Il culto di “Maria Madre della Consolazione Avvocata del ... culto-devozione... · Nostra Signora...

26
Il culto di “Maria Madre della Consolazione Avvocata del popolo reggino” a cura di don Luigi Cannizzo Maria Vergine Madre della Consolazione è la Patrona principale dell’Arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova. La Festa, una delle feste più importanti della provincia di Reggio Calabria, si celebra solennemente in città dal sabato al martedì dopo la prima domenica che segue l’8 settembre di ogni anno. Reggio Calabria, «da secoli, ha una profonda devozione a Maria Santissima, che venera, sotto il titolo della Consolazione; una devozione che è entrata nella storia non solo religiosa, ma anche civile della città; che ha dato origine e forma a manifestazioni religiose e popolari, che fanno parte ormai del patrimonio culturale del popolo reggino. Reggio si esalta e si ritrova nella sua Patrona, sente la Madre di Dio particolarmente vicina, da Maria si sente protetta e difesa» 1 . La prima celebrazione nota della festa risale al 21 novembre 1592, conseguentemente al primo soccorso mariano al popolo di Reggio Calabria durante la peste che colpì Reggio Calabria e Messina nel 1576 e che si protrasse poi per molti anni. Per quanto riguarda le origini, secondo la tradizione un quadro della Madonna sarebbe stato ritrovato da un contadino mentre zappava la terra ed inseguito, la medesima effige avrebbe parlato ad un frate cappuccino in preghiera dinanzi ad esso per chiedere alla Vergine aiuto e protezione e far scampare dalla città la pestilenza. La Vergine che accordò tale favore alla popolazione reggina chiese al frate che si facesse da quel giorno in poi, ogni anno, una solenne processione di ringraziamento. 1 A. SORRENTINO, La Madonna della Consolazione nella religiosità e nel culto popolare, Zappia , Reggio Calabria, 1987, 9.

Transcript of Il culto di “Maria Madre della Consolazione Avvocata del ... culto-devozione... · Nostra Signora...

Il culto di “Maria Madre della Consolazione Avvocata del popolo reggino”

a cura di don Luigi Cannizzo

Maria Vergine Madre della Consolazione è la Patrona principale dell’Arcidiocesi di Reggio

Calabria – Bova.

La Festa, una delle feste più importanti della provincia di Reggio Calabria, si celebra

solennemente in città dal sabato al martedì dopo la prima domenica che segue l’8 settembre di ogni

anno.

Reggio Calabria, «da secoli, ha una profonda devozione a Maria Santissima, che venera, sotto il

titolo della Consolazione; una devozione che è entrata nella storia non solo religiosa, ma anche

civile della città; che ha dato origine e forma a manifestazioni religiose e popolari, che fanno parte

ormai del patrimonio culturale del popolo reggino. Reggio si esalta e si ritrova nella sua Patrona,

sente la Madre di Dio particolarmente vicina, da Maria si sente protetta e difesa»1.

La prima celebrazione nota della festa risale al 21 novembre 1592, conseguentemente al primo

soccorso mariano al popolo di Reggio Calabria durante la peste che colpì Reggio Calabria e

Messina nel 1576 e che si protrasse poi per molti anni.

Per quanto riguarda le origini, secondo la tradizione un quadro della Madonna sarebbe stato

ritrovato da un contadino mentre zappava la terra ed inseguito, la medesima effige avrebbe parlato

ad un frate cappuccino in preghiera dinanzi ad esso per chiedere alla Vergine aiuto e protezione e

far scampare dalla città la pestilenza. La Vergine che accordò tale favore alla popolazione reggina

chiese al frate che si facesse da quel giorno in poi, ogni anno, una solenne processione di

ringraziamento.

1 A. SORRENTINO, La Madonna della Consolazione nella religiosità e nel culto popolare, Zappia , Reggio Calabria, 1987, 9.

La leggenda vuole che il dipinto, trasportato più volte nel Duomo della città, riappariva

miracolosamente presso il luogo dove era stata ritrovato e dove poi sarebbe sorta la Basilica

dell'Eremo, nella quale il quadro viene ancora oggi custodito.

Ogni anno, all’inizio dei festeggiamenti e fino alla domenica successiva al 21 novembre,

l’immagine viene trasferita dalla Basilica dell’Eremo al Duomo di Reggio Calabria.

Alla vigilia2 dell’inizio dei festeggiamenti molti fedeli si recano alla collina dell’Eremo, dove si

trova il quadro della Madonna, che generalmente viene fatto risalire alla fine del 1400.

Il giorno dopo, di sabato, il quadro viene portato a spalla, sulla pesante Vara dai pescatori, da

volenterosi e dai numerosi portatori dalla Basilica dell’Eremo verso la Cattedrale, dove viene

celebrata l’eucaristia e così si iniziano i festeggiamenti che si protraggono per ben quattro giorni

consecutivi e che hanno termine con la processione del martedì.

I festeggiamenti presentano alcuni elementi comuni ad ogni altra festa, quali luminarie, concerti

bandistici, gare pirotecniche, ma anche elementi particolari, come le sfilate di carri allegorici con

riferimenti a situazioni locali, l’offerta del Cereo Votivo da parte dell’Amministrazione Comunale,

le danze popolari, le esposizioni e le fiere dell’artigianato locale e nazionale.

Testimonianze storiche

Prima di esporre il cursus storico della nascita e del progressivo sviluppo del culto in onore della

Madonna della Consolazione da parte del popolo reggino, bisogna accennare al fatto che in realtà

alcuni strumenti che ancora oggi possediamo, quali opuscoli, libretti di preghiere e di devozione,

novenari, immaginette, poesie ed canti, in onore della Vergine, costituiscono un patrimonio ricco e

vario della cultura e della religiosità della popolazione reggina. Infatti, questi sussidi e questi

strumenti messi nelle mani dei fedeli, anche se spesso disomogenei nel linguaggio, nelle espressioni

e nella forma, ma diffusi largamente tra il popolo credente, rappresentano la manifestazione di una

2 L’usanza della veglia alla Madonna durante la notte che precede la discesa del quadro dall’Eremo al Duomo è molto antica, risale infatti al 1658.

tipica religiosità popolare nata al di fuori dei riti e delle parole prescritti dalla liturgia della Chiesa.

In altri termini il sentimento religioso del popolo, non potendo accontentarsi nel corso dei secoli di

una adesione spesso distante e lontana dal sentire comune, popolare e devozionale, che veniva

proposto dalle forme e dalle espressioni del culto liturgico ufficiale, aveva cercato «appagamento ed

espansione in altre forme più consone alla sua mentalità e ai suoi bisogni. E dobbiamo riconoscere

che l'introduzione del linguaggio volgare nelle pratiche religiose ha fatto molta strada. Infatti

nell’era moderna ci si è venuti largamente adattando e rassegnando, come ad un fatto inevitabile e

forse irreversibile, alla incomprensione della liturgia da parte dei fedeli ed alla loro conseguente

estraneità di fronte ad essa»3. Solo grazie alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II e

l’ammissione dell’uso delle lingue volgari e delle varietà rituali nella liturgia, è stato possibile

comprendere la possibilità di conciliare ed armonizzare, sebbene con grosse difficoltà, liturgia e

pietà popolare.

Per esaminare il processo storico ed evolutivo del culto in questione è necessario raccogliere ed

analizzare le fonti che ci permettano di risalire il più possibile, in maniera scientifica, ai fatti reali

legati al sorgere del culto, disgiungendoli da varie narrazioni spesso intrise di credulità e devozione

popolare legate al diffondersi del culto alla Madre della Consolazione, per giungere attraverso

l’analisi dell’avvicendarsi dei fatti accaduti realmente lungo tappe storiche fino a giungere ai giorni

nostri. Tra le fonti dunque dobbiamo prendere in esame dopo una breve, ma utile catalogazione,

tutto ciò che può realmente servire alla ricomposizione reale della devozione mariana della

popolazione reggina.

Per quanto riguarda una prima serie di fonti legate alla credenza popolare, possiamo dividere

questi libretti devozionali in due gruppi: da un lato le composizioni semplici e senza pretese,

dall’altro le composizioni elaborate e di tono più sostenuto ed autorevole, collocando questa

3 M. MARIOTTI, «Lingua e rito nel culto cattolico. I termini della questione e la sua soluzione tridentina», Estratto dall’Annuario 1966-67 del Liceo Ginnasio “Tommaso Campanella” di Reggio Calabria, Reggio Calabria 1967, 195-196.

letteratura popolare nella sua giusta luce ed inquadrandola nelle vicende storico - ambientali del

tempo.

Infatti, tra le composizioni in onore della Vergine, molte si riferiscono ad episodi o avvenimenti

realmente accaduti. Essi però, nella fantasia popolare, assumevano contorni vaghi ed erano avvolti

in un’atmosfera soprannaturale. Il popolo cioè, invece di dare ai fenomeni una spiegazione

razionale e scientifica, li interpretava simbolicamente. In un secondo momento abbiamo tentato di

vedere quali di queste composizioni erano più genuine e più sentite dal popolo. Perciò una gran

parte delle preghiere e dei canti riguarda produzioni popolari, facilmente assimilabili e

comprensibili dal popolo. Altre invece sono composizioni più elaborate che si avvicinano di più al

culto liturgico e sono opera di sacerdoti o persone colte che risentono ovviamente dell’influsso dei

documenti ufficiali della Chiesa. Questo gruppo di fonti infatti, rivelano uno sfoggio di erudizione

che si manifesta attraverso i continui riferimenti ai Padri della Chiesa e ai teologi; perfino gli

argomenti devozionali sono trattati con sottigliezza teologica e ciò emerge chiaramente nelle

ripetute citazioni in latino. Ovviamente il popolo spesso incolto o del tutto analfabeta capiva

pochissimo o spesso nulla di queste preghiere, il più delle volte incomprensibili per il contenuto

troppo elevato o per il linguaggio forbito ed inconsueto. Tuttavia questi libretti di devozione, anche

se non sempre hanno risposto pienamente alle esigenze di chiarezza e di semplicità, vanno

considerati come tentativi di alimentare ed illuminare nel popolo la devozione mariana. Tra questi

in particolare i canti e le invocazioni popolari, rivelano nella loro specifica essenzialità e ripetitività,

i contenuti della fede popolare espressa come richiesta di aiuto, intercessione e consolazione e come

desiderio di protezione e di rassicurazione che spinge i fedeli annualmente verso i diversi santuari e

i luoghi di culto.

Un altro gruppo di fonti, certamente più autorevoli, con un impronta di matrice storica e liturgica

la troviamo negli scritti di alcuni esponenti del clero calabrese come il Can. Giorgio Calabrò, Mons.

Natale Licari, Mons Pietro Tramontana ed infine Mons. Antonio De Lorenzo4 che tra tutti si

distinse per i suoi scritti completi dal punto di vista del metodo scientifico di ricerca e compilazione

a partire dall’analisi della veridicità delle fonti.

Tale premessa ritenevo necessaria per la comprensione del culto mariano in onore della Madre

della Consolazione che va giustamente inquadrata attraverso le categorie temporali5 e spaziali6.

Tenuto conto di queste premesse, ci siamo accostati alle produzioni devozionali cercando di

cogliere i motivi di fondo, i riferimenti mentali, più o meno espliciti, a problemi concreti che si

celavano dietro ad una semplice canzoncina o preghiera, talvolta dal tono dimesso e semplice,

talvolta dal tono artificioso e arido. Questi piccoli sussidi di preghiera e di meditazione elaborati un

po’ alla buona per i devoti ci aiutano a capire e a individuare certe caratteristiche del

comportamento popolare in materia religiosa e devozionale e ci permettono di risalire allo sviluppo

delle celebrazioni e del culto in genere nei confronti della Patrona della Chiesa reggina.

Il culto che il popolo cristiano rivolge alla Madonna si concretizza in due grandi tempi in

cui la fede popolare esprime la sua vicinanza e la sua devozione verso quella madre che percepisce

quale avvocata e consolatrice: la Devozione Sabatina, meglio conosciuta come la pratica dei Sette

Sabati e le celebrazioni vere e proprie della festa mariana cittadina che si svolgono annualmente

nel mese di settembre.

4 Mons. De Lorenzo agli inizi del secolo XX scrisse alcune pubblicazioni che ancora oggi sono considerate la base scientifica per lo studio della storia e del culto verso la Patrona dell’Arcidiocesi di Reggio. Per la mia elaborazione mi sono particolarmente servito di due dei suoi libri pubblicati nel 1902 ai quali rimando per maggiore approfondimento: A. DE LORENZO, Il Santuario di Maria SS. della Consolazione,Tipografia Ravagli, Roma 31902 e A. DE LORENZO, Nostra Signora della Consolazione protettrice della città di Reggio in Calabria. Quadretti storici,Tipografia Ravagli, Roma 31902.

5 Si tenga presente che la devozione alla Madonna della Consolazione appare e si sviluppa progressivamente fino ai giorni nostri a partire dal XVI secolo.

6 Il culto per essere compreso pienamente va situato nel territorio calabrese, nel Sud dell’Italia, dove sono ancora forti gli influssi di una devozione popolare ricca di suggestioni ed emozioni legate alla sfera del divino.

La devozione Sabatina

Caratteristica del culto in onore della Madonna della Consolazione è la così detta devozione dei

Sette Sabati, che è particolarmente diffusa presso il popolo reggino.

Secondo gli storici ed in particolare negli scritti di Mons. Antonio De Lorenzo, essa ebbe origine

nel 1693, in un momento di gravi calamità pubbliche che toccarono il territorio e la popolazione di

Reggio Calabria e quando il popolo tributò alla Vergine la solenne festa di ringraziamento.

Il Cardinale Gennaro Portanova con decreto del 28 luglio 1896 stabilì che i sabati dovevano

essere celebrati esclusivamente nella chiesa Cattedrale o alla Chiesa dell’Eremo, in preparazione o

in seguito alla festa della Madonna della Consolazione. Lo stesso Arcivescovo nel 1897 istituì per

l’accoglienza dei pellegrini la Pia Congregazione di Maria SS. della Consolazione, approvandone

anche il relativo regolamento.

Questa pratica consiste essenzialmente nella partecipazione alla liturgia Eucaristica, alla

Confessione e alla Comunione, nella celebrazione delle Lodi o dei Vespri in onore della Vergine o

di altre preghiere, fra cui il Rosario, recitate in forma privata o comunitaria in chiesa o durante il

pellegrinaggio, nella visita alla chiesa Cattedrale o all’Eremo. Molto lodevolmente si possono

aggiungere una riflessione sulla Parola di Dio o sulla missione della Madonna nel mistero di Cristo

e della Chiesa e qualche opera di misericordia corporale o spirituale a favore di fratelli poveri o

bisognosi7.

Seguendo una prassi consolidata, molti devoti della Vergine prolungano questa pratica

estendendola a tutti i sabati dell’anno. È interessante notare come col passare degli anni, questa

pratica sia stata estesa presso tutte le parrocchie cittadine soprattutto per tutti quelli che per qualsiasi

ragionevole motivo, fossero impediti di praticarla nel tempo o nei luoghi indicati.

La tradizione dei Sette Sabati affonda le sue radici in un rituale tutto particolare legato alle

tradizioni popolari e al folklore; i sabati venivano solennemente annunciati dalla banda cittadina

7 Cfr. A. SORRENTINO, La Madonna della Consolazione nella religiosità e nel culto popolare, Zappia, Reggio Calabria 1987, 12-13.

che, nelle ore pomeridiane del venerdì precedente il primo sabato, percorreva la principale arteria

cittadina mentre il popolo intonava i canti tradizionali e le laudi popolari alla Vergine. A sera la

città veniva illuminata dalle luminarie e dai fuochi pirotecnici. La notte del venerdì precedente il

primo giorno di festa il Santuario dell’Eremo diveniva luogo di ritrovo e di preghiera di tantissimi

devoti che per tutta la notte vegliavano in preghiera eseguendo preghiere, giaculatorie e canti

mariani.

Ancora oggi, durante i Sette Sabati, la gente si alza presto la mattina per recarsi alla chiesa

Cattedrale o alla Basilica dell’Eremo per partecipare alla celebrazione eucaristica. Nelle ore

pomeridiane nelle piazze antistanti le due chiese si cantano le laudi alla Madonna, tra cui risalta il

canto della Salve Regina e quello del tradizionale inno reggino Vergine bella e santa.

Ma i Sabati in particolare assumono un tono speciale se celebrati al Santuario sito alle falde della

collina detta Monte della Madonna. Fin dalla mezzanotte i devoti si avviano lentamente a gruppi,

recitando i più il Rosario, per giungere all’alba per la celebrazione della Messa.

Assume un tono particolare l’ultimo dei Sette Sabati: sin dalle prime ore della sera di venerdì i

pellegrini sono numerosissimi e più del solito, che si recano alla Basilica per la solenne veglia di

preghiera presieduta dall’Arcivescovo assistito dall’intero clero; alle luci dell’alba dopo la

celebrazione eucaristica l’effigie di Maria Consolatrice lascia l’Eremo per essere portata

processionalmente fino alla Cattedrale della città.

Da sottolineare la compilazione di alcuni sussidi di preghiera per permettere una partecipazione

spirituale alla pratica dei Sette Sabati: sono libretti che raccolgono preghiere e pratiche di

devozione, raccolte ed ordinate per ogni sabato. I brani in prosa si alternano a brevi poesie dedicate

alla Vergine. Questi libretti sono opera di sacerdoti che spesso si rifanno ad espressioni della

liturgia. Scopo dei suddetti manuali è di far sì che coloro che partecipano alla pratica dei

pellegrinaggi all’Eremo o al Duomo possano avere una guida per la preghiera, e quelli che non

potranno intervenire, possano trovare uno spunto pratico per la devozione alla Madonna, in

particolare gli anziani, i sofferenti e tutti coloro che bramano di essere da Lei consolati.

Accanto alla pratica dei Sette Sabati precedenti la discesa del quadro della Madonna della

Consolazione, dobbiamo aggiungere la consuetudine dei Sette Sabati seguenti la discesa della sacra

effigie in città. Non sappiamo di preciso quando questa devozione sia cominciata, ci è noto però che

il cardinale Gennaro Portanova in un decreto del 28 luglio 1896 ribadiva che essi dovevano essere

celebrati esclusivamente in Cattedrale e nel Santuario.

Per quanto riguarda la pratica dei Sette Sabati seguenti la festa, bisogna specificare che essi

vengono celebrati in Duomo alle prime ore del mattino, con la celebrazione eucaristica. Dopo il

vespro si cantano le lodi alla Vergine e si recitano le litanie lauretane.

Generalmente, nelle preghiere che si recitano in queste occasioni, si ricordano i miracoli operati

dalla celeste patrona in favore della città di Reggio. La Madonna è salutata con i seguenti

appellativi ripresi dalle litanie della Vergine: “mater divinae gratiae, causa nostrae laetitiae, virgo

potens, salus infirmorum, refugium peccatorurn, consolatrix: afflictorum, advocata populi regini,

virgo virginum, mater Christi, mater amabilis, regina sanctorum omnium, stella matutina” e con i

seguenti aggettivi: “gloriosissima, amabilissima, tenerissima, soavissima, potentissima,

clementissima, fedelissima, candidissima, formosissima”; mentre le espressioni liturgiche e bibliche

si incontrano con quelle della pietà popolare.

Dopo la Riforma Conciliare, la Chiesa Reggina memore degli insegnamenti contenuti al numero

13 della Sacrosantum Concilium che raccomanda che i pii esercizi «tenuto conto dei tempi liturgici,

siano ordinati in modo da essere in armonia con la sacra liturgia, derivino in qualche modo da essa,

e ad essa data la sua natura di gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano»8, ha cercato di

formulare e proporre ai fedeli alcuni schemi di meditazione e di preghiera, accessibili a tutti e che

possano essere liberamente seguiti, secondo l’ispirazione di ciascuno.

8 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, «Sacrosantum Concilium, 13.», EV 1 (1962-1965) 363.

In particolare durante le celebrazioni eucaristiche sono adottati i formulari delle Messe del

Comune della Beata Vergine Maria presenti nel Messale Romano ed in particolare quelli raccolti

nelle Messe della Beata Vergine Maria, edite dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 1987.

La festa settembrina

Fin dal lontano 1693 i reggini ogni anno a settembre, festeggiano la Vergine della Consolazione

con solenni onoranze civili e religiose. I preparativi cominciano però molti giorni prima: Reggio

manifesta in città e provincia il suo amore verso la Madonna attraverso una vera esplosione di

religiosità. Essa si esprime per mezzo di tutto ciò che può fare spettacolo e colpire gli occhi di chi

guarda, specialmente del forestiero. Si curano le luminarie, si allestiscono bancarelle e giostre per i

divertimenti di grandi e bambini. Da ogni parte si invoca la Vergine, si offrono grossi ceri, le donne

sciolgono voti, alcune camminano scalze per tutta la durata della processione.

Un tempo questa festività era occasione di ossequio tra il potere religioso e civile, e in particolare

l’alternarsi delle vicende legate alla storia e alla politica della città, contribuivano a rendere i

festeggiamenti e le celebrazioni religiose e civili più o meno solenni e cerimoniose.

Del resto il rituale tranne qualche rarissima eccezione dal XVI secolo ad oggi risulta pressoché

inalterato: le autorità civili seguono la processione della sacra effigie assieme al clero e ad una folla

immensa di devoti che da ogni parte della provincia reggina e dalla vicina città di Messina mostrano

la loro devozione alla Vergine accompagnandone processionalmente la Vara in ossequioso silenzio

ed in atteggiamento di lode e preghiera.

Le manifestazioni popolari e le celebrazioni cultuali cominciano circa un mese e mezzo prima

della festa, col primo dei Sette Sabati, ma la festa vera e propria ha inizio il sabato mattina con la

processione della Madonna che dall’Eremo scende in città.

Nei secoli passati invece, era costume del Settecento che, all’ingresso dell’immagine in Duomo,

un oratore da un pulpito preparato in Piazza Duomo tenesse una pubblica laude verso la Protettrice

della città, e ridestasse nel popolo il sentimento della gratitudine, e disponesse gli spiriti a vivere

intensamente i giorni di festa.

La sera di lunedì si cantavano i solenni vespri con l’alternarsi di corali provenienti da fuori città,

spesso dai diversi paesi della regione calabrese.

Il quadro veniva collocato il primo giorno dinanzi alla «cappella del Capillo» o «dei Diano» e,

l’ultimo, dinanzi alla cappella della SS. Trinità, ove si vedevano esposte una bandiera turca e una

scimitarra, conquistate dai Calabresi a Lepanto.

Dal 1693, per decreto dall’Arcivescovo Ibanez, fu stabilita la sacra veglia d’armi e di devozione,

per cui i nobili, il clero, i rappresentanti degli altri ceti vegliavano, mentre le donne e le ragazze

delle famiglie potenti di Reggio pregavano.

La festa si concludeva il martedì pomeriggio con la solenne processione di restituzione del

quadro al santuario. Per quanto riguarda coloro che trasportavano la Vara, fin dal 1576 fu stabilito

che dovevano portarla prima quelli che avevano effettuato la «discesa» dell’effigie in città, poi i

bagnaresi, i cosentini e i reggini fornai e marinai. Fin dal 1782 bagnaresi, marinai e fornai di Reggio

e qualche cosentino di transito esercitarono questo rito di devozione.

Per quanto riguarda il Cereo votivo, esso veniva portato solennemente all’Eremo il 21 novembre,

in seguito si decise di trattenerlo in Cattedrale ai piedi dell’altare fino al giorno in cui veniva

riportato al Santuario mariano cittadino al seguito della effige della Vergine.

Talvolta nel corso della storia per motivi diversi (inclemenza del tempo, riparazioni da eseguire

all’Eremo) la Vara rimase in Duomo per altri giorni: fino all’8 dicembre nel 1886, nel 1899, 1901,

1915, 1927, 1999, fino al 1 dicembre nel 1912 e fino al 15 dicembre nel 1895. inoltre ogni anno si

cercò di abbellire sempre di più la festa, introducendo varie innovazioni.

Altro fatto di rilievo degno di essere segnalato fu la presenza nelle processioni del sabato e del

martedì dei frati Cappuccini e dei frati Riformati, questi ultimi da oltre 30 anni disertavano le

processioni della Madonna.

Tra le tante feste di settembre forse quella che viene ricordata come memorabile fu quella della

processione in mare del 1904, favorita da un mare tranquillo e abbellita dal seguito di tantissime

imbarcazioni adornate di bandiere tricolori, mentre i giovani a bordo accompagnavano il rito con

canti, alternati dal suono delle musiche.

Gli anni che seguirono furono turbati dalla Prima Guerra Mondiale, dopo la quale ripresero le

celebrazioni festose del settembre. Intorno al 1920 si ebbe la prima edizione dei carri allegorici, per

iniziativa di alcuni napoletani di Piedigrotta. I carri floreali invece si facevano già prima del

terremoto del 1908.

Nel 1924 un comitato cittadino, formato da elementi molto giovani, seppe dare alla festa una

intonazione molto elevata. Lunedì sera ebbe luogo una grande passeggiata storica che, iniziata alle

7 da piazza Garibaldi, percorse tutto il corso fino alla via Romana (l’attuale via G. De Nava) dove

fu ricevuto il Re Carlo V; dopo i1 corteo rifece il corso Garibaldi, poi la via marina seguito da una

folla immensa di persone. Alle 10,30 di martedì ebbe luogo la Messa Pontificale presieduta da

Mons. Rinaldo Rousset. Alle 17 dello stesso giorno si svolse la processione ed al ritorno in

Cattedrale venne acceso in piazza «il tradizionale trionfino». Prima della processione furono

lanciati dei palloni aerostatici e mancò per ragioni che non è stato possibile ancora conoscere,

l’intervento degli aeroplani invitati a sorvolare Reggio. Finita la processione, ci furono quattro carri

allegorici che attraversarono il Corso come avevano fatto il sabato sera. La festa si concluse con

l’accensione dei fuochi.

Nel 1936 la festa coincise con l’incoronazione della Vergine e del Bambino della quale abbiamo

già trattato. Varie furono le innovazioni: in particolar modo furono potenziate le gare sportive,

venne introdotta una Sagra della Canzone Calabrese all’Eremo, oltre alla consueta sfilata dei carri

allegorici che da piazza Garibaldi giungevano al Santuario, ed alla manifestazione floreale sul

Corso.

Negli anni di guerra che seguirono, poiché le tristi circostanze sconsigliavano lo svolgimento dei

festeggiamenti civili, la celebrazione non risultò meno solenne, sebbene ridotta ai soli

festeggiamenti religiosi.

Nel 1940, date le circostanze del momento, la discesa del quadro miracoloso non poté essere

fatta nella forma solenne e tradizionale, e poiché il popolo desiderava la presenza dell’effige in città

a protezione dalla guerra, si decise la discesa del quadro per le prime ore della notte. Fu lo stesso

Arcivescovo Mons. Enrico Montalbetti, poi morto durante la guerra colpito da un mitragliamento

aereo il 29 gennaio 1943, che sali al santuario alle ore 21 dell’ 11 settembre per prelevare il quadro,

accompagnato da vari sacerdoti che nelle proprie braccia lo portarono su una automobile per essere

successivamente avvolto e portato in Cattedrale. In quei giorni nonostante la paura dei

bombardamenti non mancarono i pellegrinaggi.

Nel 1941, nonostante le difficili circostanze, il 2 agosto si diede inizio alla pratica dei Sette

Sabati tradizionali in onore della Vergine, anche se fu mantenuto il divieto delle funzioni notturne,

e la celebrazione delle messe ebbe luogo dall’alba in poi. Quanto alla festa, le autorità in seguito

alla richiesta di Mons. Montalbetti concessero che il quadro fosse portato processionalmente in

Duomo, che stavolta ebbe luogo non di sabato, secondo la consuetudine, ma il giorno precedente,

venerdì 12 settembre, in modo che fosse evitata la veglia tradizionale nei pressi dell’Eremo, nella

notte di venerdì, pericolosa per l’assembramento del popolo.

Nel 1944 la processione fu imponentissima e la festa fu celebrata con particolare solennità e con

straordinario concorso di popolo. Sia nel 1945 che nel 1946 l’Arcivescovo Mons. Antonio Lanza

celebrò nel Duomo le solenni liturgie pontificali, e le processioni ebbero gran partecipazione di

popolo.

Finiti gli eventi bellici, la festa di settembre fu celebrata con la solennità di sempre. Accanto ai

festeggiamenti civili si svolsero parallelamente quelli religiosi. Reggio nei quattro giorni di

settembre acquistò l’aspetto ridente e tranquillo di sempre, con l’accensione delle luminarie, i

parchi dei divertimenti, i carri allegorici e floreali, le fiere, le gare sportive ed i fuochi d’artificio.

Non mancò mai alle celebrazioni delle funzioni liturgiche ed alle processioni il popolo devoto e

numeroso.

Dal 1961 è sorta la consuetudine di fare delle rassegne di canti e danze popolari con l’invito di

gruppi folkoristici provenienti da tutto il mondo.

Durante gli anni che hanno visto la popolazione reggina coinvolta in vicende politiche e sociali

poco favorevoli al suo sviluppo, ed in particolare nel 1970, per i noti Fatti di Reggio, in cui Reggio

perse il privilegio di essere il capoluogo della regione Calabria, la festa venne limitata solo alle

funzioni religiose

L’anno seguente, ancora a causa dei Fatti di Reggio, la festa limitata solo alle funzioni religiose,

subì varie modifiche. Per la prima volta dal lontano 1693 non ci sono stati a ricevere la Vara né il

sindaco né la giunta comunale; il clima di contestazione e di tensione influenzò anche questa

secolare tradizione. Davanti a palazzo S. Giorgio, sede dell’Amministrazione Comunale, ci fu un

distacco improvviso: la processione si spezzò a metà, avanti, l’Arcivescovo ed i religiosi, dietro la

Vara con i fedeli, anche se poi tale incidente venne rimediato grazie all’iniziativa di alcuni che

raggiunsero la processione del Clero e con il loro esempio stimolarono i restanti portatori a

congiungersi al gruppo.

Sempre durante il tempo delle celebrazioni settembrine del 1971, per la prima volta i portatori

modificarono improvvisamente il percorso professionale, evitando la fermata davanti il palazzo

municipale e nella processione successiva del martedì, il quadro per la prima volta dopo tre secoli

raggiunse il quartiere dei ferrovieri e dei pescatori. Nella mattinata inoltre era stata infranta un’altra

tradizione: l’offerta del colossale Cero Votivo, sormontato dallo stemma della città venne privata

dell’ufficialità e il dono è stato deposto alla base dell’effigie da sacristi della Cattedrale e non come

al solito dai vigili urbani.

Nel 1972 i festeggiamenti sia religiosi che civili ripresero secondo le consuetudini. È stata anche

ripristinata l’offerta del Cero Votivo da parte della Civica Amministrazione. Quanto alle

manifestazioni civili, si ebbero concerti di complessi bandistici, di cori polifonici e spettacoli di

musica leggera, oltre alla rassegna di canti e danze popolari, molte le gare sportive e, sul corso

Garibaldi sfilarono i carri artistici e floreali e i gruppi folkoristici e la festa si concluse con i

tradizionali fuochi d’artificio.

In questi ultimi anni fino ad oggi molto spazio è stato dedicato al folklore, alla musica e a

qualche rappresentazione teatrale in vernacolo. L’intelaiatura della festa è rimasta però, grosso

modo, quella di sempre: la tradizione liturgica e celebrativa legata alla devozione e alla tradizione

popolare con la partecipazione di migliaia di fedeli.

Attualmente la festa settembrina è rimasta praticamente invariata nella forma mantenendo un

segno di continuità con le tradizioni precedenti.

Una delle novità introdotte dall’attuale Arcivescovo Reggino, Mons. Vittorio Mondello, è la

preparazione prossima dei giorni antecedenti la festa, dal martedì al giovedì, con la celebrazione di

un Convegno Pastorale Diocesano che ha come tema una delle situazioni particolarmente vicina

alle necessità della chiesa reggina, il quale ha inizio con una celebrazione nella Chiesa Cattedrale

della Liturgia della Parola presieduta dal presule. Il Convegno viene chiuso ufficialmente la sera del

venerdì precedente il sabato della processione cittadina con una solenne veglia di preghiera

all’Eremo, ai piedi del monte dove si custodisce la miracolosa icona della Madonna della

Consolazione. È da notare l’afflusso di tantissimi fedeli, del Clero diocesano, del Capitolo

Metropolitano, dei religiosi e delle religiose e del Seminario Arcivescovile.

Alle prime luci dell’alba del giorno di sabato, dopo la celebrazione eucaristica, i botti e la musica

danno solennemente inizio ai festeggiamenti mariani. I portatori della Vara provvedono a

rimuovere l’effige dall’enorme simulacro della Basilica per deporlo all’interno della pesante Vara

che la custodirà per tutto il tempo della processione fino in Cattedrale. Lungo il tragitto, i portatori

non omettono di sostare il simulacro dinanzi agli ospedali e ai nosocomi della città, ricordando ai

malati, ai sofferenti e gli anziani la protezione e la consolazione della Vergine. Giunta in città

abbiamo il rito della consegna della Vara dal Custode dei Cappuccini all’Arcivescovo e al Clero

affinché ne curino la custodia ed il culto; la processione in seguito si snoda per le principali vie

della città ed arrivata in piazza Duomo, inizia lo spettacolo della Volata: i Portatori entrano di corsa

e depongono trionfalmente in Chiesa la Vara Mariana, ai piedi dell’altare, mentre tra lacrime e

commozione la gente continua a pregare ed inneggiare a Maria.

Durante il giorno di sabato e in quelli successivi della domenica e del lunedì, la popolazione si

reca devota ad onorare Maria, vivendo forti momenti di fede e di spiritualità nell’ascolto della

Parola di Dio, nella celebrazione della eucaristia presieduta dai vescovi originari della Diocesi.

La domenica mattina la liturgia Pontificale dell’Arcivescovo, animata dal Coro Diocesano,

assume un tono particolarmente festoso per la presenza di tantissimi fedeli giunti ai piedi di Maria

da ogni parte della Calabria per onorarla ed invocare la sua protezione.

Il lunedì sera la celebrazione dei Vespri solenni in onore della Madonna apre alla gioia della

festa che avrà il suo culmine nella celebrazione della messa mattutina di martedì con il rito

consolidato dell’offerta del Cereo Votivo da parte dell’Amministrazione Comunale e nel

pomeriggio la processione con il simulacro e la conclusione in piazza Duomo col saluto e

l’indirizzo di un messaggio di fede e di speranza da parte del pastore a tutti i fedeli della Diocesi,

mentre la Vara rientra in Cattedrale tra l’emozione e il canto dei fedeli devoti.

Il Santuario Basilica dell’Eremo

Il quadro della Madonna della Consolazione è custodito abitualmente nella chiesa dell’Eremo

dei Padri Cappuccini.

Più volte i Cappuccini furono costretti a lasciare la loro casa: partiti nel 1783, vi ritornarono nel

1796; ripartiti nel 1809 per ordine dei Francesi e ultimamente nel 1866 per la soppressione degli

ordini religiosi, vi ritornarono nel 1911.

La primitiva cappella, costruita a mò di baracca, in cui fin dall’inizio veniva venerata l’effigie

della Vergine, venne sostituita col tempo con una chiesa, anch’essa sottoposta a varie vicissitudini.

Distrutta dal terremoto del 28 dicembre 1908 fu sostituita con una nuova baracca; venne

nuovamente ricostruita su progetto dell’architetto Sbaracani di Roma, e solennemente consacrata

dall’Arcivescovo Mons. Giovanni Ferro. Nella Basilica vi è la tomba del Venerabile Gesualdo

Melacrinò (1725-1803), sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Al suo interno

sono da menzionare alcune opere artistiche di particolare valore: la pala dell’altare di Alessandro

Monteleone, il tabernacolo ligneo di matrice francescana, e nell’attiguo convento, molte tele

provenienti dal Convento di Fiumara di Muro (RC).

La Basilica Cattedrale di Reggio Calabria

Come già affermato il quadro della Madonna della Consolazione viene solennemente trasportato

dall’Eremo alla Basilica Cattedrale il secondo sabato di settembre. La festa si celebra il martedì

successivo. Il quadro rimane esposto nella Cattedrale fino alla domenica successiva al 21 novembre,

quando viene riportato alla Basilica dell'Eremo.

Durante i tre mesi di sosta in Cattedrale «si succedono, nei sabati, i pellegrinaggi delle zone

pastorali della diocesi; in giorni opportuni si svolgono i pellegrinaggi dei presbiteri, delle suore,

degli alunni delle scuole, degli ammalati, dei giovani. Questi pellegrinaggi rivestono alto valore

ecclesiale e mariano e, poiché si tengono all'inizio dell’anno sociale, servono anche a proporre i

piani pastorali e a rinnovare l’impegno di operare in unità di intenti»9.

La chiesa Cattedrale, dedicata alla Madonna Assunta, è stata elevata a Basilica Minore con Bolla

di Paolo VI Inter honorificos del 21 giugno 1978.

La Cattedrale di Reggio ha subito nei secoli diverse distruzioni e devastazioni. L’attuale edificio

è stato ricostruito su progetto del P. Carmelo Angelini e consacrato il 2 settembre 1928

dall’Arcivescovo Mons. Carmelo Pujia.

9 SORRENTINO, La Madonna della Consolazione Patrona di Reggio Calabria, 18.

La devozione del popolo Reggino

Come più volte affermato tra la Chiesa e la Vergine i legami non sono soltanto numerosi e stretti:

sono essenziali. Sono intessuti dal di dentro. Questi due misteri sono più che solidali: si può persino

affermare che essi sono un unico mistero. È un fatto significativo e degno di nota: le stesse

difficoltà che si riscontrano nei riguardi della Chiesa si ritrovano, spesso, in certi credenti, nei

riguardi della Vergine.

Oltre il rapporto di maternità spirituale, per cui è Madre della Chiesa, Maria è il modello

dell’atteggiamento spirituale con cui la Chiesa celebra e vive i divini misteri. È anche immagine di

tutta la Chiesa, quale modello e maestra di vita spirituale per i cristiani, assumendo così un valore

esemplare, universale e permanente.

Alla luce di ciò «l’orientamento antropologico del culto mariano non è una nota di secondaria

importanza e deve essere messa in particolare evidenza, perché a questa annotazione l’uomo

contemporaneo è particolarmente sensibile. Maria si presenta così come il modello compiuto del

discepolo del Signore, interpretando i sentimenti del pellegrino in viaggio verso la Gerusalemme

celeste, promotore della giustizia che libera l’oppresso e della carità che soccorre il bisognoso, ma

soprattutto testimone operoso dell’amore che edifica Cristo nei cuori»10.

Tra liturgia e pietà popolare

Il culto della Madonna della Consolazione è legato a importanti episodi della vita del popolo

reggino storicamente accaduti. Si tratta di una pratica religiosa ancora viva in tutte le classi sociali,

ma, in modo particolare, presso la gente umile, che invoca la Vergine quale rifugio, consolazione,

speranza di futuro gaudio. Ciò ci permette di comprendere come alla radice del culto ci sia il

10 A. SORRENTINO, La Madonna della Consolazione nella religiosità e nel culto popolare, 19.

bisogno della fuga dalle ostilità del mondo e della natura e l’attesa della sicurezza dalla protezione

della grande madre di tutti, appunto la Madonna.

La invocazione della protezione ha quasi una consistenza fisica: si esprime in atteggiamenti

collettivi, acquisisce le dimensioni del dolore e della gioia, diventa un processo di liberazione dalle

paure e dalle angosce, dalle persecuzioni e dalle violenze. Persino quando crolla la fiducia in chi

governa, il popolo si rifugia nel divino. Infatti, confidando nell’intervento soprannaturale, le miserie

della realtà presente sembrano diventare più sopportabili.

Ed ecco che, di fronte alla cultura della classe dominante, il popolo se ne crea un’altra più

consona alla sua mentalità, meno legata alle liturgie ufficiali, più espressione di un bisogno di

grazia attuale, con funzione liberatoria dalla realtà talvolta contraria e ostile al bene comune. Del

resto i testi delle invocazioni, delle novene, delle preghiere alla Vergine Consolatrice esprimono il

bisogno degli ultimi di far sentire la loro voce nel contesto religioso e sociale, ecco perché si ricorre

a Maria, che essendo stata consolata da Dio con la risurrezione del figlio Gesù, è in grado di

sostenere e consolare tutti quelli che sono provati dallo sconforto, dal dolore e dalla miseria

quotidiana, spesso caratteristica della gente del Sud.

A Maria il popolo si rivolge per chiedere aiuto e protezione in questa terra e di poter vivere

sostenuti dalla Grazia divina per ottenere la salvezza eterna: in questo Maria è riconosciuta come

Aiuto dei cristiani e Porto di salvezza eterna.

Inoltre la gente del luogo, nel corso dei secoli, spesso provata dall’indigenza e dalla povertà

trova in Lei il paradigma della povera d’Israele alla quale con fiducia ci si può rivolgere per essere

sollevati e confortati, la gente anzi vuole percepire materialmente la vicinanza della Consolatrice: le

immagini, le medaglie che raffigurano la Madonna, spesso potate addosso, acquistano il valore

simbolico di proteggere chi le indossa, come pure l’abito votivo color celeste con trine rosse.

La Vara, l’enorme «macchina da trasporto della venerata effigie» deve essere portata

esclusivamente a spalla dapprima soltanto come privilegio riservato ai pescatori e ai marinai11, che

assolvono ormai da molti secoli questo compito; anche se dalla metà del XX secolo ad oggi per

disposizione diocesana essa è affidata ai portatori della Vara, provenienti dai diversi ambiti sociale,

che in più di cinquecento unità a turno si danno il cambio per sostenere il peso di oltre dodici

quintali, lungo il tragitto della processione religiosa dall’Eremo alla Cattedrale. Essa deve ogni anno

fare lo stesso percorso, deve rimanere in Duomo nel tempo stabilito e la Vergine deve essere

festeggiata nel migliore dei modi. Guai a trasgredire o modificare il rituale della cerimonia. Il

popolo è molto legato alla tradizione e con molta lentezza si lascia attirare dalle novità o si convince

che certi atteggiamenti sono ormai superati.

La gente effettivamente tiene molto alle manifestazioni esteriori ed a modo suo è sincero. Però,

dobbiamo pure notarlo, le pratiche liturgiche non vengono trascurate. Infatti, sia prima della festa di

settembre al Santuario sia durante la permanenza del quadro in Cattedrale, molti praticano la

devozione dei Sette Sabati accostandosi ai sacramenti, in particolare la riconciliazione e l’eucaristia.

È interessante accennare alle modalità con cui la Chiesa Diocesana si pone dinanzi ad un

fenomeno così massiccio di partecipazione alle funzioni religiose di devozione a Maria. La Chiesa

ha sentito sempre il bisogno di tenere sotto il suo diretto controllo il popolo dei devoti, affinché esso

non deviasse verso una celebrazione dove il pagano e il religioso si confondessero e affinché non si

accentuasse il divario fra la religione prescritta e quella vissuta, ricorrendo talvolta a

pronunciamenti ufficiali come accadde nel 191612 e nel 194913. Da allora la preoccupazione passò

11 Ciò dimostra il profondo legame tra la popolazione di Reggio Calabria ed il mare. In particolare Reggio è assieme a Messina la città dello Stretto, ed il mare e la pesca per secoli furono la principale occupazione e risorsa del popolo. Maria in molte località del litorale cittadino inoltre viene invocata quale Madonna di porto salvo.

12 Esemplificativo è l’intervento dell’ Episcopato calabrese che nel 1916, in una lettera pastorale, così si pronunciava: «mentre da una parte dobbiamo riconoscere nelle nostre popolazioni un fondo religioso, che si estrinseca in una quantità di pratiche esteriori di culto, dobbiamo poi nostro malgrado constatare che a queste pratiche manca ordinariamente il soffio animatore della vera pietà, e che esse si riducono ad un vuoto formalismo, o, tutto al più, ad un vaporoso ed evanescente sentimentalismo religioso. [...] La vera pietà non consiste solamente in esterne manifestazioni di religione [...] ma nella piena osservanza della legge di Dio e della Chiesa; [... ] nell’esercizio delle virtù cristiane [... ]. Buona, lodevolissima la devozione alla Vergine Santissima ed ai Santi, purché [... ] non trasmodi». E a proposito delle processioni: «amiamo e veneriamo le vere processioni [... ] detestiamo e deploriamo [...] una quantità di abusi [...] che

di pastore in pastore della Comunità Diocesana affinché il culto mariano in città venisse

progressivamente svuotato da legami alla tradizione e i festeggiamenti si potessero risolvere e

limitare solo alle celebrazioni liturgiche in cui Maria viene invocata Consolatrice ed Avvocata del

popolo di Reggio e venisse inquadrata sempre più la figura materna della Vergine all’interno della

celebrazione dell’unico mistero pasquale del Cristo.

Da notare purtroppo che il popolo reggino, anche quando osserva le indicazioni pastorali dei

vescovi, astenendosi da manifestazioni esterne ed esasperate, non riesce a concepire la devozione

come qualcosa di esclusivamente spirituale ed interiore, staccata dalle espressioni sensibili; che

difficilmente può essere separata dal comportamento devozionale della massa dei fedeli, e ciò anche

contro le sollecitazioni delle Autorità ecclesiali che chiedono in definitiva solo una partecipazione

attenta, attiva e spirituale alla liturgia che si preoccupa di celebrare le opere grandi che Dio ha

compiuto per la salvezza del mondo mediante la figura di Maria.

Ecco perché alla luce degli insegnamenti conciliari la Chiesa propone ai fedeli di Maria un

cammino di purificazione del culto da una serie di elementi che poco hanno a che fare con esso, ma

al contrario sono il vuoto risultato di credenza e devozione popolare spesso ridotta a

sentimentalismo e di matrice individualistica. Questo processo che è risultato lento e faticoso nel

corso della storia, oggi ha prodotto i suoi frutti facendo sì che l’assemblea credente che si porta

all’Eremo o in Cattedrale per pregare Maria, guardi principalmente al Mistero di Cristo proposto e

celebrato nella liturgia attraverso i riti e le preghiere.

rendono le processioni non solo profane, ma [... ] scandalose e ridicole [... ]. Se si vogliono bande, mortaretti, fuochi d'artifizio, si cerchino altri mezzi per procurare al popolo questi divertimenti [...] ma non si faccia servire una processione a strumento di tali guadagni [...]. Oh! se invece le nostre popolazioni fossero un pò più docili, se invece di voler comandare in queste cose, che non sono di loro competenza, ubbidissero con semplicità, come sarebbe il loro dovere, quanti di questi abusi sarebbero già da tempo scomparsi».

13 Malgrado queste sollecitazioni, la situazione non migliorò molto se nel 1949 gli arcivescovi e vescovi della Calabria dovettero ribadire che era necessario conservare alle feste la loro finalità eminentemente religiosa e che occorreva evitare che il fine spirituale fosse soffocato o mortificato dagli elementi ed interessi profani. In particolare vennero proibiti, in occasioni di festeggiamenti religiosi, gli spettacoli cinematografici all’aperto, anche se con soggetto religioso, le orchestrine con canti o con musica leggera, il suono di inni che non fossero religiosi. Nel caso poi che tale prescrizione fosse stata trasgredita, sarebbe rimasta senz’altro vietata qualsiasi solennità sia esterna che interna e si sarebbe osservato «il rito delle altre domeniche». La trasgressione delle presenti norme sarebbe stata passibile delle vigenti sanzioni canoniche, non escluso il divieto, nel futuro, della medesima festa.

Innanzitutto è stato necessario separare gradualmente l’elemento liturgico e rituale dalle pratiche

devozionali: faticoso è stato eliminare racconti eseguiti in canto, filastrocche, inni tramandati da

padre in figlio, di generazione in generazione che spesso attribuivano alla Vergine ciò che è proprio

della mediazione del Cristo Salvatore, oppure cancellare da questi testi popolari e dai libretti

devozionali a larga diffusione gli errori teologici e di fede relativi al culto Mariano.

Lentissimo altresì il processo di applicazione delle norme riportate all’interno del Capitolo V del

Direttorio su pietà popolare e liturgia dal titolo La venerazione per la Santa Madre del Signore, in

quanto la popolazione più legata alle tradizioni che alla Tradizione, ha fatto molta fatica nel

recepire, comprendere ed attuare i principi dottrinali, liturgici e cultuali presenti in esso14.

Conciliare liturgia, spiritualità, credenza e pietà popolare non risulta affatto semplice. Se ci

fermiamo a riflettere, molte sono le considerazioni che possiamo fare per comprendere il legame ad

esempio tra pietà popolare e spiritualità: del resto se quest’ultima si intende e si fa coincidere con la

vita cristiana, cioè come vita in Cristo, e la vita spirituale come vita vissuta nello Spirito e secondo

lo Spirito, allora è necessario mettersi alla ricerca di alcuni dati caratteristici presenti nella

devozione popolare per giungere alla conclusione che è necessario trovare, sperimentare e vivere

nella liturgia la vita stessa di Dio in noi.

Infatti, «una genuina spiritualità cristiana, cerca di fatto, nel vissuto della pietà popolare il

necessario riferimento alla Parola e alla fede, la necessaria esperienza liturgica e sacramentale, la

confessione e la celebrazione del mistero e dei misteri di Cristo, alla comunione trinitaria»15 che

possa conciliare da un lato l’esperienza soggettiva della fede personale e dell’adesione a Dio e

dall’altro, una prospettiva delle comunione ecclesiale vissuta come esperienza celebrativa grazie

alla celebrazioni delle azioni liturgiche.

14 Cfr. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, 152-173.

15 J. CASTELLANO CERVERA, ‹‹Liturgia, pietà popolare, spiritualità››, Rivista liturgica 89 (2002) 941.

La liturgia del resto richiama e suppone una partecipazione soggettiva e comunitaria nutrita di

vita teologale; nella quale tutti i sensi, gli affetti e i sentimenti del singolo e dell’intera assemblea

siano coinvolti. Il linguaggio simbolico della liturgia, dalle parole, ai gesti, ai segni, ai canti, ai

movimenti, ai colori, richiamano ad una dimensione di vita cristiana che è sì soggettiva ma che deve

essere integrata nella collettività, ecco perché la pietà popolare per essere compresa pienamente ed

inquadrata nella liturgia deve essere svuotata gradualmente da una dimensione intimistica e

devozionalistica per aprirsi sempre più alla dimensione ecclesiale della lode e del ringraziamento di

Dio.

È dunque necessario in riferimento al culto indirizzato alla Madonna della Consolazione per così

dire educare la Comunità credente a scoprire il senso profondo sotteso alla Tradizione e alle

tradizioni che riporti il credente alla bellezza della celebrazione della fede che è vita vissuta nella

verità e sperimentata nella liturgia.

Educazione alla scoperta della pietà popolare che diviene «un’attività che presume obbiettivi

chiari e percorsi da seguire, differenziati e circostanziati, al fine di raggiungerli»16 tenendo conto

della sensibilità, della cultura e del cammino di fede che ogni Chiesa suppone.

Seguire principalmente le direttive e le indicazioni contenute negli insegnamenti e nel Magistero

della Chiesa diviene, secondo il mio parere, la strada maestra da percorrere per vivere nella liturgia

l’unione e l’intesa perfetta tra ciò che è legato alla fede e l’incontro personale con il Cristo Risorto e

la comunione col resto della Comunità che vuole e deve condividere il medesimo percorso di vita.

Ciò emerge innanzitutto nella Costituzione sulla liturgia al numero 13 dove si afferma:

« I “pii esercizi” del popolo cristiano, purché siano conformi alle leggi e alle norme della Chiesa,

sono vivamente raccomandati, soprattutto quando si compiono per mandato della Sede

apostolica. Di speciale dignità godono anche quei “sacri esercizi” delle Chiese particolari che

vengono compiuti per disposizione dei vescovi, secondo le consuetudini o i libri legittimamente

16 C. MAGGIONI, «Cosa significa “educare alla pietà popolare” a partire da Sacrosantum Concilium 13», Rivista liturgica 89 (2002) 961.

approvati. Bisogna però che tali esercizi siano regolati tenendo conto dei tempi liturgici e in

modo da armonizzarsi con la liturgia; derivino in qualche modo da essa e ad essa introducano il

popolo, dal momento che la liturgia è per natura sua di gran lunga superiore ai pii esercizi»17.

Questo testo ci permette di comprendere la liturgia quale “culmine e fonte” della vita della

Chiesa (SC 10) che non esaurendo completamente tutta la ricchezza della vita spirituale trova nei

“pii esercizi”, la possibilità di aggancio alle tradizioni tramandate dai padri, il cui compito precipuo

è di permettere di esprimere a livello personale la fede vissuta e celebrata, e permettere una giusta

armonizzazione con la liturgia. Alla luce di tale insegnamento ecclesiale e sotto le indicazioni del

vescovo diocesano è possibile svuotare la devozione personale dal puro sentimentalismo per essere

integrata nel tessuto liturgico ed ecclesiale. La Chiesa dunque è chiamata a farsi garante e maestra

spirituale soprattutto di coloro che fanno fatica a comprendere e vivere l’integrazione tra le due

realtà18.

Inoltre i criteri incontrati nel testo conciliare li troviamo ampliati ed integrati nel Direttorio su

pietà popolare e liturgia, che estende i “pii esercizi” alle svariate forme di devozione personale,

curando il rapporto tra liturgia e pietà popolare, operando una distinzione tra esse e aiutando

attraverso indicazioni pratiche, la natura, i limiti e le modalità della devozione popolare messa a

confronto con le azioni liturgiche19.

Educare alla pietà popolare e alla liturgia e disporre la Comunità al primato della liturgia,

significa in definitiva formare coscienze capaci di saper leggere la linea di demarcazione che

intercorre tra le due, attraverso un cammino di conversione e di rinnovamento ecclesiale che risulta

essere faticoso e lento ma che può portare soprattutto in alcune regioni del mondo, come ad

esempio la città di Reggio Calabria con la sua devozione alla Madre della Consolazione, ad un

17 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, «Sacrosantum Concilium, 13. Costituzione sulla Sacra liturgia», E V 1 (1962-1965) 363.

18 Per un maggiore approfondimento rimando allo studio di C. MAGGIONI, «Cosa significa “educare alla pietà popolare” a partire da Sacrosantum Concilium 13», Rivista liturgica 89 (2002) 961-980.

19 Cfr. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, 11-13, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002, 22-25.

rinnovamento qualitativo che metta al centro l’uomo ed il suo incontro con il Signore grazie alla

presenza di Maria che consolando ed intercedendo per il suo popolo, lo aiuti nella crescita umana e

spirituale e lo conduca alla salvezza.

Liturgia e pietà popolare infine, non vanno ignorate, ma l’azione educatrice della Chiesa deve

permettere che le ricchezze di ciascun popolo e cultura divengano valori oggettivi che esprimano il

giusto atteggiamento dell’uomo dinanzi a Dio.

Ecco perché «un’autentica pastorale liturgica saprà appoggiarsi sulle ricchezze della pietà

popolare, purificarle e orientarle verso la liturgia come offerta dei popoli»20.

E’ oggi più che mai necessario recuperare o meglio mettere in pratica, se eventualmente non

si fosse mai fatto, la giusta comprensione del culto rivolto a Maria Vergine alla luce della

liturgia che attraverso gesti e parole vuole celebrare nella storia e nella Chiesa l’unico Mistero

Pasquale di Cristo, incarnato, morto e risorto per la salvezza dell’umanità.

La considerazione è immediata: nonostante il culto riservato alla Vergine Maria nella liturgia e

nelle pratiche di devozione e pietà popolare, si sia diffuso fin dal nascere della Chiesa come

necessità dell’assemblea credente, che riteneva particolarmente vicina Maria nelle prove e nelle

difficoltà della vita, ancora oggi spesso esso fatica ad essere letto e compreso alla luce del Cristo,

che la liturgia celebra nei ritmi e nel tempo ed assumere la giusta collocazione all’interno di esso.

Guardare a Maria significherà allora non fermarsi a vivere la devozione nei suoi confronti

riducendola a puro sentimentalismo e devozionalismo, ma accogliere da Lei l’esempio per una

perfetta e totale conformazione a Gesù Cristo. Le due grandi dimensioni del culto mariano espresse

nella comunione e nella esemplarità dovranno essere la strada maestra da imboccare per cogliere la

ricchezza del culto mariano nella Chiesa.

20 GIOVANNI PAOLO PP. II, «Vicesimus quintus annus, 18. Lettera apostolica nel XXV anniversario della Costituzione Conciliare sulla sacra liturgia», EV 11 (1988-1989) 983.

Alla luce di ciò si comprende come il culto nei confronti di Maria Madre della Consolazione

potrà diventare un utile mezzo per raggiungere questa meta: Ella diviene modello ed immagine

della Chiesa in cammino verso il Signore facendosi prossima a tutti coloro che la invocano e

chiedono il suo aiuto e la sua materna intercessione, che potrà essere raggiunta per mezzo delle

azioni liturgiche.

La liturgia diviene allora il luogo ed il mezzo affinché il credente per intercessione di Maria

possa raggiungere ed incontrare il Signore, il Dio che si desidera sentire vicino soprattutto nei

momenti di particolare prova e difficoltà. Il compito di Maria sarà quello di portare l’uomo a Cristo,

soprattutto i deboli ed i sofferenti.

Come riporta infatti il testo dl Prefazio della Messa, Maria diviene allora per l’umanità la

consolatrice del genere umano in quanto in prima persona ha sperimentato la consolazione da parte

di Dio: nell’incarnazione del Verbo nel suo grembo verginale, nel momento massimo di sofferenza

ai piedi della croce del Figlio morente che gli affidava la maternità universale della Chiesa e quando

accolse assieme ai discepoli nel cenacolo lo Spirito Santo Consolatore. Maria è dunque per la

Chiesa la Madre Consolata e Consolatrice, l’uomo partecipa della sua stessa consolazione nella

misura in cui si rende disponibile all’azione trasformante dello Spirito che permette l’incontro

vivificante col Cristo presente ed operante nella liturgia.

Le tradizioni e la storia del popolo reggino, ci fanno capire quanto l’uomo senta il bisogno di

sperimentare la consolazione di Dio che passa attraverso l’intercessione di Maria Consolatrice.

Nelle prove, durante le pestilenze ed i terremoti la popolazione accoglie l’intervento della Vergine

che la salva dalle disgrazie e dalla mortalità. Il segno di gratitudine è dunque l’invocazione, la

preghiera e le forme devozionali di penitenza e di richiesta di sostegno, che con il passare del tempo

vengono istituzionalizzate in forme che poi diverranno azioni di culto anche se miste a

manifestazioni di devozione e di pietà che il popolo farà fatica ad armonizzare ed integrare.

È necessario dunque porre una chiara linea di demarcazione tra le forme di culto liturgico e le

varie manifestazioni di pietà popolare che ancora oggi coesistono. Armonizzare le due possibili

forme è la sfida dei nostri giorni per permettere che le espressioni di pietà vengano liberate da

accentuazioni che talvolta sono totalmente distanti dagli insegnamenti della Chiesa. Allo stesso

momento è a mio avviso necessario conservare le forme tradizionali del culto popolare

purificandole da eccessive forzature che talvolta sfociano nel paganesimo. Ciò e amplificato dal

dato oggettivo che la celebrazione locale di tale culto liturgico spesso fatica a cogliere le

disposizioni magisteriali attuali e conseguentemente la ricezione viene rallentata. Questo potrà

portare a dar vita a modelli nuovi di celebrazione che evidenzino come le tradizioni locali e popolari

possano integrarsi col culto ufficiale della Chiesa, pensando alla formulazione di testi che

recepiscano le istanze e le ricchezze tramandate nei secoli della devozione popolare reggina.