Tutti Gli Articoli Di Antonio Tabucchi Apparsi Su MicroMega

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Qui ho raccolto tutti gli articoli che Antonio Tabucchi ha pubblicato su Micromega. Li potete trovare a questo indirizzo: http://temi.repubblica.it/micromega-online/tutti-gli-articoli-di-antonio-tabucchi-apparsi-su-micromega/

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Tutti gli articoli di Antonio Tabucchi apparsi su MicroMegaMicroMega ricorda un amico indimenticabile ripubblicando i suoi articoli apparsi sulla rivista:

Catullo e il cardellino (1996) Un fiammifero Minerva (1997) Osservando il Novecento (1999) ll Bananero Assoluto e il Mago dei tappeti volanti (2001) Lettera al Presidente della Repubblica sullItalia dei cittadini e lItalia di merda (2001) LAntifascismo, un valore irrinunciabile (2001) Le delusioni della presidenza Ciampi (2001) A casa, signorini! (2001) Manifesto della parola (2002) Sulla giustizia e dintorni. Dialogo tra Antonio Tabucchi e Francesco Saverio Borrelli (2002) I morti a tavola (2002) Perch ci saremo (2002) Il Caso DAlema/SantEscriv (2002) Ligiene del mondo: Bush il Futurista e la Vecchia Europa (2003) Berlusconi contro la democrazia (2003) Le fogne del mondo (2004) Nelle fauci del Caimano (2006) Il corpo sequestrato (2009)

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2Catullo e il cardellino Che cosa vuol dire impegno dal punto di vista di uno scrittore che fugge limmediatezza, la presa diretta. La lezione di Pasolini e quella di Eco. di Antonio Tabucchi, da MicroMega 2/1996 Locchio del moribondo Engagement una parola che nel XX secolo fa pensare a Sartre. Dico subito che un punto di vista che non mi appartiene totalmente. Non credo che limpegno debba essere un dovere dello scrittore, e se un giorno volessi parlare delle patate del mio giardino mi sentirei libero di farlo. Quel che non ho mai fatto, nei miei libri, stato parlare di me: mi ritengo del tutto incapace di scrivere un journal intime, preferisco identificarmi nel punto di vista altrui e forse questa la mia maniera di impegnarmi. Mettermi nei panni di un bambino, di un vecchio, di un moribondo, di un vedovo come Pereira mi permette di allontanarmi dal mio ombelico, mi permette di osservare il mondo attraverso altri occhi. Ritengo che sia proprio questa diversit lelemento che caratterizza meglio il romanziere: la moltiplicazione dei punti di vista. Il mio impegno consiste nellesplorare le diversit rispetto a me stesso, nellindagare la realt con gli occhi altrui. Ora tocca ai giudici Certo, in diversi miei libri ci sono personaggi che guardano il mondo con unottica di opposizione. Piazza dItalia, per esempio, la lunga storia di un impegno tra virgolette: non limpegno di coloro che hanno fatto le grandi battaglie del nostro secolo, ma limpegno dei minori, degli anarchici, di coloro che hanno perseguito la tradizione mazziniana, poi repubblicana e garibaldina, finora Pietro Gori. Si tratta sostanzialmente di perdenti. Nel Piccolo naviglio, che usc nel 78, la molla che aveva fatto scattare tutto era la pessima amministrazione democristiana che poi, come sappiamo, ha fatto fallimento: in quel momento mi sembrava che il malgoverno italiano fosse da prendere di petto. Oggi sotto inchiesta, dunque diventata materia per i giudici, sarebbe assurdo tornarci per uno scrittore. Ma gi allora a me interessava solo da un punto di vista morale, non certo politico, per questo difenderei ancora quel libro anche se i successivi, in fondo, sono molto diversi. Meglio postumi Neanche Il gioco del rovescio venne ispirato da una visione politica: nel contesto degli anni Ottanta, il rovescio era un modo di vedere la vita adottato da pochissime persone. Il mio amico Vittorio Sereni era forse una di queste e nell81 pubblic quei racconti. Ancora oggi sono convinto che ci fosse sotto una visione non tanto politica ma esistenziale e ontologica: il revers era un modo di leggere la realt che ci circondava. Che poi, a distanza di un decennio, sia stato possibile vedere il rovescio di quegli anni anche dal punto di vista politico, una cosa che non mi riguarda. A me in quel momento interessava soprattutto laspetto esistenziale. Per esempio, mi interessava raccontare gli anni di piombo al rovescio, e lho fatto calandomi nellottica della madre di un terrorista ucciso dalla polizia. Se avessi affrontato le ragioni della morte del figlio sarei finito nel reportage: gli scrittori devono astrarre, devono usare la metafora, dare la quintessenza della vita, fuggire dallosservazione diretta, dal resoconto, dai punti di vista abituali e ovvi. La piena luce preferisco lasciarla alle telecamere, che hanno fari potenti e illuminano direttamente lintervistato. La realt che alimenta la letteratura, viceversa, una realt simbolica, filtrata. Sono daccordo con Giulio Ferroni, la letteratura sempre postuma; gli scrittori non sono poi cos importanti nel mondo presente perch non parlano per i loro contemporanei. Non necessariamente la letteratura deve stare al centro del mondo, anzi spesso si trova nel rovescio o nei margini. Scrissi Donna di Porto Pimper un desiderio di periferie, avevo voglia di uscire dalla centralit di Roma, Vienna, Parigi o Londra per cercare personaggi che pi convenivano con la mia maniera di vedere il mondo: credo di averli trovati o forse sono loro che hanno trovato me. Il Pasolini corsaro possibile che gli scrittori parlino per i posteri, ammesso che i posteri ci vogliano ascoltare. Lincidenza diretta sui contemporanei spesso effimera. Prendiamo il caso di Pasolini. Pasolini stato ascoltato specialmente per i suoi scritti corsari, per gli interventi sul Corriere della Sera. Il resto della sua opera va studiato, analizzato, considerato con attenzione: ma se il Pasolini corsaro aveva unincidenza immediata sulla realt, altre opere come il Vangelo, che parlano per simboli e metafore non immediatamente legate alla realt, risultano in definitiva molto pi impegnate. Certo, richiedono un atteggiamento diverso da parte del lettore, un atteggiamento, appunto, di postumit. Il sentirsi contemporanei allunisono rispetto a ci che viene detto in unopera darte rischia di ridursi a una sorta di falsamento della realt, mentre la postumit richiede un ripensamento. Sostiene Pereira stato letto come un romanzo che parlava della situazione italiana contemporanea, ma io non ho voluto fare altro che parlare del 38, unepoca storica ben definita. Se ci sono corrispondenze tra la fine degli anni Trenta in Portogallo e il periodo attuale, se ci sono possibili somiglianze tra la xenofobia di quel tempo e i nazionalismi europei doggi non tocca a me dirlo, e

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3forse neppure ai lettori contemporanei: lultima parola spetta ai posteri. un compito che lascio a un futuro storico della letteratura, a un Asor Rosa del Duemila. La chiave della critica Spesso la critica un po snob dei giornali di sinistra mi ha attribuito una presunta iperletterariet troppo cosmopolita. Laccusa era che i miei libri non parlavano abbastanza della realt. Il cosmopolitismo era uningiuria utilizzata dagli stalinisti nei processi contro gli intellettuali dissidenti che si occupavano del mondo. Dunque, ben venga il cosmopolitismo: a me piace, dal mio paesello natale, occuparmi del mondo, anche perch il mondo mi concerne. Lo stesso valeva per Leonardo Sciascia, che della Sicilia riuscito a fare una metafora: poteva essere letto benissimo come uno scrittore regionalista, ma riuscito a elevare il suo paese a simbolo universale del male. Il suo impegno consisteva in questo. ovvio che Pirandello aveva una visione pi apertamente esistenziale e cosmopolita, ma sia pure con un altro spirito, Sciascia ha raggiunto gli stessi risultati anche se la critica ha preferito spesso interpretarlo in modo pi semplicistico. A volte capita che la critica giornalistica imponga una lettura distorta di unopera. Nel mio caso? S, capitato anche per Notturno indiano, che stato interpretato in chiave psicoanalitica, di doppio alla Otto Rank: una chiave direi sin troppo occidentale. Ora, io non ho certo pretese di filosofia orientale, ma secondo meNotturno indiano rimane una sciarada che il lettore pu risolvere come vuole. stato come lanciare un quiz alla Mike Bongiorno: niente di pi. Neppure in questo caso cerano da parte mia intenzioni politiche dirette. I palloncini degli dei Impegno? A proposito di un mio racconto dellAngelo nero intitolato Il battere dali di una farfalla a New York pu provocare un tifone a Pechino?, stata fatta una dichiarazione giudiziaria in cui si diceva che alludevo al processo Calabresi prendendo le parti di Adriano Sofri. Ora, come scrittore chiaro che io ho interesse per la realt e per la cronaca. Del resto, anche un autore apparentemente lontanissimo dalla cronaca come Borges, ha scritto uno dei testi pi violenti sulla realt argentina e sui rifugiati nazisti residenti nel suo paese, Emma Zunz. Detto questo, i motivi della nostra ispirazione provengono o dalla cronaca dei giornali, a cui certo non si pu rimanere estranei, o dai racconti di altri, oppure da certi racconti che ci concedono gli dei e che ci cascano in testa come palloncini. Gli esempi di Eco e Kundera Volendo fare qualche nome, uno scrittore che ha saputo essere impegnato Luciano Bianciardi, che ha scritto forse la migliore cronaca letteraria, molto mediata, dei nostri anni Cinquanta. Bisognerebbe rivalutarlo, perch purtroppo stato dimenticato per troppo tempo. Poi ci sono autori che hanno svolto una intensa attivit di impegno editoriale; penso, ovviamente, a Pavese, Vittorini, Calvino, che hanno vissuto da protagonisti una stagione molto importante della vita culturale italiana. Credo che purtroppo lattivit di quegli stessi scrittori sarebbe poco congeniale allindustria culturale doggi: sulle ragioni bisognerebbe interrogare i sociologi della letteratura. Certo, nel chiacchiericcio politico e culturale che invade i giornali la voce di uno scrittore si spegne, non viene pi recepita come accadeva negli anni Sessanta. In questo chiacchiericcio, importante soprattutto che uno scrittore cerchi la sua strada nei libri, ed anche giusto che ogni tanto dica qualcosa: per esempio, una voce civile che mi piace molto quella di Umberto Eco. A Eco dobbiamo uno dei testi pi lucidi sul fascismo e sulle sue radici: quello apparso sulla Repubblica qualche mese fa un testo che dovrebbe essere distribuito in tutte le scuole. Personalmente ho capito molto di pi leggendo quellarticolo che frequentando tante lezioni scolastiche. Daltra parte, se dovessi citare una voce letteraria che ha una notevole forza civile, farei il nome di Milan Kundera: il suo libroLarte del romanzo non tocca solo argomenti letterari ma rivela un sostanziale fondo civile, cos come, a suo modo, lultimo romanzo, La lentezza, che racconta un mondo preso dalla rapidit televisiva e dalla sveltezza. Di fronte a questa esasperata tendenza alla sveltezza, lo scrittore Kundera ci invita, nel miglior modo possibile, a pensare ai fatti nostri. I venditori di almanacchi Tempo fa, in un Dialogo fra uno scrittore e un venditore di almanacchi pubblicato dal Corriere della Sera, mi rifacevo ironicamente a Leopardi per parlare del rapporto dello scrittore con la realt. In sostanza, sostenevo che gli almanacchi sono molto importanti per orientare lideologia delle persone, ma sono molto meno importanti sul piano esistenziale e ontologico. Era un invito a meditare sul significato delle parole impegno e realt; era una presa di posizione contro limmediatezza. Oggi tutto immediato, non appena accade un fatto ne abbiamo notizia in presa diretta. A me, come scrittore, interessa farne una meditazione per cos dire kantiana. Devo aspettare che dei fatti accaduti emerga la memoria; essendo una persona che ha unottima memoria, la memoria mi perseguita spesso creandomi notevoli disagi e fastidi, come accade a un personaggio di Borges condannato a ricordare tutto. Certo, sarebbe utile, a volte, cancellare le cose che sul piano esistenziale ci hanno fatto soffrire; e se sul piano personale si pu anche perdonare, sul piano storico bene ricordare con lucidit e precisione. Anzi, limpegno della letteratura consiste in questo, nel ricordare agli altri, nel portare una sua testimonianza. E se sulle prime pu sembrare una testimonianza futile, pazienza: forse quella futilit avr un valore diverso per i posteri. Un poeta latino, Catullo, si chiedeva se pu essere importante la morte di un cardellino: i suoi contemporanei avrebbero potutoTutti gli articoli di Antonio Tabucchi apparsi su MicroMega

4rispondere che si trattava di una futilit, ma Catullo sapeva bene che il tema non conta niente, conta solo il modo di viverlo attraverso la pagina. Catullo sapeva che per la scrittura non esiste contemporaneit e si sottoposto al giudizio dei posteri. Io non ho cardellini, ma se ne avessi uno e potessi scrivere una pagina su di lui forse quella pagina esprimerebbe molte delle mie angosce, dei miei desideri e delle mie proiezioni. Anche un futile cardellino pu diventare metafora di una vita intera, e se un poeta riesce a realizzare questa metafora, egli ha svolto il suo compito.

Un fiammifero Minerva Considerazioni a caldo sulla figura dellintellettuale indirizzate ad Adriano Sofri. di Antonio Tabucchi, da MicroMega 2/1997 Vecchiano, 25 aprile 1997 Caro Adriano Sofri, il motivo di questa mia lettera aperta costituito dalla lettura di un articolo di Umberto Eco nella sua rubrica settimanale La Bustina di Minerva (LEspresso, 24/4/1997), che si intitola: Il primo dovere degli intellettuali: stare zitti quando non servono a nulla. La tesi avanzata da Eco, che tutti noi consideriamo ovviamente un intellettuale dotato di ottima cultura, esposta con i canoni della geometria, e nella sua astratta impostazione non si riferisce a nessuna situazione specifica (oltre ai sassi dai cavalcavia) del momento storico che tutti noi stiamo vivendo, ma si avvale di esempi metaforici che tuttavia potrebbero plausibilmente essergli applicati. Su tale articolo ho riflettuto e sto riflettendo, e mi piacerebbe sentire la tua opinione su questo tema perch ti considero un intellettuale dotato di grande lucidit di analisi, ma soprattutto perch apprezzo la tua libert intellettuale (la parola libert, diretta a te suona purtroppo beffarda) che spregiudicata quanto necessario ma mai arrogante e assiomatica; e il tuo giudizio che diffida del conformismo in un paese come il nostro dove il conformismo un fatto antico, lo trovo apportatore di novit. E, finalmente, perch ti considero un intellettuale creativo, da una parte in virt della dialettica del tuo pensiero, che come ogni dialettica creativa, in quanto produce un terzo elemento nuovo; e, per unaltra parte, a causa della situazione che stai vivendo, che (malgrado te, e ti prego di scusarmi e di non considerarmi cinico) portatrice di una novit culturale, magari allarmante, che io ho deciso di cogliere subito. Ed per questo che mi dirigo a te e che ti propongo un dialogo sui mezzi a stampa dei quali ciascuno di noi dispone. Inoltre mi interessa il tuo punto di vista. Dico punto di vista, forse con il vizio del mio punto di vista: cio il punto di vista di chi, avendo ormai scritto molti romanzi, ha praticato con i suoi personaggi i punti di vista pi disparati, giungendo alla convinzione che il punto di vista, se in narrativa ha unimportanza rilevante, nella vita un fatto fondamentale. E gi lantico Poeta spagnolo diceva che una cosa piensa el bayo y otra quien lo ensilla e cio, che una cosa pensa il cavallo e unaltra chi gli sta in sella. Non sono mai stato molto dotato nel disegno geometrico. Per questo ai tempi del liceo ammiravo il mio compagno di banco che senza problemi riusciva rapidamente a trasformare un solido, perfino un dodecaedro, in una figura piana distesa sul piano del quaderno e leggibile comodamente da un unico punto di vista: da colui che lo guardava di fronte. Io mi rendevo conto che quella figura sul quaderno era la conquista della purezza, della quintessenza, lolimpica serenit acquisita dal dodecaedro che perdeva linquieta voluminosit con cui ingombrava lo spazio. Eppure, per quanti sforzi facessi in direzione dellidea platonica (chiamiamola cos) del dodecaedro, la mia tendenza era di farne il giro per guardarne le dodici facce, osservando la sua, senzaltro pi volgare, materialit. Quella era, se cos posso esprimermi, la mia ingenua illusione di capire il dodecaedro: cambiare punto di vista per guardare le sue facce. Questa mia naturale inclinazione fu in seguito confortata da molte letture di libri scritti da gente che sostanzialmente girava intorno ai dodecaedri (e che sarebbe noioso elencare) e, fra laltro, da un illuminante saggio di Umberto Eco (Lopera aperta: era il 1962, e io ero un fanciullo) dove trovai un saggio assai intrigante dedicato alle poetiche di Joyce. In esso il punto di vista era addirittura interpretato come metafora epistemologica (in questo caso attraverso il linguaggio). O meglio, per dirla con Eco, come se Joyce avesse confusamente avvertito la possibilit di vedere le cose in alcuni modi diversi da quelli tradizionali e avesse applicato al linguaggio delle ottiche differenti. Quello che mi interess di pi, nellabilissima analisi che Eco faceva di Finnegans Wake, era la reversibilit del Tempo. Applicando alla narrativa di Joyce la teoria di uno scienziato americano (Hans Reichenbach, Direction of Time, 1956) Eco dimostrava come Joyce sconvolgesse la narrativa tradizionale (e dunque, bene specificare, la lettura tradizionale della concatenazione logica degli eventi). Osservava Eco che se nel romanzo tradizionale, A (ad esempio la cupidigia di Don Rodrigo) visto come causa di eventi B, C, D (fuga degli sposi, ratto di Lucia, espatrio di Renzo), in un libro comeFinnegans Wake si verifica invece tuttaltra situazione: a seconda di come un termine viene inteso, cambia totalmente la situazione prospettata nelle pagine precedenti, e da come unallusione viene interpretata, lidentit stessa di una apparizione remota viene posta in causa e deformata (U. Eco, ora in Le

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5poetiche di Joyce, Bompiani, 1966 varie ed. successive). La cosa, non si pu negare, apriva prospettive epistemologiche assai attraenti. Leggere la realt al rovescio, scambiando lasse causa-effetto era allettante. E se alla reversibilit del Tempo (e del flusso) joyciano si sostituisce la reversibilit della Storia, la lettura si fa ancora pi interessante e pu riservare sorprese, soprattutto quando le cause sono avvolte nel mistero. Per fare questo non indispensabile possedere la maestria del linguaggio di Joyce, basta averne capito il principio. Anche perch il sistema di Joyce ha qualcosa che richiama un noto problema di logica (passato poi alla sciaradistica) che si pu enunciare in questi termini: un condannato sta in una cella dove ci sono due porte, ciascuna delle quali sorvegliata da un guardiano. Una porta conduce al patibolo, laltra alla salvezza. Un guardiano dice sempre la verit, laltro dice sempre le menzogne. Il condannato non sa quale la porta della salvezza e quella del patibolo, e non sa quale il guardiano veritiero e quello menzognero. Tuttavia ha la possibilit di salvarsi, ma pu fare solo una domanda a uno solo dei guardiani. Quale domanda deve fare? Questa la soluzione. Per salvarsi egli deve chiedere a una delle sentinelle quale sia la porta che secondo il suo collega conduce alla salvezza (o al patibolo) e poi cambiare la porta che gli sar indicata. Infatti se interpella il guardiano veritiero, costui, riferendo in modo veritiero la menzogna del collega, gli indicher la porta sbagliata. Se interpella il guardiano menzognero, costui, riferendo in modo menzognero la verit del collega, gli indicher la porta sbagliata. In conclusione: bisogna sempre cambiare porta. Morale: per arrivare alla verit bisogna sempre stravolgere lopinione di unopinione. ( gi la seconda volta, caro Sofri, che faccio degli esempi che data la tua condizione ti potrebbero sembrare di dubbio gusto. Ti prego di scusarmi.) Naturalmente la reversibilit della logica joyciana sconvolge anche la cosiddetta dietrologia. Nel senso che il dietro gi qui, davanti a noi. Supponiamo dunque che la lettura della tua vicenda giudiziaria, alla luce di un Joyce spiegato da Eco, possa servire da illuminazione per qualcuno, su alcune pagine di storia italiana recente. Questo qualcuno, se riesce a fare un ragionamento di questo genere a suo modo un intellettuale, nel senso che usa lintelletto e una sua metodologia. E costui naturalmente si inquieta, perch la faccenda gli appare assai inquietante. E la tua vicenda, oltre che costituire lesempio di una sentenza che a molti appare ingiusta perch priva di prove verificabili, assume una dimensione molto pi vasta: davvero il perturbante di freudiana memoria, un unheimlich non pi desunto da un racconto di Hoffmann, ma dalla Storia. Insomma diventa (mi dispiace per te che stai l, ma mi spiace anche per noi che stiamo qui) un oscuro segno (semiologicamente inteso) che risemantizza le pagine precedenti. E a questo punto la tua vicenda giudiziaria non sarebbe pi tanto leffetto di una causa, quanto, paradossalmente, la causa postuma di un effetto preventivo. Come dire: non lappetito a giustificare il cibo deglutito, ma il cibo deglutito a giustificare lappetito. Il discorso complicato? Certo che complicato. Ma io e te possiamo tentare di farlo, perch siamo due intellettuali che abbiamo letto Joyce spiegato da un intellettuale come Umberto Eco. Ma quale la figura dellintellettuale che propone oggi Umberto Eco nellarticolo dellEspresso che ti dicevo? Te ne cito un brano: Se li si prende per quel che sanno dire (quando ci riescono) gli intellettuali sono utili alla societ, ma solo nei tempi lunghi. Nei tempi brevi possono essere solo professionisti della parola e della ricerca, che possono amministrare una scuola, fare lufficio stampa di un partito o di una azienda, suonare il piffero alla rivoluzione, ma non svolgono la loro specifica funzione. Dire che essi lavorano nei tempi lunghi significa che svolgono la loro funzione prima e dopo, mai durante gli eventi. Un economista o un geografo potevano lanciare un allarme sulla trasformazione dei trasporti via terra nel momento in cui entrato in scena il vapore, e potevano analizzare vantaggi e inconvenienti futuri di questa trasformazione; o compiere cento anni dopo uno studio per dimostrare come quellinvenzione aveva rivoluzionato la nostra vita. Ma nel momento in cui le aziende di diligenze andavano in rovina o le prime locomotive si fermavano per strada, non avevano nulla da proporre, in ogni caso assai meno di un postiglione o di un macchinista, e chi avesse invocato la loro alata parola si sarebbe comportato come chi rimproverasse a Platone di non aver proposto un rimedio per la gastrite. E qui, caro Sofri, colui che da intellettuale (ma io aggiungo anche da poeta e scrittore, parole che Eco non usa mai) sperava di usare la poetica dellilluminazione joyciana come chiave epistemologica (senza parlare dellilluminazione rimbaudiana, andando pi indietro, perch il veggente esplicitato da Rimbaud ha una storia lunga, come dir pi tardi, nel percorso dellintellettualit), costui, dicevo, si sente fortemente scoraggiato. Chi eventualmente avesse intuito che il Finnegans Wake un libro che non finisce perch cominciato in un certo modo, ma si pu dire che cominci perch finisce in quel modo (U. Eco, Le poetiche di Joyce, cit.), si trova di fronte a una sorta di divieto. Quel principio non serve a niente: serve solo a Joyce per scrivere il suo libro. E, certo, non tutti sono Joyce. Ma, come dice Gertrude Stein, i piccoli artisti hanno tutti i dolori e le infelicit dei grandi artisti, solo che non sono grandi artisti. E se questo principio vero, anche vero che, con i loro dolori e infelicit, tutti i piccoli artisti, anche se non possono scrivere il Finnegans Wake, possono almeno sentirlo e adoperarlo come grimaldello per scardinare la porta della realt. Insomma, quei piccoli artisti (o se vogliamo, intellettuali) non che debbano scrivere unopera come il Finnegans, ma possono applicarne la funzione conoscitiva. Cercare cio di percorrere il discorso al rovescio con una logica che non ubbidisce a una sequenza conformista della realt, e che ha uno statuto agnitivo, quel tipo di conoscenza, come dice T. Wilder (che fra laltro EcoTutti gli articoli di Antonio Tabucchi apparsi su MicroMega

6citava proprio nel suo saggio) che data dallintelligenza che riduce la paura (anche perch la paura fa novanta). Insomma siamo al principio di Hermann Broch il quale parla di missione che Eco, fra laltro, nega esplicitamente. Quella missione del poetico che consente allartista di superare la sensatissima ma limitatissima logica di Wittgenstein, che invece sembra additata a modello dallarticolo di Eco, che consente di parlare solo di ci che si conosce. proprio qui che la mia interpretazione dellintellettuale diverge da quella di Eco e francamente preferisco il secondo Wittgenstein quando dice che in certe cose una logica troppo perfetta e liscia pericolosa perch ci si pu scivolare come su una lastra di ghiaccio (dice: Datemi lattrito e il terreno ruvido; cito a memoria). Il compito dellintellettuale (ma, vorrei insistere, quello dellartista) proprio questo, caro Adriano Sofri: rimproverare a Platone di non aver inventato il rimedio per la gastrite. questa la sua funzione (e, specifico, funzione sporadica): ed per questo che in un mio precedente articolo sul Corriere, rispondendo a un Causeur che voleva fare degli intellettuali unIstituzione, avevo parlato di funzione. Altrimenti che ce ne facciamo di Joyce? O di Benjamin? O di Rimbaud? Li buttiamo via? Li teniamo rilegati in cuoio nelle nostre preziose librerie o li ficchiamo in soffitta come oggetti desueti? E che fare di Pasolini, il nostro amato Pasolini, che afferm Io so su tutti i misteri dItalia? Del suo sapere noi sappiamo che di fatto non sapeva niente. Eppure sapeva tutto. Ce lo siamo gi dimenticato? Io non me lo sono dimenticato, e credo neanche tu, caro Sofri. Per forse non superfluo citare quel suo testo intitolato Io so che del 1974: Io so, io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (perch in realt una serie di golpes istituitisi a sistema di protezione del Potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 74. Io so i nomi del vertice che ha manovrato dunque sia i vecchi fascisti sia i nuovi fascisti e insieme gli ignoti [... ecc. ecc.]. Io so, perch sono un intellettuale, uno scrittore che cerca di seguire tutto ci che succede, di conoscere tutto ci che scrive, di immaginare tutto ci che non si sa o che si tace, che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero e coerente quadro politico, che ristabilisce la logica l dove sembravano regnare larbitrariet, la follia e il mistero. Del resto, che Pasolini, gi negli anni Sessanta, intendesse la figura dellintellettuale in modo opposto da quella che cercava di diffondere la neoavanguardia, palesato da un suo testo intitolato Reportage sul Dio, che lintellighenzia italiana sembra aver rimosso dal suo panorama. Ma io lho conservato. del 1966, anno delle Poetiche di Joyce di Eco, e apparve in un volumetto delleditrice Sadea (Quindicinale di narrativa n. 7, lire 300) che si vendeva nei chioschi dei giornali, dove trovavi in un mucchio selvaggio (titolo di una bella rivista giovanile, fra laltro, di tipo intellettuale-creativo) nomi come Hamsun, Traven, Caldwell. In esso Pasolini dettava allaspirante giornalista di un settimanale liberal di allora, una sua sociologia del football, pretesto per una sociologia della sua Italia, eseguita con gli strumenti dello scrittore (e dellintellettuale), rispetto agli strumenti della sociologia ortodossa. E l, sbarazzandosi delleleganza di Arbasino (del resto su questo punto abbigliamento, linguaggio cerca di avere la consulenza di Arbasino), diceva fra laltro Pasolini: Per quel che riguarda, dunque, il calcio come gioco e come tifo, ne sai abbastanza. Ti resta da fare qualche sondaggio sulle societ calcistiche; sondaggio, dico, scandalistico. Per quelli di carattere sociologico, ci penser io, a meno che tu non ti voglia rassicurare con la consulenza, per definizione rassicurante, di Umberto Eco. Pasolini mor giovane come colui che al cielo caro, destino antico di certi poeti, e non so se ebbe occasione di continuare quel suo discorso sociologico. Ma quella pagina resta, e se qualche giornale la volesse ripubblicare ora ha lindicazione bibliografica. Questo sapere di Pasolini non appartiene dunque alla logica di Wittgenstein, ma a una conoscenza congetturale e creativa, a quel qualcosa che non conoscenza intellettuale e che non si pu tradurre in essa eppure la precede e la sostiene e senza la quale rimarrebbe fluttuante, per quanto grande sia la sua precisione e chiarezza (Maria Zambrano, La Confesin: Gnero literario, 1943, ora in trad. it. da Bruno Mondadori). Mi sembra che Maria Zambrano espliciti perfettamente lidea che la conoscenza intellettuale e la conoscenza artistica possono essere coniugate in una miscela assai feconda, nella quale un ingrediente ha bisogno di un altro ingrediente e dove ogni ingrediente, da solo, pu risultare meno efficace. Se si intende in questo modo la figura dellintellettuale, allora la sua funzione conoscitiva (seppure di conoscenza di disturbo) pu essere di grande vitalit. E in tal senso, la frase un po goliardica di Umberto Eco che egli profer a un congresso parigino (con Jacques Attali) intitolato Gli intellettuali e le crisi del nostro secolo e che Eco riporta sullEspresso, soddisfatto della sua lapidariet (Badate che gli intellettuali, per mestiere, le crisi le creano ma non le risolvono), risulter certamente inadatta al compito degli intellettuali come in questo mio discorso viene intesa questa figura. Non solo perch trovo fuori luogo che gli intellettuali risolvano le crisi (il che porterebbe a un lungo discorso sullequivoco fra pensiero e praxis, che certe avanguardie storiche, soprattutto Futurismo e Surrealismo hanno fatto, dove si richiede che lintellettuale che parla eventualmente delle classi disagiate

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7ospiti per coerenza i barboni in casa sua) ma perch credo che lipotetica funzione dellintellettuale non sia tanto creare delle crisi, ma mettere in crisi. Qualcosa o qualcuno che in crisi non sono, anzi sono molto convinti della loro posizione. Ma, riprendendo il filo forse un po zigzagante (me ne rendo conto) di queste riflessioni buttate gi a caldo, il sapere di Pasolini che procede per collegamenti apparentemente illogici come quello di Joyce o di Broch (e di tanti altri) non certo cosa del Novecento. cosa antica, molto antica. Appartiene in qualche modo a un misterioso frammento di Anassimandro che parla dellordine ingiusto del tempo (L, da dove le cose provengono, esse ritornano, pagando luna allaltra il castigo di essere venute secondo lordine ingiusto del tempo). Appartiene a Parmenide (che anche Eco cita, e che evidentemente non interpreta al mio stesso modo: ma il fatto che sia definito lOscuro ce lo consente) che, al contrario di Pitagora (fautore di una Verit intesa come armonica consonanza con le sfere dellUniverso) individua il momento conoscitivo proprio nella divergenza e nella tensione retrograda (Gli uomini non comprendono in che modo ci che / diverge non meno converge con se stesso, c un rapporto di tensione retrograda / come quello dellarco e della lira, cito da led. italiana dei Frammenti, a cura di M. Marcovich, Firenze, 1978) quellEraclito per il quale il Kosmos, sinonimo di Ordine e Bellezza invece Caos e Bruttezza (Il pi bellordinamento del mondo / non altro che un cumulo di rifiuti ammucchiati a caso). E se qualcuno poteva cos intendere il Kosmos di allora, figuriamoci come pu essere letto il cosmo della fine del Secondo Millennio. ovvio che Eco queste cose le conosce meglio di me, e mi sembra di leggere nel suo articolo che sta suscitando queste mie riflessioni una sua certa sincera insofferenza verso coloro che spacciandosi da intellettuali e castigando il bla-bla in realt fanno il can-can giusto per, come dice Eco, far bella figura, oltre tutto lucrando nelle rubriche del loro giornale. Tuttavia il discorso presenta dei rischi: un problema biforcuto, come diceva il barocco Baltasar Gracin nel suo Criticn, che sulle acutezze e biforcazioni scrisse un ponderoso trattato. Insomma, quando Eco dice che lintellettuale che si occupa dei giovanotti che tirano i sassi dal cavalcavia fa un lavoro inutile perch la salvezza non viene dallintellettuale ma dalle pattuglie della polizia o dai legislatori, fa sostanzialmente un discorso pitagorico, dove larmonia non pi riferita alle sfere delluniverso ma ai legislatori o alle pattuglie di polizia. Certo sacrosanto, sul piano dellordinamento sociale, che intervengano le pattuglie della polizia e che si puniscano i rei. Ma se un marito uccide la moglie sorpresa con lamante (o viceversa, beninteso), il fatto ha una giustificazione comprensibile: la gelosia e lonore offeso (che mi pare nel nostro codice penale siano stati addirittura contemplati come attenuanti). cio un delitto che possiede un senso. Ma il delitto gratuito con cui Gide gi ci inquiet con Lafcadio nel lontano 1914 (come pu essere profetica la letteratura!) sprovvisto di senso. Possiede una sua logica formale ma carente di logica sostanziale. E se vero che una giusta condanna dei giudici necessaria, anche vero che essa non spiega nulla. E se qualcuno, ad esempio, si ricordasse la frase del Cristo secondo la quale la prima pietra la pu scagliare solo colui che senza peccato, mi sembra plausibile che questo qualcuno (il poeta, lartista, ma anche semplicemente un qualcuno che si pone delle domande e che dunque assume la funzione dellintellettuale) si chieda perch questi robusti giovanotti cresciuti con i biscotti alle vitamine e dotati di fuoristrada siano privi di quel senso di peccato (o di colpa) che li potrebbe inibire dallo scagliare le pietre. A me, che sono un non credente, ma che ho letto i Vangeli e che ho riflettuto molto sulla frase di Cristo (una frase peraltro che trovo assai intellettuale), interessa capire perch costoro hanno perso a tal punto il senso del peccato da poter trasformarsi in angeli del male della pi ordinaria quotidianit. Se da scrittore (o se si preferisce da intellettuale) che interroga se stesso ma anche la societ che lo circonda su questa questione, la mia (e laltrui) funzione interrogativa viene ridotta alla funzione di digitare il numero telefonico dei vigili urbani, unattribuzione che svuota ogni capacit di indagine (indagine, sia chiaro, che certo ha una funzione diversa dallindagine degli ispettori di polizia). Insomma: se sono daccordo con Eco che il compito di un intellettuale non suonare il piffero alla rivoluzione, credo non sia neppure quello di fare il 113. Non ti pare, Adriano Sofri? questo il problema vero che forse lintellighenzia del nostro paese non ha mai affrontato seriamente, fatta eccezione per certi casi isolati (e, sia detto, assai odiati). Una cosa che invece mi pare sia stata fatta (e si stia facendo) ad altri livelli in Francia. A mo di esempio mi permetto di citare alcuni brani di un intellettuale della statura di Maurice Blanchot, che affronta la questione in un piccolo libro recentissimo (1996) che riprende un articolo ormai introvabile uscito su Le Dbat nel 1984 e che traeva spunto da un intervento di Lyotard (Le Monde, 8/10/1983) dove, con la disinvoltura di chi interroga la realt soprattutto attraverso i mass media, il noto filosofo-semiologo-sociologo francese aveva decretato la morte dellintellettuale (alcuni decenni or sono il funerale, mi pare, era stato fatto al romanzo, poi risorto: e qualche maligno osserv che i celebranti lo seppellivano perch non erano capaci di scriverlo). Recentemente, Lyotard ha pubblicato delle utili pagine intitolate Tomba dellintellettuale. Ma lartista e lo scrittore, sempre in cerca della loro tomba, non si illudono di potervisi mai riposare. Tomba? Se la trovassero come un tempo i crociati, secondo Hegel, partirono per liberare il Cristo nel sepolcro venerabile, bench sapessero bene, dalla loro stessa fede, che esso era vuoto e che essi non avrebbero potuto, in caso di vittoria, che liberare la santit del vuoto s, se la trovassero non sarebbero al termine ma allinizio della loro fatica, avendo preso coscienza che non vi sarebbe stato riposo che nella infinita prosecuzione delle opere.

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8A questo proposito, mi domando se attraverso la loro sconfitta e la loro disperazione necessarie, artisti e scrittori non portino aiuto e soccorso a coloro che vengono definiti intellettuali e che forse vengono prematuramente seppelliti* (M. Blanchot, Les intellectuels en question. bauche dune rflexion, Paris, 1996, pp. 7-8). In sostanza quello che Blanchot rammenta a Lyotard che latto di conoscenza intellettuale anche un atto creativo. O meglio, Blanchot si domanda (e la domanda velatamente retorica perch postula una risposta affermativa) quanto lartista e lo scrittore, pur con i loro fallimenti e le loro miserie (specificazione importante, perch il fatto artistico prevede uno scacco, ma per Blanchot vale pi per la sua intenzionalit che per i suoi risultati), non apporti un suo fondamentale aiuto al lavoro dellintellettuale. Mi pare di capire in sostanza che, fatte le debite riserve, Blanchot esprima un concetto di fiducia nella funzione dellarte e della letteratura come atti intellettivi, laddove Lyotard, sorprendentemente (o forse pour cause) non prende neppure in considerazione lo scrittore e lartista quali figure di intellettuali, mutilando di fatto una figura della sua migliore parte creativa. Insomma, non ne coglie lapporto dello slancio vitale e di conseguenza lo sotterra, gli scava la fossa (Un artista, uno scrittore, un filosofo non responsabile che di questa unica questione: cos la pittura, la scrittura, il pensiero?, J.-F. Lyotard, art. cit.). Tirando le somme si potrebbe dire che la visione di Blanchot (magari di un vago sapore romantico, seppure controllato da un certo pessimismo della ragione) esprime una posizione vitale; quella di Lyotard, che sostanzialmente di sapore enciclopedico (anche se unEnciclopedia mossa e capricciosa alla Lyotard, dove i lemmi cambiano di posto) ha una visione tassonomica e funzionale della cultura, ed esprime una posizione funebre. Quali considerazioni si possono trarre da queste due diverse posizioni di intendere lintellettuale? Le seguenti. Che per Blanchot la funzione dellintellettuale quella di produrre novit, per Lyotard di tramandare il sapere, di diffonderlo ed eventualmente di gestirlo, mantenendolo tale e quale e riducendolo a norma. Con tutto ci non voglio certo negare limportanza dellEncyclopdie, sulla quale si fonda lepoca illuminista e che fu essenziale strumento di diffusione della cultura filosofica, tecnica e scientifica. Ma, se lillazione non esagerata, ne dedurrei che fra il Diderot direttore dellEncyclopdie e il Diderot autore di Jacques le fataliste (o magari dei pamphlets filosofici che nel 1749 gli costarono il carcere) Blanchot trovi pi novit in questultimo. Se non troppo dire (ma non vero che il troppo stroppia quando si tratta di parlare chiaro) Lyotard nel suo articolo attribuisce alla figura dellintellettuale una funzione manageriale, cio da funzionario della cultura. Il perch semplice: perch non gli mai venuto il sospetto che Platone fosse responsabile di non aver inventato il rimedio per la gastrite. Se avesse avuto questo sospetto avrebbe letto poesie. Per esempio un Addio di Alexandre ONeill, dove un poeta vinto dalla vita e dalla sua situazione storica dedica questi versi a una donna che lo lascia: Non potevi restare su questa sedia / dove passo il giorno burocratico / il giornodopo-giorno della miseria / che sale agli occhi e arriva alle mani / ai sorrisi, allamore mal sillabato / alla stupidit, alla disperazione senza bocca / alla paura sullattenti / allallegria sonnambula, alla virgola maniaca / di un modo funzionario di vivere. Ma il discorso porterebbe troppo lontano, verso una sociologia dellintellettuale come gestore della cultura in una societ come la nostra, e non questa la mia intenzione, caro Adriano Sofri, lasciamo perdere questo argomento. Ma poich a questo punto la definizione di intellettuale diventa cos difficile da cogliere e da specificare, mi pare importante cercare di dipanare la matassa con un ritratto che Blanchot ne fornisce: Che ne degli intellettuali? Chi sono? Chi merita di esserlo? Chi si sente squalificato se gli si dice che lo ? Intellettuale? Non lo n il poeta n lo scrittore, n il filosofo n lo storico, n il pittore n lo scultore, non lo il sapiente, anche se insegna. Sembra che non lo si sia sempre, non pi di quanto non lo si possa essere interamente. una parte di noi stessi che non solamente ci distoglie momentaneamente dal nostro compito, ma ci riporta verso ci che si fa nel mondo per giudicare o apprezzare ci che vi si fa. Detto in altro modo, lintellettuale tanto pi vicino allazione in generale e al potere quanto pi egli non si immischia nellazione e non esercita un potere politico. Ma non se ne disinteressa. Ritraendosi dal politico, non se ne distacca, ma cerca di conservare questo spazio di ritirata e questo sforzo di ritiro per profittare di questa prossimit che lo allontana al fine di installarvisi (installazione precaria), come una sentinella che non l che per sorvegliare, per tenersi sveglio, e attendere con unattenzione attiva in cui si esprime meno la preoccupazione di se stessi che la preoccupazione per gli altri. Lintellettuale non sarebbe allora che un semplice cittadino? Sarebbe gi molto. Un cittadino che non si accontenta di votare secondo i suoi bisogni e le sue idee ma che, avendo votato, si interessa a ci che risulta da questo atto unico e, mantenendo la distanza rispetto allazione necessaria, riflette sul senso di questa azione e volta a volta parla e tace. Lintellettuale non dunque uno specialista dellintelligenza: specialista della non specialit? Lintelligenza, questa inclinazione dello spirito atta a far credere che egli ne sappia di pi di quanto ne sa, non fa lintellettuale. Lintellettuale conosce i suoi limiti, accetta di appartenere al regno dello spirito, ma non credulo, dubita, approva quando necessario, non acclama. Ecco perch egli non luomo dellimpegno, secondo uninfelice definizione che ha spesso e a buon diritto fatto uscire Andr Breton fuori di s. Ma ci non vuol dire che egli non prenda partito; al contrario, avendo deciso secondo il pensiero che gli sembra pi importante, pensiero dei pericoli e

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9pensiero contro i pericoli, egli lostinato, il perseverante, giacch non v coraggio pi forte del coraggio del pensiero (M. Blanchot, cit., pp. 12-14). Continuando nel mio discorso zigzagante, ritorno allarticolo di Eco: Quando la casa brucia, lintellettuale pu solo cercare di comportarsi da persona normale e di buon senso, come tutti, ma se ritiene di avere una missione specifica si illude, e chi lo invoca un isterico che ha dimenticato il numero telefonico dei pompieri. Il vedi alla voce pompieri un suggerimento di utilissima praticit che pu risolvere immediatamente il problema, e che evidentemente riposa sulla rassicurante fiducia nellistituto dei pompieri. Ma che ne di quel dubbio che pu essere utile a sua volta? E se ad esempio i pompieri fossero in sciopero? E se i pompieri fossero in competizione con unistituzione analoga ma concorrente che si chiamasse, poniamo, vigili del fuoco? E se i pompieri (ipotesi scherzosamente fantascientifica) fossero quelli di Fahrenheit 451 di Bradbury-Truffaut (che sono guarda caso due intellettuali?). Comunque, anche dando per efficaci le pompe dei pompieri, resta il problema delle cause dellincendio. Causale corto circuito? Sbadataggine dellinquilino? Cause sconosciute? Certo, ci si affider alla competenza degli inquirenti, che si suppongono efficaci e probi. Ma nelleventualit che il risultato dellinchiesta lasci ragionevoli dubbi, supponendo che allorigine dellincendio ci sia, che so?, un ordigno incendiario, che facciamo: archiviamo? Larticolo di Eco si conclude cos: Cosa deve fare lintellettuale se il sindaco di Milano si rifiuta di accogliere quattro albanesi? tempo perso se gli ricorda alcuni immortali princpi, perch se colui non li ha introiettati alla sua et non cambier idea leggendo un appello; lintellettuale serio a quel punto dovrebbe lavorare per riscrivere i libri scolastici su cui studier il nipote di quel sindaco, ed il massimo (e il meglio) che gli si possa chiedere. Non neghiamo che lintellettuale avveduto ritenga inutile rieducare il sindaco di Milano: magari gli sembrerebbe pi opportuno, nel caso che non gli piaccia loperato di quel sindaco, manifestare la sua opinione per indurre gli elettori a non rieleggerlo pi. Tuttavia mi sembra assai ottimistica la pur nobile e roussoiana idea di un intellettuale che alle sue sudate carte affidi il senso della sua vita affinch i nipotini del sindaco di Milano siano da grandi migliori del nonno. Senza contare che quei ragazzini potrebbero anche dargli del filo da torcere, e il povero abate Parini ne sa qualcosa. Il che non esclude ovviamente che un volenteroso intellettuale con vocazioni didattiche possa intraprendere questopera buona. Allez-y. Per quanto mi riguarda, io, caro Adriano Sofri, oggi, ora, in quanto intellettuale (o meglio in quanto scrittore, il che differente, ma sostanzialmente uguale) voglio vivere nel mio oggi e nel mio ora: nellAttuale. Voglio essere sincronico col mio Tempo, col mio mondo, con la realt che la Natura (o il Caso, o Qualcosaltro) mi ha concesso di vivere in questo preciso momento del Tempo. Lidea di essere diacronico per i nipotini di tutti i sindaci dItalia per quando arriveranno allet della ragione non mi seduce affatto. Insomma: se un qualche platone o chi per lui ha provocato una gastrite tale che perfino il Diritto soffre di stomaco, e se magari anche tu (il che mi parrebbe legittimo) sentissi un po di acidit al piloro, che dirti da intellettuale a intellettuale? Che tu prenda ogni mattina un cucchiaino di Magnesia Bisurata per ventanni e vedrai che ti passa? Adriano Sofri, ci sono dei muri fatti di mattoni che ci separano, ma il Tempo in cui entrambi viviamo lo stesso. Io sono qui, oggi, un giorno daprile del 1997. E questa per me la cosa pi importante di ogni altra, perch so che irripetibile. Ed per questo che ti scrivo questa lettera: perch se il chiavistello dietro il quale fisicamente ti trovi stato chiuso da qualcuno, sono certo, leggendo ci che scrivi, che tu non ti rassegni a far chiudere sotto un chiavistello il tuo intelletto, e da intellettuale lo usi affinch il chiavistello ti venga riaperto. E neppure io, che sono fuori, voglio chiudermi nel mio fuori con un chiavistello. Il mondo pu essere una prigione, e Il mondo una prigione(1948) di Guglielmo Petroni (uno scrittore, un intellettuale) ne una splendida descrizione romanzesca. Ma anche uno dei pi bei libri sulla Resistenza. questa lanovit intellettuale di quel libro. Era una novit allora, pu essere una novit anche oggi. Certo lo spazio di movimento angusto e la stanza un po alloscuro. Non facile far luce, e del resto, come diceva Montale, ci si deve accontentare dellesile fiammella di un fiammifero. Ma gi qualcosa. Limportante tentare di accenderlo. Anche un fiammifero Minerva. Un saluto cordiale,

Osservando il Novecento Linquietudine di Gadda e il desassossiego di Pessoa, misura occidentale del nostro secolo. Limpossibilit, secondo lautore di Sostiene Pereira, di pensare il romanzo del Novecento senza la dissolvenza cinematografica. di Antonio Tabucchi, da MicroMega 1/1999 Questo articolo il frutto di alcune conversazioni con Antonio Tabucchi che hanno avuto luogo durante una sua recente visita in Israele, che lo ha visto tra laltro protagonista di un interessante faccia a faccia con A.B. Yehoshua e di numerosi incontri con la stampa e il pubblico locale, in particolare durante la presentazione della traduzione in ebraico del suo ultimo romanzo. Ho

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10raccolto le sue opinioni su molti dei temi centrali nel dibattito letterario e culturale di questi anni, quasi a tracciare un bilancio provvisorio del secolo che si chiude. (Lucio Izzo) La ricerca di una definizione, di una cifra che caratterizzi il Novecento in Italia o nel mondo non agevole e implica diverse considerazioni. Innanzitutto ritengo che, al di l delle specificit nazionali o di certe aree linguistiche che condizionano inevitabilmente le posizioni dei singoli, si possa individuare un elemento comune a tutta la cultura occidentale del nostro secolo: linquietudine. Certo questinquietudine pervade ormai in certa misura lumanit nel suo complesso, ma un dato di fatto che in molte civilt non occidentali questo stato danimo presente in maniera pi attutita. In tali civilt la percezione del sentimento di inquietudine mediata da tradizioni che hanno un effetto tranquillizzante o semplicemente permettono il suo incanalarsi in forme molto diverse dalle nostre, producendo atteggiamenti non soltanto estetici, ma anche emotivi, differenti. Questi atteggiamenti possono dare, ad un occidentale, limpressione di una pacatezza e di un equilibrio che risultano allapparenza negazione dellinquietudine cos come la conosciamo noi. quello che succede, ad esempio, in Giappone, un paese che per molti versi rappresenta un simbolo dellangoscia del Novecento. Basti pensare a due aspetti fondamentali: il Giappone lunica nazione che abbia conosciuto i catastrofici effetti della bomba atomica, ma anche quella in cui la trasformazione forzata di una societ agricola in societ industriale e poi postindustriale ha agito profondamente, sconvolgendolo, su di un tessuto sociale tanto antico quanto stratificato. Ebbene in Giappone, in virt di una sofisticata cultura estetica, sembra essere stato risolto il problema del rapporto tra forma e contenuto che da millenni appassiona e tormenta lOccidente. L langoscia postatomica sopita, forse negata, ma mai cancellata, e le problematiche del quotidiano sono state in qualche modo incanalate attraverso un complesso sistema di forme in cui la gestualit e il rito, parti integranti dellatto, sono pi importanti del frutto dellazione stessa (una curiosit illuminante: nelle scuole elementari giapponesi esiste una materia di insegnamento denominata Nodi il cui oggetto effettivamente larte di fare nodi). E daltra parte questa modalit estetica dellesistenza si esprime anche in momenti cruciali della vita. Pu sembrare una battuta, eppure vero che molti giapponesi nascono scintoisti, si sposano come cristiani e muoiono buddisti. Per loro differenti forme di culto o celebrazione corrispondono a differenti momenti non solo di spiritualit ma di socialit, ognuno adeguato a momenti diversi della vita dellindividuo. Il risultato di questo atteggiamento pu sembrare quindi una serena distanza dallinquietudine esistenziale. Ma ad uno sguardo pi attento appare chiaro che le angosce di cui parlavo poco fa rimangono. Da quelle pi grandi e rimosse alle piccole ansie dogni giorno, quali ad esempio quelle del padre piccolo-borghese preoccupato di trovare marito alla figlia, come nei film di Ozu, un regista cha amo molto. Tornando allOccidente e ai modi, soprattutto letterari, in cui esso esprime la sua inquietudine bisogna ricordare che linquietudine novecentesca ha certamente le sue radici nellOttocento, radici in gran parte romantiche. E comunque linquietudine in quanto tale non patrimonio del nostro secolo: altre epoche hanno conosciuto una dimensione analoga. Ci che tuttavia identifica linquietudine novecentesca la presenza di alcune riflessioni razionali che si ripercuotono sullatteggiamento emotivo. Queste riflessioni nascono banalmente dallosservazione della realt circostante. La pi importante tra esse la coscienza concreta che lumanit pu scomparire dalla faccia della terra. Il dato che determina questa consapevolezza in maniera netta e brutale appunto lesplosione delle prime bombe atomiche in Giappone nel 1945. Prima di allora si erano per gi avute delle prove generali, degli avvenimenti che in qualche modo preludevano allineluttabile deduzione postatomica. Questi avvenimenti, di cui il pi eclatante stato lOlocausto, erano ben presenti anche agli scrittori della prima parte del secolo. La prima guerra mondiale stata uno di essi. Ma la possibile scomparsa dellumanit oggi un argomento di attualit in nuove forme: leffetto serra, la desertificazione, el Nio sono oggetto di cronaca quotidiana massmediale. Tuttavia da un punto di vista letterario va detto che la Grande Paura, quella della bomba, dellestinzione, ha prodotto sicuramente meno capolavori di quanto non abbiano fatto le piccole angosce del quotidiano, in cui essa, la Grande Paura, finisce per annegare e scomporsi. Il sentimento di inquietudine ravvisabile gi agli albori del secolo. Un sentimento fatto di disagio, insofferenza, malessere, desassossiego, come si dice in portoghese. Pessoa gi nel 1910 lo esprimeva in maniera compiuta nel suo Livro do desassossiego cos come, alla sua maniera, Joseph Conrad. Altri grandi esponenti di questo disagio, di questa et dellansia sono Kafka, William Auden, Gadda, Camus, Borges, Beckett, che rappresentano uninquietudine a tutto tondo, che tocca profondamente tutti gli aspetti dellesistenza. In Italia il tardo Calvino pu essere considerato un epigono di Borges. Ma un epigono formale pi che sostanziale. Il testamento di Italo Calvino, e mi riferisco ai suoi appunti per le Lezioni americane, procede infatti in una direzione ottimista, un ottimismo della volont che va contro la direzione del nostro secolo. Tra gli scrittori italiani Gadda resta dunque indiscutibilmente quello che ha saputo meglio interpretare attraverso la sua opera il senso dellinquietudine.Tutti gli articoli di Antonio Tabucchi apparsi su MicroMega

11Per comprendere i suoi modi espressivi bisogna tener presente le diverse componenti che determinarono le sue scelte artistiche. Sul piano culturale Gadda, cosmopolita e raffinato, era una persona dotata di strumenti di analisi sofisticatissimi. Sul piano ideologico era caratterizzato da un grande senso della dignit e dellonore. La sua visione non era politica ma civile. Era erede della grande cultura illuminista milanese che lo poneva di preferenza su di un piano europeo e fin dalla sua giovent appartenne allItalia illuminata. Per Gadda fu cruciale il trauma della Grande Guerra, la rotta di Caporetto e la successiva prigionia che racconta nel suo Giornale di prigionia. Fu per lui la scoperta dellItalia vera, quella dei fanti di ogni regione e dialetto, e quella degli intrighi di potere. Sicch la sua successiva simpatia verso il reducismo e il fascismo rappresentarono la scelta sentimentale di un impolitico, fatta per senso dellordine. Consider il fascismo una specie di governante. Ma il fascismo presto lo deluse, anzi lo irrit esteticamente:Eros e Priapo il ritratto feroce e impietoso del grottesco fascista. Vi infine un piano privato sul quale linquietudine il frutto della sua omosessualit rimossa, di cui non parla mai, ma a cui fa riferimento attraverso perifrasi. Lenorme sforzo di rimozione lo porta ad una compressione che esplode sul piano letterario. Lo scoppio linguistico, evidente nel Pasticciaccio, rappresenta la deflagrazione del suo ego. Ho accennato alle fratture o frontiere che separano linquietudine novecentesca da quella dei secoli precedenti e in particolare dallinquietudine romantica. Oltre la paura della scomparsa del genere umano ci sono per altri elementi distintivi di questo sentimento. Il pi evidente, quello che rende la nostra ansia diversa da quella dei nostri antenati, il fatto che essa sia stata, nel nostro secolo, sistematizzata, innanzitutto dalla psicoanalisi e da Freud. NellOttocento c solo un annuncio dellinquietudine moderna, il Novecento la esprime chiaramente. Qualcuno ha obiettato che in tal modo limmagine del Novecento viene legata ad una letteratura angosciata, infelice. Ma io penso invece che anche la letteratura dellinquietudine sia una letteratura felice. Voglio dire che possibilissimo essere felici creando una letteratura non felice. Io lo sono e come me moltissimi degli autori che ho citato, i quali nel momento creativo provano un godimento indipendente dalla realt rappresentata, che pu essere anche la propria. Anzi spesso lo . Se infatti esiste unovvia distanza tra lo scrittore come persona e lautore di un testo, che non necessariamente coincidono, credo che vadano ridimensionate le affermazioni del formalismo e dello strutturalismo, tanto di moda un tempo, per dare la giusta rilevanza al contesto in cui lo scrittore agisce e alla sua storia personale, come nel caso di Gadda. Non credo invece a una letteratura che rappresenta una realt felice, a meno che non si tratti di cattiva letteratura consolatoria, genere New Age, che si vende e si consuma insieme ad un sacchetto di riso macrobiotico. Un altro aspetto del rapporto tra un autore e la letteratura inquieta da lui prodotta stato toccato da A.B. Yehoshua, che ha definito Primo Levi uno scrittore non naturale, cio non istintivo, ma in cui il trauma del campo di concentramento diventa levento generante, il big bang da cui faticosamente scaturisce il suo movimento creativo. Si tratta di capire se, e in che modo, lessere scrittori naturali possa influire nella produzione di una letteratura pi o meno inquieta. La distinzione in questione riguarda soprattutto lautobiografismo contrapposto alla capacit di affabulare ritenuta istintiva. In realt anche grandi scrittori che hanno soprattutto parlato di s hanno dimostrato doti creative e di resa letteraria altissima, laddove la capacit di creare storie e personaggi non sempre corrisponde a vere doti narrative. Benjamin Constant e Primo Levi sono due esempi di alta letteratura autobiografica. Non possibile porre i narratori cosiddetti naturali su di un gradino pi alto. La letteratura accoglie tutti purch prevalga poi la qualit nella combinazione degli elementi narrativi ed espressivi. Sul nesso tra autobiografismo e inquietudine, vale quindi lo stesso discorso fatto per Gadda a proposito del contesto: Dante, a differenza di Levi, ha soltanto immaginato ci che descrive, eppure, al di l delle epoche e della natura della loro inquietudine, i due hanno molto in comune. Riguardo alle modalit espressive in cui la spinta affabulatoria si esprime, bisogna ricordare, poi, come la letteratura, oggi molto pi che in passato, si intrecci strettamente con altri linguaggi che possono ugualmente diventare delle forme darte. Uno di essi quello del cinema. Personalmente ho avuto una formazione decisamente cinematografica che ha giocato un ruolo cruciale nella mia scrittura. Per esempio il mio primo romanzo,Piazza dItalia, del 1970, fu pensato e scritto in modo tradizionale, salvo naturalmente una forma linguistica espressionista basata sul dialetto toscano. Mentre ne terminavo la stesura stavo leggendo Lezioni di montaggio di Eisenstein. Pensai allora di smontare il testo e riassemblarlo alla maniera di un film. Ed quello che feci nella sua versione definitiva. Il romanzo del Novecento non pensabile senza la dissolvenza cinematografica, laddove nel romanzo ottocentesco prevalgono (salvo le eccezioni dei grandi precursori come Nerval) delle descrizioni insostenibili per il lettore contemporaneo. La diversit dei linguaggi narrativi corrisponde a una diversa fenomenologia, determinata dalla nascita e dallo sviluppo del cinema. Alla questione dei linguaggi narrativi si lega quella della leggibilit dei testi prenovecenteschi e la retorica della rilettura dei classici a cui sono contrario. La categoria dei classici non oggettiva, ma una specie di contenitore in cui pu entrare di tutto. In realt ognuno sceglie i propri classici secondo un meccanismo di affinit elettive. Cos quando A.B. Yehoshua ha detto che, come molti israeliani, lui stesso ha iniziato a scrivere dopo aver letto Cuore di De Amicis, gli ho risposto di aver cominciatoTutti gli articoli di Antonio Tabucchi apparsi su MicroMega

12invece dopo la lettura di Pinocchio. Questa risposta scherzosa a Yehoshua, che certamente ha una percezione dellopera di De Amicis diversa da quella che si venuta affermando nella storia letteraria e del costume italiana, voleva sottolineare la mia propensione per una letteratura libera da moralismi esterni di matrice pedagogica (come quella di De Amicis) e orientata invece verso la morale taumaturgica della fantasia. Insieme a quello di classico bisogna ridimensionare inoltre il concetto di letteratura universale, che si contrappone ormai a quello di letteratura globale. Anche la letteratura universale unastrazione a posteriori, fatta per definire delle opere che da un punto di vista formale o tematico esprimono dei meccanismi e dei valori percepiti, ora e qui, come metastorici, legati cio ad una supposta condizione umana immutabile. La letteratura mondiale o globale si muove invece su un asse sincronico, ha luogo nel presente, tanto per quanto concerne la sua produzione che la sua fruizione. Non credo per che ci sia gi una letteratura globale nel senso di mondiale. Come ho detto, le differenze tra lOccidente e le altre culture sono ancora profonde. N credo che una letteratura mondiale possa nascere nel prossimo secolo. Altra cosa la comunicazione, che gi esiste su scala planetaria. Ma la comunicazione non produce letteratura. Internet ad esempio, nonostante alcuni si ostinino ad affermare il contrario, non pu nemmeno influenzare il ritmo della letteratura. Io sono daccordo con Eco quando dice che il libro non scomparir, per lo meno sulla terra, in quanto uno di quegli oggetti fondamentali, come le forbici o il martello, la cui estetica e la cui funzionalit pu essere migliorata, ma la cui struttura ormai fissata. Finch dunque esister il libro come supporto fisico alla letteratura, certe strutture del linguaggio letterario, al di l degli arretramenti o dei salti in avanti delle avanguardie, seguiranno unevoluzione propria che prescinde dai meccanismi e dalle strutture della comunicazione.

Il Bananero Assoluto e il Mago dei tappeti volanti di Antonio Tabucchi, da MicroMega 5/2001 Cera una volta una Repubblica delle Banane. E in tale repubblica cera un uomo ricco, straricco, cos ricco che era il pi ricco della Repubblica delle Banane e persino il pi ricco della Confederazione dellUvapassa a cui la Repubblica delle Banane apparteneva. E tale uomo straricco, che non si sapeva come diavolo avesse fatto a diventarlo, possedeva quasi tutti i mezzi di informazione di quella repubblica: televisioni a iosa, giornali a iosa, settimanali a iosa, case editrici a iosa. Che iosa. E siccome quel signore straricco aveva anche un sacco di conti aperti con la giustizia, un consigliere che si era comprato (perch lui si comprava tutto e tutti) gli sugger: fatti eleggere Bananero Assoluto e poi fatti la giustizia a tua misura, di retta. Il signore straricco trov che era unottima idea: fond il partito di Forzabanana e con tutti i mezzi di informazione che possedeva inond la repubblica di propaganda di s e si freg le mani perch era sicuro di essere eletto Bananero Assoluto. I suoi slogan preferiti erano: Una banana pi sicura e Pi banane per tutti. Senonch gli altri paesi membri della Confederazione dellUvapassa ebbero unimpennata, perch videro i mercati della Confederazione in pericolo, inondati da tonnellate di banane. E si misero a strillare: non vale! non vale! quella una repubblica delle banane! una minaccia per la Confederazione, se quello vuole stare con noi deve vendere le sue telebanane, questa la legge comune dellUvapassa. I cittadini della Repubblica delle Banane che si apprestavano a eleggerlo, cominciarono a inquietarsi. Ah, ma allora cos? si chiedevano, noi non viviamo nella Confederazione dellUvapassa, viviamo in una misera repubblica delle banane di cui quello strariccone vuole diventare il Bananero Assoluto! E gi si preparavano a mandarlo al macero, quando Quando arriv il Mago Merlino, come vuole ogni brava favola, sia pure una favola da repubblica delle banane. E il Mago Merlino era molto stimato e aveva grande peso tra la cittadinanza perch apparteneva a una dinastia di maghi che sin dai tempi dei tempi avevano fabbricato nelle loro officine tappeti volanti in quantit per i bananesi di tutti i ceti: dai tappeti di grossa cilindrata ai tappetini utilitari, e non di rado, quando si era trovato in difficolt economiche, la Repubblica gli aveva dato un aiutino. Il Mago, nei suoi laboratori, aveva avuto come aiutante un apprendista stregone che arrivato allet pensionabile si era comprato anche lui qualcosina con i sudati risparmi, tipo un gruppo editoriale con qualche giornale annesso. E il Mago, un bel giorno, proprio quando il signore straricco stava disperando di diventare Bananero Assoluto a causa delle critiche della Confederazione, afferr a volo il microfono di un cronista di passaggio e pronunci queste solenni parole: ma che banane e ananassi, la nostra non affatto una repubblica delle banane, una frutta pi seria perfino delluvapassa, giusto che il signore straricco diventi capo di tutti noi perch un esimio Signor Tuttifrutti, tuttifrutti del suo lavoro. Dopo di che telefon al signore straricco e gli disse: io ti avevo promesso il mio aiutino e te lho dato, ma tu ora devi far vedere che sei serio: questa non mica la repubblica delle banane, se vuoi diventare un vero Bananero mi vendi tutto il tuo gruppo al prezzo di una minibanana e io e il mio stregone ti facciamo il favore di comprartelo, e guarda che ti conviene.

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13E detto fatto, tutto and come doveva andare nella Repubblica delle Banane. E tutti (cio i protagonisti di questa favola) vissero felici e contenti. Lettera aperta al Presidente della Repubblica sullItalia dei cittadini e lItalia di merda di Antonio Tabucchi, da MicroMega 2/2001 Illustrissimo Signor Presidente, il nome proprio che designa un Paese pu essere usato in compagnia di vari aggettivi e significati. Esempi: un aggettivo geografico obiettivo (la Francia un paese esagonale), un significato antropologico esaltativo (lItalia un paese di santi, di navigatori e di poeti), un aggettivo economico rallegrante (gli Stati Uniti sono un paese ricchissimo), un significato economico sconsolato (lAbissinia un paese affamato), in termini militari critici (lex Jugoslavia un paese facinoroso), uno specificativo politico spregiudicato (lAfghanistan un paese di merda) eccetera. Anche lArgentina di Videla era un paese di merda, ora non lo pi: Lei lo sa meglio di me perch lha visitata recentemente. Similmente Nazione un termine di vasto significato. Il Grande Dizionario della Lingua Italiana di Salvatore Battaglia cos lo definisce: Gruppo umano di presunta origine comune ed effettivamente caratterizzato dalla comunanza di lingua, di costumi e di istituzioni sociali ed eventualmente unificato e consacrato in forma politica o pre-politica. Esso qualcosa di propriamente diverso da un vocabolo che esprime un concetto a lui precedente e in qualche misura superiore: la parola Popolo. Quando Lei si dirige con un discorso ufficiale allItalia, Lei parla al Popolo italiano, cos come quando un giudice emette la sentenza di un tribunale lo fa in nome del Popolo italiano, e cio a nome di tutti quei cittadini che sono raccolti nei confini di uno Stato e che sono soggetti alle leggi e alle istituzioni di quello Stato. Non a caso il termine Nazione, con sapore pi ufficiale e politico (e con la sua variante di Patria), stato usato in circostanze esaltanti per quel Paese (lIndipendenza, ladesione allOnu eccetera) o in tristi circostanze, allorch un governo (o un singolo individuo) prendeva decisioni che non scaturivano da una diretta volont del Popolo ma rispondevano a scelte politiche o istituzionali a cui quel Popolo era subordinato. Gli esempi nella nostra Europa sono numerosi: Francisco Franco non si autodefiniva Caudillo per volont del Popolo spagnolo, ma per la Patria e la Grazia di Dio; la raccolta delle fedi nuziali durante il regime fascista era loro per la Patria; Milosevic, fino al momento della caduta del suo regime, ha sempre agito in nome della Nazione Jugoslava. Ora succede che alcuni giorni or sono un attore italiano, Daniele Luttazzi, in un programma televisivo, rivolgendosi a un giornalista che presentava un libro di documenti, in giro da mesi e mai denunciato da chicchessia, abbia pronunciato questa frase: Apprezzo il suo coraggio in questItalia di merda. Tale frase si attirata il rimprovero di alcuni politici, dei presidenti della Camera e del Senato (e, stando ai giornali, anche la Sua riprovazione, Signor Presidente), ma soprattutto ha valso al signor Luttazzi una denuncia per vilipendio alla Nazione. Vorrei sottolineare il fatto che tale denuncia non venuta da un singolo o pi cittadini italiani che si sono sentiti lesi nella loro dignit, ma da una Procura della Repubblica, la quale evidentemente ha creduto di farsi interprete della collettivit del Popolo italiano. E che Luttazzi non sia stato denunciato da singoli cittadini, ma da una Procura logico, perch evidente che con la sua frase egli non si riferiva tanto ai cittadini italiani quanto alle Istituzioni che reggono il nostro Paese. Se durante il regime franchista un cittadino spagnolo avesse detto: Questa Spagna di merda, non si sarebbe riferito, evidentemente, al popolo spagnolo nella sua collettivit, ma al regime che quel popolo doveva sopportare. Analogamente un cittadino jugoslavo che durante il regime di Milosevic avesse detto questa Jugoslavia di merda, non si sarebbe riferito a tutti i suoi connazionali, ma al regime di Milosevic, che teneva in suo potere la Jugoslavia. ( Vorrei far notare per inciso che quando la Nato ha bombardato Belgrado non ha fatto sottili distinzioni fra coloro che imponevano il regime di Milosevic e coloro che lo subivano, coloro che dicevano questa Jugoslavia di merda, cio gli stessi che proprio in questi giorni hanno arrestato il dittatore e ai quali sicuramente qualche bomba pure toccata. Ma questa una questione fuori tema rispetto al motivo per cui Le scrivo questa lettera.) Il motivo per cui Le scrivo, Signor Presidente, unanalisi di questa nostra Nazione, cio delle Istituzioni e dei Governi che hanno retto e reggono il Popolo italiano. E credo che ci sia non solo consentito, ma legittimo per un cittadino di questo Paese. La mia analisi prevederebbe un lungo elenco e cercher dunque di essere sintetico. Essa comincia dallinfanzia della Repubblica, a dimostrazione che lo Stato in cui era stata concepita non era un padre esemplare. A tal punto che oggi, a 55 anni dalla sua nascita, si potrebbe dire che lItalia non una Repubblica fondata sul lavoro, ma una Repubblica fondata sulle stragi. La prima quella di Portella della Ginestra, del 1947, quando la Repubblica muoveva appena i primi passi. Essa fu attuata fisicamente dal bandito Giuliano, che difendeva gli interessi reazionari degli agrari e dei separatisti siciliani (cito dallEnciclopedia Universale

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14Garzanti). Ma Giuliano fu ucciso dal suo cugino e luogotenente Gaspare Pisciotta, che avrebbe potuto fare i nomi dei mandanti. Solo che costui mor avvelenato in carcere e i mandanti rimasero sconosciuti. Si trattava ovviamente di un carcere italiano. Tralascio per brevit alcune preoccupanti anomalie successe nel frattempo, come tentati colpi di Stato sventati (o rivelati) non dalle Istituzioni ma da coraggiosi giornalisti, per venire a una strage che segna linizio di una serie di nefandezze compiute sulla pelle degli italiani e che resta oscura come quelle che lhanno seguita. Mi riferisco alla strage della bomba alla Banca dellAgricoltura di Milano del 12 dicembre 1969. Dopo un tentativo da parte delle forze di polizia e del Ministero dellInterno di trovare dei capri espiatori negli anarchici Valpreda e Pinelli (quel Giuseppe Pinelli trattenuto illegalmente nella Questura di Milano e morto per malore attivo, come recita la sentenza conclusiva del caso), dopo un interminabile iter giudiziario che port il processo ad Avellino, vede tuttora impuniti i veri responsabili, molti dei quali scomparsi o rifugiati allestero. Oggi, alla riapertura del processo, il generale Maletti, pezzo grosso dei Servizi Segreti di questo Stato, rientrato con un salvacondotto dal Sudafrica dove ha riparato, viene a testimoniare, senza per fare i nomi, rivelando che i nostri (vorrei dire i loro) Servizi Segreti, in collaborazione con i Servizi Segreti di un paese estero, erano implicati in quella vicenda assassina. Cosa che gli italiani sapevano gi da tempo, cos come sanno altre cose, a somiglianza di quellIo so pronunciato da Pasolini poco prima di essere assassinato. Un Io so che conosce la provenienza di bombe e di stragi, ma che purtroppo non pu fornire prove. Il seguito una litania che tutti conosciamo e di cui Lei, come primo cittadino, pi al corrente di tutti. La strage di Piazza della Loggia a Brescia. Le bombe sul treno Italicus. La strage alla Stazione di Bologna. La strage di Ustica. E ancora: loscura morte di Enrico Mattei. Il rapimento e lassassinio di Aldo Moro. Gladio. La loggia segreta P2. Il crac del Banco Ambrosiano e lassassinio dellavvocato Ambrosoli. Lavvelenamento di Sindona (anchesso in un carcere italiano). Le stragi di Capaci e di via DAmelio: Falcone e Borsellino. La corruzione privata e pubblica: Tangentopoli. Lei sa, Signor Presidente, che lItalia ospita nel suo seno un piccolo Stato extracomunitario, il Vaticano. Ma pare che sia esso ad ospitarci, visto che si permette di condizionare ad ogni minuto la nostra vita pubblica e politica. Tanto che i rappresentanti dei nostri partiti (da Lei peraltro richiamati al senso dello Stato) vanno a consultarsi pre-elettoralmente con un cardinale. Lei sa che una Bicamerale (per fortuna fallita) ha lavorato per cambiare la nostra Costituzione, e che un uomo politico dei nostri giorni si ripromesso di farlo non appena salir al potere. Le chiedo: non crede che sarebbe pi opportuno rivedere quei Patti Lateranensi stipulati da Mussolini e confermati da un ministro poi condannato per corruzione e morto latitante in un paese estero, lonorevole Craxi? Lo sa che lItalia lunico Paese dellUnione Europea a mantenere con il Vaticano dei Patti che non si addicono a nessuno Stato laico? E se ci si scandalizza o si denuncia il signor Luttazzi per aver pronunciato quella frase, perch non si denuncia un rappresentante delle Istituzioni quando dichiara che anche i ragazzi di Sal avevano i loro ideali? Certo che li avevano: erano ideali di sangue e di morte come i nazisti a cui si ispiravano. Non esiste forse un articolo di legge che si chiama apologia di reato? E perch una qualche Procura della Repubblica non ha denunciato per offesa al Capo dello Stato certi onorevoli che, come si letto sui giornali e ascoltato in televisione, hanno pronunciato nei Suoi confronti frasi oltraggiose? E perch la magistratura italiana non ha spiccato un pronto mandato di cattura per quei tre o quattro marines americani che sono venuti a far stragi sul territorio del nostro Paese, recidendo con una bravata una funivia a Cermis? Perch si lasciato che venissero impunemente riportati nella loro America dove sono stati lasciati andare liberi e contenti? Lei sa, Signor Presidente, che nel nostro Parlamento siedono degli individui sui quali gravano pesantissimi capi di imputazione. Ma costoro non andranno mai sotto processo perch godono di una bellissima trovata: la cosiddetta immunit parlamentare. Perch questa immunit, Le chiedo? Sono forse cittadini pi cittadini degli altri? Lei il Capo della Magistratura, Le pare normale che un Deputato della Repubblica dica in televisione Giudici porci assassini e non venga arrestato seduta stante? Perch in Italia, unico Paese in tutta la Comunit Europea, esiste listituto giuridico del pentito? E perch di tale bizzarro istituto si fa un uso cos discrezionale al punto che un solo pentito, in assenza di prove probanti, pu far condannare tre uomini a 22 anni di reclusione mentre dodici pentiti, nella stessa situazione, non hanno nessun valore di credibilit? Che significa questo? Che ci sono pentiti pi pentiti di altri? Lei sa che lex Procuratore Capo di Palermo, il dottor Giancarlo Caselli, silurato nella sua operativit e creato ammiraglio a Bruxelles affinch non possa pi nuocere, ha recentemente pubblicato un libro nel quale denunzia amaramente la collusione fra potere mafioso e potere politico e tutti gli ostacoli che ha incontrato allorch ha cercato di sciogliere questo intreccio. LItalia che ha fatto questo a un bravo servitore dello Stato, Le pare una bella Italia, Signor Presidente? Ritengo sia una misura di civilt che il giudice di sorveglianza abbia concesso a Francesca Mambro, condannata a vita e autrice di molti delitti, di trascorrere il periodo di maternit agli arresti domiciliari. Ma perch mai Silvia Baraldini, che non ha mai commesso reati di sangue, che gravemente malata di cancro e che gli Stati Uniti hanno dovuto alla fine restituire allItalia come vuole la Convenzione di Strasburgo di cui per anni si sono fatti beffa, non pu avere gli arresti domiciliari? semplice: perch

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15cos vogliono gli Stati Uniti. Lei non prova imbarazzo nel sapere che il Ministro della Giustizia del Paese di cui Lei il Presidente prende ordini dallAmbasciatore degli Stati Uniti? Posso chiederLe se la mia vergogna anche la Sua? Lei ritiene plausibile che non in un Paese sudamericano, ma in una democrazia parlamentare occidentale, un uomo che possiede catene di giornali, case editrici e varie televisioni possa agire per linteresse pubblico e divenire Primo Ministro? Non pare anche a Lei che se cos fosse lItalia sarebbe definitivamente legata e imbavagliata? Non Le pare che un eccesso di potere di questo genere prefiguri una nuova forma di totalitarismo? A Lei sembra normale che un cantante di crociera diventi dal dire al fare uno degli uomini pi ricchi del mondo? Le pare legittimo che gli italiani vogliano sapere come nata la sua fortuna, oppure no? E quali crede diventerebbero le Sue prerogative e le Sue funzioni (e quelle del Suo successore) se tale personaggio diventasse davvero Primo Ministro? Lei sa, perch lavr ascoltato con le sue orecchie, che un Primo Ministro italiano, lonorevole Giuliano Amato, lanno scorso a Bologna, commemorando lanniversario della strage della stazione, ha chiesto scusa a nome dellItalia ai familiari delle vittime. Che cosa vuol dire questo? Lei sa, infine, che il nostro Paese lunico in tutta lEuropa comunitaria a possedere una commissione parlamentare denominata Commissione Stragi. un nome sinistro, che farebbe rabbrividire un francese, un inglese, un olandese, un belga, uno spagnolo o un portoghese. Noi ci abbiamo fatto quasi il callo, perch con le stragi abbiamo dovuto convivere. Ebbene, Signor Presidente, lItalia che Le ho descritto, questo tipo di Italia, non Donna di provincie, ma bordello, secondo linvettiva dantesca, lItalia a cui certamente si riferiva il signor Luttazzi, ed lItalia che noi non vogliamo. Di fronte ad essa le parole del signor Luttazzi sembrano leggere e persino eufemistiche. Perch quellItalia l ha in s qualcosa di turpe, di tenebroso e di assassino. Se le macchie di questItalia saranno lavate, se la verit trionfer, se gli italiani potranno finalmente conoscere i colpevoli delle nefandezze che hanno dovuto subire, nessuno potr offendere questo Paese perch il popolo italiano innocente e pulito un popolo magnifico, lItalia innocente e pulita un Paese straordinario e merita di essere amata come lamiamo. Lei, Signor Presidente, un uomo che ha un passato che Le fa onore, un uomo che ha combattuto per la democrazia e la libert. Io ho fiducia in Lei. E mi auguro che, piuttosto che sentirsi offeso per le parole di un bravo attore (ma prima di tutto di un cittadino) che parla esprimendo il comune sentire che in questi anni stato espresso in centinaia di manifestazioni, di cortei, di assemblee, di riunioni sindacali, di interviste giornalistiche, di libri, di film, di spettacoli teatrali, possa fare quanto in Suo potere affinch i punti interrogativi di questa mia lettera siano sciolti, affinch gli italiani possano far luce sui buchi neri che oscurano la nostra giovane Storia. Con rispetto LAntifascismo, un valore irrinunciabile Lettera aperta al Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. di Antonio Tabucchi, da MicroMega, aprile 2001 Illustrissimo Signor Presidente, domani il 25 aprile, giorno della Liberazione dal fascismo, della vittoria degli alleati sui nazifascisti e dei partigiani sui repubblichini, diventato, proprio per questi motivi, la festa nazionale, cio di tutti gli italiani. Perch sullantifascismo fondata la nostra Repubblica e in esso si riconosce la nostra Patria. Circa tre anni fa mi capitato di assistere alla cerimonia dellingresso delle spoglie mortali dello scrittore Andr Malraux nel Panthon di Francia. La cerimonia era presieduta da Jacques Chirac, presidente della Repubblica, che rappresenta la destra francese, politicamente seguace del partito di quel generale de Gaulle, di cui Malraux era stato ministro, che assieme alle sue truppe, con i partigiani francesi, aveva liberato la Francia dagli invasori nazisti. Ma Chirac non introduceva nel Panthon un ex ministro di de Gaulle (altrimenti a tutti gli ex ministri spetterebbe un onore simile), bens un eroe nazionale: il Malraux che da antifascista aveva combattuto nella guerra civile spagnola contro il franchismo e da partigiano nelle formazioni dellAlsazia contro i nazifascisti. In quella cerimonia lorchestra, al momento dellingresso del feretro nel Panthon, esegu linno partigiano e la Marsigliese. Lantifascismo, in Francia come in Italia, non infatti un optional: un tratto comune delle democrazie europee del dopoguerra. In Francia, non accettare il principio dellantifascismo significa essere esclusi dalla vita politica, secondo una rigidissima conventio ad excludendum (modellata nel Front Rpublicain) voluta proprio dalla destra gollista (destra niente affatto morbida); e Jacques Chirac ha preferito perdere le elezioni pur di tener fermo che non si chiedono i voti del partito di Le Pen. E che si possano fare accordi con Le Pen, seppure tecnici o sottobanco, ipotesi che non viene discussa in Francia neppure come

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16tema accademico. De Gaulle ha imposto lantifascismo come orizzonte comune e invalicabile non solo dellessere democratici ma addirittura dellessere francesi: chi flirta con ogni formula di revisionismo fascistizzante o fascistoide, chi giustifica in qualche modo le ragioni di Vichy considerato un traditore della Patria. Anche in Germania lantifascismo in Costituzione, e reato penale negare o ridimensionare lo sterminio del popolo ebreo (cos come degli zingari, degli omosessuali, degli handicappati, degli oppositori politici a Hitler). In Spagna, anche quei rappresentanti della destra o esponenti che appartennero allala morbida del franchismo mai oserebbero oggi rivendicare tale regime. In Portogallo la festa nazionale (25 aprile anche l) la Festa della Rivoluzione dei Garofani, cio della liberazione dal salazarismo, e lattuale destra portoghese mai si sognerebbe di rifarsi ai princip di quel regime fascistoide. Sarebbe superfluo nominare il Belgio, lOlanda e la Danimarca, le cui democrazie escludono fermamente ogni rigurgito dei fascismi. Lantifascismo, dunque non un optional per nessuno, bens lirrinunciabile orizzonte comune dellattuale cittadinanza democratica europea. Ora succede che nel nostro Paese, la cui Costituzione nasce dalla Resistenza e si fonda sullantifascismo, la destra italiana guardi al nazifascismo con rinnovato affetto, tanto da consentire che i seguaci di quella ideologia che ha portato nella nostra Europa stermini e sciagure vengano legittimati, vezzeggiati, coltivati, permettendo loro una sfacciataggine e unarroganza che lede la nostra stessa Costituzione. Anche il partito dellonorevole Berlusconi, come hanno denunciato con allarme Alessandro Galante Garrone e Paolo Sylos Labini, ha compiuto il passo decisivo di un abbraccio funesto che lo qualifica apertamente come destra antidemocratica e parafascista, e proprio per questo si autoesclude dai valori dellEuropa: lalleanza elettorale con il movimento del nazifascista Pino Rauti, soggetto peraltro ancora indagato per strage dalla magistratura della Repubblica. Lanno scorso, Signor Presidente, Lei andato come avevano fatto i suoi predecessori Sandro Pertini e Oscar Luigi Scalfaro a rendere omaggio a nome dellintera Nazione alle 560 vittime trucidate dai nazisti a SantAnna di Stazzema, in provincia di Lucca, Comune medaglia doro al valor militare. Lei conosce la storia di quelleccidio, ma mi permetta di ricordarlo ai lettori che ne fossero eventualmente ignari. I nazisti, in assetto di guerra e muniti di lanciafiamme, mossero da tre parti. Una formazione part da Valdicastello, una seconda da Pietrasanta e una terza, dopo aver assassinato il parroco del paese, mosse da Mulina di Stazzema. Ecco quello che accadde nelle parole dello scrittore viareggino Manlio Cancogni, quando i nazisti arrivarono in paese: Gli abitanti erano spinti negli anditi, nelle stanze a pianterreno e ivi mitragliati e, prima che tutti fossero spirati, era dato fuoco alla casa; e le mura, i mobili, i cadaveri, i corpi vivi, le bestie nelle stalle, bruciavano in ununica fiamma. Poi cerano quelli che cercavano di fuggire correndo tra i campi, e quelli colpivano a volo con le raffiche di mitragliatrice, abbattendoli quando con un grido dangoscia e di suprema speranza erano gi sul limitare del bosco che li avrebbe salvati. Poi cerano i bambini, i teneri corpi dei bimbi ad eccitare quella libidine pazza di distruzione. Fracassavano loro il capo con il calcio della pistol-machine, e infilato loro nel ventre un bastone, li appiccicavano ai muri delle case. Sette ne presero e li misero nel forno preparato quella mattina per il pane e ivi li lasciarono cuocere a fuoco lento. E non avevano ancora finito. Scesero perci il sentiero della valle ancora smaniosi di colpire, di distruggere, compiendo nuovi delitti fino a sera. Leggo sui giornali lannuncio inaudito di un fatto, che promette di realizzarsi senza che le nostre Istituzioni facciano qualcosa per impedirlo: il 25 aprile a Lucca, a pochi chilometri dal luogo di quelleccidio, i neofascisti di Forza Nuova, con la complicit del Sindaco di Forza Italia (Alleanza di Forze, a quanto pare), signor Pietro Fazzi, celebreranno il gerarca fascista Pavolini in una palazzina comunale. Analogamente la stessa forza neofascista, sempre il 25 aprile, intende omaggiare Mussolini a Piazzale Loreto. Si tratta di manifestazioni di spregio alla Costituzione e alle leggi della Repubblica da parte di un neofascismo che nel nostro Paese ormai avanza a volto scoperto usufruendo di unincolumit sorprendente. un momento molto grave, e i cittadini non possono essere indifferenti alla scelta tra fascismo e antifascismo, n tantomeno equidistanti o neutrali. La nostra democrazia giovane e fragile, necessario dedicarle la massima vigilanza. Illustrissimo Signor Presidente, uno dei motivi della fiducia che ho in Lei e nella sua imparzialit, e che mi spingono perci a scriverLe, proprio il suo passato antifascista. Lei, che ha contribuito a portare economicamente lItalia nellEuropa, sa anche che tale Europa una realt politica concreta e operante. LEuropa non accetter che vengano irrise le conquiste della democrazia in un Paese come lItalia, cos come non lo vogliono tutti i cittadini che sono fedeli alla Costituzione della Repubblica. Con rispetto Antonio Tabucchi

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Le delusioni della presidenza Ciampi di Antonio Tabucchi, da MicroMega 4/2001 Molti si sono scandalizzati in Italia per la legge sulle rogatorie del governo Berlusconi. Si risentita lopposizione, che ha dato battaglia in parlamento, si sono scandalizzati numerosi opinionisti, osservatori politici, parte della stampa, almeno quella pi democratica e indipendente, e unopinione pubblica che si manifestata sui giornali appellandosi al capo dello Stato. Lo posso capire, ma personalmente ritengo che ci sia poco da scandalizzarsi. Non so che cosa ci si aspettava da un personaggio che ha pesanti pendenze giudizarie e un impero economico di cui non si mai conosciuta la provenienza. Che cosa ci si aspettava, infine, da uno stuolo di uomini che si dice siano a lui molto vicini in affari, magari con incarichi parlamentari o istituzionali, che se processati con rogatorie rapide e concrete potrebbero forse cambiare le loro poltrone con un tavolaccio delle patrie galere. Inoltre questa legge poteva essere stata varata in maniera pi conforme a come avrebbe voluto lopposizione nella scorsa legislatura, quando lopposizione di oggi era maggioranza. La maggioranza di allora non riuscita a farla passare, lamentandosi che lopposizione glielo ha impedito. Se una maggioranza si lascia superare dallopposizione quando maggioranza, e se non riesce a opporsi alla maggioranza quando opposizione, cosa viene a piangere? Mi pare una domanda logica. Quello che mi pare sorprendente che gli stessi parlamentari che hanno tanto gridat