TUTTI CONTENUTI SONO REPERIBILI SUL

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Page 2: TUTTI CONTENUTI SONO REPERIBILI SUL

testi di:

Francesca Bocca

Massim

o Cam

panini

Riccardo Fedriga

Francesca Forte

Ersilia Francesca

Mariateresa Fum

agalli Beonio B

rocchieri

Roberto Lim

onta

Giuseppina M

uzzarelli

Ida Zilio Grandi

Gennaro A

prea

Raffaele A

riano

Giovanni C

arosotti

Gianfranco P

asquino

note biografiche • p.154

9

Page 3: TUTTI CONTENUTI SONO REPERIBILI SUL

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erché abbiamo così

bisogno del medioevo?

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VERTÀ E ISLAM

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di Francesco Germ

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iovanni Carosotti

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I Il desiderio, la finitudine e la difficoltà di conoscere se stessi R

affaele Ariano

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Salvatore Veca

scarica l’allegato •

Page 4: TUTTI CONTENUTI SONO REPERIBILI SUL

104 IL CASO MEDIOEVO

Ida Zilio Grandi

PO

VERTÀ

E IS

LAM

I nomi del povero

nel Corano e nella

letteratura islamica

fondativaI term

ini che dicono “po-vero” nel C

orano sono so-stanzialm

ente due: misk

n, da cui deriva l’italiano “m

e-schino”; e faq

r, da cui de-riva l’italiano “fachiro”.S

otto il profilo etimologico,

misk

n rimanda alla quiete

e al riposo. In questo sen-so, il povero è detto m

iskn

perché, non avendo di che m

antenersi, per acquietare il proprio cuore si affida al sostegno degli altri; m

iskn

viene dunque a significare chi è bisognoso degli altri per

sopravvivere. D

’altro canto,

misk

n può

inten-dersi com

e colui che, fidu-ciosam

ente, si acquieta nel sostegno dell’A

ltro per ec-cellenza, cioè D

io; cosic-ché può risultare infine un sinonim

o di “musulm

ano”.L’altro

termine

corani-co per “povero” è faq

r, il cui prim

o senso è “colui che ha le vertebre rotte a causa di una calam

ità so-praggiunta”,

e in

quanto tale necessita degli altri per sopravvivere. A

nche faqr

può avere

un significato

religioso: dice allora la ra-dicale condizione dell’uo-m

o di fronte a Dio, sem

pre e

comunque

bisognoso e fragile, m

entre Dio, per

converso, è “il Ricco” poi-

ché non

ha bisogno

di nulla. A

questo proposito, possiam

o citare la sura co-ranica “del C

reatore”:U

omini, voi avete bisogno

di Dio, m

entre Dio è il R

ic-co, colui che m

erita lode (C

orano 35,15; qui e in se-guito trad. Zilio-G

randi).

Un

altro esem

pio, dalla

sura “di Muham

mad”:

Siete invitati a fare dona-

zioni sul

sentiero di

Dio,

eppure tra voi c’è chi è avaro; m

a costui è avaro solo con se stesso. D

io è il ricco e voi siete i poveri [...] (C

orano 47,38).

Un’osservazione

in chia-

ve comparativa: il term

ine italiano

“povero” deriva,

notoriamente

dal latino

pauper (o pauperus); se-condo

un’etimologia

ac-creditata,

pauper porta

con sé l’idea di pochezza specie

nella produzione

e nel guadagno: si pensi a paucus, “poco”, e all’e-spressione

“pauca pa-

rans”, “colui che procaccia o prepara poco”; secondo un’altra etim

ologia diffusa, pauper deriverebbe da una duplicazione delle radici di paucus e parvus, e sareb-be dunque equivalente a “poco e piccolo”. P

er con-verso, entram

bi i nomi ara-

bi del povero, cioè misk

n

e faqr, accentuano non la

pochezza ma la necessità,

una necessità che presup-pone e anzi reclam

a l’aiuto degli altri. Il che ci rim

anda a un’idea fondam

entalmente diversa

della povertà: nell’universo latino o generalm

ente clas-sico, si tende a osservare la povertà sotto un profilo econom

icistico, visto che il povero è colui che non

produce, che ha un ruo-lo esiguo nella società e conta poco; così, povertà finisce per coincidere con esclusione. N

ell’universo arabo e isla-m

ico, invece,

come

del resto nell’universo biblico, la povertà è inquadrata fin dal principio in un conte-sto assistenziale: il pove-ro è parte integrante della com

unità, costantem

ente

1058 viaBorgog a3 | Oltre il pregiudizio: il caso medioevo

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106 IL CASO MEDIOEVO

presente nella vita degli al-tri, in quanto deve essere sostenuto e protetto dalla sua

stessa povertà;

non vi è esclusione del povero, m

a integrazione.

Donare

ai poveri non è un’opzio-ne m

a un dovere, perché ad essi spetta il frutto della generosità dei credenti. S

ul carattere

coercitivo della

donazione ascoltiam

o la

sura delle Donne:

Dio non am

a chi è super-bo

e vanesio

né coloro

che sono

avari e

invita-no

gli uom

ini all’avarizia

e tengono nascosti i beni che

Egli ha

donato loro

[…]. D

io non ama neppure

quelli che donano dei loro beni per farsi vedere dalla gente senza credere in D

io e nell’ultim

o giorno, chi ha S

atana per compagno ha

un com

pagno pessim

o (C

orano 4,36-38).

Povertà e riservatezza

Proprio

perché la

pover-tà è vista in prim

a istanza com

e uno stato di bisogno che richiede assistenza, il “povero” nel C

orano non è soltanto chi ha bisogno di cibo, m

a anche l’orfano,

il viaggiatore,

lo schiavo,

il debitore,

e l’aspirante

combattente che non ha

mezzi

sufficienti per

pro-curarsi le arm

i e uscire in battaglia con gli altri. Tutti questi “poveri” ovvero “bi-sognosi” sono considerati dei protetti della com

unità. Il C

orano cita spesso delle triadi di “protetti”; si tratta per esem

pio del bisogno-so (m

iskn), del viaggiatore

(ibn al-sabl) e del parente

(dh l-qurb

), oppure del bisognoso

(misk

n), del

viaggiatore (ibn al-sabl) e

dell’orfano.M

a in

molti

altri casi,

i poveri

sono i

poveri nel

senso più comune di indi-

genti, come nella sura del

Raduno:

Il bottino

appartiene agli

emigrati poveri (fuqar

) che sono

stati scacciati

dalle loro case e dai loro beni, che cercano solo il favore che viene da D

io e il suo com

piacimento, e aiutano

Dio

e il

suo m

essagge-ro, ecco i sinceri (C

orano 59,8).

Un tipo particolare di po-

vero, sem

pre secondo

il

Corano,

è quello

di chi

non osa rivelare ad altri la propria

povertà per

non pesare su di loro, e così si dim

ostra il più merite-

vole della carità altrui. Un

lungo passo nella sura del-la Vacca insiste appunto sulla levatura m

orale della riservatezza da parte dei poveri, che non caricano gli altri del proprio stato di indigenza,

ma

anche da

parte di quanti compiono

l’elemosina, che non m

a-nifestano

pubblicamente

la loro carità e confidano solo

nell’onniscienza di-

vina. Ecco un passo im-

portante, dalla sura della Vacca:Ti chiederanno cosa devo-no dare in carità. R

ispondi: «Q

uel che donate del bene che possedete sia per i ge-nitori, i parenti, gli orfani, i poveri, i viandanti, e tutto il bene che farete D

io lo co-noscerà» (C

orano 2,215).

Ancora una citazione dalla

stessa sura:Le

elemosine

che farete

pubblicamente

sono una

cosa buona, ma nascon-

derle e darle ai poveri è

cosa migliore per voi, ser-

viranno a rimettervi parte

delle vostre colpe. Dio è

bene informato di quel che

fate […] e quel che done-

rete di bene sarà a vostro vantaggio,

ma

dovrete donare solo per desiderio del volto di D

io, e quel che di buono avrete donato vi sarà reso senza farvi alcun torto.

Donerete

ai poveri

(fuqar) che sono caduti in

miseria sul sentiero di D

io e non possono percorrere la terra per com

merciare.

L’ignorante li crede ricchi (aghniy

) per la loro riser-vatezza. La loro caratteri-stica, per cui li riconosce-rai, è che non chiedono la carità alla gente inopportu-nam

ente. Ciò che donere-

te di buono, Dio lo sa (C

o-rano 2,271-273).

Sulla povertà tanto più no-

bile quanto più dissimula-

ta, ecco una citazione dal-la Tradizione del P

rofeta:C

’era un convertito di Me-

dina - siamo quindi dopo

l’egira - al quale il Profeta

di Dio aveva affidato un

ospite che aveva. Quando

l’ospite, insiem

e all’uo-

mo, giunse nella casa di

quest’ultimo,

la m

oglie chiese:

- C

hi è

costui? L’uom

o le rispose: - È un ospite dell’Inviato di D

io. La donna esclam

ò: - Te lo giuro su C

olui che rivela il C

orano a Muham

mad, per

questa sera ci resta solo una pagnotta, che basterà a sfam

are o me, o te, o

l’ospite, o il nostro servo. Il m

arito le disse: - Tu dividila in parti, condiscila con del grasso, portala in tavola, e poi di’ al servo che spen-ga la lam

pada. [Al buio], la

moglie e il m

arito si misero

a fare rumore con la boc-

ca e così l’ospite pensò che

stessero m

angiando anche

loro. La

mattina

dopo […], l’Inviato di D

io chiese

in giro:

- D

ov’è l’uom

o che ha accolto il m

io ospite? Lo disse per tre volte. Finalm

ente l’uo-m

o, che fino ad allora era rim

asto in silenzio, disse: - S

ono io. Allora il P

rofe-ta gli riferì così: - L’angelo G

abriele mi ha raccontato

che quando hai chiesto al tuo servo di spegnere la luce, D

io Altissim

o ed Ec-celso, ha riso.

1078 viaBorgog a3 | Oltre il pregiudizio: il caso medioevo

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108 IL CASO MEDIOEVO

Il sostegno ai poveri com

e obbligo individuale: l’elem

osina legaleS

empre secondo il C

ora-no, nutrire il povero è una caratteristica di “quelli del-la destra”, cioè coloro che sono destinati al paradiso. C

osì dichiara

una sura

molto

antica nella

storia della rivelazione, detta “del P

aese”. Vi

compare

una descrizione generale della creatura um

ana, e anche un’im

magine della dicoto-

mia tra opere buone e ope-

re cattive, esemplificata dal

tema dei due altopiani e

del pendio. Com

e vedre-m

o, tra le azioni dei buoni figura la prim

a delle opere della

misericordia

corpo-rale, cioè dar da m

angiare all’affam

ato: non gli abbiam

o dato due occhi e una lingua e due labbra,

non lo

abbiamo

guidato ai due altopiani? P

erò non si avventura sul pendio.

Chissà

il pendio

cos’è? È

affrancare uno

schiavo o

nutrire in

un giorno

di inedia

un pa-

rente orfano o un povero pieno di polvere. È stare

in Dio e nell’ultim

o giorno, negli angeli, nel libro e nei profeti,

di chi

dona dei

propri beni, per quanto li am

i, ai parenti, agli orfani, ai poveri, ai viandanti e ai m

endicanti e per il riscatto dei prigionieri, è quella di chi com

pie la preghiera e paga l’elem

osina (zakt) e

tiene fede al patto dopo averlo stipulato, di chi è paziente nei dolori, nelle avversità

e nei

mom

enti di tribolazione. Ecco quel-li che sono sinceri, ecco quelli che tem

ono Dio (C

o-rano 2,177).

L’obbligo della

zakt

ha lo

scopo di

consolidare la com

unità e mantenere

la coesione sociale, cosa di

pubblico interesse

e, quindi,

responsabilità di

tutti; l’imm

agine è quella di una com

unità coesa, fon-data sugli ideali di com

-passione

condivisione e

giustizia sociale.

Ma

la donazione rafforza innan-zitutto il singolo individuo, sia il beneficato sia il be-nefattore. S

econdo la les-sicologia m

edievale, l’eti-m

ologia di zakt rim

anda

alla purificazione; un altro significato di questa radi-ce è quello di aum

ento e ingrandim

ento com

e ri-

sultato della grazia di Dio.

In altri termini, disfarsi di

parte del proprio denaro per nutrire i poveri e i bi-sognosi è sentito, da un lato, com

e un modo per li-

berare la propria ricchezza dalle im

purità e dalle sco-rie, e dall’altro lato com

e un

modo

per propiziare

l’ulteriore aum

ento della

ricchezza stessa.Le raccolte più accreditate di detti e fatti del P

rofeta

(quel che si definisce Sun-

na) ricordano che, durante una predica, M

uhamm

ad ordinò di offrire per il pa-sto una m

isura di datteri oppure d’orzo a tutte le coppie seguenti: il picco-lo e il grande, il libero e lo schiavo,

il m

aschio e

la fem

mina; e spiegò che il

ricco tra loro avrebbe pu-rificato il proprio denaro, m

entre il povero tra loro avrebbe avuto indietro da D

io più di quel che aveva dato.

Un’idea

particolar-m

ente presente nel Cora-

no è che le ricchezze in-

dividuali devono circolare all’interno della com

unità dei

credenti ed

essere distribuite in un un’ottica di equità ed equivalenza. S

e la buona circolazione della ricchezza è garantita dall’elem

osina legale,

la cattiva circolazione è data invece dal prestito a inte-resse, cioè l’usura (rib

). C

ome afferm

a la sura “dei R

omani”:

Quel che prestate a usura

perché cresca

con l’ac-

crescersi dei

beni altrui

non crescerà affatto pres-so D

io, ma quel che date

tra i credenti, quelli che si raccom

andano a vicenda la

pazienza, che

si rac-

comandano a vicenda la

compassione, ecco quelli

della destra

[…]

(Corano

90,8-18).

Si è già detto sopra che,

nel pensiero

coranico, il

sostegno ai poveri non è un’opzione m

a un obbli-go. Tale obbligo si concre-tizza in m

odo tanto più co-gente nell’istituto giuridico dell’elem

osina legale o zakt, uno dei cinque doveri

capitali del musulm

ano, i cosiddetti

“pilastri dell’I-

slam”.

Secondo

l’istituto giuridico

dell’elemosina

legale, una data percen-tuale delle proprie ricchez-ze

va devoluta

a favore

dei poveri e dei bisogno-si

della com

unità. In

un passo

coranico celeber-

rimo, nella seconda sura,

il pagamento della zak

t è appunto tra le opere che definiscono e individuano il vero m

usulmano:

La vera pietà non è vol-gere il viso verso oriente o verso occidente, la vera pietà è quella di chi crede

1098 viaBorgog a3 | Oltre il pregiudizio: il caso medioevo

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110 IL CASO MEDIOEVO

in elem

osina cercando

il volto di Dio, quello sì vi

sarà raddoppiato (Corano

30,39).

Oltre all’elem

osina legale o zak

t, il Corano riserva

ai poveri anche le libere donazioni

(adaq

t). U

n esem

pio:Il ricavato delle donazioni serve per i poveri e per chi ha bisogno, e per chi è incaricato di raccoglier-le, e per quelli dei quali abbiam

o am

mansito

il cuore, e serve per riscat-tare lo schiavo e il debito-re insolvente, e per la lotta sul sentiero di D

io e per il viandante. Q

uesto è un obbligo im

posto da Dio,

e Dio è sapiente e saggio

(Corano 9,60).

Così la sura della C

onver-sione. Il C

orano guarda ai poveri ovvero ai bisognosi anche per la destinazio-ne delle quote ereditarie. C

ome è detto nella sura

delle D

onne, “qualora

i parenti, gli orfani e i poveri siano presenti alla sparti-zione dell’eredità, ne da-rete loro una parte e direte

loro parole gentili” (Corano

4,8).

Ritorno e restituzione,

compensazione ed

espiazioneLa ricchezza che D

io ha garantito ad alcuni e non ad altri è intesa com

e un favore della divinità, e in-siem

e come un sovrappiù

ovvero un’aggiunta;

ag-giunta che, in quanto tale, chiede d’essere appiana-ta. In questo m

odo, la di-stribuzione della ricchezza equivale a una restituzione, poiché è dare indietro agli altri quel che a loro spetta di diritto; per dirla con la sura “delle S

cale”, i musul-

mani sono coloro che

sanno che nelle loro ric-chezze c’è una parte dovu-ta (ovvero “un diritto noto”, aqq

ma’l

m),

al m

endi-cante e al m

isero (Corano

70,24-5; cf. 51,19).

In effetti, una caratteristi-ca di quella che potrem

-m

o chiam

are “econom

ia islam

ica della povertà”, ha a che fare con il concetto di ritorno. Vale a dire che la

distribuzione della

ric-

chezza è sentita come una

restituzione della ricchezza stessa, e quindi com

e una ridistribuzione. S

ia o non sia già radicata nel pas-sato preislam

ico, è certo che quest’idea di un do-vuto ritorno della ricchezza com

pare anche nella lette-ratura fondativa dell’Islam

. S

econdo alcuni

racconti, M

uhamm

ad istruì gli esat-tori

della zak

t affinché

“prendessero le ricchezze degli abbienti e le restitu-issero ai poveri”; e afferm

ò che “D

io ha posto l’obbli-go

della donazione

[…],

che fosse preso ai ricchi tra loro e restituito ai pove-ri tra loro”. E non si tratta m

ai di successivo ritorno dal povero al ricco; vale a dire che il dono ricevuto è dono, e il ricco non dovrà chiedere com

pensazione.Tra gli autori m

oderni che hanno

ripreso con

forza quest’idea della redistribu-zione della ricchezza com

e ritorno

dovuto, va

citato alm

eno il riformista egizia-

no Sayyid Q

ub (m

. 1966). Il suo La giustizia sociale nell’Islam

(Cairo 1949, edi-

zione riveduta 1964) è la

prima opera di provenien-

za islamica a im

piegare la locuzione “giustizia socia-le” com

e risposta islamica

al socialismo di ricezione

occidentale. U

n altro termine utile per

comprendere il significato

del sostegno dovuto al po-vero, specialm

ente tramite

il dono di cibo, è quello di kaff

ra o “espiazione”, di cui trattano sia il C

orano (ad esem

pio 5,89 e 95) sia la letteratura successiva di tipo giuridico: kaff

ra non significa

compensazione,

tramite

re-distribuzione, della ricchezza posseduta, m

a com

pensazione delle

proprie colpe, ad esempio

la violazione delle pratiche connesse

al pellegrinag-

gio o

al digiuno

legale, oppure

il tradim

ento di

una prom

essa solenne,

o altre

forme

di peccati

gravi; tutte colpe sanabili attraverso l’aiuto prestato ai poveri e ai bisognosi. E poiché le varie form

e della carità si intendono prim

a di tutto com

e compensa-

zione della

generosità di

Dio, i virtuosi sono coloro

che sostengono gli altri per 1118 viaBorgog a3 | Oltre il pregiudizio: il caso medioevo

Page 8: TUTTI CONTENUTI SONO REPERIBILI SUL

112 IL CASO MEDIOEVO

amore di D

io. Nella sura

detta “dell’Uom

o” si recita:[i virtuosi sono coloro che] nutrono il povero, il prigio-niero e l’orfano [e dicono]: “N

oi vi nutriamo per il volto

di Dio, non vogliam

o da voi

alcuna ricom

pensa e

nemm

eno gratitudine, noi tem

iamo un giorno oscuro

e minaccioso che viene dal

nostro signore”

(Corano

76,8-10).

Povertà m

ateriale e povertà spiritualeC

ome si è visto sopra, i

nomi arabi che traducono

l’italiano “povero”, cioè faq

r e misk

n, possono signi-ficare sia il povero in senso m

ateriale, indigente e bi-sognoso di aiuto da parte del prossim

o, sia il povero com

e uom

o in

generale, sem

pre radicalm

ente bi-

sognoso di aiuto da parte di D

io. In quest’ultima ac-

cezione è più esplicito un altro

termine,

sconosciu-to al C

orano e anche alla Tradizione del P

rofeta, ma

attestato nella

letteratura successiva. È darw

sh, di origine non araba m

a per-siana, da cui l’italiano “der-viscio”.Q

uando i

comm

entato-

ri persiani del Corano, e

specialmente quelli appar-

tenenti al movim

ento noto com

e “sufismo” iniziarono

a com

porre com

mentari

mistici del C

orano nei pri-m

i secoli dell’era islamica,

scelsero proprio

darwsh

per tradurre l’arabo faqr;

e questo loro impiego de-

cretò l’ingresso di darwsh

anche nel lessico dei mi-

stici di lingua araba, a si-gnificare

in particolare

il povero in senso spirituale; in breve tem

po, il termine

darwsh

venne im

piegato per indicare sic et sim

pli-citer il m

istico musulm

ano. Q

uesta povertà del mistico

non corrisponde, o almeno

non corrisponde necessa-riam

ente, alla povertà fisica com

unemente intesa; per

richiamare un’espressione

condivisa tra i mistici stes-

si, è “una morte dei desi-

deri del

mondo

a fronte

di un cuore vivo e vitale”. Vero è che questa povertà spirituale che è rinuncia al m

ondo può condurre alla povertà m

ateriale e perfino all’indigenza;

e a

questo riguardo i m

aestri sufi, e com

e loro anche i giuristi,

non concordano

sull’op-portunità

di includere

questi poveri tra i destinatari dell’elem

osina legale o zakt,

giacché la loro povertà è alla fine dei conti volontaria. N

on c’è accordo neppure sulla m

endicità che questa povertà può causare: alcu-ni m

aestri la consentono, la dichiarano lecita; altri la raccom

andano o la con-siderano

perfino neces-

saria per demolire l’am

or proprio in vista dell’am

ore onnicom

prensivo di

Dio;

altri ancora, che sono i più, la

aborriscono in

quanto sfoggio di povertà, o via che porta il m

istico ad umi-

liare se stesso di fronte ad altri che al S

ignore, non-ché ad appropriarsi inde-bitam

ente delle ricchezze altrui,

così nuocendo

al prossim

o. Il

divieto della

mendicità

è am

piamente

diffuso perché poggia su alcuni

versetti coranici

e su m

olti detti profetici. Tra questi ultim

i, il seguente:U

n uomo [...] andò a m

en-dicare dal P

rofeta, e il Pro-

feta gli domandò: - A

casa tua non c’è nulla? - S

ì - ri-spose l’uom

o, - c’è una

coperta, che un po’ indos-siam

o e un po’ usiamo da

giaciglio, e una coppa, che ci serve per bere. Il P

ro-feta gli disse: - P

ortamele

tutti e due. - L’uomo gliele

portò, il Profeta le prese in

mano e chiese alla gente: -

C’è qualcuno che le vuole

comperare? Io, - rispose

uno, – le prendo per una m

oneta d’argento. Il Pro-

feta chiese ancora: - C’è

qualcuno che

le com

pra per più di una m

oneta? Ri-

peté la domanda due o tre

volte finché un altro disse: - Li com

pro io per due. - Il P

rofeta prese le due mo-

nete d’argento e li diede al convertito di M

edina di-cendo: - C

on una moneta

compra

del cibo

e nutri

la tua famiglia, con l’altra

compra una testa d’ascia

e portala da me. - Q

uando l’uom

o gliela portò il Profe-

ta, con le sue stesse mani,

la legò stretta a un bastone e poi gli disse: - Va’ a far le-gna e vendila, e non torna-re prim

a di quindici giorni. - L’uom

o di Medina se ne

andò a far legna e a ven-derla, e quando tornò ave-va dieci m

onete. Il Profeta

1138 viaBorgog a3 | Oltre il pregiudizio: il caso medioevo

Page 9: TUTTI CONTENUTI SONO REPERIBILI SUL

114 IL CASO MEDIOEVO

gli disse: - Per te, questo

è m

eglio che

presentarti nel G

iorno del Giudizio con

i segni della mendicità sul

viso”.

Per questi e altri presup-

posti scritturali,

i grandi

maestri del sufism

o hanno sem

pre messo in guardia

gli adepti contro la povertà autoinflitta, la quale, a loro

avviso riflette uno stato di m

iseria interiore, e dimo-

stra pochezza di intelletto e fragilità psicologica. C

omunque sia, il darw

sh non nutre alcun desiderio per il m

ondo di quaggiù ed è grato a D

io per la sua po-vertà, perché confida nella provvidenza divina; è indif-ferente alla ricchezza per-ché sa che essa lo rende-

rebbe schiavo, e si consi-dera superiore ai sovrani e ai ricchi visto che, al pari di D

io – il quale, si è già visto, è il R

icco in senso assoluto - non ha bisogno di nulla, eccetto che D

io. I maestri

sufi riportano

spesso, a

questo proposito, il detto di G

esù secondo il quale “è più facile per un cam

-m

ello passare

attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di D

io” (cf. Mt 19,24), e

affermano che il darw

sh entrerà in paradiso più fa-cilm

ente del ricco.

Un m

odello di povertà: Ibr

hm

ibn Adham

Ibrh

m

ibn A

dham

(m.

161 dell’egira / 777 o 778 d.C

.) è

un personaggio

storico. Tra i più importanti

mistici m

usulmani dell’VIII

secolo della

nostra era,

appartenne a

una fam

i-glia agiata del K

horasan; ancora giovane si spostò in S

iria, e di lì continuò a viaggiare per il resto del-la sua vita. C

ontrario alla m

endicità, lavorò per man-

tenersi, ad esempio m

aci-nando il m

ais o raccoglien-

do la frutta. Prese parte ad

alcune spedizioni

militari

contro Bisanzio, e nel cor-

so di una campagna per

mare m

orì. Di questa figura

storica si impadronì presto

la leggenda, che ne fece il re di B

alkh, una provincia dell’attuale A

fghanistan, il quale abdicò al trono, ri-nunciò a ogni ricchezza e si diede alla vita ascetica. C

osì, Ibrh

m ibn A

dham

divenne un

modello

per generazioni di sufi, special-m

ente quelli appartenenti alla confraternita che porta il suo nom

e, la Adham

iyya, m

a non solo questa. È ve-nerato

per la

generosità, le

azioni caritatevoli

nei confronti degli am

ici, e so-prattutto per vari episodi di abnegazione in contrasto con la vita lussuosa della propria giovinezza.M

olti aneddoti

insistono sulle cause e le m

odalità della conversione di Ibr

hm

ibn A

dham alla vita asce-

tica. S

econdo alcuni,

si convertì all’ascetism

o os-servando l’espressione di felicità sul volto di un m

en-dicante

seduto all’om

bra del suo palazzo; secondo

altri, ricevette una visita del profeta al-K

hir - il com

pa-gno di viaggio di M

osè se-condo il C

orano nella sura “della

Caverna”

(Corano

18,65-82) – che gi si mo-

strò nelle sembianze di un

povero, e lo mise in guar-

dia sulla natura transitoria del m

ondo terreno.M

a il racconto più famo-

so situa la conversione di Ibr

hm

ibn Adham

men-

tre era a caccia. Ecco il racconto,

narrato da

un suo fidato com

pagno, nel-la versione proposta dallo storico e tradizionista da-m

asceno M

uam

mad

al-D

hahab (m

. 673/1348):C

hiesi a

Ibrh

m

ibn A

dham: - C

om’è com

in-ciata la tua storia?R

ispose: - Cam

biamo di-

scorso.D

issi: - Su, raccontam

i, te lo chiedo nel nom

e di Dio

il Quale forse un giorno ci

aiuterà.R

ispose: - Mio padre era

un re

molto

abbiente, e

ci fece

amare

la caccia.

Montai in sella, un coniglio

o una volpe si mosse, io

spronai il mio cavallo e a

quel punto udii una voce 1158 viaBorgog a3 | Oltre il pregiudizio: il caso medioevo

Page 10: TUTTI CONTENUTI SONO REPERIBILI SUL

116 IL CASO MEDIOEVO

dietro di me che diceva:

“Non sei stato creato per

questo, e

non è

questo quel che ti è stato ordina-to”. M

i fermai, guardai, non

vidi nessuno e maledissi il

demonio. S

pronai nuova-m

ente il mio cavallo e udii

una voce, più vicina di pri-m

a, che diceva “Ibrh

m!

Non sei stato creato per

questo, e

non è

questo quel che ti è stato ordina-to”.

Maledissi

il dem

onio e a quel punto udii una voce che proveniva dalla m

ia sella, e allora mi dissi:

“Sono stato avvisato, sono

stato avvisato,

l’amm

oni-tore è venuto a m

e e giuro su D

io che non disubbidirò m

ai più a partire da oggi, fintanto

che D

io m

i pro-

teggerà dal

male.

Tornai dalla m

ia famiglia, lasciai lì

il cavallo, poi mi recai dai

sudditi di mio padre, presi

da loro un vestito di iuta e gettai via i m

iei ricchi abiti. Q

uindi me ne andai in Iraq,

dove lavorai per un po’, m

a non trovai vantaggio in quella perm

anenza. Mi dis-

sero di andare in Siria.

A quel punto raccontò la

storia di quando faceva il

guardiano in un campo di

melograni.

Un servo gli aveva detto: -

Tu mangi i nostri frutti e non

sai nem

meno

distingue-re qual è m

aturo e qual è acerbo! Lui rispose: - G

iuro che non ne ho assaggiato nem

meno

uno! Il

servo, canzonandolo,

ribatté: -

Davvero? N

on sarai mica

Ibrh

m ibn A

dham?! E se

ne andò. Il giorno seguen-te – m

i raccontò ancora Ibr

hm

ibn

Adham

le m

ie fattezze vennero de-scritte in m

oschea e qual-cuno m

i riconobbe. Giunse

anche quel servo con della gente, perciò m

i nascosi dietro gli alberi, e m

entre la gente entrava in m

oschea m

i confusi

tra la

folla e

scappai.

Ecco un

altro racconto

sulla frugalità di questo pio personaggio, rappresenta-zione della povertà, nella relazione

del m

edesimo

compagno:

Una notte m

i trovavo con Ibr

hm

ibn Adham

e non avevam

o da

mangiare.

Lui disse: - Ibn Bashsh

r, quanto agio e quanta se-

renità ha donato Iddio ai poveri e ai bisognosi! N

el giorno

del giudizio

non chiederà loro conto dell’e-lem

osina legale, né del pel-legrinaggio, né delle libere donazioni, e nem

meno se

ha rispettato

i legam

i di

sangue! Non preoccuparti,

la provvidenza divina ti rag-giungerà, e, quant’è vero Iddio,

noi siam

o pieni

di ricchezze, i re, il benessere arriverà presto se D

io prov-vede a noi, e se ubbidiam

o a D

io non ci preoccupia-m

o della situazione in cui versiam

o, qualunque essa sia. P

oi andò a pregare e andai a pregare anch’io. A

quel punto arrivò un uom

o con otto pagnotte e m

olti datteri e m

i disse: - Mangia

tu, che sei angustiato. A

quel punto entrò un men-

dicante e lui gli diede tre pagnotte

con datteri;

ne diede tre anche a m

e, e lui ne m

angiò solo due.

Ancora sulla sua frugalità,

e sull’impegno lavorativo:

Si

racconta che

Ibrh

m

ibn Adham

raccolse in una notte tanti frutti quanti al-tri ne raccolgono in dieci

notti, e prese come salario

una sola moneta d’argen-

to.

Tra le sue massim

e, dalla stessa opera, la seguente contro la m

endicità:N

essun re è giusto, lui e il ladro sono uguali; nessun sapiente è tim

orato di Dio,

lui e il lupo sono uguali; e chiunque si um

ilia di fron-te ad altri che a D

io, lui e il cane sono uguali.

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