Tribuna 02 2015

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la tribuna EURO 2,00 NUOVA EURO 2,00 N° 2 - Febbraio 2015 - Mensile di cultura, storia e attualità di Treviglio e Gera d’Adda Direttore Responsabile Roberto Fabbrucci Autorizz. Tribunale di Bg. n. 23 dell’8/8/2003 TREVIGLIO Madonna delle Lacrime: storia del restauro dell’elmo e della spada TREVIGLIO Dimo, ovvero quando si hanno le idee chiare la musica funziona GSI LAVORA PER TREVIGLIO VINTAGE TUTTO INIZIÒ CON SEI DI TREVIGLIO... BY ENRICO APPIANI SPECIALE EXPO

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Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 1

la tribunaEURO 2,00NUOVA EURO 2,00

N° 2 - Febbraio 2015 - Mensile di cultura, storia e attualità di Treviglio e Gera d’Adda

Direttore Responsabile Roberto FabbrucciAutorizz. Tribunale di Bg. n. 23 dell’8/8/2003

treviglio

Madonna delle lacrime: storia del restauro dell’elmo e della spada

treviglio

Dimo, ovvero quando si hanno le idee chiare la musica funziona

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2 - la nuova tribuna - Febbraio 2015 Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 3 Gennaio 2014 - la nuova tribuna - 3

l’Editoriale

quella che ha generato democrazia e benessere, si stesse spegnendo. Eppure ci sono le risorse umane disponibili tra la gente, ...fuori dall’acquario, c’è solo da domandarsi perché i politici rimangano immersi e non in piazza a fare un bagno vero, ...tra la gente.

Perché non bastano i gesti, le pacche sulla spalla, le cene e le inaugurazioni. Tra la gente ci si sta se la chiami a condividere un progetto, come cantava Gaber già quarant’anni fa: “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è parteci-pazione”. Fa dunque specie osservare che a Treviglio l’unica forza politica ad aver mantenuto un’idea parte-cipativa, sia quella che fa a capo a Basilio Mangano, originariamente consigliere dell’Msi. Questo dovreb-be far pensare gli altri partiti, quelli con il pedigree “democratico”, dove le decisioni che riguardano noi tutti vengono prese da una persona sola con un sms, un tweet, al massimo a cena tra amici parigrado.

Che pensano quando vanno a dormire questi politi-ci, che dopo di loro ci sarà il diluvio, oppure neppure ci pensano? Come fanno ad elaborare un’idea, presi come sono dai loro innumerevoli incarichi istituzio-nali (a una persona normale ne basterebbe uno per riempire l’intera giornata), se non si dotano di un gruppo che si prenda la briga di approfondire i temi? Come pensano di formare la futura classe dirigente da portare in consiglio comunale, se non immaginano un luogo dove le esperienze si creano e vengono messe a disposizione della collettività?

Se dunque è vero che l’intero Occidente ha per-so la bussola, è forse perché chi la possiede trova comodo tenerla in tasca, ...anche qui da noi. Questo quando per cambiare le cose basterebbe poco: meno narcisismo, un po’passione, di senso del dovere verso chi amministrano e di rispetto per chi deve ancora nascere.

Tornare in edicola dopo quindici anni, ritrovare tutti i vecchi lettori e addirittura acquisirne tanti di nuovi, è un fatto inaspettato quanto incredi-

bile. Poi ricevere telefonate di affetto, felicitazioni, complimenti per giorni, così come email e strette di mano per la strada in segno di stima e incoraggia-mento, va oltre ogni aspettativa, soprattutto perché l’affetto è arrivato a 360°, senza distinguo.

Sono emozioni che verranno archiviate tra gli episodi migliori della vita, ma in questo caso ti caricano anche di respon-sabilità, quando l’età suggerirebbe di godersi i panorami e gli affetti familiari.

Eppure ti accorgi che non si diventa mai vecchi, almeno fino a quando gli acciac-chi non arriveranno, così prosegui nel fare quello che hai sempre fatto, come se l’orizzonte fosse ancora lontano, ancora da intravedere.

In questo modo osservi, rifletti e non puoi non segnalare quello che è sotto gli occhi di tutti e solo accennato nello scorso editoriale: la politica vive in un mondo parallelo e alieno. Lo scriviamo negli articoli d’apertura, legandoli al vuoto

progettuale per il futuro, persino quello a portata di mano. E’ un mondo parallelo che vive di vita propria, di comunicati contro le iniziative della maggioranza, sempre e comunque, di risposte o silenzi.

Eppure noi, che dagli anni sessanta ci appassio-niamo di politica, quando li osserviamo ci sentiamo fuori, estranei, come se fossero in un acquario.

Sarebbe però sbagliato fare i moralisti e incolpare questo o quel personaggio politico, di destra o di si-nistra, di non essere adeguato, perché di adeguato, se si osserva, non c’è più nessuno in politica e in tutto il mondo occidentale. Come se la cultura greco-romana,

Ricordate Gaber? “La libertà non è star sopra un albero...”di Roberto Fabbrucci

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amare la propria gen-te, divertire, far girare persone in centro, cre-are una co-munità vera che -maga-ri- muove indirettamen-te l’econo-

mia vera per qualche giorno. Questo per dirvi che continueremo nei prossimi numeri su questa linea, proprio con i telefoni e il Gruppo Meucci, con il ciclismo le radio, ecc. Non dimenticando di mettere in primo piano il futuro e una sua visione coerente. Merce rara da un paio di decenni.

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la nuova tribunaAutorizz. Tribunale di Bg. n. 23 dell’8/8/2003 - Nuova EdizioneAnno 1 - n° 2 - Febbraio 2015

EDITORE“Tribuna srl”

via Roggia Vignola, 9 (Pip 2)24047 Treviglio

[email protected]. 0363 1970511

Direttore ResponsabileRoberto Fabbrucci

[email protected] 335 7105450

Direttore AmministrativoFiorenzo Erri

[email protected]

RedazioneHana Busova Colombo, Michela

Colombo, Silvia Giardina, Daniela Invernizzi, Daria Locatelli, Maria Palchetti Mazza, Cristina Ronchi,

Cristina Signorelli, Carmen Taborelli, Marco Carminati, Fabio Erri, Beppe Facchetti, Marco Ferri, Paolo Furia, Luciano Pescali, Stefano Pini, Ales-sandro Prada, Ivan Scelsa, Angelo Sghirlanzoni, Giorgio Vailati, Ezio

Zanenga

Hanno collaboratoEnrico Appiani, Laura Borghi, Laura

Crippa, Enrico Bresciani, Antonio Cozzi, Giulio Ferri, Virginio Monzio Compagnoni, Paola Picetti, Sacha Parimbelli, Tienno Pini, Giuliano

Palma, Franca Tarantino, Romano Zacchetti

Il n. 3 de “la nuova tribuna” sarà in edicola il 13 Marzo

34 - “Qui si lavora bene, a parte le parrocchiette”, Alessandra Grassi “Una scrittrice all’improvviso” (Daniela Invernizzi)37 - “Motori nelle immagini dei nostri genitori”, il libro di Ivan Scelsa e Fabio Conti (Giorgio Vailati).TREVIGLIESI NEL MONDO38 - “La pizza del Cavallino in giro per l’Europa” (Roberto Fabbrucci); “Notizie da Northfield Mount School” (Silvia Martelli)MUSICA40 - “Da voi la musica non ha vita facile” (Hana Busova Colombo); “Dimonte e l’altra faccia della musica (Marco Ferri); “Il linguaggio dell’anima” (Giuliano Palma), “Un trofeo e otto cori” (Giorgio Vaiulati)BANCHE A TREVIGLIO45 - “Cent’anni della Bpb a Treviglio” (Roberto Fabbrucci)PEDALANDO NEL TEMPO46 - “Valentino Vertova, un cosino tutto pepe” (Ezio Zanenga)BURATTINI E MASCHERE47 - “Treviglio: la bella mostra delle Teste di legno” (Silvia Giardina)NEGOZI CHE CHIUDONO48 - “Una bella storia, ma ora chiude” (Lucietta Zanda)TESORI NASCOSTI52 - “Profeti del Cavagna nascosti in Basilica” (Car-men Taborelli); “Cavagna e l’influenza di Moroni e Tintoretto” (Giorgio Vailati)TREVIGLIO/CENTENARIO CRI54 - “La Grande Guerra e la Croce Rossa”, “La Croce Rossa e la solidarietà Trevigliese” (Carmen Taborelli)ICAT/UNA STORIA TREVIGLIESE56 - “Dall’Idica alla genesi della Corale Icat” (Tienno Pini)TREVIGIO ANNI ‘7058 - “Treviglio e i ragazzi delle radio libere” (Sandro Oggionni)CASIRATE/ALBERTO VENEZIA52 - “Il medico in pensione ma non troppo” (Miche-la Colombo)

APERTURE E COMMENTI6 - “Cogliere l’attimo o diventare Zingonia”, Fiaip “Agenti immobiliari si aggiornano”, intervista a Giuliano Olivati (Roberto Fabbrucci);8 “Treviglio, progetto per il futuro cercasi” (Beppe Facchetti);10 - Infrastrutture - “Treviglio sarebbe una perfetta Smart City”, “Se la fibra ottica arriva nei pressi di casa” (Fabio Erri).TREVIGLIESI IN RETE12 - “Una piazza virtuale ma non troppo”, “Perchè sei nel gruppo Facebook?” (Roberto Fabbrucci e Silvia Giardina);14 - “C’erano una volta Tre Ville”, “Sei di Treviglio se ricordi” (Silvia Giardina);TREVIGLIO/MIRACOLO16 - “Come fu salvato l’elmo di Lautrec”, intervista a Franco Pelleschiar (Giorgio Vailati).EXPO 201518 - “Come ci prepariamo all’Expo”, intervista a Bruno Brambilla (Daria Locatelli), “Guai perdere questa occasione storica”;20 - “Aprire un Bed and Breakfas è facile”, “Un business anche senza Expo” (Giorgio Vailati);22 - “Quando l’ecceellenza alimentare è regola”, intervista a Giovanni Malanchini, “I gioielli della Via Lattea, ovvero la qualità paga” (Cristina Signorelli);24 - “Il melone e una storia cooperativa antica”, “Re-cuperate le radici pù antiche” (Cristina Signorelli e Beppe Facchetti).LAVORO/ECCELLENZE26 - “La super app scaricata in tutto il mondo”, “Le app più apprezzate” (Daniela Invernizzi).SANITA’/ONCOLOGIA28 - Treviglio “Un eccellenza della sanità lombarda” (Cristina Ronchi).TREVIGLIO CHE CAMBIA30 - “Teatro nuovo, ritorno al futuro” Stefano Pini), “Perché non pensare al Trevigliese Ermanno Olmi?” (Roberto Fabbrucci).SCUOLA/LA MEDIA GROSSI32 - “Il senso del dovere e il ruolo della famiglia” (Maria Palchetti Mazza);TREVIGLIO EDITORIA

la copertinaTreviglio Vintage, la manifestazione

nata quasi casualmente in rete, sta già avviando i motori, anche se l’appun-tamento è ancora lontano, a giugno: segno della serietà di chi ci lavora. Un argomento -il vintage- che è nelle corde de “la nuova tribuna”, senza tuttavia non è “reducismo”. Infatti, anche se non pretendiamo di trasformare il moderna-riato in storia, riportare alla luce oggetti ed eventi ancora nella memoria di molti, aiuta.Ovvero, quando senti bimbi chiederti se le uova sono fabbricate in una fabbri-ca olandese, oppure vedendo il disco numerico del telefono non riescono ad immaginare cosa sia, capisci che è un modo per far cultura, far conoscere ed

il Sommario

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Edilizia/Riflettere e cambiare registro

Nell’apertura dello scorso numero de “la nuova tribuna” avevamo indicato quali fossero le “soffe-renze” derivanti dall’invenduto

nel settore immobiliare a Treviglio e zona, in particolare il residenziale. Segnalava-mo 1.200 nuovi appartamenti invenduti a Treviglio, indicando un valore medio di 150.000 euro ciascuno. Siamo così stati rimproverati di essere stati troppo ottimi-sti, perché il valore medio dovrebbe essere 170.000 euro e gli appartamenti nuovi in-venduti 1.400: ovvero 238 milioni di euro solo a Treviglio, probabilmente 600/700 milioni di euro con l’insieme dei comuni in un raggio di sette chilometri dal nostro campanile.

L’economia locale, dicevamo, soffre ma regge, soprattutto grazie ad un tessu-to imprenditoriale forte e diffuso, oltre al fatto che chi ha costruito non vive ancora in una situazione di mancanza di liquidità. O quantomeno ha ancora il sostegno del-le banche che queste sofferenze hanno in “pancia”.

L’Ance, l’Associazione Nazionale Co-struttori Edili, che ha da tempo studiato il problema, sta cercando di convincere gli associati a prendere atto della crisi -che è

territorio e che cercheremo di “sfruttare”.Argomenti, quelli di Greta, ribaditi lo

scorso autunno a Bergamo in un forum organizzato dall’Ance provinciale a cura del suo Direttore Aldo Locatelli, che sono stati esposti alle imprese bergamasche e ai politici presenti.

Una situazione quella dell’edilizia ita-liana che dovrebbe far riflettere sugli er-rori del passato, spingendo un po’ tutti ad ipotizzare dei percorsi per il futuro, delle strategie.

Il passato lo conosciamo: le amministra-zioni locali, prese dalla scadenza elettorale più che dal “bene comune”, hanno iniziato ad usare la trasformazione del territorio -da agricolo a edificabile- in una sorta di bancomat per rimpinguare le casse comu-nali e pagare la spesa corrente di un’am-

ministrazione comunale gonfia di servizi e dipen-denti.

Ovviamente una follia sprecare un bene non ri-generabile come la terra, perché crea una catena di danni collaterali: la costruzione di servizi pubblici con costo per-manente (le opere pub-bliche di servizio: strade, illuminazione, fognature, ecc.), la devastazione del paesaggio, la antropizza-zione del territorio con conseguenze dramma-tiche nel microclima lo-

cale e alluvioni nelle aree meno fortunate della nostra. Se dunque fosse necessario stendere una scaletta del buon ammini-stratore, ovvero di chi ha a cuore il futuro e non solo la sua rielezione, al primo posto andrebbe messo il consiglio dell’Ance: non rendere più nessun terreno verde edifica-bile, salvo necessità precise, che non sono certo quelle residenziali.

Puntare cioè sulla ristrutturazione e ri-qualificazione dell’esistente e la possibilità

di meglio utilizzare i volumi di “ritaglio”: sottotetti, seminterrati, ecc.

Parimenti, sarebbe necessario pensare al futuro, ovvero analizzare chi siamo e a chi interessiamo o desideriamo interessare da oggi in poi. Sì, perché questi 1400 nuovi appartamenti, più quelli vecchi sfitti, stan-no cercando un inquilino o un proprietario che prima o poi arriverà. Sarà la famiglia che si vuole stabilire e lavorare, l’anziano che pensa siano più vivibilili ed economi-ci Treviglio e la Gera d’Adda di Cologno Monzese, il giovane universitario che pen-dola con Milano, o qualche imprenditore in cerca di una sorta di Silicon Valley ali-mentata delle eccellenze che già esistono: l’elettronica, l’informatica, il web-marke-ting, la produzione della base alimentare per animali domestici, la chimica, l’elet-tro-meccanica del vetro, l’agroalimentare, la meccanica di precisione o quella per macchine agricole? Ultima domanda: chi deve pensare al futuro dei nostri figli e nipoti (sindaci, assessori, leader politici) hanno questa fotografia in testa, chi siamo e chi potremmo essere?

Oppure vivono alla giornata e questi appartamenti -che fra qualche tempo po-trebbero andare all’asta giudiziaria- sa-ranno regalati per 30/40 mila ero l’uno e serviranno a ospitare il disagio di mezza Lombardia, trasformandoci in una sorta di mega Zingonia della disperazione?

Cogliere l’attimo o diventare Zingoniadi Roberto Fabbrucci

Opportunità si affacciano da anni, eppure Treviglio non le afferra, con il rischio che anzichè attrarre famiglie e aziende che cercano un futuro, si trasformi in catalizzatore del disagio dell’area milanese

definitiva- e “Togliersi dalla testa di co-struire del nuovo, tantomeno chiedere alle amministrazioni comunali di trasforma-re un’area in edificabile”. Sono parole di Carlo Maria Greta, residente a Treviglio, direttore commerciale della Same Tratto-ri negli anni ’80, attualmente consulen-te dell’Ance nazionale. Personaggio con un’esperienza internazionale quarantenna-le alle spalle che gli permette di avere una “visione” alta, quindi utile anche al nostro

La crisi immobiliare, come già abbiamo avuto modo di sottoline-are, è uno dei temi che hanno se-

gnato gli anni recenti e decideranno del futuro di noi tutti. Ovvero la possibilità di trovare collocazione agli apparta-menti nuovi, così al resto degli immo-bili residenziali o destinati alle attività sfitti invenduti, deciderà per decenni la qualità della nostra vita. Nel commento accanti spieghiamo che il patrimonio immobiliare appena costruito della Gera d’Adda, oggi valutato tra i 600 e 700 milioni, è a rischio, questo se non si adottano immediatamente delle politi-che di marketing adeguate per attrarre acquirenti/residenti. Un patrimonio che potrebbe trasformarsi in sofferenza insolvibile, quindi in abbattimento del valore reale. Con questo quadro che ci vede in bilico tra il paradiso e l’infer-no, abbiamo sentito Giuliano Olivati, presidente provinciale della FIAIP (Fe-derazione Italiana Agenti Immobiliari Professionisti).

Il colloquio inizia sulle argomenta-zioni della ANCE (Associazione Nazio-nale Costruttori Edili), ovvero l’opera di convincimento presso i propri iscritti perché abbandonino l’idea di chiedere la trasformazione di aree da agricole a edificabili, in particolare per costruire ancora edifici residenziali. Ce ne sono troppi.

“In effetti il mercato immobiliare è stato saturato, si sono mangiate im-mense aree verdi, con le problematiche ambientali conseguenti. Si è costruito troppo, senza programmazione e senza logica” risponde Giuliano Olivati.

D’altronde le Amministrazioni Co-munali hanno trovato questo modo di far cassa, ovvero monetizzare gli oneri di urbanizzazione -suggeriamo- trovan-do il presidente della FIAP perfetta-mente in sintonia.

Affrontiamo dunque il fenomeno dell’invenduto: “Certamente, oltre alla deprecabile mancata programmazione, il mercato si è trovato di fronte alla più grande crisi mai registrata, forse più grave di quella del 1929. Quindi la campagna di sensibilizzazione dell’An-ce è condivisibile, ovvero é necessario recuperare e qualificare l’esistente, ammesso che ci sia domanda. Perché questo è il problema”.

Descrivo la situazione di Treviglio e Gera d’Adda, quindi le difficoltà anche solo di immaginare le agenzie immobi-

liari associate o coordinate in un pro-getto comune di marketing per vendere l’immagine del territorio, quindi creare interesse nell’area milanese e non solo.

“Vede, l’agenzia immobiliare è spesso una micro azienda e l’ottica è quella del lupo solitario, poiché il rapporto è tra l’agente e il cliente, ognuno con un metodo proprio, un suo approccio. C’è una forte personalizzazione, quindi difficoltà a fare sistema”.

Quindi quale è l’approccio con gli associati per superare questo limite? “Organizziamo corsi di aggiornamento riguardo i sistemi di vendita, oltre l’ap-profondimento dei temi del mercato im-mobiliare. Recentemente, ad esempio, abbiamo fatto dei corsi ai nostri soci sul tema del web-marketing, relatore un giovane esperto di Treviglio, un pro-fessionista di QCom e CoryWeb. I corsi sono stati seguiti con grande interesse, li continueremo e sono convinto che daranno presto dei risultati. Riguardo alle problematiche del vostro territorio, le posso anticipare che la FIAIP è a vostra disposizione per approfondimen-ti o iniziative. Anche in loco. Certa-mente le difficoltà si possono superare se si fa un’analisi approfondita delle problematiche e si cercano dei punti di contatto creando sinergie”. Proviamoci.

La Fiaip si aggiorna per affrontare la crisi

Giuliano Olivati, presidente FIAP Bergamo. Sotto uno scatto durante un corso d’aggiornamenti di Web Marketing per gli agenti della provincia

Gli agenti immobiliari

Villa Ida - Foto di Antonio Cozzi Piazza Manara - Foto di Antonio Cozzi

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treviglio, progetti per il futuro CerCasidi Beppe Facchetti

Manca una visione alta, ma forse anche bassa, ovvero chi siamo, dove andiamo? Dalla rete però partono iniziative che aggregano e vivono, dimostrando che la città sta cambiando da sola, dal basso...

C’è un deserto di progettualità che contraddistingue, purtroppo, la nuova politica anche locale, tutta presa nelle contrapposizioni per-

sonali, che hanno sostituito le opzioni, più difficili e complesse, della cultura e delle idee. Non c’è più il Pd ma Matteo Renzi, non c’è mai stato il centro-destra ma solo Silvio Berlusconi, c’era Umberto Bossi, c’è Matteo Salvini.

Non mai qualche “ismo” (socialismo, leghismo, comunismo, laicismo) aborrito dalla nuova società della tv e di internet, che ha stravolto i rapporti e il confronto delle visioni ideali. Persa l’idea di comu-nità, i partiti personali vivono forse solo attraverso l’azione dei loro amministratori pubblici, gli unici davvero costretti a scri-vere programmi elettorali e a fare quoti-dianamente scelte immediate e prospetti-che per le città.

A Bergamo, ad esempio, Giorgio Gori, che ha “studiato” da Sindaco per un paio d’anni, facendosi aiutare da un’associazio-ne da lui stesso fondata che ha raccolto un po’ di teste pensanti, ha recentemente pro-posto, da Sindaco, una coraggiosa azione di scambio tra meno tasse, meno complica-zioni e più insediamenti produttivi di tipo innovativo. Non avendo soldi, ha scelto di

chiederne di meno a chi viene a Bergamo per insediarsi e fare impresa. Eppure l’in-novazione non rispetta le cinte daziarie, tant’è che le cose più innovative, tra quelle visibili (ce ne sono altre mille, per fortu-na, invisibili), sono insediate in posti come Stezzano o Nembro, non necessariamente in città. Se s’interpreta bene, il messaggio di Gori sembra essere: voglio che la mia città, a vocazione industriale manifatturie-ra, si evolva ulteriormente nel segno della tecnologia e della creatività.

E’ una scelta, un modello che può essere discusso come tanti altri e magari non è perfettamente adatto a quella città -che in provincia forse non si coglie abbastanza- ma è uno straordinario scrigno di bellezza, svuotato dall’industria, che ha lasciato dei buchi urbanistici da riempire in un’intesa pubblico-privato, come si è detto nel re-cente Convegno Italcementi sul “rammen-do”, secondo il sogno di Renzo Piano. Co-munque, un modello che si può discutere, ma un modello.

E a Treviglio? Qual è il modello, quale lo spazio creativo per progettare la nuova Treviglio di domani e dopodomani?

Non chiediamolo né agli attuali ammi-nistratori, che sono ormai nelle spire della routine di fine corsa, né per ora ai futuri

che ancora non hanno risolto contrasti e chiarimenti interni per schierare liste e candidati e dunque non sono certo pronti a fare programmi.

Treviglio ha vissuto per decenni l’incubo della città-dormitorio, scandita dai tempi del pendolarismo, che portavano via gli abitanti dalle otto di mattina, su un treno affollato per Milano, fino alle diciannove di sera, sbarcando dal treno maleodorante del ritorno.

Oggi non si può più dire che tale sia rimasta, anche se è spettrale il passeggio casuale dopo le 18.30 del centro e dei via-li. Trionfa il “particolare”, la chiusura tra quattro mura, senza neppure le fughe del piccolo cabotaggio culturale, partitico, as-sociativo delle ormai superate assemblee di partito (chi ne fa più?) o di categoria.

I cineforum sono defunti da tanto, ormai sostituiti da un blog che ti mette in comu-nicazione non con un intellettuale di paese, ma con il mondo intero. E a proposito di internet, accade anche che proprio la rete consenta la nascita di comunità virtuali, come “Sei di Treviglio se…”, capaci di di-ventare concrete e attive, portando in piaz-za la gente.

Forse, paradossalmente, una Treviglio invisibile che si fa visibile, si riconosce per strada dopo essersi emozionata per un video, una foto, un ricordo comune. Il virtuale che diventa reale, obbligandoci a spegnere il Pc e uscire per strada…

Eppure, di Treviglio concretamente pos-sibili, oggi, ce ne sarebbero molte, perché alcune condizioni di base sono oggettiva-mente cambiate e la facilità centripeta dei trasporti non è necessariamente un fatto negativo per la vita interna della città. Si può raggiungere un ristorante o un teatro di Milano e rientrare a casa prima di mez-

zanotte, ma si può anche godere del rove-scio della medaglia di quella che sembra una città deserta e spettrale: il suo essere tranquilla, a misura d’uomo, di famiglie.

Ma il modello è allora quella di una Tre-viglio per vecchi? Certo che gli anziani possono star meglio qui che altrove, ma è questo il solo futuro che dobbiamo pro-spettare?

Le potenzialità sono in realtà talmente grandi e forti che si può ancora scegliere, purché si voglia, tra una gamma di Trevi-glio diverse: per i giovani, per le famiglie, per attività creative e innovative (più che a Bergamo, basterebbe un po’ più di banda larga), per il commercio, o per il turismo, lo sport, la buona tavola, l’artigianato di qualità. Con 1400 appartamenti vuoti, ser-virebbe una “scelta politica” intelligente e si potrebbe ospitare una nuova popola-zione (l’unica nuova che c’è oggi è quella extracomunitaria, che sta spingendo fi-nalmente alla soglia simbolica dei trenta mila abitanti), attirare una nuova sferzata di energia per cambiare presente e futuro.

Treviglio piccola capitale potenziale, insomma, perché se mettiamo il compas-so sul campanile e facciamo un cerchio di una quindicina di chilometri, troviamo la massa critica che può consentire di dare alla città un ruolo forte.

La parola d’ordine è attrattività. Poter dire, insomma: “vivo in Provincia di Trevi-glio”, agli abitanti di un intorno che sconfi-na dalle linee provinciali e va fino a Cassa-no, a Vailate, a Martinengo a Romano, fino a circa 150 mila abitanti, a pochi minuti di strada da qui. Che possono muoversi verso Treviglio non tanto sulla Brebemi, quanto ad esempio in bicicletta, come meritoria-mente cerca di far capire l’associazione “Pianura da scoprire”.

Oggi non è ancora così. Il Sindaco di Arzago, che pure è il capo provinciale del più grande partito bergamasco, alla nostra idea di aprire i rapporti e le infrastrutture per realizzare questa “Provincia” virtuale, rispose qualche tempo fa che anche ad Ar-

zago, a due passi da qui, non si sente per nulla l’interesse a convergere su Treviglio.

Colpa di quelli di Arzago o di quelli di Treviglio? Non avventuriamoci troppo su questo terreno, ma è un fatto che manca, nella cosiddetta “Bassa”, una visione coor-dinata.

Il cremasco e il lodigiano, che l’hanno avuta, l’hanno ora un po’ persa per strada e politici cremaschi sono venuti di recente a Treviglio a dire in pubblico che per quelle terre, Treviglio è un punto di riferimento, perché ha una stazione e due caselli che sono obbligati a frequentare.

Ma da noi non ci si è ancora riusciti. Per-sino la ovvia fusione tra due Casse Rurali, tra Treviglio e Caravaggio, ha causato una spaccatura anziché una riflessione costrut-tiva. Poco contando l’opinione degli esperti o la moral suasion di Banca d’Italia. Tutto fermo, anche se ora le Banche Popolari, ad esempio, sono state rivoluzionate da uno tsunami renziano proprio per incapacità di autoriformarsi. Capiterà anche alle Casse Rurali, se guarderanno ai campanili, eter-no ombelico di tante ipocrisie.

Un modello va insomma scelto, e deve per forza uscire da un punto di incontro tra interessi privati e visione pubblica.

Comuni ed Enti locali non hanno soldi, non sono più pensabili grandi realizzazio-ni come quelle che mezzo secolo fa, hanno fuso tra Treviglio e Caravaggio non due piccole banche ma due Ospedali, che erano davvero un esempio di localismo motivato.

A pochi chilometri da qui, un Sindaco testardo e non bigotto ha spianato la stra-da per un grande intervento privato, quello del Casinò e delle Terme di San Pellegrino, che cambierà la faccia di una valle intera.

La Brebemi stessa nasce per la visione di due Camere di Commercio e per il concor-so di capitali privati.

La Treviglio dei tanti appartamenti vuoti, delle grandi potenzialità (Baslini, “mezza luna”), deve darsi un progetto, per essere capitale, ma per i progetti occorrono i progettisti. Architetti del futuro cercansi.

Commenti/Quale futuro per Treviglio

A sinistra uno scorcio di via Fara (foto Enrico Appiani), sopra piazza Garibaldi e la stessa piazzas vista dal locale dell’ex Upim (foto Antonio Cozzi). Sotto uno scatto di Enrico Appiani durante “Treviglio Vintage”

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Treviglio/Infrastrutture essenziali

Quando si parla di fibra ottica e dei suoi vantaggi rispetto all’ADSL, si cita spesso la maggiore veloci-tà e affidabilità, ma vorrei citare

un vantaggio meno scontato: le aziende trevigliesi avrebbero la possibilità di dare ai propri dipendenti la possibilità di utiliz-zare uno strumento di lavoro all’avanguar-dia. E non è mai da sottovalutare il ruolo dell’ambiente di lavoro come leva per cam-biare qualche aspetto della mentalità dei cittadini: di solito un’azienda competitiva fa crescere dipendenti competitivi, un’a-zienda orientata al futuro coltiva dipen-denti con lo stesso atteggiamento.

La giusta mentalità farebbe accettare alcuni disagi e compromessi necessari per partire con un programma di banda ultra larga. Sono gli stessi compromessi che hanno subìto i cittadini di Bergamo e Milano, così quelli di città non metropo-litane come Affi (VR), Pegognaga (MN) o Collebeato (BS). Quali compromessi? Nonostante esista la possibilità di posare cavi di fibra ottica utilizzando cavidotti già esistenti (per esempio quelli dell’illumi-nazione pubblica), in alcuni casi potrebbe essere necessario ricorrere alla cosiddetta “microtrincea” (cfr. foto), soluzione che riduce al minimo gli impatti sulla sede

signora Maria che alcuni mesi di lavori in corso sono necessari per consentire a Tre-viglio di proiettarsi nel futuro, un sacrificio ripagato da vantaggi per la città e per chi vi opera che durerà per decenni.

Se poi la signora Maria rimarrà contra-ria, potremmo ricordarle come a volte il concetto di “bene comune” viene confuso con incapacità di fare minimi sacrifici per migliorare la vita di tutti, anche la sua.

Per altro la Smart City e l’FTTC rappre-senterebbero un vantaggio anche per chi è convinto di poter fare a meno di internet. Una città intelligente sfrutta l’IoT (Internet of Things, l’internet delle cose) per rendere intelligenti gli edifici, i parcheggi, gli at-traversamenti pedonali e gli incroci sema-forici, i mezzi pubblici e molte altre cose

di cui avremo cura di parlarvi nei pros-simi numeri della Tribuna.

Già diversi Co-muni hanno giocato la carta dell’FTTC. Alcuni esempi, tra cui quelli citati, si sono rivelati di suc-cesso. Altre volte in-vece tutto è naufra-gato in chilometri di scavi, soldi spesi e impossibilità di aziende e famiglie di avere i servizi promessi. Se ci con-

cediamo un’analisi tecnica dei motivi di successo, scopriamo un minimo comune denominatore: la presenza di infrastruttu-re “analogiche”. I Comuni in cui l’FTTC ha avuto successo, infatti, hanno potuto affiancare l’infrastruttura digitale ad quel-la analogica già esistente. E per analogico si intendono infrastrutture come strade a scorrimento veloce, metropolitane di su-perficie o passanti ferroviari, poi servizi come un’offerta scolastica completa, un centro degli acquisti, un cinema ed un te-

stradale. Però, laddove i cavidotti non esi-stano o la micro-trincea non sia praticabi-le, sarà necessario allestire cantieri, fare scavi, creare provvisoriamente dei sensi unici alternati. Magari parcheggi in meno per qualche tempo e qualche mezzo pesan-te dovrebbe deviare in circonvallazione e così via.

Una mentalità aperta, aiutata dalla giusta informazione, consentirebbe di prevenire e gestire al meglio i probabili i comitati del “NO”. Insomma, dobbiamo spiegare alla

atro, iniziative culturali sistematiche ed infine spazi per praticare sport all’aperto diversi dal calcio.

I Comuni, invece, che hanno fatto un buco nell’acqua hanno costruito una cat-tedrale (la banda ultra larga) nel deserto analogico di infrastrutture inesistenti e ini-ziative culturali lasciate alla buona volontà dei pochi.

Un altro elemento di insuccesso è stato l’aver pensato l’infrastruttura in funzione di servizi specifici, con l’inevitabile conse-guenza di perdere di vista gli utilizzi futu-ri. Per esempio, cablare la città in funzione del servizio della sosta a pagamento, op-pure per la telegestione del gas o dell’elet-tricità, significa creare una rete di comuni-cazione perfetta per quegli scopi, ma quasi completamente inutilizzabile per tutti gli altri. Gli esempi migliori sono arrivati da progetti in cui le attività Pubbliche si limi-tavano a creare una rete di Livello 2 neu-trale rispetto ai servizi sovrastanti. Sono state poi le società specializzate nella ge-stione dei parcheggi, delle utility, dei tra-sporti, dell’e-learning, della tele-medicina, eccetera, a chiedere di utilizzare la rete e a pagarne l’utilizzo.

Ovvero, come se per una nuova lottiz-zazione il Comune si facesse carico, non solo di progettare e costruire le strade, ma anche gli edifici compresi di arredamento. A Treviglio si dice “ofelè fa al to mèster” per esortare qualcuno ad occuparsi di ciò che gli compete.

A parere di chi scrive, Treviglio ha tutte le caratteristiche per essere un esempio di successo. In primo luogo un’Amministra-zione ha già dimostrato di tenere in alta considerazione l’agenda digitale e l’im-portanza di avere una città intelligente. In

Treviglio sarebbe una smarT CiTy perfeTTaa cura di Fabio Erri

Un progetto che dovrebbe essere tra gli obiettivi della città per il 2015: portare la capitale della Gera d’Adda ai livelli di Bergamo, Milano, ma anche di piccole città all’avanguardia nei servizi tecnologici

Per caPire cosa è l’FTTc

Se la fibra ottica arriva nei pressi del vostro PcNon è necessario portare la fibra ottica in casa o in ufficio, basta sia nei pressi per avere a disposizione la banda ultra larga

La tecnologia Fiber To The Cabinet (fibra ottica fino all’armadio di strada) è l’evoluzione della tecno-

logia ADSL che consente una connes-sione ad internet più stabile e veloce.

Oggi con l’ADSL la tratta in fibra ottica si conclude presso lo la centrale telefonica, questo significa che da que-sto punto alla “cabina di distribuzione” deve esserci un collegamento in filo di rame lungo chilometri. Sempre in rame è l’ultimo tratto tra il “cabinet” e la sede del cliente (generalmente non oltre i 250 metri).

Sappiamo che la velocità massima di un’ADSL è di 20 Mbit al secondo, ma questa è la velocità “di partenza” dalla centrale: più ci allontaniamo, ovvero più la sede cliente è distante dalla centrale, più la velocità diminuisce per effetto di una dispersione elettrica del segnale.

Con l’FTTC (o VDSL), invece, la tratta tra la centrale e il Cabinet sarà in fibra ottica. Va da sé che se la distanza tra la cabina e il cliente non supererà i 250 metri, gli ambiti 20 mega saranno alla portata di tutti.

Certamente l’armadio in strada dovrà essere modificato per essere reso com-patibile con il servizio FTTC: si aggiun-gerà cioé un apparato attivo chiamato DSLAM, che dovrà generare il segnale utilizzabile dal router del cliente. In pratica questa tecnologia, associando la fibra ottica -che non ha dispersioni di segnale- con la breve tratta di rame, moltiplicherà a dismisura la banda rispetto alla tradizionale ADSL oggi disponibile. Ciò significa maggiore stabilità e maggiore velocità, qualità che interessano tutti, in particolare quanti usano la connessione per lavoro. Le potenzialità dell’FTTC sono 100 Mbit al secondo, anche se al momento il servizio è disponibile “solo” a 30 Mbit/s in download e 3 Mbit/s in upload.

Ma esiste anche di meglio, e si chia-ma FTTH (Fiber To The Home, fibra fino a casa). Il rame sparisce completa-mente nei rilegamenti tra la centrale e la sede cliente. Il risultato è un collega-mento in fibra ottica che può arrivare a 2,5 Gigabyte al secondo, che sembrerà fantascienza a chi è costretto aggi ad ar-rabattarsi con un instabile collegamento ADSL (e i lettori del quartiere Nord di Treviglio lo sanno).

E’ chiaro che un simile servizio facilita la connessione alle famiglie, consentendo persino il lavoro a domici-lio, ma soprattutto diventa un’attrattiva fortissima per chi deve lavorare colle-gandosi alla rete.

secondo luogo possiede le infrastruttura analogiche che, soprattutto grazie a Bre-bemi e Passante Ferroviario, mezza Italia ci invidia perché sono la base per il nostro sviluppo economico futuro.

Esistono poi a Treviglio aziende che costituiscono un’eccellenza nazionale o internazionale nel proprio settore, an-che nelle tecnologie e telecomunicazioni. Aziende già disponibili a fare la propria parte per realizzare il progetto “Treviglio Smart City”.

Realizzazione “microtrincea”

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12 - la nuova tribuna - Febbraio 2015 Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 13

Perchè sei nel gruppo Facebook?Ivan Blini, partito in quarta sul Face-

book per invitare tutti ad adope-rarsi a pensare all’edizione 2015 di

“Treviglio Vintage”, sua creatura ma costruita con il gruppo inventato da Max Tarasco, “Se sei di Treviglio…”, ci ha spinto a porre una domanda ai navigatori del web presenti su alcuni gruppi trevigliesi. Infatti, tralasciando quelli specifici come ‘Compro, ven-do, cerco’, ‘Eventi Treviglio’, ‘Ladri a Treviglio’, ‘Treviglio che vorrei’, dei quali gli obiettivi sono più che chiari, abbiamo voluto chiedere perché ci si iscrive un gruppo a ‘Treviglio Amar-cord’ e ‘Sei di Treviglio se ricordi...’. Un quesito che si è rivelato in realtà quasi un concorso affollatissimo dove in genere le risposte convergevano.

“Sei di Treviglio se ricordi… di sentirti parte di una comunità, di una famiglia. Ha permesso di conoscere tante persone nuove che vedevi in piazza e ti permetterà di approfondire tante altre relazioni”. Con immagini e parole scritte in un dialetto sempre più lontano, il gruppo permette di “rivivere una Treviglio un po’ cambiata”. Poi c’è chi si è ritrovato, ma anche chi si è trovato, conosciuto e fidanzato. Insom-ma, una piazza vera. Ecco solo briciole dell’intenso dialogo.

Cristina Ronchi: perché ci fa sentire più uniti, più comunità, più forti come trevigliesi. Il senso di essere concit-tadini, condividere e costruire. Sulle radici delle nostre tradizioni e ricordi, gemmando verso il futuro. Insieme.

Bruno Frigerio: la caparbietà di af-frontare uno strumento fuori dalla mia

generazione ma con la soddisfazione di dialogare con tutti in modo immediato e simultaneo. Un rammarico per i miei coetanei che non provano “a priori” nel raccontare i passaggi del tempo in una Treviglio che positivamente e velocemente sta cambiando. Il nostro vissuto deve essere lo zoccolo duro delle nuove generazioni.

Patrizia Siliprandi: gli odori, i sapo-ri della mia fanciullezza...la dolcezza di

La salita al Campanile organizzata da “Se sei di Treviglio...” ha coinvolto 1.500 persone

mia nonna, ...mio nonno nella farmacia di Via Verga, ...la maestra di piano e la Stazione Centrale dove fermavano treni più eleganti e moderni di adesso. Le suore gentili del Collegio degli Angeli...Il bar Frontini ed i primi batticuori da adolescente... Si, ricordo tutto in ma-niera indelebile, ...sono trevigliese!

Ambrogina Donghi: ...perché mi aiuta a ricordare fatti e avvenimenti del passato della mia città e quindi anche i miei. Oltre a questo c’è l’importante confronto con persone conosciute o no che fa compagnia e aiuta a continuare la vita.

Fabio Arrigoni: ...per me significa condividere parte di una nostra vita che non tornerà più, emozionandomi nel vedere una foto del passato insieme a persone nostalgiche come me.

(s. g.)

E’ passato poco più di un anno da quando ha preso il via il gruppo “Sei di Treviglio se ricordi...” e non si può far finta di dire che non

sia successo nulla. Infatti non può lasciare indifferenti il fatto che una piazza virtuale, composta da gente che neppure si conosce-va fino a qualche settimana prima, in quat-tro e quattr’otto si è organizzata e prodotto delle iniziative pregevoli, altre straordina-rie. Eventi che non sono stati organizzati solo per soddisfazione personale, ma per-ché la città ne godesse e vi partecipasse. Per ritrovare questo spirito, è necessario tornare agli anni ’60 e ’70 e ricordare le iniziative dei gruppi del cinema a passo ri-dotto e Super8, quindi alla moltitudine dei giovani del Circolo Artistico Trevigliese, quattrocento ragazzi che fecero di tutto: concorsi orchestrine, mostre di scultura e pittura, concorsi nazionali di cinema a passo ridotto, stagioni teatrali con le più grandi compagnie nazionali, addirittura una serata tutto il Clan Celentano al Filo-drammatici, poi Franco Parenti, persino Giorgio Gaber all’Ariston e molto ancora.

E’ forse tornato quello spirito, distrutto allora con l’arrivo del ‘68 e le divisioni politiche violente, ho c’è dell’altro? Certo neppure i protagonisti possono spiegarlo,

come non potevamo spiegarlo noi cin-quant’anni or sono, fa specie confrontare il distacco da quanti cercano la visibilità fine a se stessa in politica e chi, con con-

tinuità e senza ambizioni narcisistiche si spende per la città.

E’ una storia da studiare, capire, ma-gari iniziando a conoscere chi l’ha fatta nascere, così cerchiamo di intervistare il fondatore del gruppo, Massimo Tarasco, ma nicchia, si concede però per una foto. Il tipo è così, simpatico, schivo, forse un po’ timido, insomma ci “scarica” su Mu-rizio Burini. Arrivo in via Roma, entro nel negozio e lo “costringo” a rilasciarmi un’intervista.

Così finalmente ricostruisco la storia: il gruppo nasce a fine gennaio 2014, così come stava accadendo un po’ ovunque in Italia grazie ad una frase e un’idea che fece la differenza: “Se sei di...”. Tarasco aggre-ga subito gli amministratori: Francesco Zoriaco, Gabriele Anghinoni, Federica Motta e lo stesso Burini, che racconta.

“In quindici giorni eravamo già in tre-mila e continuavamo a crescere. Così arriva la prima iniziativa: stampare un

braccialetto di plastica con il nome del gruppo e raccogliere offerte per l’associazione ‘Come noi’. Poi arriva l’idea della salita al campanile, inizia-tiva complicata ma andata benissimo, con millecinquecento persone salite offrendo un contributo per l’acquisto delle due ambulanze per la Cri”.

La svolta vera, incredibile, nasce però con “Treviglio Vintage”, in esta-te. Doveva esserci una sfilata di vec-chie auto e Ivan Blini, appassionato di vecchie moto e motorette, si rende disponibile a collaborare. Da ciò, via via, un fiorire di aggregazioni di ogni tipo: appassionati di abiti d’epoca, tele-foni, radio, oggetti di cucina, da lavoro, di tutto e di più e in questo numero ne parliamo un po’.

E questo fiorire di iniziative può es-sere classificato solo come desiderio di una rinascita di vivacità e amore nel sentirsi comunità, ma in questo caso sostenuta da un’organizzazione tota-le, direi professionale di livello alto. E’ infatti raro trovare in un’iniziativa

Una piazza virtUale ma non troppodi Roberto Fabbrucci

Gruppi nati in Facebook interagiscono con la città, organizzando iniziative di qualità. Ma chi sono gli animatori di “Sei di Treviglio se...”, “Treviglio Vintage” e “Treviglio Amarcord”?

di volontari tanta qualità, sia nella scelta nei prodotti esibiti, che in ogni dettaglio. Una manifestazione d’alto livello, che se affidata ad un’azienda, non è detto che avrebbe avuto la stessa qualità e con costi insostenibili. E Ivan Blini è così “svizze-ro” nell’organizzazione che ha già iniziato a prepararsi da qualche settimana: “Perchè giugno è vicino”.

Questo il top prodotto dalla gente della rete, ma Maurizio Burini ricorda il resto, le varie collaborazioni e iniziative: la mar-cia dell’Avis, “Scodinzolando” dedicata ai cani, poi l’idea del Calendario e il con-corso alla ricerca delle 12 fotografie tra i membri del gruppo, una per mese, calen-dari poi distribuiti alla cena del 20 Dicem-bre, a beneficio della Cooperativa Insieme. Tutto un percorso che, via via, ha portato gli organizzatori a collaborare con l’Am-ministrazione comunale, il Distretto del commercio e associazioni varie.

Una cosa inno-vativa di questo gruppo, un po’ come i gruppi de-gli anni ’60, è che non chiede sov-venzioni, ma rac-coglie soldi per gli altri.

C’è poi il terzo gruppo, più “an-tico” e più spe-cifico, si tratta di “Treviglio Amar-

cord”, luogo nel quale Virginio Monzio Compagnoni e quanti hanno materiale in archivio, mette in rete vecchie immagini di ogni tipo. Così appaiono cartoline e foto di una Treviglio scomparsa e mai vista, pagi-ne di vecchi libri e giornali. Insomma un mondo tutto da sfogliare, ma ne parleremo meglio il prossimo mese.

Facebook/Trevigliesi in rete

Da sinistra: Massimo Tarasco, quindi Ivan Blini in compagnia di Silvio Gelmi e Alessandro Oggionni. Sopra Maurizio Burini e sua moglie, sotto una caricatura di Blini e quindi Virginio Monzio Compagnoni.

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14 - la nuova tribuna - Febbraio 2015 Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 15

Treviglio che cambia

C’era una volta Treville. Oggi ci sono tre realtà: dinamicità, attua-lità e visibilità. Treviglio sta cam-biando, sta al passo con i tempi e

lo fa per se stessa e per il futuro dei propri cittadini. Inutile nasconderlo, anche Trevi-glio ha risentito della crisi. È stata colpita su vari fronti, dal punto di vista economico a quello sociale, politico e persino cultu-rale. Nonostante ciò ha cercato di rispon-dere con grinta concretizzando varie idee e proposte finalizzate, almeno all’inizio, a supportare l’umore generale. Che poi i ri-sultati siano stati maggiori di quanto ci si aspettasse, è un altro discorso.

Il desiderio di dare una svolta si è ani-mato dal basso, dalle strade della città. Passeggiando e dialogando è emerso un disagio comune, disagio che ha dato vita al desiderio di mettersi in gioco. Non è una sfida competitiva ma di collaborazione: amministrazione, commercianti, cittadini hanno fatto gruppo, nel vero senso della parola. Parlare di “Sei di Treviglio se ricor-di…”, gruppo originato da Massimo Ta-rasco, o di “Treviglio Vintage” sarebbe ripetitivo. Lo stesso primo cittadino Beppe Pezzoni (Foto) dichiara di apprezzare mol-to quanto questi gruppi stanno facendo per

del miracolo a Trevigliopoesia per citarne solo due) si valorizza un’intera città che, finalmente, dopo decenni di attesa, tor-na ad avere disponibile il suo cuore, una piazza Garibaldi che si sviluppa anche al primo piano dell’edificio ex-UPIM e si apre alla novità finora inattesa del TNT e degli spazi espositivi che presto verranno resi disponibili”. In sostanza cosa è cam-biato in questi mesi?

“..sta generando effetti positivi, un ri-lancio dell’attrattività trevigliese e di riflesso, sulla sua struttura economico-commerciale. Dai numeri mi pare di poter evidenziare che una sapiente comunica-zione e soprattutto -continua il sindaco- una promozione “virale” delle iniziative di cui si sottolinea il carattere partecipato e l’entusiasmo dei protagonisti, sta aiu-tandoci a farci percepire come città viva e nuova, capace di appassionare e di ge-nerare interesse. Un percorso che inten-diamo proseguire, garantendo la dispo-nibilità alla collaborazione che abbiamo dimostrato in questi anni”.

Cambiamo ora ottica. Scendiamo per la strada e facciamo un breve sondaggio: fermiamo un campione di soggetti, non me ne vogliano gli studiosi, rappresentante la fascia giovane. Per una buona percentua-le, silenzio stampa disarmante. Cosa ne è stato di tutti gli eventi? Treviglio Vintage, inventato dalla mente pirotecnica di Ivan Blini, aveva visto un gran numero di ade-sioni, il Capodanno in Piazza aveva riscos-so un successo notevole, Treviglio di cioc-colato aveva affascinato tutti, la Stagione musicale sta coinvolgendo ogni fascia di età. E ancora prima di tutto questo le ini-ziative sportive quale l’onore di ospitare la Nazionale Italiana di Pallavolo per un’a-michevole avevano altamente promosso l’idea di un risorgimento trevigliese.

La verità è che, nonostante il progresso stia muovendo i suoi primi passi, viviamo nella società del “tutto e subito”, ma chi si mette realmente in gioco? Chi crede che le cose vadano conquistate con dedizione

C’erano una volta tre ville, adesso...a cura di Silvia Giardina

L’avvento dei social network e con ciò la condivisione istantanea di progetti e idee, ha fatto nascere eventi di alta qualità come Treviglio Vintage, ideato all’interno del gruppo Facebook “Sei di Treviglio se...”

la nostra città: “È la traduzione del desi-derio amministravo di farsi ‘compagni di viaggio’ dei cittadini. Per il tramite della strutture dell’amministrazione comunale, ma anche del distretto del commercio, co-struiamo insieme un calendario di oppor-tunità e di incontri. Nello sforzo condiviso per nuove manifestazioni e nella conferma e revisione di alcuni appuntamenti ormai consolidati (dalla rievocazione storica

e passione, passo dopo passo. È vero, per i giovani le iniziative posso essere anco-ra limitate ma nessuno vieta loro di farsi avanti, di promuovere e metterci la faccia.

Rettifico. C’erano una volta tre ville. Ci sono oggi due fazioni: chi crede nello svi-luppo e chi pretende il progresso.

Parliamo della prima. In questo caso Treviglio è fortunata. Il Comune, l’Asses-sorato, il Distretto del Commercio e le Botteghe hanno supportato le iniziative dei gruppi dei social network trovando in Gabriele Anghinoni una figura di fiducia, capace di farsi voce delle esigenze di tutti grazie anche alla cerchia di validi collabo-ratori che si è creato. Rispondiamo a chi vede tutto nero. Un miglioramento in real-tà c’è. L’aria di “finalismo” che aleggiava qualche mese fa sta scemando lasciando posto all’idea, come dice Gabriele Anghi-noni stesso, che “se ben si semina, allora ben si raccoglierà”. Già il fatto di non sen-tirsi soli e avere la consapevolezza che la Città è in ascolto, è un vero balzo in avanti.

Una bella foto di gruppo di “Treviglio Vintage”, a destra Ivan Blini, ideatoe e organizzatore dell’evento. Sotto a sinistra, il sindaco di Treviglio Beppe Pezzoni, a destra Gabriele Anghinoni, la ‘cerniera’ tra le botteghe e gli animatori dei gruppi Facebook

Sei di Treviglio se ricordi... e nasce Treviglio VintageÈ come se personaggi d’altri tempi

fossero usciti da un album fotogra-fico e avessero portato con sé tante

emozioni e ricordi. Quanto si è svolto lo scorso giugno non è stato un festival e tantomeno una mostra, ma l’occasione per aprire e rivivere quello che ormai fa parte del cassetto dei ricordi. Dal momento però che vivere di soli ricordi e nostalgie non è possibile, ...signori e signore, tiriamo fuori vestiti, telefoni, radio, biciclette, moto, auto e qualsiasi altro oggetto vintage, quindi uniamo “vecchio” e nuovo in uno sfondo in cui gli oggetti cambiano ma le persone restano sempre le stesse. Parliamo dei trevigliesi, della nostra Città e di quei 21 e 22 giugno 2014 che, dopo mesi, ricorda “Treviglio Vintage” ancora come un fiore all’occhiello, un evento che ha ispirato e che ispira tutt’ora tante iniziative.

In questa storia non c’è solo un protago-nista, Ivan Blini, ideatore e coordinatore dell’evento, ma c’è una città viva che ha accolto l’idea di dar vita a “un raccoglitore di ricordi. Un album composto di immagi-ni, aneddoti, detti, fatti e persone del tempo non troppo passato”. Si tratta di un gruppo nato sul social network FaceBook che nel giro di poco tempo ha fatto parlare di sé anche al di fuori del contesto virtuale: “Sei di Treviglio se ricordi...”, gruppo fondato da Massimo Tarasco, ha guadagnato la stima di molti raggiungendo oltre 3.500 iscritti, cifra che su una popolazione di poco meno 30.000 anime è di per sè eloquente.

Ivan Blini ha deciso di coinvolgere pro-prio tutti, abbracciando una vasta gamma di passioni, dallo sport all’arte, dal sociale al

servizio pubblico.Il risultato è stato un’immersione a

trecentosessanta gradi. Ogni angolo, ogni via e ogni piazza erano stati trasformati in un’altra epoca, i gloriosi anni ’60 e ’70 popolavano in ogni aspetto della vita quotidiana. Per chi li ha vissuti è stato senza dubbio un motivo per sorridere, per rievocare bei ricordi passati e per i più giovani, invece, un’occasione per arricchirsi in modo alternativo, per sentirsi più vicini alle generazioni passate e apprezzare lo sviluppo tecnologico e non solo.

Dal grande successo dello scorso anno, stanno già nascendo nuove idee per ripro-porre la “corsa contro il tempo”. Si pensa di ricreare quella Treviglio da cartolina ancora una volta e farne tradizione. Le date previste sono aumentate, si tratta del 12 -14 giugno 2015, date che aspettano tuttavia ancora una conferma.

Treviglio ha sempre avuto la tendenza a differenziarsi e a farlo in modo altamente unico: rispolverare il vintage ci permette di immergerci in anni poetici passati che creano un certa “nostalgia” anche in chi non li ha potuti vivere concretamente. Sono anni avvolti da un fascino particolare, forse per mito o per utopia o per la loro semplici-tà, ma rimane il fatto che piacciono proprio a tutti.

Su uno sfondo di “Please please Me”, rombino le Harley e si cotonino vertigi-nosamente i capelli, …perché se “una Treviglio così non l’avevamo mai vista”, quest’anno siamo pronti a vederla al doppio dello splendore!

S.G.

Come nasce un evento

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16 - la nuova tribuna - Febbraio 2015 Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 17

Le cronache riportano l’attenta indagine storica effettuata ed il lavoro di restauro necessario per restituire ad elmo e spada l’aspet-

to originale avvilito dalla patina rugginosa che ne velava le pregevoli finiture degli ar-maioli del tempo; quindi chiediamo lumi a Franco Pellaschiar, presidente onorario dell’Associazione Trevigliese Amici del Santuario.

“In effetti da diverse decine di anni no aveva subito interventi conservativi. Inol-tre nei secoli passati aveva subito inter-venti impropri quali forature ingiustificate e addirittura una saldatura maldestra; tra l’altro è andata perduta la ‘guancia’ sini-stra di cui rimane la traccia della cerniera rotta. Comunque già dai primi test si era-no evidenziate decorazioni a bulino molto pregevoli”.

Sono rappresentativi dello stile di altri manufatti militari dell’epoca?“Non ci sono dubbi: l’elmo ha le ca-

ratteristiche dei ‘caschi da cavallo’ detti ‘Burgognotte’, che erano diffusi in Euro-pa nella prima metà del XVI° secolo; vedi esempi coevi di caschi tedeschi, francesi e dei Paesi bassi. Tra l’altro ci risulta che i nostri due cimeli furono esposti nel 1939 alla ‘Mostra di Leonardo da Vinci’ tenuta nel Palazzo dell’Arte di Milano. Altra cu-

Treviglio/Il simbolo della festa patronale

L’eLmo di Lautrec, storia di un restauroIl Dr. Franco Pellaschiar, dell’Associazione Amici del Santuario (Atas), curò il restauro dell’elmo e della spada, testimonianza del “miracolo” della Madonna delle Lacrime di Treviglio e della festa patronale

riosità, circolavano dubbi sulla loro effet-tiva appartenenza al generale Lautrec, ma dirò che, affinando il recupero della con-dizione originale sia dell’elmo che della spada, sono affiorati elementi decorativi che ne consentono senz’altro l’apparte-nenza a un ufficiale di rango dell’esercito francese di Francesco I°. L’ottima mano delle incisioni a bulino sull’elmo e l’impu-gnatura della spada, con riporti a intarsio

di madreperla, giustificano questa affer-mazione. Inoltre sulla lama, a ridosso dell’elsa, per un’estensione di circa dieci centimetri, sono riportate incisioni di fi-gure allegoriche, purtroppo molto usurate dalla ruggine, inquadrate in una cornice incisa a bulino, dove in un punto si intra-vedono alcune tracce di caratteri con la parola ‘Spor’ che però, al momento, non ci consente di confermare un’attribuzio-ne. Sulle due facce della lama (lunga 90 centimetri) sono incisi, alla stessa distan-za dall’elsa, due marchi che potrebbero consentire di risalire allo ‘spadaro’. An-che questa è una ricerca che pensiamo si potrebbe fare.

Non è comunque ipotizzabile una ri-

che e gli strumenti utilizzati?“L’operazione principale è stata la ri-

mozione degli strati di ruggine che impe-divano la lettura dei dettagli decorativi e l’aspetto originale dei due cimeli; quasi certamente l’ultimo intervento di somma-ria pulizia era stato quello effettuato in occasione dell’esposizione del 1939. Infat-ti l’elmo lo si ricorda di un colore bruno-ferroso diffuso, ed anche la lama della spada aveva una spenta patina anonima.

Siamo intervenuti con prudenza effet-tuando dei test su alcuni punti significati-vi per valutare tecniche e strumenti adatti ad affrontare l’impegnativo lavoro: una prima rimozione degli strati di ruggine è stata effettuata con paglietta; poi, per le parti lavorate e incise a bulino, si è pas-sati all’utilizzo di minuscole spazzole e pennellini rotanti in fili di ottone (Attrez-zi Dremel). Infine un ultimo passaggio di finitura con paglietta a maglia fine sulle varie parti dei due cimeli. Un lavoro da certosino, centimetro per centimetro, con tanta pazienza”.

Una volta recuperata la configurazio-ne originaria di elmo e spada, si tratter-rà di trovare il modo di garantirne la durata nel tempo.

“Anzitutto sono stati effettuati dei test preliminari applicando il trattamento spe-rimentale su materiali ferrosi arrugginiti datati di qualche secolo ed accuratamente ripuliti dalle patine rugginose. Sulla base degli ottimi risultati ottenuti dall’applica-zione del trattamento chimico sperimen-tale, siamo passati a ripetere l’operazione sui due cimeli ripuliti dalle incrostazioni di ruggine con le modalità sopra riportate.

Praticamente è stata applicata a caldo una soluzione di paraffine in un solvente volatile, nel nostro caso n-esano. La bassa viscosità della soluzione predisposta con-sente una penetrazione spinta nelle poro-

sità del metallo; nel giro di una decina di ore, evaporato completamente il solvente, rimane un film ceroso compatto, perfetta-mente incolore e trasparente, in grado di assicurare una valida protezione dall’ag-gressione atmosferica per un tempo inde-terminato.

E’ risaputa l’inerzia chimica e la non degradabilità (inossidabilità) delle paraf-fine a temperatura ambiente; oltretutto precisiamo che un intervento di questo ge-nere è reversibile in quanto è facile la sua completa rimozione al momento in cui le tecnologie rendessero disponibili sistemi di protezione più efficaci”.

So che se ne è occupato direttamente

produzione in copia realizzata in secoli successivi; su questo argomento riman-derei anche alle perizie del secolo scorso riportate nella ‘Storia di Treviglio’ di don Piero Perego e Ildebrando Santagiulia-na (Pag. 368)”.

In che cosa sono consistiti gli interven-ti di restauro realizzati per conto della associazione Amici del Santuario, quali i problemi incontrati, le modalità tecni-

cate a grande attenzione per le manualità operative, ai materiali ed alle tecnologie che spesso, nell’industria chimica delle resine e dei prodotti vernicianti, hanno punti in comune con gli studi ed i progetti di restauro di opere d’arte. E qui si attiva-va e memorizzava una curiosità culturale che poi innescava sfide a mettere a punto, nel mio piccolo, sperimentazioni magari inedite”.

Molto interessante, può farmi qualche esempio pertinente?

“Tralascio naturalmente le piccole ma-nualità e le riparazioni domestiche che tutti conosciamo e cito un interessante in-tervento conservativo per la salvaguardia di alcune strutture lignee nella chiesa di S. Pietro in Civate (Monumento naziona-le), che mi impegnò nelle vacanze di due estati; poi una sorta di scommessa con un antiquario in un’operazione di recupero di stampe settecentesche, malamente tinteg-giate da un dilettante.

E ancora il riassemblaggio dei cocci di un’antica ceramica della vecchia Lodi, re-alizzato impastando le resine leganti con adeguati pigmenti in tinta; o ancora il re-stauro della rilegatura malmessa di una preziosa edizione d’arte ottocentesca.

C’è stata anche la messa a punto della disincrostazione e della pulitura di alcuni reperti ceramici provenienti da una necro-poli … piccole sfide, comunque con risul-tati soddisfacenti.

Potrei citare poi le indagini chimico-fisiche su oggetti di antiquariato mino-re per acquisire elementi di valutazione sull’autenticità e la datazione del pezzo: le cito ad esempio che supposti bronzetti nuragici, apparentemente credibili nella fattura e per la patina, ai test rivelarono avere una composizione in lega di rame e zinco esattamente corrispondente a quel-la delle attuali rubinetterie per bagno. Ma queste sono altre storie”.

Grazie al dottor Pellaschiar, lo distur-beremo presto per parlare dei restauri del magnifico organo del Santuario.

lei dott. Pellaschiar e questo meraviglia un po’, soprattutto che se ne sia occupato di sua mano, ovvero mi incuriosisce un po’ questa sua attitudine alla manualità.

“Le dirò che mi considero un po’ un tecnologo in ragione della mia pluride-cennale attività in ruoli operativi nell’in-dustria chimica e impiantistica. I contatti professionali mi hanno dato opportunità di esperienze diversificate, sempre affian-

A sinistra e sotto due immagini fornite dell’elmo e la spada dopo il restauro. Sopra tre immagini di Enrico Appiani scattate durante la rievocazione storica del Miracolo della Madonna delle Lacrime. Sotto il dott. Franco Pellaschiar

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18 - la nuova tribuna - Febbraio 2015 Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 19

“Come prepariamo l’accoglienza expo”di Daria Locatelli

La Media Pianura Lombarda diverrà un nodo cruciale a ridosso del grande evento fieristico. Ecco un’iniziativa che vuole sfruttare al meglio l’occasione per far conoscere al mondo le ricchezze del territorio

Una posizione strategica quella della Media Pianura Lombarda in vista di EXPO 2015. Grazie alle reti autostradali, ferroviarie

e alla vicinanza agli aeroporti, Treviglio ed i comuni limitrofi saranno velocemente raggiungibili dai milioni di visitatori attesi al sito espositivo di Rho.

Come poter cogliere al meglio un’occa-sione così importante per il territorio?

Una risposta ci viene fornita da “Acco-glienza e ospitalità nella Media Pianura Lombarda”, un progetto promosso dall’as-sociazione Pianura da scoprire, dall’Istitu-to Statale di Istruzione Superiore Zenale e Butinone” di Treviglio e da Pro Loco - Uf-ficio IAT di Treviglio e Comprensorio.

La proposta nasce innanzitutto dall’esi-genza di sopperire ad una carenza struttu-rale della capacità ricettiva del territorio che, pur essendo un crocevia strategico a livello infrastrutturale, rischia di non sfruttare al massimo questo vantaggio. Da qui l’idea di potenziare l’ospitalità nella Media Pianura Lombarda (MPL), dando modo sia ai visitatori che agli operatori impegnati presso il polo espositivo di po-ter alloggiare non solo presso le strutture alberghiere presenti, ma anche in alloggi e case messi a disposizione dagli abitanti

Intervista con Bruno Brambilla

conoscenza del progetto e approfondirne i dettagli, organizzeremo anche dei semi-nari a tema, come EXPO a un passo da qui in programma il prossimo 9 marzo presso il Teatro Nuovo di Treviglio”.

“L’idea di promuovere questa iniziativa -prosegue Bruno Brambilla- nasce non solo dalla volontà di superare il deficit ricettivo del nostro territorio in vista di EXPO 2015 e di contribuire alla messa in circolo del patrimonio abitativo inuti-lizzato a causa della crisi economica, ma anche da motivazioni di tipo socio-cultu-rale legate al programma di valorizzazio-ne e di sviluppo turistico sostenibile della Media Pianura Lombarda. Tutto questo, infatti, sollecita anche la mobilitazione di saperi e competenze diffuse, tra cui l’ec-

cellenza nella produzione di beni e servizi tipici”.

EXPO si rivela, infatti, un’opportunità senza pre-cedenti per dare risalto all’offerta turistica del ter-ritorio, ricco di luoghi di interesse, produzioni tipi-

che, attrattive culturali e tradizioni gastro-nomiche che, se adeguatamente promosse, possono essere rese note ed indimenticabi-li a tutti coloro che avranno modo di poter-le conoscere ed apprezzare.

Uno dei punti focali di “Accoglienza e ospitalità nella Media Pianura Lombar-da” è la creazione di eventi di richiamo an-che a livello internazionale ed una sapiente campagna marketing che vede la promo-zione diffusa mediante siti internet ad hoc, app, social network, articoli su riviste spe-cializzate e collegamento con altre inizia-tive aventi come tema EXPO 2015.

“Il nostro intento -aggiunge Bruno Brambilla- è quello di stimolare il contat-to con paesi diversi, ampliando la capa-cità di comunicazione e di mobilitazione delle iniziative locali. Vogliamo offrire anche l’occasione di esperienza sul cam-po a giovani studenti, proponendo un mo-dello innovativo di sviluppo economico e

occupazionale mediante la valorizzazione delle risorse già presenti sul nostro terri-torio”.

Il cercare di porre in evidenza le ricchez-ze umane e naturali della Media Pianura Lombarda è da sempre una delle mission di Pianura da scoprire (www.pianurada-scoprire.it). L’associazione, nata nel 2009 per iniziativa congiunta dei comuni di Tre-viglio e Caravaggio ed attualmente parte-cipata da 46 Comuni, dai Parchi dell’Adda e del Serio e da 11 fra enti e aziende pri-vati, ha come scopo statutario la realizza-zione di un programma integrato di va-lorizzazione socio-turistica e di sviluppo sostenibile del territorio.

“L’associazione -descrive il Presidente- si prefigge la promozione di offerte turisti-che adeguate alla MPL e la creazione di mezzi che sappiano mettere in luce tutta l’attrattività che la nostra terra possiede, ma che può rimanere inosservata se non adeguatamente comunicata”.

Tra i vari obiettivi lo sviluppo della mobilità dolce, impegnandosi nel coordi-namento della realizzazione di una rete ciclabile sul territorio della Media Pianura Lombarda e nella sensibilizzazione rispet-to a questa tematica. Oltre a ciò, l’associa-zione è impegnata nella creazione di un piano di marketing che prevede l’istituzio-ne di un marchio territoriale della MPL, lo sviluppo di un sito internet con possibilità di realizzare itinerari personalizzati, l’in-stallazione di monitor informativi presso i Comuni e gli enti associati, nonché la pro-mozione degli eventi in programma.

Tutto questo ha lo scopo di far emergere la potenzialità di un territorio che ha molto da offrire, ma le cui bellezze rimangono spesso in sordina, in primis a coloro che vi abitano.

Ecco allora che EXPO 2015 diventa lo stimolo per far riemergere le ricchezze della pianura e presentarle adeguatamen-te a coloro che possono imbattersi per la prima volta in una terra che ha molto da offrire e che attende solo di poterlo fare.

e dalle istituzioni. L’ospi-talità occasionale prevede il coinvolgimento di Co-muni, enti, tour operator, associazioni e tutti quei cittadini che si dimostrino disponibili ad ospitare una o più persone nella pro-pria abitazione. “Questo progetto - spiega Bruno Brambilla, Presidente di Pianura da scoprire - contribuisce alla crescita culturale e all’integrazione delle comu-nità e degli enti coinvolti, valorizzando le risorse sociali già presenti nel territorio”.

Il dialogo ed il coinvolgimento di tutti gli operatori territoriali e, in primis, dei cittadini è una peculiarità di questa inizia-tiva.

Nel corso dei mesi di ottobre e novem-bre 2014, infatti, l’Istituto Statale Supe-riore Zenale e Butinone, in collaborazio-ne con la Pro Loco e Pianura da scoprire, ha condotto un’indagine conoscitiva tra la popolazione di Treviglio e comuni limi-trofi. “I questionari - testimonia Bruno Brambilla - ci vengono tuttora inviati in associazione dai cittadini, segno di come il progetto riscontri un notevole interesse da parte degli abitanti. Proprio per dare modo a più persone possibili di venire a

guai perdere questa occasione storicaIl Direttore del Padiglione Italia di Expo, Cesare Vaciago, ospite del Lions Treviglio Host, ha ricordato che le occasioni offerte da questa manifestazione dureranno nel tempo. Se si sapranno cogliere adesso...

Il Direttore Generale del Padiglione Italia di Expo 2015, l’ing. Cesare Va-ciago, è stato recentemente ospite del Lions Club Treviglio Host, presso la

loro sede dell’Hotel Belvedere Tre Re di Misano Gera d’Adda. Un incontro voluto dal presidente arch. Vittorio Pagetti, che ha coinvolto i sindaci della zona e i pre-sidenti della Bcc di Treviglio Giovanni Grazioli e di Caravaggio, Carlo Mango-ni.

Tema d’obbligo l’Italia, l’alimentazio-ne, l’Expo e i suggerimenti per sfruttare questa occasione storica. L’Ing. Vaciago, uomo di grande cultura, ha ricoperto in-carichi prestigiosi e impegnativi, come direttore generale del Comitato per l’or-ganizzazione dei XX Giochi olimpici in-vernali di Torino 2006, tra gli organizza-tori delle celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia. Esperienze professionali iniziate da dirigente dell’Olivetti e via via somma-tesi agli incarichi dirigenziali nel Censis, all’Isfol, alla Montedison, poi Fs, Poste italiane, spesso ricoprendo in questi enti e società l’incarico di Direttore Generale. Ultima tappa prima dell’Expo, City Mana-ger da 1998 al 2013 del Comune di Torino.

Nella brillante relazione, Cesare Vaciago ha evidenziato le radici che hanno portato l’Italia e gli italiani ad essere ciò che sono, un popolo che fonda le sue radici in un territorio fortunato ma difficile. Fortunato per il clima, difficile per la conformazione morfologica e geografica. Ovvero il clima giusto per ottenere il meglio dall’agricoltu-ra, ma solo se l’uomo riusciva a risolvere i problemi dovuti alla morfologia del terre-

Expo/Opportunità

Il presidente del Lions Club Treviglio Host, arch. Vittorio Pagetti. Sopra l’ing. Cesare Vaciago durante la relazione

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20 - la nuova tribuna - Febbraio 2015 Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 21

no, inclinato, oppure scosceso, alluvionale, ecc. Questo per chiarire che l’italiano, in generale, ha una caratteristica accentuata rispetto a quella di altri popoli: la capacità di saper risolvere i problemi difficili. Da queste caratteristiche poi, a caduta, ciò che siamo; bellezza, arte, moda, tecnologia, ma soprattutto varietà e qualità del cibo.

“Qualsiasi prodotto italiano i cinesi o gli indiani possono copiarlo, rifarlo, ma due cose non potranno mai copiare: la bellezza dell’Italia, i suoi paesaggi, la sua storia, quindi l’arte e l’architettura e la cucina. La migliore del mondo”.

Come sfruttare l’Expo? “Creando ospi-talità e organizzandosi. Alberghi, pen-sioni, alloggi e pacchetti di visite orga-nizzate. Con questo far uscire il turismo internazionale dal consueto triangolo Ve-nezia, Firenze, Roma”.

Per concludere una sottolineatura sul “bed and breakfast”, il modo più facile per captare i milioni di visitatori che ar-riveranno. “La cosa più importante” ha poi sottolineato l’ing. Vaciago “è capire che il turismo che si riuscirà a far arri-vare, anche qui nella Gera d’Adda, sarà un patrimonio che rimarrà, ritornerà e si amplierà. L’importante, anche se è tardi, tentare di captarlo”.

Al termine della relazione, supportata da diapositive specifiche, alcuni soci lions e ospiti hanno posto domande, permettendo così all’ing. Vaciago di meglio sottolinea-re alcuni aspetti che hanno incuriosito la platea.

Ospiti, come dicevamo, alcuni sindaci, che hanno seguito con particolare inte-resse la conferenza, permettendo loro di confrontare quanto esposto con l’orga-nizzazione, invece, approntata dalle varie comunità locali. Erano presenti i sindaci Giuseppe Prevedini (Caravaggio), Bea-trice Bolandrini (Brignano), Aldo Blini (Calvenzano), Mauro Faccà (Casirate), Gabriele Riva (Arzago). Inoltre Pieran-gelo Bertocchi vice-sindaco di Pontirolo e Giancarlo Fumagalli consigliere comu-nale delegato dal sindaco di Treviglio.

aprire un Bed and Breakfast é faciledi Giorgio Vailati

Aprire un B&B in una città come Treviglio può essere un affare. La vicinanza con Milano e “la fame” di ricettività, assieme al Passante Ferroviario e all’autostrada, possono fare la differenza

L’Expo è ormai arrivato e si ha l’impressione che si sia perso il treno per sfruttare questa occa-sione unica e irripetibile. Infatti

il problema dell’accoglienza c’è oggi con l’Expo, ma continuerà anche nel futuro per Treviglio, se non altro perché siamo un luogo accogliente alle porte di Mila-no. Abbiamo poi il terminale del Passante Ferroviario che porta anche a Novara e a Rho, poi abbiamo due caselli autostrada-li e gli aeroporti di Orio e Linate sono a venti minuti. C’è soprattutto una richiesta formidabile di alloggio, di accoglienza, per supplire agli alti costi di Milano, argo-mento che si affronta nel riquadro a lato. Avendo la città e la zona innumerevoli al-loggi sfitti, qualcuno potrebbe pensare di aprire un’attività economica interessante e remunerativa. Il bed and breakfast ha per-messo e permette, anche a chi ha dei mezzi economici ridotti, di viaggiare più spesso e più a lungo. In queste occasioni poi, si apprezzano i rapporti umani genuini e si cerca di entrare in contatto con lo stile di vita del luogo. Ovvero aprire un B&B si-gnifica poter beneficiare di una “entrata” economica in più, aprirsi al mondo esterno con la voglia di condividere esperienze tra-smettendo l’amore per il proprio territorio.

Come aprire un B&BSecondo le Norme Regionali in vigore,

costituiscono attività ricettive a conduzio-ne familiare, Bed and Breakfast, le struttu-re gestite da privati che, avvalendosi della loro organizzazione familiare, utilizzano parte della propria abitazione per ospita-re persone. Questo con periodi di apertura annuali o stagionali, con un numero di ca-mere e letti limitati, sulla base di leggi e re-golamenti specifici. Quindi la prima cosa

è consultare la legge regionale in materia che si rifà alla Legge nazionale 29 Marzo 2001 n. 135, pubblicata sulla Gazzetta Uf-ficiale n. 92 il 20 Aprile 2001.

Successivamente bisogna accedere allo sportello SUAP del Comune di pertinenza per ritirare la modulistica necessaria per la Dichiarazione di Inizio Attività. La SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attivi-tà), è la nuova procedura che sostituisce la DIA (Denuncia di Inizio Attività). Il van-taggio offerto dalla SCIA, è che l’apertura della struttura ricettiva è immediata.

Requisiti dell’alloggioE’ prevista una superficie minima in rap-

porto ai posti letto e può essere chiesta la presenza di alcuni arredi di base. Gli ospiti devono poter accedere alla propria stanza senza attraversare altre camere da letto, oppure servizi destinati alla famiglia o ad altri ospiti.

Anche i bagni devono offrire attrezzatu-re minime (vasca da bagno o doccia, spec-chio con presa di corrente, lavabo, water, etc.). Almeno un bagno deve essere ad uso esclusivo degli ospiti quando viene supera-to un certo numero di camere o posti letto.

Di norma viene chiesta la pulizia quo-tidiana dei locali, mentre il cambio del-la biancheria può avvenire con cadenza diversa (ad esempio, almeno due volte alla settimana) e sempre ad ogni cambio dell’ospite.

L’alloggio deve avere da 3 a 6 camere (i requisiti variano da regione a regione) de-bitamente arredate con letto, armadio, co-modini, lampade, sedie, cestini getta carte, per un massimo di 6/20 posti letto (i requi-siti variano da regione a regione).

Per rispettare il carattere saltuario dell’attività è prevista un’interruzione di un certo numero di giorni (il numero varia da regione a regione), anche non consecu-tivi, nel corso dell’anno. In questo caso non serve l’apertura della partita IVA.

I requisiti minimi richiesti per l’apertu-ra di un B&B sono: 14 mq per la camera doppia, 8 mq per la singola, conformità

alle norme si sicurezza degli impianti elet-trici, a gas, di riscaldamento, rispetto delle norme igieniche ed edilizie. Anche questi possono subire delle variazioni da regione a regione.

Di norma viene richiesto anche che il ti-tolare del B&B abbia la residenza (o il do-micilio durante il periodo di apertura del B&B) presso la struttura. Alcune Regioni consentono però la residenza anche in altri immobili vicini alla struttura ed è comun-que sempre richiesta la reperibilità.

Il servizioDovrà essere accurato avvalendosi della

normale organizzazione familiare e for-nendo, esclusivamente a chi è alloggiato, cibi e bevande confezionate per la prima colazione, senza alcun tipo di manipola-zione. Questo non significa che si debbano servire solo alimenti confezionati indu-striali né che l’inderogabilità a questa re-gola sia assoluta.

La colazioneNel servizio di B&B, la prima cola-

zione è sempre compresa, ma le Regioni prevedono modalità di somministrazione diverse. In genere è prevista la sola som-ministrazione di prodotti senza manipola-zione (eventualmente solo riscaldati). In alcuni casi, poi, è richiesto che i prodotti provengano dal territorio regionale. Il di-vieto di manipolazione dei prodotti è limi-tato esclusivamente al gestore, qualora non abbia le autorizzazioni igienico-sanitarie di legge, ma ciò non toglie che è possibi-le acquistare e servire prodotti manipolati da chi ha tutte le autorizzazioni igienico-sanitarie del caso.

I prezzi e norme PsI prezzi applicati devono essere comu-

nicati all’ente indicato dalla Regione ed essere esposti all’interno della struttura. Anche i B&B come le altre strutture ricet-tive, sono tenuti a comunicare alla locale autorità di Pubblica Sicurezza le generalità degli ospiti.

Expo/Opportunità

Anche senza Expo sarebbe un business Ne abbiamo accennato nello

scorso numero. Per chi non abita in un paese o un piccolo

centro come il nostro, le distanze tra la residenza e il luogo di lavoro, studio o svago, sono percepite in modo molto diverso. Questo per dire che Treviglio se avesse capacità di ospitare, potreb-be diventare un luogo dove i giovani non avrebbero più necessità di fare i pendolari, o addirittura cercare lavoro all’estero. Infatti, la distanza che oggi abbiamo con Milano, ma anche con il resto dei luoghi interessanti della Lombardia, è ridicola ed è media-mente sotto i 60’. Senza insistere sui numeri, fate mente locale sui tempi di percorrenza -con il Passante Ferrovia-rio o l’autostrada- per arrivare a Lina-te, Orio, Milano, Bergamo, Brescia, Novara, Rho Fiera o Gardaland.

Perchè dunque abbiamo 1400 ap-partamenti nuovi da vendere quando Treviglio ha tutte le caratteristiche per diventare un luogo dove ospitare studenti universitari, turisti per svago o d’affari, parenti di malati ricove-rati nei nostri ospedali o in quelli di Milano? Spulciando a caso su internet, trovo che un appartamento di 75 mq, nelle zone di Città Studi, Lambrate, Udine, Loreto, costa 950 euro al mese. In Porta Romana, Viale Monte Nero e Via Maffei, un appartamento di 60 mq costa 1.200 euro. A Treviglio i prezzi, invece, vanno dai 350 ai 600 euro al mese. Calcolando tre studenti per un appartamento simile, significa che potrebbero spendere -anzichè dai 300 ai 400 euro al mese- dai 100 ai 200 a testa, che fanno la differenza.

Immaginiamoci dunque un B&B, ma anche un albergo, adeguato ai tempi e con non meno di 100 camere, che ruolo potrebbe avere nell’econo-mia locale.

Abitare a Treviglio

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quando l’eccellenza alimentare è regolaa cura di Cristina Signorelli

Il Distretto Agricolo della Bassa Bergamasca vanta prodotti di alta qualità con marchio Dop. I punti di forza sono i formaggi, il melone di Calvenzano, la patata di Martinengo e molto altro ancora

Una realtà territoriale, delimitata da confini naturali, con produ-zioni caratteristiche legate alla terra, un tessuto sociale e una

tradizione culturale omogenei costituisce un bene prezioso da valorizzare in tutte le sue componenti e, proprio in accordo a tale principio e con il fine di salvaguardare gli aspetti caratteristici di questa terra, si è costituito il Distretto Agricolo della Bassa Bergamasca.

Nel 2012, dopo circa due anni trascorsi ad espletare tutte le fasi della procedura di accreditamento, la Regione Lombardia ha deliberato la costituzione del Distret-to della Bassa Bergamasca identificando la Pianura della Provincia di Bergamo, dove hanno sede 42 Comuni e vivono oltre 250.000 abitanti, quale area ad omogeneità geografica, rurale ed agro-alimentare.

Giovanni Malanchini, Sindaco di Spi-rano che è stato il Comune capofila nella presentazione della richiesta di riconosci-mento, ricorda : “Come Comune avevamo avviato uno studio preliminare per il pro-getto di una fattoria didattica insediata nel nostro circondario, e nel procedere dell’analisi abbiamo appurato che l’inte-ra area aveva le caratteristiche morfolo-

In vista dell’Expo/Tesori di Gera d’Adda

giche, la rappresentatività del territorio e le produzioni particolari adatte ad essere configurata quale distretto agricolo”.

Un importante punto di forza di questa realtà è costituito dalla produzione in loco di ben 5 formaggi a marchio Dop oltre a due prodotti di qualità che sono il melone retato di Calvenzano e la patata di Marti-nengo. Sottolinea il Sindaco: “L’adesione del Consorzio Tutela del taleggio è stata determinante al successo dell’iniziativa, dato l’apporto dei loro prodotti Dop, che sono: taleggio, salva, provolone, gorgon-zola e grana”.

Oggi gli stessi prodotti possono fregiarsi anche del marchio del Distretto, che for-nisce ulteriore pregio ai lavorati, con la garanzia che l’intera filiera corta ha luogo

Aziende d’eccellenza

I gioielli della Via Lattea, ovvero la qualità pagaLa Via Lattea è un piccolo scrigno

che nasconde molti piccoli gio-ielli, definizione che sottoscrive

chi ama i formaggi e, in particolare, gli estimatori dei prodotti di latte di capra, materia prima con la quale si producono i formaggi di questa piccola azienda a conduzione familiare.

Si tratta infatti di un caseificio, pic-colo di dimensioni ma molto ampio per gamma di prodotti, situato poco distante dal centro di Brignano Gera d’Adda, dove Valentina Canò decise anni fa di iniziare questa nuova avventura, digiu-na del mestiere ma con un’esperienza familiare legata alla terra, agli animali, dotata di una grande inventiva perso-nale, ha costruito una piccola ma solida realtà produttiva.

Valentina racconta che il primo passo è stato iniziare la sua formazione in Francia, patria riconosciuta a livello mondiale dei formaggi prodotti con latte di capra. Ha poi applicato alle conoscenze di base la creatività più tipicamente italiana per creare prodotti nuovi, sempre più ricercati per gusto e composizione, come ci dice lei stessa: “La nostra metodologia si rifà a quella delle più tipiche produzioni francesi aggiungendo l’estro che invece è tipico della nostra tradizione”.

Oggi La Via Lattea, impresa familiare dove oltre a Valentina lavorano il marito e i figli, propone oltre cento diversi tipi di formaggi, tra i più vari e innovativi per gusto e abbinamenti. Come quelli aromatizzati con frutti di bosco, erbe aromatiche, petali di fiore, semi e frutta; oppure i semi- stagionati al naturale

o con carbone vegetale, per i quali si coniuga la ricerca all’innovazione del processo produttivo con l’attenzione alla tradizione. Poi, oltre a molti altri ancora gli erborinati che sono valsi molti premi e riconoscimenti di fama mondiale, tra cui anche la medaglia d’oro al World Cheese Award, edizione 2009.

“La nostra duplice sfida è quella di ritornare alle tecniche di lavorazione più antiche applicando i controlli più moderni e di applicare al gusto più clas-sico la fantasia della nostra tradizione culinaria”. Così sintetizza Valentina la scelta di pro-durre garanten-do la massima attenzione alla qualità della materia prima, il latte cru-do, controllando attraverso gli strumenti più moderni il processo produttivo tradizionale.

A tutto ciò è valso il successo di questa piccola impresa familiare, che in-dirizza prevalentemente all’estero i suoi prodotti, dove il consumatore premia l’alta qualità. Infatti in Europa esistono mercati di alta gamma dell’enogastro-nomico con canali di vendita molto più diffusi che in Italia, particolarmente esclusivi, dove un pubblico esigente è sempre attratto dal Made in Italy, purchè di sicura qualità e rispetto della tradi-zione.

nella Bassa Bergamasca. Infatti, uno degli obiettivi del Distretto si esplica nel fornire certezza ai consumatori, ove viene apposto lo stesso marchio, che il loro acquisto ri-spetta oltre a tutte le norme igienico-sani-tarie previste per legge, l’intera formazione e lavorazione nei luoghi di origine indicati.

Sappiamo che la finalità ultima dell’asso-ciarsi è costituita sempre da riunire le sin-gole entità dando loro una voce unica più forte, così da poter essere meglio ascoltati. Non sfugge a tale logica il Distretto della Bassa Bergamasca che, con oltre duecento aziende agricole e agro-alimentari asso-ciate, si propone quale supporto ideale per presentare e valorizzare progetti, anche dei singoli aderenti, presso l’Unione Europea e le Amministrazioni Pubbliche locali. “La condivisione aiuta il singolo imprendito-re –dice Malanchini– a dare maggior for-za e valore all’idea che sta dietro ad un nuovo progetto, qualunque sia l’ambito di competenza e ciò incide in misura sempre maggiore in un panorama che vede l’am-bito agricolo e agro-alimentare confron-tarsi con realtà europee, più competitive nei costi ma decisamente inferiori in ter-mini qualitativi”.

“In quest’ottica – prosegue il Sindaco - si colloca il piano operativo che prevede quattro assi di intervento principali, costi-tuiti dalla valorizzazione dei prodotti tipi-ci locali, la ristrutturazione aziendale e la modernizzazione degli impianti agricoli, nonché la salvaguardia del suolo e della sua componente paesaggistica”.

Gli obiettivi prefissati costituiscono un percorso importante verso un ammoder-namento del settore agricolo, che soprat-tutto nelle sue componenti più esigue, può avvantaggiarsi di esperienza e conoscenze tecniche date a supporto dalla struttura distrettuale, così come la tutela e promo-zione dei prodotti locali e del territorio for-niscono un valido contributo a rafforzare le tradizioni e le peculiarità della zona di appartenenza, la Bassa Bergamasca.

Giovanni Malanchini

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Expo/Tesori di Gera d’Adda Un’impresa moderna

Recuperate le radici più anticheIl “modello” Calvenzano è diventato

un caso quasi unico e certamente il primo ad affermarsi per attenzione

sia alla produttività che agli aspetti sociali, questo negli anni a cavallo tra l’800 e il ‘900.

Con il tempo la situazione è via via cambiata, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, dove ha avuto pre-valenza l’attività della Cooperativa tesa fondamentalmente a garantire ai suoi soci abitazione e terreni agricoli a prezzi di locazione convenienti, per rispondere ad una necessità pratica di grande signi-ficato sociale.

Da alcuni decenni questa è diventata l’attività più rilevante della Cooperativa, che dà in locazione i propri beni, case e terreni, in via preferenziale proprio ai suoi soci, rappresentando in questo sen-so una risorsa fondamentale per il paese in cui ha sede.

Entrata nel nuovo millennio, la Coo-perativa, si è impegnata a recuperare le sue radici più autentiche, con attenzione al rilancio dell’agricoltura come valore economico e come riferimento soprat-tutto per le nuove generazioni.

Da qui, le iniziative per avvicinare giovani, nuove cooperative, volontariato sociale alla pratica dell’agricoltura come impresa moderna.

Sempre in questo contesto stanno le iniziative di riscoperta delle produzioni tradizionali dell’agricoltura tipica di Calvenzano, a partire dal melone retato.

Tradizione nella tradizione, a Pasqua si è riportata in auge l’antica usanza di mettere a dimora i semi dei meloni, come sempre all’arrivo della luna della Pasqua. Ovvero il periodo che va dall’i-

nizio della Settimana Santa alla fine del-la settimana successiva. Una tradizione che affonda le sue radici nel passato: i più radicali sostenitori di questo pre-cetto agricolo asserivano infatti che il raccolto sarebbe stato più generoso e più soddisfacente se la semina fosse stata portata a termine soprattutto il Giovedì e il Venerdì Santo. Così si continua a fare. La prossima tappa potrebbe essere l’ambito riconoscimento che “Slow food” potrebbe dare al melone retato di Calvenzano, inserendolo tra i suoi prodotti-vetrina. Sarebbe un primato in Provincia di Bergamo e tra i pochi a livello nazionale per quanto riguarda l’ambito della frutta

Dove trovare i prodotti La commercializza-

zione dei prodotti che portano il marchio della Cooperativa Agricola di Calvenzano è molto limitata, decisamente di nicchia. Le marmellate e il liquore di melone sono in vendita, nella zona di Treviglio, solo presso il Caffè Milano di Treviglio e lo spaccio della Latteria Sociale, a Calvenzano, nonché presso pochi rivenditori che ne hanno fatto richiesta in alcune regioni italiane. Prossi-mamente, se verrà ottenu-to il marchio “slow food” si inizierà una attività di e-commerce sulla rete web.

La cooperativa sta inoltre curando un marchio “coltivato a Calvenzano” per insalate che vengono coltivate in terreni di sua proprietà, da aziende che li hanno in affitto. Si possono trovare al mercato del mercoledi a Treviglio e vengono in gran parte vendute al mercato all’ingros-so di Milano.

Sorta per ragioni di carattere mutua-listico e sociale, ha svolto una im-portantissima funzione tra la fine dell’800 e i primi del nuovo seco-

lo per il riscatto delle categorie del lavoro agricolo nel piccolo centro della bergama-sca, dando dignità e una funzione impren-ditoriale a chi non possedeva nulla ed era condannato all’indigenza, all’inferiorità sociale, all’emigrazione.

Il denominatore comune della storia della Cooperativa è sempre stato quello della mutua assistenza tra i soci, venendo incontro alle loro esigenze anche al di là della mera attività economica; non a caso, la Cooperativa ha svolto nei suoi primi anni di vita una significativa attività anche di carattere culturale, dando anche vita tra l’altro ad un celebre complesso bandistico.

Questo scopo sociale è stato inizialmen-te finalizzato a dare autonomia agli agri-coltori calvenzanesi rispetto ai proprietari latifondisti e al sistema della mezzadria, consentendo -attraverso duri sacrifici e battaglie durate almeno 20 anni- di acce-dere al mercato dei capitali a condizioni migliori, fare acquisti collettivi, prendere in affitto macchinari ecc.

Il “modello” Calvenzano è diventato così un caso quasi unico e certamente il primo ad affermarsi per attenzione sia alla pro-duttività che agli aspetti sociali, negli anni

a cavallo tra i due Secoli.Con il tempo, la situa-

zione è via via cambiata e soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, ha avuto prevalenza l’attività della Cooperativa tesa fon-damentalmente a garantire ai suoi soci un’abitazione o terreni agricoli a prezzi di locazione convenienti ed agevolati, per rispondere ad una necessità pratica di grande significato sociale. Da alcuni decenni questa è diventata l’attività più ri-levante della Cooperativa, che dà in locazione i propri beni, case e terreni, in via preferenziale proprio ai suoi soci, rappresentando in questo senso una risorsa fondamentale per il Paese in cui ha sede.

Entrata nel nuovo millennio, la Coope-rativa, si è oggi impegnata a recuperare le sue radici più autentiche, con atten-zione al rilancio dell’agricoltura come valore economico e come riferimen-to soprattutto per le nuove generazioni. Da qui, le iniziative per avvicinare giova-ni, nuove cooperative, volontariato sociale alla pratica dell’agricoltura come impresa moderna. Sempre in questo contesto stan-

no le iniziative di riscoperta delle produ-zioni tradizionali dell’agricoltura tipica di Calvenzano, a partire dal melone retato.

Il tutto, valorizzando il concetto stesso di cooperazione, sempre ricordando che Calvenzano è storicamente una piccola “capitale” della cooperazione.Il melone retato di Calvenzano

Il melone “retato di Calvenzano” è un melone molto particolare dalla forma al-lungata, dal peso considerevole (dai 2 ai 5 Kg. e oltre) e dalla tipica scorza rugosa detta appunto rete o ricamo.

Storicamente il melone è stato importantissimo per Calvenzano e ha avuto il suo massimo splendore negli anni 20 e 30; vi fu un periodo in cui veniva consumato nei più impor-tanti ristoranti di Parigi. Negli anni 30 è stato conse-gnato alla residenza estiva dei reali d’Inghilterra che alla Cooperativa, secondo testimonianze di soci pro-duttori di meloni, fecero avere un certificato di stima.

Dal 2002 - dopo un perio-do in cui la tradizione ha ri-schiato di esaurirsi - la Co-

operativa Agricola ha avviato un progetto quinquennale per la riscoperta del “melone retato di Calvenzano”.

La produzione è andata aumentando

Dopo diversi anni di sperimentazione condotta da alcuni Soci, nella primavera del 2008 è stato costituito il “Comitato del melone” un gruppo di Soci si sono in-contrati con lo scopo di coltivare assieme il melone di Calvenzano e sviluppare un’i-dea che la Cooperativa da anni ha messo al centro della sua attività di promozione culturale.

Né manca una prospettiva scientifica, visto che la Cooperativa Agricola è in con-tatto con l’Università di Valencia in Spagna per il tramite di una ricercatrice italiana. Semi di tre diversi meloni sono stati con-segnati all’Università spagnola per essere analizzati e conservati in quella banca del germoplasma, una banca dei semi vegetali fra le più complete del mondo.Confettura e senapata di melone di Calvenzano

Una versione della confettura di melone di Calvenzano è stata inserita dal Ministe-ro delle Politiche Agricole fra i prodotti gastronomici che hanno rappresentato l’I-talia alle Olimpiadi di Atene 2004 e quelle invernali di Torino 2006.

Oggi questa prelibatezza è disponibile in due varianti: la Confettura, ideale per dolci, per prime colazioni, e in particolare in abbinamento a formaggi moderatamen-te piccanti e la Senapata più adatta ad ac-compagnare arrosti, bolliti e formaggi di media stagionatura.Liquore al melone di Calvenzano

Dalla lavorazione del melone retato di Calvenzano si ricava un liquore digestivo dal profumo intenso e dal gusto dolce e avvolgente. Viene prodotto a seguito di un lungo processo di macerazione del melone per essere successivamente imbottigliato nella tipica bottiglia.

Ne esistono due versioni: capsula oro contenente anche fettine di melone di Cal-venzano e capsula blu completamente fil-trato. Il liquore al melone di Calvenzano è ideale dopo pasto come digestivo e va servito ghiacciato. E’ un liquore che ac-compagna le iniziative culturali della Coo-perativa Agricola di Calvenzano.

Le confetture, senapate e liquori al me-lone si possono trovare a Calvenzano allo Spaccio della Latteria Sociale, alla Melo-neria, al negozio di Alimentari Baffi e a Treviglio alla Gelateria Caffè Milano.

(C. S.)

il melone e una storia cooperativa anticaLa Cooperativa agricola di Calvenzano è stata fondata nel 1887 ed è una delle più antiche società di questo tipo in Italia, tanto che porta l’iscrizione n. 1 alla Camera di Commercio di Bergamo

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Eccellenze/Roberto Sonzogni

Alla ricerca delle eccellenze del nostro territorio mi imbatto, via Facebook, in un trevigliese che, un giorno all’improvviso, inven-

ta una cosa che ha un enorme successo. Roberto Sonzogni, classe 1965, ora resi-dente a Brignano, di mestiere fa “l’app de-veloper” ed è stupito che qualcuno voglia intervistarlo. “È per Bar-Code”, gli dico. “Ah, quella!”, sorride, “Ormai è già storia”. Bar-Code è una app che ha avuto oltre tre milioni di download, un fatto che, almeno in parte, gli ha cambiato la vita, o almeno l’ha virata in una direzione decisamente positiva. Ma andiamo con ordine. Lo in-contro nel suo ufficio a Brignano. Ufficio semplice, essenziale. Fra noi, solo una scri-vania moderna e la “mela” d’ordinanza.

Roberto, cos’è una “app”?L’app (diminutivo di “application”) è un software che viene installato su smartpho-ne o tablet e che ti dà la possibilità, utiliz-zando le risorse hardware del dispositivo, di effettuare una serie di operazioni, che tanto per chiarire non sono soltanto i gio-chini o Facebook, ma anche altro. Esisto-no milioni di app per qualsiasi necessità.

Facciamo qualche esempioPer esempio puoi fare musica, creare l’e-lenco dei tuoi libri, tenere traccia dei tuoi

allenamenti sportivi, guardare le previsio-ni del tempo, qualsiasi cosa. Puoi leggere il codice a barre o il QR Code (quello qua-drato), che trovi ad esempio in fondo ad alcuni articoli, e da qui accedi a internet e alla possibilità di vedere video, appro-fondimenti, musica, inerenti all’articolo che hai letto. Gli ultimi sviluppi sono la domotica, cioè la possibilità di controlla-re l’accensione di luci, allarme, riscalda-mento, da remoto con il tuo telefonino; e i pagamenti, semplicemente avvicinando lo smartphone alla cassa: questo è il futuro prossimo delle app.

Come ti è venuta l’idea di Bar-Code?Stavo maturando da tempo l’idea di svi-

luppare app, ma l’ambiente intorno non sembrava interessato. Poi mi sono trova-to senza lavoro, mi sono fatto un po’ di calcoli per vedere se potevo affrontare da solo questa cosa. Ho imparato quello che c’era da imparare e mi sono messo sul mercato con qualche app semplice, cosa servita a crearmi un portfolio da presen-tare alle aziende. L’app che ha avuto oltre tre milioni di download è proprio quella che legge i codici a barre e l’ho inventata in quel periodo (metà 2011). Legge il codi-ce a barre di qualsiasi prodotto ed è utile, per esempio, per fare l’inventario di un piccolo negozio o ufficio.

Come mai ha avuto questo grande successo secondo te?

E’ una cosa che ancora non mi spiego. L’ho pensata e realizzata con lo stesso spi-rito con cui ho pensato e realizzato altre app. Questa ha avuto successo e le altre no, ma non so perché. Non sai mai perché una cosa ha successo, succede e basta. Così come non mi spiego perché abbia avuto un enorme successo in America e non in Europa. I download arrivano in-fatti per la maggior parte da oltreoceano.

Tu puoi sapere chi sono gli utenti di questa app?No, puoi solo sapere quanti sono i down-load e la nazione in cui vengono eseguiti. Da quei pochi utilizzatori che mi hanno contattato per ringraziarmi ho scoperto che viene utilizzata in negozi, librerie, uni-

re qua, anche se pochissimi dei miei clien-ti sono della zona di Bergamo. Purtroppo siamo molto indietro in questo settore. Come dice il “Bepi” (cantautore che ap-prezzo) per i bergamaschi, qualsiasi cosa che non sia misurabile in metri o chili, non esiste. La stessa app Bar-Code è stata og-getto di trattativa con un investitore isra-eliano che era seriamente intenzionato ad acquistarne i diritti. Qui da noi l’interesse nel settore è invece minimo, nonostante in Italia il 41% della popolazione abbia in tasca uno smartphone.

A cosa stai lavorando attualmente?Sto creando una app per conto di una ri-vista specializzata che si occupa di arre-damento e architettura, in occasione delle fiere del mobile che si tengono a Parigi, Milano, Mosca e New York.

-E se uno avesse un’idea per una app, cosa deve fare?Contattarmi. Spesso i privati arrivano con un’idea che a loro sembra eccezionale, ma in realtà non lo è, o esiste già l’app che cercano. Invece le aziende solitamente sanno già quello che vogliono e come fare per ottenerlo.

Ma tu cosa volevi fare da piccolo, visto che le app e i pc praticamente ancora non esistevano?

L’astronauta. Questo scrivilo, mi racco-mando.

-Chiudiamo con un consiglio per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro

Impara l’arte e mettila da parte. Tut-to, qualsiasi cosa. Bisogna farsi trovare pronti per quando si presenta l’occasione giusta. Non stare lì, sdraiato sul divano, ad aspettare di mettere i piedi sotto una scrivania. Non volere tutto e subito. Ma essere sul pezzo, pronti, capaci, per non farsi cogliere impreparati. Mio padre mi ha sempre detto che se sei capace a fare un lavoro, qualcuno che ti fa lavorare lo trovi di certo, e così è stato.

-Anche a 45 anni?Anche a 49.

La super app scaricata in tutto iL mondodi Daniela Invernizzi

Sviluppa applicazioni per internet e una di queste, “Bar-Code”, ha avuto tre milioni di download. Ora ne produce diverse per grandi clienti, come Dolce & Gabbana, Mondadori, Benetton, Sisley...

versità, musei, ...in tutto il mondo.La app è gratuita; quindi non si è gua-dagnato niente?

Non è così, perché grazie ad un piccolo banner pubblicitario, quando qualcuno lo clicca c’è un piccolo guadagno. Ma non vuol dire che se l’avessi fatta pagare un euro, oggi avrei tre milioni di euro. In re-altà il mercato delle app è più complicato. La gente vuole app gratuite. Costasse an-che solo un centesimo, non la scarichereb-bero mai.

Dunque che vantaggio si è ottenuto dal successo della tua app?

Un po’ di pubblicità per me stesso presso i clienti. Tre milioni di download hanno un loro peso. Grazie anche a questo succes-so, le aziende mi cercano per sviluppare le loro app e quelle per i loro clienti. È così che ho sviluppato app per Dolce e Gabbana, Mondadori, Benetton, Sisley, e tanti altri.

Come sei arrivato a fare questo me-stiere?

Prima ho fatto un po’ di lavori diversi; come operaio metalmeccanico, poi in tipografia, da sempre appassionato di informatica ho imparato a creare siti in-ternet e per un po’ è stato il mio lavoro. Fin dall’inizio avevo intuito che Internet avrebbe avuto enormi potenzialità. Ho cominciato a lavorare nel 1980, era-no i primi anni dei personal computer e della Rete in Italia. La svolta a 45 anni, senza lavoro. È un’età in cui è veramente difficile trovare qualcuno che ti assuma. Allora mi sono detto: farò quello che mi piace davvero. Così mi sono inventato questo lavoro.

-E sei diventato uno sviluppatoreSì. Oggi lavoro in proprio, praticamente da casa. Anche se ho ricevuto tante offer-te per lavori all’estero, come Amsterdam, Stoccolma, Londra... ho sempre rifiutato, anche se si trattava di offerte vantaggiose.

-E perché?Amo il posto in cui sono nato e cresciuto; e finché mi è possibile, preferisco rimane-

Le app più apprezzate Gli utenti che in tutto il mondo,

utilizzano uno smartphone sono ormai quasi un miliardo

(969,49 milioni, per la precisione). Tra le applicazioni più scaricate sugli smartphone, in testa alla classifica troviamo Google Maps: l’applicazione che permette di visualizzare map-pe geografiche e effettuare ricerche istantanee. E’ utilizzata dal 54% della “popolazione mondiale”, intesa come numero complessivo di utenti posses-sori di smartphone.

Al secondo posto segue l’applicazio-ne ufficiale di Facebook, impiegata dal 44% degli utenti. Medaglia di bronzo per YouTube (35%) mentre in quarta posizione si colloca un’altra applica-zione realizzata dai tecnici di Google: lo strumento che consente di interagire con i servizi del social network Goo-gle+ (30%).

Il client di messaggistica WeChat, realizzato dai cinesi di Tencent, ha iniziato a farsi largo in Italia molto di recente, anche grazie ad una pesan-te campagna pubblicitaria. A livello mondiale, però, l’applicazione si è già guadagnata la quinta posizione assolu-ta (27%), più avanti rispetto a Twitter (22%), Skype (22%), Facebook Mes-senger (22%) e WhatsApp (17%).

In decima posizione viene collocato Instagram (11%), ormai di proprietà di Facebook; più in basso Foursquare, Shazam e Flickr con quote inferiori al 6%. Viene posizionato molto più in basso Vine (diciassettesima posizione) che non andrebbe oltre il 2%.

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tesi, una realtà davvero funzionante ed ef-ficiente del nostro territorio.

Marco Cremonesi, oncologo e Vice Pre-sidente dell’Associazione Amici di Gabry. Arriva all’Ospedale di Treviglio nel 1981, dapprima svolgendo la propria attività in Pronto Soccorso, poi nel reparto di Me-dicina a seguito del conseguimento della specializzazione nello studio dei tumori presso il Day Hospital oncologico, questo all’interno del dipartimento di Medicina II. Il primo nucleo dell’impianto di Day Hospital oncologico contava quattro pol-trone per la terapia e un’infermiera.

Nel 1997 è inaugurata la sede distacca-ta di Romano di Lombardia, con ulterio-ri quattro postazioni per le terapie. E’ nel 1999 che Treviglio raggiunge le dieci po-stazioni nella propria unità operativa onco-logica, questo sotto la guida del Direttore del Dipartimento Oncologico dott. Sandro Barni.

Nel 1999 si avvia un progetto di col-laborazione con l’Associazione “Amici di Gabry” i cui obiettivi principali sono: diffondere la cultura della prevenzione, ac-compagnare il paziente durante la terapia ed essere presente nella fase della “termi-nalità”. Ed ecco la grande intuizione che sfocia in una sinergia perfetta: l’Associa-zione diviene una realtà concretamente presente in reparto, riuscendo a dare ri-sposte ai bisogni dei pazienti, colmando le eventuali lacune che non potrebbero essere affrontate con tempestività e incisività dal solo sistema pubblico.

L’Associazione si occupa anche del-la pubblicazione di un mensile in cui gli oncologi del reparto fungono da Comitato scientifico della rivista, cercando di tratta-re in termini semplici e diretti tutto ciò che riguarda l’informativa sanitaria da divul-gare al massimo delle possibilità.

Gli Amici di Gabry e il reparto di Onco-logia, hanno organizzato circa una ventina di conferenze nella bassa pianura, questo per trattare l’argomento fondamentale del-la prevenzione. Con questo spirito e le me-

desime finalità entrano nelle scuole supe-riori per educare e sensibilizzare i ragazzi sui corretti stili di vita, quindi legati alla prevenzione oncologica.

A questo punto entriamo nel dettaglio con numeri alla mano ed esempi concreti, illustrando i risultati di questa cooperazio-ne fra ospedale e volontariato.

Come si traduce tutto questo in termini di benefici per il paziente e miglioramento dell’efficienza del servizio? La prima pro-blematica che affrontata fu il trasporto dei pazienti per le terapie in ospedale. Pazien-ti molto spesso anziano non munito di un mezzo di trasporto. La seconda esigenza da risolvere riguardava la necessità di ri-durre il disagio delle persone sottoposte a chemioterapia, dovendo prima sottoporsi ai controlli del sangue, questo per ottenere il benestare e accedere alla cura chemiote-

Un’eccellenza della Sanità lombarda a cura di Cristina Ronchi

Il reparto di Oncologia e l’associazione “Amici di Gabry”, esempio straordinario di collaborazione efficiente tra pubblico e privato che mette in primo piano la vicinanza totale all’ospite

Chi frequenta il reparto Oncologia lo conosce e in reparto, si ricono-sce subito. Il dott. Marco Cre-monesi è l’unico che non indossa

il camice, ha la battuta pronta, approccia i pazienti privo di quella distaccata formali-tà che uno si aspetterebbe in un luogo si-

mile. Nel corso dei mesi accade così che un ambiente, molto particolare, riesce pure a diventarti familiare perché l’impronta che tutti gli operatori danno è traboccante di umanità, evitando accuratamente che tu, paziente, ti senta un numero qualsiasi.

E’ con lui che cerco di tracciare, in sin-

rapica qualora i valori lo permettano. Que-sta seconda tipologia di servizio è stata risolta grazie anche all’intervento dell’As-sociazione “Domenico Fenili”, costituita da infermieri in pensione.

Ecco che accade nella pratica: il reparto di Oncologia definisce chi deve fare il pre-lievo, un lavoro di segreteria organizza le richieste, l’autista volontario determina il programma del giro visite da fare con l’in-fermiere al seguito.

Entro le nove del mattino, i prelievi sono già tutti in laboratorio, in altre parole entro le dodici del giorno prima della terapia, il paziente è quindi avvisato telefonicamen-te -dal personale di oncologia- dell’esito dell’esame e della programmazione tera-peutica prevista del giorno dopo. Questo permette di evitare un viaggio inutile nel caso gli esami non permettessero la tera-pia, dunque fosse da rinviare. Si evita così l’ansia dell’attesa. Lo stress psicologico.

I numeri di quest’operazione sono im-pressionanti. In quindici anni di presen-za sono state coperte settantatré località,

quattro province, più di 50.000 Km per-corsi 1.100 servizi erogati. Nel 2014 si è incrementato del 10% questo servi-zio rispetto all’anno precedente. Le auto-vetture destinate allo scopo sono cinque: due da Treviglio, una da Caravaggio e due da Romano.

L’a s s o c i a z i o n e “Amici di Gabry” ha ora una nuova sede, ovvero oltre che a Treviglio in Viale Oriano, anche a Ca-ravaggio, dove svol-ge un’azione di sup-porto familiare nelle situazioni di “termi-

Eccellenze/L’Oncologia di Treviglio

nalità”. Infatti, Amici di Gabry mette a di-sposizione borse di studio per medici spe-cializzati, psicologi e data manager.

Inoltre Amici di Gabry organizza il la-boratorio “Rispecchiamoci” con il suppor-to di alcune estetiste che insegnano alle pazienti in chemioterapia come truccarsi, come disegnarsi le sopracciglia, volersi ancora bene e riconoscersi come donne, nonostante siano colpite fortemente nella loro femminilità.

La nuova frontiera per il 2015 sarà l’ho-spice presso Anni Sereni per i pazienti ri-coverati durante il fine vita. Un contesto in cui ci sarà una particolare attenzione alla qualità della vita, vagliandone dettagliata-mente tutti gli aspetti: una particolare cura verso l’allestimento della camera affinché non ricordi l’arredamento asettico di un ospedale, per intenderci e con la presenza del secondo letto per il familiare; la gestio-ne di spazi sociali comuni con lo svolgi-mento di attività di animazione. Per questo ambito, Amici di Gabry organizzerà dei corsi di formazione per volontari e opera-tori del settore.

Amici di Gabry offre tutto il supporto psicologico all’interno dell’Azienda Ospe-daliera con specialisti dedicati, presenti e solerti, è poi presente con i propri volon-tari in corsia, in reparto per un caffè, un pasticcino, due parole di svago. E in quei momenti, sono gesti importantissimi per persone che affrontano una patologia così seria e che molto spesso sono spiazzati e spaventati. Si supera in tal modo un disa-gio interiore, tenendo a bada l’umana pau-ra.

Amici di Gabry rappresenta un bellis-simo fiore all’occhiello della realtà terri-toriale e i grandi obiettivi raggiunti sono il frutto di una sinergia solida, costante e continua fra gli operatori della struttura pubblica e gli operatori volontari dell’as-sociazione. Un connubio riuscitissimo soprattutto grazie al valore umano e allo spessore di tutti questi protagonisti che meritano tutta la nostra stima.

A sinistra il dott. Sandro Barni con un gruppo di collaboratori, sopra a sinistra il dott. Marco Cremonesi con un collega. A destra il presidente Lions Treviglio Host del 2011, Giancarlo Maretta (il più alto), consegna al presidente degli amici di Gabry Angelo Frigerio (alla sua destra) un contributo per l’associazione.

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Treviglio che cambia

Gennaio 2015, sera. La cena sulle tavole di mezza Treviglio è pro-babilmente servita, così chiun-que si trovi a passare per le vie

del centro città non può che accorgersi del silenzio netto che le avvolge: a passeggio quasi nessuno, per i vicoli qualche biciclet-ta frettolosa, luminarie e poco altro.

Arrivando da sud si risale via Verga, come un imbuto deserto, fino alla grande gola tra piazza Garibaldi e Piazza Manara: a sinistra, i vetri e il cemento del comples-so che ha preso il posto del vecchio Upim, sulla destra la Basilica di San Martino e dritto di fronte a nessuno (se non voi) il palazzo comunale. Questo strano spiazzo a forma di v racchiude in sé il nucleo storico forse più antico di Treviglio, i suoi capi-saldi istituzionali, spirituali e commercia-li, con una novità di ritorno: il teatro del centro.

L’introduzione lunga serve a dare l’idea del percorso, umano, temporale, culturale, che ha portato Treviglio a riappropriarsi di uno dei suoi capisaldi: il teatro di vicolo del Teatro. La tautologia suona piuttosto male, ma è davvero significativa. Da de-cenni, quella stradina che collega piazza Manara agli edifici che costeggiano piazza

con concerti, programmi di prosa e una programmazione regolare come le stagio-ni, e le cantine dei teatri indipendenti e più naif, dalle fortune alterne. A Treviglio però è mancato un fulcro, per oltre mezzo secolo, un collegamento in sanpietrini con la sua psicogeografia, che dalle circonval-lazioni stringe verso il centro, inesorabile, fino a racchiudere i pochi elementi cardi-ne, già enunciati: Comune, Basilica, Cam-panile, la piazza con le bancarelle del saba-to e, di nuovo, il teatro.

Il ritorno al futuro del vecchio Teatro Sociale è cominciato a fine gennaio con un nome nuovo, discusso, discutibile e co-munque con fascino cartoonesco: T.n.T., Teatro nuovo Treviglio. Niente botti, il periodo non consente grandi slanci. Piut-tosto, si è scelto un’inaugurazione fram-

mentata, con spetta-coli diversi che forse ne indicano la strada prossima: teatro a suo modo d’autore, con il Primo interpretato da Jacob Olesen, che ha riportato in scena Levi e il gelo dello sterminio nazista nar-rato in Se questo è un uomo, il 21 gennaio; arte di servizio (so-ciale), con Il lago dei cigni interpretato dai ragazzi della Coope-rativa Insieme; infine la musica, con il con-certo d’orchestra che

il 25 gennaio.Di carne al fuoco per il futuro ce n’è

parecchia, e converrà sfruttare al meglio l’opportunità che un palcoscenico nel cuo-re della città può offrire ad artisti, citta-dini, avventori e istituzioni. La struttura interna a due sale è polifunzionale e, dopo un’attesa lunga anni, con intoppi e ritardi nei lavori, consentirà lo svolgimento di spettacoli di vario tipo, dal recital alle pro-

TeaTro Nuovo, riTorNo al fuTurodi Stefano Pini

La città ritrova il suo palcoscenico prediletto in Piazza Garibaldi: tra storia, arti e un passato che riporta in avanti. Un futuro cominciato con un nome nuovo, discusso, discutibile, ma con un suo fascino

Garibaldi portava un nome insignificante, privato di sé, indicando un passato profon-do e insieme remoto. La demolizione del teatro Sociale è storia ormai, con la esse minuscola come tutte quelle che compon-gono le trame della quotidianità di paese: per rivedere un teatro nel centro cittadini si sono dovuti attendere più di cinquant’anni.

Nel frattempo non sono mancate altre quinte: l’interregno del Filodrammatici,

iezioni, passando per concerti e convegni. Per tagliare ufficialmente il nastro del

T.n.T., Treviglio dovrà attendere il 28 feb-braio, quando a un miracolo trascendente, se ne aggiungerà uno di piccolo cabotag-gio, del tutto trascendente: un teatro attivo e vitale all’ombra della Torre. Di nuovo, anche per chi, come chi scrive, ne aveva solo sentito parlare da nonni e padri. Le polemiche e le discussioni sul ‘che fare’ di questo spazio, come prendersene cura, ver-ranno poi, dopo la riscoperta di un luogo della memoria trevigliese che torna reale e apre al futuro. Giusto in tempo per ri-cordarsi del Filodrammatici ormai chiuso, inagibile e abbandonato a sé stesso, in uno degli scorci più affascinanti della città, quella piazza del Santuario che rimanda al miracolo trascendente di prima, da cui l’arte e la cultura prendono le doverose di-stanze, ma di cui qualche volta l’arte e la cultura avrebbero bisogno.

Madonna delle Lacrime, M.d.L., e Te-atro nuovo Treviglio, T.n.T. Sta tutto lì, chiuso in cerchio, attorno al centro, la rap-presentazione cittadina, antico e nuovo, che ritorna.

A sinistra un’immagine di Piazza Garibaldi con il Teatro Sociale del 1902, sopra e sotto l’interno dell’auditorium e la piazza con il palazzo ex Upim oggi. A destra il sindaco Giorgio Zordan, accanto a Olmi, gli consegna la cittadinaza onoraria. Sotto il set dell’Albero degli Zoccoli

Perché non pensare al trevigliese Ermanno Olmi? Sono un dissidente e posso permet-

termelo perché sono amico del sindaco Beppe Pezzoni dal lontano

1987, così ogni tanto mi permetto di se-gnalargli quelli che a me paiono errori. Lui non se ne duole, soprattutto non se ne cura, ma non desisto mai, questione di Dna. Insomma questo nome, Teatro Nuovo Treviglio non posso dire che sia bello, tantomeno originale, direi che é banale. Addirittura si presta alla satira del Biligot’, questo grazie al fatto che cartoon e una società di trasporti internazionali usano da tempo questo marchio. D’altronde la frittata è fatta, il nome è questo e rassegniamoci: il sindaco non sbaglia mai. Una proposta comunque la faccio e la mia idea è di dedicare il nome del teatro e magari del palazzo ad Ermanno Olmi, uno dei tre italiani ad aver meritato la cittadinanza onoraria di Treviglio.

Il primo cittadino onorario fu don Egidio Viganò, rettore maggiore dei Sa-lesiani, poi venne assegnato alla terrorista Silvia Baraldini (Su proposta della consigliera co-munale Ariella Borghi), quindi al regista Ermanno Olmi il 28 Febbraio 2003, sindaco Giorgio Zordan.

A dire il vero non ci sareb-be stata la necessità neppure di farlo diventare cittadino onorario, non perché non la meritasse, tutt’altro, ma perché di fatto trevigliese lo era già per il mondo intero. Infatti, provate a cercare su Google il luogo di

nascita del nostro Ermanno e scoprirete che nonostante l’anagrafe, la patente e il passaporto certifichino che sia nato a Bergamo, in quasi tutti i siti lo danno per nato qui, a Treviglio. Insomma, qui ha vissuto la sua infanzia, i suoi ricordi sono legati alla nostra campagna, ai con-tadini con i quali passava intere stagioni. Al Roccolo, dove si è sposato ed è lui stesso a dirlo: “Sono nato a Bergamo, ma ho cominciato a vedere, osservare, capire, quindi vivere, a Treviglio”.

E’ un artista a livello mondiale, è un uomo di grande cultura, lui stesso un gigante, ditemi perché l’auditorium o l’ex Upim (impronunciabile) non meritano di portare il suo nome? Magari anche a breve, così tanto per fare un bel regalo a quasto anziano e malato, splendido concittadino. A lui, che di regali a trevi-glio ne ha fatti tanti senza chiedere mai nulla.

(Roberto Fabbrucci)

Commenti & Proposte

Foto Andrea Ronchi

Foto Enrico Leoni

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Treviglio/Perché parlare di scuola

Con tanti progetti e invenzioni a gogo che invadono il mondo, par-lare di scuola può sembrare una nostalgica rievocazione del pas-

sato da parte di adulti stagionati… Ma io credo che esista in fondo alla memoria di ognuno il ricordo di quei giorni, di quegli amici, dei prof. talvolta detestabili, delle bi-giate che avevano odore di libertà.

Scuola significa vita, oggi come ieri; si-gnifica suoni di campanella, suggerimenti, intervallo, timori e complicità; significa il compagno o la compagna che ti piace, for-se per sempre. E il Preside? Una meteora, un’apparizione, lo sguardo fisso lontano e parole brevi, incisive.

Ma molte cose sono cambiate, oggi. Basta entrare nell’Istituto Comprensivo Tommaso Grossi di Treviglio e incontra-re Nicoletta Sudati che sorridente ti viene incontro.

“Ciao, Mazza, sei quasi puntuale…”Sedute in presidenza fra i mobili vecchi di

anni e l’amico del Porta, Tommaso Gros-si, appeso al muro in un quadro, memoria dei suoi primi studi a Treviglio, parliamo, com’è ovvio di scuola.

Molto, qui intorno, è rimasto come allora, nei lunghi anni che ho trascorso alla Grossi,

gli stessi obiettivi, da parte di un insieme, non può andare deluso.

E’ attiva la collaborazione con le fami-glie pronte ad aiutarci in mille modi, come dimostra la sistemazione dei locali per l’Indirizzo Musicale rimessi a nuovo dai genitori.

Da ottobre a dicembre abbiamo realiz-zato quattro incontri musicali che hanno riempito l’auditorium. Nel periodo delle iscrizioni ho incontrato settecento genito-ri con i quali si è parlato del ruolo delle famiglie e della comunità nella vita della scuola, agenzia formativa che non può ignorare le realtà dove i ragazzi vivono. La collaborazione è il sostrato di una alleanza educativa”.Ho letto il vostro piano dell’Offerta For-mativa che evidenzia verso quali obiettivi

tende il vostro lavoro.“Il piano è nato dalla sto-

ria dei tre tipi di scuole che costituiscono questo plesso, dalla prospettiva del curri-colo verticale, dalle ipotesi delineate nelle nuove indi-cazioni nazionali e rispec-chia il nostro mondo che ha progettato ‘percorsi di cit-tadinanza’ per la conoscen-za della realtà comunitaria locale, nazionale e sovra-nazionale, percorsi per l’ap-profondimento della cono-scenza di sé e dell’altro nelle

dimensioni affettive, relazionali, culturali secondo i principi della Costituzione. La persona è al centro del nostro interesse”.Quale il ruolo del docente?

“Egli è facilitatore e mediatore nelle relazioni con gli altri, nella scoperta. Sa ascoltare, indicare e regolare, rispondere e aprire al dubbio”.La dotazione di strumenti diversi per le attività della scuola è adeguata ai biso-gni?

“Abbiamo tre laboratori di informatica distribuiti nelle sedi Grossi, Mozzi e Batti-

Il senso del dovere e Il ruolo della famIglIaa cura di Maria Palchetti Mazza

Dialogo con Nicoletta Sudati, preside della Tommaso Grossi, sul mondo scolastico e come è cambiato: il ruolo del docente, i ragazzi, la loro educazione e la necessità di prepararli alla responsabilità individuale

ma qualcosa è cambiato: c’è un’aria attuale, giovane, di programmi portati a termine, di scelte ponderate e concre-te.

E’ dal settembre 2013 che vive questo Istituto compren-sivo: molti i volti noti, alcuni sconosciuti.“Tanto lavoro?” chiedo alla Preside.

“Sì, ma sono circondata da belle persone, competenti e appassionate al loro ruolo in tutti e tre i livelli, persone che costituiscono l’identità dell’Istituto. Sono state concordate le mo-dalità di passaggio attraverso i tre ordini di scuola, lavorando su una trama comune e sulla condivisione dei principi educativi.

La presenza di uno staff preparato ed ef-ficiente mi è di grande aiuto.

Gli esiti delle prove Invalsi effettuate l’anno passato nelle nostre terze medie si sono situati ai livelli superiori in Lombar-dia e nella media nazionale”.Problemi da risolvere?

“Molte sono le criticità e i piani da met-tere in atto, ma sappiamo che il credere ne-

sti, lavagne interattive e addirittura quat-tro orchestre, di cui la quarta appartiene ai corsi di proseguimento, in altro luogo di aggregazione. Per tre anni questa bellissi-ma esperienza musicale, supportata dalla Associazione ‘Musica che passione’ e dalla sua Presidente, ci ha portato a Valenza Po, un modo per partecipare al bene comune. Il tempo libero è stato organizzato in attivi-tà socializzanti”.So che è stato da voi organizzato il po-tenziamento per l’indirizzo musicale, per inglese e per matematica e che è stato pubblicato nel 2013 il Bilancio Sociale, dai cui dati, mi si dice, emerge una im-magine positiva della vostra scuola.

“Vedo che ti sei aggiornata… tante sono le cose da fare e il tenere le fila di numerosi rapporti, quali quelli con le Associazioni, la Biblioteca, il Comune e molti altri non è sempre facile. Ad esempio, i nostri ragaz-zi hanno collaborato con l’Associazione ‘Chiara Simone’ e il Primario è venuto di persona a ringraziarci”.Data la tua esperienza, se tu dovessi for-mulare un’ipotesi sull’eventuale diversità che si può rilevare fra i ragazzi di ieri e quelli di oggi, come ti esprimeresti?

“Credo di poter dire che in passato c’e-ra nei ragazzi una maggior disponibilità all’approfondimento e alla sorpresa; oggi esistono molti stimoli, quali l’accesso all’informazione, la sollecitazione all’in-ternazionalità attraverso i viaggi, la cu-riosità di superficie e non solo appagata. I ragazzi quasi non si stupiscono più.

In passato esistevano possibilità di ag-gregazione naturali (il cortile, la piazza, il campo) che oggi sono quasi scomparse. I tempi dei ragazzi, allora, erano più dilatati.

Oggi le relazioni sono in gran parte di tipo virtuale a scapito spesso di quelle reali. Per affrontare questo tipo di realtà servirebbe una maturità maggiore. A tutto questo non c’è rimedio in senso assoluto. La scuola deve offrire luoghi in cui ci si al-lena ad affrontare la vita, anche con l’aiuto di esperti che sanno supportare i nostri ra-gazzi, spesso passibili di diversi tipi di di-pendenza, non escluso quello informatico. Bisogna aiutarli a rafforzare la capacità di dire no. ‘Life Skin’ è un progetto orienta-to in tal senso. C’è anche da dire che ieri i giovani riconoscevano più facilmente l’autorità degli adulti. Oggi questi devono conquistarsi almeno l’autorevolezza, per proteggere le giovani generazioni. Il disa-gio di quest’ultime è raramente esplicito. Le incertezze attuali nel mondo del lavo-ro, la difficoltà ad adattarsi alle mansio-ni richieste e a perfezionarvisi vengono introiettate anche dai più giovani. Risulta per loro difficile costruirsi il senso del do-vere, anche perché sono passati di moda il tempo dell’attesa e quello dei traguardi da conquistare. Sono sempre esistite nei ra-gazzi, la voglia di emozioni, di sorprese, la

speranza di ricevere un dono: oggi le cer-cano in interessi che danno fibrillazione”.Entra qui in gioco la famiglia, con i pro-pri dubbi e le proprie difficoltà.

“Per i ragazzi di oggi, nella maggior par-te, ogni giorno può portare un regalo (non mi riferisco alle famiglie disagiate). Si sono svalutati il desiderio, il sogno; l’attesa del ‘premio’ è scomparsa, perché oggi è facile conquistare ciò che si desidera, molto più che in passato”.Sarebbe utile fornire ai genitori un sup-porto in questo cambiamento epocale che investe il mondo.

“Può aiutare anche l’incontro con figure che giocano ruoli diversi e il collaborare con altre agenzie per affrontare una socie-tà assai difficile e complessa.

Oggi non si parla solo di ‘famiglia’, ma di diversi tipi di famiglie, con ruoli più complessi e difficili che in passato. Tutte queste problematiche sono prese in consi-derazione dalla scuola”.

Da quanto abbiamo detto finora risulta esistere da gestire nel sistema scolastico una complessità di cui ‘l’imparare’ costituisce solo una parte.

Il futuro di questi ragazzi necessita di un’alleanza, una ‘santa alleanza’ che li aiuti a crescere e a diventare uomini veri, svin-colati dalle diverse schiavitù proposte più o meno apertamente, quelle che popolano le loro giornate con l’illusione della libertà, dell’amicizia, talvolta anche del denaro, con il gioco.

Il compito del personale della scuola si sta facendo sempre più arduo ed esiste la necessità che chi di dovere gli riconosca in modo tangibile i meriti e la fatica. A proposito di fatica, vuoi parlarmi di quale è il ruolo del Preside, se riesci ad assemblarne le diverse sfumature?

“E’ diventato arduo, sia per l’aumentato numero degli alunni nell’Istituto Compren-sivo, sia per le responsabilità a cui si deve far fronte, per i problemi e la scarsità di risorse. Oltre l’ambito strettamente didat-tico, come hai capito alla Scuola interes-

sarla persona con tutta la sua storia, la eventuale fragilità, i bisogni e, perché no, anche i sogni. Dietro a ciascun alunno c’è una realtà che noi non possiamo ignorare. Da questo atteggiamento scaturiscono pro-getti, interventi, rapporti di ogni tipo mirati alla ‘crescita umana’ dei ragazzi, oltre che all’area del sapere che poi con essa va a confondersi, aiuto non palese. La struttura organizzativa della scuola ruota intorno all’idea di ‘scuola capace di apprendimen-to’ la cui leadershyp deve avere sì compiti di strategia direttiva, ma anche di condi-visione.

Per l’autovalutazione di Istituto la scuola si è avvalsa della consulenza e del suppor-to attivo di Rete Stresa, che ha collaborato con le commissioni per migliorare il servi-zio offerto.

Nel rapporto con le famiglie si è creata una ‘alleanza educativa’ mirata a dare ai ragazzi la più alta opportunità di sviluppo armonico e sereno.

A proposito di ruolo del Preside, non è da dimenticare la sua posizione di datore di lavoro, con compiti amministrativi, tutela della sicurezza, gestione dei rapporti con la scuola e l’extra-scuola. Essa è un’azienda nella quale per il dirigente non esiste orario di lavoro. Oltre che delle proprie capacità di leadership, il capo di Istituto necessita di un buono staff che si ponga anche come intermediario con le altre componenti dell’Istituto. Ho la fortuna, come ti dicevo all’inizio, di avere nella scuola personale docente, di segreteria e ausiliario sul quale posso contare”.

Grazie per la tua disponibilità e il tempo che mi hai messo a disposizione.

Resta, nella nostra intervista, un grande vuoto, quello nel quale dovevamo parlare dell’indirizzo musicale -di cui parleremo nel numero di marzo- una ‘perla’ che meri-ta elogi e riconoscimenti, sia agli alunni che ai professori -che seguo nel tempo- perché, quando la proposi al collegio docenti molti anni fa, credevo, come oggi, nel miracolo che la musica sa creare. Grazie.

Immagini della Scuola Media Tommaso Grossi, dei docenti e della Preside Nicoletta Sudati, durante un recente consiglio di classe

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Romanzi/Alessandra Grassi

Una scrittrice all’improvvisoa cura di Daniela Invernizzi

In un periodo doloroso della vita, improvvisamente la spinta a trascrivere i racconti fantasy che già aveva in testa da anni. Così nasce un fantasy di 800 pagine, in due volumi, edito da Europa Edizioni (Feltrinelli)

Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare. Questo po-trebbe essere il motto di Ales-sandra Grassi, 36 anni, trevi-

gliese, scrittrice all’improvviso. Durante un periodo particolarmente difficile della sua vita (la madre si ammala gravemente) trova nella scrittura il conforto e la forza per andare avanti. Ne nasce un’opera im-ponente, di oltre 800 pagine, dal titolo “La preda”, pubblicata in men che non si dica da Europa Edizioni (gruppo Feltrinelli). Ne parliamo in una giornata uggiosa nel-la sua bella casa, resa ancora più calda dal caminetto acceso e dalla vocina di una del-le sue bimbe, mentre il gatto ci guarda sor-nione e un meraviglioso cucciolo di cocker ci riempie di attenzioni.

Qualcuno farebbe carte false per farsi pubblicare da un’importante casa editrice. Come hai fatto?Non lo so. Ho cercato in Internet le case editrici che potevano essere interessate a questo genere (urban fantasy) e poi ho spedito. Mi ha risposto Europa Edizioni.

Urban fantasy?Una storia con personaggi inventati, mi-tologici o di fantasia, ma ambientata ai giorni nostri, in un luogo reale. La mia storia, per esempio, è ambientata in città alta a Bergamo ed i miei personaggi pe-scano nella realtà; per loro mi sono ispi-rata a me stessa, ai miei familiari, a per-sone che conosco e che mi faceva piacere inserire nel romanzo.

Perché hai scelto Bergamo alta?Perché è la mia città del cuore, l’adoro. Io sono di Treviglio, ma i miei nonni vengono da lì ed io, grazie anche alle loro storie, ho sempre avuto un rapporto viscerale con questa città. Di Bergamo mi piace tutto, lo splendido borgo medioevale, la sua storia. All’inizio volevo ambientare il romanzo in un paese dell’Europa dell’Est, dove na-scono queste leggende. Poi, più scrivevo, più mi rendevo conto che era assurdo scri-vere di un luogo a me sconosciuto, quando avevo questa meraviglia a pochi chilome-tri da casa.

Dove trovi le tue storie fantastiche?Sono sempre state nella mia testa, credo.

Ad un certo punto, quando mi sono messa a scrivere, non ho più smesso, ero a getto continuo.

Qualcuno, leggendo la sinossi del tuo li-bro, mi ha detto: si vede che la ragazza si diverte.

Davvero ha detto così? E’ vero, anche se il tutto è iniziato in un periodo triste. Sono felice che qualcuno se ne sia accorto. Mi diverto da matti.

Quindi non fai fatica a scrivere...Uh, sì, all’inizio soprattutto. Se tieni con-to che le mie ultime cinque pagine le ho scritte all’esame di maturità...

Vuoi dirmi che tu, da allora, non hai mai scritto niente?

Esattamente. Certo, ho sempre letto mol-to, e questo aiuta anche nella scrittura. Leggendo, mi sono fatta un’idea di come impostare il mio libro. Tutto molto artigia-nale. Scrivere un fantasy non è facile, il rischio di perdere per strada particolari impor-tanti e non essere coerente è molto alto.Infatti i particolari me li sono sempre ap-puntati, per evitare di cadere in contrad-dizione. Ma non ho mai fatto “scalette”, né seguito un binario preciso.

Il fantasy è un genere molto amato dai

Qui si lavora bene, a parte le parrocchiettea cura di Daniela Invernizzi

Arrivate da Milano, hanno insediato una casa editrice che produce novanta titoli sul territorio nazionale. Si chiama Zephiro e da tempo cerca di animare la città, ma a Treviglio ognuno fa da sé, non si collabora

C’è una casa editrice a Treviglio, che pensavamo piccola e invece tanto piccola non è, visto che pro-duce oltre novanta titoli su tutto

il territorio nazionale: si chiama Zephiro edizioni ed è gestita da sette donne com-petenti ed entusiaste, che da quindici anni, sotto la guida di un direttore scientifico, portano avanti il difficile compito di pro-durre libri di qualità. Partita da una pro-duzione limitata a testi di psicologia, oggi la Zephiro vanta collane di diverso tipo, come ci racconta una delle socie, Marile-na Dusi. “La nostra ‘colonna portante’, quella che meglio ci identifica è la collana “Anima e spirito”, che si occupa di psi-cologia e psicoanalisi da Jung in poi” ci spiega. “Sono libri divulgativi di ‘cultura della psiche’ e perciò indirizzati non solo agli addetti ai lavori, ma a tutti coloro che sono interessati alla materia. Poi, nel tem-po, abbiamo sviluppato anche una colla-na narrativa, sempre però a sfondo psi-cologico. Il romanzo deve portare a una riflessione sulla possibile evoluzione di sé. Abbiamo una collana di cultura orientale che sta diventando sempre più ricca, te-sti molto dettagliati sulla cultura cinese e giapponese, l’I-Ching, per esempio. Poi abbiamo una nutrita collana per ragaz-

Voi siete nati a Milano. Per vi siete spo-stati a Treviglio?

“Intanto per trovare una sede meno co-stosa (la sede trevigliese è in piazza Val-licella 6, ndr) e anche per trovare una via di mezzo per tutte noi. Alcune di noi sono venute a vivere a Treviglio”.

In un periodo difficile per tutti, tanto più per l’editoria, come fate ad andare avan-ti?

“Facciamo tante fiere in tutta Italia, come quella di Treviglio libri. Prima della crisi vendevamo molto anche on line, ora molto meno. Abbiamo un sito (psicoanalisibo-okshop.it) con tutti gli aggiornamenti sulle nostre produzioni, ma anche più in gene-rale sugli argomenti che trattiamo. Abbia-mo i nostri lettori, ma siamo di nicchia. Se poi consideriamo che il distributore si prende il 60 per cento, è chiaro che si fa fatica. Ma andiamo avanti, con passione e determinazione”.

Perché avete scelto la branca della psi-cologia?“Perché i fondatori della casa editrice sono due psicologi e noi socie siamo un gruppo di ricerca in materia, attraverso l’associazione Fare anima”.

Il vostro approccio è laico o religioso?“Assolutamente laico. Anima nel senso di psiche. Ambito spirituale sì, ma non in senso religioso”.

A parte “Treviglio libri”, che coinvolge anche altre case editrici, cosa fate per farvi conoscere?

“Presentiamo molti libri, l’ultimo in di-cembre. Stiamo cercando di creare un circuito nei bar del centro storico di Tre-viglio per la presentazione delle nostre produzioni. Ma finora non è andata molto bene. Forse manca la sinergia con le altre associazioni, con le istituzioni, con tutte le forze culturali in campo. Ci sono tante ‘parrocchiette’ e ognuno fa per sé. Siamo molto lontani da un approccio condiviso e da una pubblicità sul territorio che dia il giusto risalto alle diverse attività e mani-festazioni”.

zi, genere Fantasy e la collana di favole per bambini. Abbiamo anche una discreta produzione di libri di poesia”.

Questi libri si trovano in tutte le librerie?“Sì, abbiamo una distribuzione su tutto il territorio nazionale. Oltre novanta titoli che magari non sono proprio sullo scaffa-le davanti della libreria, ma ci sono”.

Chi sono i vostri lettori?“Soprattutto psicologi e psicoterapeuti (a Treviglio ce n’è un’infinità), poi bambini e ragazzi. Ma anche semplici lettori, poiché sono libri che non hanno un taglio tecni-co, ma narrativo. Ci tengo a sottolineare che i testi pubblicati da noi sono scritti molto bene. Siamo molto selettivi, sia sul contenuto che sulla forma”.

Grazie a voi, nella nostra città è nata ‘Treviglio libri’.“Siamo ormai alla terza edizione e siamo molto soddisfatti dei ri-sultati raggiunti finora. Abbiamo già cominciato a lavorare alla prossima, che sarà il 12 e 13 set-tembre sotto i portici di via Mat-teotti. La gente ci conosce ed è soddisfatta. Ci mancano un po’ di sponsor per rendere questa manifestazione sempre più cono-sciuta”.Cosa si fa a ‘Treviglio libri’?“Ci sono presentazioni, labora-tori, incontri con gli autori. Alla manifestazione partecipano una trentina di editori provenienti da tutta Italia, isole comprese. Spe-riamo quest’anno di avere una partecipazione ancora più mas-siccia. Vorremmo farla diventare come quella di Belgioioso, la sto-rica kermesse della piccola edito-ria, che ora non c’è più. Ritengo che quella fosse una sede bellis-sima, ma decentrata. Treviglio in-vece è in una posizione strategica, alla confluenza di tre importanti province come Bergamo, Milano e Brescia”.

Eccellenze/Editoria

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ragazzi.Sì, ma attenzione: questo è un fantasy per adulti. Voglio che sia molto chiaro, perché ha dei contenuti molto forti.

Questa scelta, però, riduce notevolmente il target dei possibili lettori.

Sì, ma non è stata una scelta. Mi è venuto così. Non ho pensato al target, né se avreb-be venduto. L’ho scritto per me. E poi, per fortuna, è piaciuto anche agli altri.

Come sta andando la vendita?Abbastanza bene. Non sono la Rowling, ma insomma. Quello che mi piace è che molti mi hanno chiamato per dirmi che era piaciuto. Anche per dare consigli e suggerimenti per il prossimo libro. Io ac-cetto tutto, annoto tutto. Una signora mi ha detto: ‘quando l’ho finito -mi son chie-sta- ‘e adesso cosa faccio?’: queste sono le vere soddisfazioni.

Avresti mai detto che un giorno sarebbe avvenuto tutto ciò?

Mai a poi mai. Non mi consi-dero una scrittrice, non ho mai pensato di esserlo. Faccio la mamma di due bimbe ed aiuto mio marito, che ha un’azienda agricola. Appena ne ho il tem-po, mi metto a scrivere. Ormai non posso più farne a meno.

Infatti nella tua presentazio-ne scrivi: “...ma alcune delle idee migliori mi venivano mentre cucinavo, così, bra-mosa ed eccitata, mi ritrova-vo a trascrivere sul mio por-tatile con le mani infarinate o sporche di sugo pur di non perdere quell’idea fulminea.” Un’immagine romantica del-lo scrittore, se vogliamo uno stereotipo.

Eppure è andata proprio così. Sarà stato perché volevo estra-niarmi dalla realtà, da una situazione difficile ed avevo bisogno di staccare. Quan-do scrivevo ero chi volevo e

‘La preda’ un fantasy realistico“Un romanzo dove fantasia e realtà si intersecano a tal punto che non puoi più distinguerle”

La Preda. Di Alessandra Gras-si. 800 pagine in due volumi. Genere Urban Fantasy. Una città

magica come BergamoUna trama intricata e ricca di colpi

di scena, con personaggi affascinanti e imprevedibili. Non ci preme, in questa sede, riassumere (sarebbe molto diffi-cile) tutta la storia. Preferiamo affidare la presentazione a un gentile maestra elementare ora in pensione, la signora Alberta Bargone, che in una lettera ri-gorosamente scritta a mano, esprime un giudizio sull’opera prima della sua ex alunna.

E’ un romanzo che fa girare le pagine, chiedendosi “E adesso, cosa succede-rà?”; un romanzo dove fantasia e realtà si intersecano a tal punto che non puoi più distinguere l’una dall’altra, e dove i personaggi sono capaci di coinvolgerti emotivamente, nell’attesa di un finale che non è scontato... La protagonista sei tu, forte, determinata, passionale e coraggiosa”.

“E’ stato emozionante ricevere que-sta lettera dalla mia maestra”, ha detto Alessandra, “Mi ha aiutato, ancora una volta, a crescere. Perché non c’è dubbio, qualsiasi età tu abbia, chi ne sa più di te può aiutarti a migliorare. Sempre, aves-si anche 80 anni”.

Nota: il libro La Preda, Europa edizioni, di Ales-sandra Grassi, si trova presso tutte le librerie Fel-trinelli e, a Treviglio, presso Fonte Viva. E’ disponi-bile anche on line e in versione e- book.

le cose andavano come dicevo io. Anche di notte, quando non riuscivo a dormire perché i problemi sembravano ancora più giganti, scrivevo.

Scrittura terapeutica, quindi, almeno all’inizio

Senza dubbio. Mi ha aiutata tantissimo. La malattia di mia madre è durata due anni ed in quel periodo avevo davvero bisogno di evadere. Poi lei se n’è andata. Ma è riuscita a leggere la prima bozza del libro. Le è piaciuto tantissimo, anche se non sono mancate le critiche. Anche mia madre scriveva. Poesie.

Ecco perché l’esergo è una poesia di Prévert.

Sì, il preferito di mia madre. Anche la de-dica, naturalmente, è per lei.

Treviglio/Uomini & Motori

motori nelle immagini dei nostri genitoridi Giorgio Vailati

Due nostri redattori, Ivan Scelsa e Fabio Conti, recentemente hanno pubblicato un interessante libro legato alla storia locale, di cui un assaggio lo scorso numero con la Multipla “truccata” di Pino Cesni

Ci sono alcune parole che sono en-trate nell’immaginario comune dei turisti di tutto il mondo che vogliono descrivere il nostro Pa-

ese: Pizza, Colosseo, Musica, Ferrari. Ce ne sono poi anche alcune chiaramente ne-gative sulle quali volutamente non mi sof-fermerò.

Questi termini nascono da un’idea di bellezza, di “vivere italiano” che è il frutto di millenni di Storia, dal Sacro Romano Impero al Rinascimento fino ai giorni no-stri. Ecco, un turista ricorderà tutto quanto del nostro Paese, se solo venisse guidato per mano alla sua scoperta, attraverso città una diversa dall’altra e difficilmente assi-milabili.

Nel mondo dell’arte e della cultura, come in quello dei motori, sarebbe sbagliato sot-tovalutare (o quel che è peggio ignorare) la storia di città sviluppatisi all’ombra di grosse metropoli industrializzate dei primi del Novecento, luoghi come Milano e Tori-no, che hanno rappresentato la storia della motorizzazione.

Ma anche gli altri centri della penisola hanno storie da raccontare: sono quelle della gente comune, raccontate e traman-date di padre in figlio, vissute attraverso

scatti in bianco e nero dei nostri padri e dei nostri nonni. Ricordi che riportano la mente alle leggendarie gare del passato: il Gran Prix di Bergamo e ai leggendari nomi del mondo delle corse, Giacomo Agostini su tutti, ma anche nomi che hanno lavora-to “dietro le quinte”, fornendo la propria competenza e professionalità al servizio di grossi Marchi o, più semplicemente… al servizio del cittadino.

“Uomini e Motori” è proprio questo: un viaggio tra i ricordi della nostra provincia, vissuto attraverso volti più o meno noti che il lettore imparerà a conoscere ed apprez-zare. In questo libro, infatti, viene narrato un viaggio in terra bergamasca, alla risco-perta di veicoli e volti più o meno noti.

Scorrendo le pagine il lettore si regale-rà momenti di leggera spensieratezza tra scorci di vissuto quotidiano con le automo-bili che sono state le compagne di avventu-ra di chi le ha possedute, guidate ed amate.

L’automobile, quindi, non solo come mezzo di locomozione per spostarsi da

casa a lavoro ma come parte impor-tante della vita, de-gli anni trascorsi in un territorio in co-stante evoluzione.

Uomini e donne al lavoro, durante le domeniche in fami-glia, in vacanza al mare o impegnati nella preparazio-ne di competizioni importanti o più semplicemente, af-fezionati al proprio mezzo di locomo-zione. Ognuno con un ricordo o un episodio da raccon-

tare. Frammenti indelebili di anni passati e tramandati di padre in figlio come preziose gemme da custodire nel tempo. Dei grandi nomi del mondo delle corse a quelli di per-sone semplicemente affezionate alla pic-cola utilitaria dal valore di un’autovettura lussuosa, importante. “Uomini e motori” edito da Grafica & Arte è un viaggio nel tempo che riporta alle radici della nostra terra.

1956 - Tomaso Cariboni e il dott. Germano Giovilli (dietro), che osservano una giardinetta Fiat 500. Sopra piazza Manara (anni ‘70), sotto via 25 Aprile (anni ‘60)

Uno scorcio di Bergamo Alta, luogo in cui l’autrice immagina si svolgano le vicende del romanzo. Sotto Alessandra Grassi in una recente immagine.

Romanzi/Alessandra Grassi

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na che via abita. Ora sa qualcosa di inglese e pensa di riuscire a integrarsi facilmente. “Inizierò a cercarmi un lavoro a parte-time, poi farò un corso per barman e uno di inglese per perfezionarlo”.

Il progetto si chiude qui, aprendo la stra-da ad altre esperienze avventurose profes-sionali alla ricerca del meglio.

Il ragazzo, che è già “attrezzato” come pizzaiolo, entra nei dettagli e mi spiega i gusti che ha trovato in Irlanda e Germania, ovvero che lì la pizza la fanno un po’ alla buona, con troppa acqua, il forno elettrico, insomma, non è la pizza di Ivan.

“Qui la pizza è 180/220 grammi di pa-stella, il 50% di acqua, forno a legna o a gas. Loro dicono che fanno l’impasto alla ‘napoletana’, 400/450 grammi di pastella, con quantità di acqua variabile, l’impor-tante è che fuori sia secca e dentro molle. E’ l’effetto del forno a 300°, cuoce alla svelta fuori e rimane cruda dentro, meno digeribile.

Con la legna, oltre al sapore che si ar-ricchisce, la cottura è più lenta e uniforme dentro e fuori”.

E in Italia tutti fanno la pizza con il for-no a legna e a gas? “Qualcuno ci prova con il forno elettrico, poi chiude bottega”.

notizie da northfield mount schoolPerché non sentire come vive una ragazza trevigliese negli Usa per studi, capire che succede e confrontare la loro e la nostra realtà? Lo abbiamo chiesto a Silvia Martelli ed ecco un primo reportage

Cinque mesi fa, in preda all’agita-zione, ma soprattutto alla felicità, ho varcato per la prima volta il cancello della mia nuova scuola

superiore; situata in Massachussets -- o più precisamente sperduta nel mezzo di una foresta ad un paio d’ore da Boston -- Northfield Mount Hermon School (NMH) appariva bellissima ed immensa sotto un caldo sole di fine estate.

Considerata una delle migliori scuole superiori americane, l’NMH mi ha indub-biamente fatto sudare freddo con il suo processo di ammissione estenuante (saggi, interviste ed esami) e la percentuale di in-gresso particolarmente bassa.

Con un brivido ripenso al giorno di apri-le dello scorso anno in cui ho scoperto di essere stata ammessa. Di quella lunghissi-ma lettera d’ammissione non ricordo altro se non “congratulations”: sembrava la pa-rola più bella del mondo.

Lo scorso settembre il mio sogno è dun-que diventato realtà. Sapevo che davanti a me avevo un’esperienza che qua verrebbe

descritta con un “it makes you or breaks you”, ed ero pronta a viverla con tutta me stessa, comunque andasse.

La prima sera nella mia nuova camera, una tripla fin troppo piccola per essere una tripla, mi sentivo lontana da casa ma allo stesso tempo molto vicina al crearne una del tutta nuova. Avevo immaginato a lungo quella sera come qualcosa di spaventoso, ma in quel momento nulla sembrava far paura. Si dice che quando il gioco si fa duro, i duri comincino a giocare.

I primi quattro mesi all’NMH sono stati i più stancanti della mia vita: lezioni fino alle tre del pomeriggio, poi allenamenti sportivi per un paio di ore, quindi riunioni di organizzazioni studentesche alle quali ho aderito ed infine i compiti spesso, fin troppo spesso, fino alle due di notte. L’adat-tamento ad una nuova routine così serrata è stato arduo, ma la concezione di scuola all’ NMH è così coinvolgente che la fatica non si sente, o perlopiù non appare come un problema, bensì un’ulteriore opportuni-tà di crescita. Questi cinque mesi in Ame-rica mi hanno dimostrato che la “scuola” qua ti cresce come persona, ti insegna uno stile di vita, ti spiega che lavorare sodo è meglio che aspettare che siano gli altri a farlo, ti dimostra che onestà e rispetto sono la base di un solido futuro, ma soprattutto ti dimostra che credendo in te stesso puoi andare lontano.

Trevigliesi nel mondoTrevigliesi nel mondo

Nello scorso numero Marco Ferri ci ha fatto sognare raccontando le avventure strabilianti di Pao-lo Aralla e dei suoi collaborato-

ri; le fotografie dalle cime dell’Himalaya, i viaggi avventurosi, i documentari di Na-tional Geographic per Sky. Capita però di andare pranzare al Cavallino in via Tasso, catturare un dialogo tra un avventore e un ragazzo di venticinque anni, così scoprire che le strade avventurose passano anche in pizzeria.

Lo afferro al volo intanto che Ivan mi prepara il fritto misto e lo faccio sedere al mio tavolo, a pranzo di domenica la pizza è meno richiesta e Alessandro Castelli non è impegnato come al solito. E’ di Castel Rozzone, appena tornato dalla Germania e pronto a partire per Londra

Il ragazzo è simpatico, pieno di vita e di entusiasmo, un pizzaiolo da quando aveva undici anni. Vede la mia faccia sbalordita e chiarisce: “Mia madre mi disse che il me-stiere si impara da subito, così mi disse di frequentare un po’ la pizzeria d’asporto in paese. Non è che lavoravo, mi lasciavano impastare la mia pizzetta, condirla, infor-narla, mangiarla. Gratis”.

E così continuò fino a quattordici anni, quando l’attività venne venduta e il nuovo titolare decise di assumerlo come pizzaio-lo. “Eravamo solo noi, così facevo il piz-

la pizza del cavallino in giro per l’europaAlessandro Castelli, pizzaiolo da quando aveva undici anni, sbarca nella pizzeria di via Torquato Tasso e, imparato bene il mestiere, decide di provare a portare la sua esperienza in Irlanda e Germania

zaiolo ma spesso anche le consegne. Un anno ho lavorato anche al Moon Pub, poi al Melograno per quattro anni, ma solo il fine settimana perché dovevo studiare”.

Alla fine, passato da un istituto all’altro, riesce a passare la maturità all’Oberdan e ricevere il diploma di ragioniere e metterlo immediatamente nel cassetto.

Il 2009 è l’anno della svolta, quando vie-ne assunto come pizzaiolo al Cavallino e vi rimane fino al dicembre del 2013, quan-do si sente pronto a cavalcare l’avventura e

saluta Ivan Cela, il titolare.Alessandro scalpita, vuole girare un po’

l’Europa, così a gennaio parte per l’Irlanda e si piazza a Newry, ma torna a casa dopo una settimana; erano arrivate alcune rispo-ste alle sue offerte di Lavoro via email: tre dalla Germania, una dal Belgio e una dalla Danimarca. Decide per la Germania, an-che se le richieste che aveva avuto in Irlan-da erano economicamente più interessanti. “Ovvero in Germania l’impegno era mino-re, alla fine anziché lavorare dieci ore al giorno, ho preferito lavorare meno e gua-dagnare meno, ma pagato meglio rispetto alle ore spese”.

Differenze Irlanda-Germania? “Più so-cievoli in Irlanda, in un attimo conosci tutti e sei già di famiglia, in Germania sono un po’ più freddi, distaccati. Certo in entrambi i paesi la vita è meno stressante che qui da noi, la vita scorre più tranquil-la, per contro si hanno esperienze che ti aprono la mente. Io ero a Sommerau, vici-no al Lussemburgo”.

Arriva il fritto misto ottimo e abbon-dante, mi faccio portare un bel calice di bianco e per Alessandro è il momento di preparare qualche pizza. Finisco di bere il caffè e il ragazzo, in automatico, me lo tro-vo seduto al tavolo con un foglio bianco in mano, aveva visto che quello che avevo l’a-vevo completato dai due lati. In effetti sia-mo già diventati parenti e ci diamo del tu.

Come è la vita in Germania, come si lavora? “Si guadagna di più, si spende di più, insomma è uguale, il problema sono i pizzaioli italiani. Sanno come vanno le cose qui e ne approfittano, ti tengono lo stipendio basso rispetto a quanto ti pa-gherebbe un tedesco”.

Mi spiega che a marzo andrà a lavorare a Londra, per studiare e guardarsi in giro, contando sulla base d’appoggio della cugi-

A sinistra colleghi di Alessandro nella pausa pranzo al Cavallino. Sopra scorci del ristorante tedesco a Sommerau e a destra di quello irlandese a Newry. Sotto Alesandro Castelli e a destra i titolari del Cavallino Ivan Cela e Rosangela Perego

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N el mio lavoro di giornalista é capitato spesso di sentire che

tra l’Italia e l’Europa del Centro Nord esiste una concezione

della cultura musicale completamente diversa. Vista da fuori, ovvero come

italiano che non conosce la musica, il distacco culturale appare enorme, fuori

portata. Questa percezione è ben visibile nell’ambito scolastico in talune scuole, dove l’educazione musicale non viene

intesa come una materia vera e propria, importante, ma l’ora dove si possono fare altre cose più urgenti. L’ora di ricreazio-

ne. Con ciòì, come osserva l’ambiente musicale italiano una flautista professioni-

sta che dell’Italia e di Treviglio a fatto la sua patria? Lo abbiamo chiesto ad Hana

Budisova Colombo. (il direttore)

Sono una flautista della Repubblica Ceca

Sono una flautista di origini ceche che ha vissuto quasi metà della sua vita a Treviglio. Spesso mi sento chiedere,

sia qui sia in patria, come mi trovo. Dopo tutto questo tempo, ci si abitua sia alle cose positive sia a quelle negative, non si con-fronta più tra lì e qua e si vive la propria

Qui la musica non ha la vita faciledi Hana Budisova Colombo

Abbiamo chiesto ad Hana Busova, flautista residente a Treviglio da molti anni, di spiegare le differenze che percepisce nel campo musicale tra il nostro Paese e l’Europa continentale, quindi in città

vita , anche musicale, come meglio si può. Un musicista non ha vita facile da nes-

suna parte e in Italia, purtroppo, queste difficoltà aumentano; troppo spesso il no-stro lavoro non è considerato come tale ma piuttosto è considerato come un hobby (a un idraulico, un falegname, un notaio, un commercialista non si chiederebbe mai di lavorare gratis a causa della crisi econo-mica mentre un musicista sente queste pa-

role troppo spesso).L’Italia è un paese molto ricco dal punto

di vista storico e artistico e nei secoli è stato spesso il punto di riferimento per l’Europa e per il mondo. Gli italiani sono sensibili all’arte e sanno riconoscere la qualità ma tutto questo sembra non avere un riscontro nella vita comune; partendo dall’educa-zione musicale nelle scuole dove, spesso, dipende unicamente dalla buona volontà e passione dei singoli docenti (o poco inte-resse) e dalla loro capacità di trasmettere questa passione ai ragazzi.

Lo stesso modello si ritrova fuori dall’ambito scolastico, nella vita musicale delle città e dei paesi, dove spesso tutto ruota intorno ad una singola persona, un musicista appassionato (direttore di un’as-

sociazione musicale, della Banda, di una scuola di musica, un organista o direttore del coro parrocchiale ecc.) il quale dedica gran parte della sua vita alla divulgazio-ne musicale. Ciò che manca è quindi un’or-ganizzazione sistemi-ca e strutturale della cultura musicale.

Treviglio è una cit-tà importante della bergamasca e ha del-le grandi potenzialità che dal mio punto di vista sono poco sfrut-tate.

Abbiamo alcune scuole di musica, una scuola media a indirizzo musicale (e qui mi permetto di ricordare la triste man-canza di una scuola civica di musica della quale si parla da più di vent’anni) ma del-la loro presenza ci si accorge solo verso la fine dell’anno scolastico, quando arriva il periodo dei saggi finali. A Treviglio abbia-mo un bellissimo teatro, uno spettacolare l’Auditorium alla Cassa Rurale (con un’ec-

cellente acustica), un auditorium alla SMS Grossi, recentemente ristrutturato in stile liberty, il nuovissimo Auditorium comu-nale inaugurato recentemente e gli spazi della Biblioteca comunale. Ci sono quindi molti spazi a disposizione che potrebbero essere meglio sfruttati nell’arco dell’anno per dare maggior visibilità non solo ai mu-sicisti locali e agli allievi delle varie scuole di musica ma anche per fare diventare Tre-viglio un centro aggregatore della cultura e dell’offerta musicale per i paesi limitrofi

A parte l’importante Stagione concer-tistica, che negli ultimi anni ha fatto co-noscere al pubblico trevigliese moltissi-mi nomi del mondo musicale nazionale ed internazionale (stagione organizzata dall’associazione Treviglio Musica con il sostegno del Comune e del Assessorato alla Cultura), Treviglio ospita solamen-te un altro evento, si tratta del “Concorso Nazionale giovani talenti jazz Città di Treviglio” iniziato nel 2007 e organizzato dall’Assessorato alla Cultura del comune di Treviglio in collaborazione con Berga-mo Jazz e ripreso l’anno scorso dopo un anno di pausa.

Dobbiamo valorizzare di più la nostra città educando i cittadini alla musica e noi, come musicisti, dobbiamo incuriosire of-frendo non solo ”la solita musica che pia-ce” ma proponendo programmi che con-templino musica nuova e poco conosciuta ai più.

Personalmente, come interprete e con-certista, ho sempre avuto risposte molto positive proponendo al pubblico brani sco-nosciuti e di generi diversi; dal barocco al contemporaneo, toccando un po’ tutti i ge-neri, il pubblico apprezza le novità.

Non fermiamoci quindi a una rassegna, ai soliti concerti di Natale e Pasqua, ai saggi di fine anno delle scuole; facciamo suonare di più Treviglio e non solo nei vi-coli d’estate! Apriamo più spesso gli spazi meravigliosi che abbiamo agli studenti di musica, ai musicisti, agli appassionati alla cittadinanza e divertiamoci con la musica.

Dimonte e l’altra faccia della musicaa cura di Marco Ferri

Mariano, detto DiMo, il personaggio di casa nostra che ha sfondato in un mondo complicato, sperimentando un percorso innovativo che ora gli consente di vivere della sua passione, la musica

Analizzando il panorama musica-le italiano attraverso le canzoni che vengono trasmesse dalle ra-dio o dagli ospiti presenti nelle

trasmissioni televisive di livello naziona-le, ci si rende presto conto come sia tutto riservato a pochi scelti “eletti”. Eppure se guardiamo i dati di partecipazione ai ca-sting dei reality come X-Factor, The Voi-ce, Amici, sono tantissimi i giovani che sognano di lavorare (sfondare) nel mondo dello spettacolo (15 mila nel 2014 solo a Roma per le selezioni di X-Factor 8). Il settore sicuramente ha risentito in modo pesante degli effetti della crisi, si vendono sempre meno dischi, sono sempre meno i locali che propongono musica dal vivo e molto pochi quelli che offrono spazi a chi propone un proprio prodotto originale, ma noi siamo il paese del “bel canto”, dell’arte riconosciuta a livello internazionale e non dobbiamo smettere di investire nei setto-ri culturali che hanno oltretutto sempre avuto un’importante funzione di coesione sociale.

All’interno di questo difficile contesto il trevigliese Mariano Dimonte, detto “DiMo”, ha sperimentato un percorso im-prenditoriale innovativo che a distanza di

alcuni anni gli consente di poter lavorare con quella che è sempre stata la sua passio-ne: “la musica”.

“Quella che per me è stata una perso-nale rivoluzione inizia nel 2010 - racconta Mariano - in quel periodo lavoravo alle dipendenze dello studio di produzione Preludio a Milano ed avevo raggiunto un importante successo nel campo della mu-sica per la pubblicità con il brano “Io ci sarò” (utilizzato per lo spot del medicina-le Enterogermina). Ho sentito il deside-rio di mettermi in gioco, grazie anche ai preziosi suggerimenti e stimoli ricevuti da Gigi Folino (bassista della band “Gruppo Italiano”, conosciuto per la canzone “Tro-picana”), e di provare nuovi percorsi. Ri-nuncio al “posto fisso” e divento un libe-ro professionista, promuovo la creazione della band “Moody” ed inizio a lavorare come insegnate associato AIGAM (www.aigam.org) al progetto “Crescendo in mu-sica” con bambini da zero a sei anni”.

Il progetto utilizza la “Music Learning Theory”, una teoria ideata da Edwin E. Gordon (South Carolina University, USA) e fondata su oltre 50 anni di ricerche ed osservazioni.

Essa descrive la modalità di appren-

Treviglio/Fare impresa con la musicaMusica/Una straniera a Treviglio

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Treviglio/Fare impresa con la musica

I Moody sono un gruppo che si sta fa-cendo spazio nel panorama musicale rock e indie. Il progetto si è evoluto

nel corso del tempo fino ad avere una caratterizzazione sonora particolare e personale dando attenzione anche alla varietà compositiva: si passa da canzoni più “aggressive” ispirate allo stile di gruppi come gli Black Keys o i Muse, a canzoni più introspettive e romantiche dal sapore più cantautorale o ironiche.

Il tutto è però legato da un filo condut-tore comune: utilizzare un linguaggio diretto ed incisivo cercando nel fondo della propria anima per esprimere emozioni che possano arrivare a chiun-que ascolti. Oggi il progetto vede una notevole autonomia da ogni punto di vista: promozionale, grazie al grande seguito su www.moodyband.it e su Facebook e più in generale sul web, e produttivo, grazie alla costante autopro-duzione. Moody, dall’inglese “lunatico” o “scontroso”, ma, al tempo stesso, pieno di sentimenti veri e intensi. Così come è vera l’amicizia che c’è tra Nino Maggioni (chitarre e coautore di alcuni brani), Francesco Calabretti (batteria), Emanuel Bisquola (basso) e DiMo (voce e autore dei brani).

Voce della band è il cantante DiMo (Mariano Dimonte all’anagrafe), musicista con molte esperienze live e discografiche. Nel suo curriculum non mancano gli anni dedicati allo studio, alla composizione e le esperienze che lo hanno visto coinvolto in un ricco percor-so artistico e professionale. Nel 2012 i Moody firmano la colonna sonora dello spot della Fiat Punto (Let’s Party) in

onda in 4 paesi e proprio grazie a questa sincronizzazione hanno dato alla luce il loro primo album per Edel, anticipato proprio dall’uscita del Singolo Let’s Party! Il secondo disco vede la luce nel maggio 2014 attraverso il progetto Musicraiser grazie al quale i Moody trovano totale indipendenza e stringono un legame molto forte con i loro Fan; escono con una divertente versione di I’ve got you under my skin (utilizza-ta ancora oggi nello spot TV Infasil) accompagnata da un video in cui i 4 Moody fanno di tutto per far divertire il proprio pubblico!

Recentemente hanno partecipato al concorso SoundTru (Trussardi/Warner) avendo la possibilità di esibirsi per il noto marchio Bergamasco.

Nel 2015 si proporranno tra le nuove proposte di San Remo con un brano molto “intimo” scritto e arrangiato con Fabio Sir Merigo.

(Giuliano Palma)

La biografia dei Moody

Il linguaggio dell’anima, quello diretto e incisivo

dimento musicale del bambino a partire dall’età neonatale e si fonda sul presuppo-sto che la musica si possa apprendere se-condo processi analoghi a quelli con cui si apprende il linguaggio.

“L’obiettivo del progetto -spiega DiMo- è quello di favorire lo sviluppo dell’atti-tudine musicale di ciascun bambino se-condo le proprie potenzialità, modalità e soprattutto tempi. Non è la crescita di un bambino musicalmente ‘geniale’ o del musicista professionista ad ogni costo a costituire la finalità degli incontri (trenta in un anno), al contrario, è quella di for-mare persone in grado di comprendere la sintassi musicale e di esprimersi musical-mente, con la voce o con uno strumento”.

La prassi educativa nasce dagli stu-di teorici del Prof. Edwin Gordon ed ha un obiettivo molto preciso: lo sviluppo dell’audiation degli allievi, senza il quale non avrebbe modo d’esistere la capacità di riconoscere e capire metri e ritmi musicali, nonché i suoni e le relazioni che li legano.

“L’audiation -spiega Mariano- è bre-vemente descrivibile come la capacità di sentire e comprendere nella mente musi-ca che non è o non è più fisicamente pre-sente. Si tratta di un processo cognitivo, attraverso il quale il nostro cervello dà significato ai suoni. Differente quindi dalla percezione uditiva, fenomeno acu-stico che occorre simultaneamente ed effettivamente con la ricezione del suo-no attraverso l’orecchio. Proprio come il pensiero velocemente rielabora le parole ascoltate durante una conversazione, le ritiene mentalmente, attraverso la memo-ria le confronta con quelle appartenenti al bagaglio di esperienza dell’ascoltatore ed opera azioni di anticipazione delle parole che verranno, così si comporta il nostro cervello nell’attribuzione di senso durante l’ascolto della musica.

Parallelamente al progetto “Crescendo in musica”, che coinvolge 200 piccoli al-lievi e che si svolge principalmente negli asili nido ed asili privati, (l’assenza del

pubblico meriterebbe una riflessione a parte ndr) Mariano prosegue nell’attività di produzione musicale per le pubblicità che, anche grazie alla collaborazione con altri musicisti quali Fabio Merigo (chitar-rista con Giuliano Palma) ed il bassista Fabio Dalè, raggiunge nuovi importanti affermazioni tra cui la colonna sonora dello spot della Fiat Punto con il brano “Let’s party”.

“L’esperienza di insegnamento della musica con bambini così piccoli è incredi-bile -racconta DiMo- un percorso che, su-perato il primo momento di perplessità di alcuni genitori, mostra in poco tempo si-gnificativi risultati. Poi a distanza di anni mi regala tanto entusiasmo, energia e con-vinzione della scelta intrapresa. Energia e positività che trasferisco nei miei progetti musicali in studio e nel fare musica insie-me con i ragazzi della mia band i ‘Moody’. Lo scorso anno, attraverso la piattaforma di crowdfunding Musicraiser (www.musi-craiser.com), siamo riusciti, tra l’altro, a finanziare il secondo disco grazie al sup-porto dei nostri fans. Anche se il mercato musicale appare fermo -prosegue- sono

convinto che sia importante continuare a produrre nuove canzoni, raccontare con semplicità ed in modo autentico la voglia di stare assieme, di divertirsi e di riflettere su quello che viviamo quotidianamente.

L’attività imprenditoriale del nostro gio-vane musicista ci permette quindi di avere uno sguardo più ampio sul mondo della musica. Ci fa toccare con mano e ci fa per-cepire un universo musicale nuovo, poco conosciuto ai più ma non per questo meno stimolante ed interessante.

La musica non è solo Reality, come or-mai sembrano volerci far credere i mass media; nelle nostra epoca appare l’imma-gine del musicista che canta e suona più per se stesso che che per gli altri, facendo esercizio di straordinari virtuosismi che lasciano a bocca aperta per le capacità tecniche, ma che lasciano poi altrettanto vuoti nello spirito, nell’emozionalità. A volte sembra di avere l’impressione che la musica non cerchi più condivisione, ma sia solo un mero esercizio di abilità. Ma essa, come tutte le forme d’arte, è prima tutto espressione e condivisione di un’e-mozione”.

L’attività di Mariano ci riporta invece ad una dimensione di partecipazione e di ascolto. Si rapporta con piccoli esseri umani che in apparenza non hanno ancora l’idea di cosa siano note, ritmo, vocalizzi e melodia. Non sembra facile fare musica per chi, solo esteriormente, non comprende la sua complessità. Tutto questo ci fa ren-dere conto di come la sua visione della mu-sica sia ampia e abbia una mission a 360 gradi che passa anche attraverso un aspetto educativo. Mariano, attraverso una forma di gioco, trasmette nozioni ed emozioni ai suoi giovanissimi ascoltatori non aspettan-dosi solo l’applauso del pubblico. Eppure si rende conto di come, per queste piccole menti, la musica diventi un linguaggio im-portantissimo a livello emotivo e di come anche stimoli le loro capacità cognitive oltre quello che forse noi possiamo imma-ginare.

Questo è uno degli esempi di come, con il giusto spirito imprenditoriale ed una dose di coraggio, lavorare nel modo del-lo spettacolo sia possibile, a patto di non fermarsi agli stereotipi ed alle apparenze.

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Cent’anni Della BpB a treviglio...di Roberto Fabbrucci

Sostegno alle iniziative culturali locali, all’acquisto delle due ambulanze per la Cri, donazione di defibrillatori e un po’ di notizie di una banca radicata sul territorio, ma anche strutturata per grandi aziende

La presentazione del Concerto della Madonna delle Lacrime di quest’anno (vedi foto), è stata par-ticolare, non solo perché ha visto

la presentazione di una nuova orchestra, “I musici del Teatro” (nella quale conflui-scono elementi del Centro Studi Musicali di Paolo Belloli e dell’Accademia di Elisa-betta Magri), ma perché l’iniziativa vedeva fisicamente presenti la Bcc di Treviglio con il presidente Giovanni Grazioli e l’Ubi, Banca Popolare di Bergamo, filiale di Tre-viglio, con il direttore Giampiero Gritti e il direttore territoriale Marco Palazzolo. Due banche locali che insieme hanno so-stenuto economicamente l’iniziativa. Fatto sottolineato sia da Giovanni Grazioli che da Marco Palazzolo, ma non è stata la prima volta, se pure in questa occasione c’è stata l’ufficializzazione di una sorta di alleanza delle due banche territoriali per sostenere le iniziative culturali e sociali significative. Un passo importante per le banche, ancor più per Treviglio.

Con queste riflessioni in testa abbiamo voluto incontrare il direttore Giampiero Gritti, molto impegnato già dall’inizio del 2014 nel celebrare il centenario della pre-senza della BPB a Treviglio.

C’eravamo conosciuti allora, quando era-vamo impegnati come comitato nel racco-gliere i fondi e acquistare le due ambulanze

per la Croce Rossa di Treviglio. Iniziativa alla quale l’Ubi-BPB ha partecipato con un contributo di 10.000 euro, anche in questo caso a fianco della Bcc. Poi recentemente la consegna dei defibrillatori ai gruppi sporti-vi parrocchiali, anche a Treviglio.

Come sempre il direttore è facilmente raggiungibile: entri nella filiale, vai verso il fondo, vedi se sta telefonando o meno, ti av-vicini e il direttore ti fa accomodare come fossi un amico. In effetti da allora ci diamo del tu.

Ripercorriamo un po’ le iniziative, non solo la festa del centenario della filiale a Treviglio il 23 Ottobre 2014, con le due ambulanze nuove e lucide nel cortile della Banca, ma anche la precedente sponsoriz-zazione del Concerto della Madonna delle Lacrime, quella del 2014, dove l’Ubi fu l’u-nico sponsor, la stagione musicale di Paolo Belloli, ecc.

Parliamo dell’amico comune Marcello Ferrari e dell’acquarello regalato alla filia-le, così mi mostra la cartolina celebrativa della Banca con l’annullo delle Poste. Non lo diamo a vedere, ma ricordando Marcel-lo appena scomparso e quel bell’acquarello con le due torri, quelle di Bergamo e Tre-viglio, ci commuoviamo un po’. “Bergamo e Treviglio, due città una fede. Un modello vincente” sottolinea Giampiero Gritti.

Parliamo un po’ di voi. Non è difficile

essere una grande banca e contemporanea-mente essere radicata sul territorio? Chiedo all’amico Gritti.

“E’ un’opportunità per le aziende, sia piccole che grandi. Siamo radicati, cono-sciamo i nostri interlocutori e questo faci-lita tutto. Per noi i clienti non sono numeri, sono persone con una storia, così come la loro azienda”. Poi mi spiega.

“La nostra Banca gestisce la propria clientela cercando di offrire il modello di servizio più vicino proprio alle esigenze del cliente stesso.

Qui a Treviglio, la Banca Popolare di Bergamo, dispone di una “task-force” di circa 30 persone: in aggiunta alla Filia-le da me diretta operano i colleghi della Private Corporate Unity che gestiscono le aziende più complesse (e con fatturato importante) ed i cosiddetti “grandi rispar-miatori”.

In buona sostanza, i nostri clienti dell’a-rea di Treviglio possono contare su una Banca storicamente radicata, ben struttu-rata in loco e, soprattutto, con uno sguar-do fiducioso verso un futuro nazionale ed internazionale mantendo però i piedi “ben franchi” sul territorio”.

Torniamo alle origini delle iniziative del 2014 e alla prima filiale trevigliese in piaz-za Garibaldi, nel 1914. Venne trasferita in viale Filagno nel 1970, poi ristrutturata nel 2008 così come la vediamo oggi.

Non la posso tirar lunga, un cliente si è annunciato e deve parlare con il direttore. Prometto di ritornare ma chiedo un’ultima notizia: “So che avete avuto un premio lo scorso anno, quale?”. Gritti si allarga in un sorriso e spiega: “Premio come miglior banca italiana per solidità di bilancio, qualità del credito e innovazione del pro-dotto”. Sono senza parole, complimenti! Gli dico mentre ci stringiamo la mano.

Banche del territorio

Scatto alla presentazione del Concerto per la Madonna delle Lacrime. Da sinistra Beppe Rozzoni (Presidente Corpo Musicale) Elisabetta Magri (Accademia Musicale), Paolo Belloli (Direttore Centro Studi Musicali), Giovanni Gritti (Presidente Bcc Treviglio, Alda Sonzogni (Presid. Centro Studi Musicali), quindi i rappresentanti della Bpb-Ubi, Marco Palazzolo e Giampiero Gritti

Sarà la sala del Teatro Nuovo Trevi-glio di Piazza Giuseppe Garibaldi che sabato 7 marzo prossimo ospi-terà la terza edizione del Concorso

Corale organizzato dalla collaborazione del Gruppo Corale ICAT – “Città di Trevi-glio” e del Coro Calycanthus di Treviglio, con il patrocinio dell’Usci Lombardia, di quella provinciale e con il contributo dell’Amministrazione Comunale di Tre-viglio. Il concorso, oltre ad essere l’unico nazionale di tipo Polifonico in Lombardia, ha dato prova di alta qualità e partecipa-zione, sia per le compagini dei concorrenti che per l’affluenza del pubblico.

Anche quest’anno la richiesta di parte-cipazione è stata elevata, impegnando il Comitato Organizzatore in un difficile la-voro di selezione per individuare gli otto migliori cori tra quelli che avevano chiesto di aderire al Concorso. I gruppi corali scel-ti provengono dalle province di Bergamo, Milano, Pisa, Savona, Sondrio e Torino.

La giornata si svolgerà in due momenti distinti, dalle 15,00 gli otto cori partecipe-ranno alla fase eliminatoria, mentre dalle ore 21,00 si svolgerà la fase finale, sempre nella sala del Teatro Nuovo Treviglio di Piazza Giuseppe Garibaldi.

Qui i quattro cori finalisti si esibiranno per contendersi la vittoria, quindi aggiudi-

Un trofeo e otto Cori in CompetizioneIl terzo “Trofeo Città di Treviglio” di Canto Corale è alle porte, il 7 Marzo le corali selezionate si confronteranno. Manifestazione, patrocinata dal Comune e organizzata dalle corali Icat e Calycanthus

carsi il Trofeo Città di Treviglio. Negli in-tervalli delle due fasi della manifestazione, mentre la giuria si ritirerà per la scelta dei finalisti e del vincitore, si svolgeranno due esibizioni. Il primo a cura dell’Orchestra Tommaso Grossi (diretta dagli insegnan-ti del Corso Indirizzo Musicale, in colla-borazione con l’Associazione Culturale “Musica per Passione”), che presenterà un programma che spazierà dalla musica Classica a quella Jazz, da quella da Film; successivamente si esibirà il coro Poli-fonico Adiemus di Bergamo diretto dal Maestro Flavio Ranica, corale di raffina-ta interpretazione della musica polifonica classica e contemporanea.

Questa la giuria

La guria sarà presieduta dal Maestro Franco Monego, autorevole musicista

che ha ricoperto l’incarico di “maestro del coro” presso i cori lirico-sinfonici della Rai di Torino, di Milano, negli Enti Lirici del Teatro Verdi di Trieste e quello del Teatro Massimo di Palermo; dal 1968 insegnante presso il Conservatorio G. Verdi di Milano, dal 1980 al 2007, titolare della cattedra di Musica corale e direzione di coro. Gli altri componenti sono Damiano Rota (Presidente dell’USCI Regione Lombardia, organista, direttore di coro e orchestra, svolge attività didattica al Conservatorio di Verona), ha insegnato a Rovigo, Trento e Riva del Gar-da, ha tenuto laboratori e seminari per cori in tutta Italia; Gian Luca Sanna (diplomato in Canto con il massimo dei voti in Canto Lirico, in Organo e Composizione Organistica presso l’Istituto Musicale “Gaetano Donizetti” di Bergamo oltre che in Composizione, Direzio-ne di Coro e Direzione d’Orchestra): Michelangelo Gabbrielli (diplomato in Musica Corale e Direzione di Coro, Organo e Composizione Organistica presso il Con-servatorio di Musica “Luigi Cherubini” di Firenze). Ha conseguito i diplomi di Compo-sizione Polifonica Vocale e di Composizione presso il Conservatorio di Musica “Giuseppe Verdi” di Milano e nello stesso Conservatorio si è diplomato, con il massimo dei voti e la

lode, in Musicolo-gia); Pietro Ferrario diplomato in Piano-forte, Composizione, Organo e Composizio-ne Organistica, Musica Corale e Direzione di Coro, presso i Con-servatori di Brescia e Alessandria, studiando con Bruno Bettinelli e Luigi Molfino e si è poi perfezionato in Composizione.

Treviglio/Concorso Nazionale

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Treviglio: la bella mostra delle “Teste di legno”Agli albori del XXI secolo è

ancora necessario mandare avanti la baracca. Nessun modo

di dire. Letteralmente. La tradizione degli spettacoli dei burattini continua la sua strada e si impone nel mondo dello spettacolo sotto varie spoglie, dalla commedia classica con pupazzi della tradizione popolare fino a vere rappre-sentazioni in cui attori in carne ed ossa riprendono quei movimenti un po’ goffi ed ilari delle “teste di legno”. Treviglio non teme il contagio. Dopo il successo nel 2009 di «Baracca e burattini», una mostra fotografica arricchita da un film documentario e da uno spettacolo della tradizione burattinaia, quest’anno tornano in scena i protagonisti delle ba-racche in un’esposizione ricca e curiosa presso Sala Crociera del Centro Civico Culturale: ‘Teste di Legno’, in chiusura il 22 febbraio, propone un percorso che rappresenta un’eredità popolare di cui andare fieri e che vede il territorio bergamasco come cuore vivo e pulsante del teatro d’animazione.

“Non si vedeva una mostra così da ol-tre 35 anni” afferma Riccardo Riganti, curatore del salone insieme a Fabio Cel-si, Daniele Cortesi e Francesco Tadini. Oltre a poter vantare di ben duecento burattini e maschere provenienti da tutto il mondo prestati da personaggi legati alla tradizione burattinai quali Maccagni, Cortesi, Lasagni, Manzoni e Ravasi, la mostra ostenta tante curio-sità e particolarità che richiamano il retroscena storico-culturale di Treviglio

e della bergamasca grazie ad una vasta gamma di documenti presi dagli archivi comunali e della biblioteca.

Co-protagonista di ‘Teste di Legno’ è la passione che vive ancora in molte famiglie legate a questo tipo di arte. Tra loro emerge il nome di Daniele Cortesi che, dalla fondazione di una compagnia nel 1982, presenta spettacoli di burattini fedeli alla migliore tradi-zione bergamasca ereditata dal grande Maestro Benedetto Ravasio – originario di Bonate Sotto, è conosciuto come l’artista che sintetizza il momento di passaggio tra la vecchia tradizione e il rinnova-mento nel teatro di ani-mazione –.

Viene così ancora una volta rac-contata una storia che rispecchia di-verse visioni del mondo e che si fa portavoce del popolo.

‘Teste di Legno’ sta ottenendo l’interesse e l’ammirazione di molti per la sua eterogeneità e per la volontà di mettere in comunicazione diverse fasce d’età. Da una parte troviamo chi, passeggiando per la mostra, sente risve-gliare ricordi d’infanzia e chi, dall’altra parte, trova lo spunto per conoscere e approfondire una realtà apparentemente lontana. I burattini rappresentano un ponte tra le persone e hanno l’ambizio-so obiettivo di comunicare attraverso una forma che dà colore alla quotidiani-tà e soprattutto calore.

Silvia Giardina

Treviglio/Burattini e maschere

“Scrivo e pedalo. Pedalo e scrivo. Dopo l’exursus nel XIX° secolo del numero precedente, il via alla passerella dei personaggi del ciclismo trevigliese. Conduce il primo giro…”

(Valentino Vertova)

Nato a Treviglio il 6 febbraio 1932, a quindici anni la sua vita era già ‘segnata’ da due grandi passioni l’idraulica e il cicli-

smo. In fondo sempre di tubi si trattava, da quelli per lo scorrimento dell’acqua a quelli per costruire il telaio della biciclet-ta. Per entrambi necessitavano impegno, determinazione, intelligenza, doti che a Valentino non mancavano di certo. Un per-sonaggio che, a poco più di sei anni dalla sua scomparsa (18/1/2009) molti ricordano con stima e affetto e rappresenta il classico esempio di una vita dedicata al lavoro, alla famiglia, mai disgiunta dalla sua passio-naccia sportiva. Atleticamente era un fal-so segaligno, alto, gambe secche e lunghe da passista scalatore. Caratterialmente un falso timido, grintoso ma mai aggressivo, riservato ma non introverso. Riuscì ad an-ticipare l’inizio della sua attività agonistica

Treviglio/Pedalando nel tempo

VertoVa, il signore della biciclettadi Ezio Zanenga

Era un “cosino” tutto pepe, un signore della bicicletta. Le sue passioni l’idraulica e il ciclismo. Riservato, alto, gambe lunghe, un passista scalatore, grintoso e mai aggressivo. Erano i tempi delle brage alla zuava...

a soli quindici anni complice il suo men-tore Italo Caspani, il mitico ‘Nata’, mago sportivo ante litteram delle due ruote, evi-dentemente esperto nel truccare le date di nascita.

E’ uno degli aneddoti che ho avuto la fortuna di raccogliere direttamente da Valentino, pur notoriamente schivo e ri-

servato, in tanti incontri nei quali, oppor-tunamente sollecitato, socchiudeva i suoi piccoli occhi (caratteristica sua espressio-ne) e ti scodellava un rosario di ricordi.

Erano gli anni dell’immediato dopoguer-ra, per gli italiani lo sport costituiva un so-gno, una forma di riscatto, per Valentino il sogno era il ciclismo. Erano i tempi delle braghe alla zuava, dei tubolari attorciglia-ti sulle spalle, delle strade ancora in gran parte sterrate, con Bartali, Coppi e Magni miti del grande ciclismo. Valentino a 15 anni si trovò a gareggiare con i diciotten-ni, il suo debutto il 15 maggio 1947 a Tre-score Cremasco: subito piazzato. A Berga-mo, nella Coppa Serafini del 1° settembre è quinto: il cronista di allora de l’Eco di Bergamo lo nota sulla ‘Boccola’ (lo ‘strap-po’ di Bergamo Alta) e lo definisce ‘un

cosino tutte pepe dallo stile compo-sto’. Per Valentino la Boccola sarà come il ’Poggio’ della Milano San-remo per Merckx e altri campioni: un trampolino di lancio per nume-rosi piazzamenti e per una signorile vittoria solitaria a Bergamo, staccan-do tutti appunto sulla Boccola.

Nel 1948 e nel 1949 gareggia per la Ciclistica Ba-racchi di Berga-mo. Lo ha voluto

Mino Baracchi, si quello del famoso ‘Tro-feo Baracchi’.

Tre vittorie (due per distacco) a Berga-mo, a Novate, a Fino Mornasco. Tra i tan-ti avversari di allora ricordiamo Donato Piazza, Pietro Piazzalunga, Giorgio e Luigi Albani (che impedì la vittoria a Va-lentino per pochi centimetri, nella Coppa

Tura a Treviglio nel settembre del 1948, ed Ernesto Colnago, poi famoso costrut-tore) che costrinse due volte Valentino al secondo posto. Quarantaquattro i suoi piazzamenti nei primi 15. Il più significa-tivo? E’ sempre un racconto di Valentino a ricordarlo: “Milano-Marcolina del 1949, 312 partenti. Leggermente attardato per un salto di catena, ci misi trenta chilometri a risalire il gruppo, quando giunsi davanti iniziò la volata finale: sesto posto, fu bel-lissimo…”

E i trevigliesi? Nel 1948 si formò un bel movimento, il Pedale Sportivo fondato nell’agosto di quell’anno organizzò subi-to due gare e tesserò la bellezza di dieci Allievi. Su tutti avrebbe fatto carriera un certo Marino Morettini. Nel 1950 per il diciottenne Valentino divenne sempre più difficile coniugare la vita da corridore con l’impegno lavorativo. Tenne duro, gareggiò per il Pedale Sportivo Trevigliese e riuscì a conquistare il campionato provinciale Al-lievi, con l’ultima e decisiva prova svoltasi proprio nella sua Treviglio.

Appese la bicicletta al chiodo, ma mai in modo definitivo perché pedalò sempre, per diletto e rigorosamente su una specia-lissima da corsa. Non si è mai discostato dall’ambiente ciclistico trevigliese seguen-done le vicende. Lo ricordiamo negli anni sessanta con l’inseparabile Oreste Caspa-ni al seguito delle gare, poi Direttore Spor-tivo e Consigliere del Pedale Sportivo Tre-vigliese, fino a diventarne nel 1977 e 1978 Presidente. Anni d’Oro del ciclismo trevi-gliese con la Coppa Adriana-Trofeo Same organizzata e vinta più volte, con l’accesa rivalità Pedale-Audax. E Valentino, sem-pre con il suo sorriso appena accennato, tra i pochi amati di qua e di là, con amici di qua e di là. Fu Consigliere sia del Pedale che dell’Audax. E in prima fila quando, nel 1987, ci fu la fusione Pedale-Audax con la nascita della Ciclistica Trevigliese. Altri tempi? No altri uomini.

Foto 1: 1948 - Valentino Vertova, alla sua destra Giuseppe Moneta, a sinistra Mino Baracchi rispettiva-mente D.S. e Presidente della Ci-clistica Baracchi di Bergamo. Foto 2: 1949 - Valentino Verto-va, in maglia Baracchi, posa con i compagni trevigliesi del Pedale Sportivo- Da sinistra, Paolo Mel-li, Valentino Vertova, Luigi Gatti, Giandonato Tito, Franco Caverza-ghi, Marino Morettini, Mario Leoni e Giuseppe Chierichetti.

Foto 3: Valentino Vertova, riceve una stretta di mano augurale da Giuseppe Cesni ed Enzo Ferrenti-no (suoi predecessori) , in occasio-ne della sua elezione a Presidente del Pedale Sportivo Trevigliese (1977-1978).

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48 - la nuova tribuna - Febbraio 2015 Febbraio 2015 - la nuova tribuna - 49

Una bella storia, ma ora si chiUdedi Lucietta Zanda

I più bei tessuti li trovavi da “Magazzeno Moderno”, ma presto i battenti si dovranno chiudere. I tempi sono difficili e difendere un secolo di storia è un atto di eroismo che non può durare all’infinito

Si entra nel “Magazzeno Moderno” di Via Roma e viene subito da an-nusare l’aria. Il profumo è quello buono del cotone di una volta.

Ti guardi attorno: muri bianchissimi, un arredamento sobrio e minimalista, fatto solo di banconi e scaffalature di massiccio legno d’acero.

Si ha subito l’impressione che questo posto non basi la sua immagine e l’arredo, come molti negozi d’oggi, tutti acciaio e specchi ma poveri di qualità, quanto sulla sostanza, sul contenuto.

Il negozio è suddiviso in tre sezioni, di cui due dedicate all’ampio assortimento di tessuti e l’altra alla biancheria per la casa.

Ne scannerizzi i dettagli e l’occhio del buon intenditore può individuare, tra le de-cine e decine di pezze di tessuto, alcune firme famose in questo campo: Agnona, Zegna, Cerruti, Fila, …come pure tra i raf-finati capi di biancheria per la casa spic-cano marchi prestigiosi come Borbonese, Mastro Raphael, Mirabello, Lanerossi e i famosi piumoni della Dawnen Step.

Insomma, un negozio non solo ben for-nito, ma assolutamente aggiornato nella scelta della merce.

Del resto il nome stesso “Magazzeno

Negozi/Magazzeno Moderno

Moderno”, coniato fin dai primi tempi dell’apertura dell’attività, sta appunto ad indicare la precisa scelta commerciale di un costante rinnovamento nel tempo, man-tenendo alta la qualità del prodotto.

Peccato che la lunga storia di questo sto-rico negozio trevigliese stia giungendo al termine, il titolare ha deciso di chiudere i battenti dopo una vendita promozionale, giusto il tempo per liquidare quel che resta del magnifico campionario.

La chiusura di questo esercizio ha colto un po’ tutti noi cittadini del tutto imprepa-rati; si sa, con la crisi oggi i negozi aprono e chiudono con una facilità a volte imba-razzante.

Ci si scopre a scommettere spesso sui tempi di resistenza, i più coraggiosi e abili riescono a superare l’anno e a tenere la te-sta sopra il pelo dell’acqua, altri demordo-no falciati dalle troppe tasse e responsabi-lità che questo Stato che non t’aiuta, mette loro sulle spalle.

E così finisce che guardi il cartello “Svendita Totale”, scuoti la testa in se-gno di solidarietà e ti chiedi quale sarà il prossimo temerario a sfidare la sorte della prossima apertura.

Ma i pochi negozi storici che restano,

quelli no, dovrebbero essere immortali, non ne si accetta la Caporetto, non ci si può adattare alla loro assenza. Troppi ricordi e affezione ci legano a loro.

Non si possono certo rimpiazzare così su due piedi cent’anni e più di storia e di memorie...

Mi vengono incontro il proprietario Fernando Burini e la moglie, la delicata signora Annalisa, che preferisce defilarsi, nonostante la mia leggera insistenza nel chiedere anche a lei qualche informazione relativa al negozio, forse per quella sorta di riservatezza un po’ all’antica che la con-traddistingue.

Fernando mi spiega che l’apertura del primo negozio, situato nella parte centra-le di via Roma, risale a più di cent’anni fa, ad opera della ditta Manetti e Mau-ri, entrambi comaschi, quei Mauri la cui discendenza avrebbe portato un bel po’ d’anni dopo allo stabilirsi alla CRAT di Ettore Mauri come futuro direttore di

quella Banca. Dopo circa una settantina d’anni che avrebbero visto il difficile av-vicendarsi di ben due guerre mondiali, ri-leva l’attività dei due soci precedenti il sig. Morosini che, pur gestendo per non si sa bene quali motivi, l’attività per un perio-do flash di sole due o tre settimane, farà tuttavia sì che il suo nome rimanga ancora stranamente legato al negozio per un bel po’ di tempo creando una certa confusione nella clientela.

In effetti sarà il signor Ido Burini nel 1947 a rilevarne la futura gestione per i successivi sessantasette anni, all’inizio in-sieme al socio Taramelli dopo il rientro dal fronte, in seguito da solo dopo aver li-quidato l’altro assumendo così l’intera di-rezione dell’attività.

Proveniente dalla Val San Martino –così mi spiega cortesemente il signor Burini-

il papà iniziò ad esercitare la professione del “mercant”, con il suo bravo “scusalot” nero dietro al bancone, affrontando con una certa fatica ma sempre con grande entusiasmo il difficile periodo del dopo-guerra.

Uomo di polso, lo sosteneva il suo carat-tere ferreo ma gioviale; io stessa lo ricor-do personalmente attraverso le sue battute scherzose e il suo disinvolto piglio che fa-ceva sì che la vendita giungesse presto alla conclusione.

La realtà in cui la famiglia Burini si trova a muovere i primi passi è quella es-senzialmente provinciale e contadina di allora, ma con un vantaggio rispetto la vi-cina Bergamo: i trevigliesi, favoriti dalla vicinanza con Milano e da un certo andiri-vieni di persone che là lavorano portando scambi di conoscenze e manodopera molto qualificate, sono molto più aperti e portati ad accogliere nel loro mondo chi dimostra di avere caratteristiche umane e professio-nali tali da meritarsi la loro fiducia.

“Sarò sempre grato ai Trevigliesi” non manca infatti di ribadire Fernando “perché grazie alla loro apertura mentale, la mia famiglia ha trovato nel nuovo ambiente una rete di sostegno sia a livello morale che materiale che ha facilitato in tutti i modi l’avvio di qualsiasi iniziativa”.

Gente semplice e risparmiatrice, i clienti di allora compravano solo quando era ne-cessario e badavano soprattutto che la qua-lità della merce ne garantisse una buona durata nel tempo.

I tessuti venivano tastati con le mani, prima di essere affidati ai sarti di fidu-cia per confezionarli, dal momento che il “prêt-à-porter” si sarebbe affacciato sul mercato solo all’inizio degli anni sessanta.

Unica eccezione per i larghi “tabarri” o mantelli provenienti da Gandino nei quali i contadini si avvoltolavano per recarsi sui loro carri in campagna, e che si vendevano tenuti appesi a una sbarra di metallo.

Fernando ricorda quei tempi quando, ancora bambino, assiste in negozio alle ri-

chieste della “tila cutuna” per le lenzuola che veniva trasportata in treno dai cotoni-fici della Valeriana, insieme alla tela olona per i materassi e ai cotoni stampati a fiori che spesso le signore si cucivano da sole per farne gli “scusai”.

“Pochi giovani sanno –mi dice- che la tela per le lenzuola veniva venduta senza metro, ma solo passando rapidamente i palmi delle mani tra una falda e l’altra per contarle, e che il rapporto con la clientela riguardo la contrattazione si basava più che altro sulla mentalità contadina dei tempi.

Il prezzo ai clienti veniva spesso fatto a discrezione del negoziante non attraverso un importo fisso posto sul cartellino della merce come si usa ora, ma da una serie di sigle e numeri che il venditore doveva decriptare e proporre di volta in volta”.

I materassai o “stremasì” prelevavano ancora col triciclo la lana Scozia riposta in grandi sacchi di juta in cantina per preser-varne la giusta umidità.

Oppure giravano per le case chiamati dalle signore, piazzandosi nei cortili con quelle loro pesanti macchine dotate di aguzzi denti di acciaio che, con movimenti altalenanti, servivano a cardare di nuovo la lana Scozia dei materassi un po’ vecchiotti e ammaccati ridando loro la sofficità per-duta e un nuovo robusto involucro di tela.

L’attività principale di vendita al detta-glio, veniva inoltre spalleggiata da un nu-trito gruppo di rivenditori ,anche donne, che raggiungendo i paesi limitrofi, in sella alle loro biciclette con doppi portapacchi, giravano per le cascine mostrando la merce che veniva affidata loro in conto vendita.

“Spesso –aggiunge- “pure noi facevamo le consegne con quelle grosse biciclette a scatto fisso che in gergo venivano chiama-te balunsine”.

Per il negozio uno degli eventi commer-ciali più eclatanti era certamente il forni-re la “dota” ai novelli sposi: le trattative erano impegnative e si concludevano con l’acquisto da parte dello “spusot” e della

Negli scatti signor il Fernando Burini e la moglie Annalisa impegnati in negozio nella liquidazione della merce, vista la prossima chiusura

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“spusota” degli abiti da la cerimonia per sé e per tutta la famiglia, compresi gli ac-cessori e i tendaggi per la casa. Le lane più pregiate e i pizzi francesi più raffinati, venivano srotolati sotto gli occhi sgranati dei compratori i quali alla fine siglavano finalmente l’accordo con la consegna dei confetti, i “biniss”.

Il negozio fin d’allora è stato un im-portante polo di richiamo e di scambio di clientela richiamata dall’interland tre-vigliese, allora definita “plaga”. Da paesi come Melzo, Cassano e Gorgonzola, come pure Vailate fino a Calcio e Romano, giun-gevano le persone attirate dal ricco assor-timento, certi di trovare sempre gli articoli giusti.

Anche nel rapporto coi “commessi viag-giatori” vigeva lo stesso amichevole clima di fiducia e collaborazione. Mi racconta Fernando che il loro servizio veniva prece-dentemente segnalato da una cartolina di “avviso di passaggio”, spesso giungevano in treno accompagnati da pesanti valigie di campionari, si tirava tardi e gli affari veni-vano spesso innaffiati da un’allegra sbic-chierata in trattoria davanti a un bel piatto di pasta.

Insomma era un mondo fatto di rapporti costanti e amichevoli, basati sulla fiducia, duttili e facili da gestire perché erano i va-lori delle persone, la loro nobiltà d’animo, la correttezza, a facilitarne e a garantirne lo scambio.

IDO –come tutti i padri con un’azien-da- contava ovviamente sulla scontata partecipazione all’attività di Fernando, ma il ragazzo, nel frattempo diplomatosi ra-gioniere, aveva altri progetti per la testa e, di fronte alle ripetute insistenze del padre, che cercava di spingerlo dietro al bancone, rispondeva regolarmente con uno sbrigati-vo ma altrettanto chiaro “ma pias mia”.

Quando però inaspettatamente muore Ido nel 1978, sarà la moglie di Fernando -Annalisa - a raccoglierne l’eredità, e no-nostante i quattro figli da tirare su, dopo averne affidata la cura alla nonna pater-

na residente a Ponte San Pietro dove tutti vivevano, accetta –in un totale slancio di coraggioso impegno- di assumere l’one-re della conduzione del negozio, cosa che avrebbe continuato a fare poi fino ai giorni attuali.

Fernando, contento dell’ottimo com-promesso, aveva tutto sommato preferito dedicarsi anche a ciò per cui si sentiva veramente portato: seguire prima come rappresentante, poi come direttore del-le vendite alcune importanti aziende di tessuti e camicerie, attività che del resto, unitamente alla principale, ha svolto fino a due anni fa.

Gli domando infine se quella di chiudere è stata una decisione sofferta, se non ci sia stata qualche possibilità di vedere in altre persone il prosieguo di questa attività. Mi risponde un po’ amareggiato che lui perso-nalmente sì, è affezionato al prodotto ma

non all’attività commerciale e che a nes-suno dei suoi quattro figli è comunque mai passata per la testa la prospettiva di inse-rirsi, avendo essi intrapreso altre strade.

E’ cambiata anche la clientela che una volta era molto più attenta alla qualità per-ché la roba doveva durare, oggi, più che altro, la gente considera maggiormente l’a-spetto esteriore, e la crisi del settore tessile in genere ha comunque portato ad un inde-bolimento della qualità del prodotto.

Aggiunge inoltre che “I tempi si sono fatti obiettivamente difficili per la crisi del mercato tendente ad una netta diminuzio-ne dei consumi, un esagerato aumento di costi e tassazioni, nessun sostegno ai pro-blemi riguardanti il commercio da parte delle Istituzioni, come pure un eccessivo utilizzo di investimenti non facilitato dal giro di affari troppo lento e l’avvento in-fine di grosse attività commerciali che ha spiazzato le piccole”.

Il settore tessile poi ha risentito della scomparsa di un qualificato mondo di ar-tigiani che gli ruotava attorno; sono spariti i materassai, le trapuntaie e le ricamatrici, per non parlare dei sarti da uomo e le ca-miciaie.

Cala dunque il sipario su questo antico negozio, ...scende anche su tutti quei per-sonaggi che la lunga storia del “Magazze-no Moderno” ha reso protagonisti.

Su tutto lo staff, dal primo intraprenden-te commesso Mario Antignati, all’ultima fedelissima dipendente Loredana Aresi che per oltre 40 anni non ha mai abbando-nato la nave.

E su tutte quelle romantiche ormai leg-gendarie figure che hanno popolato i gior-ni andati, …dalle candide spose nei loro diafani pizzi francesi, agli operosi conta-dini che intabarrati nei loro scuri mantelli portavano i loro carri qua e là per le cam-pagne trevigliesi…

Auguriamo a Fernando e Annalisa buo-na vita, ringraziandoli a nostra volta per aver arricchito, col loro contributo, una parte dello storico commercio trevigliese.

Negozi/Magazzeno Moderno

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Profeti del Cavagna nasCosti in BasiliCadi Carmen Taborelli

Nella Basilica di San Martino dodici tele dei Montalto, poco visibili perché troppo in alto e poco illuminate, coprono altrettanti affreschi di Gian Paolo Cavagna. Ecco delle rare foto che li riproducono

In origine erano ventiquattro a figura intera; oggi sono dodici a mezzo busto. Sto riferendomi agli affreschi del pit-tore bergamasco Gian Paolo Cavagna

(1550-1627), posti sopra le arcate gotiche della navata centrale della basilica “San Martino” di Treviglio.

Perché tesori nascosti? Perché sono co-perti dai grandi quadri (cm.300x400): do-dici oli su tela dei Montalto, raffiguranti “I fatti della vita di San Martino”, che ap-punto nascondono completamente gli affre-schi del Cavagna. A onor del vero anche i

Treviglio/I tesori nascosti

quadri dei Montalto si potrebbero definire “nascosti”, dal momento che sono collocati talmente in alto da renderli quasi per nulla godibili.

Oltre trent’anni fa, nel 1981, durante la rimozione temporanea di queste grandi tele, sono stati riportati alla luce i dodici af-freschi del Cavagna, i cosiddetti “Profeti”, più esattamente, undici Profeti e un Re, re Davide, il secondo re d’Israele. Fu un’unica e forse irripetibile occasione di fotografarli per avere in archivio almeno una testimo-nianza cartacea di facile consultazione.

Ricordo che incaricai Gianfranco Cesni, il quale scattò questa serie di immagini in bianco/nero, che, in seguito, misi a disposi-zione di vari appassionati d’arte.

Come dimostrano le foto, tutte le figure del Cavagna reggono delle tavole sui cui sono scritte, in latino, pochissime parole di alcuni versetti biblici, tratti dall’Antico Testamento.

All’epoca, un sacerdote mio coetaneo, purtroppo già passato a miglior vita, mi aiutò a decifrare queste parole, peraltro non tutte leggibili e attraverso queste, risalire al Profeta cui sono attribuite, rendendo così possibile la singola identificazione. Tol-ti i “Profeti” dall’anonimato e restituita a ognuno la propria identità, ritengo sia utile ricordare la rispettiva collocazione, tenen-do presente che sono disposti in doppia fila: sei da un lato e sei dall’altro del cornicione.

Entrando dal portale della chiesa, si sus-seguono in questo ordine; a sinistra della navata centrale:1) re Davide; 2) Ezechiele: “Vae civitati sanguinum” (Guai alla città sanguinaria) – cap. 24,9; 3) Osea: “De manu mortis li-berabo eos, de morte redimam eos, ero mors tua o mors” (Li strapperò di mano agli inferi, li riscatterò dalla morte. Dov’è, o morte, la tua peste. Dov’è, o inferi, il vostro sterminio) – cap. 13,14; 4) Abdia: “Sicut fecisti, fiet tibi” (Come hai fatto tu,

così a te sarà fatto) – vers. 15; 5) Nahum: “Revelabo pudenda tua in facie” (Alzerò le tue vesti fin sulla faccia) – cap. 3,5; 6) Zac-caria: “Viduam, et pupillum et advenam et pauperem nolite calunniari” (Non frodate la vedova, l’orfano, il pellegrino, il misero) – cap. 7,10; Invece a destra della navata:1) Isaia: “Populus, qui ambulabat in tene-bris, vidit lucem magnam” (Il popolo, che camminava nelle tenebre, vide una grande luce) – cap. 9,1; 2) Geremia: “Bonas facite vias vestras et studia vestra, et habilitato vobiscum in loco isto” (Migliorate la vo-stra condotta e le vostre azioni e io vi farò abitare in questo luogo) – cap. 7,3; 3) Gio-ele: “Sol convertetur in tenebras et luna in sanguinem” (Il sole si cambierà in tenebre e la luna in sangue) – cap. 3.4; 4) Amos: “Ecce ego stridebo subter vos, sicut stridet plaustrum onustum foeno” (Ebbene, io vi affonderò nella terra come affonda un car-ro quando è tutto carico di paglia) – cap. 2,13; 5) Daniele; 6) Habacuc: “Vae ei, qui multiplicat non sua usquequo et aggravat contra se densum luctum” (Guai a chi ac-cumula ciò che non è suo e fino a quando? E si carica di pegni) – cap. 2,6.

Recuperando queste notizie, credo di aver dato un po’ di visibilità agli affreschi del Cavagna e qualche elemento in più alla no-stra immaginazione.

Cavagna e l’influenza di Moroni e Tintoretto

Pittore del Rinascimento

Giovan Paolo Cavagna fu un pittore rinascimentale formatosi alla scuola di Cristoforo Ba-

schenis il Vecchio. Nacque a Bergamo attorno al 1550, come si può desumere da un atto del 1575 in cui dichiara di es-sere “profitens aetatem viginti quinque excessisse”, morì il 20 maggio 1627 a Bergamo, dove fu sepolto nella chiesa di Santa Maria delle Grazie.

In molte sue opere si legge l’influenza del Tintoretto, dei Bassano e del Vero-nese, specialmente nelle grandi opere in cui il gusto veneto è evidente, come ne La Trinità e i Disciplini bianchi in San Pietro Martire di Alzano Lombardo.

In quest’opera si rileva anche un realismo particolare che sconfina in un energico e acuto verismo dei quattro frati che inginocchiati osservano stupiti i simboli della Trinità. Il paesaggio su cui si svolge la scena e in cui si possono riconoscere luoghi di Alzano Lombardo richiama le ambientazioni del Moroni.

Le influenze venete risultano filtrate dalla cultura lombarda e dalla presenza del Moroni. Il trittico raffigurante la Madonna con San Carlo e Santa Cate-rina che presentano i devoti del 1591, nella chiesa di San Rocco di Bergamo, è espressione di questo sincretismo artistico in cui la luminosità propria del Moroni viene magistralmente esaltata.

Maggiore è l’influenza veneziana nelle sue opere di Santa Maria Maggiore di Bergamo, tra cui spicca la Natitivà, anche se l’afflato lombardo è sempre presente con richiami ad artisti come Gervasio Gatti o Giambattista Trotti.

Tra le sue opere più significative, a carattere religioso, si segnalano San Pietro in gloria tra i Santi Paolo e Cri-stoforo, nella chiesa di Sant’Alessandro in Colonna di Bergamo (vedi immagine), Profeti, Angeli e Incoronazione della Vergine in Santa Maria Maggiore, la Caduta della manna e l’Ultima cena nella chiesa di San Martino a Treviglio, il San Carlo Borromeo tra San Rocco e San Pantaleone nel Santuario della Madonna del Castello di Almenno San Salvatore e il Miracolo dell’acqua che sgorga dall’arca dei Santi Fermo, Rustico e Procolo nel monastero di San Benedetto di Bergamo.

È nella ritrattistica che si sente maggiormente l’influenza del Moroni e dove il suo verismo lo avvicina anche ad artisti come Sofonisba Anguissola.

Nei ritratti dell’Organista e del Gen-tiluomo l’analisi espressiva dei modelli, non idealizzata, la puntigliosa rappre-sentazione dei particolari, come quelli dell’elsa della spada del gentiluomo o del suo collare con la Croce di Malta, riportano al Moroni più maturo.

Re Davide Ezechiele Osea

Nahum Zaccaria Isaia

Abdia

Geremia

Gioele Daniele HabacucAmos

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Coro Icat/Una storia trevigliese

Ma come e perché nacque? Ad opera di chi? In che ambito socio culturale si collocava? Domande che ripercorrono la

storia vera del Coro, lontana da possibili celebrazioni, cui cercheremo di dare una risposta che inquadri la storia del gruppo nella realtà cittadina.

La nascitaL’idea di costituire un coro a Treviglio

fu successiva ad un concerto del Coro IDI-CA di Clusone, tenutosi nei primi mesi del 1967 presso il Teatro Filodrammatici. Alcuni degli spettatori trevigliesi presenti, amanti del canto di montagna, si interro-garono circa la possibilità di costituire in città un coro similare, che si rifacesse al caposcuola della SAT di Trento, attivo già da circa mezzo secolo.

Il riferimento però non era solo il lon-tano ed inarrivabile coro trentino ma, più modestamente, anche un precedente coro trevigliese, fondato verso la metà degli anni sessanta: il Coro CO.TR.A. (Coro Trevigliese Alpino) diretto dal treviglie-se Fumagalli. Per oltre un paio d’anni gli amanti dei canti di montagna coltivarono la loro passione ritrovandosi per le prove presso una sala al primo piano di Piazza

Il primo direttoreLì ebbero luogo i primi tentativi di ap-

prendere ed assemblare il primo brano: “Al cjante el gjal” nell’armonizzazione di Antonio Pedrotti, sotto la direzione di Mario Pruneri che, con l’ausilio della sua fisarmonica, si faceva carico, tra non po-che difficoltà, di insegnare le parti delle varie sezioni e di coordinare poi l’esecu-zione complessiva. Dopo alcune settimane fu lo stesso Pruneri ad invitare alle prove un collega di lavoro della Same Trattori, ex chitarrista professionista in una importan-te band che aveva suonato in mezza Euro-pa, da poco giunto a Treviglio per motivi di lavoro e per dare una stabile residenza alla propria famiglia: si trattava di Paolo Bittante, veneto di San Donà di Piave, vir-tuoso della chitarra classica.

Fu così che dopo qualche convenevole e diverse insistenze, proprio di Pruneri, Bit-tante provò a dirigere il gruppo e ad as-semblare le varie parti: il risultato fu sor-prendente. Quello che fino a pochi istanti prima pareva difficile e macchinoso come d’incanto risultò semplice ed immediato, subito gradevole, come se direttore e coro si frequentassero e si conoscessero da sem-pre e “Al cjant el gjal” ebbe una sua vita e nuova musicalità.

I coristi compresero immediatamente di aver trovato il “loro” Direttore e nonostan-te le reticenze di Paolo, dovute al rispetto ed al rapporto che lo legava a Mario Pru-neri, dopo qualche tempo accettò l’incari-co ed il gruppo ebbe in pratica il suo primo Direttore.

Le adesioni continuanoNel contempo continuavano le adesioni

di nuovi coristi, sino a superare in breve le due dozzine, tra cui alcuni anche da fuo-ri Treviglio: fu il caso di due pontirolesi, l’uno indigeno, Enrico Giovansana (Gio-vi al Coro), l’altro d’importazione, Max Muller, originario della Svizzera tedesca giunto a Pontirolo per matrimonio, con ri-vendicate e mai provate origini russe, un

Dall’IDIca la genesI Della corale Icat di Tienno Pini

Nel novembre del 1967 venne costituito l’ICAT: in punta di piedi nacque un coro di sole voci maschili che avrebbe attraversato, ad oggi, poco meno di mezzo secolo di storia trevigliese

Garibaldi, sopra quello che allora era il Bar Principe (oggi Tigotà), sino a quando, causa il trasferimento del direttore a Roma per lavoro, dovettero porre fine a quella prima esperienza.

Proprio alcuni ex coristi del CO.TR.A. con altri appassionati trevigliesi di canti della montagna, tutti reduci dal concerto dell’IDICA, furono i promotori della nuo-va iniziativa corale trevigliese, ricercando nel contempo tra amici e conoscenti altri potenziali coristi, intonati, dotati di una buona voce. Vennero così interpellati an-che diversi trevigliesi che si esibivano nelle diverse iniziative di musica leggera che si tenevano numerose in città e dintorni.

Nel contempo muoveva i primi passi, da qualche anno, il C.A.T. (Circolo Artistico Trevigliese) che per diversi lustri fu poi l’artefice di tutte le maggiori e più signi-ficative iniziative culturali cittadine (musi-cali, teatrali, cinematografiche e quant’al-tro), volano di cultura ad ampio spettro.

La prima sede provvisoria del neonato gruppo, ancora sprovvisto di un nome, fu al primo piano del Palazzo Galliari dell’o-monima via, messo a gratuitamente dispo-sizione dalla proprietà Bindelli, successi-vamente divenuto per diversi anni la sede della locale sezione del C.A.I.

italiano stentato ma una voce melodiosa ed unica, unita a una impeccabile into-nazione. Entrambi segneranno non poco i destini musicali del gruppo, tutti e due come solisti: il primo di brani classici del repertorio di montagna, il secondo di bra-ni completamente nuovi per il panorama corale italiano, sino a divenire, nei primi anni, il corista simbolo del gruppo che proprio sulla novità puntava, apprezzato e richiesto in molte piazze e teatri d’Italia.

Nel contempo anche il programma pren-deva lentamente ma gradualmente forma con le due prove settimanali del martedì e del giovedì sera, attingendo sia a brani del repertorio classico sia ad altri completa-mente nuovi ed originali: nato come corale alpina, il Coro dischiuse ben presto il pro-prio repertorio a pagine di origine diverse, rendendosi riconoscibile per timbrica e re-pertorio.

Il dopo coroInoltre, come per ogni gruppo che si ri-

spetti, il “dopo coro” (cioè il dopo prove) divenne da subito un momento importante quasi quanto le prove: molti coristi si fer-mavano oltre le 23 discutendo, program-mando, attivando l’organizzazione societa-ria. Si trattava di discussioni appassionate e talvolta accanite che per comodità, faci-lità di ritrovo ed anche per affinità ed ospi-talità dei gestori si svolgevano in un paio di locali trevigliesi: il Bar Rocco (allora sede di una tra le più importanti bocciofile trevigliesi, da tempo scomparsa) ed il Ri-storante San Martino dei Fratelli Colleoni.

In breve il San Martino divenne il punto di ritrovo fisso del dopo coro, anche gra-zie all’amicizia ed alla generosa ospitalità di Fredo e Beppe, che spesso mettevano a disposizione la loro dispensa, stemperan-do così le discussioni. Chiuso poi all’una di notte il ristorante, spesso si univano ai

più sfegatati in ulteriori riunioni all’aper-to, anche in pieno inverno, al riparo del solo balcone posto di fronte al ristorante, sul lato opposto di Viale Battisti, riunioni dalla durata imprecisata ed imprecisabile.

Il primo presidenteE’ così che nel primo semestre del 1968,

presso il Bar Rocco, venne nominato il pri-mo Presidente nella persona di Tonino Pel-lacani, imprenditore trevigliese nell’ambi-to del mobile d’intarsio.

In una riunione successiva, questa volta al San Martino, si discusse circa il nome da dare al neonato Coro e, scartato il vecchio COTRA, venne deciso per Coro I.CA.T (Interpreti Canti Tradizionali), con il di-stintivo, predisposto a cura di Gabriele Bellagente, rotondo su fondo nero recan-te la scritta Coro in azzurro ed ICAT in bianco, con Treviglio in verticale sotto la T di ICAT, mentre quello di Paolo Bittan-te (dono dei coristi) era d’oro, con il logo inciso. Nel frattempo venne decisa anche la divisa: pantaloni e cintura blu e camicia azzurra sulla quale appuntare il distintivo, nulla quindi che rimandasse in alcun modo all’abbigliamento montanaro come in uso a quei tempi (scarponi con calzettoni, pan-taloni alla zuava e quant’altro), ed anche questo voleva significare un coro nuovo e diverso dall’archetipo corale dell’epoca.

Contemporaneamente il gruppo, invitato a lasciare la sede provvisoria di Via Gal-liari, trovò ospitalità in un’aula al piano terra dell’Oratorio S. Agostino, peraltro da utilizzarsi solo in occasione delle due prove serali e, sia ben chiaro, non a dispo-sizione esclusiva!

Presentazione ufficiale dell’Icat

Fu così che, nemmeno un anno e mez-zo dopo la fondazione, il 17 Aprile 1969, presso il teatro Filodrammatici, con il pa-trocinio del Circolo Artistico Trevigliese e della locale sezione del CAI, ebbe luogo la presentazione ufficiale del Coro alla cit-

tà, con un repertorio (tra cui Platoff Lied, Les trois cloches, Mary had a Baby) che la diceva lunga sul presente ma soprattutto sul futuro del Coro. A ricordo della sera-ta all’ICAT venne consegnata una targa d’argento raffigurante “la gatta”, simbolo trevigliese, che tuttora fa bella mostra di sé in sede.

Fu un vero successo, con il teatro gremi-to, pur trattandosi di un concerto a paga-mento: ingresso unico a 400 Lire, con tan-to di prevendita! Certo fa riflettere rispetto alle difficoltà che oggi incontrano le diver-se iniziative, specie se con risvolto cultu-rale: pensate quanti batte-simi di nuove intraprese po-trebbero per-mettersi oggi di richiedere un ingresso a pagamento?!.

E con il concerto ci fu anche il battesimo per la prima pre-sentatrice del Coro: Maria Morino, al-lora fidanzata con Angelo S o m m a c a l (poi felice-mente sposi), corista nei te-nori secondi. E per non smentirsi a concer-to concluso ritrovo e festeggiamenti presso il Ristorante Pizzeria Cavallino Bianco, in Largo Vittorio Emanuele, con un incontro con Dino Bellini (Cecca o la zia per i co-risti) che segnerà la vita sua e del Coro per quasi mezzo secolo, ma questa è un’altra storia.

(2 – continua)

Immagini dell’Icat: sopra Maria Morino nel ruolo di presentatrice, nel tondo il primo presidente Tonino Pellacani, poi Paolo Bittante. A destra in basso la targa “La Gatta d’Argento” consegnata al coro dallo stesso Circolo, promotore del premio omonimo, vedi locandina

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d’oro delle radio “libere”, ma il ricordo di quei momenti non è assolutamente svanito, è stato un periodo bellissimo, dove tutti ci sentivamo grandi e pensavamo di “buca-re” l’etere.

E’ stato un momento irripetibile duran-te il quale le radio non erano “private” ma “libere”, dove ognuno -magari con ingenu-ità e improvvisazione- poteva mettersi da-vanti ad un microfono e raccontare quello che pensava.

Un periodo dove trasmettere i diciotto minuti di assolo di batteria di Peace Planet degli Ekseption (chi se li ricorda più?) era normale, in barba ai format e agli indici di ascolto; l’importante era avere qualcosa da dire, magari ai due soli ascoltatori di quel

preciso momento, forse in piena notte.Proprio quell’ascolto che oggi tutte le

emittenti inseguono spasmodicamente era all’epoca la conseguenza naturale di piaz-zare un’antenna su un tetto: al pubblico poco importava cosa ascoltava, l’impor-tante era che fosse della propria città.

Ritengo che il brano “in diretta nel ven-to” dei Pooh rappresenti ancora oggi la sintesi perfetta di cosa rappresentasse una radio “libera” in quegli anni , e quelle di Treviglio non furono un’eccezione.

Così come in tanti, tantissimi, degli 8.000 comuni italiani (nel 1980 erano censite circa 7.000 radio “libere” in Ita-lia) anche Treviglio visse la sua era felice delle radio libere. Senza farmi prendere dalla nostalgia, mi sono lasciato convince-re (non ci voleva molto) a raccontare dalle pagine del nostro eterno “rivale” pubblici-tario (sì, perché a Treviglio le aziende fa-cevano pubblicità sulla Tribuna o alla Ra-dio, non c’era storia…e non c’erano soldi per tutti e due i mezzi) ma comunque sem-

Treviglio e i ragazzi delle radio libere a cura di Sandro Oggionni

Un’epopea irripetibile quella delle radio libere nate a metà anni settanta in città. Ne vennero fondate una mezza dozzina, la prima fu Radio Stereo Sound poi acquistata da Angelo Zibetti

Quando ho ricevuto la telefonata di Roberto Fabbrucci che mi invitata a scrivere un articolo per “la nuova tribuna”, mi sono

tornati in mente i bei tempi in cui batta-gliavamo su due fronti diversi: lui con la

carta stampata ed io -con i miei soci- con l’etere e la radio… Mi ha fatto piacere che si sia ricordato di me, ma ancor di più l’ar-gomento proposto: mi chiede di scrivere un articolo sulle radio di Treviglio.

Sono passati ormai molti anni dall’epoca

pre amico, la storia delle radio di Treviglio.Molte persone che incontro ancora oggi

per strada mi dicono “mi ricordo la radio di Treviglio, era proprio bella”, però non si ricordano quale fosse, o meglio non si ricordano che a Treviglio di radio ce ne sono state ben sei in un periodo dal 1975 al 1990.

Dialogando con Roberto Fabbrucci ab-biamo deciso di dedicare nei prossimi numeri della Tribuna un articolo per ogni radio che ha avuto sede a Treviglio e nella Gera d’Adda. Coinvolgendo i protagonisti dell’epoca in una testimonianza di quel tempo. Tempo che per chi ha vissuto quei momenti si è fermato ad allora, almeno radiofonicamente, a quel decennio dove ognuno ha potuto esprimere a modo suo le proprie idee. Confesso, anche se molte per-sone si ricordano di quando trasmettevo in radio, di non aver mai condotto una tra-smissione (...forse una, perché il condutto-re di turno si era improvvisamente mala-to) ma di avere sempre gestito un emittente

Treviglio/Quegli anni di vera libertà

da dietro le quinte, forse per questo ne ho un ricordo meno emozionale ma certo non meno carico di nostalgia.

In questa prima puntata del nostro viag-gio nelle radio di Treviglio ricorderemo solo quali furono, per poi approfondire nei prossimi numeri ogni singola emittente, la sua storia ed i suoi ricordi.

Stereo Radio Treviglio SoundE’ stata la prima radio in assoluto a tra-

smettere a Treviglio, creatura nata all’al-ba del 1976 dalla mente di Sergio Mac-carinelli, subito supportata dal padre Francesco, entusiasta di poter mettere a disposizione uno spazio per il figlio ed i suoi amici in un progetto che andava oltre il gioco. Una storia che durò lo spazio di pochi mesi, spazzata via dalla prematu-

Sopra Sergio Maccarinelli riceve un premio per la diretta radio organizzata, dietro il padre che assiste sorridente. Sotto a sinistra la vignetta che Carmelo Silva disegnò per il Biligot’ immediatamente dopo la nascita di Radio Treviglio Sound, accanto il complesso musicale “i Camaleonti” ospite di Radio Liberty il 23 Aprile 1976. Sopra a destra gli studi di Radio Mirtillo

Sotto la copertina che “la tribuna” dedicò alla nascita della prima radio libera trevigliese in casa Maccarinelli. Poi furgoncino di Radio Liberty durante una diretta di una partita di calcio, poi amiche della radio con Nicoletta Deponti (la seconda da sinistra)

A sinistra una diretta fuori dalla sede di Radio Liberty, riconoscibile Massimo Fabbrucci, il ragazzo seduto. Sopra alcuni attivisti di Radio Mirtillo montano l’antenna. Così nello strudio in alto a destra

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ra scomparsa di Francesco il 19 Giugno dello stesso anno. Tuttavia rimane viva la memoria di personaggi che poi fecero la storia della radio con quella prima ini-ziativa. Tra gli amici di Sergio più vicini in quell’avventura non si può dimenticare di menzionare Paolo Astesano. Di Stereo Radio Treviglio Sound rimane poco, vista anche la sua breve vita, ma il suo nome evoca ancora oggi ricordi di una radio nata già professionale e che avrebbe potuto fare molta strada.Radio Liberty Treviglio

E’ stata l’emittente che forse di più ha coinvolto l’opinione pubblica, un po’ per-ché supportata da buoni mezzi economici e perché composta da un gruppo nutrito di collaboratori entusiasti di farne parte.

Ancor oggi Radio Liberty viene ricorda-ta come la vera radio di Treviglio, complici le partite della Zanconti in diretta, le in-terviste a personaggi famosi che passarono dai suoi studi (all’epoca non era difficile “tirare” in radio un cantante o una star-

lette desiderosa di farsi conoscere) e la simpatia dei suoi conduttori, tutti rigorosa-mente “made in Treviglio”.

Il motore di tutto era Antonio Tony Vi-tello che con lungimiranza lasciò fare ad un gruppo di ragazzi quello che volevano e sapevano fare, ...per i tempi grandi cose.

Da Radio Liberty sono passati e hanno mosso i primi passi Nicoletta De Pon-ti, Angelo Zibetti, Roberto Valentin, Lionello Lavezzari e tanti altri che poi, davanti o dietro un microfono, raccolse-ro consensi e successo nel mondo della radiotelevisione. Purtroppo lo spegnersi di questo entusiasmo, quindi l’affievolirsi delle idee, porteranno alla chiusura di Ra-dio Liberty ed alla dispersione del gruppo di persone che contribuirono a decretarne il breve (smise le trasmissioni il 15 gen-naio 1980) ma indimenticato momento di gloria.

Radio MirtilloL’emittente mosse i primi passi nella

sede de “la tribuna” sotto il patrocinio del suo direttore Roberto Fabbrucci, che comunque non fece parte della redazio-ne; si caratterizzò subito come emittente impegnata e d’impronta più politica che d’evasione. Scelta editoriale che ne limitò gli spazi, relegandola al ruolo di nicchia dell’etere trevigliese.Questo nonostante le iniziative culturali (una su tutte la rasse-gna Eppursimuove) ed i momenti impe-gnati, infatti, non riuscì a conquistare lo spazio di radio locale che forse -proprio perché la sola radio trevigliese nata con un indirizzo giornalistico- avrebbe meri-tato. Qualche divergenza sulla linea poli-tica da tenere, la una cronica mancanza di pubblicità e la stanchezza che ne derivò, portarono alla chiusura dopo pochi anni.

Treviglio/Quegli anni di vera libertà

Radio England TreviglioDalle ceneri di Radio Liberty nacque

Radio England il cui motto era “musi-ca non parole”. Trasmetteva solo musica e pubblicità con qualche incursione nella vita cittadina quali la Messa di mezzanot-te e quella del Miracolo in diretta con il supporto dell’indimenticato Don Piero Perego, improvvisato ma bravissimo com-mentatore .

Conosciuta più per una martellante cam-pagna pubblicitaria che per i contenuti veri e propri, forse non seppe far breccia negli ascoltatori trevigliesi proprio perché trop-po distaccata e professionale: fu, infatti, la prima radio in Italia a dotarsi di regia automatica (completamente costruita e progettata al suo interno) e trasmettitori calibrati sulla stessa frequenza (strada che intraprese anni dopo con ben altro suc-cesso RTL e i suoi 102,5).

Proprio per il suo taglio professionale e asettico non seppe raccogliere grandi con-sensi locali; Dissidi interni circa la linea

di conduzione portarono nel 1983 ad un rimpasto societario. Si traferì a Milano dove continuò l’attività con nomi diversi per un’altra decina d’anni fino a cedere le frequenze ed altre emittenti tra cui Radio Italia Solo Musica Italiana.

Tele Radio TreviglioPochi si ricordano questo nome, ma altro

non è che la prima denominazione di Ra-dio Zeta. Nacque, come TRT (Tele Radio Treviglio) dalle ceneri di Stereo Radio Tre-viglio Sound: alcuni personaggi di Radio Liberty (in primis il patron Angelo Zibetti) rilevarono quello che rimaneva di Stereo Radio Treviglio Sound e fondarono la nuo-va emittente nel novembre del 1976.

Indimenticabile la gaffe di Angelo Zibet-ti che inaugurò le trasmissioni di TRT con quest’annuncio “Benvenuto agli ascoltato-ri sulle frequenze di Radio Liberty”, dove aveva trasmesso fino al giorno prima...

Connotatasi subito come emittente ge-

neralista, divenne famosa per i programmi di liscio e revival, le dediche e l’intratteni-mento di Eugenia Ferrari.

Trasferitasi a Caravaggio e diventata Radio Zeta; spesso snobbata per i conte-nuti è oggi una delle emittenti regionali (in gergo superstation) più ascoltate in Italia, sempre con la formula originaria del liscio e del revival. Onore al merito quindi per Angelo Zibetti che ha saputo trasformare un’idea “paesana” e da molti snobbata in una florida realtà economica forte di un se-gnale che raggiunge ormai il centro Italia.

Radio Studio UnoEra la radio della televisione di Trevi-

glio. Non ebbe lunga vita, soprattutto per-ché l’emittente ruotava intorno ad una per-sona sola, Boris Riboldi, supportato per un certo periodo da Nicoletta De Ponti. Boris, uomo con piglio deciso e modo di trasmettere molto rudimentale, seppe con-quistare per un breve periodo una buona fetta di ascolti femminili.

Anche in questo caso l’impostazione generalista, forse troppo “casalinga” e piaciona, decretarono una fine prematura, lasciando un flebile ricordo in città del suo passaggio; oggi la sua frequenza 100,700 (che altro non era che quella di Radio Li-berty) appartiene a Radio Alta di Bergamo.

Ma quali erano i conduttori, i program-mi e le iniziative che contribuirono al suc-cesso di queste emittenti, ed i motivi che portarono la loro fine?

E quali sono i fattori per cui ancora oggi, dopo più di trenta anni, molte persone si ricordano “delle radio di Treviglio”?

Lo leggerete nei prossimi numeri, rico-struiremo con testimonianze e immagini la storia di ognuna di loro. Storia che in parte riflette un po’ la Treviglio di quegli anni.

A sinistra manifestazione in piazza di Radio Mirtillo, sopra Tony Vitello (primo a sinistra) e i ragazzi di Radio Liberty, riconosciamo Roberto Valentin, i fratelli Cariboni e Nicoletta Deponti

A sinistra Don Piero Perego in diretta su Radio England. Sopra piazza Garibaldi durante una manifestazione con Radio Mirtillo. Riconoscibili da sinistra Giovanna Vertova, Paolo Pescali in Vespa, Jo Pasinetti con la moglie e Francesca Cavazzuti. Si intravede a destra, con occhiali e capelli folti, Matteo Ferrari

Radio England ricostruita da Eros Prati e Alessandro Oggionni (nella foto) per “Treviglio Vintage” 2014. A destra la Festa di Radio Zeta nel 1977

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Casirate d’Adda/Alberto Venezia

Il medIco In pensIone, ma non troppo...di Michela Colombo

Si innamora di una casiratese mentre è all’università a Pavia, poi per eventi inaspettati finisce per diventare il medico condotto ad Arzago e Casirate d’Adda. “Sono in pensione, ma non tutta la settimana”

Classe 1944, nativo di Vignate Monferrato, Alessandria, sposato e padre di Luigi, il dottor Alberto Venezia è stato il medico di base

di Casirate d’Adda e Arzago d’Adda, svol-gendo con passione e dedizione il proprio operato per quarant’anni: ma per delineare la sua storia professionale di uomo occorre ripercorrere la sua strada.

Studente alla facoltà di medicina dell’U-niversità di Pavia, conosce la futura spo-sa Gabriella, studentessa che seguiva le orme del padre, dott. Luigi Valoti, medi-co condotto a Casirate d’Adda dal 1958. Si innamorano ma non sanno quale sarà il loro futuro insieme, se in Piemonte o in Lombardia. Nel Giugno del 1974 la neces-sità di sostituire il dott. Valoti, gravemente ammalato, porterà alla scelta di Casirate d’Adda come residenza permanente della futura famiglia, dove il dott. Alberto Vene-zia inizierà la sua carriera di medico con-dotto anche di Arzago d’Adda.

Prima della lunga esperienza maturata nei due paesi bergamaschi, il dottor Vene-zia aveva lavorato in ambiente ospedalie-ro, così arrivato nella Gera d’Adda dovet-te affrontare un momento difficile, in un ambiente lavorativo sconosciuto. Periodo

superato grazie al calore e all’umanità della gente del luogo, ma anche alla sua notevole capacità di adat-tamento, che gli permise di svolgere una brillante carriera attorniato dalla stima della comunità lo-cale. “Anche se la tipolo-gia di lavoro in ospedale e quello in ambulatorio è diversa sotto vari aspet-ti” ha spiegato il dottor Venezia, “la realtà in cui mi specchiavo già la conoscevo, provenendo anch’io da un paese: con questo posso confermare che i cittadini casiratesi, come quelli arza-ghesi, mi hanno accolto con benevolenza. Infatti, superato l’impatto iniziale, le cose son cambiate migliorando via via”.

Nei primi anni di lavoro, il rapporto con i pazienti era molto diverso: allora, prima degli anni ‘80 infatti, mancando la figura della Guardia Medica, le utenze facevano riferimento tutte al medico condotto, ov-vero si recavano dal medico condotto solo lo stretto necessario. Successivamente, con

la copertura totale del sistema sanitario, le visite sono diventate molto più frequenti.

“Negli anni la professione del ‘dottore’ è cambiata” ha evidenziato il dottor Ve-nezia “Poichè, sebbene ci fosse attenzione anche prima, ora si hanno a disposizione nuove conoscenze, macchinari di ultima concezione, esami approfonditi e specifici sempre meno invasivi e mirati. Inoltre, in passato, il paese era una comunità picco-la, costituita da nuclei famigliari simili tra loro -nel modo di essere, di ragionare- ora occorre rapportarsi con situazioni molto diversificate, sia per provenienza che per cultura”.

“Fino al 1983 sono stato Ufficiale Sani-tario con funzione sull’igiene pubblica”, prosegue il dottor Venezia, “...e mi occu-pavo di varie mansioni, anche nell’ambito

dell’amministrazione co-munale, mentre nel 1983, essendo abbastanza obe-rato dai vari compiti, ho scelto di dedicarmi solo alla professione di medi-co di base. E sono molto contento di essere andato in questa direzione...”.

Sette anni fa, dopo trentatrè anni di servizio, il dottor Venezia ha rice-vuto un riconoscimento dalla Pro Loco di Arzago d’Adda, premio destinato alle persone che si sono distinte per il proprio operato: motivazioni di

tale premio: “Aver dedicato continuativa-mente passione e dedizione alla propria attività di medico”. Attualmente il dott. Alberto Venezia è in pensione e svolge una vita tranquilla nella sua casa di Casirate d’Adda con la moglie e collega, la dottores-sa Gabriella Valoti. “Una volta la settima però...”, precisa il medico, “faccio anco-ra attività ambulatoriale, sa, per rendere meno traumatico e più graduale, il distac-co dai miei pazienti”.

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