UN MESSAGGIO DI CONSOLAZIONE E LA TEOLOGIA DELLA STORIA 10-11 e 12-13 del... · MISSIONE AL CENTRO...

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- 2011/12 Don Franco Mosconi L’APOCALISSE UN MESSAGGIO DI CONSOLAZIONE E LA TEOLOGIA DELLA STORIA LA LA PASQUA MISSIONE AL CENTRO DELLA DELLA CHIESA STORIA DEL MONDO Apocalisse 10-11 Apocalisse 12-13 Affi – Villa Elena, 14 gennaio 2012

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4° - 2011/12

Don Franco Mosconi

L’APOCALISSE

UN MESSAGGIO DI CONSOLAZIONE E LA TEOLOGIA DELLA STORIA

LA LA PASQUA

MISSIONE AL CENTRO DELLA

DELLA CHIESA STORIA DEL MONDO Apocalisse 10-11 Apocalisse 12-13

Affi – Villa Elena, 14 gennaio 2012

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Don Franco Mosconi

Preghiamo:

Signore, noi ti ringraziamo, perché ci raduni ancora una volta alla tua presenza, ci raduni nel tuo nome. Signore, tu ci metti davanti la tua parola, quello che tu hai ispirato ai tuoi profeti. Fa che ci accostiamo a questa parola con riverenza, con attenzione, con umiltà. Fa che questa parola non sia da noi sprecata, ma sia accolta in tutto ciò che essa ci dice. Noi sappiamo che il nostro cuore è spesso chiuso, incapace di comprendere la semplicità della tua parola: manda il tuo Spirito in noi, perché possiamo accoglierla con verità, con semplicità, perché essa trasformi la nostra vita. Fa o Signore che non ti resistiamo, che la tua parola penetri in noi come spada a due tagli, che il nostro cuore sia aperto ad essa, che la nostra mano non vi resista, che il nostro occhio non si chiuda, che il nostro orecchio non si volga altrove, ma che ci dedichiamo totalmente a questo ascolto. Te lo chiediamo, Padre, per Cristo nostro Signore. Amen.

Avremo oggi da commentare, attraverso una lettura sapienziale, spirituale, quattro capitoli dell’Apocalisse. Ricordiamo il famoso settimo sigillo che praticamente contiene tutto il resto del libro e la conclusione del piano di Dio, fino alla salvezza finale. Comprende, per esempio, il suono delle trombe che veniva ricordato nei capitoli ottavo e nono, la serie di flagelli, al termine dei quali: [20] Il resto dell'umanità che non perì a causa di questi flagelli, non rinunziò alle opere delle sue mani; non cessò di prestar culto ai demòni e agli idoli d'oro, d'argento, di bronzo, di pietra e di legno, che non possono né vedere, né udire, né camminare; [21] non rinunziò nemmeno agli omicidi, né alle stregonerie, né alla fornicazione, né alle ruberie. Questi versetti vogliono dire che neanche i castighi ottengono il risultato della conversione: gli uomini, di fronte alle pene rimangono un po’ nella loro cattiveria, nella loro empietà, nella loro opposizione a Dio. Allora ci vuole qualcosa di diverso, qualcosa di più efficace, di più significativo. Per questo avviene una cosa che ci interessa molto perché riguarda la posizione della Chiesa nello sviluppo del progetto di Dio, e ci toccherà personalmente perché noi siamo parte di questa Chiesa peregrinante, che vive nella storia e che in qualche modo deve trasformare la storia del mondo in Storia di Salvezza. Il progetto in fondo è questo. E in tale progetto cerchiamo di vedere qual è il nostro posto, la nostra funzione, la nostra missione, il servizio che la Chiesa deve svolgere. Partiamo dall’ascolto della Parola di Dio.

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LLAA MMIISSSSIIOONNEE DDEELLLLAA CCHHIIEESSAA

((AAppooccaalliissssee 1100--1111))

AAPPOOCCAALLIISSSSEE 1100

[1] E vidi poi un altro angelo, possente, discendere dal cielo, avvolto in una nube; l’arcobaleno era

sul suo capo e il suo volto era come il sole e le sue gambe come colonne di fuoco. [2] Nella mano teneva un piccolo libro aperto. Avendo posto il piede destro sul mare e il sinistro sulla terra, Quest’angelo è dotato di una potenza «possente», potenza che compete a Dio, è lo strumento della rivelazione di Dio, non per nulla è «avvolto in una nube» (cosa richiama la nube?) mentre «la sua fronte è cinta di un arcobaleno». Questa scenografia impressionante ci rinvia al linguaggio della rivelazione biblica: l’arcobaleno richiama il racconto del diluvio, della nuova creazione, nel senso che la realtà dell’universo è ricomposta in obbedienza a Dio là dove la violenza degli uomini tutto vorrebbe distruggere; · la nube ci rimanda alla manifestazione del Signore, così come Egli si è presentato nel corso della Storia

della Salvezza: pensate alla nube che c’era sul Sinai, la nube che guidava il popolo nel deserto. Quindi Giovanni si rifà a questa terminologia, perché naturalmente lui è imbevuto dell’A.T. Dio è il Creatore dell’Universo e, al tempo stesso, il protagonista della storia. E’ lui il Signore che ha preso l’iniziativa di instaurare una relazione dialogica con noi, con gli uomini, ai quali, fra tutte le creature, è stata affidata una responsabilità particolarissima. (A suo tempo chiamerà Abramo e affiderà ad Abramo, che è l’uomo di fede, l’inizio della Storia della Salvezza) L’angelo forte avvolto in una nube con la fronte cinta di un arcobaleno, dunque, chi è? Rappresenta l’azione di Dio che con la sua parola ha creato, con la sua parola si è introdotto nella storia degli uomini prendendo l’iniziativa di un dialogo salvifico. Ebbene, è proprio quest’angelo che nella mano tiene un «piccolo libro aperto» Che cos’è questo «piccolo libro aperto»? Al capitolo 5 c’era il rotolo chiuso con sette sigilli; questo, invece, è un piccolo libro aperto. Qui noi riconosciamo la vocazione dei profeti, di coloro che nella storia umana sono chiamati all’ascolto della Parola. In questo senso la vocazione profetica è donata a tutti; la vocazione profetica è di tutti, uomini e donne, per il fatto stesso che la parola di Dio non dimentica nessuno, non trascura, non esclude alcuna creatura umana. Ma qui siamo orientati verso l’identificazione di coloro che nel corso della storia sono consapevolmente radicati in un atteggiamento di ascolto della parola, gli ascoltatori della parola che assumono la precisa responsabilità della propria vocazione profetica: questi sono i profeti. Ora, questo piccolo libro aperto sta nelle mani dell’angelo forte. Bisogna sempre ricordare che tutto questo avviene nell’eco di quel sesto squillo che ha tirato in ballo lo scatenamento della libertà umana corrotta. Adesso, proprio là, nella storia degli uomini compare la presenza dei profeti, di coloro che, chiamati all’ascolto della parola, in essa si radicano, nel senso che quell’ascolto diventa esattamente il contenuto stesso della loro presenza sulla scena del mondo e della loro posizione all’interno della storia umana. Quest’angelo, che ha posto il piede destro sul mare e il piede sinistro sulla terra, tiene in mano quel piccolo libro, che evidentemente vuole consegnare a qualcuno; e si tratta di una vocazione profetica: occorre trovare un destinatario da cui finalmente sarà accolta. E questo sarà Giovanni. Giovanni sta affermando che nel contesto della storia umana, devastata com’è a causa della corruzione della libertà umana con tutte le sue conseguenze, ci sono i profeti, c’è chi ascolta la Parola di Dio.

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Lo scenario è sconfinato: il mare, la terra, luoghi adeguati all’intervento del nostro angelo; la parola di Dio opera con la sua inesauribile e incontenibile libertà; l’angelo forte sta lì a dimostrarlo: ci sono coloro che ascoltano la parola di Dio.

11.. UUNN PPOOPPOOLLOO DDII PPRROOFFEETTII Emerge la vocazione dei profeti (v. 3): [3] gridò a gran voce come un leone che ruggisce. E quando ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire la loro voce. Qui ritroviamo non casualmente il linguaggio con il quale si sono espressi alcuni tra i più grandi profeti della Storia della Salvezza. Questo ruggito allude in modo evidentissimo all’eco che la parola di Dio ha suscitato nella storia degli uomini attraverso la presenza dei profeti. Basta far ricorso a testimoni famosissimi: ad Amos, a Geremia o altri. Il grido dell’angelo si confonde con il ruggito che la parola di Dio suscita; è come eco profetica nella storia degli uomini. [4] E quando ebbe gridato i sette tuoni fecero udire la loro voce, io ero pronto a scrivere quando udii una voce dal cielo che mi disse: «Metti sotto sigillo quello che hanno detto i sette tuoni e non scriverlo». Il ruggito dunque si svolge nel rimbombo di sette tuoni. Questa è una citazione, anch’essa inconfondibile: basta pensare al Salmo 29, ove per sette volte risuona la voce del Signore che tuona. Ecco perché dico, Giovanni si rifà a tutta una tradizione dell’AT. [5] Allora l'angelo che avevo visto con un piede sul mare e un piede sulla terra, alzò la destra verso il cielo

[6] e giurò per Colui che vive nei secoli dei secoli; che ha creato cielo, terra, mare, e quanto è in essi: «Non vi sarà più indugio! [7] Nei giorni in cui il settimo angelo farà udire la sua voce e suonerà la tromba, allora si compirà il mistero di Dio come egli ha annunziato ai suoi servi, i profeti». Passiamo subito alla vocazione profetica di Giovanni. Proseguendo nella visione, sempre nell’eco di questo sesto squillo di tromba, Giovanni viene chiamato a ricevere in modo esemplare l’investitura profetica (v.8) [8] Poi la voce che avevo udito dal cielo mi parlò di nuovo: «Va', prendi il libro aperto dalla mano dell'angelo che sta ritto sul mare e sulla terra». Giovanni deve andare a prendere il libricino dalla mano dell’angelo (v.9) [9] Allora mi avvicinai all'angelo e lo pregai di darmi il piccolo libro. Ed egli mi disse: «Prendilo e divoralo;(eco di Ezechiele -cap.3-,) ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele». Dolcezza e amarezza: sono le qualità di quella parola che, in quanto è ascoltata, diventa nutrimento che sostiene la vita. L’ascolto della parola coincide con il modo di impostare e di attuare la vita, con l’apertura alle relazioni vitali. Perciò la parola deve essere mangiata (ruminata) in modo da sperimentarne da una parte la dolcezza più soave e dall’altra l’amarezza più straziante. E’ quello che capita a Giovanni: è l’esperienza di Giovanni. Al profeta non è risparmiato niente. É nel contesto concreto della sua vita, alle prese con i dati oggettivi della sua esistenza nel tempo, nello spazio, con le sue responsabilità di ordine personale, familiare, sociale, politico che il profeta è chiamato ad ascoltare la parola di Dio. In quanto ascoltatore della parola il profeta vive; ma in quanto ascoltatori della parola, tutti gli uomini sono chiamati a vivere senza che nulla sia loro risparmiato: dolcezza e amarezza.

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Proprio l’ascolto della parola ci spiega che alla fine la storia non appartiene all’iniziativa umana, ma a quella di Dio, il quale ci manifesta il suo mistero, buona notizia per noi e, attraverso noi, questo mistero va annunciato. Ecco come si comporta Giovanni (v. 10) [10] Presi quel piccolo libro dalla mano dell'angelo e lo divorai; (cioè in risposta alla vocazione profetica, Giovanni investe tutto di sé e del suo vissuto) in bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l'ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l'amarezza. [11] Allora mi fu detto: «Devi profetizzare ancora su molti popoli, nazioni, lingue e re». Adesso Giovanni è profeta e la sua responsabilità riguarda il mondo intero: popoli, nazioni, lingue, re. Dobbiamo aggiungere che il suo caso personale acquista un valore di esemplarità generale; c’è da constare, infatti, che la presenza dei profeti nella storia degli uomini diventa motivo di orientamento e spesso di provocazione. Forse è per questo che a volte nella nostra Chiesa, ma anche nelle nostre comunità un po’ adagiate, quando esce una voce fuori dal coro dà fastidio e provoca. Ma… è già scritto tutto qui! D’altra parte questa presenza diventa (dovrebbe) motivo di orientamento, non tanto di provocazione, e dall’interno delle vicende storiche essa preme, sorregge, contrasta, anche consola la ventura di tutte le generazioni che ci succedono in vista di una fine inevitabile. Questa fine non appartiene alla forza distruttrice degli uomini, ma a Dio che ha preso liberamente la sua iniziativa e la porta a compimento gratuitamente. Ecco il motivo di consolazione e di speranza, nonostante tutto. Nella pagina che segue, capitolo 11, avremo ancora a che fare con la vocazione dei profeti, con la loro testimonianza, con il loro martirio. Giovanni precisa quale sia la testimonianza affidata ai profeti. D’altra parte lui stesso è ormai coinvolto in prima persona n seguito all’investitura profetica ricevuta.

AAPPOOCCAALLIISSSSEE 1111 [1] Poi mi fu data una canna simile a una verga e mi fu detto: «Alzati e misura il santuario di Dio e l'altare e il numero di quelli che vi stanno adorando. [2] Ma l'atrio che è fuori del santuario, lascialo da parte e non lo misurare, perché è stato dato in balìa dei pagani, i quali calpesteranno la città santa per quarantadue mesi. [3] Ma farò in modo che i miei due Testimoni (poi capirete chi sono), vestiti di sacco, compiano la loro missione di profeti per milleduecentosessanta giorni». (sta a spiegare un tempo limitato) [4] Questi sono i due olivi e le due lampade che stanno davanti al Signore della terra. [5] Se qualcuno pensasse di far loro del male, uscirà dalla loro bocca un fuoco che divorerà i loro nemici. Così deve perire chiunque pensi di far loro del male. Giovanni, proprio lui personalmente, è incaricato, in quanto investito profeticamente, di misurare gli spazi e i tempi che definiscono la presenza del popolo di Dio nella storia umana. Al linguaggio usato non siamo molto abituati: l’Apocalisse certamente ci provoca un po’. Spero che tale linguaggio ci aiuti a purificare certe nostre immaginazioni, a saper mettere nel nostro cuore i sentimenti che ne scaturiscono e l’immagine che si legano al progetto di Dio e alla volontà di Dio. Qui siamo a un punto fondamentale dell’Apocalisse: Giovanni riceve l’incarico di profetizzare su molti popoli, nazioni e re. E’ lo stesso incarico che aveva avuto Geremia. Adesso tocca a lui, ma tocca pure a tutti i credenti, a tutti noi, perché queste cose sono state scritte per noi; Giovanni deve rivelare ai cristiani la loro missione. Quasi a dire: “Che ci state a fare voi nella storia?”.

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Sì, che ci stiamo a fare noi nel mondo? La comunità cristiana è un popolo profetico che ha come compito di rendere testimonianza davanti alle nazioni: questa è la sua funzione nella storia. É un testo che ci responsabilizza tutti. Se la Chiesa genera la Storia della Salvezza e produce nella storia dei frutti di salvezza, lo fa vivendo la sua testimonianza profetica: attraverso questo la Chiesa fa maturare la storia, la fa arrivare al suo traguardo, al compimento del progetto di Dio. Quante volte ho detto che la Chiesa non vive per sé stessa, non deve semplicemente badare a se stessa, alla sua crescita, al numero, ma deve badare alla storia, al mondo, deve rendere testimonianza di fronte al mondo. E al cap. 11, 3, i due testimoni sono il simbolo, rappresentano tutta la Chiesa e la loro testimonianza è come il modello della nostra esperienza cristiana. Devono attestare davanti al mondo, in concreto a Roma, che è il centro del potere politico, culturale del mondo a quel tempo, devono annunciare e testimoniare la parola di Dio. Sono vestiti di sacco, profetizzano fuori del tempio e ci richiamano due profeti: Elia e Mosè. Elia, perché si dice (v.6): [6] Essi hanno il potere di chiudere il cielo, perché non cada pioggia nei giorni del loro ministero profetico. Elia ha annunciato il giudizio di Dio sul popolo di Israele e ha chiuso il cielo con la carestia. Mosè, perché qui si dice: Essi hanno anche potere di cambiar l'acqua in sangue e di colpire la terra con ogni sorta di flagelli tutte le volte che lo vorranno. Il riferimento è a Mosè e alle famose piaghe d’Egitto. Quindi questi due personaggi possono richiamare Elia e Mosè; sono capaci di compiere i segni, di manifestare l’intervento di Dio. Di loro si dice che compiono la loro missione ma vengono perseguitati, attaccati e alla fine uccisi dalla bestia (v. 7-8): [7] E quando poi avranno compiuto la loro testimonianza, la bestia che sale dall'Abisso farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà. [8] I loro cadaveri rimarranno esposti sulla piazza della grande città, che simbolicamente si chiama Sòdoma ed Egitto, dove appunto il loro Signore fu crocifisso. I due testimoni, che rappresentano la Chiesa, hanno dato tanto filo da torcere agli interpreti. Infatti ci sono diverse interpretazioni e ci si chiede in concreto chi sia questi due personaggi. Per qualcuno richiamano addirittura Pietro e Paolo, perché furono perseguitati, uccisi e martirizzati a Roma. Sono altre immagini diverse dalla funzione sacerdotale e profetica del popolo di Dio? Altre immagini della funzione profetica? Non importa a noi decifrare realmente chi possano essere, quello che è chiaro per tutti è che questi rappresentano la Chiesa che è, per l’Apocalisse, testimone nel mondo, costi quel che costi! E la testimonianza implica anche la possibilità del martirio. Nelle famose lettere, in particolare alla Chiesa di Pèrgamo cosa abbiamo letto? «Antipa, il mio fedele testimone, fu messo a morte nella vostra città dimora di satana», quindi c’è stata già un’esperienza di questo genere. Quando si parla di Babilonia, l’Apocalisse la presenta come: «ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù», cioè come quella che desidera ardentemente bere il sangue dei martiri, dei testimoni. Quindi di per sé la testimonianza non è la morte in quanto tale. Di questi testimoni si dice che vengono uccisi, ma quando hanno finito la loro opera.

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22.. LL’’IIRRRRIINNUUNNCCIIAABBIILLEE AALLTTEERRNNAATTIIVVAA

La testimonianza consiste nel pronunciare una parola in pubblico che attesta la realtà di qualche cosa. Vuol dire porre davanti al mondo la verità misteriosa dell’azione di Dio, della presenza di Dio; porre davanti alla storia una verità misteriosa di Dio. Diventare testimoni significa questo: rendere presente al mondo Dio. Quando si dice il primato di Dio nella storia... questo non è solo un fatto monastico, questo è un fatto cristiano. Diventare testimoni significa: Rendere presente al mondo Dio, fare in modo che il mondo non possa fare a meno di confrontarsi con Dio, con la sua parola. Mi viene in mente il Salmo 62: «O Dio, tu sei il mio Dio. All'aurora ti cerco, di te ha sete l'anima mia come terra deserta, arida, senz’acqua». Ma è vero che è così? É vero che al mattino «dall'aurora ti cerco» lo metto al primo posto? Di te ha sete l’anima mia come terra arsa, arida, senza acqua? Qual è il problema vero che fonda la testimonianza della vita della Chiesa? É sempre quello: o Dio o gli idoli; o Dio o il paganesimo. Chi è il vero Dio? Di chi l’uomo può e deve diventare servo? Di fronte a chi l’uomo deve piegare le ginocchia? Questo è il vero problema, sempre! L’uomo deve piegarsi di fronte al mondo con la sua potenza di denaro, di forza? davanti agli idoli, cioé alle strutture che l’uomo si è fatto con le sue mani? O deve piegarsi di fronte al Dio vivo e vero, invisibile, misterioso, ma che è il vero Dio? É la fede che ci rende testimoni. Questo dramma, questa lotta era già presente nell’AT. Pensiamo al libro di Isaia quando Nabucodònosor ha conquistato Gerusalemme e gli Ebrei sono stati deportati a Babilonia. Là vissero a contatto con la religione pagana, una infinita selva di dei che la gente onorava e che presentava come dei salvatori. É nato qui il problema, la domanda: “Chi è il vero dio? Perché siamo finiti in schiavitù? Ma non è che il dio dei babilonesi è più forte del nostro

Dio? Chi è il vero Dio? Il dio di Babilonia che ha vinto? o il Dio di Israele che ha perso, che è stato sconfitto?” Israele in quel momento era un popolo sconfitto! Il problema per gli Ebrei era scottante perché la tentazione di andare con i vincitori, di salire sul loro carro, è stata grande. Ed è una tentazione di sempre quella di lasciare il Dio che pare che ci abbia abbandonato, che sia stato quasi incapace di difenderci. Contro questa tentazione lotta Isaia (Is 41,1-2): «Ascoltatemi in silenzio, isole, e voi, nazioni, badate alla mia sfida! Si accostino e parlino;raduniamoci insieme in giudizio. Chi ha suscitato dall'oriente colui che chiama la vittoria sui suoi passi? Chi gli ha consegnato i popoli e assoggettato i re?». Viene scritto una specie di processo in cui si discute tra Dio e gli dei di Babilonia. Il Dio di Israele si manifesta, sfida gli dei di Babilonia per vedere chi è il vero Signore della storia, chi è che decide gli avvenimenti e la sorte dell’uomo. E poi c’è Isaia 43 (Un testo splendido!) dove emerge ancora questo: «Io, io sono il Signore, fuori di me non v'è salvatore» «Io ho predetto e ho salvato, mi son fatto sentire e non c'era tra voi alcun dio straniero. Voi siete miei testimoni - oracolo del Signore – e io sono Dio». In quella situazione di schiavitù, in quella titubanza, Isaia fa questo discorso. Cioè, come in un processo Dio deve dimostrare di essere il vero Dio, e cosa fa? Semplicemente si manifesta, perché Dio è il vero Dio. É Dio! Colui che è!

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Mentre gli idoli (anche nel Salmo 115): «hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla bocca non emettono suoni», sono tutti impotenti. Il Dio di Israele invece è un Dio operante, attendibile. E chi sono i testimoni di questo fatto? Dovrebbero essere gli Israeliti, perché hanno sperimentato la salvezza di Dio, dall’uscita dall’Egitto, poi nel passaggio nel deserto, nel mare. Hanno fatto l’esperienza! Dio li ha guidati, li ha creati, li ha custoditi, li ha protetti. Erano il segno concreto nella storia che Dio c’è! Ma questo vale anche per noi, oggi, quando leggiamo le Scritture. Se Israele esiste, se questo popolo anche se piccolo, che non ha nessuna forza militare per difendersi, riesce a resistere anche di fronte a Babilonia, il motivo è Dio, è la salvezza di Dio: «tu mi appartieni» Isaia 43,1 dice: «Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni». Israele é chiamato da Dio, perché sia testimone, cioè perché manifesti quello che lui è come popolo del Signore grazie all’opera di Dio , e perché Dio venga proclamato di fronte alle nazioni.

33.. GGEESSÙÙ CCRRIISSTTOO:: IILL TTEESSTTIIMMOONNEE DDII DDIIOO A questo punto c’è un testimone nell’Apocalisse -che è uno solo- l’unico, di cui abbiamo letto nei primi capitoli, l’unico che è fedele e verace. Questo testimone è Gesù Cristo: Gesù è l’unico testimone di Dio. Perché è l’unico? Perché Dio si rivela in lui; Perché guardando Gesù Cristo, si vede Dio. Provate ad ascoltare i dialoghi, le parole che dice, a vedere i gesti che Gesù compie, le guarigioni: sono opera di Dio. Provate a guardare la sua passione e la sua morte: è la rivelazione di Dio. Dio lì c’è! Nella vita di Gesù Cristo Dio c’è! E c’è chiarissimamente, evidentissimamente, proprio perché Gesù è vissuto in perfetta obbedienza al Padre. In Gesù il Padre è trasparente; Gesù non ha messo nessun ostacolo, nessun velo, nessun paravento, niente che impedisse il passaggio della volontà di Dio attraverso di lui. Per questo Gesù è il testimone, e l’Apocalisse ritorna spesso su questo punto. Israele è il testimone di Dio, ma Gesù riassume tutta la vita di Israele in sé, perché pur essendo un popolo stupendo, Israele si porta dietro i suoi peccati, che sono dei veli, degli ostacoli che non lasciano passare del tutto la volontà di Dio. Si legge che Israele è un popolo di dura cervice, che non sa piegare il collo, non è capace di piegare la testa. Israele porta in sé questa difficoltà. In Gesù, invece, la missione di Israele diventa pulita, perfetta: Gesù é’ il testimone vero. Emerge il tema che ci riguarda tutti: E la Chiesa? La Chiesa non è il prolungamento nella storia del suo Signore? Emerge il parlare con coraggio.

44.. PPAARRLLAARREE CCOONN CCOORRAAGGGGIIOO.. RRIIMMAANNEERREE FFEEDDEELLII Gesù ora nella storia esercita la sua testimonianza attraverso i cristiani: essi sono testimoni, ma per partecipazione perché sono una cosa sola con Gesù Cristo. Col Battesimo noi siamo tutti consacrati a Lui, siamo uno in Lui e con Lui. Dato che Gesù Cristo è il testimone, anche i credenti diventano testimoni.

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Ecco il senso della profezia: siamo tutti profeti. La nostra funzione fondamentale è quella di essere profeti. Con la parola, con la vita dobbiamo annunciare Gesù Cristo, dire l’amore di Dio per tutti gli uomini di ogni lingua, religione, cultura, razza. La Chiesa non ha il diritto di rimanere muta di fronte alle nazioni, ma deve parlare con coraggio, soprattutto con la sua testimonianza. v. 8, quando parla di testimoni: [8] I loro cadaveri rimarranno esposti sulla piazza della grande città, che simbolicamente si chiama Sòdoma ed Egitto, dove appunto il loro Signore fu crocifisso. Dal punto di vista geografico c’è qualcosa che forse non quadra perché la grande città viene indicata come Babilonia, rappresentante in qualche modo anche di Roma, poi viene chiamata Sòdoma ed Egitto, poi diventa Gerusalemme dove il loro Signore fu crocifisso. Allora, è Babilonia o Roma? É l’Egitto o Sòdoma o Gerusalemme? Potremmo dire: sono tutte queste cose insieme, perché tutti questi nomi rappresentano il paganesimo. Babilonia, Roma, l’Egitto, Sòdoma, tutti rappresentano il rifiuto di Dio:

- Roma, in quanto capitale dell’impero pagano;

- Babilonia, in quanto simbolo dell’opposizione a Dio;

- Sòdoma, come la città dell’impurità, della degradazione morale;

- l’Egitto, come luogo dell’oppressione;

- Gerusalemme, non ogni Gerusalemme con un valore simbolico positivo, ma anche la Gerusalemme che ha messo in croce il Signore.

Sono tutte un’unica realtà, sono tutte facce dell’unica opposizione al messaggio dell’amore, della volontà di Dio, del rispetto per l’uomo, della fraternità, della misericordia. Nonostante tutto, bisogna rimanere fedeli. Questo deve fare la Chiesa, sapendo bene la difficoltà del suo compito, perché la profezia dei due testimoni tormenta gli abitanti della terra. [9] Uomini di ogni popolo, tribù, lingua e nazione vedranno i loro cadaveri per tre giorni e mezzo e non permetteranno che i loro cadaveri vengano deposti in un sepolcro. [10] Gli abitanti della terra faranno festa su di loro, si rallegreranno e si scambieranno doni, perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra. Ancora la figura della profezia disturba, è un tormento. Come è possibile che la testimonianza resa all’amore di Dio diventi un tormento? Come è possibile che venga sentita come una minaccia? In fondo, proclamare l’amore di Dio vuol dire dare all’uomo una straordinaria sicurezza, libertà nella vita. Però proclamare l’amore di Dio vuol dire chiedere all’uomo una profondissima conversione, chiedergli di non vivere più per sé stesso, ma di accogliere la vita degli altri, dire di sì alla vita di tutti, quindi anche alle persone antipatiche, alle persone che ci sono pesanti. Proclamare l’amore di Dio vuol dire accettare di giocare la propria vita, di mettere come criterio fondamentale non la realizzazione di sé -uno la può anche cercare, ma non è più il criterio fondamentale-, ma il dono di sé. «Chi vuol venire dietro me, rinneghi sé stesso» non vuol dire rinnegare i propri doni, bensì vuol dire mettere al centro un’altra persona: Cristo. É un messaggio stupendo, per molti aspetti affascinante, anche se esigente, duro, con il quale a volte tutti ci scontriamo; quindi il mondo, quel mondo che si è costruito una struttura basata a volte sull’avere, sulla

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forza del proprio potere, sull’apparenza è messo in crisi fronte al messaggio evangelico, e davanti ad esso i casi diventano due: O si accetta di convertirsi o si cerca di cancellare il messaggio. O uno accetta di cambiare vita o tenta di eliminare quelli che gli mettono davanti il messaggio. Questi sono il tormento, questo vuol significare l’espressione: «I due profeti erano il tormento degli abitanti della terra». E gli oppositori hanno reagito nel modo descritto. Nel cap. 2 del libro della Sapienza, gli empi eliminano il giusto perché si pone davanti a loro come un rimprovero dei loro comportamenti; la condotta del giusto è come un atteggiamento che li mette continuamente in crisi, e siccome in crisi non ci vogliono proprio stare, eliminano quello che provoca la consapevolezza di sé, mettono a morte il testimone. Ma qui sta il paradosso: il testimone viene proclamato come vincitore. Muore, ma vince. Vince rendendo testimonianza. Vince perché parla, semplicemente perché parla. Perché cosa dice? Dice la parola di Dio.

55.. CCOONN LLAA CCEERRTTEEZZZZAA DDEELLLLAA VVIITTTTOORRIIAA Alla fine dell’Apocalisse viene presentato un cavaliere. Anticipo alcuni versetti del capitolo 19, vv. 11-13: [11] Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava «Fedele» e «Verace»: egli giudica e combatte con giustizia. [12] I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all'infuori di lui. [13] È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio. «Verbo di Dio» = Parola di Dio. É il cavaliere «Fedele» e «Verace», con il segno della verità e il sacrificio della sua vita. Questa è la vittoria di Cristo, è la vittoria del testimone insieme con lui. Per l’Apocalisse non vuol dire vittoria nell’aldilà, cioè che i testimoni vincono perché saranno risuscitati: è vero anche questo!, ma non è il motivo per cui vengono chiamati vincitori. Quando si dice che sono vincitori, non si vuol dire che possono esercitare un dominio temporale sulle potenze politiche o religiose, niente di tutto questo: Il testimone è vincitore semplicemente perché ha parlato, ha detto la parola di Dio, ha proclamato l’amore di Dio. È già motivo di gioia, di vittoria, il poter proclamare la parola, proclamare l’amore di Dio. Quando IL TESTIMONE mantiene la fedeltà fino alla morte, quando continua ad annunciare la parola di Dio anche di fronte all’ostilità e assume sopra di sé il destino di morte, questo non è altro che il sigillo della sua vittoria. La morte è il segno di una testimonianza totale, assoluta. Il libro dell’Apocalisse dice in quell’inno che preghiamo nella liturgia: «Ma essi lo hanno vinto (satana) per mezzo del sangue dell'Agnello e grazie alla testimonianza del loro martirio; poiché hanno disprezzato la vita fino a morire» cioè hanno saputo rimanere fedeli al loro compito di testimonianza, anche a prezzo della vita. Questo è il sigillo della loro vittoria. In questo modo è stato contrapposto al potere dell’impero romano il potere dei testimoni della parola di Dio. Da notare che a quei tempi c’erano solo piccole comunità sparse e Giovanni scrive queste cose!

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L’Apocalisse ha davanti un’istituzione politica di una forza unica come l’impero romano, che è l’impero vittorioso e l’imperatore si chiama anche Vittorioso, uno dei titoli che gli vengono attribuiti. Eppure proclama che l’impero è destinato alla sconfitta, anche se appare paradossale perché detto da una comunità che fa sorridere per la sua piccolezza, per la sua povertà. Giovanni annuncia la sconfitta dell’impero come incarnazione del potere tirannico, del potere assoluto, dove non c’è obbedienza a Dio né il riconoscimento della sua sovranità, quindi della sua volontà, dove non c’è l’etica del comportamento come modo di obbedienza a Dio. Alla Chiesa di per sé viene fatta una promessa, e la promessa è solo questa (v. 3): «Farò in modo che i miei due Testimoni, vestiti di sacco, compiano la loro missione di profeti per milleduecentosessanta giorni» che corrispondono a tre anni e mezzo, cioè il tempo della profezia. Non viene garantito il successo, ma la possibilità di profetizzare: «farò sì che possano profetizzare per milleduecentosessanta giorni». La Chiesa ha senso nella storia per questo! e in fondo le basta ciò: Poter annunciare il Vangelo, la Parola di Dio, anche se vestita di sacco. Cosa vuol dire? In una condizione di povertà, di umiltà, di debolezza, senza armi, avendo come unica arma la Parola di Dio. Che però è un’arma tremenda: è una spada fiammeggiante (dice Isaia), è un martello che spacca la roccia (dice Geremia). Questa è la forza che la comunità cristiana possiede! Quante volte lo abbiamo detto e l’abbiamo dimenticato, e continuiamo a dimenticarlo. [11] Ma dopo tre giorni e mezzo, un soffio di vita procedente da Dio entrò in essi e si alzarono in piedi,con grande terrore di quelli che stavano a guardarli. [12] Allora udirono un grido possente dal cielo: «Salite quassù» e salirono al cielo in una nube sotto gli sguardi dei loro nemici. I testimoni hanno conosciuto la morte, ma poiché la loro morte è una partecipazione a quella di Cristo, anch’essi risorgono, cioè partecipano della gloria del Signore, come ne sono stati i testimoni. A questo punto c’è la conclusione. [13] In quello stesso momento ci fu un grande terremoto che fece crollare un decimo della città: perirono in quel terremoto settemila persone; i superstiti presi da terrore davano gloria al Dio del cielo. É interessante perché rivela che c’é un grave terremoto. Siamo abituati a questo fenomeno perché si è riscontrato anche per la morte del Signore, per la Pasqua del Signore, e lo capiamo. «Perirono in quel terremoto settemila persone» Da dove ha preso questo numero? Probabilmente qui si richiama ancora al libro dei Re, quando Elia è così avvilito che dice: «...tanto io valgo meno dei miei Padri» e avrebbe voglia di lasciare tutto, allora deve fare un pellegrinaggio fino al Monte Oreb, al Sinai, per incontrare il Signore, per trovare la forza di continuare la sua missione di profeta. Il Signore gli dice: «Io mi sono riservato in Israele settemila persone, quanti non hanno piegato le ginocchia a Baal e quanti non l’hanno baciato sulla bocca» Nel libro dei Re sono rimasti in settemila, sono un piccolo resto. Nell’Apocalisse viene capovolta la prospettiva: settemila sono periti; gli altri, i superstiti, presi dal terrore davano gloria al Dio del cielo. Dopo i castighi la gente ha continuato a bestemmiare, a rubare, a uccidere: i castighi non li hanno convertiti, la testimonianza sì. Questa testimonianza, la morte dei testimoni porta alla glorificazione di Dio, induce a dare gloria a Dio.

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Vi arrivano per vie traverse, con fatica, ma vi arrivano. In fondo la testimonianza della Chiesa giunge a produrre quello che è il suo frutto, anche se paradossalmente attraverso un’apparente sconfitta, un apparente fallimento.

66.. CCHHIIAAMMAATTII AA PPRROOLLUUNNGGAARREE LLAA TTEESSTTIIMMOONNIIAANNZZAA DDII GGEESSÙÙ É interessante questo capitolo 11 perché indica il compito che la Chiesa ha nella storia. C’è un progetto di Dio che dobbiamo conoscere e amare. Una domanda: Noi che cosa ci facciamo in questo progetto? Siamo oggetto delle cose che succedono? Noi abbiamo un compito preciso ed è quello di testimoniare Dio davanti alle genti. Il problema è sempre quello: o Dio, o gli idoli. É un po’ la sintesi di tutto il discorso, anche se in un linguaggio per noi inconsueto. L’unico testimone fondamentale è Gesù Cristo. Ma se gli andiamo dietro, noi siamo una cosa sola con lui. Chiamati a prolungare la sua testimonianza «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20) “Siccome il Padre mi ha mandato per rivelare il suo amore, io mando voi perché continuiate e portiate a

compimento la mia opera”.

La Chiesa fondamentalmente deve fare questo con la sicurezza che questa testimonianza è efficace, anche se procede insieme con la tribolazione, con il martirio, e con la convinzione che l’annuncio della Parola è sempre una vittoria. Uno può dire che queste cose erano molto vere un tempo e non adesso; ora, almeno dove viviamo noi, martirio in senso fisico non c’é. Questo accade in fondo anche per un paradosso: siccome viviamo in una società fondamentalmente“relativista”, dal pensiero debole, uno non si scalda troppo, banalizza le cose, anche le più grandi. Oggi si parla appunto di “indifferenza” e non a caso Enzo Bianchi, in un famoso libro, parla de LA

DIFFERENZA CRISTIANA: in un mondo di indifferenza dovrebbe esserci la differenza cristiana. Non vale la pena muoversi per perseguitare il cristianesimo, né per combatterlo; serve di più l’indifferenza, il fastidio, il voltarsi da un’altra parte, non prendere sul serio l’annuncio della Parola di Dio, dell’amore, l’annuncio del giudizio, della speranza. Quindi per molti aspetti la società in cui viviamo è notevolmente diversa da quella di Giovanni e quindi dell’Apocalisse. Per certi aspetti questa nostra società è anche più complicata perché, se combattere contro un avversario è molto difficile, è certamente molto più difficile avere a che fare con un indifferente, con uno non interessato. Posta questa differenza, la realtà rimane fondamentalmente la stessa. Compito della Chiesa è l’annuncio rivolto a questa società pagana dove Dio non c’è, o meglio, dove Dio è irrilevante. Non è che la gente non creda in Dio, ma fa fatica a prenderlo sul serio, a fare delle scelte conformi alla Sua volontà. Dio è l’elemento aggiunto un po’ come consolazione o conforto in alcuni momenti della vita, ma non in modo così decisivo, come Colui a cui si affida il gioco della nostra vita. Occorre ancora annunciare a questa società a questo mondo l’amore di Dio, le esigenze del suo amore, che è assolutamente gratuito, ma proprio per questo straordinariamente esigente. L’annuncio deve mettere in crisi, suscitare conversione, insieme deve essere accolto per quello che è, anche quando porta aspetti di fatica, di sofferenza. La testimonianza rimane sempre il nostro compito, in un modo o nell’altro. Per chiudere: · dobbiamo fare in modo che nella nostra vita cambi qualcosa perché c’è Dio; · dobbiamo con la nostra vita proclamare, appunto, che Dio c’è.

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· Dio c’è perché cambia qualcosa, cambia il mio modo di pensare, di parlare, di agire, di valutare le cose e gli avvenimenti: cambia il mio modo di rapportarmi con gli altri.

[14] Così passò il secondo «guai»; ed ecco viene subito il terzo «guai». [15] Il settimo angelo suonò la tromba e nel cielo echeggiarono voci potenti che dicevano: «Il regno del mondo appartiene al Signore nostro e al suo Cristo: egli regnerà nei secoli dei secoli». [16] Allora i ventiquattro vegliardi seduti sui loro troni al cospetto di Dio, si prostrarono faccia a terra e adorarono Dio dicendo: [17] «Noi ti rendiamo grazie, Signore Dio onnipotente, che sei e che eri, perché hai messo mano alla tua grande potenza, e hai instaurato il tuo regno. [18] Le genti ne fremettero, ma è giunta l'ora della tua ira, il tempo di giudicare i morti, di dare la ricompensa ai tuoi servi, ai profeti e ai santi e a quanti temono il tuo nome, piccoli e grandi, e di annientare coloro che distruggono la terra». L’ultima parte riporta un inno finale, proprio il v. 19, l’ultimo: [19] Allora si aprì il santuario di Dio nel cielo e apparve nel santuario l'arca dell'alleanza. Ne seguirono folgori, voci, scoppi di tuono, terremoto e una tempesta di grandine. Cosa sta a indicare tutto questo? L’amore eterno di Dio ricapitola in sé tutto: il tempo, lo spazio, la nostra vocazione cristiana, la nostra storia umana, perché l’Agnello immolato è il protagonista vittorioso di Ieri, di Oggi e di Sempre. C’è uno sconquasso generale, appunto un terremoto: è la Pasqua del Signore.

LLAA PPAASSQQUUAA AALL CCEENNTTRROO DDEELLLLAA SSTTOORRIIAA DDEELL MMOONNDDOO ((AAppooccaalliissssee 1122--1133))

AAPPOOCCAALLIISSSSEE 1122

11.. UUNN SSEEGGNNOO GGRRAANNDDIIOOSSOO

[[1] Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle.

[[2] Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. L’immagine mi sembra veramente straordinaria. Il contenuto che Giovanni vuole trasmettere è fondamentalmente il significato della Pasqua, degli avvenimenti pasquali che sono propriamente il centro della storia del mondo. C’è questo primo segno grandioso: «una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle» Naturalmente questa immagine viene dall’ AT e precisamente dal libro di Isaia: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te». Il profeta Isaia vede Gerusalemme collocata sul colle di Sion, il punto più alto della città, e la vede illuminata dal sole mentre tutto intorno è ancora buio. Quindi, rivestita di luce, diventa essa stessa luce: non è una luce qualsiasi, è la bellezza di Dio; è la Sua luce che risplende sopra di lei. «una donna vestita di sole» Significa rivestita di quella gloria e di quella bellezza che rivestono Dio stesso.

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«ha la luna sotto i suoi piedi» E’ un simbolo abbastanza misterioso, ma credo che si possa dire, fra le varie interpretazioni, che è il senso della mutabilità. La luna è per natura sua il simbolo di ciò che cambia perché per quattordici giorni cresce, per altrettanti giorni cala, poi scompare, poi torna, e così via. Essere “lunatici” vuol dire appunto cambiare facilmente d’umore. Questa donna ha la luna sotto i suoi piedi, cioè ha in qualche modo superato la fragilità, il ritmo debole della condizione umana. In questo senso «sotto i suoi piedi»

«ha sul suo capo una corona di dodici stelle» Dodici è il numero delle tribù del popolo di Dio. «Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto» Il parto travagliato, che sta per avvenire, è il centro della storia del mondo, perché quello che deve nascere è il Messia, è il rappresentante della presenza di Dio in mezzo alla storia, in mezzo agli uomini. Il travaglio della donna sta a significare i secoli che hanno preceduto questa nascita: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge» (Gal 4,4-5). Quindi la pienezza dei tempi è stata a lungo attesa , ma alla fine è arrivata. Sono passati Abramo, Isacco, Giacobbe, Davide, l’esilio di Babilonia, le sofferenze degli uomini di Israele, i profeti, finché è arrivato il tempo adatto per la nascita del Figlio di Dio, del Messia in mezzo agli uomini.

22.. EENNTTRRAA DDIIOO NNEELL MMOONNDDOO Questo avvenimento è così decisivo ed importante che il testo dell’Apocalisse continua:

[[3] Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi;

[[4] la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. Che cosa sia il drago non c’è bisogno di dirlo. Lo spiega Giovanni stesso: è il serpente antico, è il serpente della Genesi, è il satana: il simbolo di quel male che è entrato in mezzo alla creazione, la domina, esercita un potere di falsità, di menzogna, di violenza, di cattiveria. Il drago sa che quel Bambino determina la fine del suo potere, che quella nascita è lo sgretolamento del suo regno: sta per nascere uno più forte di lui. Tenta in tutti i modi di impedire quello che sta per avvenire e si pone davanti alla donna per divorare il bambino appena nato. (Giovanni sta ricostruendo la Storia della Salvezza con simboli apocalittici). Qualcuno, forse in modo sbagliato, ha fatto un parallelo tra questa scena e quella che sta all’inizio della vita pubblica di Gesù, cioè alla scena delle tentazioni: Gesù sta per iniziare la vita pubblica, cioè il suo ministero, e satana lo attacca, vuole sgretolare il progetto di Dio che sta compiendosi in Gesù: gli pone tutta una serie di alternative al fare la volontà di Dio: «Se sei Figlio di Dio, di' che questi sassi diventino pane». «Se sei Figlio di Dio, gettati giù dal pinnacolo del tempio». «Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai». Questa serie di prove è un’unica tentazione: è il tentativo di satana di deviare Gesù dalla sua strada, dal suo cammino di obbedienza a Dio, perché l’obbedienza di Gesù è la fine di satana. Per questo satana dice a Gesù, facendogli vedere tutti i regni del mondo (Lc 4,6-7) : «Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nella mie mani (potere nelle mani sataniche?!) io la do a chi voglio. Se ti prostri dinanzi a me, tutto sarà tuo» É un tentativo di togliere il nemico, di trasformare il Messia, il Figlio di Dio, in un suo supporter, in qualcuno che lo sostiene, che sta dalla sua parte; è disposto a dargli potere sul mondo intero a condizione che riconosca il suo dominio.

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Quando dice a Gesù di buttarsi dal pinnacolo del tempio e di farsi salvare, cerca di sviarlo dalla via della morte, dalla passione: “Fatti salvare! Sei Figlio di Dio? Devi compiere un cammino di gloria, non certamente

di morte! Fatti salvare! Ti spetta in quanto Figlio di Dio”. Tutti questi sono tentativi di eliminare la presenza di Gesù che costituisce la fine del regno di satana.

33.. LLAA LLOOTTTTAA DDRRAAMMMMAATTIICCAA Emerge ora una lotta drammatica, quindi vi è una visione molto bellicosa. Certamente l’Apocalisse vede la storia come un “luogo” conflittuale dove tra bene e male non c’è compromesso bensì una lotta profonda. [[4] Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. [5] Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro... Qui c’è la citazione del Salmo 2, con la profezia messianica: «Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra. Le spezzerai con scettro di ferro, come vasi di argilla le frantumerai». Certamente il Messia non sarà così come dice il Salmo, anzi il Messia : «Non spegnerà il lucignolo fumigante». [5] ...e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. Il riferimento è alla Resurrezione e all’Ascensione. Il subito «fu subito rapito« significa che nel contesto della Storia della Salvezza la vita di Gesù Cristo è un attimo rispetto ai milioni di anni, anche ai duemila anni passati dalla sua nascita. «fu subito rapito verso Dio». Sono un attimo la sua passione, la sua morte, la resurrezione, la glorificazione. Il bambino viene sottratto alla minaccia di satana, è condotto e portato verso Dio, entra nella dimora divina, nella gloria di Dio. «fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono» appunto per avere quel potere eterno e universale che gli spetta.

[[6] La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni. Le espressioni che a volte leggiamo “un tempo, due tempi, la metà del tempo”, oppure “tre anni e mezzo, cioè milleduecentosessanta giorni”, sono come la stessa formula: significano un tempo non infinito, un tempo abbastanza limitato, lungo, ma limitato; «fu nutrita per» questo tempo.

44.. LLAA CCHHIIEESSAA IINN CCAAMMMMIINNOO Chi è questa donna nel deserto? É la Chiesa stessa che inizia dopo la Pasqua del Signore il suo pellegrinaggio nel mondo. Israele ha camminato quarant’anni nel deserto prima di arrivare alla terra promessa, e la Chiesa cammina i suoi milleduecentosessanta giorni nel deserto per arrivare alla terra promessa. Fa un pellegrinaggio, in un tempo lungo ma limitato, non sappiamo quanto, attraverso il deserto. L’idea che la Chiesa sia pellegrina sulla terra è fondamentale per noi: siamo tutti dei pellegrini. Siamo sulla terra e camminiamo volentieri ma come pellegrini; non vale la pena riempirsi di bagagli, perché siamo ospiti. L’immagine della comunità cristiana è quella di una comunità, che abita, come fosse una casa provvisoria, una tenda; la comunità cristiana dimora in una tenda piantata, ma che deve essere levata, traslocata perché siamo di passaggio e la nostra dimora è da un’altra parte. Ecco l’immagine della “peregrinatio”. La Chiesa deve percorrere il suo cammino nella storia, nel deserto della storia (direbbe il Concilio) tra le tribolazioni e le fatiche, ma anche tra le gioie e le consolazioni del Signore.

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In questo deserto deve essere nutrita. Il testo diceva: «perché la donna vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni». E da chi è nutrita? Evidentemente dal Signore, unicamente dal Signore! è lui che nutre la Chiesa, con la Parola di Dio e con l’Eucarestia: questo è il suo nutrimento! Il nutrimento dei pellegrini è l’Eucarestia, è il viatico che serve per il sostentamento in via. Quando uno è in cammino, ha bisogno di cibo, di viatico: ecco l’Eucarestia! La Chiesa cammina così. LLAA NNOOSSTTRRAA CCEERRTTEEZZZZAA Scoppia una guerra nel cielo ed è come esprimere anche qui il significato della Pasqua :

[[7] Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli,

[[8] ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Michele vuol dire CHI È COME DIO? ed è il nome che esprime l’unicità di Dio. Dio è trascendente e nessuno davanti lui può stare al suo livello; tutti davanti a Dio debbono chinare le ginocchia. Non è un caso che sia Michele il capo delle Schiere Celesti, perché il contenuto della lotta è proprio questo: affermare a chi appartiene il potere in cielo,cioè il potere universale. Bisognerebbe imparare a ragionare come ragionavano gli antichi: Quanto più uno va in alto, tanto maggiore

è il suo potere: se uno va in cielo il suo potere è totale, domina tutto.

Allora si tratta di sapere a chi appartiene il cielo. «Michele e i suoi angeli combattono e sconfiggono il drago e i suoi angeli, e non ci fu più posto per essi in cielo». Non c’è posto per il potere di satana, perché è sconfitto e il suo è un potere sgretolato. Dopo la Pasqua, non esiste più la forza satanica.

[[9] Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli.

[[10] Allora udii una gran voce nel cielo che diceva: «Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, poiché è stato precipitato l'accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte.

[[11] Ma essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell'Agnello e grazie alla testimonianza del loro martirio; poiché hanno disprezzato la vita fino a morire.

[[12] Esultate, dunque, o cieli, e voi che abitate in essi. Ma guai a voi, terra e mare, perché il diavolo è precipitato sopra di voi pieno di grande furore, sapendo che gli resta poco tempo». Quindi nel cielo è vinta la battaglia definitiva. La sconfitta di satana è ormai irrevocabile. La Pasqua l’ha privato del suo potere; l’obbedienza di Cristo al Padre ha privato satana della sua potenza. Il sangue di Cristo ha vinto, è vittorioso!

55.. SSEEMMPPRREE PPRROONNTTII AA SSCCEEGGLLIIEERREE DDIIOO Insieme con Cristo, a motivo del sangue dell’Agnello, sono vittoriosi tutti i testimoni dell’Agnello, tutti quelli che con la loro parola e con la loro vita proclamano che Dio è il Signore. Sono vincitori quelli che proclamano che niente è come Dio, quindi non hanno altri idoli, non si prostrano davanti al mondo, non si lasciano né sedurre, né spaventare. Certo, sono deboli, hanno bisogno di pane, però non diventano adoratori del pane come simbolo. Hanno bisogno di gratificazioni, ma non diventano adoratori delle gratificazioni. Hanno bisogno di stima sociale, ma non diventano mendicanti di stima a qualunque prezzo, a prezzo di menzogna o cattiveria. L’idolatria è il vero male, tutti gli altri peccati ne sono delle sottospecie. Il peccato vero è non riconoscere che Dio è Dio e quindi attribuire quello che spetta a Lui a qualcos’altro, al denaro, all’immagine, al successo. In qualche modo è privare Dio della gloria che gli spetta. Potremmo dire che ogni peccato appartiene a questa categoria fondamentale.

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Quelli che hanno reso testimonianza all’Agnello sono quelli che con la loro vita hanno proclamato invece che Dio è Dio, e l’hanno fatto in modo così forte da accettare anche la morte per questo, senza averne paura. Nella concezione del NT il non avere paura della morte vuol dire non temere più niente, perché tutti gli attaccamenti che noi viviamo sono la sottospecie della paura della morte. Mi pare sia un’esperienza comune. La paura della morte provoca molti attaccamenti: ci attacchiamo al mondo, ai soldi e diventiamo avari; ci attacchiamo alle persone e diventiamo possessivi; ci attacchiamo al successo, e diventiamo menzogneri, ma ogni attaccamento è della sottospecie della morte, è un tentativo di allontanarla perché la morte fa paura a tutti. Ci vuole una grande fede per non avere paura, non tanto dal punto di vista psicologico, quanto per la determinazione di scelte e comportamenti. Può manifestarsi istintivo l’attaccamento ai soldi, ma quando tale attaccamento diventa una scelta, allora si trasforma effettivamente in avarizia. Finché è un impulso istintivo, delinea la fragilità dell’uomo, il suo limite, la sua povertà; il problema è che questo non diventi una scelta, un comportamento che dipende da me, dal mio progetto. Questo sarebbe un tentativo di vincere la paura della morte con l’idolatria. Nella lettera agli Ebrei c’è scritto che Cristo, passando attraverso la morte e risorgendo, ha liberato quelli che per paura della morte erano sottomessi a schiavitù per tutta la vita; cioè ha liberato quelli che sono schiavi dell’attaccamento alle cose e al mondo. Il martire è colui che ha vinto il mondo, perché ha qualche cosa di più solido del mondo stesso a cui attaccarsi, tanto che è disposto ad accettare anche la morte, nella massima libertà dalle cose. Accettare la morte vuol dire avere come sicurezza, come libertà, come fondamento della libertà, qualche cosa di più grande della morte e del mondo stesso. Sono tutti insegnamenti che ci vengono.

[[13] Ora quando il drago si vide precipitato sulla terra, si avventò contro la donna che aveva partorito il figlio maschio. Il drago ha già perso la guerra che si è compiuta in cielo tra le schiere di Dio e quelle di satana, ma non sono finite le battaglie sulle terra, anzi paradossalmente queste si inaspriscono, perché il diavolo sa che gli resta poco tempo. Gioca tutte le carte contro la donna, contro la sua discendenza, contro la comunità dei credenti rappresentati da questa donna .

[[14] Ma furono date alla donna le due ali della grande aquila, per volare nel deserto verso il rifugio preparato per lei per esservi nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo lontano dal serpente. Le ali della grande aquila ricordano l’uscita degli Ebrei dall’Egitto. Esodo 19: «Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all'Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatti venire fino a me» ecco perché Giovanni utilizza questa immagine. Quando gli Ebrei sono usciti dall’Egitto, il Signore li ha condotti, non hanno dovuto fare niente se non lasciarsi portare. Israele si è lasciato portare, e il Signore che li ha sollevati come un’aquila che guida gli aquilotti ancora incapaci di volare. La Chiesa è pellegrina nel deserto, ma non è senza lo sguardo premuroso di Dio, e di questo dovrebbe rendersene conto sempre: è sotto lo sguardo premuroso di Dio. Dio l’ accompagna e la protegge di fronte a tutti i pericoli, di fronte alla lotta di questo drago che si mette a combatterla: Non può più vincere il Figlio, ma si mette a combattere la madre.

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[[15] Allora il serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d'acqua dietro alla donna, per farla travolgere dalle sue acque. [[16] Ma la terra venne in soccorso alla donna, aprendo una voragine e inghiottendo il fiume che il drago aveva vomitato dalla propria bocca. Ancora un riferimento all’Esodo: Il mare non ha sommerso gli Israeliti, il popolo di Dio che gli è passato in mezzo, ma Israele è stato protetto. Qui è la terra che protegge la donna, la libera da questo fiume di acqua, da questo mare che il drago le lancia contro. Per capire un po’ l’Apocalisse, occorre aver interiorizzato l’Antico Testamento. [[17] Allora il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù. [[18] E si fermò sulla spiaggia del mare. la lotta non è finita, anzi incomincia: Il drago ha perso contro il Figlio, ha perso contro la donna in quanto tale, allora combatte i figli della donna, i credenti. E quanto viene descritto nel capitolo 13.

AAPPOOCCAALLIISSSSEE 1133

[1] E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. [2] La bestia che io vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone. Il drago le diede la sua forza, il suo trono e la sua potestà grande. [3] Una delle sue teste sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita. Allora la terra intera presa d'ammirazione, andò dietro alla bestia [4] e gli uomini adorarono il drago perché aveva dato il potere alla bestia e adorarono la bestia dicendo: «Chi è simile alla bestia e chi può combattere con essa?» [5] Alla bestia fu data una bocca per proferire parole d'orgoglio e bestemmie, con il potere di agire per quarantadue mesi. [6] Essa aprì la bocca per proferire bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo. [7] Le fu permesso di far guerra contro i santi e di vincerli; le fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione. [8] L'adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell'Agnello immolato. [9] Chi ha orecchi, ascolti: [10] Colui che deve andare in prigionia, andrà in prigionia; colui che deve essere ucciso di spada di spada sia ucciso. In questo sta la costanza e la fede dei santi. [11] Vidi poi salire dalla terra un'altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago. [12] Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. [13] Operava grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. [14] Per mezzo di questi prodigi, che le era permesso di compiere in presenza della bestia, sedusse gli abitanti della terra dicendo loro di erigere una statua alla bestia che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. [15] Le fu anche concesso di animare la statua della bestia sicché quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non adorassero la statua della bestia. [16] Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte;

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[17] e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. [18] Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d'uomo. E tal cifra è seicentosessantasei. Al versetto iniziale: «E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna». E al v. 11 «Vidi poi salire dalla terra un'altra bestia». Una bestia sale dal mare, una bestia sale dalla terra. Cosa sono? Il drago combatte la sua lotta contro la discendenza della donna attraverso due bestie: la prima viene dal mare, la seconda dalla terra. La prima è spaventosa, tremenda, terribile: ha dieci corna e sette teste, cioè simbolo di potenza, di sovranità e su ciascuna testa ha un titolo blasfemo. Anzi, le viene data una bocca per proferire parole di orgoglio e bestemmie; ha il potere di agire per quarantadue mesi. «fu data una bocca». Ma da chi fu data? Nella Bibbia generalmente il passivo sta per Dio. É Dio che concede alla bestia la bocca per proferire parole di orgoglio, parole di rifiuto di Dio. Che cos’è questa bestia che viene dal mare? I commentatori dicono che sia il potere politico, l’impero di Roma, che si presenta come divinizzato, il divo Augusto, che pretende di prendere il posto di Dio. Gli imperatori chiedono un culto come divino, si presentano come dei, come salvatori. Domiziano si impone come un dio salvatore, quindi come il contrapposto di Dio. Questo significa la bestia che viene dal mare. Questa bestia è una realtà del mondo che riceve il potere, la forza, il trono, la potestà dal drago, da satana. Addirittura (v.3): [3] Una delle sue teste sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita. Diventa una specie di resurrezione. Il potere politico ha conosciuto crisi, ma le ha superate, proprio perché si è mostrato molto forte e seduce gli uomini che si prostrano, lo adorano, lo seguono. [3] Allora la terra intera presa d'ammirazione, andò dietro alla bestia [4] e gli uomini adorarono il drago perché aveva dato il potere alla bestia e adorarono la bestia dicendo: «Chi è simile alla bestia e chi può combattere con essa?». Questa è la scimmiettatura del culto a Dio che dice: «Chi è come Dio?». Qui gli uomini dicono: «Chi è come la bestia?». Hanno confuso Dio con il potere! Quest’ultimo ha preso il posto di Dio e appare ai loro occhi così grande da giustificare qualunque cosa. Se il potere comanda di ammazzare: si ammazza! Se il potere comanda di bruciare o mentire: si brucia e si mente!. Questo è adorare il potere, questo è adorare la bestia, o meglio, adorare il drago che ha dato il potere alla bestia. Quando l’uomo diventa adoratore di ciò che si presenta come forte, disposto a compromessi, alle ingiustizie, alla cattiveria, alla menzogna, perché glielo chiedono il potere e la forza, è idolatra: sta adorando satana, la bestia. Gli adoratori di satana stanno in noi, nelle nostre ingiustizie, quando entriamo in questo compromesso. Spero non in modo radicale, ma noi tutti ci portiamo dentro la tentazione di adorare quello che è grande e diventare dei servi, degli schiavi.

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[8] L'adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell'Agnello immolato. I casi sono due: o si diventa testimoni dell’Agnello o si diventa adoratori della bestia; non ci sono vie di mezzo: o veramente si riconosce Dio come Dio, o di conseguenza si finisce per adorare il mondo, la bestia e le sue manifestazioni. Poi c’è quella espressione strana ma profondamente importante: [9] Chi ha orecchi, ascolti: [10] Colui che deve andare in prigionia, andrà in prigionia; colui che deve essere ucciso di spada di spada sia ucciso. In questo sta la costanza e la fede dei santi. Nella lotta può essere chiesto al credente di andare in prigionia, può essere chiesto anche di essere ucciso di spada. Qui emergono i comportamenti del credente autentico: la costanza e la fede dei santi, saper accettare quello che Dio pone davanti, anche se in concreto pone la tribolazione e la sofferenza. Poi appare un’altra bestia, meno appariscente della precedente, che si presenta come Agnello, vestita di agnello, in pelle di agnello, che però parla come un drago e le sue parole la smascherano: [11] Vidi poi salire dalla terra un'altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago. Che cos’è questa bestia? La prima dicevamo è il potere politico, cioè quello che ha la forza dalla sua parte; questa, invece, è il potere spirituale, culturale, filosofico, di pensiero. È la bestia che serve alla prima come strumento per farsi adorare, per riuscire nel suo intento. Deve farsi passare per giusto: è la giustificazione del potere. Il potere assoluto è radicalmente oppressivo, ma questo non lo può manifestare, deve fare vedere alle genti che in realtà è giusto, è bello, onorevole adorare la bestia forte, potente. Bene, la seconda bestia è quella che giustifica l’adorazione della prima, è quella che con le parole, la propaganda, la filosofia errata giustifica il potere oppressivo, l’ingiustizia. C’è infatti un modo di giustificare l’ingiustizia e un modo di utilizzare la menzogna. Fate caso a quelle forze che dominano l’opinione pubblica: tendono a far passare per vero quello che è falso, a far passare per buono e per bene quello che è male, a confondere le cose, a sollevare confusione così grande che nessuno capisce più niente. Attualità incredibile di queste due bestie!. Questo è un modo per far passare l’adorazione alla bestia, per impedire di vedere la realtà delle cose, l’oppressione, la falsità, l’ingiustizia. Quindi questa seconda bestia è tremendamente moderna e antica. Anche al tempo dell’impero romano c’erano i sacerdoti imperiali che servivano per rendere un religioso omaggio all’imperatore, quindi lo giustificava dal punto di vista religioso. C’era anche tutta una serie di accoliti dell’impero che doveva giustificare la grandezza di Roma, quindi il diritto di Roma di comandare: “Tu regere Romane gentes imperare memento”. “Ricordati romano che il tuo compito è quello di comandare le genti, di comandare sui popoli”. É un tentativo di giustificare il male facendolo passare per bene, facendolo riconoscere come giusto. Potremmo dire: un certo machiavellismo va in quella direzione: Machiavelli non giustifica dal punto di vista etico, però alla fine dice che la politica con l’etica non ha niente a che fare. Dal punto di vista politico non si deve stare a valutare se un comportamento è giusto o sbagliato, ma vedere se utile o non. Questo è il criterio radicalmente opposto a quello evangelico. Questo in fondo è il compito della seconda bestia: rovinare la capacità di giudicare, di valutare, per far adorare il potere.

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Opera inoltre prodigi (vv. 15-16): [15] Le fu anche concesso di animare la statua della bestia sicché quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non adorassero la statua della bestia. [16] Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; [17] e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. É una specie di ricatto economico, come a dire: “O tu prendi la mia tessera o tu a lavorare non ci vai; o tu

sei della mia parte o non riesci a comprare; o tu prendi il marchio dell’appartenenza a me o io ti tiro via il

cibo davanti e ti faccio morire di fame”. Questo applichiamolo a tutta una serie di situazioni che sono antiche e moderne, che sono quei ricatti di cui si serve un potere ingiusto per mantenere il suo dominio, per costruire quella rete di protezione di sé che è la formulazione di certe leggi. Questo potere ha bisogno di consenso, di adorazione -ecco il senso delle due bestie- e lo ottiene o ricattando o in altri modi: “o tu fai quello che fa la maggioranza della gente o tu sei fondamentalmente un

emarginato, messo alla periferia della società, schernito e rifiutato”.

Sono quei ricatti che un credente, un uomo fondamentalmente onesto può incontrare nel cammino della sua vita, se vuol far carriera, per poter vivere, per realizzarsi. C’è il rischio di entrare in questa spirale di compromessi.

CCOONNCCLLUUSSIIOONNEE Questi due capitoli, quello della donna vestita, del drago e della lotta dicono in qualche modo il senso della storia attraverso il mistero Pasquale. Proprio il centro di tutto è il mistero Pasquale.

LA PASQUA È IL CENTRO DELLA STORIA DEL MONDO

Bisogna partire da qui: dalla contemplazione di quello che è avvenuto nella Pasqua, perché è la nostra unica speranza. Se si guarda solo a quello che avviene in questo capitolo 13, si perde la speranza di fronte alla grandezza del potere, alla situazione della seconda bestia. Bisogna partire dal capitolo 12 e da quel dramma che si è compiuto nel cielo, che ha avuto come protagonisti la donna, il Figlio, Michele e i suoi angeli. Da qui traspare la nostra sicurezza: la battaglia decisiva è già stata vinta! Non la dobbiamo combattere noi, l’ha combattuta e vinta Gesù Cristo; noi dobbiamo solo essere la continuazione nella storia di quello che Lui ha fatto, di quello che Lui è stato: Ecco il compito della Chiesa. A noi tocca, nel cammino della storia, sostenere l’assalto del drago che si serve delle due bestie, cioè del potere politico e del potere propagandistico. Sta nel resistere alla tentazione del potere e della giustificazione utilitaristica che, invece di cercare la verità e il bene, cerca quello che conviene. Dobbiamo lottare resistendo fondamentalmente contro queste forze che accompagnano tutta la storia dell’uomo. Ecco l’attualità di questi testi.

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