma esplicita: queste impedenze si possono esprime-re nella forma di funzioni iperboliche (funzioni di Bessel) e possono essere

8Considerando anche i fenomeni induttivi longitudinali l (che in realtà sono quelliprevalenti) e le conduttivi trasversali g , l’equazione completa ha la forma:

∂2v

∂x2= cl

∂2v

∂t2+ (cr + gl)

∂v

∂t+ gr vParte

Page 63: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 49

considerate come funzioni di trasferimento di ordine infinito. Ad esempio,considerando sistemi monodimensionali, l’espressione:

Z =

√z

ytanh (L

√z y)

rappresenta l’impedenza di una linea di trasmissione elettrica la cui estre-mità alla coordinata L è cortocircuitata, ma è anche la funzione di trasfe-rimento tra la temperatura e il flusso di calore entrante in una lastra dimateriale di spessore L , la cui parete opposta è mantenuta a temperaturanulla.

Questi modelli di ordine infinito comportano un onere computazionaletroppo elevato per molte applicazioni e spesso sono quindi preferiti dei mo-delli di ordine ridotto, ottenuti attraverso il troncamento di uno sviluppo inserie della soluzione distribuita, il che si traduce nel far collassare in punti unnumero finito di regioni del sistema (si potrebbe definire una discretizzazionespaziale) ottenendo così dei modelli rappresentabili con delle reti elettriche aparametri concentrati.

Tornando all’analogia con le equazioni delle linee elettriche, risulta com-prensibile come l’equazione del calore in sistemi monodimensionali possa esse-re rappresentata da una rete rc della forma visualizzata in figura 3.3, qualoravengano discretizzate le dimensioni spaziali del sistema.

Pi Cth1

Rth1

b

T1

Cth2

Rth2

b

T2

Cth3

Rth3

b

T3

Cthn

Rthn

b

Tn

Tu

Figura 3.3: Rete equivalente del modello discretizzato

È da osservare che i parametri della rete in figura 3.3 hanno un significatofisico ben preciso perché corrispondono alle resistenze e capacità termicherelative alle regioni discretizzate del sistema termico, e quindi note questeregioni essi possono essere determinati, se la struttura del sistema non ètroppo complessa, mediante ispezione. È stato mostrato ([Hef94],[BCCD98])che la determinazione per ispezione visuale della rete equivalente ha buonirisultati se:

• La divisione delle zone avviene in modo da avere costanti di tempoprogressivamente più grandi nella direzione del flusso termicoPart

e

Page 64: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Trasmissione del calore - 3.2. Conduzione 50

• Si tiene conto dell’espansione laterale del flusso termico quando l’areada dove proviene il calore è più piccola della sezione trasversale dispo-nibile per la conduzione; di solito per materiali omogenei si consideraun angolo di allargamento pari a 40◦ . Per quanto riguarda l’effettocapacitivo bisogna considerare tutto il volume della zona.

Questa interessante possibilità di identificazione, è attuabile per strutturesemplici, è ben illustrata in una immagine tratta da [MN99], in figura 3.4.

Rth1

Rth2

Rth3

Rth4

Rth5

Rth6

Cth1

Cth2

Cth3

Cth4

Cth5

Cth6

„ Tj “

„Tc “

A

dR

th

th ⋅=

λ

AdcCth

⋅⋅⋅= ρ

A

Pd

l th

chip

leadframe

solder

α

Figura 3.4: Identificazione della rete termica per ispezione (fonte: [MN99])

Quantificati la sezione ed il volume interessati dal flusso di calore inogni zona di suddivisione del sistema è possibile determinare le rispettiveresistenze e capacità termiche:

Rth i =1

ki

liSi

Cth i = ci ρi Vi (3.23)

(3.24)

È da notare che a seguito della discretizzazione del sistema l’energia inter-na immagazzinata dal sistema espressa dalla (3.1) è ora pari alla sommatoria:

W =∑

i

Cth iTi (3.25)

Questa rappresentazione semplificata dell’equazione del calore in sistemimonodimensionali discretizzati rappresenta per un vasto campo applicativoPart

e

Page 65: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Trasmissione del calore - 3.3. Convezione e irraggiamento 51

un ottimo compromesso tra accuratezza e facilità di calcolo; questa qualitàla rende ampiamente utilizzata nello studio termico dei sistemi elettronici dipotenza.

3.3 Convezione e irraggiamento

Sulla superficie esterna del sistema si innescano fenomeni fortementenon lineari che determinano le condizioni al contorno delle soluzioni dellaequazione del calore definita nel volume.

Queste condizioni avranno la forma di Neumann, espresse dalla (3.14),specificanti il flusso di calore scambiato verso l’esterno.

I meccanismi di trasmissione che hanno luogo sulla frontiera sono due:convezione e irraggiamento1; la condizione al contorno relativa alla superficieinteressata si esprime così:

− k∂T(x ,y ,z ,t)

∂n

∣∣∣∣(x,y,z)∈S

= qconv + qrad

Questi meccanismi sono piuttosto complessi; l’approccio teorico forniscerisultati poco fruibili in questo contesto applicativo, per questo le trattazionidei meccanismi di irraggiamento e convezione sono trascurate a vantaggiodella conduzione.

3.3.1 Convezione

Un corpo caldo immerso in un fluido riscalda per conduzione il fluidoadiacente, il quale, se non è in stato di quiete, sottrae calore attraverso lospostamento macroscopico di materia.

Se il moto è imposto dall’esterno si parla di convezione forzata; in questocaso la velocità caratteristica del sistema è indipendente dal salto termico, eil calore scambiato per unità di superficie è in genere espresso per comoditànella stessa forma della legge di Fourier :

qconv = h (T − T∞) (3.26)

Dove h , corrispettivo della conduttività termica (a parte una lunghezza),è detto coefficiente di avvezione e viene in genere determinato attraversoprove sperimentali.

1A meno che il sistema non confini con un altro corpo solido.Parte

Page 66: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Trasmissione del calore - 3.3. Convezione e irraggiamento 52

Se il fluido ha una densità dipendente dalla temperatura, un gradientetermico avente una componente ortogonale al campo gravitazionale generaun moto dovuto alla forza di galleggiamento che agisce sul fluido di densitàminore. Se la sola causa del moto è dovuta a questo meccanismo si parladi convezione naturale; in questo caso il moto del fluido dipende dal saltotermico e le equazioni che regolano il passaggio del calore sono fortementenon lineari; nonostante questo il calore scambiato viene espresso secondo laforma definita dalla (3.26).

Il calore scambiato per convezione dipende fortemente dalle condizionifisiche del fluido; è stato mostrato che lo stesso apparecchio scalda 20% inpiù se fatto funzionare a 2500 m rispetto all’esercizio a livello del mare.

La temperatura ambiente oltre a determinare il salto termico, che haun impatto diretto sul calore scambiato, influisce sulle caratteristiche termi-che del fluido; è stato mostrato che l’aria scambia calore più efficientementequando è calda (da 0◦C a 100◦C l’efficienza migliora del 20% ).

Considerazioni teoriche più approfondite sul meccanismo della conve-zione sono riportate nell’appendice C per non appesantire inutilmente ildocumento; questi contenuti possono essere utili per sviluppi futuri.

3.3.2 Irraggiamento

Sulla frontiera del sistema il calore si trasmette all’esterno anche mediantel’emissione di onde elettromagnetiche.

Un radiatore termico ideale, o corpo nero, emette energia proporzionale2

alla quarta potenza della sua temperatura assoluta del corpo e alla superficieinteressata. Il bilancio di potenza irradiata e ricevuta dal mondo esterno èdato da:

qrad = ǫ σ(T 4 − T 4

)(3.27)

Dove T∞ è la temperatura del mondo esterno, pensato come una superfi-cie lontana avente temperatura costante, mentre il coefficiente ǫ è chiamatoemissività ed è introdotto per tener conto che i corpi reali emettono meno diun corpo nero.

Il totale calore scambiato sarà pari all’integrale sulla superficie del corpodella equazione (3.27) e dipenderà dalla forma, dall’estensione e dall’emissi-vità della superficie di interesse.

2Secondo la costante di Stefan-Boltzmann:

σ = 5.729 · 10−8W

m2K4Parte

Page 67: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Trasmissione del calore - 3.3. Convezione e irraggiamento 53

L’irraggiamento assume un peso rilevante in sistemi caratterizzati da altetemperature di esercizio rivestendo un ruolo sostanziale per le applicazionin assenza di fluidi (come quelle spaziali); esso è in genere trascurabile persistemi in convezione forzata.

Parte

Page 68: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Capitolo 9

Conclusione

In questo capitolo vengono tratte le conclusioni del lavoro e siprospettano i naturali sviluppi futuri.

9.1 Sviluppi

Impiego real time

Un aspetto non trattato in questo lavoro è la riduzione dell’ordine delmodello e la sua discretizzazione nel tempo per ottenere equazioni alledifferenze utilizzabili per elaborazioni in tempo reale nel microcontrol-lore dell’azionamento. La parte più importante e interessante di questatrattazione sarebbe l’implementazione dell’algoritmo di predizione del-la temperatura nei calcoli ciclici del microcontrollore e la valutazionedell’errore confrontando i risultati per vari regimi di funzionamento deldispositivo.

Blocchi della rete e regioni del sistemaUn altro aspetto non opportunamente approfondito da questo lavoroè una indagine sulla non unicità delle reti Cauer equivalenti (fissatoun ordine) del sistema, esplorando meglio un metodo per stabilire illegame tra i blocchi della rete Cauer ottenuta e le regioni fisiche delsistema.

Calcolo delle perdite PWM

Non tutti gli strumenti proposti in questo lavoro sono idonei per de-scrivere in generale qualsiasi convertitore statico.

155Parte

Page 69: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Conclusione - 9.2. Conclusioni 156

L’aver considerato un sistema particolarmente semplice, costituito daun solo interruttore comandato con un segnale pulsante a periodo co-stante, ha permesso di focalizzare l’attenzione sulla parte termica: loscript del calcolo delle perdite si basa infatti sull’assunzione che gliistanti di commutazione siano equispaziati in modo fisso, permettendouna facile costruzione dell’array della potenza dissipata istantanea.

Questo lavoro quindi apre la strada allo studio di sistemi più complessi,ai quali potranno essere estesi i risultati ottenuti, benché essi richie-deranno un ulteriore approfondimento di aspetti del problema qualila dissipazione di potenza per azionamenti PWM, ed in particolare lamodifica dello script del calcolo delle perdite.

Analisi FEM

Una grave mancanza di questo lavoro è l’impossibilità di validare inmodo diretto la temperatura di giunzione dei dispositivi; in meritosi potrebbe pensare di colmare, almeno parzialmente, questa lacunaattraverso simulazioni tridimensionali FEM.

9.2 Conclusioni

In questo lavoro è stato proposto un metodo system level per ottenere unadescrizione termica di convertitori statici basati su moduli di potenza, con-siderando in particolare la configurazione più semplice, alla base di qualsiasiapplicazione switching.

La descrizione ottenuta mostra, a livello di predizione della temperaturadell’involucro del modulo, una prestazione accettabile e in linea con il gradodi approssimazione preventivato.

La facilità della modalità di identificazione, la quale comporta solamenteuna semplice misura della risposta al gradino della temperatura del case delmodulo e la raccolta di alcuni parametri standard disponibili nei datasheets,e la semplicità di implementazione e calcolo, fanno del metodo proposto unastrada ragionevole da seguire per la descrizione termica a livello di sistemadei convertitori statici.Part

e

Page 70: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Appendice A

Ulteriori informazioni

In questa appendice sono raccolti ulteriori dati e informazioni che perquestioni di snellezza non hanno trovato spazio nel testo principale.

A.1 Sulle simulazioni

Le simulazioni effettuate per validare il modello, i cui risultati espostiin questo documento sono in verità solo una piccola parte, sono compiutecon MatLabR©ed in particolare attraverso la comoda funzione lsim. Lo scriptattraverso il quale se ne fa uso è il seguente:

listato A.1: Simulazione con lsim� �

1 %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%2 % [<time>,<Temperature >] = Simulate_lsim(<Cauer net parameters >,3 % <time vector >) ,4 % <inputs matrix >) ,5 % <temperature i n i t i a l values >) ;6 %7 % Simulates the Cauer RC thermal model behaviour8 % given power d i s s i p a t i o n and ambient temperature9 %

10 % Vers ion : 1 . 011 % 2005 Matteo Gattanini12 %13 % Example14 % [ t T] = Simulate_lsim (Rth , Cth ,U, t ,T0) ;15 %16 %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%17 f unc t i on [ t , T ]=Simulate_lsim ( Rth , Cth , U , t , T0 )18

19 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−20

21 % de f au l t output

157Parte

Page 71: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Ulteriori informazioni A.2. Altri scripts MatLabR© 158

22 T =[ ] ;23

24 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−25

26 % crea t i ng LTI model from s ta t e space equat i ons . . .27

28 [ A B C D ] = BuildStateSpaceModel ( Rth , Cth ) ;29 sys = ss (A , B , C , D ) ;30

31 % . . . and s imulat ing i t32

33 d i sp ( ’ ’ )34 d i sp ( ’ So lv ing model equation . . . ’ )35

36 [ T , t ] = lsim ( sys , U , t , T0 ) ;37 p l o t (t , T ( : , 5 ) , ’ b ’ )38

39 d i sp ( ’ . . . Done ’ )40

41 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−� �

Questo tipo di sistemi, in cui coesistono dinamiche molto diverse tra loro,devono essere risolti con algoritmi stiff, capaci di scegliere opportunamente ilpasso di integrazione in modo da limitare il carico computazionale necessarioa coprire l’intero intervallo di integrazione.

Un problema non da poco è causato dall’array della potenza dissipatain ingresso, poiché i suoi veloci picchi di potenza in corrispondenza dellecommutazioni, visibili in figura 5.5, richiederebbero un passo di integrazionecostante e molto fitto, che renderebbe assai gravosa, se non impossibile coni mezzi odierni, la simulazione.

Per ovviare a questo problema che avrebbe nel migliore dei casi allungatoi tempi di simulazione, considerando le osservazioni sottosezione 8.4.1, poichénelle simulazioni si era solo interessati alla temperatura del case, l’array delleperdite è stato opportunamente filtrato considerando solo il valor medio deipicchi di potenza, sicuri che comunque il loro effetto sarebbe stato comunquepesantemente attenuato dalla dinamica lenta del nodo in questione.

A.2 Altri scripts MatLab R©

A.2.1 Fitting delle curve

L’estrazione della funzione composta da somme di esponenziali dalla mi-sura della risposta al gradino può essere svolto facilmente grazie alle primitiveofferte da MatLabR©, in particolare la funzione fit.

L’operazione di fitting, che costituisce il cuore della identificazione delmodello, è implementata con la seguente funzione:Part

e

Page 72: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Ulteriori informazioni A.2. Altri scripts MatLabR© 159

listato A.2: Adattamento con esponenziali� �

1 %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%2 % [ f i t r e s , goodness ] = ExpFit(<time >,<data >,<type>,<order >) ;3 %4 % <type> i s 0 i f i s a coo l i ng curve5 %6 % Fi t s a data s e t us ing ’ order ’ exponen t i a l s7 %8 % Vers ion : 1 . 09 % 2005 Matteo Gattanini

10 %11 % Example12 % [ f i t r e s , goodness ] = ExpFit ( t ,T, 1 , 3 ) ;13 %14 %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%15 f unc t i on [ fitres , goodness ]=ExpFit (X , Y , IsRising , order )16

17 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−18

19 % s e t t i n g s20

21 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−22

23 % con t r o l s24

25 i f ( nargin < 4 )26 d i sp ( ’ Usage : [ f i t r e s , goodness ]=ExpFit (X,Y,0−1 , order ) ’ )27 re turn28 end29

30 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−31

32 % prepar ing f i t t i n g33

34 d i sp ( ’ ’ )35 d i sp ( [ ’ Performing f i t t i n g with ’ num2str ( order ) ’ exponen t i a l s . . . ’ ] )36

37 ok_ = ~( isnan ( X ) | i snan ( Y ) ) ;38

39 i f ( order == 2 ) % two exponen t i a l s40 fo_ = fitoptions ( ’method ’ , ’ Nonl inearLeastSquares ’ , . . .41 ’ Lower ’ , [ 0 0 0 0 ] ) ;42 %’ Algorithm ’ , ’ Levenberg−Marquardt ’ , . . .43 st_ = [ 0 . 1 0 . 1 10 1 0 0 ] ;44 e l s e i f ( order == 3 ) % three exponen t i a l s45 fo_ = fitoptions ( ’method ’ , ’ Nonl inearLeastSquares ’ , . . .46 ’ Lower ’ , [ 0 0 0 0 0 0 ] ) ;47 st_ = [ 0 . 1 0 . 1 0 . 1 1 10 1 0 0 ] ;48 e l s e49 d i sp ( ’Wrong order ! ’ )50 re turn51 end52

53 s e t ( fo_ , ’ S t a r tpo i n t ’ , st_ ) ;54

55 i f ( IsRising )56 i f ( order == 2 ) % two exponen t i a l s57 ft_ = fittype ( ’ r1 ∗(1−exp(−x/ t1 ) )+r2 ∗(1−exp(−x/ t2 ) ) ’ , . . .58 ’ dependent ’ ,{ ’ y ’ } , ’ independent ’ ,{ ’ x ’ } , . . .59 ’ c o e f f i c i e n t s ’ ,{ ’ r1 ’ , ’ r2 ’ , ’ t1 ’ , ’ t2 ’ }) ;60 e l s e i f ( order == 3 ) % three exponen t i a l sPart

e

Page 73: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Ulteriori informazioni A.2. Altri scripts MatLabR© 160

61 ft_ =fittype ( ’ r1 ∗(1−exp(−x/ t1 ) )+r2 ∗(1−exp(−x/ t2 ) )+r3 ∗(1−exp(−x/ t3 ) ) ’, . . .

62 ’ dependent ’ ,{ ’ y ’ } , ’ independent ’ ,{ ’ x ’ } , . . .63 ’ c o e f f i c i e n t s ’ ,{ ’ r1 ’ , ’ r2 ’ , ’ r3 ’ , ’ t1 ’ , ’ t2 ’ , ’ t3 ’ }) ;64 e l s e65 d i sp ( ’Wrong order ! ’ )66 re turn67 end68 e l s e % Data are d e c l i n i n g69 i f ( order == 2 ) % two exponen t i a l s70 ft_ = fittype ( ’ r1 ∗exp(−x/ t1 )+r2 ∗exp(−x/ t2 ) ’ , . . .71 ’ dependent ’ ,{ ’ y ’ } , ’ independent ’ ,{ ’ x ’ } , . . .72 ’ c o e f f i c i e n t s ’ ,{ ’ r1 ’ , ’ r2 ’ , ’ t1 ’ , ’ t2 ’ }) ;73 e l s e i f ( order == 3 ) % three exponen t i a l s74 ft_ = fittype ( ’ r1 ∗exp(−x/ t1 )+r2 ∗exp(−x/ t2 )+r3 ∗exp(−x/ t3 ) ’ , . . .75 ’ dependent ’ ,{ ’ y ’ } , ’ independent ’ ,{ ’ x ’ } , . . .76 ’ c o e f f i c i e n t s ’ ,{ ’ r1 ’ , ’ r2 ’ , ’ r3 ’ , ’ t1 ’ , ’ t2 ’ , ’ t3 ’ }) ;77 e l s e78 d i sp ( ’Wrong order ! ’ )79 re turn80 end81 end82

83 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−84

85 % f i t operat i on86 [ fitres , goodness ] = fit ( X ( ok_ ) , Y ( ok_ ) , ft_ , fo_ )87

88 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−� �

A.2.2 Caratteristiche del dispositivo

Per poter usare i dati elettrici forniti dal datasheet del modulo nelle si-mulazioni è comodo estrarre le funzioni interpolanti i dati e implementarlecon script MatLabR© come il seguente.

listato A.3: Caratteristica di uscita� �1 %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%2 % v = Vcef ( Ic )3 %4 % BSM75GB120DLC OutPut Cha r a c t e r i s t i c Vg=17V , Tj=125◦C5 %6 %7 %%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%%8 f unc t i on v=Vcef ( Ic )9

10 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−11

12 % main c a l c u l a t i o n13

14 % Ic = 10.89 ∗ Vce^2.22815

16 v = ( Ic /10 . 89) . ^ (1/2 . 15 ) ;17

18 % −−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−−� �Part

e

Page 74: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Ulteriori informazioni A.3. Altre misure 161

A.3 Altre misure

Durante la fase di validazione sono state effettuate diverse misurazioniper vari segnali di comando applicati all’IGBT. In figura A.1 si può ammi-rare una lunga sessione di misure di temperatura corrispondenti alle cinquetermocoppie la cui posizione è descritta in figura 7.5; una parte di questasessione è stata usata per la validazione esibita nella sottosezione 8.4.3.

0 2000 4000 6000 8000 10000 12000 14000 1600020

30

40

50

60

70

80

90

time [s]

tem

pera

ture

[°C

]

TcThs1Ths2Ths3Tamb

40s 40%

40s 10%

50s 70%

100%

Figura A.1: Misure ad ingresso pulsante

È da notare che la configurazione di misura adottata, caratterizzata daun carico prevalentemente resistivo, una bassa tensione di alimentazione epiccolissime frequenze di commutazione, rende la potenza persa in conduzionenell’IGBT praticamente l’unica dissipazione di rilievo nel sistema; essa è paria 48 W .

Altre sessioni di misura, non menzionate nel corpo del documento perquestioni di spazio, sono state effettuate aumentando considerevolmente l’in-duttanza del carico in modo da avere una maggiore potenza persa (altri-menti trascurabile) nel diodo; in figura A.2 nella pagina seguente è possi-bile osservare le grandezze elettriche acquisite con l’oscilloscopio per questaconfigurazione.

Un lodevole tentativo di effettuare misure in alta tensione (alta si faper dire, poiché si tratta di circa 350 V ), per verificare le perdite calcolate,si è rivelato ben poco utile dal punto di vista termico a causa delle bassePart

e

Page 75: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Ulteriori informazioni A.3. Altre misure 162

0 0.01 0.02 0.03 0.04 0.05

−20

0

20

40

60

time [s]

V [1

V] ;

I [1

A] ;

Pe

[1 W

]

VceIcPeIdIrVpn

Figura A.2: Grandezze elettriche con carico induttivo

correnti e frequenze di commutazione in gioco; come si può osservare nellemisure di temperatura in figura A.3 il dispositivo risulta ben poco stressatotermicamente.

0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 800025

30

35

40

45

time [s]

tem

pera

ture

[°C

]

Tc

Ths1

Ths2

Ths3

Tamb

100ms 50%

100%

50ms 50%0%

0%

Figura A.3: Misure di temperatura in alta tensione

Parte

Page 76: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Appendice B

Applicazioni sviluppate

Questo capitolo è dedicato ad una veloce descrizione del softwarestand-alone creato in supporto alle misure.

A dispetto della parte marginale che dedico ad esse in questo documento,buona parte del tempo dedicato a questo lavoro è stato speso nello sviluppodi due applicazioni WindowsR©, entrambe scritte in C++ con l’ambiente disviluppo Borland C++ Builder

TM

5.

B.1 Un segnale di comando

La prima applicazione nasce dalla necessità di creare in modo flessibile efacilmente controllabile un segnale di comando per l’IGBT, che si traduce nelgenerare un’onda quadra di tensione avente un certo periodo e duty-cycle,selezionabili nel range più vasto possibile.

Per creare il segnale si possono sfruttare i pin di controllo di flusso dellaporta seriale, direttamente comandabili grazie ad una funzione delle Appli-cation Programming Interface (API) di WindowsR©.

Si comprende bene che la difficoltà e la sfida in questo genere di necessitàè il riprodurre nell’elaboratore una misura temporale più precisa possibile:è ovvio che un sistema operativo grafico come quello di WindowsR© non èl’ambiente ideale per eseguire processi aventi stringenti esigenze temporali,ed è ovvio che la scelta di questo sistema operativo motivata esclusivamenteda questioni di comodità, confidando nelle prestazioni dei moderni processori.

Tipicamente il programmatore WindowsR© a cui serve una temporizza-zione utilizza le funzioni offerte dalle API del sistema operativo, usandole inmodo diretto o tramite dei wrappers offerti dall’ambiente di programmazione.

163Parte

Page 77: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Applicazioni sviluppate B.1. Un segnale di comando 164

WindowsR© offre dei timers che allo scadere di un certo intervallo tempo-rale generano degli interrupt, e quindi la possibilità di eseguire una funzione.La granularità minima dichiarata del timer di WindowsR© è di 1 ms , main realtà ho avuto modo di constatare sul mio elaboratore che una correttatemporizzazione è garantita solo per intervalli maggiori di 15 ms , subordi-natamente all’attuale carico di lavoro del processore. Una simile granularitàtemporale limita notevolmente la frequenza del segnale ottenibile.

Esiste sulle piattaforme pc ormai da diversi anni un contatore a 64 bitche funziona in modo indipendente dal resto del sistema, il cui valore siincrementa in modo regolare con una frequenza considerevole1.

Questo contatore è tipicamente usato per misurare le prestazioni del siste-ma, ed infatti viene chiamato performance counter; la scoperta della sua esi-stenza mi ha aperto la possibilità di migliorare il range di frequenze ottenibilitramite il pc.

L’unica funzione offerta da questo contatore è la lettura del suo valore, unintero senza segno a 64 bit . L’unico modo per sfruttare questa informazionetemporale è creare un thread che legga continuamente il contatore e controllise il il tempo impostato è scaduto o meno.

In questo modo si riesce ad ottenere temporizzazioni il cui limite inferioresi può avvicinare molto alla granularità del performance counter, impostandoin modo opportuno la priorità del thread; notevoli risultati si possono ottenerecon processori che supportano la tecnologia hyper-threading; in ogni casoquesta tecnica ha prestazioni migliori del timer di WindowsR©.

Un grave svantaggio di questa struttura polling, che potrebbe essere par-zialmente attenuato, è il considerevole impegno delle risorse di sistema, co-stantemente occupate nel confrontare il valore del contatore con il tempo diattivazione dell’evento.

Ecco la struttura semplificata del thread:

listato B.1: Il thread di temporizzazione� �// − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − − −

void __fastcall TThreadCounter : : CountWith_PerformanceCounter ( ){ // Counting thread kerne l , main s t ruc t u r e

LARGE_INTEGER x ;QueryPerformanceCounter (&x ) ;__int64 c = x . QuadPart ;

for ( ; ; ) { // Forever do :

// Set s e l e c t e d pin to on

1Sugli elaboratori odierni la frequenza è di 3579545 counts/s , corrispondente ad unagranularità temporale di circa 0.28 µs .Part

e

Page 78: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Applicazioni sviluppate B.1. Un segnale di comando 165

EscapeCommFunction ( hComm , Set_Pin ) ;

// Counter va lues o f event sTton = c + Signal . ton ;TT = c + Signal . T ;

// Wait f o r turn o f fwhile ( c < Tton ) {

QueryPerformanceCounter (&x ) ;c = x . QuadPart ;

}

// Set s e l e c t e d pin to o f fEscapeCommFunction ( hComm , Clr_Pin ) ;

// Check f o r thread terminat ioni f ( Terminated ) {

Signal . cEnd = c ;return ;

}

// Wait f o r c y c l e endwhile ( c < TT ) {

QueryPerformanceCounter (&x ) ;c = x . QuadPart ;

}}

}� �

In questo listato si possono individuare le chiamate alle API che permet-tono di pilotare il pin seriale selezionato e di leggere il valore del contatore.

L’applicazione è stata dotata di una comoda interfaccia grafica che con-sente di scegliere le caratteristiche del segnale (figura B.1) e di modificare leimpostazioni della porta seriale (figura B.2).

Figura B.1: xCtrlSet - selezione delle caratteristiche del segnaleParte

Page 79: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Applicazioni sviluppate B.2. Comunicare con il data logger 166

Figura B.2: xCtrlSet - selezione del pin della porta

B.2 Comunicare con il data logger

Molto più complessa ed elaborata è l’applicazione sviluppata per gestireil data logger usato per acquisire i segnali delle termocoppie, il nudam 6108della Adlink.

Il grande orgoglio di questo programma è che non dipende da librerie diterze parti sia per quanto riguarda la comunicazione seriale che per la partegrafica di visualizzazione delle acquisizioni.

La comunicazione seriale è interamente gestita a basso livello attraversole API, secondo le preziose indicazioni di un articolo di Allen Denver 1; in par-ticolare è stata implementata sia una comunicazione sincrona che asincrona(overlapped), anche se con questa c’è ancora qualche problema di timeout.

La classe che implementa il grafico delle acquisizioni è derivata esclusiva-mente da un componente visuale fornito con l’ambiente di programmazione,le cui primitive comprendono il tracciamento di linee, la colorazione dei pixelse la scrittura di testi. Particolarmente pregevole è la funzionalità di gestio-ne automatica della griglia e della scala degli assi a seconda dei valori ditemperatura misurati.

In figura B.3 è riportata una schermata del programma, relativa al tabcontenente il grafico delle acquisizioni.

Questa applicazione si presta bene ad essere strutturata mediante classi,consentendo una organizzazione del codice particolarmente comoda: ll mo-dulo di acquisizione è gestito mediante un oggetto istanziato da una classe

1Microsoft Windows Developer Support.Parte

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Applicazioni sviluppate B.2. Comunicare con il data logger 167

Figura B.3: Uno screenshot del “nudam manager”

che ingloba tutte le informazioni che lo riguardano e che fornisce dei metodiche permettono l’interazione con gli altri oggetti dell’applicazione.

Il modulo comunica con il computer tramite la porta seriale, scambian-do messaggi composti da caratteri ASCII in modo passivo secondo lo schemadomanda-risposta; il fulcro della classe rappresentante il dispositivo è quin-di la parte di creazione dei comandi e di “digestione” delle risposte, che insostanza si tratta di un rudimentale parser di stringhe.

La struttura a oggetti consente di svincolare facilmente l’applicazione dal-lo specifico dispositivo usato grazie all’ereditarietà e al polimorfismo: se nelcodice si interagisce con l’oggetto rappresentante il modulo mediante unainterfaccia comune, usando cioè una classe generica che implementi l’inter-faccia del generico data logger, esso è svincolato dai dettagli implementativiche si occupano della gestione dello specifico dispositivo, contenuti in classiderivate dalla classe comune.

Ecco l’interfaccia usata nell’applicazione per gestire il dispositivo di ac-quisizione:Part

e

Page 81: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Applicazioni sviluppate B.2. Comunicare con il data logger 168

listato B.2: Interfaccia della classe che gestisce il data logger� �//======================== Class De f i n i t i on =============================class GenericMng { // Generic dev i ce manager

public :

GenericMng ( TSerialPort ∗ , TMemo∗ =0) ;~GenericMng ( ) ;

// . . . Operationsbool Connect ( String ) ; // Port connect ion managementbool Disconnect ( ) ;bool RetrieveStatus ( ) ; // F i l l s a l l s e t t i n g parametersbool Scan ( ) ; // Returns t rue i f a dev i ce i s found

// . . . Ca l i b r a t i onvoid __fastcall ADCalibration ( ) ; // AD conver t e r c a l i b r a t i o nvoid __fastcall CJCCalibration (double) ; // Correct CJC o f f s e t e rrors

// . . . S e t t i n g sbool SetConfiguration ( String , String , String , unsigned char ) ;bool ReadConfiguration ( ) ; // Read the con f i g u ra t i onbool ReadModuleName ( ) ; // Read module namebool ReadFirmwareVersion ( ) ; // Read Firmware Versionbool SoftwareReset ( ) ; // Module Sof tware Reset

// . . . Acquir ingString ReadData (unsigned char ) ; // Read Analog Data From a Channelbool ReadAllData ( ) ; // Read a l l channe lsbool ChooseChannels (unsigned char ) ; // Enable /Disab le channe lsbool ReadChannelStatus ( ) ; // Read the s t a t u s o f channe ls

} ; //=====================================================================

//======================== Class De f i n i t i on =============================class NudamMng : public GenericMng { // NuDAM dev ice manager

public :

TNudamMng ( TSerialPort ∗ , TMemo∗ =0) ;// Uses common gener i c i n t e r f a c e

protected :

// . . . S p e c i f i c commands ( don ’ t use f o r p o r t a b i l i t y )bool ReadLeadingCodeSetting ( ) ; // . . . and hos t watchdog s t a t u sbool ChangeLeadingCodeSetting ( String ) ;bool SetHostWatchdogSafety (bool , String , String ) ; // Set hos t watchdogbool ReadHostWatchdogSafety ( ) ; // // Read hos t watchdog timerbool HostOk ( ) ; // Signa l hos t Ok f o r watchdog

} ; //=====================================================================� �

Come si vede la classe NudamMng, che contiene i dettagli che riguardanoil nudam, è derivata da una classe generica, che funge da layer verso chi nelprogramma usufruisce dei servizi offerti dal data logger.

La temporizzazione delle acquisizioni è gestita da un apposito thread, cheParte

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Applicazioni sviluppate B.2. Comunicare con il data logger 169

ha il compito di controllare il tempo trascorso e di interrogare il modulosecondo intervalli prestabiliti, memorizzando i dati acquisiti in un file.

Il poter sviluppare autonomamente l’applicazione di acquisizione dei datipermette una notevole flessibilità e libertà; ad esempio non è difficile program-mare le acquisizioni secondo scale temporali non regolari, come ad esempioscale logaritmiche.

Poiché le acquisizioni di temperatura tramite termocoppie non richiedonotemporizzazioni spinte, nulla vieterebbe di implementare delle elaborazionionline dei dati; in particolare potrebbe essere utile un criterio di controllo deltermine del transitorio, comunicando al generatore di segnale di modificareopportunamente il comando all’IGBT.

Parte

Page 83: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Appendice C

Convezione

La validità di un risultato si misura anche nella consapevolezza diciò che si è trascurato per conseguirlo. Qualche nota sui fenomeniconvettivi, solo per renderci conto di quanto siano complicati; questeinformazioni sono essenzialmente tratte da [Tri77].

C.1 Le equazioni in gioco

Le equazioni che concorrono nella descrizione dei fenomeni convettivi de-rivano essenzialmente dalla legge di conservazione dell’energia: considerandoun volume di fluido le variazioni di massa ed energia devono essere bilanciatedagli scambi con il mondo esterno.

Esprimiamo ora queste leggi con il linguaggio matematico, nell’ambitodella fisica classica e in forma locale1. Definito il campo scalare della densitàdi materia ρ e il campo vettoriale di velocità u , la conservazione della massain ogni punto nella regione occupata dal fluido si esprime così:

∂ρ

∂t+ ∇ · (ρu) = 0 (C.1)

Questa equazione è anche chiamata equazione di continuità perché formalizzal’assenza di pozzi o sorgenti di materia: pensando di integrarla in un volumesi vede come il flusso2 di materia entrante bilanci l’aumento di densità.

1Considerando cioè un volumetto di fluido piccolo a piacere, tale da confondersi con unpunto, in modo tale che in esso le grandezze di interesse sono costanti.

2L’integrale di volume della divergenza è pari al flusso attraverso la superficie dicontorno, secondo le usuali convenzioni matematiche positivo se uscente.

170Parte

Page 84: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Convezione C.1. Le equazioni in gioco 171

La seconda equazione che si può scrivere rappresenta l’aspetto meccanicodella conservazione dell’energia: l’equazione fondamentale della dinamica, cheesprime la conservazione della quantità di moto. Definito il campo scalare dipressione p , di viscosità µ e un campo vettoriale di forze esterne distribuitef , si scrive:

ρdu

dt= −∇p + µ∇2u + f (C.2)

Si può distinguere il termine inerziale al primo membro bilanciato da untermine di pressione, un termine viscoso, e dalla forza esterna.

La terza equazione completa il principio di conservazione dell’energiaesprimendo il bilancio termico del sistema: l’aumento di energia termica in-terna è dato unicamente dalla somma del calore entrante ed un eventualecalore distribuito nel volume, generato da interazioni col mondo esterno. Danotare che il primo termine, ossia il calore che passa attraverso la frontieradel volumetto infinitesimo, è scambiato per conduzione.

Introdotti i campi scalari di temperatura T , di calore specifico c , diconduttività termica k e di generazione di calore j :

ρcdT

dt= k∇2T + j (C.3)

In definitiva il sistema è descritto dalle equazioni:

∂ρ

∂t+ ∇ · (ρu) = 0 equazione di continuità

ρdu

dt= −∇p + µ∇2u + f equazione dinamica

ρcdT

dt= k∇2T + j bilancio termico

(C.4)

Questa descrizione deve ovviamente essere completata dalle relazioni costi-tutive che caratterizzano i parametri del fluido (coefficiente di espansionetermica, conduttività, viscosità e calore specifico); ci si può rendere conto diquanto sia complesso il fenomeno da studiare considerando che questi ter-mini dipendono dai campi di pressione, velocità e temperatura, ossia dalleincognite stesse del problema.

Al fine di ottenere un modello trattabile si introducono delle ipotesi sem-plificative; con Boussinesq supponiamo che le variazioni dei campi di tempe-ratura e pressione nella regione di interesse siano così piccole da non provo-care in essa variazioni sensibili delle caratteristiche fisiche del fluido; in virtùPart

e

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Convezione C.1. Le equazioni in gioco 172

di questa ipotesi si considerano quindi α (espansione termica3), β (com-pressibilità isoterma4), µ (viscosità), k (conduttività termica), c (calorespecifico) costanti; per quanto riguarda la densità ρ linearizziamo la sua va-riazione rispetto la temperatura ρ = ρ0 + ∆ρ introducendo quando possibilel’ipotesi di incomprimibilità ∆ρ ≪ ρ0 .

Queste ipotesi vengono sovente formalizzate nel seguente modo:

A = αΘ ≪ 1L’espansione dovuta alla temperatu-

ra deve essere piccola

B =L

(1

gρβ

) ≪ 1

La lunghezza caratteristica di varia-

zione della pressione isoterma deve

essere grande rispetto le dimensioni

del sistema

C =L

(c

) ≪ 1

La lunghezza caratteristica di varia-

zione della temperatura adiabatica

deve essere grande rispetto le dimen-

sioni del sistema. Questa quantità è

dello stesso ordine di grandezza del

rapporto LQ1

, tra il lavoro che man-

tiene l’energia cinetica del moto del

fluido ed il calore entrante.

D =

(gαT0

c

)

L

) ≪ 1

In aggiunta alle precedenti e non

strettamente necessaria; essa è

strettamente legata a C e rappre-

senta il rapporto tra il gradiente

di temperatura adiabatico e quello

imposto; T0 è la temperatura di

riferimento.

(C.5)

L’approssimazione sul termine A può dare problemi se si ha a che farecon gas oppure con alcuni liquidi come l’acqua, per la quale α ha davvero

3Il coefficiente di espansione termica del fluido α è dato da:

α = −1

ρ

(∂ρ

∂T

)

p

4Il coefficiente di compressibilità isoterma del fluido β è dato da:

β =1

ρ

(∂ρ

∂p

)

TParte

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Convezione C.1. Le equazioni in gioco 173

uno strano andamento con la temperatura. I termini B e C hanno lo stessoordine di grandezza e per sistemi di piccola scala sono in genere molto piccoli;solo per sistemi estesi (ad esempio nei modelli meteorologici) è necessariotenere conto degli effetti non previsti da queste approssimazioni (detti quindieffetti non-Boussinesq). Per quanto riguarda D , usualmente è D ≫ C ; seD ≪ 1 non è verificata è necessario considerare una scala di temperaturache tenga conto del profilo di temperatura adiabatico5: θ = T − (Ta − T0) .

Applichiamo ora le approssimazioni di Boussinesq alle (C.4); le forze divolume siano dovute al campo gravitazionale g .

Nella equazione di continuità introduciamo l’ipotesi di incomprimibili-tà ponendo ρ ≃ ρ0 , mentre nella equazione dinamica conglobiamo nellapressione il termine idrostatico ponendo: P = p + ρ0Φ con g = −∇Φ

Infine è da osservare che per le ipotesi fatte è:

α = −1

ρ

( ∂ρ

∂T

)

p≈ − 1

ρ0

ρ − ρ0

T − T0⇔ ∆ρ

ρ0= −α∆T (C.6)

Quindi è possibile esplicitare in modo semplice l’effetto legato alla tempera-tura nell’equazione di moto.

Introducendo la viscosità cinematica ν = µρ

e la diffusività termica κ = kρc

riscriviamo le (C.4) dopo aver applicato ad esse le approssimazioni di Bous-sinesq :

∇ · u = 0

∂u

∂t+ (u · ∇)u = − 1

ρ0∇P + ν∇2u− gα∆T

∂T

∂t+ u · ∇T = κ∇2T +

j

ρ0c

(C.7)

Nell’equazione di moto è possibile distinguere al primo membro il ter-mine inerziale, bilanciato dal gradiente di pressione, dal termine viscoso6 eda un termine di galleggiamento (Bouyancy) che rappresenta l’elemento diaccoppiamento principale con l’equazione termica, nonché l’origine del motoconvettivo naturale.

Nell’equazione termica si riconosce a primo membro il termine di avvezio-ne, che rappresenta l’accoppiamento con l’equazione di moto, e il termine diconduzione a secondo membro. Per quanto riguarda il termine di produzione

5Il profilo di temperatura adiabatico è quella distribuzione di temperatura tale percui un volumetto di fluido, spostandosi nella regione di interesse, non scambia calore pursubendo compressioni ed espansioni.

6Purtroppo spesso è necessario tenere in conto che la viscosità cinematica ν dipendedalla temperatura.Part

e

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Convezione C.2. Forma adimensionale 174

di calore, affinché esso non sia un termine di accoppiamento, non deve dipen-dere dalle incognite, quindi non deve essere originato da dissipazioni viscoseo espansioni adiabatiche.

Introducendo opportune approssimazioni abbiamo ottenuto un modelloche descrive i sistemi convettivi; questo modello, se propriamente investiga-to, può fornire utili indizi su fenomeni di grande interesse come la transizioneda moto laminare a turbolento, l’onset di instabilità idrodinamiche, la forma-zione di patterns regolari e il manifestarsi fenomeni di auto-organizzazione.

Riscriviamo le (C.7) per le soluzioni stazionarie dei sistemi in studio,dove è possibile trascurare il termine di pressione e non esiste il termine diproduzione di calore:

∇ · u = 0

(u · ∇)u = ν∇2u − gα∆T

u · ∇T = κ∇2T

(C.8)

Le (C.8) sono infine le equazioni che danno le soluzioni stazionarie delsistema una volta associate le condizioni al contorno; queste sono equazio-ni a derivate parziali accoppiate e non lineari, la cui soluzione, degenere enon unica, è fornita da osservazioni sperimentali oppure ottenuta attraversoonerose integrazioni numeriche.

Quando si ha a che fare con modelli così complessi (seppur non prividi pesanti approssimazioni) è naturale cercare dei criteri di similitudine trasistemi, in modo da poter estendere le soluzioni a sistemi tra loro simili.

C.2 Forma adimensionale

Supponiamo abbia senso introdurre delle quantità caratteristiche che sin-tetizzino le proprietà del sistema, come una lunghezza caratteristica L ,un salto di temperatura caratteristico Θ , una velocità caratteristica1 U .Sebbene da un punto di vista matematico queste quantità siano arbitrarie,esse devono essere scelte in modo oculato affinché abbia senso il confrontotra sistemi geometricamente simili, e le grandezze riscalate siano dell’ordinedi grandezza dell’unità.

1È bene notare che al contrario delle altre due quantità la velocità caratteristica non èin genere un valore impresso dall’esterno e quindi definibile a priori.Part

e

Page 88: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Convezione C.2. Forma adimensionale 175

Introducendo nelle (C.8) le grandezze riscalate con le quantità caratteri-stiche:

∇′ = L∇ , T ′ =T

Θ, u′ =

u

U, t′ =

tLU

, p′ =p

ρ0U2

Otteniamo il modello nella forma adimensionale, dove abbiamo esplicitato ilversore del campo gravitazionale g = gig .

(u′ · ∇′)u′ = +ν

UL∇′2u′ − gαΘL

U2T ′ig

u′ · ∇′T ′ =κ

UL∇′2T ′

(C.9)

Ecco che riferendoci a grandezze riscalate abbiamo evidenziato tre coeffi-cienti adimensionali nei quali sono condensate le proprietà del sistema, e cheindividuano una famiglia di sistemi tra loro simili.

L’approssimazione di Boussinesq sembra introdurre un comodo criteriodi similarità, corrispondente all’uguaglianza di questi tre parametri, ma cisi rende facilmente conto che è ben poco utile se non è possibile stimareU , quantità che dipende dalla soluzione del problema stesso. Riscriviamoora in modo più comodo questi parametri, in modo che la scomoda velocitàcaratteristica sia confinata in un ben preciso termine.

Nel coefficiente del termine viscoso riconosciamo il numero di Reynolds,Numero

di Rey-

nolds

quantità che rende conto del peso del termine inerziale rispetto quello viscoso:

Re =< inerziale >

< viscoso >=

(u · ∇)u

ν∇2u∼ UL

ν

Quando Re è piccolo è il termine viscoso a dominare il moto, mentrequando Re è grande l’effetto del termine viscoso è confinato nelle zone dovedevono essere rispettate le condizioni al contorno introdotte da esso (è iltermine col grado maggiore); queste zone sono dette Boundary Layers delmoto.

Nel coefficiente del termine di conduzione si riconosce l’analogo termicoNumero

di

Péclet

del numero di Reynolds, il numero di Péclet ; esso rappresenta il peso deltermine di avvezione rispetto quello di conduzione:

Pe =< avvezione >

< conduzione >=

u · ∇T

κ∇2T∼ UL

κ1Quando Re aumenta il Boundary Layer viscoso si fa sempre più sottile e sopraggiunge

la possibilità di transizioni turbolente. Lo spessore del Boundary Layer è legato a Re dallarelazione:

UU

L∼ ν

U

δ2⇔ δ

L∼ Re−

12Parte

Page 89: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Convezione C.2. Forma adimensionale 176

L’ analogia formale con l’equazione di moto porta a fare considerazionisimili alle precedenti: quando Pe è piccolo il calore sarà trasmesso nel flui-do prevalentemente per conduzione, mentre quando Pe è grande prevarràil termine di avvezione; vicino al contorno a diversa temperatura vi sarà co-munque una zona in cui il calore è scambiato per sola conduzione, chiamataBoundary Layer termico2.

Poiché è comodo fare riferimento ad un parametro che dipende solo dalleNumero

di

Prandtl

proprietà del fluido si introduce il numero di Prandtl definito come:

Pr =ν

κ

Per cui sovente si esprime il numero di Péclet come Pe = RePr . Il numerodi Prandtl evidenzia come l’estensione delle soluzioni da un sistema all’altrosia limitato dalla diversa natura dei fluidi coinvolti. La maggior parte deiliquidi hanno Pr maggiore dell’unità (ad esempio H2O a temperatura am-biente ha Pr ≃ 6 ); poiché ν ha un range di variazione molto più ampiodi κ , di solito liquidi ad alti numeri di Prandtl sono anche molto visco-si (fanno eccezione i metalli liquidi, caratterizzati da conducibilità termichemolto alte). Spesso i gas hanno numeri di Prandtl poco inferiori all’unità (adesempio l’aria ha Pr ≃ 0.7 ).

Particolare importanza ha infine il coefficiente del termine di Bouyancy;Numero

di

Grashof

questa quantità è chiamata numero di Richardson e dà l’idea del peso dellaforza di Bouyancy rispetto il termine inerziale3.

Poiché esso contiene la scomoda velocità caratteristica, cerchiamo di ri-conoscere e separare il numero di Reynolds, affinché questa appaia solo inesso:

gαΘL

U2=

gαΘL

U2

ν2L2

ν2L2 =gαΘL3

ν2

Re2=

Gr

Re2, Gr =

gαΘL3

ν2

La quantità Gr non contiene la velocità caratteristica ed è detto numerodi Grashof ; esso è correlato al rapporto tra il termine di Bouyancy e il termine

2Analogamente a Re , Pe dà l’idea delle dimensioni del Boundary Layer termico:

L∼ κ

Θ

δ2⇔ δ

L∼ Pe−

12

3Il numero di Richardson è definito come:

gL2

ρU2

∣∣∣∣

∂ρ

∂z

∣∣∣∣Part

e

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Convezione C.3. Convezione naturale 177

viscoso, e come vedremo ha un’importanza fondamentale nella convezionenaturale.

Ecco quindi le equazioni nelle variabili adimensionali riscritte in funzionedei tre parametri introdotti:

(u′ · ∇′)u′ = Re ∇′2u′ − Gr

Re2T ′ig

u′ · ∇′T ′ =1

PrRe∇′2T ′

(C.10)

Vedremo che quando è possibile stimare U questi parametri consen-tono una stima qualitativa del comportamento del sistema sulla base diosservazioni sperimentali effettuate su sistemi simili.

Questa rappresentazione suggerisce una classificazione dei sistemi in stu-dio a seconda del peso degli effetti di Bouyancy, che in questa approssima-zione rappresentano il solo effetto della temperatura nell’equazione di mo-to; tutte le considerazioni seguenti sono ben poco utili allorquando non siapossibile introdurre e valutare U .

C.3 Convezione naturale

Quando Gr ≪ Re2 la temperatura sparisce dall’equazione di moto cherisulta così disaccoppiata dall’equazione termica: è possibile introdurre unascala di velocità U indipendente e un criterio di similarità dato dall’ugua-glianza di Re e Pr . In queste condizioni parliamo di convezione forzata.

Quando Gr ≫ Re2 il termine di Bouyancy è la causa predominante delmoto: in questo caso il sistema viene detto in convezione libera o naturale,perché permane in quiete in assenza di gradienti di temperatura. Vedremocome il numero di Grashof caratterizzi il comportamento del sistema1.

In regime di convezione libera le equazioni dinamica e termica sono ac-coppiate tra loro: il campo di velocità dipende dal gradiente di temperaturache a sua volta dipende dal campo di velocità. Non è più possibile introdurreuna scala di velocità indipendente, quindi Re e Pe non hanno più il ruolodi primo piano che avevano nella convezione forzata. Bisogna fare riferimentoalle quantità determinabili dai dati che individuano il problema: esse sonoGr e Pr .

1Convezione forzata e libera sono casi estremi che racchiudono una varietà di situazioni:Quando Gr ∼ Re2 le cose si complicano; è il caso ad esempio della convezione in flussistratificati o in fluidi rotanti.Part

e

Page 91: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Convezione C.3. Convezione naturale 178

Consideriamo le equazioni adimensionali e facciamo debite considerazionisulle informazioni che contiene il numero di Grashof : dobbiamo cercare divedere se e quando è possibile introdurre un criterio di similarità e quindi unmodo per stimare la quantità incognita Re (e quindi la velocità caratteristicaU ) conoscendo Gr e Pr .

Guardando l’equazione di moto abbiamo tre termini che si equilibrano:il termine inerziale, viscoso e di Bouyancy, il quale non è mai trascurabileper ipotesi: non possiamo fare molto, se non considerare i due casi estremi diquesto equilibrio:

Quando il termine viscoso è trascurabile la forza di Bouyancy è equilibratadal termine inerziale: questo avviene ad alti numeri di Grashof.

Re2 (u′ · ∇′)u′ = Re∇′2u′ − GrT ′ig

L’ipotesi di ritenere trascurabile il termine viscoso è buona ad alti Gr ,infatti perché vi sia equilibrio anche Re2 deve essere grande: possiamo quinditrascurare Re rispetto le precedenti quantità.

Questo equilibrio suggerisce la seguente scala di velocità:

< inerzia >

< buoyancy >=

|(u · ∇)u||gα∆T | ∼

U2

L

gαΘ∼ 1 → U ∼

gαLΘ

Con la quale si valuta il numero di Reynolds:

Re =UL

ν∼

√gαLΘL

ν=

gαΘL3

ν2=

√Gr

Per quanto riguarda l’equazione termica:

u′ · ∇′T ′ =1

PrGr12

∇′2T ′

Come si vede in regime di convezione libera ad alti numeri di Grashof ilvalore Gr

12 consente di stimare Re , ossia il Boundary Layer di velocità, e

quindi consente di fare previsioni sul tipo di moto; analogamente la quantitàPrGr

12 consente di stimare Pe , quindi il Boundary Layer termico.

Consideriamo ora il caso opposto: la forza di Bouyancy è equilibrata uni-camente dal termine viscoso, ossia il termine inerziale è trascurabile. Questoavviene a bassi numeri di Grashof.

Re2 (u′ · ∇′)u′ = Re∇′2u′ − GrT ′igParte

Page 92: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Convezione C.3. Convezione naturale 179

Il termine inerziale è trascurabile quando Gr è basso: infatti affinché iltermine di Bouyancy conservi il suo ordine di grandezza, Re2 deve essere uninfinitesimo di ordine superiore rispetto Gr .

Questo equilibrio suggerisce la seguente scala di velocità:

< viscoso >

< buoyancy >=

|ν∇2u||gα∆T | ∼

ν UL2

gαΘ∼ 1 → U ∼ gαΘL2

ν

Con la quale si valuta il numero di Reynolds:

Re =UL

ν∼

gαΘL2

νL

ν=

gαΘL3

ν2= Gr

Per quanto riguarda l’equazione termica:

u′ · ∇′T ′ =1

PrGr∇′2T ′

In regime di convezione libera a bassi numeri di Grashof il valore GrNumero

di Ray-

leigh

stesso consente di stimare Re , e quindi PrGr consente di stimare Pe . Laquantità Ra = PrGr è detta numero di Rayleigh2. Questa quantità ha unruolo di primo piano nello studio del moto convettivo dei layers di fluidoorizzontali (celle di Rayleigh-Bénard).

Abbiamo visto che nei sistemi caratterizzati da convezione libera ad altio bassi numeri di Grashof, la similarità dinamica e termica è assicurata dal-l’uguaglianza di Gr e Pr ; in altre parole l’uguaglianza di questi parametriassicurano la similarità tra due sistemi.

Poiché Gr e Pr bastano ad identificare il sistema, ogni altro parametrocaratteristico sarà funzione di questi: ad esempio abbiamo visto le relazioniRe = f(Gr,Pr) e Pe = f(Gr,Pr) .

Il numero di Grashof ha un ruolo affine a quello di Reynolds nella conve-zione forzata perché indica il tipo di moto da attendersi: Per Gr grandi3 (ePr non troppo piccoli) si ha che le forze d’inerzia ed i fenomeni di avvezionedominano sulle forze viscose e i fenomeni conduttivi; gli effetti di questi ulti-mi saranno confinati in sottili zone dove devono essere verificate le condizionial contorno (i Boundary Layers). All’aumentare del numero di Grashof oltreuna certa soglia avremo transizioni turbolente.

È da puntualizzare che il tipo di moto influenza pesantemente la quan-Numero

di

Nüsselt

tità di calore trasmessa dal fluido: in genere un moto turbolento garantisceun maggior passaggio di calore rispetto ad un moto laminare. Una quantità

3È molto frequente avere Gr grande: ad esempio, per Θ = 1◦C e L = 1cm abbiamoGr ≈ 102 in aria e Gr ≈ 103 in acqua.Part

e

Page 93: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Convezione C.4. Piastra verticale 180

che rende conto del calore che viene trasmesso è il numero di Nüsselt, defi-nito come il rapporto tra il calore totale trasmesso e il calore trasmesso perconduzione.

Nu =< Qtrasmesso >

< Qconduzione >

C.4 Piastra verticale

Vediamo ora l’esempio più semplice di un sistema in convezione libera, unalastra indefinita verticale1 piana avente uniforme Tp immersa in un fluidofermo ed a temperatura T0 < Tp . Questo sistema può essere un modello diprima approssimazione di un dissipatore metallico in aria.

Vicino alla parete il fluido scaldato per conduzione è trascinato verso l’altodalle forze di Bouyancy, quindi a partire dal bordo inferiore della piastrasi instaura un moto ascendente inizialmente laminare, su cui focalizziamola nostra attenzione. Più in alto, quando il numero di Grashof supera unvalore critico, si ha una transizione turbolenta, ed oltre il bordo superiore ilfluido continuerà a salire con una piuma. Con l’approssimazione dei BoundaryLayers pensiamo al moto confinato all’interno di una sottile regione vicinoalla piastra, al di fuori della quale il fluido è con buona approssimazionefermo. Allo stesso modo esisterà un Boundary Layer termico al di fuori delquale il fluido sarà alla temperatura imperturbata T0 .

In figura C.1 nella pagina seguente sono riportati a due diverse quotei profili di velocità e temperatura ottenuti per integrazione numerica delle(C.10). Questi profili non si discostano molto da quelli reali finantoché ilmoto si mantiene laminare.

Al crescere di x aumenta la velocità massima; vediamo in che modo. Sidefinisce ad ogni quota un numero di Grashof locale pari a:

Grx =gα(Tp − T0)x

3

ν2

Ricordando che se Gr è abbastanza grande è Re ∼ Gr12 possiamo stimare

la velocità caratteristica:

U =ν

xRex ∼ ν

xGr

12

x ∝ x12

1Campo gravitazionale uniforme verticale. Data la simmetria il sistema èbidimensionale.Part

e

Page 94: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Convezione C.4. Piastra verticale 181

x

y

Pr ≃ 1

Tp

U0 = 0

δ ∝ x Gr− 1

4x ∝ x

14

umax ∝ x12

u

umax

uumax

x

y

δ ∝ x14

Tp

T0 < Tp

xcrit

Grcrit =gαΘx3

crit

ν2∼ 109

∆T ′

1

∆T ′

1

∆T ′ =∆T

Θ=

T − T0

Tp − T0

Figura C.1: Piastra verticale calda: profili di velocità e temperatura

Ed avremo umax ∝ U . È possibile ora calcolare il flusso di fluido ascendente:∫ y

0

u(y)dy ∼ Uδ ∝ νGr14

x ∝ x34

Consideriamo ora un numero di Prandtl non troppo discosto dall’unità(condizione verificata per i fluidi gassosi) il Boundary Layer di temperaturacoincide con quello di velocità perché il numero di Reynolds e di Péclet sonouguali.

Se pensassimo di aumentare la conducibilità termica del fluido, in mododa diminuire il numero di Prandtl, il calore diffonderebbe più lontano e ilBoundary Layer di temperatura assumerebbe dimensioni maggiori; questocomporterebbe un aumento il Boundary Layer di velocità perché il fluidoriscaldato per conduzione si muove per effetto della Bouyancy.

Se al contrario pensassimo di diminuire la conducibilità termica del fluido,aumentando così Pr , il Boundary Layer di temperatura diventa più sottiledi quello di velocità: il calore diffonde a breve distanza dalla parete, ma ilmoto di questo sottile strato caldo trascina anche il fluido attiguo freddoattraverso gli effetti viscosi.Part

e

Page 95: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

Convezione C.4. Piastra verticale 182

Una sintesi dell’andamento dei profili di velocità e temperatura al variaredi Pr è rappresentata dai grafici in figura C.2, dove in ordinata ci sono legrandezze riscalate u′ e T ′ , mentre in ascissa si pone il comodo parametro

η =(

Grx

4

) 14 y

x.

Si può notare come all’aumentare di Pr il Boundary Layer di tempera-tura diminuisca maggiormente rispetto quello di velocità.

Figura C.2: Profili delle velocità e temperature nel Boundary Layer al variaredel numero di Prandtl

Come già anticipato, salendo verso l’alto il flusso laminare diventa insta-bile e subisce una transizione che dà luogo ad un flusso totalmente turbolento.

È estremamente difficile individuare un valore di Gr per il quale ha iniziola questa transizione, in primo luogo perché il moto è visibilmente alteratosolo dopo una certa lunghezza da cui essa ha effettivamente inizio, inoltreesso varia con Pr ed è molto sensibile ai disturbi. Comunque, per fluidi conPr ∼ 1 , si osserva un flusso sostanzialmente laminare per valori del numerodi Grashof minori di 109 .

Ci sono due meccanismi per cui il Boundary Layer diviene instabile: ilprimo è comune ad altri shear-flow ed è legato all’aumento del numero diReynolds locale, Reδ = Uδ

ν∝ x

34 . Il secondo è strettamente legato alla na-

tura delle forze di Bouyancy, che tendono ad accentuare lo spostamento delvolumetto di fluido dal suo equilibrio dinamico. Questo secondo tipo di in-stabilità parte prima, a quote basse (se Pr non è troppo piccolo), ma siamplifica lentamente, quindi probabilmente solo il primo tipo dà inizio allatransizione, eccetto forse i casi in cui Pr è grande.

La transizione turbolenta è chiaramente visibile nel grafico in figura C.3nella pagina seguente, che rappresenta il legame sperimentale tra il numeroPart

e

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Convezione C.4. Piastra verticale 183

di Nüsselt locale Nux = QxkΘ

( Q è ovviamente il calore trasmesso per unitàdi superficie) in funzione del numero di Rayleigh.

Figura C.3: Numero di Nüsselt al variare del tipo di moto

Notiamo che quando il flusso è laminare i logaritmi sono tra loro propor-zionali, quindi si ha una legge del tipo: Nux ∝ Gr n

x . Talvolta anche la parteturbolenta viene confusa con una retta (avente pendenza maggiore).

Il brusco aumento del numero di Nüsselt per GrxPr ∼ 109 coincide conil passaggio dal regime di moto laminare a quello turbolento.

Un’ultima considerazione: riferendoci alla lunghezza totale della piastra,se il moto non subisce transizioni:

NuL =QT L

kΘ∝ Gr n

L ∝ Θn

Quindi il calore totale scambiato deve aumentare col salto di temperatura se-condo la legge: QT ∝ Θn+1 ; contrariamente alla convezione forzata la leggedi Newton2 non è più valida: il calore scambiato aumenta più che linearmen-te perché la temperatura rende il moto più vigoroso aumentando il caloretrasmesso.

Dal punto di vista pratico in genere si tiene conto dell’effetto complessivodei fenomeni convettivi mediante un’espressione analoga alla legge di Newton,introducendo un coefficiente medio di trasmissione, detto di avvezione, h ,una superficie di scambio S e un salto di temperatura medio:

Q = h S (Ts − Tamb)

2La legge di Newton sulla trasmissione del calore esprime la proporzionalità tra calorescambiato e salto di temperatura.Part

e

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Convezione C.5. Nota conclusiva 184

I valori di h possono essere trovati in letteratura per le configurazionigeometriche più semplici, ottenuti attraverso studi empirici.

Ad esempio per una superficie piana investita da un flusso di fluido divelocità u∞ , considerando la coordinata x parallela al flusso si trova che:

Nux ≡ hxx

k= 0.664 Grx P

13

r , con Grx =

√u∞x

ν

Questa relazione empirica permette di calcolare il coefficiente di avvezionemedio nota la superficie di scambio e le caratteristiche del fluido.

C.5 Nota conclusiva

In questa sezione è possibile apprezzare con quale sforzo e con quali ap-prossimazioni si può costruire un modello teorico che consenta in qualchemodo di leggere e riutilizzare le osservazioni riguardanti i fenomeni convettivi.

Non c’è da stupirsi se tipicamente a livello ingegneristico si tiene conto diquesti fenomeni attraverso modelli piuttosto grossolani, essenzialmente basatisul criterio della situazione peggiore, identificati con misure dirette o attra-verso dati standard raccolti in tabelle. Questo approccio è stato storicamentel’unica soluzione possibile quando non esistevano strumenti per l’integrazionenumerica, ma per un numeroso sottoinsieme di casi rimane tuttora la soluzio-ne più ragionevole proprio perché affinare il modello comporterebbe un onerecomputazionale immotivato: a questo sottoinsieme appartiene questo stes-so lavoro, in cui considerare la non linearità dovuta ai fenomeni convettiviavrebbe significato stravolgere (e complicare non poco) il percorso ottenu-to per ottenere il modello, probabilmente senza ottenere un salto di qualitàapprezzabile (perché in esso convivono diverse grosse approssimazioni).

Bisogna sottolineare che negli ultimi tempi la crescente necessità di margi-ni progettuali ridotti e la disponibilità di elaboratori elettronici con la neces-saria capacità di calcolo hanno dato grande spinta allo sviluppo di prodottisoftware che consentono di ottenere le soluzioni delle (C.7) anche per siste-mi complessi. Questi strumenti sono sempre più perfezionati e il loro uso èsempre più diffuso.Part

e

Page 98: Un metodo per l'identificazione di modelli termici ridotti ...

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