Tutta la milano possibile aaster

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Tutta la Milano possibile 1° Forum Cittadino delle Politiche Sociali Sintesi dei lavori dei tavoli – Occasioni di incontro 2 dicembre 2011

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Sintesi dei lavori dei tavoli a cura dell'Istituto di Ricerca AASTER

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Tutta la Milano possibile1° Forum Cittadino delle Politiche Sociali

Sintesi dei lavori dei tavoli – Occasioni di incontro

2 dicembre 2011

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INNANZITUTTO LORO. NUOVE POLITICHE PER I BAMBINI E I RAGAZZI SOSTENENDO LE FAMIGLIE

Tavolo Minori – Gisella Bassanini

PremessaVi è stata una forte presenza di partecipanti (più di 200) motivati ad essere presente a questa iniziativa, tanto da rimanere ordinatamente in coda per 1 ora è più per accreditarsi.

Tono del dibattitoGli interventi programmati, salvo pochi casi, non hanno consentito un confronto aperto e informale sui temi in questione poiché i relatori (in particolare i rappresentanti delle istituzioni pubbliche: il dirigente del settore del comune, asl 1) hanno scelto uno stile di comunicazione più orientato a presentare al pubblico presente dati, iniziative, l’allocamento delle risorse che è stato fatto negli anni passati, piuttosto che individuare criticità, linee di riflessione ed intervento come invece è stato fatto dai rappresentati delle associazioni e dalle realtà che a vario titolo si occupano di minori.

Questa iniziativa è stata largamente apprezzata (testimone di ciò l’alto numero dei partecipanti ed anche dei questionari compilati). “Un nuovo avvio” di dialogo, partecipazione, co-progettazione, integrazione tra i diversi soggetti pubblico/privato/terzo settore, connessione, ricomposizione (queste le parole più usate) dopo anni di separazione, frammentazione, assenza di un dialogo sia all’interno dell’amministrazione pubblica tra i diversi servizi e settori che tra i differenti soggetti che operano in questo ambito (questo aspetto è stato più volte ribadito).Sulla necessità di co-progettare con il territorio e il privato sociale si è molto insistito. Centrale è l’assumere l’infanzia e l’adolescenza come priorità. Due livelli di debolezza che devono essere superati:1) Più in generale, la scarsa applicazione della Convenzione internazionale sui diritti dell’Infanzia2) Nelle politiche comunali (apprezzato è stato il fatto di ritornare a parlare di “politiche sociali”) caratterizzate negli anni scorsi da un modo di operare più interessato all’accreditamento, all’erogazione di servizi e interventi settoriali piuttosto che sviluppare una programmazione e attuazione integrata e multipartner.

Al centro della maggior parte degli interventi vi è stato l’interesse a far emergere innanzi tutto le diverse forme di fragilità che coinvolgono i bambini e ragazzi (disabilità, presenza di stranieri regolari e irregolari, povertà, aumento di fenomeni di bullismo, aumento di reati alla persona che vedono i minori come protagonisti, etc. .) e le loro famiglie; solo raramente il ragionamento ha coinvolto la dimensione della “normalità”: ovvero come

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consentire ai bambini e ragazzi l’esercizio di una cittadinanza attiva, una partecipazione diretta alla vita della città e al suo sviluppo futuro, incrociando temi come la mobilità, l’uso dello spazio pubblico, la cultura. Sull’isolamento e affaticamento delle famiglie (sempre nell’ambito della vulnerabilità e fragilità) si è può volte parlato. Ma nessuno degli intervenuti ha affrontato il tema di quale famiglia si parla quando si parla di famiglia, solamente dei cenni al fatto che la famiglia è cambiata .Una parte degli interventi ha evidenziato la necessità di “riprendere i fili spezzati” creando Tavoli di sistema e tematici, un dialogo stabile e di complementarietà; una parte degli interventi (tra questi la Vicesindaca Guida), ha invece insistito più che sulla creazione di nuovi Tavoli (“a Milano ci sono più tavoli che piste ciclabili ha detto uno intervenendo) sulla necessità che il Comune riprenda il ruolo di coordinamento e di regia degli interventi.

Questioni emerse/risorse da attivareCriticità- Aumento delle fragilità- Riduzione delle risorse disponibili- Frammentazione degli inventi e assenza di politiche integrate (poco coordinamento e integrazione) - Assenza e/o diluizione delle risposte (il fattore tempo)

Proposte- Fare di Milano un laboratorio (“Laboratorio Milano”)che superi la logica del welfare residuale per sviluppare un nuovo modello di welfare municipale- Passare da una fase di gestione dell’emergenza ad una programmazione e progettazione delle relazioni sociali che si sviluppano attorno al minore- Creare una rete di servizi a supporto delle famiglie.- Lavorare in un ottica di prevenzione- Rimettere al centro delle politiche la scuola come luogo che intercetta i bisogni ma anche come realtà capace di dare risposte più adeguate alle domande che provengono dai minori e dalle loro famiglie (ad esempio nell’ambito dell’integrazione, del supporto alla genitorialità, etc.) - Potenziare i sensori che stanno sul territorio e intercettano i bisogni (anche avviando una rivisitazione dell’educativa di strada)- Porre attenzione alla fase di monitoraggio e valutazione delle politiche di intervento, aspetto ritenuto da molti sottovalutato nel passato

StrumentiIl nuovo Piano di Zona che dovrà essere redattoIl V Piano sociale per l’infanzia (in corso di redazione)

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INNANZITUTTO CITTADINI . UNA NUOVA PAGINA DELL’ IMMIGRAZIONE

Tavolo immigrazione – Gianmario Folini

Se c’è un indicatore che meglio di altri racconta la grande transizione dello spazio metropolitano milanese è quello relativo all’immigrazione: dal 1980 al 2010 la percentuale di popolazione di origine straniera è passata dal 1,3% al 16,4%. Il mutamento della composizione dei residenti della città racconta anche come negli ultimi anni il fenomeno dell’immigrazione tenda ad assumere il paradigma della sostenibilità, questo a dire che il processo immigratorio si stabilizza sia nei numeri che nelle percentuali, e che l’immigrazione non è più vissuta come qualcosa di problematico legata ai temi dell’emergenza, della paura e del rancore. Ma l’analisi della composizione sulla base dell’appartenenza etnica evidenzia anche i processi interni alle comunità, le specializzazioni rispetto al mercato del lavoro e i processi di mobilità sociale. Vorrà pur dir qualcosa il fatto che la più numerosa comunità straniera è quella dei filippini, seguita da qual degli egiziani, dei cinesi e dei peruviani, e che le uniche comunità che crescono in termini numerici negli ultimi anni sono quelle degli egiziani, dei cinesi e dei peruviani. D’altra parte, le diverse ondate migratorie non sono altro che il racconto delle interdipendenze e delle complessità che sostanziano la globalizzazione. Dai rifugiati “politici” degli anni ’70, si è passati durante tutti gli anni ’80 dentro il paradigma dell’immigrazione indotta “da povertà”, gli anni ’90 sono stati segnati dal flusso indotto dalla caduta del Muro di Berlino, e nel passaggio nel nuovo millennio il profilo dell’immigrazione parla di minori stranieri non accompagnati. Dentro questa cornice, va subito detto che l’operazione “Maiorino” incrocia un quadro di attori che il più delle volte ha operato negli anni precedenti e con le Giunte precedenti in un quadro di sostanziale solitudine con la conseguente evidenza che oggi, a fronte di una manifesta volontà del Comune di aprire una nuova stagione di politiche sociali, l’attenzione degli attori è rivolta:• alle forme dell’interazione con l’ente pubblico (promozione di reti, tavoli, coordinamenti, Piani, Patti, etc.) rispetto ai contenuti che dovrebbero sostanziare questa relazione;• ai 400 rifugiati provenienti dalle crisi del Sud del Mediterraneo e alla positiva esperienza di via Barzaghi che ha significato una collaborazione attiva tra Prefettura, Comune e le Associazioni del terzo settore;• alla cittadinanza declinata come pratica politico - giuridico - burocratica (diritto di voto, difesa dei diritti, revisione della legge in materia di flussi, snellimento delle pratiche, rappresentanza politica..).• al tema del lavoro inteso come lotta al caporalato, all’emersione dei lavoratori “invisibili”,:• all’auto - accreditamento presso l’Assessorato

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Il dibattito, vista anche la numerosità degli attori coinvolti e i tempi concessi a ciascuno, non è quindi stato di grande profilo. Casomai ha evidenziato la ricchezza di attori e di esperienze e alcune delle emergenze aperte sul territorio, in particolare la questione dei Campi Rom e dei rifugiati. Le uniche voci fuori dal coro sono state quelle di:• Caritas “Il bisogno non può essere l’unico codice relazionale”;• del rappresentante della Croce Rossa che ha proposto di pensare a Milano come il capoluogo di una metropoli e coerentemente di pensare alle politiche sociali di area vasta;• alla creativa comunità peruviana che ha proposto di realizare il “padiglione dei nuovi italiani” dove dare forma e rappresentanza all’imprenditoria e alle forme di convivenza interculturale.

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PERSONE CON DISABILITA’: RICOMINCIAMO DAI DIRITTITavolo disabilità – Albino Gusmeroli

Il climaIl clima respirato all’Istituto dei Ciechi è stato sicuramente ricettivo e costruttivo rispetto alla proposta del Comune di pensare e progettare le politiche sociali in tempo di risorse scarse richiedendo un’assunzione di responsabilità collettiva. L’incontro ha riposto al centro le virtù civiche ambrosiane trasposte dentro un’intelligenza sociale fatta di professionalità, competenza ed empatia che non da oggi lavora quotidianamente per l’inclusione sociale e il miglioramento della qualità della vita dei soggetti disabili. Benché poco riconosciuta e visibile, tanto meno nella retorica che ha visto e vede ancora in Milano il simbolo dell’individualismo proprietario, la comunità di cura (quella pubblica e quella del terzo settore) è tutt’altro che assente o disarmata. Per altro alla scarsa visibilità e al senso di abbandono professionale (rappresenta nell’intervento di Donatella Gherardi dell’Ordine degli Assistenti Sociali) si è supplito in questi anni con la creazione e stabilizzazione di reti inter-organizzative e inter-istituzionali che, in definitiva, appaiono decisamente socializzate alle politiche dei tagli che ormai fanno parte del paesaggio quotidiano di opera nel sociale. Nel sociale la creazione di reti di salvaguardia civica è già una realtà, un capitale sociale al quale è ragionevole dare fiducia. A testimonianza di quanto detto basti il fatto che non si sono quasi mai registrati toni rivendicativi, rancorosi, passatisti, ma piuttosto quelli sobriamente consapevoli che pur nelle gravi le sfide che attendono la dimensione dell’inclusione sociale non siamo all’anno zero in termini di pratiche che fanno della scarsità di risorse un’occasione per tentare nuovi approcci alla tema della disabilità (e non solo). Il richiamo costante e continuo alla Convenzione ONU in materia di disabilità, con la sua insistenza sulla dimensione del diritto alla “vita indipendente” diventa cornice ideale entro la quale trovare un terreno comune dal quale ripartire. Ed è questo un po’ questo il ruolo che dovrebbe assumere l’Assessorato del Comune: essere innanzitutto una guida, un soggetto che fornisce un indirizzo entro il quale dispiegare competenze e capacità innovative che possono rappresentare un esempio sia per il Paese che, per taluni aspetti, anche per l’Europa. Tutti i soggetti intervenuti sono consapevoli che si va incontro ad un periodo di ulteriore scarsità di risorse pubbliche: nazionali, regionali e comunali. Sui toni dall’allarme è tuttavia prevalso un certo pragmatismo, anche in relazione alla necessità di razionalizzare una serie di servizi attualmente erogati dal comune che risultano del tutto inutili o, quanto meno, poco coordinati. In effetti il leit motiv del “mettere al centro al persona” non attiene alla sola dimensione antropologica o umanistica, ma deve diventare criterio di razionalizzazione delle risorse. Da questo punto di vista si registra anche la disponibilità dei soggetti del terzo settore a rivendere alcune modalità organizzative che hanno in questi anni “campato” di rendita sulle sovrapposizioni e sugli sprechi.

Gli interventi

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In effetti l’accento sulla soggettività e sulla costruzione di reti hanno attraversato i diversi interventi, a testimonianza di un lessico comune che accomuna sia i rappresentanti delle istituzioni (Luisa Anzaghi in apertura e Federico Bordogna in chiusura) sia quelli provenienti dagli esponenti del terzo settore (su tutti Santagostini della Lehda), laddove l’accento comunitarista è stato meglio espresso da Bazzarri del Don Gnocchi e Borghi di Caritas. L’ispirazione laica tende infatti a sottolineare maggiormente i percorsi di autonomizzazione del disabile attraverso la messa di disposizione di strumenti di abilitazione individuale, i secondi sottolineano maggiormente l’oportunità di “rendere indipendente” il disabile attraverso il legame sociale e comunitario. Nel complesso si tratta però di sfumature, non certo di contrapposizioni. Altri attori (Castellano di Sodalitas, Castelnuovo dell’Ente Nazionale Sordi, Santelli del Comitato par olimpico) hanno invece insistito sugli aspetti che connotano l’attività dell’organizzazione di riferimento e che attendono di essere maggiormente valorizzati se opportunamente connessi all’interno di circuiti sociali di scambio e cooperazione. Rodolfo Masto, commissario dell’Istituto Ciechi, ha invece contribuito ad inquadrare l’iniziativa del comune all’interno della millenaria tradizione del solidarismo ambrosiano, al quale occorre attingere non solo in termini di idealità e valori ma anche in termini di pratiche riattualizzabili. L’unico vero grande scoglio, sottolineato dal rappresentante dell’Associazione dei Mutilati e Invalidi sul lavoro ma anche da Garbo del Coordinamento Atenei Lombardi per la disabilità, è il tema del rapporto tra disabilità e lavoro. In questo ambito la frammentazione del mercato del lavoro, la flessibilità diffusa, i processi di outsourcing aziendale nonché un regime normativo poco vincolante, hanno di fatto indebolito le possibilità di inserimento di soggetti disabili nel mondo del lavoro, che resta centrale per rendere i soggetti realmente indipendenti. Ma la di là dei problemi strutturali si legge, nelle parole degli intervenuti una certa distanza con una comunità operosa che, sino ad ora e tranne in rari casi, non avrebbe (affatto) assunto atteggiamenti di corresponsabilità civica verso le persone fragili.

L’intervento dell’Assessore MajorinoIl breve intervento dell’Assessore è avvenuto a metà circa dell’incontro. Senza dubbio è stato utile per delineare, sin da ora, alcune linee di lavoro sulle quali spendere la condivisione di fondo delle parole di riferimento utilizzate: corresponsabilità, soggettività, partecipazione, competenza.

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ACCOGLIERE , ABITARE , FARE COMUNITA’. LA FUNZIONE SOCIALE DELLA POLITICA DELLA CASA

Tavolo casa – Simone Bertolino

Tono del dibattito: La partecipazione è sembrata larga e curiosa, piuttosto ansiosa di rapportarsi pubblicamente con la nuova giunta. Oltre alle istituzioni (Assessori casa e urbanistica e ALER) gli attori che hanno parlato sono referenti di tre mondi: a) il sindacalismo (SICET, SUNIA, ecc.) storico della casa; b) la cooperazione storica rossa e bianca (ma ormai le differenze culturali non si colgono più) di costruzione/abitazione; c) il magma del Terzo Settore (coop di gestione/ristrutturazione, fondazioni, associazioni, ecc.). NOTA: sono mancati tra i relatori i comitati degli inquilini che invece erano nel pubblico. Tutti gli interventi hanno seguito due registri: anzitutto presentarsi ai nuovi inquilini di Palazzo Marino e al resto del mondo del sociale (chi si è, cosa si fa, il proprio territorio, ecc.) e poi porre le proprie richieste e proposte. Con un tono molto partecipativo, assenza di polemiche e grande attesa di un cambio rispetto al ciclo precedente.

Culture di fondo: prevalgono nel sociale due linee. Una linea che restringe il problema sulla casa pubblica e una linea che lo allarga all’abitare il territorio, fare comunità, ecc. La prima posizione è propria soprattutto dei sindacati inquilini (anche se con vari accenti, più forte nel SICET, meno nel SUNIA) per i quali la priorità è la casa pubblica. L’aumento dell’offerta di casa pubblica e quindi il dovere di rispondere in primo luogo ai settori sociali più poveri prima dell’housing sociale. La seconda posizione è propria dei soggetti del Terzo Settore e in gran parte anche delle Coop storiche che pone l’accento non tanto sulla casa pubblica quanto sull’abitare, sull’housing, sul mix sociale, sulla domanda della “zona grigia” (ceti medi troppo ricchi per la casa popolare e troppo poveri per accedere a prezzi di mercato), studenti, ecc. Con un accento sulla rete con il quartiere, il territorio, ecc. mentre i sindacati pongono l’accento sul bisogno di più case, sul rafforzamento dello stock, il Terzo settore e la cooperazione mettono più l’accento sui soggetti che abitano, il mix sociale, il quartiere (superare lo stigma della casa ALER come “ghetto”). Tuttavia, rimane che queste differenze ad oggi sono più diversità di accenti che vere e proprie differenze. Interessante l’intervento di Sala della Caritas: quello più conseguente nel dire che il tema è una politica complessiva dell’abitare che metta gli occhi anche sul problema delle case sfitte e quindi sui poteri della rendita. Tendenza a mettere l’accento sul problema degli affitti: dopo anni in cui si diceva che l’unico problema è l’acquisto della casa torna di attualità il tema degli affitti da regolare (intervento del Presidente del FORUM del Terzo Settore). Interessante anche il caso della Cooperativa DAR (Consorzio cooperative abitanti ACLI-CISL) con l’intreccio tra comunità della cura e giovani terziari: con il progetto Zona Officine Creative la Coop fornisce spazi per incubatore a giovani creativi e questi devono creare progetti per

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il quartiere. In sintesi, dunque, una comunità della cura che tende a concepire la casa come il perno di una ricostruzione comunitaria e di reti territoriali.

Posizioni degli assessori: Buon intervento della Castellano. Abitare rimane un diritto. Non è il momento di voli pindarici ma va messo a sistema tutto l’immenso patrimonio anche di competenze che ha la macchina pubblica (soprattutto quadri e funzionari interni). La linea è: a) ricomporre tutti gli aspetti della questione casa in una governance unica del tema dell’abitare: costruire una politica dell’abitare e un’Agenzia della Casa. b) Mappare e ricostruire ciò che è oggi il patrimonio della casa pubblica nelle sue varie ramificazioni e rimettere a tema il rapporto con ALER (punto fondamentale perché ad oggi avvolto nelle nebbie di rapporti politici poco chiari) dopo un primo anno di transizione. c) politica della legalità dolce sul tema dell’abusivismo: c’è chi occupa per bisogno e non si può buttarlo in strada. Su questo piano accordi con il mondo del Terzo Settore per consentire di espandere la capacità di accoglienza abitativa nelle situazioni di emergenza. Assessore De Cesaris: rivendica sul nuovo PGT l’autonomia rispetto alle pressioni degli interessi. L’intenzione dell’amministrazione è di costruire un nuovo patto con l’imprenditoria attraverso la programmazione in cui anche i soggetti del mercato si facciano carico di una parte di politica per la casa. Perché il punto è che a Milano il mercato immobiliare è fermo perché l’offerta non corrisponde più alla domanda. Rimane il problema a Milano di una classe imprenditoriale che stando alle polemiche sul PGT sembrerebbe poco propensa a questo passo.

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SALUTE MENTALE: RICOSTRUIRE LE POLITICHE , SCONFIGGERE LE PAURETavolo salute mentale – Domenico Letterio

Quello che ha avuto luogo al tavolo sulla salute mentale è stato un dibattito assai partecipato ed estremamente ricco. Pressoché tutti gli interventi iniziano con un elogio all’Assessorato e al Comune per la scelta di dare vita all’iniziativa del Forum, che si auspica possa diventare un “laboratorio permanente” di lavoro, confronto ed elaborazione. Dopo i saluti di rito da parte di Giuseppe Landonio (Assessorato Politiche della Salute), introduce i temi della giornata Loredana Fontanili (Ufficio Psichiatria Comune di Milano), che mette un accento particolare sul tema dei servizi territoriali, della lotta allo stigma, dell’empowerment dei cittadini con disagio psichico, dei diritti di cittadinanza. Il “territorio” è la categoria centrale all’interno della quale muoversi. I temi sono quindi ripresi da Patrizia Quartieri, Consigliere Comunale. Il primo intervento è quello di Giuseppe Biffi (DSM AO San Carlo). A Milano si contano sei DSM (Dipartimenti di Salute Mentale), che impiegano oltre mille persone e hanno in cura più di 20.000 pazienti. I nodi critici, oggi, riguardano la diminuzione delle risorse e il fatto che i DSM sono “intasati” da anziani che non hanno patologie psichiche, ma demenze senili e disturbi comportamentali. Centrale, nell’intervento, è il tema dell’immigrazione, che pone questioni importanti a coloro che operano nel campo della salute mentale. L’intervento successivo è di Antonella Costantino (Neuropsichiatria infantile Policlinico di Milano). Le questioni di cui si occupa la neuropsichiatria sono trasversali alla dimensione educativa, a quella sociale e a quella sanitaria. Alla luce di questi elementi, l’unica richiesta che abbia senso avanzare al Comune è di farsi portatore di visione e promotore di politiche che rompano gli steccati e moltiplichino le risorse. Interviene quindi Mauro Grimoldi (Presidente Ordine Psicologi Lombardia), rappresentante dei 16.000 psicologi che operano in Lombardia. Quella del Forum è un’opportunità, dal punto di vista degli psicologi, non tanto per fare delle “richieste” al Comune, né per lamentarsi, ma piuttosto per essere propositivi. Nella contemporaneità è sempre più centrale la dimensione di un disagio diffuso, fatto di anoressie e bulimie, attacchi di panico, crisi dell’adolescenza, dipendenze. I portatori di tali forme di disagio sono costantemente alla ricerca di soggetti o istituzioni che possano fornire loro un aiuto. E’ quindi venuto il momento, per gli psicologi, di mettersi a disposizione della società. Se la crisi mette allo scoperto il disagio, c’è sempre più bisogno di realtà che offrano un’elevata professionalità a prezzi accessibili. Il compito dell’Ordine deve quindi essere quello di mettersi “in mezzo” tra il Comune e i portatori di disagio. Sarebbe grave per gli psicologi, in una fase come quella attuale, abdicare alla necessità di confrontarsi con il “sociale”, rimanendo chiusi negli studi. Occorre assumersi delle responsabilità. L’Ordine offre la propria disponibilità a pensare a una riorganizzazione dei servizi, con nuove modalità di accreditamento. Alla crescente domanda d’aiuto occorre garantire una sempre più efficace risposta. L’intervento di Massimo Recalcati (Jonas Onlus) si apre sottolineando che, nella prospettiva della

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psicoanalisi, il mentale è sempre sociale. Non si può parlare dell’uno senza prendere le mosse da un’analisi dell’altro. Molti oggi sono d’accordo sul fatto che il disagio mentale abbia a che fare con la precarietà. Ci sono due dimensioni della precarietà, una economico-sociale e l’altre clinica. Per rispondere alla prima, occorre rendere accessibili le terapie, abbattere i costi delle cure. Per quanto riguarda la dimensione clinica, invece, precarietà significa precarietà della domanda. Il soggetto che bussa alla porta dell’analista o del terapeuta lo fa con disperazione, ma con una debolezza costitutiva della domanda. L’interruzione della cura è una questione con la quale i clinici si confrontano quotidianamente. Non bisogna dare per scontato che ci sia una domanda di trattamento, bisogna al contrario imparare a trattare la domanda. E’ poi sempre più importante fare diagnosi differenziale: non esiste “la” anoressia, non esiste “la” depressione. Non si possono trattare le diverse forme del disagio in modo protocollare, ma occorre scomporre l’etichetta clinica, la direzione della cura e i trattamenti sono sempre diversi. Ultimo tema è quello della prevenzione: una prevenzione tutta giocata sul dare la corretta informazione non funziona. Un paio di proposte concrete: la prima, e che il centralino del Comune deve essere coordinato con una mappa del privato sociale, che garantisca che le tariffe siano davvero abbattute; la seconda, è necessario favorire la nascita e la crescita di istituzioni di professionisti giovani e motivati, che possano mettere al servizio della società le proprie competenze e la propria passione. L’intervento successivo è di Paola Soncini (Caritas Ambrosiana), che insiste sulla dimensione partecipativa attivabile in un quadro come quello dell’iniziativa odierna. Partecipazione e solidarietà sono le due parole d’ordine dell’intervento. Interviene quindi Alessandra Spinelli (Ordine Assistenti Sociali Lombardia), che sottolinea l’importanza della formazione, una dimensione fondamentale per coloro che si occupano di salute mentale. Gli assistenti sociali rendono materialmente evidente la dimensione sociale e di cittadinanza di cui partecipano anche i pazienti, una dimensione che sta accanto e deve necessariamente integrare la dimensione clinica. Si aprono gli interventi del pubblico e degli esponenti del comitato promotore del Forum del Terzo Settore. Prendono la parola, nell’ordine: Ernesto Muggia (Presidente UNASAM), Giuseppe Cersosimo (Cooperativa Sociale CREA), Edoardo Re (Psichiatra AO Niguarda), Giovanni Lucchini (Consorzio Farsi Prossimo), Franca Caffa (Comitato Molise-Calvairate), Davide Motto (Consorzio CS&L), Elisabetta Franciosi e Camillo Caputo (Dipartimento ALA Sacco), Andrea Ripamonti (Consorzio SiS), Mezzetti (Comitato Conca del Naviglio), Simona Silvestro (Cooperativa Sociale AEI), Sara Vignali (Arci Milano), Virginio Baccarini (Associazionismo Famigliari). Gli interventi riprendono in larga parte le questioni proposte dai relatori in apertura dei lavori, soffermandosi in maniera particolare su temi quali quelli della partecipazione, della condivisione, del coinvolgimento dei soggetti sociali. Diffusa la critica ai dogmi della “parità pubblico-privato” e della “libera scelta”, che hanno impregnato la retorica e le pratiche delle giunte precedenti. Nella grande maggioranza dei casi, gli interventi dimostrano favore nei confronti dell’iniziativa dell’Assessorato. Si segnala un’unica eccezione nella critica di Franca Caffa, che evidenzia il fatto che i “quartieri degradati”, presenti nella retorica dell’Assessore e nelle preoccupazioni del

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Sindaco, sembrano essere stati “cancellati” dai tavoli della giornata. Si tratta tuttavia di un’eccezione. Nel complesso, a prevalere tra i presenti è una forte richiesta di partecipazione e coinvolgimento.

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LIBERI DAVVERO. UNA NUOVA STAGIONE CONTRO LE DIPENDENZE

Tavolo dipendenze -

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METTIAMOCI AL LAVORO. UN NUOVO PIANO CONTRO LE POVERTA’

Tavolo nuove povertà e lavoro – Salvatore Cominu

Nella relazione introduttiva Cristina Taiani afferma la centralità metodologica dell’integrazione tra politiche del welfare e politiche del lavoro, tutta da ricostruire dopo anni di artificiosa separazione. Nel nuovo capitalismo e nella crisi, distinguere politiche sociali e del lavoro, per molti aspetti, è non solo complesso ma errato. Secondo pilastro, il tema della “massa critica” come approccio di necessario adattamento alla scarsità delle risorse da investire nelle politiche. Massa critica sia come convergenza delle conoscenze e delle azioni intorno a obiettivi condivisi, sia come necessità di un’agenda prioritaria. Occorre che l’amministrazione incorpori una cultura della valutazione, per porsi nella condizione di misurare gli effetti delle politiche e monitorare l’efficacia delle medesime. L’Assessore illustra quindi otto azioni, alcune già implementate, del pacchetto anti-crisi e anti-precarietà (compatibile con lo scenario di scarsità), elaborate congiuntamente dai due assessorati. Al centro del pacchetto è il rilancio delle politiche attive del lavoro, attraverso risorse e competenze sviluppate in partnership (CCIAA, Fondazione Welfare Milano) e l’implementazione di iniziative, talune dal valore più simbolico altre di portata più ampia, caratterizzate da fattibilità e concretezza. Microcredito, sostegno alle imprese giovani e innovative che perseguono il “lavoro decente”, fondi di garanzia da destinare all’imprenditoria innovativa, misure per l’emersione del lavoro sommerso, prestiti a tassi agevolati per persone in condizioni di disagio economico, promozione di “stage di qualità” che premino le aziende virtuose e scoraggino l’uso opportunistico di questo strumento formativo. Il tema della povertà è letto anzitutto attraverso le lenti dell’integrazione lavorativa e della necessità di promuovere buona occupazione, ma anche imprenditorialità innovativa non solo sul versante tecnologico e creativo, bensì dell’impatto sociale.L’intervento dell’Assessore alle Attività Produttive D’Alfonso ( a metà pomeriggio anziché in introduzione) ha richiamato temi d’ordine più generale, di prospettiva strategica, entrando tuttavia poco nel merito delle questioni inerenti al workshop. La centralità è individuata nell’impoverimento dei ceti medi e del lavoro professionale, anche per gli effetti economici prodotti dall’eventuale deragliamento di questo motore sociale da sempre propulsivo dell’economia milanese. La risposta, per l’Assessore, è nella riqualificazione del ruolo dell’attore pubblico, rifiutando la “retorica sulle privatizzazioni” ma anche quella per cui responsabilità della crisi attuale sia stato l’eccesso di debito pubblico (la crisi del 2008 ha avuto origine dall’eccesso d’indebitamento privato, ricorda).

Il dibattito

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Due valutazioni d’insieme. La prima riguarda i livelli di partecipazione. La sala era colma (a dire il vero troppo piccola per accogliere i presenti – infatti gli esponenti del Terzo Settore inseriti nel programma dei lavori se ne sono andati senza intervenire, poiché in sala non c’era più spazio, e non è stato l’unico inconveniente organizzativo), il desiderio d’intervenire palpabile e la partecipazione dei presenti reale e non rituale. Oltre agli interventi programmati hanno preso la parola altri cinque presenti. Traspare insomma una domanda di confronto, una ricerca di rete, una candidatura diffusa a farsi partner che, con tutte le ambivalenze del caso, costituisce un segnale positivo e di forte discontinuità – ribadita in più interventi – rispetto allo stile e l’approccio della precedente amministrazione. Del resto l’Assessore ha chiuso la giornata ribadendo la consapevolezza della non autosufficienza dell’Amministrazione (“facciamole insieme queste cose”). I temi e i contenuti. I contributi sono stati eterogenei, non tutti di grande interesse a dire la verità, ma comunque hanno consentito di fornire una parziale panoramica delle sensibilità presenti. Citiamo, per punti, alcuni temi tra i tanti emersi da un dibattito nel quale, per la verità, i soggetti sono spesso rimasti nel loro ruolo e talvolta hanno faticato a interagire con i temi proposti nelle relazioni introduttive. Più interventi (Sodalitas, SOS Stazione Centrale) hanno tematizzato il problema della distanza tra la condizione dei soggetti più deboli e marginali e lo stesso approccio delle politiche attive. Il problema (Sodaltas) è che i marginali e gli esclusi in senso stretto stanno aumentando; è difficile pensare all’inserimento quando ormai il problema è il “trattenimento” (impedire la creazione di nuovi poveri); In generale, l’approccio delle politiche attive trova consenso nella componente sindacale (CGIL, CISL) e soprattutto tra i referenti del terzo settore; di particolare interesse (sebbene il suo intervento sia stato accompagnato da un diffuso e sommesso disappunto) l’intervento da parte dell’esponente di Avanzi – Incubatore di imprese sostenibili, che ha richiamato la necessità di favorire e promuovere l’imprenditoria ad alto impatto sociale: certamente l’impresa sociale e la cooperazione sociale B, ma più in generale le imprese capaci di combinare in modo sostenibile obiettivi economici e sociali, intesi come risposta a bisogni sociali diffusi (dei diversi stakeholder quindi, non solo dei lavoratori); Ferlini (CdO e Consiglio gestione della Fondazione Welfare) parla espressamente della necessità di un nuovo ciclo di politiche attive del lavoro. Soprattutto gli esponenti del mondo cattolico, ma non solo, evidenziano sempre più il nesso tra povertà economica e deficit relazionali e di capitale sociale. Questo il tema sottolineato da molti interventi e che lascia intendere come il problema percepito da chi opera sovente sul “fronte” rimandi anche al deficit di socialità della metropoli milanese. Soprattutto l’intervento di Brunato (CGIL), ma anche altri, ha focalizzato il tema dei futuri poveri. La condizione giovanile è individuata come centrale. Ma non solo quella dei laureati che non trovano lavoro. C’è un nuovo proletariato metropolitano nei servizi meno qualificati (distribuzione, servizi personali, logistica urbana, ecc.) che vive una situazione

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di particolare sofferenza, col rischio di una cronicizzazione di una condizione di marginalità, lavoro intermittente, non lavoro o povertà pure lavorando (working poor). Sul tema delle risorse. Una parte delle organizzazioni volontarie e di terzo settore in genere rivendica l’investimento pubblico in servizi sociali (“apprezzo l’approccio del nuovo assessorato sulla cittadinanza attiva ecc., ma se non c’è l’acqua la papera non galleggia”), ma le idee sul reperimento di risorse non sembrano molte – inevitabilmente. Nell’intervento di Zambelli della CISL si è richiamata la necessità di negoziare con i soggetti economici che più hanno “accumulato” un impegno a favore delle politiche di coesione sociale e contro la povertà. Ciò è possibile ottenerlo (ad es. in termini di welfare aziendale), per i sindacati, laddove esiste contrattazione – con le grandi imprese. Come realizzarlo laddove questa non c’è? Come sottrarre qualcosa all’accumulazione?Per brevità, non si citano altri contributi su temi specifici.

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INSIEME , DAVVERO. UNA NUOVA POLITICA CONTRO LA SOLITUDINE DELLE FAMIGLIE E DELLE PERSONE ANZIANETavolo solitudine anziani e famiglie – Laura D’Alessio

Lo slogan “innovare tagliando” che ha siglato questa giornata di lavori forse può non essere un’utopia per quanto riguarda le politiche per gli anziani (400mila nel Comune di Milano su una popolazione di 1 milione e 300mila e per cui si spendono complessivamente 95 milioni di euro) stando a quanto emerso dal dibattito tenutosi e dal clima in sala che ha mostrato leggera insofferenza a chi si è presentato con piglio rivendicativo e bonariamente minaccioso contro questo annuncio di tagli (SPI, Medicina Democratica). Molto meglio sono stati accolti gli interventi che pongono in una nuova luce l’anziano e tesi a preservare il più possibile la sua autonomia e autodeterminazione (alloggi protetti invece di RSA, condivisione di appartamenti tra anziani per contenere le spese dei servizi anche di badantato…).Certo il problema più sostanziale è rappresentato dal futuro di quegli anziani che per basso reddito pensionistico non potranno pagare la retta dell’Rsa (già esistono ma sono destinati ad aumentare).La presentazione del programma per la popolazione anziana da parte dell’Assessore Pierfrancesco Maiorino con i suoi punti chiave è sostanzialmente in linea con le suggestioni emerse dalla sala nel corso del pomeriggio. I punti del programma che l’Assessore ha indicato riguardano essenzialmente la messa a punto di alcuni dispositivi, che possono essere definiti all’incirca ‘a costo zero’, che tendono a oliare e migliorare un impianto di risposta alla popolazione anziana che sostanzialmente già esiste. Si tratta quindi, nelle intenzioni dell’Assessore, di mettere in luce e a punto un impianto che esiste e funziona con modifiche che potremmo dire riguardino il software e non l’hardware (cioè che riguardano aspetti importanti ma leggeri nel senso che, per esempio, le RSA già esistono e i posti letto sono sufficienti). Si tratta, riassunte brevemente, di queste iniziative: -la creazione di un’anagrafe della fragilità che identifichi e ‘scovi’ gli anziani fragili e li tenga presenti e monitorati (non solo in occasione dell’emergenza caldo). Questo panorama anagrafico esiste già in potenza, si tratta solo di metterlo in luce mettendo in comune i dati in possesso dei vari soggetti che operano in questo settore, pubblici e del privato no profit. -la creazione di una banca dati di tutto il patrimonio di pubblico, terzo settore e associazionismo che si occupa di anziani per la messa in rete di queste realtà affinché possano operare più proficuamente ma anche possano più facilmente essere conosciute e riconosciute (a questo proposito sono previste anche azioni di comunicazione)-il monitoraggio delle residenze per anziani (RSA), anche quelle comunali, per verificarne le realtà con una fotografia che ne metta in luce pregi e difetti “senza sconti”.

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-la riqualifica dei caregiver in generale e in particolare delle badanti. (lo sportello comunale del badantato, ad esempio, non dovrà più solo servire a incrociare domanda e offerta ma anche a qualificare e regolamentare le figura della badante)-il coordinamento dei centri diurni e ricreativi per gli anziani e la loro trasformazione anche in vettori di informazioni per gli anziani stessi.Nella stessa direzione, cioè quella di una richiesta di azione più sul software che non sull’hardware, sono andati gli interventi in sala e anche il clima che vi si è percepito. E cosi i temi emersi hanno riguardato la necessità di orientarsi verso un accompagnamento della persona anziana che non presenti “buchi” in cui l’anziano possa sentirsi perso e solo e molti altri, forse anche dato il titolo del dibattito, sono andati nella direzione di nuovi modi di interpretare l’essere anziano da una parte e la fragilità dall’altra puntando il dito proprio sulla solitudine. Qualcuno ha detto “si diventa fragili quando si è soli” e qualcun altro ha posto l’attenzione sulla psicologia dell’anziano, sulla sua solitudine nel senso di perdita di ruolo nella società, quel ruolo di “saggio” che gli è stato attribuito per secoli e nelle civiltà più diverse. Citando il verso di una poesia di Danilo Dolci: “ciascuno cresce solo se sognato”, qualcuno ha fatto emergere la necessità che la società cominci ad accettare e “sognare” l’anziano per quello che è e non solo nella misura in cui è “ancora giovane” o “ancora attivo”.

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PARI OPPORTUNITA’ E DIRITTI. IDEE E PROGETTI CONTRO OGNI DISCRIMINAZIONE

Tavolo diritti e discriminazione – Francesco Cancellato

Il tavolo su pari opportunità e diritti si e' caratterizzato per l'estrema eterogeneità dei casi di discriminazioni presentati: lgbt, donne, stranieri, anziani. E ancora, sull'altro asse della matrice a discriminazioni che riguardano lavoro, famiglia, il proprio vivere come membri della comunità e come individui. Tutti ambiti di potenziale discriminazione che peraltro sovente si intrecciano tra loro.E' su questa complessità che si e' incardinata l'analisi dei relatori. Analisi che si sono incardinate sull'idea di discontinuità, soprattutto in relazione alla precedente amministrazione cittadina.La prima discontinuità che emerge e' quella che si fonda sul passaggio tra buone pratiche territoriali alla necessità della loro diffusione. In questo senso, interventi significativi sono stati quelli dell'assessore alle pari opportunità del Comune di Torino, che sulla base del Servizio Lgbt ha costituto la Rete Ready nazionale sulle discriminazioni. Un approccio, questo, che necessita di un'ulteriore discontinuità.Quella del passaggio da politiche sociali settoriali a politiche ed interventi sociali trasversali. Un approccio, questo, che viene richiamato da Anita Sonego, Presidente della Commissione Pari Opportunità e da Claudia Biondi della Caritas e che ha nella macchina burocratica il suo bacino di realizzazione. Una transizione, questa, che Francesca Zajczyk, Delegata del Sindaco alle Pari Opportunità, definisce “fondamentale e difficilissima”, quasi utopica nella distanza che la separa dall’attuale realtà della macchina comunale. Difficilissima, quindi. Ma fondamentale affinché si realizzi un ulteriore discontinuità, auspicata da tutti gli intervenuti. Quella cioé del passaggio che Rosaria Iardino (Presidente NPS e Donne in Rete) definisce il passaggio dalla “lotta a” alla “lotta per”. Dall’intervento sui bisogni puntuali che di volta in volta si manifestano, all’intervento strutturale che metta al centro la persona e i suoi diritti. Un’istanza, questa, che Mori dell’Arcigay di Milano definisce come la “modifica del contesto culturale attraverso i servizi” e non, al contrario, attraverso un’opera occasionale e filantropica di sostegno alle vittime della discriminazione. E che De Facci di CNCA coglie come il presupposto per un “cambio di paradigma” nell’approccio alla lotta alle discriminazioni. Ultima discontinuità, come affermano in particolare Paola Ferraguti dell’Ordine degli Assistenti Sociali della Lombardia (e più in generale tutti gli intervenuti e le intervenute appartenenti ad associazioni per la parità di genere) è infine quella che si esprime nell’auspicio che si passi da una cultura che garantisce uguaglianza ad una cultura che “riconosce, rispetta e celebra” le differenze e le diversità (Mori, Arcigay Milano).