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- 2011/12 Don Franco Mosconi L’APOCALISSE UN MESSAGGIO DI CONSOLAZIONE E LA TEOLOGIA DELLA STORIA UNA PAROLA CRISTO DI CONSOLAZIONE VINCITORE Apocalisse 14,1-5 Apocalisse 19-21 Affi – Villa Elena, 17 marzo 2012

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5° - 2011/12

Don Franco Mosconi

L’APOCALISSE

UN MESSAGGIO DI CONSOLAZIONE E LA TEOLOGIA DELLA STORIA

UNA PAROLA CRISTO DI CONSOLAZIONE VINCITORE Apocalisse 14,1-5 Apocalisse 19-21

Affi – Villa Elena, 17 marzo 2012

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Trasposizione da audio registrazione non rivista dall’autore Nota: La trasposizione è alla lettera, gli errori di composizione, le ripetizioni sono dovuti alla differenza tra la lingua parlata e la lingua scritta. La punteggiatura è posizionata ad orecchio e a libera interpretazione del testo da parte di chi trascrive.

Stampato in proprio ad uso interno

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Don Franco Mosconi Affi, 17 marzo 2012

Preghiamo: Dio solo può dare la fede, ma tu puoi dare la tua testimonianza. Dio solo può dare la speranza, ma tu puoi dare fiducia al tuo prossimo. Dio solo può dare l’amore, ma tu puoi insegnare ad altri ad amare. Dio solo può dare la forza, ma tu puoi ridare coraggio agli sfiduciati. Dio solo è la vita, ma tu puoi indicarla agli altri. Dio solo è la luce, ma tu puoi farla brillare agli occhi di tutti. Dio solo è la vita, ma tu puoi ridare agli altri la voglia di vivere. Dio solo può fare ciò che sembra impossibile, ma tu puoi fare ciò che è possibile. Dio solo basta a se stesso, ma preferisce contare su di te. Amen. Riprendiamo il nostro cammino che va verso l’epilogo; quindi ringraziamo il Signore che ci fa ritrovare di nuovo qui tutti assieme. Questi nostri incontri vogliono essere delle tappe per imparare meglio il Signore, conoscerlo meglio e meglio servire. Ecco un testo che è una specie di parentesi. L’ho chiamato: “UNA PAROLA DI CONSOLAZIONE”

UNA PAROLA DI CONSOLAZIONE (APOCALISSE 14,1-5)

[1] Poi guardai ed ecco l'Agnello ritto sul monte Sion e insieme centoquarantaquattromila persone che recavano scritto sulla fronte il suo nome e il nome del Padre suo. [2] Udii una voce che veniva dal cielo, come un fragore di grandi acque e come un rimbombo di forte tuono. La voce che udii era come quella di suonatori di arpa che si accompagnano nel canto con le loro arpe. [3] Essi cantavano un cantico nuovo davanti al trono e davanti ai quattro esseri viventi e ai vegliardi. E nessuno poteva comprendere quel cantico se non i centoquarantaquattromila, i redenti della terra. [4] Questi non si sono contaminati con donne, sono infatti vergini e seguono l'Agnello dovunque va. Essi sono stati redenti tra gli uomini come primizie per Dio e per l'Agnello. [5] Non fu trovata menzogna sulla loro bocca; sono senza macchia.

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1. IL NUOVO POPOLO DI DIO

L’ultimo brano commentato era quello del drago, delle sue due bestie. Seguiva l’immagine del giudizio di Dio e poi, in mezzo allo scatenamento dei flagelli ultimi, c’è una specie di quadro di riposo, di consolazione, l’immagine dei credenti insieme all’Agnello. Questa immagine ci deve dare sicurezza, speranza; deve servirci anche da verifica del nostro atteggiamento spirituale. É il testo appena letto: c’è una specie di immagine del nuovo popolo di Dio. La prima apparizione è quella dell’Agnello ritto sul monte Sion «ed ecco l'Agnello ritto sul monte Sion», e non ci stupisce più di tanto perché ormai lo conosciamo: è il simbolo del Cristo Vittorioso, del Cristo Risorto. É in piedi, quindi è vittorioso; è sul monte Sion, perché su questo monte era costruita la città santa, la città di Gerusalemme citata dalla Bibbia, il luogo di riunione dei riscattati, dei salvati. Quando infatti gli Ebrei escono dall’Egitto, dalla schiavitù, devono andare verso la libertà, verso la terra promessa: essa è simboleggiata da questo monte Sion che sta al centro della terra promessa ed è il luogo dove i riscattati si ritrovano, si radunano. Noi diciamo: è il luogo della Chiesa, dei riscattati del Signore. Nel libro di Sofonia, cap. 3, c’è questa profezia: In quel giorno non avrai vergogna di tutti i misfatti commessi contro di me, perché allora eliminerò da te tutti i superbi millantatori e tu cesserai di inorgoglirti sopra il mio santo monte. Farò restare in mezzo a te un popolo umile e povero; confiderà nel nome del Signore il resto d'Israele. Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna; non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta. Potranno pascolare e riposare senza che alcuno li molesti. (Sof 3,11-13) Quindi al centro c’è il monte Sion, il luogo su cui è costruita Gerusalemme. Lì il Signore elimina ogni superbo millantatore, tutti quelli che si credono importanti. Su quel monte rimane ad abitare il resto di Israele, cioè quella piccola parte di Israele che rappresenta il suo cuore, la sua realtà ideale, il suo vero significato. E qual è la caratteristica di questo resto?: “un popolo umile e povero”. Mi ha fatto molto pensare questa profezia... Qui siamo nell’Apocalisse, alla fine dei tempi per Giovanni: rimarrà questo popolo umile e povero, tanto da poter confidare solo nel nome del Signore, non in sé stesso, non nella propria forza, non nella propria intelligenza, nemmeno nella propria virtù, ma unicamente nel nome del Signore. Allora questo popolo diventerà un popolo pulito, santificato da lui. Si capisce allora cosa vuol dire il testo: «l'Agnello ritto sul monte Sion e alle centoquarantaquattromila persone che recavano scritto sulla fronte il suo nome e il nome del Padre suo». É il resto di Israele, questo è il nuovo popolo di Dio: umile e povero che riceve la sua vita e la sua gioia dall’Agnello. Alla luce di quanto stavo meditando cioè alla Chiesa come un popolo umile e povero, tanto da poter confidare unicamente nel nome del Signore, mi ha colpito un articolo che ho letto su una piccola rivista “IL

MARGINE”; l’ articolo di un certo Giovanni Colombo che fa parte della redazione. Si dice di una coppia che è andata a Roma durante l’ultimo concistoro: Il 18 febbraio scorso mia moglie ed io abbiamo deciso di andare a vedere di persona com’è la

situazione. Siamo scesi a Roma per partecipare al concistoro. Fra i 22 nuovi cardinali c’è pure lui, il prete che ha celebrato le nozze e battezzato i nostri figli. Quindi non potevamo assolutamente mancare al grande appuntamento.

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Seguono alcune osservazioni di Giovanni Colombo. Intanto la prima domanda che fa è : Perché sono tutti maschi? Metà della basilica è occupata dal Collegio cardinalizio e da molti vescovi. Son tutti maschi. Non è una novità. Ma si può continuare a vivere così? Si può continuare a tenere lontane le donne? (Tralascio il resto).

Perché son tutti vecchi? Anche questa non è una novità. Sono i vecchi quelli che guidano la Chiesa. La vecchiaia è sinonimo di saggezza. (seguono altre considerazioni). Perché son (quasi) tutti grassi? i guardo, i cardinales, guardo i loro corpi. É il loro corpo a parlare più di un’enciclica. Perché sono vestiti così? Certo che camminare vestiti in quella maniera non è mica facile. Premetto che non ho nessuna competenza di paramenti liturgici. [...] Dò per scontato che anche il vestito del papa e dei cardinali siano vestiti d’amore per il nostro Dio e non strumenti per darsi importanza agli occhi del mondo. Ma non basterebbe in questo caso una bella veste bianca di bucato? Perché non risparmiano sulla luce? Il papa sta bene? [...] Certo Benedetto XVI compirà tra poco 85 anni, ha cinque bypass al cuore, ha sulle spalle sette anni di pontificato, quindi è arrivato alla sera del suo lungo giorno. E la sera è fatta per pregare. Se a questo punto il papa diventasse preghiera mollando tutto il resto? Quello che doveva scrivere come teologo l’ha scritto. Quello che doveva dire come pastore l’ha detto. «Silenzio, il papa prega!». Pensate che messaggio spiazzante per questo mondo che si agita con il suo fare sconclusionato. E non ci sarebbe modo migliore per spiegare ai nostri figli che significhi davvero «non di solo pane vive l’uomo». Col pane campiamo. Ma è di ben altro che viviamo. Noi viviamo di quel Vento che ci fa costantemente rinascere. Mi piacerebbe vedere il papa esposto senza sosta al Vento a invocare il rinascimento. «Devi rinascere dall’alto», è una delle più belle parole dette da Gesù nel Vangelo. L’invito rivolto a Nicodemo vale in ogni epoca sia per i singoli sia per la Chiesa intera. Questa Chiesa superaccessoriata e pesante come il marmo è chiamata a perdere potere, sicurezze, abitudini per rinascere leggera, con il volto migliore. E poi, una specie di profezia: Arriverà Francesco I? (Francesco d’Assisi, naturalmente, un futuro Papa) Sì. Dopo tanta preghiera del papa e, modestamente, anche di noi laici, si può star sicuri che arriverà. Sarà lui il volto migliore. Non conosciamo ancora il colore, se bianco o nero. Però conosciamo già il nome. Si chiamerà Francesco. Sarà Francesco I. Il giorno dopo l’elezione, affiderà all’Unesco, quali siti artistici e turistici, i Palazzi Vaticani, metterà in vendita Castel Gandolfo, chiuderà lo Ior affidando i soldi alla Banca popolare etica. Abiterà per lunghi mesi ad Assisi e scenderà a Roma in treno per celebrare i riti principali nella “vera” cattedrale del vescovo di Roma, quella di San Giovanni in Laterano. Molte cerimonie le farà all’aperto, sul Monte Subasio o su colline dove non s’innalza alcun tempio. Inviterà a sedersi rispettosamente sull’erba. A prendersi le mani tra sconosciuti per storie personali, ma ben noti per comune origine. Ad adorare in spirito e verità. Ridurrà la struttura istituzionale al minimo, con una drastica riduzione del terziario ecclesiastico (il Concilio Vaticano II voleva snellire la Corte papale, ma da allora l’Annuario pontificio ha triplicato le sue pagine). Toglierà il celibato obbligatorio: meno ipocrisie. Ordinerà le donne, ma le donne lo vorranno? Non è per

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nulla scontata la loro disponibilità, dovrà riconquistarle. Darà le dimissioni a 80 anni. Abolirà definitivamente i cardinales. D’ora in poi i grandi elettori del papa saranno i rappresentanti delle conferenze episcopali. Scriverà un’unica enciclica dal titolo: In nuditate, Domine. In essa chiederà perdono di tutte le volte che il cattolicesimo è stato potere su coscienze coartate, pretesa di non errare smentita incessantemente dai fatti. Nel testo elencherà i dogmi, le norme morali e i canoni del Codice di diritto canonico da gettare nel biondo Tevere. Tolto il fasullo, tolto l’inutile, Gesù di Nazareth tornerà ad affascinare. Sarà di nuovo possibile incontrarlo e seguirlo. Nudus nudum Christum sequi. Finisce la cerimonia, riusciamo finalmente ad abbracciare il neo-porporato. Felicitazioni vivissime. Volete sapere chi è? No che non parlo, non faccio la talpa, io. E non voglio stroncargli la carriera accomunandolo con un extra-vagante come me. Però, a pensarci bene, più in alto di così dove può arrivare? Non insistete, il cognome non ve lo dico. Ma provate a chiamarlo Francesco e vi risponderà.

Ho letto l’ articolo mentre meditavo questo testo: «resterà un popolo umile e povero». Non voglio commentare ulteriormente ciò che questo signor Colombo ha detto, però mi pare che ci siano delle intuizioni che ci fanno intravedere forse una Chiesa più pulita, più bella, più sullo stile di Gesù di Nazareth che non è morto da imperatore: è morto nudo in croce. Il popolo umile e povero sono quelli, dice il testo, che portano il nome dell’Agnello, il nome del Padre suo. Anche questa è un’immagine tratta dal Primo Testamento. Portare il nome del Signore vuol dire appartenergli, vuol dire avere come identità quella di “Salvato dal Signore”. E c’è un altro testo bellissimo di Geremia: «Se le nostre iniquità testimoniano contro di noi, Signore, agisci per il tuo nome! Certo, sono molte le nostre infedeltà, abbiamo peccato contro di te. O speranza di Israele, suo salvatore al tempo della sventura, perché vuoi essere come un forestiero nel paese e come un viandante che si ferma solo una notte? Perché vuoi essere come un uomo sbigottito, come un forte incapace di aiutare? Eppure tu sei in mezzo a noi, Signore, e noi siamo chiamati con il tuo nome, non abbandonarci!». (Ger 14,7-9) É vero! noi siamo dei peccatori, le nostre iniquità testimoniano contro di noi, non abbiamo nessun diritto, nessuna pretesa. Allora Signore agisci per il tuo nome, devi fare vedere quello che tu sei. E siccome ci consideri tuo popolo, devi salvarci proprio perché si riveli la tua grandezza, la tua misericordia, perché tu non appaia come un uomo sbigottito che non sa che cosa fare. No, Dio non è debole. Dio rimane forte e rimane capace di aiutare a salvare. Tu sei in mezzo a noi, Signore, e il tuo nome è stato invocato sopra di noi, noi siamo chiamati con il tuo nome, non abbandonarci. Geremia affronta questo tema anche in un altro brano: «Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore, perché io portavo il tuo nome, Signore, Dio degli eserciti.»(Ger 15,16) Direi che nel Battesimo ci viene consegnato il nome del Signore, veniamo chiamati con il suo nome, apparteniamo a Lui; il nome del Signore è un sigillo di appartenenza. Col Battesimo, veramente noi apparteniamo al Signore.

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2. RIMANERE CON IL SIGNORE Torniamo al nostro testo: sul monte Sion, insieme all’Agnello, stanno quelli che portano il nome del Signore e che proprio per questo stanno insieme con lui. Si legge: «ecco l'Agnello ritto sul monte Sion e insieme centoquarantaquattromila persone» Centoquarantaquattromila è un numero simbolico, significa il popolo di Dio, infinito, senza limiti (con buona pace di tante sètte che lo vedono un numero chiuso). Tutti stanno con il Signore. Stare con Gesù è la caratteristica del discepolo: naturalmente il discepolo ha da fare tante cose, ma la cosa fondamentale è stare con il Signore, rimanere con Lui. Ritorna in questo testo dell’Apocalisse, l’eco della chiamata dei Dodici, nel Vangelo di Marco: «Chiamò a sé quelli che egli volle perché stessero con lui». «Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto». Si tratta di rimanere, di accompagnare il Signore. 3. IL CANTICO DEI REDENTI Dice il brano: «Udii una voce che veniva dal cielo, come un fragore di grandi acque e come un rimbombo di forte tuono» (cita Ezechiele). Poi riprende e dice: perché dovete sentire negli orecchi un fragore che rimbomba, che rende sordi? «La voce che udii era come quella di suonatori di arpa che si accompagnano nel canto con le loro arpe.» Diventa un canto delicato che non colpisce violentemente, ma entra dolcemente negli orecchi e nel cuore. «Cantavano un cantico nuovo davanti al trono e davanti ai quattro esseri viventi e ai vegliardi». Ricordate? I quattro esseri viventi sono il cosmo, e i vegliardi è tutto il popolo di Dio: è la Storia della Salvezza. «Nessuno poteva comprendere quel cantico se non i centoquarantaquattromila, i redenti della terra». Questa idea del cantico nuovo ricorre spesso nel libro dei Salmi, ma non pensate che un cantico sia nuovo perché sono nuove le parole: è nuovo perché è nuova l’esperienza da cui scaturisce. Secondo la spiritualità biblica, dove Dio opera, l’uomo deve rispondere con la lode. Deve cantare, perché cantare è fondamentale per la spiritualità biblica; cantare con il cuore, anche con la voce, ma cantare è esprimere la riconoscenza profonda del cuore di fronte alle grandi opere di Dio. Quando Dio agisce, tu non puoi rimanere muto, tu devi cantare, devi lodare. Quando Dio compie qualcosa di radicalmente nuovo, il canto deve essere un canto nuovo, grande, che non diventa vecchio col tempo: è il cantico della fine del tempi. “É il canto del Paradiso” diremmo noi. Questi «Cantavano un cantico nuovo». Ma, non è un canto che si impara facilmente, non lo imparano tutti, bensì solo i riscattati lo possono imparare; gli altri rimangono stonati di fronte a questa musica, non riescono a leggerla, ad eseguirla, per loro rimane un po’ incomprensibile. Noi riusciamo a cantare questo canto, noi riusciamo perché siamo dei riscattati, perché portiamo già il suo nome, abbiamo fatto esperienza della misericordia di Dio, abbiamo compreso la sua misericordia e la sua potenza di fronte a tutte le nostre infedeltà, ai nostri limiti. Abbiamo già fatto questa esperienza, siamo in grado di ascoltare, di comprendere e di imparare questo canto.

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E chi sono queste persone? Sono coloro che appartengono al Signore. 4. COLORO CHE APPARTENGONO AL SIGNORE E specifica con una frase: «Questi non si sono contaminati con donne, infatti sono vergini». Dicono i commentatori (e credo sia corretto) che il discorso non è riferito ad una scelta ascetica, non a persone che hanno scelto per ascesi la verginità. In questo contesto la verginità è fondamentalmente spirituale: è l’integrità e la fedeltà della Chiesa che si custodisce immune da ogni contaminazione con l’idolatria del mondo. Cioè la Chiesa è vergine (dovrebbe essere vergine!). L’unico sposo è il suo Signore e non ha altri idoli. Se è Chiesa, e rimane Chiesa, vive la verginità intesa come rifiuto di ogni contaminazione con l’idolatria, rifiuto di ogni contaminazione mondana. E, in quanto Chiesa, contiene vergini e sposati. La Chiesa appartiene al Signore, è consacrata a Lui, quindi é vergine in questo senso. Se vive la sua consacrazione, la sua realtà è quella del distacco dall’idolatria che ha tanti aspetti, che ha tante denominazioni. Se non la vive, perde la sua identità di Chiesa. La Chiesa ha essenzialmente questa fisionomia: povera e umile. É quello che scrive Paolo agli Efesini: Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. (Ef 5). L’ottica è questa: la Chiesa si contrappone alla mondanizzazione in senso negativo, cioè al- l’idolatria. É chiaro che la Chiesa deve innestarsi nel mondo, ma ricordando che Gesù l’ha voluta “Nel mondo ma non del mondo”. La Chiesa deve inculturarsi, deve tradurre il Vangelo che possiede in comportamenti, in pensieri, anche in strutture che nei loro limiti devono però tentare di esprimere la novità, la bellezza del Vangelo e della carità. Quindi la Chiesa deve rimanere immune da quella contaminazione mondana che è la contaminazione con gli idoli del mondo. Pensiamo ai vari poteri, dal denaro a tutti i suoi corollari. Questa è una prima grande immagine che emerge dal brano. É vero che non si parla di verginità come scelta ascetica concreta, ma si parla della Chiesa nel suo complesso. Quindi in coloro che stanno accanto all’Agnello sono compresi celibi e sposati: ci sono tutti. La verginità riguarda solo la Chiesa globale che non è connessa con gli idoli. É però significativo che l’immagine sia quella della verginità, perché vuol dire che la verginità, come stato di vita, esprime in modo speciale quella identità che è di tutta la Chiesa, quella consacrazione totale al Signore che è di tutti, a partire dal Battesimo, che si esprime in questo stato di verginità. La Chiesa nel suo complesso si rispecchia nella scelta della verginità; se questa scelta è vissuta, esprime la consacrazione e la Chiesa ci si ritrova. Per questo il carisma della verginità ha un’ importanza determinante nella identità, nell’equilibrio della Chiesa. Nella Chiesa ci sono vergini e sposati, e il senso della verginità serve a questo richiamo; così anche il matrimonio ha i suoi richiami: la fedeltà, il primato dell’amore, eccetera. 5. INTIMAMENTE UNITI AL SIGNORE «Seguono l’Agnello dovunque vada» Hanno lo stesso destino, sono ormai inseparabili, c’è una solidarietà di amore che indissolubilmente li lega: dovunque vada l’Agnello, essi lo seguono.

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Riprendo alcuni brani per allargare la riflessione. Vangelo di Giovanni cap 1: si parla dei due discepoli del Battista che vedono passare Gesù e sentono il loro maestro dire: «Ecco l'agnello di Dio!» E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbi, dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio». «Andarono» e «si fermarono». Sono andati a stare con lui, hanno accettato questo legame di appartenenza a lui. Da quel momento in poi lo seguono dovunque vada. Infatti, il tema della sequela che è all’inizio del Vangelo, si trova esattamente anche Gv 21: è un brano stupendo in cui Pietro deve rinnovare la sua promessa di amore dopo aver rinnegato il Signore: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». E fin qui gli viene dato un compito, una missione. Poi continua: In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: «Seguimi». «Seguimi» : Tutti dobbiamo in qualche modo seguire l’Agnello ovunque vada. «Seguimi» : vuol dire che Pietro deve fare da pastore ma, soprattutto, dovrà arrivare a dare la vita per il Signore. «Un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi»: Pietro servirà il Signore governando il gregge, ma servirà il Signore ancora di più seguendolo nel cammino della passione. É interessante nel Vangelo di Giovanni questo discorso della sequela, perché Pietro l’aveva capito anche durante l’ultima cena quando Gesù annuncia che se ne deve andare : «Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non mi abbia rinnegato tre volte». Pietro vorrebbe seguire Gesù, ma non può. In realtà, andandogli dietro, non farà altro che rinnegarlo per tre volte. Adesso è Gesù stesso che gli dice: «Seguimi». Prima gli aveva detto: «Ora tu non puoi seguirmi». Ora gli dice: «Seguimi» e Pietro potrà farlo. Perché prima no e adesso sì? E’ diventato più forte di carattere? Certamente no! Semplicemente perché di mezzo c’è stata la morte di Gesù: è la morte che dona a Pietro la capacità di seguirlo fino alla morte. Quella capacità di seguire, di andare dove va l’Agnello, i redenti non ce l’hanno per forza propria, ma per forza derivata, ricevuta per dono, per grazia. É l’amore con cui ci ama il Signore, quello che ci lega a lui, che suscita anche il nostro amore di risposta, il nostro amore di appartenenza. Praticamente noi da soli non possiamo: è Lui che ce ne rende “capaci”. C’è un ritratto semplicissimo dei redenti,ma ricco di conseguenze: sono quelli che seguono l’Agnello ovunque vada. Prima era detto che le nazioni della terra andavano dietro alla bestia, ammirate per la sua grandezza.

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Si tratta di scegliere: o seguire la bestia quindi il potere, la forza che viene riconosciuta come invincibile, o seguire l’Agnello che affascina non tanto per una forza materiale, ma per la forza del suo amore, perché è come sgozzato, cioè ha amato fino a dare la vita. Naturalmente il discorso della sequela dell’Agnello ha una serie di riferimenti biblici. Quando Paolo dice: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me». Qui appare la medesima affermazione dell’appartenenza. Anche nella lettera ai Romani: «Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi». (Rm 14). Sono tutte affermazioni dell’appartenenza al Signore. 6. FRUTTI PREZIOSI DELLA REDENZIONE «Essi sono stati redenti tra gli uomini come primizie per Dio e per l'Agnello». É importante il fatto di essere «primizie per Dio e per l'Agnello». Primizia è naturalmente Israele nel Primo Testamento. E c’è un brano di Geremia che dovremmo veramente imparare a memoria: «Mi ricordo di te, dell'affetto della tua giovinezza, dell'amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata. Israele era cosa sacra al Signore,la primizia del suo raccolto;quanti ne mangiavano dovevano pagarla,la sventura si abbatteva su di loro. Oracolo del Signore». (Ger 2) Dunque voi siete la primizia del Signore, la primizia del raccolto del Signore, egli vi ha raccolto con amore, gli appartenete, e se qualcuno osasse alzare la mano contro di voi, il Signore vi proteggerebbe e castigherebbe violentemente questi bestemmiatori e sacrileghi. Sacrileghi perché voi siete cosa sacra, appartenete al Signore come cosa sacra. Questa è una espressione di un rapporto di amore, di fidanzamento. «Mi ricordo di te, dell'affetto della tua giovinezza, dell'amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata». Una terra non seminata, dal punto di vista esterno, non è ancora un bel paesaggio: è una terra aspra, difficile. Se uno è innamorato, anche il deserto diventa bello, perché basta che ci sia la presenza del Signore perché tutto possa essere trasformato. 7. INDIVISI NEL CUORE Un’altra espressione definisce questi redenti, la Chiesa che si sta delineando:

«Non fu trovata menzogna sulla loro bocca; sono senza macchia». «Menzogna» bisogna riferirlo non esclusivamente all’ottavo comandamento “NON DIRE BUGIE”, ma soprattutto alla menzogna che è idolatria. Siccome gli idoli sono niente, quello che gli idoli promettono è menzogna, è falso. Quando il denaro promette la felicità, la beatitudine, la realizzazione della vita, è menzognero: il denaro non è capace di fare questo! Dal punto di vista della verità dell’uomo il denaro è nulla. E quando l’uomo dà retta al denaro, si lascia illudere da ciò che è solo apparenza.

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Con questo non si vuol dire che il denaro non abbia il suo valore a livello dell’economia, ma vuol dire che quando il denaro si presenta come il senso della vita è una menzogna. Mi è capitato qualche giorno fa di incontrare una persona pubblica, una di quelle persone che avevano un certo potere, ma che poi ha avuto anche citazioni di garanzia. Ora è fuori dalla vita pubblica e mi ha raccontato che è tornato a leggere il Qoelet. Dice: “E’ l’autore che ha capito tutto quando dice che tutto è vanità. Tutto è vuoto! Un infinito vuoto, un infinito niente!”. Quest’uomo, il Qoelet, si è affannato per realizzare il più possibile , dice di non essersi negato niente di quello che gli occhi desideravano, ma alla fine si volta indietro, fa il bilancio e dice: «É niente, è come un inseguire il vento, prova a prenderlo se ci riesci, lo afferri nella mano e ti rimane vento, niente». Il senso dell’idolatria è questo. Non è che il mondo sia niente, il mondo è una meraviglia, è stupendo, ma quando viene inteso come quello che dà senso alla vita dell’uomo, si sbriciola, diventa vento. Bisogna contare su qualcosa di più solido che non il denaro o la bella figura, o la realizzazione economica e sociale, o altre cose di questo genere: tutto ha un certo valore, ma non il senso della vita. Quindi la menzogna vuol dire questo inganno sul senso della vita, impedendo la libertà dalla idolatria. Si può richiamare a questo proposito la lettera ai Romani, quando Paolo dice che invece di adorare il Creatore si adora la creatura:

«Sono inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato la gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa».

8. NON VUOTI, MA PIENI DEL DONO DI DIO Infine, leggiamo che «Sono senza macchia». É una visione, una parentesi: questi cinque versetti vogliono dare una identità, una definizione della Chiesa. Nell’inno agli Efesini si dice: «Benedetto sia Dio, Padre del Signor nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo, in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità». Che cosa vuol dire «Sono senza macchia»? Abbiamo una vocazione alla santità, all’immacolatezza (per essere santi e immacolati) non solo davanti al mondo, ma «santi e immacolati al suo cospetto» davanti a Dio. La questione è molto diversa! Dio (si suol dire) ha gli occhi così puri che non può vedere il male, non può guardare l’iniquità. Allora questa è una santità autentica, non semplicemente di facciata; è una immacolatezza autentica. Questa è la nostra vocazione. Questo siamo non per capacità particolare, da parte nostra s’intende, ma per grazia di Dio. Dice la lettera agli Efesini «In lui ci ha scelti». In Lui: è una scelta del Padre che si compie nella nostra vita, in Cristo e solo in Cristo. Quindi la nostra santità è una santità ricevuta da lui come un dono, non è una costruzione che abbiamo fatto autonomamente. La santità è puro dono della grazia di Dio, della quale, quindi, noi non ci possiamo vantare, ma della quale dobbiamo semplicemente rendere grazie.

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Dietro a questo modo di esprimersi c’è anche testo del Levitico, dove si dice che quando si fanno dei sacrifici, bisogna offrire degli animali senza macchia. Se un animale è zoppo o ha un qualunque difetto, non può essere offerto a Dio perché sarebbe come offrirgli qualcosa di non integro. Questo discorso del Levitico ci riguarda, solo perché fa riferimento a quel sacrificio vivo, santo, gradito a Dio che voi dovete essere e che potete essere solo se siete senza macchia: integri! Termino con un versetto della lettera di Pietro: «Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia» Voi siete stati liberati dalla condotta vana, vuota del peccato. Come siete stati liberati? Con il sangue prezioso di Cristo, non con l’oro e l’argento. Perché la santità non si può comprare, non è un look che si può alterare con un lifting. La santità è un dono della grazia, è un dono del sangue prezioso di Cristo, è una trasformazione del cuore che può avvenire unicamente grazie a quella ricchezza di vita che sta nella passione del Signore. 9. RITRATTO DELLA CHIESA TERRENA Infine la sintesi dei cinque versetti:

Il ritratto della Chiesa terrena. I cinque versetti commentati vanno intesi come il ritratto della Chiesa terrena; - povera e umile-; il ritratto delle comunità cristiane: in fondo il nostro ritratto, in quanto anche nella Chiesa terrena si esprime il mistero della Chiesa celeste. Nella nostra vita ci portiamo dietro una serie di limiti, di mancanze, ma sono presenti anche le realtà che ricordiamo e che dobbiamo verificare e custodire:

o Stare con l’Agnello portando il suo nome, quindi la consacrazione a Lui. E qui emerge per tutti il nostro Battesimo: stiamo rivedendo questo ritratto della Chiesa terrena, questa appartenenza al Signore che si realizza con il Battesimo.

o Saper cantare il canto nuovo che è il canto dei redenti. Cioè avere il cuore che canta per quello

che Dio ha compiuto; saper lodare, ringraziare il Signore per tutte le meraviglie che continua a compiere dentro e fuori di noi.

o La verginità intesa come integrità, fedeltà al Signore, senza macchia, senza idolatrie. o Seguire l’Agnello dovunque va: nella vita quotidiana dove il Signore ci porta. o Essere per il Signore come primizie che appartengono a lui, che vivono per lui, unicamente per

lui. o Essere senza menzogna, senza macchia, nel senso del rifiuto di ogni idolatria, di ogni

contaminazione mondana. Noi siamo nel mondo ma non del mondo. In questo siamo chiamati a contemplare una visione così riposante della Chiesa. Questa è una bella immagine come visione, tanto più significativa perché è posta dopo i flagelli - nei capitoli precedenti c’erano le bestie, i flagelli, un contesto piuttosto aspro-. Qui abbiamo una visione più riposante, più gioiosa.

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É una piccola parentesi da contemplare, ma soprattutto da far entrare nella nostra vita: dobbiamo misurarci con questo modello di Chiesa. Vi preciso subito che sarebbe interessante leggere l’altra parte del capitolo 14, ma salteremo alcuni capitoli: dal 15 al 18, dove ci sono gli ultimi flagelli e dove c’è l’annuncio della caduta di Babilonia. Se volete leggere qualcosa di affascinante dal punto di vista spirituale, meditate il capitolo 18: è caduta Babilonia la grande, è diventata covo di demoni, carcere di ogni spirito immondo, carcere di ogni uccello impuro!

CRISTO VINCITORE (APOCALISSE 19-21)

Riprendiamo con il cap. 19-20-21 e andiamo verso l’epilogo. Come vi dicevo, omettiamo i capitoli dal 15 al 18 dove viene annunciata la distruzione di Babilonia, la città dell’orgoglio, del lusso, la città dell’autosufficienza, dell’affermazione di sé senza limiti. Questa città è stata annientata in modo definitivo e irrecuperabile. Dal capitolo 19 fino al 21 c’è la visione finale che presenta la vittoria definiva di Cristo ed è la promessa che l’Apocalisse fa ai suoi ascoltatori e lettori. E la promessa si esprime in questo modo:

APOCALISSE 19

[1]Dopo ciò, udii come una voce potente di una folla immensa nel cielo che diceva: "Alleluia! Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio; [2]perché veri e giusti sono i suoi giudizi, egli ha condannato la grande meretrice che corrompeva la terra con la sua prostituzione, vendicando su di lei il sangue dei suoi servi!". [3]E per la seconda volta dissero: "Alleluia! Il suo fumo sale nei secoli dei secoli!". [4]Allora i ventiquattro vegliardi e i quattro esseri viventi si prostrarono e adorarono Dio, seduto sul trono, dicendo: "Amen, alleluia". [5]Partì dal trono una voce che diceva: "Lodate il nostro Dio, voi tutti, suoi servi, voi che lo temete, piccoli e grandi!". [6]Udii poi come una voce di una immensa folla simile a fragore di grandi acque e a rombo di tuoni possenti, che gridavano: "Alleluia. Ha preso possesso del suo regno il Signore, il nostro Dio, l'Onnipotente.

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[7]Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché son giunte le nozze dell'Agnello; la sua sposa è pronta, [8]le hanno dato una veste di lino puro splendente". (la veste di lino sono le opere giuste dei santi) [9]Allora l'angelo mi disse: "Scrivi: Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello!". Poi aggiunse: "Queste sono parole veraci di Dio". 1. UN RAPPORTO SPONSALE Il compimento della storia (questo aspetto ci tocca da vicino) è visto da San Giovanni sotto l’immagine dello sposalizio, cioè la storia tende ad una comunione d’amore tra Dio e gli uomini. Una comunione d’amore così totale e intima che può essere espressa solo dal simbolo fondamentale del matrimonio: «le nozze dell’Agnello». É molto bello che la Scrittura prenda come modello, come simbolo, le nozze. «Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello!». Sono parole che sono ormai entrate nel nostro patrimonio di memoria spirituale, perché ci riconducono continuamente a quella unione con Dio che è l’Eucarestia, il cui contenuto è proprio la comunione con lui. Poi appare Cristo come ultimo giudice (vv. 15 e 16): [15]Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le genti. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell'ira furiosa del Dio onnipotente. 16]Un nome porta scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori. Il cavaliere ha un mantello intriso di sangue: è un richiamo alla passione e alla morte del Signore. Il suo nome è “Verbo di Dio” . «Porta un nome sul mantello e sul femore». cioè su quella parte del mantello che appoggia sulla spalla e sulla gamba. Porta scritto: «Re dei re e Signore dei signori». Questo è uno dei tanti titoli cristologici dell’Apocalisse. Tra i libri del NT credo che l’Apocalisse sia quello che abbia la maggior abbondanza di titoli cristologici, cioè di espressioni che riassumono l’identità di Gesù. E fra le tante c’è questa: «Re dei re e Signore dei signori» che è un’affermazione potente, se si pensa a cos’era un Re o un Signore, nel contesto culturale dell’impero Romano d’Occidente quando Giovanni scrive. Questo cavaliere, che opera rapidissimamente il giudizio, si manifesta nel capitolo 20. Viene raccontata la rivolta delle nazioni e il fallimento di questa rivolta. E il brano che ci interessa è la conclusione che trovate nei primi versetti del capitolo 21.

APOCALISSE 21

[1]Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. [2]Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.

[3]Udii allora una voce potente che usciva dal trono:

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"Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro".

[4]E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate".

[5]E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose"; e soggiunse: "Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci.

É un testo veramente mirabile! 2. QUALE SPERANZA? Questo brano è uno dei testi da imparare a memoria. É un testo veramente ricco di speranza! Perché imparare a memoria? Vi spiego il perché. Quando mi veniva alla mente questo brano, pensavo a uno dei filosofi che tutti conoscono, che abbiamo studiato a scuola: Kant, il quale diceva che ci sono tre domande fondamentali che l’uomo non può eludere e alle quali deve cercare di rispondere:

che cosa possiamo sapere? che cosa dobbiamo fare? che cosa possiamo sperare?

Sembra dire: l’uomo si definisce dalla sua speranza. Si potrebbe dire: dimmi in cosa speri e ti dirò chi sei. Se uno spera di vincere al superenalotto, si capisce che tipo di persona è. Se uno spera nella carriera, definisce anche il suo comportamento, il suo atteggiamento nei confronti degli altri, e a volte nei confronti anche della famiglia. Che cosa possiamo sperare? Dal punto di vista cristiano, quello che possiamo sperare è quello che abbiamo letto nei versetti precedenti prendendoli naturalmente non come una descrizione di cronaca del futuro, ma come serie di immagini. Cioè la speranza procede per immagini, per espressioni che allargano il cuore e che trascinano il comportamento verso una certa direzione. E questo è uno dei brani più significativi, se uno vuol capire la speranza cristiana. Iniziamo a commentarlo. 3. CIELI NUOVI E TERRA NUOVA Una prima immagine:

«Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più.»

Che cosa voglia dire l’Apocalisse con questa espressione, bisogna cercarlo cominciando da Isaia (l’Apocalisse riprende una serie di testi di Isaia). É impossibile capire l’Apocalisse se uno non ha letto i profeti, il libro dell’Esodo, perché in filigrana la carta su cui è scritta l’Apocalisse è proprio l’ A.T. In Isaia 65 noi leggiamo: «Ecco io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, e farò di Gerusalemme una gioia,del suo popolo un gaudio. Io esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo. Non si udranno più in essa voci di pianto, grida di angoscia. Non ci sarà più un bimbo che viva solo

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pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza; poiché il più giovane morirà a cento anni e chi non raggiunge i cento anni sarà considerato maledetto.» (Is 65,17-20) Si capisce il legame con l’Apocalisse. Una creazione nuova: è gioia, è lo stupore di Dio, il gaudio di Dio, qualcosa di cui Dio può esultare dove non ci sono più grida di pianto e di angoscia. Naturalmente il mondo attuale lo ha creato Dio, ma il mondo attuale ha qualche cosa che non corrisponde al progetto di Dio: ci sono delle realtà, che sono entrate nella storia dell’uomo e del mondo, che non corrispondono al progetto iniziale di Dio. Certamente il mondo è buono, Dio lo approva, però ci sono anche realtà che hanno bisogno di novità, per cui non viene cancellato il cielo ma c’è «un cielo nuovo»; non si tratta di eliminare la terra, ma di fare «una terra nuova». Il fatto invece che il mare è sparito, che il mare venga tolto, deriva dal valore simbolico del male. Il mare è il simbolo del caos, di quelle forze che sono ostili all’uomo. Pensate al Mar Rosso, ai draghi che abitano nel mare secondo la concezione Israelita. Quindi si tratta di creare un mondo dove non ci saranno realtà caotiche e di disturbo che rovinano il resto. E poi la Gerusalemme celeste. 4. LA GERUSALEMME CELESTE In questi «Cieli nuovi e una terra nuova» :

«Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo»

É significativo che l’immagine della speranza sia una città e non un’oasi, anche se uno potrebbe sognare benissimo una bella oasi con l’erba fresca, l’acqua dove potersi dissetare, fare il bagno. L’immagine della speranza è una città, è un luogo dove la gente è insieme, dove c’è una comunità. Sembra dire: la città dovrebbe essere una comunità. Non si tratta di trovare il proprio eremo isolato, perché la nostra speranza è trovare una comunione vera e nuova fra gli uomini, rappresentata da una città. La nuova Gerusalemme scende dal cielo, per dire che non è la Babilonia che gli uomini hanno costruito, cioè la torre di Babele. Questa città scende da Dio, esce dal suo cuore, dal suo amore, dalla sua intenzione, dalla sua volontà: è iniziativa della grazia di Dio. Naturalmente è una Gerusalemme che ha qualche cosa a che fare con la città umana, ma viene da Dio, è grazia di Dio. E qui c’è una concezione tipicamente cristiana. Con l’illuminismo, nel 1700, c’era un’idea di un progresso: le sorti dell’umanità attraverso il progresso diventeranno sempre migliori. Si immaginava che la storia umana fosse un miglioramento di crescita continua e il traguardo di questo cammino sarebbe stato la felicità per tutti. Tutto quello che di male c’è adesso nel mondo è dovuto semplicemente alla mancanza di progresso: quando il progresso sarà realizzato, allora avremo la felicità. Naturalmente questa visione un po’ ingenua ha fatto fallimento: non è affatto vero che il cammino dell’uomo è un cammino progressivo verso la gioia, verso la libertà, perché quando l’uomo procede, certamente può anche crescere nella gioia, ma può anche crescere nel dolore, nella sofferenza; può creare degli strumenti di pace e degli strumenti di guerra. Non c’è un meccanismo che garantisca un futuro felice.

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Il traguardo, da un punto di vista cristiano, non è il risultato solo del cammino dell’uomo; assieme al cammino dell’uomo c’è soprattutto la grazia di Dio. L’illuminismo questo lo aveva emarginato, lo aveva dimenticato. Quello che la Bibbia vuol dire è che l’uomo non riesce a diventare uomo senza Dio. Per diventarlo, l’uomo ha bisogno della natura, delle cose da conoscere e da usare, ha bisogno degli altri per dialogare altrimenti non è un uomo, perché senza altre persone intorno non diventa nemmeno uomo: è il contatto con gli altri uomini che umanizza. Ma, per diventare veramente uomo, l’uomo ha bisogno di Dio: questo lo apre alla pienezza del dono di sé, alla pienezza dell’amore, alla pienezza della condivisione, della solidarietà, altrimenti l’uomo non se la caverebbe da solo. La Gerusalemme celeste, questa comunione perfetta degli uomini, è comunione degli uomini che avviene come grazia di Dio. Si, chiede tutto, anche lo sforzo degli uomini, ciascuno ci mette il suo e Dio aggiunge la sua grazia, e questa crea veramente la novità, la pienezza. «Pronta come una sposa adorna per il suo sposo». Richiama il tema biblico dell’alleanza. Il rapporto tra Dio e Israele è un rapporto di amicizia, di alleanza: «Io sono il vostro Dio, voi siete il mio popolo», ed è la formula del Cantico dei Cantici «Il mio diletto è per me e io per lui» (Ct 2,16). Sembra dire: Non ho bisogno di preoccuparmi troppo di me, perché ci pensa il Signore alla mia vita. É al Signore che è affidata la mia salvezza, quindi non tocca a me preoccuparmene più di tanto. Io devo preoccuparmi della gloria del Signore perché vivo per lui, per lui respiro, per lui cammino. Questo scambio è lo scambio tipicamente matrimoniale. Nel matrimonio, quando funziona bene, ciascuno vive per la gioia dell’altro, e ciascuno è preoccupato della vita e del bene dell’altro; ciascuno dice all’altro: “è bello che tu ci sia, mi interessa che tu ci sia, che tu sia felice”. Nel rapporto con il Signore l’alleanza è proprio questa. Si può esprimere con tante immagini, ma non a caso la Scrittura, la parola di Dio più bella è quella dello sposo e della sposa, è quella del Cantico dei Cantici. Il nostro contenuto di speranza è proprio il rapporto sponsale con Dio. Quindi la dimensione della sponsalità va tenuta presente, perché è fondamentale nella concezione cristiana della vita religiosa. 5. DIO IN MEZZO A NOI Udii allora una voce potente che usciva dal trono: "Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro". «La dimora di Dio con gli uomini» è uno dei temi essenziali del Primo Testamento. Quando Israele è uscito dall’Egitto, come popolo in cammino, in mezzo all’accampamento di Israele c’era il tabernacolo, la tenda di Dio. Quando Israele da popolo nomade diventa un popolo sedentario nella Terra di Canaan, il tabernacolo è diventato un tempio di pietra, una costruzione permanente. Il tempio è evidentemente un mistero; non è un edificio di pietra, ma è una presenza, è la misteriosa presenza di Dio in mezzo al suo popolo; è il segno che Dio ci considera così tanto da abitare in mezzo a noi.

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Naturalmente il tempio non può contenere Dio, neanche il cielo è capace di contenere Dio, neanche «I cieli dei cieli» dice Salomone nella sua preghiera, ma il Signore ha scelto di abitare nella nube, ha scelto di incontrare gli uomini in un luogo, per cui nel tempio si incontra veramente Dio. Ma questo discorso del tempio, ha il suo culmine nel tema della Incarnazione: Gesù alla fine sarà il vero tempio. Dio abita in mezzo agli uomini nel tabernacolo, nella tenda, ma addirittura Dio abita in mezzo agli uomini nella umanità di Gesù. L’umanità di Gesù è il vero pieno tempio di Dio, perché quell’umanità è l’umanità di Dio, la sua persona è una persona Divina. Quello che noi vediamo è Gesù di Nazareth, quello che noi vediamo è Dio in Gesù di Nazareth, è la gloria di Dio in Gesù: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;e noi vedemmo la sua gloria». Il senso dell’Incarnazione è il cambiamento della storia in modo che la vita di tutti gli uomini venga trasformata in abitazione di Dio. L’umanità di Gesù, cioè il corpo di Cristo, tende ad allargarsi, a coinvolgere in sé l’umanità intera, a trasformare il cosmo intero. Allora al termine :

«"Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro"»

Leggiamo queste cose perché questo è l’epilogo della storia, l’epilogo dell’Apocalisse. Qui bisognerebbe tener sempre presente alcuni testi che presentavano già questa novità della Gerusalemme trasfigurata da Dio. Per esempio Isaia, cap. 54,4-5: «Non temere, perché non dovrai più arrossire; non vergognarti, perché non sarai più disonorata; anzi, dimenticherai la vergogna della tua giovinezza e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza. Poiché tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo di Israele, è chiamato Dio di tutta la terra.» «Non dovrai più arrossire». Nella concezione biblica arrossire vuol dire rimanere deluso di qualche cosa in cui si aveva posta la propria fiducia, non è l’arrossire da un punto di vista psicologico. Quando uno colloca la sua fiducia nel denaro, alla fine dovrà arrossire perché ha sbagliato, ha rovinato tutto, ha perso tutto. Arrossire vuol dire essere deluso nelle aspettative, aver sognato ma che il sogno è miseramente infranto. La condizione dell’uomo è la condizione di chi è costretto ad arrossire perché incontra tali e tante delusioni nella sua vita da essere obbligato a emettere dichiarazione di fallimento. L’ultima evidentemente è la morte “devi morire”: è il fallimento totale, i tuoi progetti falliscono, dovrai arrossire. Qui dice Isaia: «No, non dovrai più arrossire, non temere; non vergognarti, non sarai più disonorata; anzi dimenticherai la vergogna della tua giovinezza e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza. Poiché tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome». Quindi sei redento da uno sposo. E’ il rapporto con questo Sposo che ti dà sicurezza, che ti dà forza, che dà senso alle tue esperienze. Ancora Isaia 61, un altro testo che entra in questa visione:

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«Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli. Poiché come la terra produce la vegetazione e come un giardino fa germogliare i semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutti i popoli.» Anche queste frasi sono da imparare a memoria, perché allargano il cuore, ne abbiamo bisogno, fanno da antidoto a tante tristezze, ai nostri avvilimenti

«Io gioisco pienamente [...] Dio mi ha rivestito delle vesti di salvezza». Hanno un valore antidepressivo dal punto di vista anche spirituale: ci permettono di ritrovare una fiducia e una speranza in ogni situazione. «Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio»: guardate che è parola di Dio! La salvezza e la giustizia sono doni del Signore, li ha fatti lui e li ha compiuti in Gesù Cristo. Non sono i miei meriti nei quali si possono avere grandi perplessità: questo fa parte proprio della grazia di Dio! (leggere anche Isaia 62,4-6). 6. PRONTI PER IL SIGNORE Allora la sposa scende dal cielo: «Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo». Vuol dire che si è preparata, si è abbigliata, si è fatta bella: «la sua sposa è pronta, le hanno dato una veste di lino puro splendente» Questo è l’abbigliamento della sposa: «lino puro splendente» La veste di lino sono le opere giuste dei santi. Ecco come si è presentata la sposa: con le opere di giustizia, le opere di carità. Vuol dire che la storia è come una preparazione dell’abito di nozze della Chiesa. É un abito bello, ricco, forse ci vuole anche molto tempo a tesserlo, a cucirlo, a ornarlo; ci vuole tutto il tempo della storia attraverso i secoli, i millenni: pian piano questo vestito viene tessuto con le buone opere, con le opere dei santi. Il testo dice «le hanno dato una veste di lino puro splendente». Vuole annunciare che queste sono il dono della grazia di Dio. Sono state date: non le ha fatte l’uomo, sono grazia di Dio. Forza dell’uomo nello stesso tempo. É dono e impegno nostro. É un tema che verrà considerato anche altre volte: Lui ci permette di fare. A volte facciamo fatica a capirlo completamente, perché noi partiamo dalla convinzione che è roba nostra; invece nella concezione biblica è roba nostra e di Dio nello stesso tempo. Dio ci dona di fare liberamente le opere buone. Bisogna entrare in questo modo di vedere le cose: Dio ci permette, Dio ci dona, ci dà la grazia di fare liberamente anche le cose buone. Ai Filippesi dice Paolo: «È Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni» (Fil 2,13). Quindi il volere e l’operare è vostro ma è Dio che lo suscita; è azione libera dell’uomo ma è grazia di Dio. La sposa si prepara con le opere buone che le vengono date da Dio, che Dio le dà di compiere. Viene eliminata la tristezza e lo sposo asciuga le lacrime sul volto della sposa: «E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte,

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né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate".» Interroghiamoci: Stiamo leggendo delle favole o ci crediamo davvero? Sembra dire: guardate che la morte non fa parte del progetto di Dio, Dio non ama la morte; Dio è il Dio della vita, e la sua volontà è che l’uomo viva. Su questo non ci sono perplessità, non ci devono essere perplessità. Pensate a quel bellissimo brano della Sapienza11:

«Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l'esistenza; le creature del mondo sono sane, in esse non c'è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra, perché la giustizia è immortale». Poi : «Tu risparmi tutte le cose, perché tutte son tue, Signore, amante della vita».

La morte, che segna negativamente l’esistenza dell’uomo e che non corrisponde al progetto di Dio, viene ingoiata. Ingoiare è un’immagine che viene ancora da Isaia, capitolo 25, uno dei capitoli che sta alla base del nostro testo dell’Apocalisse: dove troviamo l’immagine della morte ingoiata. Si capisce che si parte dalla concezione che avevano gli antichi della morte come di una gola vorace che non si sazia mai, per cui ogni giorno ingoia centinaia e migliaia di uomini, ma non diventa sazia, e tutti i giorni torna ad ingoiarne altri: è una gola vorace. La morte sarà ingoiata «Tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate» La morte sarà ingoiata C’è qualcosa di più grande della morte che la ingoia, che annienta la morte stessa. Come la morte annienta i viventi, così ci sarà qualcosa che annienterà lei, per cui la vittoria finale possa essere la vittoria della vita. 7. LA PROMESSA DI DIO v.5: «Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose";

e soggiunse: "Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci» Questa citazione ci spiega che quello che abbiamo letto non è un sogno illusorio di qualcuno, ma è la promessa di Dio. Ha gli aspetti del sogno tanto è bella, ma ha la solidità della parola di Dio. perché viene da lui, è promessa da lui. É chiaro che di questa promessa uno deve fidarsi. Non si ha una garanzia matematica del risultato delle parole dette, perché dipendono da chi le pronuncia, dalla sua libertà, dalla sua capacità. Questa si presenta come la promessa di Dio: «E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose";

e soggiunse: "Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci». «Sono certe e veraci» É come se il sigillo su queste parole fosse messo da Dio stesso; anzi, viene proprio messo da lui perché continua:

[6]Ecco sono compiute! Io sono l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine. A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita. [7]Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio.

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«Io sono l’Alfa e l’Omega il Principio e la Fine»: è la firma di Dio messa su queste parole di speranza, che qui riprendono tutta la loro forza. «A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita»: c’è dunque una ricchezza di vita che Dio mette a nostra disposizione e a cui noi dobbiamo affrettarci a bere, ad attingere. Il senso della nostra vita è aver ferma questa speranza, camminare incontro ad essa. Occorre abbandonare il passato alle spalle, non attaccarci ad esso, ma essere disponibili per quel futuro che viene da Lui, per quella promessa che viene da Lui. É vero che camminare verso il futuro significa sopportare anche l’incertezza del pellegrino, ma quello che viene messo davanti ai nostri occhi è un cammino preciso, orientato da uno che ha detto: «Io sono l’Alfa e l’Omega il Principio e la Fine». Qualcuno dice che la figura dell’uomo contemporaneo è quella del vagabondo, cioè di una persona che non ha una casa fissa, che si muove sempre, ma non sa dove va. C’è un dialogo un po’ allucinante di Kafka: “Dove vai Signore?” “Vado via di qui” “Allora andrai da qualche parte” “Certamente che vado da qualche parte” “Dove?” “Via”. Il passo ci presenta l’immagine dell’uomo di oggi, che non è mai contento di dov’è, ha sempre bisogno di muoversi ma non sa dove andare; non ha nessun posto dove andare, gira e rigira, non sa mai dov’è; non esiste una fedeltà, cioè un luogo fermo su cui poter contare. Non è nelle virtù dell’uomo d’oggi la fedeltà; la caratteristica di oggi purtroppo è la precarietà, la provvisorietà. Dal punto di vista cristiano c’è pure in questo un aspetto positivo: l’uomo cristiano non mette la sua dimora fissa, è in cammino, ma il cristiano è un pellegrino e sa dove ha la sua meta. Il vagabondo gira e non sa dove va. Il pellegrino cammina ma sa dove va, ha una meta; farà fatica ad arrivarci, magari resteranno dei kilometri da fare anche dopo: quelli che gli mancano per arrivare alla meta li farà il Signore. Qualcuno dice: “il cammino che ti manca per arrivare lo farai nel Purgatorio”, io non ci credo molto, quello che ci manca lo farà il Signore che ci viene incontro. La concezione cristiana è quella della vita come pellegrinaggio. 8. TRASFORMATI AD IMMAGINE DI DIO Qui c’è una seconda visione che in fondo dice la stessa cosa, ma è presentata in modo più particolare: è la Gerusalemme di prima che viene descritta in modo più preciso.

[10] L'angelo mi trasportò (il veggente Giovanni) in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio.

La prima cosa che il veggente vede é la città bella, risplendente, luminosa della bellezza di Dio, come se questa città fossa stata trasfigurata: è proprio una trasfigurazione. Quando Gesù sul monte si è trasfigurato, la sua umanità è diventata come compenetrata dalla gloria, dalla bellezza, dallo splendore di Dio: lo stesso vale per la nuova Gerusalemme. Il punto di arrivo è la trasformazione di questa realtà umana in realtà divinizzata, trasfigurata da Dio. Ecco perché il nostro cammino personale fatto di preghiera, di lectio, di silenzio, dovrebbe essere una progressiva divinizzazione, una progressiva trasformazione in Dio: veniamo da Dio e torniamo a Dio. É la stessa cosa che abbiamo letto nel capitolo 12: la Donna che era rivestita di sole ed era trasfigurata da quello splendore abbagliante che era lo splendore del sole, lo splendore di Dio. In Es : La gloria di Dio sul Sinai trasfigura:, quando gli anziani insieme a Mosè salgono sul monte, vedono la gloria del Signore e Mosè che scende col volto luminoso: questi ha solo dialogato un po’ con Dio e non si accorge che il suo volto è trasfigurato, è luminoso. E nel testo di Isaia (Is 60) che leggiamo all’Epifania:

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«Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te.» La Gerusalemme nuova è anche umana, la Gerusalemme nuova è fatta di uomini, ma nello stesso tempo è anche divina, è tutt’altro da ciò che è mondano o semplicemente umano, non è più una città profana, Babilonia, ma è l’umanità assunta nella sfera di Dio, cioè divinizzata. Ecco perché il nostro cammino è un pellegrinaggio, ma un pellegrinaggio verso questa progressiva divinizzazione (come dicono gli Orientali) «Il progetto di Dio è che voi siate partecipi della natura divina» (seconda lettera di Pietro). «Siate partecipi della natura divina» : E’ misteriosa questa espressione, ed è l’unica volta che appare nel Nuovo Testamento, ma è ricca di significato: «partecipi della natura divina» Conosciamo il valore del tempio di Gerusalemme nell’AT: nella città santa c’è un luogo, il tempio, dove Dio abita. In questa nuova Gerusalemme il tempio non c’è più. Ma Gesù l’aveva già detto alla Samaritana (Gv 4): «Dove si deve pregare, sul Karizim? É venuto il tempo in cui né su questo monte, né in Gerusalemme, ma si adorerà il Padre solo in spirito e verità». Nella nuova Gerusalemme non c’è più il tempio perché tutta la città è diventata un tempio, tutta la città è diventata luogo della presenza di Dio. Giovanni dice qualche cosa del Regno:

Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio Dice che tutta la città diventa un tempio: è il luogo della presenza di Dio, non c’è bisogno di un luogo specifico, particolare. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino. La città è bella come una gemma preziosissima. La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L'angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi; la lunghezza, la larghezza e l'altezza sono eguali

C’è una strana misurazione che viene fatta dove la città appare cubica, perché lunghezza, larghezza e altezza sono uguali. Evidentemente ha un valore simbolico, è un cubo di dodicimila stadi, cioè duemilaquattrocento kilometri di lunghezza, duemilaquattrocento kilometri di larghezza e duemilaquattrocento kilometri di altezza. É tutta simbolica: il testo vuol dare l’idea di una grandezza immensa. Ma perché cubica? Perché il Santo dei Santi è a forma di un cubo: misurava dieci metri per dieci metri per dieci metri, quindi era un cubo dove Dio abitava. Quel cubo diventa questa città immensa, ma è il Santo dei Santi, è il mondo che viene trasformato nel Santo dei Santi, luogo della Presenza. Voi, noi, siamo lì dentro! Evidentemente l’abitazione non sono le mura, ma le persone, i cuori dei credenti: queste sono la vera città. ▫ La città è cinta da un grande e alto muro con dodici porte La città è circondata da mura che rappresentano la protezione. Una città sicura nella quale si sta tranquilli, in pace. La protezione naturalmente non sono le mura, ma è Dio stesso. Il vero muro, la vera protezione è Dio ▫ Sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. Questi dodici angeli sono il segno della Provvidenza di Dio, della protezione divina. L’Angelo è il segno della attenzione che Dio ha per l’uomo, ed esprime la sua vicinanza. I nomi delle dodici tribù di Israele significano che siamo nella dimora del popolo di Dio. ▫ A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte Le porte sono tre in ciascun punto cardinale: tre ad Est, tre ad Ovest, tre a Sud e tre a Nord.

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Questo vuol dire naturalmente che la città raccoglie tutta l’umanità da tutti i punti cardinali, quindi ha un significato universale, cosmico: è il mondo intero, l’umanità intera che viene raccolta. ▫ Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli

dell'Agnello Il fatto che sulle fondamenta della città ci siano i dodici nomi, i dodici Apostoli dell’Agnello, vuol dire che è una città fondata sugli Apostoli: è la Chiesa fondata sulla loro testimonianza, quindi è popolo della nuova alleanza. ▫ Pietre preziose e perle sono il materiale con cui sono costruite mura e fondamenta. Le pietre preziose dovrebbero provenire dall’immagine del pettorale che portava il sommo sacerdote; pettorale fatto di pietre preziose, diverse fra di loro, ciascuna di esse rappresentava una delle dodici tribù di Israele. Siamo di fronte ad una città che viene descritta nei minimi particolari: bella, splendente dello splendore stesso di Dio, preziosa, sicura. 9. DIMENSIONI E MATERIALE DELLA SANTITÀ Volevo aggiungere una cosa, che è parte dall’Apocalisse, riguardo a queste pietre preziose con cui sono fatti i basamenti delle mura. Dicono che le pietre preziose sono composte fondamentalmente da carbonio, materiale che vale poco, però questo carbonio è stato sottomesso a delle enormi pressioni, ad un calore fortissimo ed è diventato diamante: pietra preziosa. Il materiale è di scarto, ma la pressione ed il calore lo hanno fatto diventare una pietra preziosa. Mi pare molto chiaro il discorso relativo alla nostra vita per diventare santi. Altra cosa interessante sulle pietre preziose è che le più pregiate non sono quelle pure al massimo, a volte qualche piccole impurità dona alle pietre dei riflessi di luce che le rendono particolarmente belle e preziose. Anche questo mi pare molto chiaro. Tutto è messo in relazione con noi. Il materiale con cui sono fatte le mura è materiale di scarto: noi non siamo un materiale pregiato, però pressione, calore, quello che Dio ha compiuto nella nostra storia, quello che Dio ha introdotto nella nostra vita, a volte ci rende pietre preziose. Ecco come va vista anche la nostra storia: talora siamo pietre preziose, forse con delle impurità, dei difetti, ma che non rovinano; anzi, rendono le cose ancora più interessanti e più personalizzate. Credo che i santi siano l’esempio di questo lavorio che c’è stato nella loro storia. Questo è quello che Giovanni ci racconta della nuova Gerusalemme, verso la quale siamo tutti destinati, attraverso questa progressiva trasfigurazione, divinizzazione.

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