Un giro d'Italia
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Transcript of Un giro d'Italia
Paolo Casti
UN GIRO D’ITALIAdi Paolo Casti
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Desiderosissimo sempre di ammirare quanto larga di
bellezza sia la natura e quanto d’artifizio vi abbia aggiun-
to l’umano ingegno, ho cercato di avere agio di farlo coll’ag-
girarmi talvolta di paese in paese e, ivi, osservare la diver-
sità delle situazioni e delle produzioni naturali.
Viaggetti che spesso intraprendo a tal uopo, de’ quali
l’eseguito nell’anno scorso fu uno de’ più deliziosi e di sol-
lazzo per me, tale che mi diedi il piacere di descrivermelo
con la penna.
Queste sono le prime righe di un piccolo libro che
ho acquistato, attirato più dal titolo “Viaggi Geogra-
fici” che dalle mie allora scarse conoscenze del conte-
nuto. Il piacere del viaggio, inutile dirlo, non è cosa di
oggi.
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Le complicazioni del passato ed i lenti mezzi di cui
fino ad inizio secolo si disponeva rendevano i viaggi
cosa per pochi.
Ricchi perditempo, audaci scrittori in cerca di ispi-
razione o di pretesti, hanno iniziato ad arricchire la let-
teratura dei viaggi da almeno due secoli.
Il mio, al contrario di quello di questi signori, mol-
to più fortunati di me, è stato un viaggio velocissimo.
Ed è stata proprio questa rapidità di sequenze che
mi ha fatto capire, forse meglio del solito, le differenze e
le consonanze tra luoghi diversi tutto sommato vicini,
all’interno di un’Italia che si può fare da cima a fondo in
un giorno, con i mezzi attualmente disponibili.
Sono un pubblicitario che si occupa di comunica-
zione esterna e per questo sono stato più o meno
dappertutto in questa Italia magnifica da scoprire e
da vivere.
Sono innamorato di molti dei luoghi raccontati in
queste pagine, ed ho fatto questo viaggio per raccon-
tare, a chi non ne abbia avuto la possibilità, le quali-
tà della nostra penisola e le ragioni per cui tutti prima
o poi si muovono per scoprirla, non sempre come ho
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fatto io questa volta per motivi professionali, ma spesso
per cercare se stessi o la voglia di stare con gli altri in
un posto che ci consenta di vivere le piccole gioie quo-
tidiane, l’acqua tiepida di fine estate, i profumi di una
gita in collina e, perchè no, anche il divertimento di
una notte o l’adrenalina di una corsa in macchina.
Piccole o grandi cose che il mondo ci invidia insie-
me alla storia, di cui siamo orgogliosi, che ci ha regalato
città, campagne, strade e tradizioni ineguagliabili.
Ho fatto questo viaggio su di una macchina meravi-
gliosa insieme ad un amico.
Con lei e con lui ho vissuto quasi una settimana
senza distrazioni, pensando solo al viaggio, a quello ed a
quelli che incontravamo.
Tante foto e tanti racconti intrisi di emozioni in-
dimenticabili.
Spero che alcune di queste siano rimaste impigliate
tra le righe di questo breve diario che non racconta la
storia di un viaggio, ma il modo in cui le persone che ho
incontrato mi hanno raccontato il loro modo di viaggia-
re e di vivere i luoghi che ho attraversato.
Questa sequenza di episodi, raccontati in modo di-
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verso da persone diverse, potrà essere utile a farci un’idea
su certi luoghi e di certi viaggi in questo piccolo angolo
del mondo, forse a capire perchè tutti quelli che li han-
no vissuti, fatti o soltanto sognati, li amano.
Comprendendo questo sentimento capiremo per-
chè più di altri ci spostiamo, perchè abbiamo costruito
tutti questi campanili, tutte queste strade, perchè molte
città sono cosi piccole, perchè anche se sono cambiati i
tempi ed abbiamo case ed auto più belle, ci fermiamo
ancora lungo le strade alla ricerca della buona cucina, di
un buon albergo, oppure perchè spesso facciamo tanta
strada per cercare compagnia. Perchè ci fermiamo quan-
do tramonta il sole o aspettiamo l’alba dopo una notte
di divertimento.
Forse è perchè siamo contenti del paese dove abitia-
mo ed una volta tanto siamo orgogliosi di esserlo.
Come compilatore di questo piccolo diario mi sono
preso il grande lusso di ritornare indietro nel tempo per-
correndo il viaggio al contrario, ritornando a casa da
Venezia, città nella quale sono arrivato dopo cinque
giorni dalla partenza da Verona.
Forse è stato questo il modo per far girare le lancet-
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te dell’orologio al contrario, con il desiderio di rivivere
il viaggio per arrivare a capire quello che mi ha spinto a
farlo.
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Venezia
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VENEZIA D’ESTATE È UNA DOPPIA CITTÀ
di Enrico Finzi
Venezia d’estate è una doppia città, in parte semi-
vuota. Ma come, direte Voi? Non è stracolma di turisti,
anche se scarsa di locali? Sì, ma quella dei visitatori è
un’altra Venezia, stretta tra la stazione e l’Arsenale, arti-
colata in poche strade (a partire da Lista di Spagna) ed
abitata da monumenti che - per l’uso che se ne fa - po-
trebbero benissimo essere accolti in una qualche
Disneyland.
Infatti, piazza San Marco, Rialto, San Giovanni e
Paolo, i Frari e poco altro sono consumati di fretta da
gente che crede di visitare Venezia, mentre si limita ad
entrare per qualche attimo nella sua cartolina più bana-
le, godendo se straniera d’un finto folklore locale, fatto
di canzoni napoletane, di gondolieri da favola (ma co-
stosissimi), di vetri di Taiwan creduti di Murano.
La Venezia vera, quella dei pochi residenti rimasti e
di inglesi e tedeschi colti e silenziosi, non abita la stessa
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località della Venezia disneyiana. Batte, infatti, calli e
fondamenta segrete, mangia in osterie sconosciute alle
masse, beve ombre e pilucca cicchetti riservati ai non fo-
resti, passa tra bui profondi e squarci assolati da San
Nicolò di Mendicoli all’unica cattedrale cittadina (cioè
San Pietro, tenuta dai dogi agli estremi della
Serenissima, per separare anche fisicamente il potere ec-
clesiastico da quello temporale).
La vera Venezia boccheggia nella piazza vuota del
Ghetto, fa il bagno dopo l’aeroporto nelle spiagge libere
del Lido, sente musica sud-americana nel sestiere popo-
lare di Cannareggio, va al cinema al Giorgione (l’unica
multisala che mette insieme due minisale da pochi po-
sti, condivisi da qualche intellettuale rimasto e da cop-
piette colte e in cerca di frescura).
A volte, certo, le due città s’incontrano, senza che la
prima riconosca la seconda, mentre quest’ultima resta
per un attimo attonita sia alle conseguenze del turismo
massificato, sia all’inciviltà del suo depredamento siste-
matico da parte dei grassatori commerciali, che hanno
reso la Disneyland veneta un angolo più degradato dei
souk medio-orientali (ma quello di Marrakesh è più fi-
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ne ed onesto…). Anche l’aria non è la stessa per le due
città che raramente si intersecano: ferma ed orientale per
la Venezia vera, mossa e urlata per quella da cartolina.
Poi, senza dubbio, entrambe debbono passare per il
grande ponte che unisce la nostra Turchia alla terrafer-
ma, all’orrida periferia mestrina.
Per tutti, allora, torna l’Italia, imprevedibile ed a
volte ributtante, insieme meravigliosa ed irritante.
Ma questa è un’altra tappa dei viaggi di Paolo Casti.
E altri la debbono raccontare…
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PIACERE PER LA GUIDA
di Loris Casadei
Sì, esiste ancora. Sembrerà strano, visto che il traffi-
co che ci circonda sta uccidendo la libertà di movimen-
to. Eppure gli appassionati possessori Porsche usano an-
cora con piacere le loro auto sia per raggiungere gli
autodromi dove liberano il desiderio di competizione e
ricerca del limite, sia per rompere con la banale routine
scegliendo mete di fascino da conquistare con la propria.
Accade così per gli iscritti dei Porsche Club che danno
vita ad un’ottantina di incontri all’anno, gran parte dei
quali prevedono, a suon di chilometri, raid turistici alla
scoperta della provincia italiana e delle migliaia di stra-
de poco frequentate, ma accade allo stesso modo anche
per l’appassionato del Marchio non ancora coinvolto
dalla spirale dell’associazionismo.
Le strade preferite? Se la metà è al di là del confine,
qualunque esso sia, e non si deve andare di fretta, non è
strano incontrare qualche Porsche sulle strade dei passi
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alpini. Lì infatti si misura ancora, in tutta tranquillità, il
piacere per la guida, pennellando i tornanti, giocando
con l’acceleratore sempre con rispetto dell’auto e dei li-
miti di sicurezza.
Se poi piacere di guida corrisponde ad emozione,
anche il solo lasciarsi il casello d’autostrada alle spalle e
raggiungere in una manciata di secondi il limite di velo-
cità ammesso è sufficiente per poter godere di un’armo-
nia, che solo il sound Porsche è capace di regalare.
Sì, viaggiare con piacere è ancora possibile, basta
poter girare la chiave della messa in moto, ma con la ma-
no sinistra come si faceva una volta, a Le Mans.
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Rimini
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MILANO 15 GIUGNO ORE 10
di Roberto De Luca
Milano 15 giugno, ore 10. Caldo, tanto caldo per
un sabato di fine primavera.
I vacanzieri del week end già si muovono ed anche
noi ci apprestiamo al viaggio. Siamo in tre, io Angelo e
Barbara. La macchina è quella del fidanzato di Barbara
perchè ha il caricatore multiplo di cd, dieci. Saranno più
che sufficienti per andata e ritorno. Credevamo e spera-
vamo. Anche contando la coda per il traffico, le tre ore
previste di viaggio potevano diventare cinque e comun-
que permetterci di arrivare alle 15 in tempo per l’inizio
della prima giornata del Jamming Heineken Festival di
Imola, headliner Red Hot Chili Peppers.
E via, pronostico rispettato fin quasi a Bologna, si
fila spediti sulle note degli Alice In Chains e dei Pearl
Jam (Barbara è una fan del grunge) e qui ci fermiamo.
Ecco la famigerata coda, prima a passo d’uomo e
poi fermi.
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Mezz’ora, forse di più. Cominciamo a stufarci. Ho
già letto tutta la Gazzetta. Cominciano le telefonate agli
amici. “A che punto siete? Quando siete partiti? Fermi
anche voi?”. Friggiamo ed insieme a noi frigge pure il ra-
diatore.
La pressione sale e ci dobbiamo accostare perchè il
fumo che esce fuori dal cofano è tanto. Intanto la colon-
na si muove, lentamente ma si muove… e noi li ha guar-
dare. Chiamiamo l’ACI. “Ok, dove siete?” Bella doman-
da. “Vicino a Bologna, non c’è neanche un punto di
riferimento, niente cartelli, autogrill o altro che sia utile
per un’indicazione.” “Richiamate quando sarete più pre-
cisi.” Che gentili, grazie!!
Fortunatamente passa una macchina di amici, si fer-
ma e promette di darci ragguagli precisi sulla nostra po-
sizione. Dopo un fitto ponte telefonico, stabiliamo di
essere ad una decina di chilometri dalla svincolo della
tangenziale di Bologna.
Chiamiamo. “Ok, arriviamo”.
Altra mezz’ora. Ci portano in rimessa e la diagnosi
dice impietosa: radiatore rotto. Ovviamente da cambia-
re, e, ovviamente di sabato pomeriggio non è possibile.
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Ok, autobus, stazione, treno, Imola.
Il tutto in un altro paio di ore.
Sono le sei. Il sole batte ancora forte. Noi tutti sia-
mo disidratati, stanchi, ma ancora più stressati da tutti
gli inconvenienti. Ritirati i pass, andiamo nel backstage.
Il mio sogno è una birra, e mai sponsor fu più ap-
propriato: Heineken. I capienti frigo della zona hospi-
tality sono la mia salvezza. Un paio di bottiglie non
me le toglie nessuno.
Non faccio neanche a tempo a finire la prima che
inevitabilmente vengo travolto da una massa di amici,
conoscenti, uffici stampa, e tutti che vogliono qualcosa.
Non realizzo. Sono le 18.30 e non ho visto ancora nul-
la del festival, ma il mio unico desiderio adesso è quello
di rilassarmi e fare scendere la tensione.
Sarò onesto, ho saltato e guardato distrattamente
il gruppo prima dei Red Hot. Meglio risparmiare le
energie per loro.
Finalmente si allungano le ombre della sera. Una ce-
na tra amici e qualche altra birra mi predispongono al-
l’ascolto dei Red Hot.
Niente di meglio delle note della chitarra west co-
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ast di John Frusicante per divertirsi. Ritmi allegri e chi-
tarra frizzante.
La voce di Anthony, superbo soprattutto nelle bal-
late, ed il basso slappato di Flea fanno il resto. Guardo
una massa umana enorme, saranno 70.000, ad occhio,
chissà.
Festosi e allegri. Il buon umore mi contagia e resta
fin quando i Chemical Brothers ci guidano nei meandri
della notte. Suoni dub avvolgenti e narcotici.
Molti ragazzi hanno voglia di ballare, ma io, Angelo
e Barbara ci guardiamo negli occhi. Per un giorno solo è
stato già abbastanza.
La fatica del viaggio colpisce tutta d’un tratto.
Ci allontaniamo silenziosi nella notte, mentre l’eco
dei Hey Boy, Hey Man, ci accompagna, ma tutto quel-
lo che adesso voglio è un letto.
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BEL PAESE DEL DESIGN
di Virginio Briatore
Fortunato colui che parte alla ricerca del design!
Colui non ha davvero bisogno di andare lontano..
gli basta svegliarsi, allungare una mano… l’orologio
prezioso o anonimo, l’interrutore della luce o la mani-
glia della finestra, l’etnica pantofola o la metaforica caf-
fettiera già lo portano a viaggiare nel design! E poi bi-
sognerà indossare abiti disegnati, aprire cosmetici
perfetti, calzare occhiali anatomici, ingurgitare yogur-
tini dall’eccelso packaging, caricare cellulari miniaturiz-
zati e via… trasportati dalla propria mega SUV, esem-
pio della giocattolizzazione del prodotto per chi ha
avuto una triste infanzia, o intruppati nell’aerodinami-
co jumbotram o sgambettanti su una nera Bianchi coi
freni a bacchetta che ci ricorda quanto poco si sia evo-
luto il concetto di biciclo nei suoi 150 anni di storia.
E così via, fino a notte fonda, allo stesso interrutto-
re one off che ci toglie la luce. Il design ci accompagna
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giorno dopo giorno, è lui che viaggia con noi, invincibi-
le: dal gaio biberon resistente agli urti all’ultima volontà
di un’urna funeraria leggera nel peso, contenuta nelle di-
mensioni e non povera nei materiali!
Ma se colui che parte alla ricerca del design è un ve-
ro appassionato, un fedele seguace del car design, un de-
voto del surface design o un massimalista del minimali-
smo nulla lo potrà trattenere dal recarsi negli appositi
luoghi sacri in cui i capolavori del progetto sono conser-
vati: i Musei del Design. L’unico problema è che in Italia
il vero Museo del Design non esiste e tutti noi, critici,
addetti ai lavori, progettisti, imprenditori e altri attori
che di design viviamo, ci diciamo afflitti, costernati, in-
dignati….
Orbene colui che parte alla ricerca del design è dop-
piamente fortunato perchè nell’attesa che venga appal-
tata la costruzione del megagigatera Museo del Design
Italiano può vagare per la penisola e godersi la miriade
di piccoli musei del design, pubblici e privati, che la co-
stellano.
Chi scrive ricorda con gioia la grande oscura sala del
Museo dell’Arredo Contemporaneo, disposto nel bel
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edificio con facciata-portale di Ettore Sottsass e Johanna
Grawunder a Russi, near Ravenna, in cui l’appassionato
mobiliere a nome Biagetti ha raccolto straordinari pezzi
che testimonianio un secolo d’arredo, non solo italico!
Per non parlare del Museo dell’Occhiale, allesti-
mento di Atelier Mendini, presso l’head quarter di vetro
e acciaio della Safilo, a Padova, che dal monocolo otto-
centesco agli occhiali avvolgenti dei soldati di Rommel
sino alle momtature trasmittenti di domani, raccoglie
una collezione senza eguali che traccia la storia di questa
amichevole protesi.
Memore anche di quanto sia interessante la raccolta
dei disegni storici dell’elettrodomestico Zanussi, donata
con scalpore dall’azienda di Pordenone al Museo della
rivale Udine (raccolta in cui si vede fra l’altro il primo
telecomando-mouse con filo, progettato da Gino Valle
nel 1954, nonché un’incredibile lavapiatti orizzontale da
tavolo!) invitiamo da Padova a proseguire il viaggio ver-
so la città furlana che oggi, sempre presso I Civici Musei
di Udine, dedica un’ area alla storia e all’evoluzione del-
l’industria italiana del legno, grazie ai materiali prove-
nienti dal ricco archivio storico Fantoni.
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E poi ci sono i musei aziendali come quello di
Kartell, come quello dell’Alessi a Crusinallo o come
quello dei Guzzini a Recanati e poi ci sono i musei tipo-
logici come quello dell’Automobile a Torino.
Insomma, provvisto di una vacanza lunga, fornito
di mappa digitale, lo strafortunato che parte alla ricerca
del design può uscire da Internet Est, imboccare un rac-
cordo esterno a propria scelta e incontrare “la qualità
della città che determina la qualità della vita”.
Questa l’idea che ha costituito la premessa per la
creazione di un Museo che ripercorre la storia di una
componente importante e preziosa della citta: l’arredo
urbano.
Perchè raccogliere e conservare pezzi dell’arredo ur-
bano dei secoli passati?
Il Museo Italiano della Ghisa, alloggiato in un’anti-
ca chiesetta di Longiano, near Cesena, ha come finalità
la conservazione delle testimonianze ancora esistenti e la
diffusione della cultura nata intorno a un prodotto che
per le sue peculiarità si presta ad essere analizzato e stu-
diato da diversi punti di vista.”
Dall’industria della ghisa alla grafica del fumetto il
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passo è grande… ma non troppo. “Ospitato in pieno
centro storico all’interno di “Agorà” (la cittadella della
cultura della città) il nuovo museo occuperà un intero
piano del superbo complesso dell’ex convento dei Serviti
(piazza dei Servi, a cento metri dal Duomo di San
Martino), dallo splendido chiostro quattrocentesco.
Il Museo Italiano del Fumetto di Lucca è il degno
coronamento di trentasette anni di ininterrotta attività
del salone internazionale lucchese. E, più in generale, se-
gna il pieno riconoscimento “istituzionale” della grande
valenza culturale di una vasta, diffusissima e apprezzata
produzione artistica che presenta punti di incontro e di
intersezione con la letteratura, il cinema, la pittura e le
nuove tecnologie informatiche e digitali.”
E siccome girachetirigira la capitale del design è
Milano, conviene girarci attorno una volta:
Galleria del Design e dell’Arredamento di Cantù
Le Collezioni
Collezione Storica Premio Compasso d’Oro ADI
Mobili come aforismi:
35 mobili del razionalismo italiano
Neoliberty e dintorni:
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1948-1964 sedici anni di mobili italiani
Collezione Bruno Munari
Due volte:
La Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate
Una galleria figlia di un Premio di importanza
storica.
Il museo d’Arte Moderna di Gallarate continua a cre-
scere, offre 3.050 opere, una sezione permanente di de-
sign dell’oggetto unica in Italia e laboratori didattici per
i bambini.
Farsi anche un giretto in montagna:
Il fascino dello sport invernale
Museo dello Sci
Näfels (Svizzera)
Näfels si trova all’inizio della Valle del Canton
Glarona. Il Museo dello Sci fa parte del Museo
Cantonale di Glarona.
Per approdare infine alla Triennale di Milano, luogo
deputato da sempre (qui una traccia-speranza di sei an-
ni or sono) ad ospitare il futuro megagigateramuseo e
che nel frattempo, non si sa bene dove, cela già tanti te-
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sori… tra cui, chi scrive ricorda le rosse Guzzi d’antan.
Il 14 aprile 1997 si inaugurerà in Triennale la
Collezione Permanente del Disegno Industriale Italiano
1945-1990. In quella che è comunemente conosciuta
come capitale del design a livello internazionale e nella
sede che da quasi 70 anni ne ha rappresentato il fulcro,
l’immagine e la ricerca, si inaugura il primo nucleo del
Museo del Disegno Industriale Italiano.
L’area espositiva, situata al primo piano del palaz-
zo della Triennale, interesserà circa 1700 metri quadra-
ti di cui 1400 per l’esposizione permanente e la restan-
te parte, situata nella zona centrale rialzata, per
allestimenti temporanei.
La superficie allestita costituisce già ora uno dei più
grandi spazi dedicati al design.
Il percorso della mostra, articolato in tre parti, segue
un ordine cronologico che rispetta le cadenze già deter-
minate dalle precedenti esposizioni dedicate al design
italiano curate da Manolo De Giorgi (periodo 1945-63)
e Andrea Branzi (periodi 64-72 e 73-90).
Tornati a casa, nell’accendere e poi spegnere la luce,
ricordiamoci che non alla lampada Arco né allo sgabello
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Mezzadro né ad altri suoi 100 pezzi celebri guardava
Achille Castiglioni nello scegliere l’icona della vita sua,
ma al piccolo interruttore-switch per lampade da tavolo,
che progettò col fratello Pier Giacomo nel 1966, fin qui
prodotto da VLM in 18 milioni di esemplari, che con
ogni probabilità abbiamo tutti “switch-on switch-of” al-
meno una volta.
P.S. I siti dei musei virgolettati sono copiati da
Internet e sono rintracciabili digitando “museo di de-
sign italiano” su Google.
Il Museo Italiano del Fumetto di Lucca è il degno
coronamento di trentasette anni di ininterrotta attività
del salone internazionale lucchese. E, più in generale, se-
gna il pieno riconoscimento “istituzionale” della grande
valenza culturale di una vasta, diffusissima e apprezzata
produzione artistica che presenta punti di incontro e di
intersezione con la letteratura, il cinema, la pittura e le
nuove tecnologie informatiche e digitali.
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IL CONERO E LA RIVIERA ADRIATICA:
CROCEVIA DI EMOZIONI IN COMUNICAZIONE
Aspetto da un’ora qui. Ho voluto recarmi in questo
“luogo di incontri” per antonomasia con un attimo di
respiro sull’ora dell’appuntamento. Ora butto giù due
note per presentarti la Riviera del Conero con le dovute
maniere.
Lo ammetto, non è stato semplice il mio lavoro di
scrematura e selezione tra i tanti angoli d’Italia d’irresi-
stibile attrativa. Ma alla fine, ho visto che questo
più di altri racchiude il massimo ventaglio di valori per
un’esperta di comunicazione come me, che tutti i giorni
per professione traduce i comportamenti umani in stra-
tegia mediatica.
Non appena arrivi sulla Riviera adriatica senti subi-
to di essere in un tiro incrociato di energie, di emozioni
e di forze; questi luoghi svincolano dalla razionalità dei
numeri per liberare la creatività, esemplificano la duali-
tà che anima la nostra vita contemporanea: l’estro e la
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ragione. Ma se altrove questi due elementi entrano in
conflitto, qui si armonizzano.
Addesso abbraccio con lo sguardo tutta intera la
scogliera, per cogliere la sua bellezza a volo radente.
L’effetto è impattante, questo è sicuro, per me abituata
all’estetica della pubblicità da afferrare a colpo d’occhio:
è uno spot senza parole! Per modo di dire, naturalmen-
te, perchè questo luogo è di un’eloquenza spaventosa.
Parla per sè, per i suoi migliaia d’anni di storia. E
parla anche per noi perchè fa cantare la voce dei cinque
sensi e dà un’ispirazione descrittiva, cognitiva, creativa e
tutto…
Ma tu arriverai qui con il tuo bel carico di viaggio,
portando notizie ed entusiasmo dal resto d’Italia e allo-
ra capirai quanto questo luogo sia anche capace di ascol-
tare! Fuor di retorica, quando uno viene qui, specie dal-
la grande città, si sente svuotare dei veleni; basta
guardarla la Baia delle due Sorelle per ottenere un vero
effetto catartico, una confessione, una chiarificazione
istantanea di tutto quel che sei. Hai una percezione co-
sì sgomberata e trasparente ora di te che, via di lì, ti giu-
ri che mai più, mai più, ti lascerai contaminare nuova-
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mente da stress, ansia e quant’altro.
La bellezza di questo litorale, si sa, non è di palme e
di mare color malachite, richiede una maggior intelli-
genza e sensibilità al visitatore, che deve saper cogliere
gli aspetti sorprendenti, nascosti nel gioco delle incoe-
renze e delle sovrapposizioni tipiche italiane. Qui il sel-
vatico si frammista all’organizzato; si armonizzano i si-
lenzi del mare e gli schiamazzi umani, l’entroterra rurale
con l’edilizia urbana, la classe di un certo turismo d’éli-
te con la stravaganza modaiola delle torme di giovani.
Interiorità ed esteriorità si compenetrano sulla bilancia
degli opposti.
Se il Parco del Conero è un incontro degli elemen-
ti, la Riviera è il concetto stesso di comunicazione. Il
nostro “crocevia energetico” non è solo fatto di natu-
ra ma anche di umanità e di mondanità. Infatti, quan-
do alla fine dell’inverno le spiagge si armano delle so-
vrastrutture turistiche che ne stravolgono la naturalezza,
l’animo flessibile si piega volentieri a questo tempora-
neo cambiamento d’identità. Ora il rituale è incontra-
re gente, conoscerne di sempre nuova, frequentare po-
sti e locali proprio con lo scopo di mischiarsi, ritrovarsi
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uomini tra uomini, favorire le relazioni, inventare stra-
tegie interpersonali. La convivialità regna. L’apertura
del luogo diventa apertura dell’animo. Sarà il clima, ma
la gente qui sembra si arrabbi di meno…
E c’è Voglia. Di Vita, di Piacere. Lo slancio di ride-
re o di piangere se uno vuole, l’amore che trovi quando
lo cerchi, lo star bene come ti va.
Da comunicatore definisco questo luogo il concetto
stesso di comunicazione. Se fossi architetto lo definirei
un “esploso”, se fossi pittore ne dipingerei una tela di
“astrattismo iperrealista”, se fossi un compositore ne fa-
rei un pezzo tecno trend sulle quattro stagioni di
Vivaldi. Se fossi un cuoco ne farei uno slow food.
Se fossi un innamorato perderei la testa del tutto…
Se fossi qualunque altro diverso da me troverei co-
munque l’ispirazione per essere qualcosa di più.
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Puglia
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GRAZIE DOLCE & GABBANA!
VIAGGIO ARCHEOLOGICO NELL’INFANZIA
di Mariangela Veneziani
Eccola qui quell’aria leggera che mi ritorna in men-
te tante volte, eccola che mi viene subito incontro appe-
na scendo dal treno. E quella luce e il cielo blu, qui è im-
possibile andarsene in giro senza occhiali da sole. Qui
basta una microscopica finestrella per illuminare tutta la
casa, sole e cielo sembrano infilarsi in tutte le fessure.
Sono alla stazione di Monopoli, a piedi andrò a ca-
sa, come a piedi andrò al cinema, a piedi al mare, alla
“Villa”, a casa della nonna, che resta casa della nonna
anche se la nonna non c’è. Già la “Villa”, si chiama così
il giardino vicino al mare formato da un’insieme di aiuo-
le e una fontana al centro. Tradizione araba quella della
“Villa”, lo scoprii in un viaggio a Granada, là negli spet-
tacolari giardini di Generalife, una guida ci spiegò che
per gli assetati arabi l’acqua e i fiori strappati al deserto
erano tra le più grandi ricchezze da mostrare come segno
di potenza e di bellezza.
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Come sembrava lontano da casa quel giardino e
tanto grande quando avevo 5 anni. Ora quella distanza
è più o meno il tragitto che separa la mia macchina da
casa, a Milano, s’intende quando trovo da posteggiare
vicino!
Povera “Villa” non è più così fulgida come allora
con quella massa di fiori e di colori: viole, gigli, anemo-
ni, dalie. Le aiuole sono un pò spelacchiate e poche le
persone ad ammirarle, eppure ogni tanto, come allora,
un profumo intenso di qualche ostinato fiore mi avvol-
ge e mi cattura ancora. Quanto mi sembrava pericoloso
allontanarmi dalla panchina dove la nonna, vestita di
nero, chiacchierava con altre donne di età indefinibile,
ma tutte vestite di nero. Con due spiccioli correvo a
comprare i lupini subito fuori dalla “Villa”con il cuore
che batteva forte per la corsa e la paura.
Certo che c’era d’aver paura: fuori dalla “Villa” su-
bito verso il mare cominciava la città vecchia, anzi “ab-
basso al paese vecchio” era così che si diceva. Giù giù
verso il mare dove l’odore dei pescherecci, di quei disgu-
stosi miasmi di nafta e di scorie di stive affaticate dal
mare, si fondevano con il profumo della salsa di pomo-
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doro e dei gelsomini. Tutto il via vai dominato dal ca-
stello cupo e meraviglioso. Ora quando torno “abbasso
al paese vecchio” con mio padre, ci torno accompagna-
ta da una sorta di illuminismo, è come se tutti i raccon-
ti di fantasmi, di lupi mannari e di malavita fossero sta-
ti spazzati via dalla razionalità del Nord. Ora vivo al
Nord, la vita del Nord del lavoro, gli amici, i “danè”, le
carriere, i single, il fashion system rendono ora assurdi i
racconti della mia infanzia. “Questo è palazzo Palmieri”
dice mio padre ogni anno quando facciamo il nostro
amato giro nel paese vecchio, un viaggio archeologico
nelle nostre infanzie. Lo dice ancora con una specie di
deferenza: “lì abitavano i marchesi Palmieri i primi ad
avere l’automobile”. Eppure anche loro avevano i loro
segreti, i loro lati oscuri, in quel Palazzo si aggirava lo
spirito di un antenato morto disperato, per amore e nes-
suno metteva in dubbio che fosse vero. Nessuno dubita-
va che al verso della civetta, di notte, sarebbe seguita una
disgrazia, che il giorno della Festa della Madonna, ferra-
gosto, non si poteva fare il bagno perchè qualcuno sa-
rebbe certo annegato. Perchè?
Sole e ombre, quando cammini d’estate alla
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“contr’ora” termine meraviglioso che indica quel cocen-
te spazio di tempo tra l’una e le quattro, quando non
succede nulla, come se tutto quanto sprofondasse in un
universo parallelo dove ogni cosa resta immobile fino a
quando un alito di vento restituisce tutto alla vita quo-
tidiana e il mondo sottratto all’incantesimo ricomincia
ad animarsi. Se solitario ti aggiri allora tra strade deser-
te cercando l’ombra, lo vedi quanto netto sia il confine
tra luce accecante e l’ombra buia. Accanto alla vita, nel-
la sua fisicità: donne dai tratti intensi esaltai da rossetti
bui, tante incinte, quante incinte!il cibo saporito sempre
e sempre troppo abbondante. Accanto a tutto questo,
un senso di malinconia, quella consapevolezza di essere
fragili, piccoli turaccioli a galleggiare in mezzo al mare
di eventi a volte preannunciati ma mai domabili.
Al Nord ci si illude spesso di poter organizzare tut-
to anche l’amore, anche la felicità. Tra queste case bian-
che, abbagliate dall’estate si sa che i nostri destini sono
in mano a terribili Dei. Forse per questo diventa così
importante godersi il “timballo” con le polpette e parlar-
ne per ore, così necessario tuffarsi nei colori del mare e
ricordarlo tutto l’anno, sfidare le spine e raccogliere i fi-
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chi d’India, magari salendo sui bianchi muretti a secco
con i sandali pieni di quella terra rossa, grassa, morbida
e generosa.
Forse per questo all’ospite, va sempre offerto un
momento di ristoro, a volte con un’orzata, lattiginoso
sollievo di un pomeriggio di sole o una sorsata di scirop-
po d’amarena con le ciliegie in fondo al bicchiere che
non puoi fare a meno di pescare con il cucchiaino e
farle sciogliere in bocca. Dolci e amare come un pò
tutto qui.
Starò pochi giorni anche questa volta, ma prima di
partire voglio imprimermi nella mente quegli scogli
aguzzi e salati, quelle donnine anziane, piccolissime, con
i loro abiti neri davanti a muri bianchi, voglio trovare
anche questa volta un viso bruno con occhi incande-
scenti di qualche bellezza mediterranea. Qui mi sembra
di essere in uno spot di Dolce & Gabbana: sensualità,
tradizione e bellezza.
Grazie Dolce & Gabbana sono felice che voi abbia-
te portato nel mondo un pò di questa magia: antichi mi-
steri e calore della vita.
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Alberobello
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VIAGGIO IN PUGLIA TRA SUGGESTIONE
E SORPRESA
di Domenico Di Paola
Spesso mi viene di pensare all’impressione che i co-
lori, i sapori e gli odori della nostra terra, così naturali
per noi perchè ormai ci sono entrati nel sangue, posso-
no avere su chi viene in Puglia per la prima volta.
La reazione più comune di chi “viene portato” a co-
noscere la Puglia è quella della sorpresa.
Sì, perchè bisogna essere “portati” a visitarla questa
terra, che all’apparenza aspra e a volte inospitale, premia
chi ha la pazienza di percorrerla palmo a palmo, regalan-
dogli piccole e grandi perle.
Chi viene a trovarci ha quasi sempre un’idea som-
maria di ciò che lo aspetta, un’idea che rimanda al ma-
re, ai trulli e alla buona tavola. Ma poi man mano che si
viene a contatto con questa terra, con la sua cultura, la
storia, le persone, i luoghi, quell’immagine si scompone
in un caleidoscopio di suggestioni e colori insospettati.
Ed ecco che l’effetto finale è di sorpresa. Il colore e
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l’odore della terra stupiscono, la luce chiara e limpida,
le distese di ulivi, il paesaggio brullo e pietroso della
Murgia, i filari ininterrotti dei muretti a secco che trin-
cerano i campi, la monumentalità di certe masserie, la
rusticità e la generosità della gente, la frugalità e la varie-
tà della cucina, il fascino dei centri storici ancora ricchi
di tracce del passato, il valore storico artistico di certe te-
stimonianze rimaste intatte a distanza di secoli e mille
altri spunti che sollecitano la fantasia di chi decide per
svago di percorrere in lungo e in largo le nostre strade.
Un viaggiatore solitario e attento al dettaglio, cre-
do, sarà più capace di apprezzare goccia dopo goccia
tutto quello che una terra discreta e riservata come la
nostra sa offrirgli, al di là delle mete facili e ormai co-
nosciute come il Gargano che comunque non perde
mai il suo fascino: le sue scogliere battute dal vento, le
foreste e le spiagge, i laghi e le grotte costiere sono uno
spettacolo indimenticabile.
E la mano dell’uomo lascia i suoi segni anche qui,
basta fare caso ai “trabucchi”, quelle curiose strutture di
legno che sporgono di tanto in tanto dagli speroni di
roccia verso il mare e che sono usate per la pesca.
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Lo scenario cambia del tutto ma non perde sugge-
stione a Monte Sant’Angelo, una meta conosciuta per i
pellegrinaggi religiosi alla leggendaria Grotta sacra di
S. Michele Arcangelo.
Ma è il giro nel quartiere Junno, il più antico del
paese, a calarti in un’altra dimensione, che parla attra-
verso un artigianato povero, attraverso le forme giganti
di pane e i dolci tipici del posto, fatti in casa in manie-
ra semplice come una volta: due ostie tenute insieme da
una pasta di mandorle e miele.
È questo l’odore che riempie i vicoli e se indugi sul-
la soglia di qualche abitazione per assaporarlo scappa di
certo l’invito ad entrare per assaggiare.
L’ospitalità è una costante ovunque, nei luoghi più
battuti dai turisti, così come nell’entroterra.
La puoi toccare con mano partecipando ad una del-
le tante sagre paesane che si ripetono ogni anno nei bor-
ghi arroccati come presepi sul Subappennino dauno.
La sagra della salsiccia di Faeto è solo un esempio,
un tuffo nella tradizione e il modo migliore per provare
la cucina pugliese, una delle tante, quella più rustica.
Se di cucina vogliamo parlare allora da provare di si-
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curo è il pesce, crudo, fritto o a zuppa e qui con circa
800 km di coste c’è solo l’imbarazzo della scelta, da
Molfetta, a Mola, a Monopoli, fino ad Ostuni nel brin-
disino, a Taranto sulla sponda opposta e ad Otranto giù
nel Salento non si resterà mai delusi.
Il percorso costiero è quello più battuto per via del
richiamo del mare, ma lontano dalle spiagge affollate
verso i centri abitati e le campagne si scoprono delle ve-
re meraviglie: come il centro storico di Barletta con una
serie imponente di palazzi signorili, oltre al monumen-
tale castello e alla cattedrale; e poi Trani naturalmente,
meta classica del turista per la straordinaria cattedrale.
Un fascino diverso, più sobrio e silenzioso, spira in-
vece dal Duomo Vecchio di Molfetta nel suo volume
spoglio ed essenziale, tipico romanico.
E poi come non fermarsi a Giovinazzo per un giro
nel borgo medievale perfettamente conservato e popola-
tissimo nelle sere d’estate, con locali tipici ad ogni ango-
lo e in ogni piazzetta. Lo stesso avviene a Polignano, do-
ve passeggiando tra un vicolo e l’altro ti ritrovi a
strapiombo sulla scogliera e rimarresti affacciato per ore
a goderti lo spettacolo del mare contro le rocce.
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Per un riposante antipasto di ricci di mare all’aria
aperta non si può non fare tappa a Savelletri; ma a que-
sto punto vale la pena spingersi fino alla zona archeolo-
gica di Egnazia, tra le più interessanti per la quantità di
testimonianze che raccoglie.
Poi naturalmente c’è Ostuni, la “città bianca” e più
giù Lecce, la “regina del barocco” e Otranto “nostra si-
gnora dei Turchi”, fin giù al Capo di Leuca, dove vale la
pena spingersi per lanciare lo sguardo nel punto dove si
incontrano i due mari, l’Adriatico e lo Ionio.
Ma lo stupore della scoperta cresce quando ci si
spinge verso l’entroterra, che di per sé sembra non avere
tanti motivi di attrazione.
E invece succede che accanto al mito di Castel del
Monte, che già da solo giustifica una venuta in Puglia,
c’è la straordinaria visione di cattedrali come quella di
Troia e di Ruvo, o dei tesori archeologici di Canosa, o
dell’immenso museo a cielo aperto che ritroviamo a
Gravina, tra chiese rupestri e resti della civiltà romana.
Per non parlare di Massafra dove c’è un vero e pro-
prio percorso naturalistico e archeologico che si può fa-
re scendendo giù per la gravina e passando di grotta in
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grotta, laddove la civiltà rupestre ha lasciato incredibili
segni delle varie frequentazioni.
Se poi il desiderio è quello di passeggiare in tutta
tranquillità assaporando l’aria salubre, la bellezza del
paesaggio, le essenze e gli umori del posto, mete ideali
possono essere Martina Franca, elegante salotto in stile
“barocchetto”; oppure Locorotondo, caratteristica coro-
na circolare sulla Valle d’Itria; certamente Alberobello,
dove resta unico lo spettacolo dei trulli, risultato straor-
dinario dell’arte di arrangiarsi sfruttando tutte le risorse
a disposizione - in questo caso la pietra che qui si trova
in abbondanza e un pò di ingegno; e poi Ceglie
Messapica e Oria dove sei catturato dal fascino dei loro
castelli che svettano entrambi sulla cima della collina;
infine Conversano, dove aleggia ancora la leggenda del
terribile Guercio di Puglia e dei suoi passatempi racca-
priccianti - si dice che dalla cima della torre del suo ca-
stello si divertisse a fare il tiro a segno sparando contro
le donne che andavano a prendere l’acqua ai pozzi.
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UN RINCORRERSI BLU DI ONDE MAGICHE
di Asnaghi
Un rincorrersi blu di onde magiche, pareti a picco
con grotte dall’acqua cristallina, i colori forti della roc-
cia che si riflettono nel blu profondo del mare.
Non un paradiso tropicale, un paradiso italiano che
ha “buttato” l’orologio e si difende dall’ingordigia della
modernità: Marettimo.
Marettimo, isola delle Egadi, ti appare come fosse
“un’area dolomitica” che ha sbagliato regione! Si difende
con la sua natura apparentemente aspra e difficile ma
poi si lascia amare da chi riesce a farsi affascinare dalla
magia dei suoi boschi, dai profumi della macchia medi-
terranea, dai colori dei “suoi mari”.
Si, i suoi mari perchè ogni angolo è una storia a par-
te, ogni baia è un mondo a parte, ogni fondale ti offre
mondi talmente diversi da farti perdere la cognizione del
tempo. Ti incanti a guardare le stelle marine che sembra-
no sospese sugli scogli, e dal profondo del blu, che po-
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chi metri più in là, sprofonda negli abissi, ti immagini
Nettuno con il suo tritone.
Un mare incantato dove ho avuto la fortuna di po-
ter navigare in barca, amando ogni anfratto con la bra-
mosia di chi da quell’incanto si aspetta sempre di più!
La grotta del cammello, la grotta del presepe……
immagini nitide nella mente che anche a distanza ti tra-
smettono luce ed energia e la grande certezza che sono lì
ad aspettare per “ridarti” la gioia di poter rivivere luoghi
così unici.
Ma al di là dei mille toni di blu e di azzurro del ma-
re in tutte le sue sfumature, al di là delle rocce così im-
ponenti e così impervie, la vera unicità di Morettimo la
si scopre al suo interno.
Un’isola relativamente piccola, ma dalle mille sco-
perte con la cima del monte Falcone che nella sua rega-
lità si rimira nello specchio blu del mare.
Le passeggiate a piedi o a dorso dell’asino sotto la
guida attenta di Nino che conosce palmo a palmo ogni
sentiero, ogni mulattiera, ogni anfratto sono un’emozio-
ne anche per la persona più insensibile.
Ti arrampichi in pineta, tra la macchia mediterra-
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nea, cespugli bassi dalle mille tonalità di verde, sembra-
no casualmente dischiudere il passaggio, le fronde dei
pini marittimi divertite ti “ostacolano” il sentiero per
proteggere questo scenario di impareggiabile bellezza...
Il profumo delle piante aromatiche si fonde nella brezza
e ti avvolge in un’alchimia rara.
Emozioni forti ti mantengono all’erta! Il rumore dei
ciotoli che si lamentano sotto le zampe degli asini, il di-
rupo che ti si presenta ripido e misterioso si stemperano
nella luce del tramonto. Una luce unica, irripetibile che
avvolge il paese là a valle “accoccolato” tra lo scalo vec-
chio e lo scalo nuovo, fermo, immobile e senza tempo.
Un pieno di energia, di curiosità così come i suoi abitan-
ti; ospitali e disponibili ma fermi e caparbi con il turista
sbruffone.
Un’isola di gente vera, in inverno restano 100 ani-
me, come mi racconta Padre Campo, da quarant’anni
parroco di Morettimo.
Isola ospitale dove vivi e lasci vivere, dove la frene-
sia del continente è bandita, dove i ritmi e le ore vengo-
no scanditi dagli “avvenimenti della giornata” l’arrivo
della nave con turisti e provviste, il rientro o la partenza
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delle barche da pesca, il suono delle campane.
Il profumo del pane e i sapori della cucina. Anche
la cucina a Marittimo è speciale! Gusti decisi, sapori
forti, pesce che sa di pesce! Mandorle, finocchietto,
capperi, pomodori gustosi si sposano alla pasta e al pe-
sce in ricette povere ma regali. Gusti unici, non ripro-
ponibili che si abbandonano nell’aroma dei vini, fino
al nettare dell’ambrato passito.
Un’isola dura e ruvida per chi ama la tecnologia è il
full confort.
Un’isola da vivere e da sognare per chi come me
ci ha lasciato l’anima e ha nostalgia dei suoi colori e
dei suoi profumi.
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Taormina
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L’OSPITALITÀ
DEI SICILIANI
di Francesco Cascio
Non si può non partire in questo “viaggio” dalla con-
dizione di insularità della Sicilia e dalle attrattive che un
mare così unico può offrire, ma non ci si può certamente
limitare alle attrattive del mare nella terra dei vulcani e
delle numerose civiltà che hanno fatto di questa terra ma-
gica la sede dei loro domini, lasciando infinite vestigia del
progresso della civiltà umana.
Tutto ciò, unito ad una fastosa tradizione culinaria
costituisce l’enorme appeal che ogni anno attira da noi
milioni di turisti, lasciando nei loro cuori un ricordo in-
delebile.
In barca in giro tra le tante isole o in auto attraver-
sando ogni genere di paesaggio, viaggiare in Sicilia è una
continua emozione e anche al di fuori dei tradizionali
itinerari turistici non mancano le occasioni per farsi cat-
turare da panorami mozzafiato.
Un viaggio in Sicilia sveglia la voglia irrefrenabile di
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girare, scoprire e farsi coinvolgere da un atmosfera densa
di colori, profumi e tradizioni millenarie.
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Capri
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CAPRI, PERCHÈ IO SONO UNO E
LE “MERAVIGLIE” SONO TANTE?
di Massimo Caiazzo
Forse perchè così, uno si rilassa, rinunciando a gira-
re affannosamente per l’isola e se ne sta buono buono in
piazzetta, seduto in un caffé, a scrutare i passanti.
Qualcuno spicca per buon gusto, qualcuno è fin
troppo agghindato, ma molti sempre più numerosi in
bermuda sudati e scarpe da tennis, e questo mi ruba la
poesia.
Si, a Capri ci vuole una camicia bianca, ben taglia-
ta a maniche lunghe e pantaloni leggeri, colorati, maga-
ri rossi, ma non troppo.
Poi se si possiede una barca vanno bene i mocassini
bianchi, altrimenti meglio neri e al polso un bell’orolo-
gio che deve penzolare dolcemente sulle gambe accaval-
late quando si è seduti al bar in piazzetta.
Per carità a Capri, shorts e sandali, non si sposa-
no con gambe pelose e piedi deformi, meglio per le
donne, ma solo quelle belle. Io preferisco vedere, piut-
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tosto che farmi vedere, per questo mi mimetizzo con
la natura scegliendo sempre angoli poco accessibili dai
quali godermi il panorama. Se ho fame mi faccio uno
spaghetto con le vongole alla Canzone del mare, e pri-
ma di andare a letto faccio una passeggiata, solitamen-
te arrivo fino a Casa Malaparte, oppure a San Michele.
Mai nella grotta azzurra.
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Portovenere
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UN GIRO IN VESPA
di Paolo Casti
Eccoci, questa è la nostra fermata. Davanti a “Porta
Marola” l’autobus si accosta al lato del curvone che in
questo punto allontana la strada dalla linea costiera che
abbandonerà per seguire il muro dell’Arsenale Militare,
questo confine invalicabile che accompagnerà la strada
fino al centro di Spezia per poi lasciarla proseguire sul
lungomare ed il molo.
Giù dall’autobus, siamo arrivati.
Questo luogo era molto diverso parecchi anni fa,
come tutto d’altronde, noi compresi.
L’Arsenale finiva con Porta Marola e iniziava 30 me-
tri più in la con la “carbonifera”. Tra le due porte a di-
sposizione dei “civili” c’era un passaggio per un molo.
Non ne conosco il nome preciso, per noi si chiamava “le
barche”.
Era il posto dove tutti i pescatori e, più o meno tut-
te le famiglie, avevano una barca.
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Le imbarcazioni erano quasi tutti gozzi, nulla di
straordinario, a parte forse il motoscafo del medico con-
dotto e qualche barca “truccata” dei contrabbandieri di
sigarette.
Ricordo bene che ogni tanto qualche mio amico ot-
teneva di passare qualche ora con la barca del genitore
(senza motore naturalmente) ed allora invitava gli altri al
mare.
In quattro, agli scalmi, remavamo con un remo a te-
sta, tirandolo al petto di spalle rispetto alla prua guar-
dando il timoniere, di solito il più mingherlino, tenere
quel timone sempre diritto (chiunque fosse si lamentava
della scarsa forza dei vogatori).
Ricordo che questo atteggiamento era reiterato ogni
volta nonostante fosse chiaro che appena al largo sareb-
be stato ripagato con qualche vigorosa spinta ed il con-
seguente risultato dell’uomo in mare che urla parolacce
ai suoi compagni che lo abbandonavano tra i pesci con
la maglietta addosso.
Il tempo della punizione durava in rapporto al suo
stato di salute ma spesso non superava il quarto d’ora.
A recupero avvenuto tutto tornava come prima, noi
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eravamo gli incapaci e lui l’uomo di mare; così ogni vol-
ta, andava sempre allo stesso modo.
Lo stesso molo dove attraccavano le barche diventa-
va dopo la cena, la meta delle passeggiate con il gelato e
più tardi il luogo dove le coppiette si appartavano e
guardando la Vespucci o l’Andrea Doria ormeggiate a
pochi metri, si scambiavano baci, abbracci e carezze.
Eravamo tutti molto giovani.
Più tardi, i motorini ed il resto, ci levarono la voglia
di passeggiare.
Adesso non c’è più nulla, l’arsenale ha scambiato
questo passaggio con qualche campetto da calcio ed una
palestra che ha “donato alla collettività”.
Un nuovo “muro” così ha colmato lo spazio tra
“Porta Marola” e la “carbonifera” ed ha interdetto la pos-
sibilità di accedere alle “barche” salvo l’esibizione di un
lasciapassare (concesso ai residenti) che di certo non in-
centiva le passeggiate col gelato o le fughe d’amore.
Tutto è diventato più squallido e più triste, non c’è
più la vista del mare ma i militari sono più sicuri perchè
il muro dell’arsenale non ha più interruzioni.
Nonostante tutto, proprio qui davanti, Giorgio ha
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deciso di rilevare la vecchia locanda “Da Luigi”.
Ci andavo a vedere le partite quando la televisione
ce l’avevano solo i bar.
Prima di diventare il bar con i bigliardi, che io ricor-
do da giovane, i carbonai che lavoravano alla carbonife-
ra, ci andavano a consumare il pasto di mezzogiorno con
le mani ancora nere, occupavano, quattro a quattro, i ta-
volini del locale.
Si sedevano tutti insieme, dopo mezz’ora la sirena
dell’arsenale urlava la ripresa del lavoro, era un lavoro
duro che oggi non fa più nessuno.
Giorgio nonostante la sua passione per il bigliardo,
ha sgomberato i locali dalle “tavole di lavagna” per ripri-
stinare tradizioni e sapori di una cucina contadina e ma-
rinara che gli spezini hanno troppo frettolosamente ab-
bandonato per le orate ed i branzini dei turisti che di
tutto sanno, meno che di mare.
Mi telefonò il nome pieno di entusiasmo “Autedo lo
voglio chiamare”. Perfetto.
Disegnai un marchio che non togliesse al nome la
sua poesia, con grandi caratteri, senza maiuscole come se
fosse pennellato con un verde scuro, quelle delle foglie
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delle vigne.
Realizzammo le insegne con un tradizionale “filo
neon” inscatolandole con un plexi sagomato di colore
verdastro intonato alle vigne.
A questo Giorgio aggiunse il resto, rispolverò la cu-
cina dell’antica Spezia, scrisse un libro (Spezia a tavola)
e da allora intrattiene tutte le sere i suoi ospiti che, sen-
za scegliere, ogni sera si fanno guidare dal suo gusto, dal-
la sua cucina e dai suoi umori.
Il successo superò le aspettative e Giorgio, che allo-
ra aveva anche altri affari in corso, li abbandonò, per de-
dicarsi al suo vero amore. Intrattenere gli amici a cena.
Attraversammo la strada, che è diventata larghissi-
ma da quando hanno ricoperto il canale che attraversa-
va l’Acquasanta, ed eccoci sotto l’Autedo.
Il terrazzo sovrasta un muricciolo alto poco più di
due metri.
L’interno è reso invisibile da una cascata di geranei
illuminati da una luce nascosta.
Sicuramente è in contrasto con l’imponente muro
dell’arsenale dall’altro lato della strada.
La scalinata è comoda e rivestita com’è in cotto la-
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scerebbe presagire un terrazzo realizzato con lo stesso
materiale, ed invece no.
Il terrazzo non si è concesso a questa nobilitazione,
è rimasto semplicemente una lisciata di cemento.
È tipicamente ligure non dare importanza alle cose,
non rifinire, lasciare tutto semplice, minimo, apparente-
mente provvisorio o precario.
È abbastanza normale da queste parti e devo dire
che dopotutto, almeno quando sono qui, non mi dispia-
ce constatare che certe soluzioni, per quanto semplici e
forse non sempre ottenute di proposito, conferiscono a
certi ambienti un’atmosfera più famigliare, più calda,
meno distaccata e pretenziosa di certi locali troppo per-
fetti per essere sinceri.
Quando i nostri sguardi oltrepassarono il filo dello
scalino più alto, provai una piccola delusione.
Il locale è chiuso ma il post-it appiccicato sul por-
toncino d’ingresso mi tranquillizzò.
“Roby sono a Cadimare, torno alle 6, ho lasciato la
vespa qui sotto, se ti serve, prendila”.
Era un piccolo appunto di Giorgio a sua moglie
che, a quanto pare, era anche lei in ritardo.
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Rimaneva il motorino e se “Giò” non aveva cambia-
to abitudini le chiavi si dovrebbero trovare sotto il tap-
pettino.
Ritornammo sui nostri passi per constatare che la
“vespetta” era proprio lì sotto, senza cavalletto, appog-
giata al muro con una manopola.
E le chiavi erano lì.
Scrivo sul post-it “l’ho presa io”, mi dimentico di
firmare il misfatto, apro la benzina, pigio sulla pedalina
dell’avviamento e su per l’Acquasanta, destinazione
Campiglia.
È il primo paese qui sopra dove andavamo a gioca-
re il torneo di calcio estivo, ma molto più noto a tutti
per il fresco e lo splendido colpo d’occhio che concede
la piazzetta affacciata da una parte verso le Cinque Terre
e dall’altra sul Golfo di La Spezia.
Guidare la vespa cinquanta produce a chi lo fa un
sensazione ineguagliabile, niente a che fare con gli scoo-
ter del giorno d’oggi che ai semafori bruciano anche le
Porsche.
Il brivido della velocità non esiste ma è sostituito
dalla sensazione primordiale del dominio del motore,
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continui a cambiare, a scalare, a frizionare e nonostante
tu sia praticamente appena in movimento, la sensazione
di passare con un coordinamento perfetto dalla seconda
alla terza abbassando l’acceleratore, tirando la frizione e
ruotando il cambio con il polso, il tutto in un istante e
scoprendo che tutto funziona a distanza di trent’anni
(tanti ne ha la vespa) è ineguagliabile.
Attraversiamo l’Acquasanta, due curve una a sinistra
ed una a destra, e poi più o meno diritti si arriva al limi-
te del bosco.
La strada asfaltata che stiamo percorrendo con un
secco tornante ripiega guadagnando quota nella direzio-
ne contraria, proprio da qui parte una scalinata che si
inerpica direttamente verso Campiglia infilandosi in
quel bosco che mi ha assicurato un’adolescenza ricca di
passeggiate, castagne e funghi.
Sono parecchie migliaia di scalini ma ne vale la pe-
na, si arriva in alto pronti per gustarsi l’affaccio verso il
mare e con l’appettito giusto.
Proprio a Campiglia mi fermavo per spezzare in due
il percorso, durante le lunghe escursioni che in bici ci
portavano da Corniglia fino a Portovenere attraverso i
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boschi e le pinete che colorano e profumano questa par-
te di riviera di Levante.
La strada dopo una ripida salita ritorna nella dire-
zione giusta e curva dopo curva guadagna quota.
Più in alto l’aria si rinfresca. Questa circostanza in-
duce la mia compagna di viaggio a cercare il contatto
con la mia schiena e me stesso ad apprezzare la solidità
dei suoi seni stampati sulla mia camicia che sta vivendo
con me una giornata indimenticabile.
Inutile negare che trovandomi in una situazione co-
sì congeniale tutto facevo meno che affannarmi ad arri-
vare alla metà. E così...
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Genova
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VELISTI IN VIAGGIO
di Dede
La mia esperienza non può essere definita come
quella di uno sportivo bensì quella di un velista perchè i
nostri viaggi sono sicuramente alquanto particolari.
Viaggiamo sempre con furgoni o grosse automobili
con carrello porta imbarcazione che a seconda della ca-
tegoria può essere anche di grosse dimensioni.
Una caratteristica classica del nostro viaggio è il ter-
rore della polizia perchè per quanto ci si possa mettere
d’impegno non si riesce mai ad essere perfettamente in
regola (libretti, assicurazioni, targhe, patenti, fanali, pe-
si, etc..): qualche “rogna” c’è sempre per cui si viaggia
sempre con le antenne rizzate e con varie tattiche pron-
te se si avvista una “volante”.
A causa del tipo di mezzo i nostri viaggi sono gene-
ralmente abbastanza lenti e quindi sonnolenti, quasi
sempre organizziamo un materasso o un giaciglio dove
almeno una persona riesca a dormire comodamente e si
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fanno quindi dei turni molto rigorosi tra guida e sonno.
Nei rari momenti di poco sonno, generalmente al-
l’inizio dei viaggi, si coglie l’occasione della riunione
dell’equipaggio per fare una sorta di briefing (all’andata)
e debriefing (al ritorno) sulla regata.
Il tempo è quasi sempre nemico quindi le soste agli
Autogrill vengono ridotte al minimo (più volte siamo ri-
masti senza carburante) e vengono organizzate come ve-
ri pit-stop, chi si occupa del carburante, chi procura be-
vande e cibo e solo chi non ce la fa proprio più riesce ad
andare alla toilette.
La colonna sonora dei viaggi è sempre un particola-
re importante, ci sono delle trasferte che anche dopo an-
ni ci vengono ricordate da una particolare canzone, a vol-
te riusciamo a fare centinaia di chilometri con lo stesso
disco per non dire lo stesso brano.
In ogni caso il viaggio del velista, e immagino an-
che quello di qualsiasi altro sportivo, è sempre molto
legato alla competizione che si sta per affrontare o si è
appena conclusa, una vittoria o comunque un buon ri-
sultato riesce a far sembrare meravigliosa anche la co-
da della tangenziale di Milano, viceversa una delusio-
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ne non permette di apprezzare neanche il più bel tra-
monto su una panoramica o ancor di più un meravi-
glioso cartello stradale progettato da Paolo Casti!!!
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Portofino
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I VIAGGI DELL’ENTRONAUTA
di Gigi Mozzi
Il viaggio più bello l’ho iniziato un po’ di anni fa,
con un amico mai visto, con un maestro mai dimentica-
to, con uno splendido compagno (di viaggio) che mi ha
insegnato a camminare nella vita.
Tanto per dire, quando il primo uomo appoggiava
il piede sulla luna, lui parlava di entronauti.
E raccontava di viaggi che si fanno, partendo non
da Fiumicino ma dal monte Athos, per arrivare non al
Jfk ma a Pondicherry, visitando le religioni, le persone, i
miti, camminando a fianco delle idee, dentro ai sogni e
visitando le rive dell’immaginazione.
Perché ogni volta, il vero viaggio è dentro di noi,
con le sensazioni e con le emozioni, con gli stupori e con
gli amori.
Ecco perché, viaggiando viaggiando mi ritrovo dalle
mie parti, in uno spazio fantastico, chiuso come fosse un
grande triangolo, con un vertice basso a San Fruttuoso,
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poi a salire fino a Portofino vetta e scendere fino all’al-
tro vertice, appoggiato nel borgo di Camogli.
Se da Camogli tendiamo una linea fino a San
Fruttuoso, a metà incrociamo Stella Maris che farebbe
da punto di intersezione, proprio come San Rocco
diventa il punto di intersezione tra San Fruttuoso e
Portofino Vetta e proprio come Ruta diventa il punto
intermedio tra Portofino Vetta e il borgo di Camogli.
Succede che all’interno del triangolo Portofino
Vetta - San Fruttuoso - Camogli (con il vertice in alto a
Portofino Vetta) si installa un triangolo formato da
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Ruta - San Rocco - Stella Maris (con il vertice in basso
su Stella Maris).
La magia dei 2 triangoli, che ne generano 4, dove
forse il più grande con il vertice verso l’alto è yang e il
più piccolo, con il vertice verso il basso è yin, ci porte-
rebbe sulla grande curva esponenziale, dove si trovano
tutte le declinazioni dei multipli del 2.
Non a caso i 4 triangoli con cui prepariamo la carta
dei viaggi, sono il risultato dei 2 sovrapposti: guarda,
guarda, l’esito delle operazioni sul 2, addizione, molti-
plicazione, e potenza conducono sempre allo stesso
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risultato.
Forse per questo ho sempre pensato che il viaggio
non valga tanto come singolo evento quanto invece sia
parte di una struttura, elemento di un insieme più gran-
de, che comprenda, almeno, tutti i nostri viaggi per
capire se non finisce che facciamo sempre lo stesso viag-
gio, o quasi.
Ho sempre pensato che il viaggio fosse ordine, in
mezzo all’apparente disordine (dei nostri spostamenti,
della nostra vita), che fosse un ciclo ripetuto con conti-
nue variazioni minime (come il dna che guida e limita il
nostro rinnovamento), che fosse una scala, in cui ogni
livello si incastra in quello successivo.
“Provaci ancora Sam, ma con una variante”
Il viaggio di oggi percorre un sentiero che incrocia i
venti caldi dell’Africa e le nevi alpine, un cammino tra
nord e sud, tra passato e presente.
Nella nostra carta, prende il triangolo con il vertice
verso il mare e come tutti i viaggi, anche questo è una
scoperta: straordinaria.
Partiamo dagli uliveti che collegano Ruta a San
Rocco e che gradatamente, vengono sostituiti dalla mac-
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chia mediterranea di leccio e corbezzolo con erica, pini,
mirto, ginestra spinosa, lentisco.
Quasi metà della vegetazione è costituita da una
macchia-pineta, evoluzione naturale della foresta di pini
marittimi che sono dispersi su una coltre dominata dal-
l’erica arborea.
Nelle zone più aperte vegeta l’ampelodesmo mentre
sulle pareti rocciose si stende la sassifraga spatolata,
endemica delle Alpi Marittime.
Sembra un niente, invece è un passo importante.
Un singolare destino di convergenza lega una pian-
ta africana (l’ampelodesmo) che è al suo limite setten-
trionale di diffusione, e una pianta alpina come la sassi-
fraga, che è arrivata qui durante le glaciazioni ed è rima-
sta isolata.
Entrambe vivono qui da oltre 1 milione di anni.
Ecco dove inizia il viaggio e quando: dove si incon-
trano i venti caldi dell’Africa con le nevi alpine e quan-
do il passato rappresenta uno scenario irripetibile per
raccontare il presente.
Lord George Gordon Byron, percorrendo lo stesso
cammino, ci spiega come si arriva alla meta
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c’è un incanto nei boschi senza sentiero,
c’è una magia sulla spiaggia solitaria,
c’è un rifugio dove nessuno arriva.
In riva al mare profondo e nella musica del suo frangersi
più degli uomini amo la natura
e in questi miei colloqui con lei
mi libero da tutto ciò che sono stato e che sono
per essere un’unica cosa con l’universo
e per sentire ciò che non so esprimere ma neppure del
tutto nascondere.
(caro Paolo, adesso capirai perchè vorrei gemellare
le terre di Camogli con Seventeen Miles, laggiù in
California, e capirai perché appena possiamo, qui a Ruta
al bivio dell’Aurelia, vogliamo transennare.
E io proporrò che per entrare, si debbano pagare
almeno 10 euro a persona: voglio dire che, se per par-
cheggiare a Milano ci vanno oramai 2 o 3 euro all’ora,
non mi sembra neanche caro).
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Milano
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IL VIAGGIO
di Nick The Nightfly
Uno delle immagine e ricordi che rimarà con me
sempre, è quello del viaggiare la notte in Italia, e in par-
ticolare quello di un gruppo di amici, 6/7, eravamo den-
tro una vecchia Renault 4 e ci spostavamo da un locale
al altra alla ricerca della musica, specialmente quello dal
vivo.
Sarebbe bello oggi avere una video cassetta o anche
solo del audio di quelle serate, di solito portava anche la
mia chittara e si cantava di tutto Battisti, Beatles, Pink
Floyd, Doors, Pino Daniele... Sento ancora la musica
che usciva di quella vecchia Renault, specialmente in
curva sembrava che si capovoltava e la portiera baccassi
l’asfalto, insieme con le nostre urle, era una sensazioni
fantastica e forse il locale piu bello, era proprio li dentro.
Oggi ci sono tante ragazzi sicuramente che fanno la
stessa cosa, spero che fanno come a casa mia in Scozia,
quando si esci con gli amici in gruppo si fa a turne, uno
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non beve e quella sera fai l’autista per tutti. I locale og-
gi sono molto cambiati, una volta non si parlava, ma so-
lo perché non si poteva per il volume, si gesticolava il di-
scorso, o si urlava nel orecchio della vitima! che provavi
a conoscere, dico vittima, perché mi ricordo che si dove-
va lanciare le parole come silure dentro l’orecchio, per
essere sentito.
Per me che ho le orechie sensibile era una tortura.
Sono contento che il costume dei locale è cambiato, og-
gi, c’è piu volgia di creare un lounge dove si puo congiu-
gare bellezza, comodita, musica e parola. La musica è si-
curamente uno dei più grande forze di gregazione dei
giovane, non ci sono kilometri che li tengano lontano
della musica. Ma forse è il viaggio la parte più bello, non
il locale, la musica in macchina che ti divora la strada,
che sgretola il tempo, che scogliere le timidezza, unisci
le ragazzi crea la complicità, salda l’amicizia e ti presen-
ta cupido, forse è il viaggio per i ragazzi la parte piu at-
tesa per ogni partenza, non la destinazione!
Buon Viaggio, ma soprattutto Buona Vita.
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Lazise
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FATICHE E GIOIE DI UN VIAGGIO
di Cesare Pelucchi
Durante il periodo passato quale amministratore
della Gardaland spa, sia per necessità professionale che
per fortuite occasioni, ho avuto modo di conoscere ogni
"strategie" di viaggio, messe in atto dalle varie tipologie
dei nostri clienti, per approdare al Parco nel minore
tempo possibile e con il dispendio, ridotto al minimo, di
energie fisiche e risorse economiche.
Certo dai primi anni settanta, dove si vedevano
spesso famiglie o gruppi di amici arrivare in bicicletta
dai paesi limitrofi, per una visita al Parco di poche ore,
ai tre giorni di oggi "di tutto compreso" la differenza di
preparazione della trasferta è indubbiamente notevole.
Agli inizi, il Parco era lo scopo di una passeggiata
fuori porta, la distanza breve con itinerario conosciuto.
Tutta l’organizzazione era riservata al pranzo da fare
sui prati del Parco, quindi stivare in auto nonne, bambi-
ni, cibi, tavolino, stoviglie varie e l’immancabile ombrel-
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lone. Possiamo immaginare come fosse l’atmosfera al-
l’interno del mezzo, spesso di piccole dimensioni. Il pi-
lota capo della spedizione, tra sedare le intemperanze dei
figli, eccitati dal pensiero della giornata a Gardaland e il
mantenimento dell’itinerario e dell’orario di marcia, po-
teva a giusta ragione considerarsi un campione della
Parigi-Dakar.
A mezzogiorno tutte le aree verdi diventavano un
unico pic-nic.
Per noi non era il massimo della gioia, poiché man-
cava l’incasso al Ristorante ed ai Bar, ma rimaneva la
grande raccolta dei rifiuti. Comunque fu una tradizione
che permise al Parco di fare i primi passi ed essere sem-
pre più conosciuto.
Insieme a questi utenti si unirono in numero sem-
pre maggiore i vacanzieri della giornata in Pullman che
partendo, all’alba, dai loro paesi, pretendevano di vede-
re ogni cosa del lago di Garda. Gli autisti di questi Bus,
allettati da noi con un omaggio, dirottavano i gruppi dal
loro itinerario originale, verso il Parco.
Devo dire che il risultato era sempre di soddisfazione
per tutti, ma soprattutto di grande entusiasmo per i dirotta-
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ti, fossero essi anziani o piccini.
Con l’aumentare della dimensione e della notorie-
tà del Parco, aumentò anche la distanza di provenien-
za dei nostri visitatori.
Il miglioramento delle Autostrade consentiva ora la
giornata a Gardaland anche dalle città e paesi delle
Regioni più lontane.
A questo utente non interessava il pic-nic, ma
utilizzare al massimo il tempo disponibile, per godere il
Parco.
Quindi niente auto cariche di vettovaglie, ma spazio
per la comodità dei viaggiatori. Partenze senza alcuna
sosta intermedia per arrivare, quanto prima, a destina-
zione.
Anche il treno incominciò ad essere considerato un
ottimo mezzo per un andata e ritorno giornaliero.
Venne e viene in genere preferito dalle scolaresche
quale mezzo di sicuro arrivo nel tempo previsto e con
spazi che consente loro di anticipare il divertimento.
Dall’inizio degli anni novanta crebbe notevolmente
il desiderio di unire le giornate di visita al Parco con tour
a Verona e ai caratteristici paesini del lago.
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Ritengo che per molti nostri utenti del centro e
meridione d’Italia, il lago di Garda sia stata una pia-
cevole scoperta da inserire nel programma di ferie, co-
me vacanza piena oppure per i classici tre giorni da di-
videre con il momento ludico.
Potrebbe essere presuntuoso dire d’aver contribuito
a far conoscere al grande pubblico, questo bellissimo
territorio, ma emblematico fu il dialogo tra un ragazzino
Veronese, in vacanza a Palermo ed un coetaneo del
posto.
Il "nordico" tentava di far comprendere l’ubicazio-
ne della sua città parlando di "Verona… l’Arena, il fiu-
me Adige ecc." ma solo quando nominò il lago di Garda
ebbe l’immediata risposta" ah… si… ho capito, abiti vi-
cino a Gardaland!!".
Ormai per le dimensioni raggiunte dal Parco e per
la notevole simpatia generata non ci sono distanze che
non possono essere superate. Ora l’organizzazione per
una visita avviene anche attraverso Tour Operator che si
servono per le medie o lunghe tratte di voli charter o di
Super Pullman comfort ed il voucher per evitare le code
agli ingressi. Non c’è più l’emozione del viaggio fai da
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te, dell’incontro con paesi e paesaggi diversi e della visi-
ta al Parco un pò spartana.
Forse qualcosa di pionieristico è rimasto negli ap-
passionati del Caravan a motore, che introducono spes-
so nei loro itinerari la visita al Parco.
Vanno ad incolonnarsi nella notte, come un picco-
lo Esercito, agli ingressi dei parcheggi, per essere i primi
ad entrare la mattina dopo.
Ecco questo è in sintesi quali furono e sono oggi i
modi utilizzati per raggiungere il Parco, o meglio per
raggiungere una giornata diversa e serena, in mezzo alla
calda umanità di una folla festante che forse è quello che
più si aspettano le decine di milioni di appassionati fre-
quentatori, di tutti i Parchi ludici del Mondo.
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CARO PAOLO...
di Fabio Amicabile
Caro Paolo, io di lavoro mi adopero per divertire la
gente, a regalare loro una o più giornate in allegria pie-
ne di emozioni e ricordi. Questo si traduce in una sorte
di micro viaggio che ogni mio cliente intraprende per
venire a trovarmi.
Solitamente (cliente medio) viaggiano in automobi-
le, con i famigliari o con amici, molto presto per non
trovare traffico e per arrivare in tempo per l’apertura dei
Parchi (normalmente intorno alle 9:30).
Purtroppo si organizzano con dei cestini per il pic-
nic da usufruirne durante la giornata, soprattutto per
comodità ma anche per risparmiare qualche cosa nel
badget della giornata-vacanza. È bello vedere i bambini
che si preparano al viaggio, infatti sono molto teneri
quando per l’occasione indossano dei gadget (capellini,
magliettine, bandane...) con la personalizzazione del
parco precedentemente acquistati nelle visite degli anni
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passati. Non mancano mai il nonno e la nonna, la mac-
china fotografica e la maglietta della squadra di calcio
preferita (spesso anche la t-shirt della Ferrari).
Quando arrivano al parco sono già stanchi, non co-
noscendo le vie alternative e soprattutto, provenendo da
bacini molto popolati, percorrono tutti lo stesso tragit-
to; fino a qualche anno fa’ viaggiavano anche senza aria
condizionata!
Il tempo per acquistare i “costosissimi” biglietti e la
giornata ha inizio. Il passare delle ore è incalzante e ine-
sorabilmente arriva la sera e lo spettro del ritorno, non
c’è problema, ci sono tanti argomenti di cui parlare, fo-
to digitali da commentare e tanti opuscoli da sfogliare e
da rivivere con il pensiero. Il giorno sta per finire la dol-
ce casa si avvicina e tutta la famiglia ormai stanca è sta-
ta al centro di una mini vacanza che ha regalato loro ma-
xi emozioni.
Passano i giorni, arriva il prossimo week end e… si
riparte.
Ciao Paolo.
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Villa Verità
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CI SONO TURISTI CHE ARRIVANO DA MALPENSA IN TAXI
di Leopoldo Montresor
Ci sono turisti che arrivano da Malpensa in taxi, ce-
nano da noi e la mattina, dopo colazione, ripartono; al-
tri che arrivano addirittura in elicottero.
Sono eccezioni, anche se non rare. La normalità dei
nostri ospiti compie il viaggio con auto noleggiate qua-
si sempre in qualche aeroporto italiano e si ferma due o
tre giorni, talvolta una settimana per poi proseguire alla
volta di un’altra villa veneta, ma anche verso la Toscana,
l’Umbria.
Per l’80% sono stranieri, molti americani in cerca di
quiete.
L’alta stagione per noi è l’estate, con punte a luglio
ed agosto.
L’opera lirica è il grande attrattore, ma anche la par-
ticolare posizione della Valpolicella, sempre arieggiata,
vivibile e gradevole anche in estate.
La tipica cucina, il buon vino insieme al buongusto
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di cercare alloggi confortevoli e riservati sono le leve che
funzionano tutto l’anno.
Le guide fanno molto, ma ciò che più aiuta nella
scoperta di questi posti è il passaparola; molti chiedono
un certo numero di camera anche se non sono mai stati
da noi.
Ai nostri clienti piace essere riconosciuti nei gusti e
nelle preferenze, soprattutto a tavola.
Un turismo elitario, dunque, un nomadismo
stile “grand tour”, ma non per questo trascurabile
soprattutto sotto il profilo delle qualità sempre più viste
come traguardo, come ambizione, come sogno da parte
di tutti.
Individui che si spostano in piccolissimi gruppi alla
ricerca di angoli di paradiso lontani dal caos, dalla folla,
attenti soprattutto alla qualità della vita e del contesto,
disposti a spostarsi spesso anche con lunghi tragitti pur
di bere quel vino, assaporare quel piatto o dormire in
quelle stanze sopra il vigneto.
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“Ho fatto questo viaggio su di una macchina meravigliosa insieme ad un amico.Con lei e con lui ho vissuto quasi una settimana senza distrazionipensando solo al viaggio, a quello ed a quelli che incontravamo.Tante foto e tanti racconti intrisi di emozioni indimenticabili.Spero che alcune di queste siano rimaste impigliate tra le righe di questo breve diario che non racconta la storia di un viaggio, ma il modo in cui le persone che ho incontrato mi hanno raccontato il loro modo di viaggiare e di vivere i luoghi che ho attraversato.”
“Questa sequenza di episodi, raccontati in modo diverso da persone diverse, potrà essere utile a farci un’idea su certi luoghi e su certi viaggi in questo piccolo angolo del mondo; forse a capire perché tutti quelli che li hanno vissuti, fatti o soltanto sognati, li amano.”
Paolo Casti Paol
o Ca
sti
Paolo Casti
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