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150° DELL’UNITÀ D’ITALIA l patria indipendente l 19 dicembre 2010 Un “filo rosso” che si è dipanato attraverso i secoli per formare un Paese unito La borghesia liberale e le grandi battaglie per la libertà e l’indipendenza Il fecondo retroterra culturale e le aspre polemiche L’arrivo di tutto un mondo “nazional-popolare” Il pericolo dell’oggi e il continuo attacco alle fondamenta della Repubblica Rinascimento, Risorgimento, Resistenza: così è nata l’Italia della Costituzione di Umberto Carpi La Breccia di Porta Pia appena aperta dagli “italiani” nel 1870.

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150° DELL’UNITÀ D’ITALIA l patria indipendente l 19 dicembre 2010

Un “filo rosso” che si è dipanato attraverso i secoli per formare un Paese unito

La borghesia liberale e le grandi battaglie per la libertà e l’indipendenza •

Il fecondo retroterra culturale e le aspre polemiche•

L’arrivo di tutto un mondo “nazional-popolare”•

Il pericolo dell’oggi e il continuo attacco alle fondamenta della Repubblica

Rinascimento, Risorgimento, Resistenza:così è nata l’Italia della Costituzione

di Umberto Carpi

La Breccia di Porta Pia appena aperta dagli “italiani” nel 1870.

Nel corso della Seconda Festa Nazionale dell’ANPIche si è tenuta ad Ancona nel giugno scorso, ilprofessor Umberto Carpi, docente di letteratura italianaall’Università di Pisa, già senatore della Repubblica esottosegretario, ha tenuto una “Lectio Magistralis”dedicata al Risorgimento, ai 150 anni dell’Unità d’Italiae alla Resistenza.Riteniamo molto importante e attualissimo il testo della“Lectio” che abbiamo deciso di pubblicare integralmente.

D al primo al secondo Risorgimento ovvero ilseguente problema, storiografico e politicoinsieme, come si pose subito dopo il ’45: la

Resistenza era stata davvero il compimento di unarivoluzione risorgimentale incompleta, realizzatasolo istituzionalmente con un’unità politica e ammi-nistrativa accentrata in Roma capitale, ma nonstrutturalmente, né come integrazione sociale nécome equilibrio dei tempi e modi di sviluppo? Interrogativo, questo, che a sua volta ne comporta-va altri due, essi pure di natura sia storiograficache politica: era stato davvero il Risorgimentoquella rivoluzione mancata, nel senso di mancatariforma agraria, di estraneità delle masse popolarie in particolare delle contadine, di irrisolta, anzitendenzialmente accentuata divaricazione fra Norde Sud? E la Resistenza non era stata an-ch’essa, piuttosto che compimento rivo-luzionario, una rivoluzione alla fineabortita o, come si preferì dire, tra-dita? Tradita nelle sue istanze didefascistizzazione delle strutturestatali e dell’apparato burocrati-co, di radicalità laica, di rinno-vamento dei rapporti sociali edemocratici come lo si eraembrionalmente vissuto neiCLN settentrionali. Erano davvero rimaste solo leceneri di Gramsci, come a me-tà anni ’50 provocatoriamentesintetizzò in versi un irregolaredi genio?Certo c’era stato anche, nell’ac-cezione di “secondo Risorgimento”spontaneamente attribuita alla guer-ra di resistenza dalle denominazionistesse assunte da molte bande partigia-ne, il richiamo alla tradizionale lotta con-

tro l’invasore tedesco; e c’era stato implicito queltanto di “guerra civile” che accomunava la lottadei patrioti di oggi contro i fascisti asserviti al Ter-zo Reich alla lotta dei patrioti giacobini contro isanfedisti, poi dei patrioti mazziniani e garibaldinicontro borbonici, austriacanti, filopapalini. Patriota era nato di sinistra alla fine del Settecen-to, lo fu con Garibaldi nel Risorgimento, lo rimasenelle stesse origini dell’irredentismo scaturito dalcaso Oberdan sullo scorcio dell’Ottocento, di de-stra non era stato mai: averlo abbandonato al rea-zionario uso nazionalista per un lungo tratto primo-novecentesco, quando non venne compreso qualecontributo decisivo i movimenti di liberazione na-zionale avevano e avrebbero dato al progresso in-ternazionalista, fu errore micidiale. Gran merito

della Resistenza aver rifatto nostra, praticae concetto, la tradizione patriottica.

Comunque, quel che prevalse nell’in-terpretazione storica della Resi-

stenza come “secondo Risorgi-mento” fu la sua istanza di unprofondo rinnovamento socialee politico, della fondazione diuna patria intrinsecamente rin-novata nei rapporti sociali enelle istituzioni. E dunque, per riprendere gliinterrogativi iniziali, istanzerealizzate oppure rimaste ine-spresse? In altri termini, se il

Risorgimento – come da diversipunti di vista avevano denuncia-

to il comunista Gramsci, i liberaliGobetti e Dorso, lo stesso liberal-

socialista Rosselli degli studi su Pisa-cane, Mazzini, Bakunin – era stato inti-mamente antigiacobino e a salda dire-zione moderata, non aveva avuto an-

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Il prof. Umberto Carpi e, alla sua sinistra, ArmandoCossutta.

Guglielmo Oberdan.

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che la Resistenza (dalla svolta cosiddetta “bado-gliana” di Togliatti ai primi governi di coalizione epoi alla rottura democristiana dell’unità CLN) unesito decisamente antigiacobino e moderato ri-spetto alle aspettative dei settori partigiani piùavanzati? Con un ulteriore interrogativo sotteso a tutti questi,inseparabile da ogni problematica resistenzialeesistendo la Resistenza in quanto movimento di op-posizione al fascismo: cosa cioè avesse significatoil fascismo al potere nel segmento storico fra quelprimo e quel secondo Risorgimento, se una malat-tia irrazionalmente sopravvenuta in un corpo sanocome voleva la storiografia liberale, Croce in testa,ovvero l’inevitabile destino delle fallimentari classidirigenti prefasciste cosiddette liberali, ovvero an-cora l’espressione di un sovversivismo intrinsecoalle classi dirigenti italiane, come l’aveva definitoGramsci e come a noi qui e oggi pare pericolosa-mente confermarsi. Oltretutto il fascismo, per suo conto, aveva politi-camente e storiograficamente cercato di accredi-tarsi lui, nella sua componente nazionalista daGentile a Volpe a Rocco, come il vero realizzatore

rivoluzionario dei destini risorgimentali, e questo –fra apologia crociana del Risorgimento liberale,sua opposta revisione critica da parte dei Gramscie dei Gobetti, nuovo protagonismo nazionale deicattolici e della Chiesa dopo Partito Popolare ePatti Lateranensi – complicava ulteriormente loscioglimento di tutti questi nodi.La discussione fu asperrima subito dal 1945 alme-no fino al 1960, e condotta senza esclusione di col-pi, perché c’era la coscienza che con la risposta aquelle domande si giocava una partita decisivanella battaglia per l’egemonia culturale: basti pen-sare che nel 1955 il comitato dei ministri incaricatidi organizzare le celebrazioni del decennale patro-cinò un corposo volume ufficiale intitolato appuntoIl secondo Risorgimento. Nel decennale della Re-sistenza e del ritorno alla democrazia, escludendo-ne tutti i protagonisti o gli studiosi non aderenti aipartiti di governo, in particolare socialisti e comu-nisti in quanto estranei alle ideologie della demo-crazia. E pochi anni dopo, nel 1959, un fortunatosaggio di Claudio Pavone su antifascismo e fasci-smo di fronte alla tradizione del Risorgimento su-scitò discussioni furibonde incentrate su un punto

Camillo Benso, conte di Cavour. A destra, Giuseppe Mazzini.

che allora pareva cruciale per il riconoscimento omeno del Partito Comunista come partito della tra-dizione nazionale: era stato il suo risorgimentali-smo durante la Resistenza, nei termini precipui delgaribaldinismo, espressione di una cultura evisione storica autentiche, oppure era statodi mera natura pratica, strumentalmente ri-spondente alle nuove esigenze unitarie del-la politica dei fronti popolari?Pavone giudicava dal punto di vista dell’a-zionista che era stato, il suo risorgimentali-smo resistenziale era nel solco del Risorgi-mento di Giustizia e Libertà (Gobetti e CarloRosselli), dunque critico dei comunisti (inparticolare del Togliatti che nelle polemicheanni Venti con Rosselli e «Quarto Stato»aveva liquidato il cosiddetto Risorgimento,con il che Pavone isolava il risorgimentali-smo di Gramsci come fatto intellettuale a sé,non espressivo di un’intrinseca cultura delPartito); ma critico anche dei liberali crocia-ni che, tipico Omodeo, avevano duramentepolemizzato contro la revisione gobettiana

del Risorgimento. Così accadde che Pa-vone venisse contestato sia dai comu-nisti come Battaglia e Spriano, sia dai li-berali crociani come De Caprariis. Non erano, lo ribadisco, puntigli acca-demici. Per capire la rilevanza eminen-temente politica di contrasti che oggipossono sembrare di astratta schema-tizzazione quando non di pura ritorsioneideologica o nel migliore dei casi di ac-canimento filologico, ricordiamo comeallora negli anni Cinquanta, anche fa-cendo perno sull’impatto formidabiledei Quaderni di un Gramsci sostanzial-mente sostituito a Croce (sostituito, piùche contrapposto), il PCI puntasse adaccreditare se stesso e la classe ope-raia quali eredi della grande tradizioneliberale del Risorgimento, dagli Spaven-ta ai De Sanctis fino all’approdo di quel-la tradizione – con Antonio Labriola –nel marxismo e nel socialismo. Su questa linea, è noto, Togliatti eragiunto ad esprimere un giudizio storica-mente positivo sulla stessa politica diapertura ai socialisti praticata nel primoNovecento da quel Giolitti che era sem-pre stato la tradizionale bestia nera del-la cultura salveminiana, gobettiana eordinovista; e ciò Togliatti aveva fattonon solo in polemica politica contro

l’ostracismo democristiano alle sinistre, ma anchecon l’obiettivo storiografico di sottrarre Giolitti al-l’apologia e in sostanza appropriazione neoliberaleoperatane da Croce.

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Giuseppe Garibaldi.

Telemaco Signorini: l’artiglieria garibaldina nel 1860.

Le polemiche suResistenza e Risor-gimento si intrec-ciavano, insomma,con le concomitantiquerelles sull’inter-pretazione gram-sciana del medesi-mo Risorgimento (ri-cordo il memorabilescontro fra lo stori-co liberale RosarioRomeo e gli storicimarxisti da Sereni a Zangheri a Cafagna) e, a que-sta strettamente connessa, sulla questione delMezzogiorno e sulla prospettiva dell’alleanza na-zionale fra operai del Nord e contadini del Sud. Perché, era stata davvero la Resistenza il compi-mento del Risorgimento nazionale? E se sì, eranostate davvero le avanguardie della classe operaiaforza propulsiva e trainante della Resistenza comela borghesia più avanzata lo era stata del Risorgi-mento? Era questa una condizione essenziale per interpre-tare storicamente il fallimento e la caduta del fa-scismo come sconfitta storica delle tradizionali

classi dirigenti bor-ghesi e come finedell’egemonia bor-ghese, e per accre-ditare di conse-guenza la classeoperaia come nuo-va classe trainanteed egemone, comela nuova classe na-zionalmente diri-gente. Tanto che To-gliatti – più cultural-

mente sensibile al momento risorgimentale – ispi-rava una storiografia molto attenta alle analogie ealla continuità Risorgimento-Resistenza; Longo in-vece – più militantemente radicato nel momentoresistenziale e autore dell’ancora oggi essenzialeUn popolo alla macchia – preferì richiamare gli sto-rici a una decisa distinzione fra i due Risorgimentiproprio per riaffermare il primo a direzione borghe-se, il secondo a direzione popolare, operaia e con-tadina (la Resistenza, anzi, come innovativa espe-rienza storica di partecipazione contadina a unmoto di liberazione nazionale, con il rovesciamentoalmeno nel Nord di quella tradizione di sanfedismo

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Ambulanza militare italiana dopo la Breccia di Porta Pia.

Cartina dell’Italia. A sinistra, la Nazione è ancora divisa. A destra, dopo il 1861.

antigiacobino, antirisor-gimentale, in sostanzaantinazionale da cui lemasse agrarie non sierano in precedenzamai emancipate).Temi brucianti, e non èun caso che anche nel1960, anno preparatoriodel centenario dell’Unitàma anche anno criticodel governo Tambroni, sidovettero registrare nonpoche resistenze allacelebrazione ovvero in-clinazioni ad una cele-brazione debole e dis-torta, sia pur – va detto– imparagonabili pergravità di motivi e perostentata impudenza aquelle odierne in vista del 150°: allora, piuttostoche la negazione e il rifiuto, c’era il tentativo –chiamiamolo così – di delaicizzazione e clericaliz-zazione del Risorgimento per sottrarlo all’egemo-nia interpretativa e marxista e liberale, così comenel 1955 – decennale della Liberazione – c’era sta-to un notevole e non banale sforzo (ricordo politi-camente Malvestiti sul Popolo e storiograficamen-te Passerin d’Entreves su Civitas di Taviani) di cat-tolicizzare la Resistenza, enfatizzandone la dimen-sione religiosa. Ricordo che a denunciare il tentati-vo del Governo di mettere la sordina sui grandieventi del triennio 1859-’61 intervenne, con una lu-cida polemica dal titolo inequivocabile Antirisorgi-mento, Alessandro Nat-ta (un dirigente di partitoa sua volta acuto storicodel pensiero risorgimen-tale, lui studioso delCuoco e del Colletta, ilcui nome mi piace ricor-dare anche per rimpian-gere insieme a voi quel-la specie di intellettuali-politici e di politici-intel-lettuali, comunisti, so-cialisti, azionisti, cattoli-ci, liberali di cui si eranoinnervate la resistenzaal fascismo e poi la rina-scita nazionale nella Re-pubblica e nella Costitu-zione – una specie della

quale, non ultimo segnodel nostro declino demo-cratico e culturale, paresmarrito lo stampo). D’altronde, perché quellodel Risorgimento primo esecondo non potesse nondiventare, anzi restareterreno di confronto ideo-logico e di implicazionipolitiche al calor biancolo aveva spiegato beneun grande intellettuale emartire antifascista, Leo-ne Ginzburg, in certe suepagine del 1943 su La tra-dizione del Risorgimentorimaste inedite ed esem-plarmente stampate, qua-si un messaggio, subitonell’aprile del 1945 da

un’indimenticabile rivista napoletana, Aretusa: «L’I-talia in cui viviamo non è pensabile – ammonivaGinzburg – senza il Risorgimento. Sorto da un im-pellente bisogno di adeguare il nostro paese … al-la moderna cultura e vita politica europea, mentregli Stati italiani erano tanti cadaveri dissepolti cheal contatto dell’aria sarebbero andati in polvere …Per gli italiani, l’atteggiamento da assumere nei ri-guardi del Risorgimento implica ancora, e forsecontinuerà ad implicare per parecchio tempo, unascelta inequivocabile che precede ogni valutazio-ne storiografica … Risorgimento non è dunque,per gli italiani di oggi, la semplice designazione diun periodo storico, un recipiente in cui si possa

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Antonio Gramsci.

Benedetto Croce con le figlie.

versare qualunque liqui-do: è, invece, una tradizio-ne tuttora viva e gelosa-mente custodita, a cui cisi richiama di continuoper ricavarne norme digiudizio e incentivi all’a-zione».Su uno dei primi numeridella medesima rivistaAretusa un grande libera-le oggi rimosso come Go-betti dai sedicenti liberalida cui siamo infestati (tut-ti inverecondamente libe-rali e riformisti i tristi atto-ri di questa fase illiberalee restauratrice), dico il li-berale Guido Dorso, incerte sue straordinariepagine del 1944 sulla Teo-ria politica dei “partigiani” dalle quali farei aprireun’auspicabile antologia del pensiero resistenzia-le, aveva a sua volta avvertito: «Un nuovo incontrodi Teano non appare probabile, poiché questo tipodi eventi storici presuppone l’assenza delle massee la tendenza delle élites rivoluzionarie a transi-gere. Oggi, invece, il movimento partigiano si svi-luppa attraverso il popolo, e ciò dovrebbe esseresufficiente a preservarlo da adulterazioni. Tutto ilprocesso storico, iniziatosi col Risorgimento e limi-tatosi finora all’indipendenza nazionale, pare vo-glia concludersi con un nuovo Risorgimento, cheartificiosamente si vorrebbe limitare al riacquistodell’indipendenza, ma chein effetti … deve espan-dersi all’affermazione del-l’autogoverno come unicomezzo per l’effettivo ac-quisto e garanzia della li-bertà». Mettiamo insieme le paro-le del torinese Ginzburg edel meridionale Dorso, ilRisorgimento di quellocon il nuovo Risorgimentodi questo, e sarà chiaroquale destino di scontropolitico dovesse attende-re – repubblica, costitu-zione, strategie economi-co-sociali – il tema storio-grafico voluto qui oggi indiscussione dall’ANPI.

G rande sarebbe dunque la tentazione di so-stare analiticamente sul dibattito intorno al-la Resistenza come secondo Risorgimento

dipanatosi in quella fase storica così decisiva edrammatica per tutte le forze politiche che aveva-no costituito il CLN: prima e dopo lo snodo del ’48,nella tempesta del ’56, alle soglie contrastatissimedel centro-sinistra, quando dall’opposizione di po-polo al torbido tentativo Tambroni di riportare ineofascisti nell’area di governo e di bloccare la na-scita del centro-sinistra venne per un momento ri-lanciato lo spirito militante della Resistenza (chepoi del centro-sinistra non siano state capite e svi-

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I fondatori di Giustizia e Libertà. Al centro e all’estrema destra i fratelli Rosselli.

Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Franco Antonicelli e Augusto Frassinelli.

luppate tutte le po-tenzialità sarebbealtro discorso, nonestraneo alla com-prensione della no-stra deriva nei de-cenni successivi).Una tentazione sto-riografica tanto piùforte oggi, ripeto,che sulla nostra sto-ria, sulla storia dellenostre idee, si pre-ferisce stendere unaopportunistica cor-tina di occultamenti,rimozioni, edulcora-zioni, distorsioni,negazioni, palinodie,quando al contrarioun intelligente eser-cizio della ragionestorica compiuto aschiena dritta sa-rebbe vitale peruscire dal gorgo disubalternità in cui ci dibattiamo anchenel campo storiografico, Risorgimento e Resisten-za in primis: deprecato o affidato a letture deboli efin caricaturali il Risorgimento, ridotta troppo spes-so la Resistenza ad un’ormai univoca misura diguerra civile, oltretutto sempre più strumentalmen-te fraintesa al fine surrettizio di attribuire pari di-gnità storica alla pars fascista di Salò (come in mo-do analogo, nel Risorgimento, alla pars sanfedistadelle insorgenze), ovvero – in qualche caso parti-colarmente repulsivo – di ridurre la Resistenza adequivalente se non peggiore storica indegnità. Neppure nel buio della guerra fredda si era osatotanto. Una brutta china lungo la quale, comunque,cominciammo a sci-volare vent’anni fa,nel disastroso bi-centenario dell’Ot-tantanove: perchéalla fine, lasciate-melo confessare, diquesto sono semprepiù convinto, “dim-mi cosa pensi del-l’Ottantanove e tidirò chi sei”.Tentazione storio-

grafica grande, anzidi storia della sto-riografia, ma altropreme qui e oggi,quando – con mar-tellante insistenza –vengono messi indiscussione i duecardini dell’assettostatuale uscito dallaResistenza, l’unitàrepubblicana e laCarta Costituziona-le. Quando, cioè, al-l’ordine del giornonon è il movimentoprogressivo di rina-scenza insito nelconcetto di risorgi-mento, bensì un mo-vimento regressivodi corruzione e re-staurazione: ricordoche risorgimento,prima di venir a de-signare il processodi unificazione na-zionale, periodizza-

va quello che ora si nomina rinascimento, “rinasci-mento” dalle tenebre medievali affondante le sueprimi radici nazionali nei liberi comuni di popolo;poi “risorgimento” dal sistema di antico regime edalla sua reviviscenza nella restaurazione; poi an-cora “liberazione” dal fascismo. Rinascimento, Risorgimento, Resistenza. Un filorosso di sviluppo storico sulla linea della rivoluzionerazionalista rinascimentale e poi illuministica (ilcalle dal risorto pensier segnato innanti, come losintetizzò Leopardi), dipanatosi nella modernitàlungo le direttrici rivoluzionarie e fra loro varia-mente conflittuali del liberalismo borghese, del so-

cialismo proletario,dei filoni democrati-ci e laici cresciutidentro il cattolicesi-mo. Non si intende,nella sua forza pro-pulsiva ma anchenelle sue contraddi-zioni, il complessodella resistenza alfascismo e poi l’esi-to repubblicano ecostituzionale senza

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Nello e Carlo Rosselli con la madre Amelia.

Piero Gobetti e la moglie Ada Prosperi.

tener conto di questa spinta storica radicata nelleforze sociali e nel loro patrimonio culturale, la spin-ta storica che reagì ai movimenti regressivi salda-tisi nella monarchia fascista.Non è un caso che i critici più radicali e conse-guenti dello Stato repubblicano e della Costituzio-ne antifascista, come i cattolici integralisti di BagetBozzo dagli anni Cinquanta e Sessanta di «Terzagenerazione» e di «Ordine civile» fino al supportoideologico per Forza Italia, abbiano contestato inradice la legittimità medesima di quello Stato re-pubblicano e di quella Costituzione antifascista, le-gittimità declassata sottilmente a «quasi legittimi-tà» proprio per i cardini rivoluzionari e dell’uno edell’altra; appunto – a ritroso – la Resistenza, ilRisorgimento, e a risalire l’Ottantanove e il Rinasci-mento stesso antimedievale. Rileggiamo, ci serve acapire come vengano da lontano, a riflettere dovesiano andati via via incubando e serpeggiando e acosa si ispirino certo attuale sovversivismo antico-stituzionale (la Costituzione catto-comunista quan-do non bolscevica tout court denigrata giornal-mente dal Presidente del Consiglio) e insieme cer-to neoclericalismo sanfedista anche di marca lai-ca; rileggiamo quel che in tema di Stato e Rivolu-zione scriveva il futuro consigliere dell’on. Berlu-sconi nel 1960, proprio – guarda caso – in pienacrisi “tambroniana”: lo Stato liberale uscito dal Ri-sorgimento essere «esempio classico del regime“quasi legittimo”, ossia del regime che copre sottouna legittimità apparente una illegittimità sostan-ziale, del regime che nasconde la rivoluzione nellepieghe dello Stato»; essere analogamente illegit-timo – dopo la Resistenza/secondo Risorgimento,lo Stato repubblicano con la Costituzione del 1948,proprio in quanto «costituzione antifascista: e an-che in essa, l’antica “quasi legittimità”, il connubiotra Stato e rivoluzione»; in mezzo invece la paren-tesi del regime fascista e, suggeriva puntualmenteBaget Bozzo, «il fantasma di un vero Stato non ven-ne mai come allora evocato: e i cuori semplici delpopolo italiano ne furono commossi e sedotti». At-tacco all’Italia repubblicana e alla sua Carta? Esso non sarebbe dunque una sovversione, ma an-zi il ristabilimento di una piena e superiore legalità:siamo alle radici, come si vede, del populismopostfascista attuale e delle sue telecomandatecommozioni e seduzioni. Ma, quando andremo aricostruire le matrici culturali dell’attuale pensieroreazionario – revisionismo storiografico, individua-lismo antiegualitario e antistatuale, subalternitàdel politico all’economico – le sorprese e gli incro-ci saranno molti e talvolta dolorosi, per esempioanche a carico del Sessantotto e dei suoi miti neo-

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Giorgio La Pira, intellettuale cattolico, sindaco di Firenze e “padreCostituente”.

Palmiro Togliatti, segretario del PCI e “padre Costituente”.

romantici e neovitalistici, diuna tal sua idea minoritaria eribellistica della Resistenza,soprattutto del suo disprezzoper quel nazional-popolareche, dal primo al secondo Ri-sorgimento, in politica e incultura – attraverso il com-plesso costituirsi dei partitinuovi e via via rinnovati e arti-colati nel corso del Novecen-to e della stessa esperienzaresistenziale, il comunista, ilpopolare, il socialista, l’azio-nista … – aveva cominciato aformare un’identità popolare,appunto, della nazione e na-zionale del popolo.Comprendere le basi sociali e le componenti cultu-rali di questa nuova destra; ma comprendere an-che le ragioni del declino della sinistra, a sua voltada ricercare – oltre che nelle profonde trasforma-zioni dei suoi tradizionali ceti di riferimento (e nelfallimento, diciamolo, della classe operaia comenuova classe dirigente, cioè del presupposto es-senziale della politica di via italiana al socialismo)

– in un molecolare assorbi-mento nella sua cultura di es-senziali ragioni della destra: èuna riflessione storica e poli-tica insieme, da svolgere in-torno al recente passato congli occhi rivolti al prossimo fu-turo, cui io credo l’ANPI do-vrebbe dare molto impulso at-traverso l’offerta di se stessacome luogo di incontro e diiniziativa e la sistematica pro-mozione di discussioni e di ri-cerche su temi, come usa oradire, particolarmente “sensi-bili”. Ricordiamo come, durante edopo la Resistenza, le grandi

correnti ideali di pensiero e i loro partiti si impe-gnassero – molti politici in prima fila – nella ricercastorica e documentaria non solo su primo e secon-do Risorgimento ma anche sulle origini del fasci-smo e sulle origini e vicende proprie e dei proprigruppi dirigenti. Del resto, la differenza fra piccolae grande politica l’aveva spiegata in una pagina fa-mosa dei Quaderni Antonio Gramsci, appunto ri-

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La partigiana Gina Borellini sfila con i compagni ilgiorno della Liberazione.

L’ingresso in Bologna della Brigata Maiella il 21 aprile 1945.

flettendo – radicalmente e peròtutto fuor che settariamente –con lo sguardo al futuro sullecause storiche della propriasconfitta e della vittoria fascista.Altrimenti il destino di subalterni-tà è sicuro: già vediamo comeaccada che ai rumori della de-stra, alla predicazione del merca-to quale suprema deità regolatri-ce, all’invocazione di un esecuti-vo rafforzato rispetto al Parla-mento anzi svincolato affatto dal-le sue pastoie, alla quotidianaesecrazione della Carta come in-fernale camicia di forza burocratico-statalista, alferoce perseguimento di un federalismo dai palesiintenti separatisti, le nostre proteste suonino – co-me dire? – accorata raccomandazione di minor in-vasività e di più sobrio stile piuttosto che strategi-ca opposizione di una prospettiva riformatrice dav-vero culturalmente altra in quanto pensata e per-seguita in nome di soggetti, di bisogni, di obiettivi aloro volta altri socialmente e politicamente. Lasciamo pur stare le sceneggiate televisive, ma iconvegni “culturali” bi- quando non tri-partisanoggi di moda fra i politici e anche fra gli intellettua-li vanno in direzione opposta, servono solo a tatti-che di schieramento trasformistico o a sempliciammiccamenti nel chiuso di un ceto politico auto-referenziale: il fatto è che, quanto a pensiero, quel-lo multipartisan non potrà mai avere altri destiniche la confusione o la connivenza.

C ominciamo allora – per alcuni pensieri con-clusivi di questa nostra odierna riflessionemonopartigiana – col dire prima di tutto, e

seccamente anche in risposta agli antichi interro-gativi di metodo richiamati in apertura, che il Risor-

gimento non fu rivoluzione mancata, fu rivoluzionevera, certo non sociale e solo istituzionale, maautentica: come chiamare altrimenti l’unificazionein un nuovo Stato indipendente di un coacervo diStati (non regioni) variamente e secolarmente“dipendenti”? Quando Croce affermò che storia d’Italia in quantotale si poteva fare solo ora, come storia dell’Italiaunita, forse eccedette in un poco di paradosso,però aveva nella sostanza ragione e voleva dire amodo suo proprio questo, essersi trattato di unarivoluzione nazionale in un contesto europeo chene veniva – come dall’analoga tedesca – profonda-mente mutato (e infatti le sue storie d’Italia e d’Eu-ropa furono e vanno lette complementari). Rivolu-zione unitaria, dunque, il primo Risorgimento.Dico in secondo luogo, altrettanto seccamente,che la Resistenza non fu tradita, diede a sua volta– oltre al contributo alla liberazione da nazisti e fa-scisti – esiti rivoluzionari come la Repubblica de-mocratica a suffragio autenticamente universale ela Costituzione fondata sul lavoro. Certo la rivolu-zione sociale, o diciamo pure socialista, nei voti diuna parte della Resistenza non ci fu né ci poteva

essere; altrettanto certamen-te fra laici e cattolici furonoindispensabili compromessiinsidiosi, proverbiale quellosull’articolo 7, che solo in par-te sanavano – e in realtà san-civano cercando di regolarla– una sofferenza intrinsecaab origine al nostro Stato, daltempo della questione roma-na, ma alla fine Repubblica eCostituzione (fondata peraltrosul lavoro, non lo si dimenti-chi, come non lo dimenticanogli attuali picconatori della

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Partigiani sfilano, il 25 aprile, per le strade di Milano.

Automezzi carichi di partigiani entrano a Bologna liberata.

sua stessa parte prima) furono acquisizioni assolu-tamente rivoluzionarie, rispondenti fra l’altro alleaspirazioni a suo tempo sconfitte delle ali più avan-zate del movimento risorgimentale, diciamo per in-tenderci la mazziniana e la garibaldina. Esiti rivolu-zionari, dunque, anche quelli del secondo Risorgi-mento.Dal primo al secondo Risorgimento, unità naziona-le e Costituzione repubblicana fondata sul lavoro:proprio le ossessioni polemiche dell’integralismocattolico alla Baget Bozzo e del complottismo laicosiglato P2, ed era nella logica delle cose – diciamonella convergenza degli obiettivi – che queste duelinee di attacco alla Costituzione fossero destinatead incontrarsi ed allearsi per un lungo percorsocomune iniziato già negli anni Ottanta. Pure nell’or-dine delle cose che il revisionismo della Costituzio-ne (del quale il revisionismo storiografico di Risor-gimento e Resistenza costituisce un’essenzialeespressione ideologica) potesse incrociare, traen-done e a vicenda conferendole ulteriore linfa, lapatologia dello Stato unitario da sempre più acuta,la piena integrazione cioè fra Nord e Sud. Postasi subito come “questione napoletana” perCavour, indusse alla scelta del centralismo di Rica-

soli e all’abbandono del federalismo “regionalista”di Minghetti (quello più radicale, repubblicano, diCattaneo con la sua Italia delle cento città non fumai realmente in gioco). Fu poi la “questione meri-dionale”, in realtà – sempre – la primaria questionenazionale, alla cui storia secolare qui non è possi-bile neppure far cenno. Se non per dire che nelnuovo contesto europeo, monetariamente integra-to ma politicamente privo di costituzione e di effet-tivi organismi di governo, viene dovunque acutizza-ta una sorta di polarità fra macro-area continenta-le e micro-aree regionali a danno e pericolo dei de-potenziati Stati nazionali, soprattutto di quelli a piùfragile equilibrio dei sistemi produttivi, delle tradi-zioni culturali, linguistiche, in qualche caso religio-se; in Italia, la “questione settentrionale” posta so-prattutto dalla Lega nei termini brutali di un federa-lismo ad alto tasso separatista: separatista e dalMezzogiorno e da Roma capitale eminentementeaccentratrice. Non sottovalutiamo Pontida, gli in-sulti alla bandiera, all’inno, al Risorgimento: i mi-nacciosi protagonisti di questa via celtico-padanaalla secessione sono ministri dello Stato. Il capodel governo contro la Costituzione, il ministro del-l’interno contro l’Unità.

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Partigiani di montagna sfilano a Torino nell’aprile 1945.

Vale la pena di ricordare, a proposito di Unità edella questione del rapporto Nord-Sud, come essafosse ben presente, nei termini specifici della Re-sistenza e delle divaricazioni che nel suo diversosvolgimento si accentuavano fra Settentrione eMeridione, dentro la stessa direzione del CLNAI.Rodolfo Morandi, un altro intellettuale-politico diquella specie estinta, si preoccupava, in un inter-vento del 1945 dal significativo titolo Unire per co-struire, della divisione latente che minacciava diacuirsi: «Ci sono degli sfasamenti nell’ordine politi-co che conseguono ad una esperienza particolaredel Nord, e noi ci disponiamo a risolverli con unaunificazione … di metodi e di sistemi, nel consoli-damento della neonata democrazia italiana, da quialla Costituente. Ma in più ci sono dissonanze nel-la vita nazionale e lacerazioni che urge eliminare esanare, e il farlo dipende soltanto dalla nostra vo-lontà di uomini del Nord e del Sud, che si sentonoin verità soltanto italiani». Perché poi Morandi sa-peva bene (e il futuro avrebbe confermato tantisuoi timori) come l’Italia non si potesse governareche da Roma, ma che in quella grande palude del-la burocrazia ministeriale le nuove energie ri-schiassero di perdersi e sia per il Nord che per ilSud fosse vitale che lo Stato italiano non si rifa-cesse sulla Babele fascista. E sapeva altrettanto

bene che la saldatura del Sud col Nord era resadifficile anche dal fatto che del Nord c’era da valo-rizzare una esperienza più avanzata e più matura apro di tutta la Nazione, come diceva nel giugno del-lo stesso 1945, rivolgendosi ai CLN regionali del-l’Alta Italia. Una questione, una latente insoddisfazione setten-trionale nei confronti della centralità romana e delritardo meridionale, presto confermata dai rispetti-vi esiti del referendum istituzionale, acuta in que-sto 1945 del CNLAI in polemica con Roma nel mo-mento stesso che dall’Italia “divisa in due” bisognatornare all’Italia una, ma già insorta nel Cavour enei settentrionali e toscani subito angosciati dalla“questione napoletana”, borbonica. Questioni antiche di patologia statuale, della cuistoria è politicamente indispensabile aver precisacoscienza: e sul problema tipicamente postrisorgi-mentale del rapporto Nord-Sud come si pose nellacultura e nella politica della Resistenza, in partico-lare nel Nord, e come non è stato risolto nei de-cenni successivi sarà necessario che noi tornia-mo. A partire forse da un dato bibliografico che fucome la sanzione fissata dalla storiografia chequel problema era ben chiaro, ma appunto irrisoltoe come acquisito da una divaricante lettura dellastoria nazionale diventata acquisito senso comu-

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Il Presidente emerito della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro intervista Rita Levi Montalcini.

ne: quando attorno al 1960, come a consuntivo del-le discussioni postresistenziali, da Cafagna e daVillari furono messe assieme le due grandi antolo-gie rispettivamente dedicate al Nord e al Sud nellastoria d’Italia, la prima venne sottotitolata antolo-gia politica dell’Italia industriale, la seconda anto-logia della questione meridionale. Il Nord nella sto-ria nazionale come luogo dello sviluppo produttivo,il Sud come questione, come luogo cioè della que-stione del sottosviluppo.Duplice oggi, comunque, il progetto revisionistadella Carta da parte della Destra: per un verso piùlibertà di mercato e più potere dell’esecutivo a de-trimento della centralità del lavoro e del Parlamen-to; per altro verso introduzione di un sistema fede-ralistico entro uno Stato senza più strutturazionesovraordinamentale, dunque – nella nostra realtàeconomica, sociale, amministrativa – ad alto ri-

schio di un esito disgregativo fra le regioni,non già di piena attuazione dell’autonomiaprevista dalla Carta stessa. Che poi si tratti di due disegni eversivi dellaCostituzione non necessariamente fraternifra loro, anzi passibili di qualche reciprocaconflittualità, è altro discorso: se mai preoc-cupa ancor più che si siano invece potutisaldare in un’alleanza micidiale e in un uni-co disegno fra iperliberismo economico,egoismo sociale, autoritarismo politico. Inun tale contesto un federalista democratico(vogliamo dire di cultura catteneana e perfi-no minghettiana?) di fronte alla deriva “pa-dana” non si astiene, si oppone; così comeun sincero liberista vota contro, senza aper-tura alcuna, la strutturale deregolamenta-zione implicita nella sovversione dell’artico-lo 41 magari in combinato disposto conquella dell’articolo 1.E attenzione: prima ancora dell’eversioneformale della Carta, abbiamo già in atto unasua strisciante eversione materiale. Il depotenziamento del sistema scolastico euniversitario pubblico e la sua regionalizza-zione, lo svuotamento dei pubblici istituti diricerca e di cultura, la sottomissione deldettato costituzionale e legislativo sulla tu-tela del lavoro alla contrattazione locale, lecosiddette semplificazioni e sburocratizza-zioni di iniziativa privata, l’ossessionantetentativo giornaliero di imporre lacci e vin-coli alla magistratura, la costrizione stessadel Presidente della Repubblica ad un conti-nuo interventismo in difesa della Costituzio-ne quasi per supplenza di un Parlamento in-

fiacchito e quasi inebetito dalla natura medesimadel sistema elettorale attraverso cui si forma, tuttoquesto converge in modo univoco a configurare unPaese squilibrato, diviso, privatizzato, presidenzia-lizzato (ieri Scalfaro, Ciampi, oggi Napolitano, tuttecoscienze del secondo Risorgimento, ma domani?).Accettare un contratto con certe clausole a Pomi-gliano in Campania ma non mai a Mirafiori in Pie-monte? Già nella logica del disgregante federali-smo leghista. Tagliare indiscriminatamente le risorse di scuole eatenei? Stessa strada di ulteriore divaricazione frale regioni luogo dello sviluppo e le regioni luogo delsottosviluppo.Così procedendo, rischiamo di avere, uno strappoqua e altre ricuciture e rattoppi là, una Carta e unPaese devastati e sformati alla stregua d’un Fran-kenstein costituzionale; né possiamo illuderci che,

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Il Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.

alla fine, di un’Unità e di una Costituzione quantun-que così deturpate, anzi della storia nazionale dalprimo al secondo Risorgimento, resti tuttavia l’ani-ma, nella presunzione che simili chirurghi all’animanon possano giungere e che poi anche il viso, amaggioranza parlamentare riconquistata, possavenir restaurato con qualche tocco di chirurgiaplastica: no, non è così. Questi non sono processi transeunti o sempliciparentesi, la lunga storia della crisi dello Stato li-berale e poi lo sbocco nel fascismo insegnino:Frankenstein del resto un’anima ce l’ha, ma brutta,perversa, con una brutale intelligenza capace didistorcere a propria immagine e servizio la storiastessa e i principî fondanti. Ricordate il Machiavel-li di Mussolini? Non illudiamoci: è ben vero anche in questo casoche la storia non si ripete mai uguale, tuttavia essaè magistra proprio perché le sue sequenze sonoregolate da una logica implacabile. È sotto questaluce che dobbiamo guardare al 150° anniversariodell’Unità: dunque con un’intelligenza affatto alie-na da spiriti celebrativi che non hanno alcune ra-gion d’essere, ma con la consapevolezza che sia-mo a uno snodo storico di crisi della Repubblicapostresistenziale analogo per intensità – e sia purdiversissimo per culture e problematiche e conte-

sti e soggetti sia sociali che politici – a quello vis-suto nei primi anni Venti dallo Stato postrisorgi-mentale.

N oi oggi, qui, parliamo di storia, di politicatoccando solo nel senso che l’intelligenzastorica deve tenere i piedi saldi nel presen-

te e lo sguardo volto al futuro. Parliamo di storia,qui all’ANPI voi vecchi militanti partigiani e tanticome me ormai a nostra volta vecchi militanti de-mocratici, non per autogratificante nostalgia bensìper partecipare all’oggi nell’unico modo che cicompete: parlare ai più giovani, collaborare alla ri-costruzione di un dialogo fra le generazioni, la cuiperdita costituisce una delle lacerazioni più peri-colose e intimamente regressive del tessuto demo-cratico. Ma parlare ai giovani di che? Forse della nostra re-cente storia breve, delle complicate, acrimoniose,inestricabili se non per noi stessi e solo per noistessi pronunciabili vicende di appartenenze per-sonali e correntizie in un quadro di modernariatopolitico che ha passato gli ultimi venti o trent’anni asgranarsi, a stingersi, spesso a far macchia in pun-tigliose sopravvivenze senza più vita? No, i giovani non ci ascolterebbero, da queste que-rimonie nulla hanno da trarre ora: forse domani,

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L’attuale Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano viene insignito della massima onorificenza della Repubblica dall’allora PresidenteCarlo Azeglio Ciampi.

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quando da stanca cronaca recriminatoria esse, se-lezionate criticate ragionate, diventeranno a lorovolta storia. Ma fatta, vivaddio, da altri. Oggi, rifuggendo dalla storia (quella lunga che ab-biamo alle spalle, scomoda e non rimuovibile, dacui ci sottraiamo quanto più essa ci impone contioggettivi e forti), tendiamo a consolarci con la me-moria, con la sua plasmabile soggettività debole.Un diluvio memorialistico: se materia di studio per iposteri, passi (decideranno loro quel che varrà lapena di leggere); ma se memoria magistra vitae,allora no: spesso noiosa, infida sempre. Come lapratica delle interviste: facile discorsività evasiva,un pensiero “di rimessa” spezzettato e stuzzicatodall’esterno, nessuna traccia di visione complessi-va, di quella che si chiamava e resta la fatica delconcetto.Allora la storia, non quella breve delle nostre vite e carriere, bensì quella lunga – poiché di primo esecondo Risorgimento si tratta – della difficile,contraddittoria e insieme lineare storia della for-mazione della nostra Repubblica e della nostraCarta costituzionale, delle sue forze e ragioni pro-motrici, economiche, sociali, cultura-li, politiche. Questa dobbiamoripensare e ripropor-re, ritrovarne l’orien-tamento e il destinodopo le difficoltà,le sconfitte, leperdite stessedi senso accu-mulatesi in que-sti anni: la scomparsadei Partiti del CLN, il quadro internazionale scon-volto, il declino della classe operaia… Ridare un senso a questa storia, ha invocato unintelligente slogan lanciato di recente da PierluigiBersani: ma che non resti uno slogan d’occasione,che non sia lasciato cadere né da noi né dall’ela-borazione culturale collettiva che tutte le forze de-mocratiche dovranno pur affrontare se vorrannodarsi un respiro, se non vorranno soffocare nellememoriette correntizie di strumentale e cortaveduta.Difendere l’Unità conquistata dal primo Risorgi-mento e la Costituzione repubblicana conquistatadal secondo: il farlo impone oggi una cosciente,attiva, propositiva resistenza politica e culturale.Perché essa non si risolva in resistenza pur nobil-mente conservatrice e anzi diventi propulsiva diefficaci riforme progressive da opporre al proces-so restauratore in atto, cioè di una nuova capacitàdi indirizzo culturale e di governo politico, non pos-

siamo aggrapparci ai rami vecchi e spezzati o inte-stardirci a raccattar mucchietti di foglie marce:dobbiamo riandare alle radici vitali delle correntiideali e dei grandi movimenti riformatori che co-minciarono a trasformare in senso democratico loStato classista uscito dal Risorgimento, idealità emovimenti che il fascismo non riuscì a stroncare eche si rinnovarono e fra loro si confrontarono e poicollaborarono nella Resistenza e nella Costituente.E che, ancora, pur in una conflittualità esasperatadalla situazione internazionale e dalla crescitastessa della nostra società, procurarono lo svilup-po del Paese in un quadro di sostanziale tenuta de-mocratica e laica. È a loro e a quelle loro storie divocazione nazionale che dobbiamoimpegnarci a ridare un senso oggi,un nuovo senso storico, nuove for-me politiche, nuove declinazioni cul-turali: d’altronde, se del Risorgimentoe della Resistenza, di minimizzarnee denigrarne l’im-magine

tanto si preoccupa revisionisticamente ladestra, ciò accade perché essa ne avverte eteme il peso storico e la pregnanza politicanella difficoltà medesima di smantellarne lerealizzazioni istituzionali e sociali; badiamo anostra volta di non rinunciare a quel peso e aquella pregnanza, di ribadirne con fiducia leragioni storiche e di ridar loro ragione e accelera-zione attuale. Le idee per un terzo Risorgimento? Nessuna enfasi e nessuna presunzione, anzi laconsapevolezza del disorientamento con cui ci siavvia all’imminente 150°. Certo è però che una prospettiva politica senzaforte battaglia delle idee resta una prospettivapolitica debole, priva di futuro: e di questa battagliaio credo che l’ANPI, per la sua storia e per il suointatto prestigio in un momento di difficoltà e di-strazione dei partiti, possa costituire un prezioso,cruciale luogo di aggregazione e di rilancio.