TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova...

52
TRIANGOLO ROSSO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano www.deportati.it Alla mostra su Anna Frank una superstite di Auschwitz racconta la sua tragedia da pagina 14 IT XII CONGRESSO NAZIONALE DELL’ANED - 3-4-5 MAGGIO 2000 Milano Quando la catturarono, Liliana Segre aveva 13 anni - Le leggi razziali - Respinta con la famiglia dalla Svizzera - La terribile marcia di trasferimento dopo l’evacuazione del campo Come venne trovato nel 1960 il diario di un piccolo ebreo ucciso in un lager da pagina 22 Varsavia La sconvolgente testimonianza di un adolescente che racconta l’odissea del suo popolo in un villaggio della Polonia. Il diario ripubblicato da Einaudi dopo la prima edizione del 1960 Storia di un oscuro eroe che salvò centinaia di ebrei e antifascisti da pagina 4 Varese Accusato di aver fornito carte di identità falsificate, arrestato dai tedeschi, detenuto nel lager di Bolzano - Gries venne deportato a Dachau dove morì di tifo petecchiale A Mauthausen contro il razzismo di Haider A pagina 3 l’editoriale di Maris Alle pagine 50 e 51 i punti del dibattito e il programma del Congresso Mauthausen Le guide ai campi principali KZ “Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi; Ripetetele ai vostri figli” Primo Levi IT ANED 1 Associazione Nazionale Ex Deportati politici nei campi di annientamento nazisti Allegata a questo numero di Triangolo Rosso una pubblicazione speciale A Mathausen non solo per ricordare. In terra d’Austria dove inquietanti sono risuonati gli accenti xenofobi di Haider torniamo noi scampati alla morte per riunirci a congresso per riaffermare l’impegno anche a nome dei tanti fratelli che non hanno fatto ritorno contro ogni forma di razzismo contro ogni richiamo nostalgico a favore del nazismo.

Transcript of TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova...

Page 1: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

TRIANGOLOROSSOGiornale a cura

dell’Associazione nazionaleex deportati politiciNuova serie - anno XXN. 2 aprile 2000Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/clegge 662/96 - Filiale di Milano

www.deportati.it

Alla mostra su AnnaFrank una superstite di Auschwitz raccontala sua tragedia

da pagina 14

ITXII CONGRESSO NAZIONALE DELL’ANED - 3-4-5 MAGGIO 2000

Milano

Quando la catturarono, Liliana Segre aveva 13anni - Le leggi razziali - Respinta con lafamiglia dalla Svizzera - La terribile marcia di trasferimento dopo l’evacuazione del campo

Come venne trovato nel 1960 il diario di un piccolo ebreoucciso in un lager

da pagina 22

Varsavia

La sconvolgente testimonianza di un adolescenteche racconta l’odissea del suo popolo in unvillaggio della Polonia. Il diario ripubblicato da Einaudi dopo la prima edizione del 1960

Storia di un oscuro eroe che salvò centinaia di ebrei e antifascisti

da pagina 4

Varese

Accusato di aver fornito carte di identitàfalsificate, arrestato dai tedeschi, detenuto nel lager di Bolzano - Gries venne deportato a Dachau dove morì di tifo petecchiale

A Mauthausen contro il razzismodi HaiderA pagina 3 l’editoriale di MarisAlle pagine 50 e 51 i punti del dibattito e il programma del Congresso

MauthausenLe guide ai campi principali KZ

“Meditate che questo è stato:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli”

Primo Levi

IT

A N E D

1

Associazione Nazionale Ex Deportati

politici nei campi di annientamento nazisti

Allegata a questonumero di Triangolo Rosso una pubblicazionespeciale

A Mathausennon solo per ricordare.

In terra d’Austriadove inquietantisono risuonati

gli accenti xenofobi di Haidertorniamo

noi scampati alla morteper riunirci a congresso

per riaffermarel’impegno

anche a nome dei tanti fratelliche non hanno fatto ritorno

contro ogni forma di razzismocontro ogni richiamo nostalgico

a favore del nazismo.

Page 2: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

Metteremarchio Guado

2

Questo numeroIT

Le immagini di Triangolo Rosso Le fotografie di questo numero sono state riprodotte da: “IlGhetto di Varsavia”, Giuntina; “Les Crematoires d’Auschwitz”,Cnrs Editions; “In nome della razza”, Sperling & Kupfer;“Auschwitz 1940-1945”, Bur; “Mauthausen addio”, Mevio edi-tore; Verbrechen det Wehrmacht 1941 bis 1944, HamburgerEdition. La fotografia della signora Liliana Segre è stata ri-prodotta dal quotidiano “La Repubblica” del 4 maggio 1994.

Triangolo Rosso

Giornale a cura dell’Associazione nazio-nale ex deportati politici nei campi nazisti Una copia lire 5.000. Abbonamento lire 20.000via Bagutta 12 - 20121 Milano.Tel. 0276006449 - Fax 0276020637.E - mail: [email protected]

Direttore: Gianfranco Maris

Ufficio di presidenza dell’Aned Gianfranco Maris (presidente)Bruno Vasari Bianca PaganiniDario SegreItalo Tibaldi Miuccia Gigante

Comitato di redazioneGiorgio BanaliEnnio ElenaBruno EnriottiFranco GiannantoniIbio Paolucci (coordinatore)Pietro Ramella

Redazione di RomaAldo Pavia

Collaborazione editorialeFranco MalagutiMaria Rosa TorriMarco MicciMonica PozziIsabella CavasinoFabiana PontiLidia Rava

Numero chiuso in redazione il 22 marzo 2000Registr. Tribunale di Milano n. 39,del 6 febbraio 1974.

Stampato da:

Via Picasso, Corbetta - Milano

pag. 3 Chi ha paura di Haider?pag. 4 Calogero Marrone: l’oscuro eroe che salvò centinaia di vitepag. 9 “Sembra proprio una via Crucis. Spero di non arrivare al Golgota”pag.14 Liliana Segre: all’inferno di Auschwitz e ritornopag.19 Respinta dalla Svizzera, arrestata dai fascistipag.22 Come un urlo contro i boia il diario del piccolo Davidpag.24 “Il carro era tutto sporco di sangue”pag.26 Bice Azzali: ... E il maresciallo Timoshenko ci gridò:

“Tornerete nella vostra bellissima Italia”pag.27 Passò anche dai lager la persecuzione dei Testimoni di Geovapag.28 I nostri ragazzi Il dovere di sapere e di ricordare

Ho “visto” cos’era la deportazioneIl gas arrivava insieme al terroreBisogna fermare i nuovi nazistiLi assassinavano gettandoli nel vuotoSpero che la poesia di Levi ci accompagneràQuel viaggio mi resterà per sempre nel cuoreCosa puoi fare tu, uomo del duemila?

pag.32 Da un ex deportato la più emozionante “lezione” di storiapag.33 Motivo di grande tensione toccare le pietre dell’alto muropag.34 Il tuo dolore, nonno, ti ha impedito di raccontare il lagerpag.36 Sequestrato il carro-Auschwitz

Roma: il ricordo e la città nel grande incontro a via Tassopag.37 Anche la voce dell’Aned nelle parole di Moni Ovadia

Contro il neo-nazista Haider una chiara “sonata” di Schiffpag.38 La Germania di Dachau fa i conti con il passatopag.40 Bibliotecapag.42 Suggerimenti di letturapag.44 “Ho fissato l’orrore nel ghetto di Varsavia”pag.46 Giorno per giornopag.48 Notiziepag. 49 I nostri luttipag. 50 Il programma del XII Congresso nazionale dell’Anedpag.52 Triplicati in 5 mesi i visitatori del nostro sito Internet

Page 3: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

3

Iconsigli alla prudenza non mancano,anzi! Non trasformare Haider in unmartire, non boicottare l’Austria.

Sarebbero errori politici che potrebberodeterminare l’estendersi dell’onda xe-nofoba, trasversalmente contaminando,aprendo contrasti a destra ed a sinistra,trasformando le dimissioni di Haider, da-te per prendere la rincorsa, in un pre-dellino di lancio per il cancellierato.Saggezza o miopia?E quale sarebbe l’alternativa offerta daquesta miope saggezza? La colpevole tol-leranza, nell’Unione Europea, di una pre-senza che ne nega platealmente i princi-pi informatori?Innanzitutto bisogna sapere con esattez-za di che cosa si parla. Non della pro-fessione di idee non condivisibili da par-te di una formazione che si disperde nelmare delle molteplici sensibilità politichedi una società complessa, ma dei princi-pi, consolidati in programmi espliciti, del-la metà della coalizione che forma, conl’implicito consenso dell’altra metà, ilgoverno di un Paese che fa partedell’Unione Europea. Il fatto che la pro-fessione di xenofobia sia espressione delconsenso del 27% dei cittadini, espressoin libere elezioni, è una aggravante delpericolo, quando, come nel caso dell’Au-stria, questo consenso diventa supportopolitico di un governo chiamato ad ope-rare nel quadro della Unione politica traquasi tutti i Paesi europei, aperta pro-grammaticamente a ricevere anche tuttigli altri Paesi del continente, e, semmai,qualche cosa in più.

Sarebbe grave colpa non rendersiconto che è indispensabile chel’Unione Europea adotti, in questa

vicenda, una condotta che sia anche mes-saggio all’esterno. Non si può chiedere,a chi aspira a fare parte dell’UnioneEuropea di sottoporsi a lezioni di demo-crazia, di restare in quarantena nel tem-po necessario per superare gli esami e,nel frattempo, tollerare - con scempio del-la propria credibilità - che, tra gli in-quilini che sono già nella casa, ve ne siauno che nega i principi fondanti del-

se di principi liberamente accettati daogni Paese aderente, tali principi assur-gono a valore fondante di una nuova so-vranità, altrettanto legittima, altrettantogiuridica, gerarchicamente sovraordina-ta alle singole sovranità dei Paesi ade-renti.Dopo Maastricht l’Europa deve darsiun’anima, deve disegnare una veraCostituzione europea; deve avere la di-gnità e la forza politica di imporre a tut-ti il rispetto dei diritti fondamentali de-gli uomini e dei suoi valori fondanti.Ciò che bisognerebbe cercare di capire,infine, è perché proprio in Austria siaesplosa l’avanzata di questa destra estre-ma.

G ià in passato la storia della pri-ma repubblica austriaca fu ca-ratterizzata da alleanze con la

destra estremista, sulla base di amnesiedella propria storia.L’Austria vittima del nazismo, nessunaresponsabilità, nessun passato da riesa-minare criticamente, nessun “passato chenon passa”, come quello vissuto con sof-ferenza e coraggio dalla repubblica diGermania. Una amnesia di cui sembra-no soffrire anche a Pordenone e a Trieste,dove, in Consiglio comunale, si formu-lano voti per il gemellaggio con Klagenfurto si prospettano incontri gratificanti conHaider, del tutto ignari - è mai possibi-le? - che proprio l’Adriatischekustenland,creata dai nazisti ai fini dell’annessione,dopo l’8 settembre 1943, che compren-deva i territori di Gorizia, Udine, Triestee Lubiana, ebbe il privilegio di essere go-vernato e straziato proprio dal fior fioredel nazismo austriaco, a cominciare dalgauleiter Friedrich Rainer per finire conil comandante generale delle SS OdiloLotario Globocnik, il tecnico dell’opera-zione di sterminio di Chelmno, Belsec,Sobibor, Treblinka, per finire con FranzStangi, comandante alla Risiera di SanSabba, con Karl Tauss, Karl Lapper, FranzHradeztky, Ernst Lerch e tanti, tanti al-tri!Anche nel vuoto della memoria possononascere i mostri.

l’Unione, professando indisturbato la pro-pria xenofobia contro tutti, compresi icandidati all’Unione.E tutto ciò proprio nel tempo in cuil’Europa è obbligata ad affrontare il no-do del problema più epocale che possaimmaginarsi, quello del trasferimento didimensioni bibliche che si delinea, di po-polazioni di antica miseria verso Paesidel nuovo benessere, spinti dalla fame erichiamati dalla offerta di lavoro impo-sta dalla caduta demografica e dalla glo-balizzazione.In questa prospettiva la xenofobia nonsolo si presenta come la negazione di va-lori per la difesa dei quali il mondo è sta-to insanguinato e come la negazione didiritti fondamentali degli uomini, sempreconclamati dall’Onu, perché diventinonorme giuridiche cogenti in tutti gli or-dinamenti positivi di tutti i Paesi, ma sipresenta altresì come grave minaccia diessere, quale è, una miscela esplosiva, laquale, sull’onda di irrazionali timori dif-fusi in ampi strati sociali di perdere be-nessere ed identità a seguito dell’immi-grazione, potrebbe innescare incontrol-labili conflitti sociali di imprevedibili enefaste conseguenze.

Tutto ciò mentre il tempo per pre-venire e regolare urge, mentre iprocessi di formazione di comu-

nità pluralistiche sono già in atto, men-tre le diversità che si incontrano minac-ciano di essere separazione e ghettizza-zione, con pregiudizio irreparabile dellanecessità di porre le basi di una societàfutura che rispetti tutte le diversità, ri-conoscendole come valore, rappresen-tandole tutte in un quadro di regole cer-te ed uguali per tutti.In questo contesto non è la sovranitàdell’Austria a essere violata, ma la so-vranità dell’Unione Europea.È tempo di uscire dagli schemi culturalidi un passato, che, sul principio della noningerenza negli affari interni di ogni Paese,ha costruito un secolo di violenza e dimorte.È tempo di pensare che, se si costituisceuna unità politica tra più Paesi, sulla ba-

Chi ha pauradi Haider?

ITdi Gianfranco Maris

Page 4: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

4

La tragedia era maturata il 4 gennaio 1944 quando,nel tardo pomeriggio,

nell’appartamento di CalogeroMarrone, capo dell’ufficio anagrafe delComune di Varese, in via Sempione 14,una palazzina a due piani,si era precipitato don Luigi Locatelli,canonico della Basilica di San Vittore,in stretto contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale,per informarlo che i tedeschi erano alle porte e che l’arresto sarebbe statoimminente. Bisognava fuggire senzaperder tempo.

scista che sarebbe rimasto asua disposizione per le in-dagini e non voleva manca-re a quell’impegno; dall’al-tro bisognava evitare che, incaso di fuga, la inevitabilerappresaglia nazifascista siabbattesse sulla sua famiglia.“Il papà - ricorda DomenicoMarrone, 71 anni, l’ultimo-genito, allora sedicenne, quel-l’indimenticabile 4 gennaioa letto per un’influenza - ave-va ascoltato con attenzione isuggerimenti dell’amico donLocatelli, chiuso nel suo pic-colo studio. Fu un colloquiofitto, immagino drammatico.

Calogero Marrone, 54 anni,siciliano di Favara, una cit-tadina a due passi da Agri-gento, moglie e quattro figlitra i 21 ed i 16 anni, sospe-so cautelarmente dal servi-zio “con effetto dal 1° gen-naio 1944 e fino a nuovo or-dine” dal Podestà DomenicoCastelletti “per l’accerta-mento delle eventuali re-sponsabilità sull’irregolarerilascio di carte d’identità”,dopo un lungo colloquio conil sacerdote e poi con la mo-glie, aveva deciso di restare.Da un lato aveva dato la suaparola d’onore al Podestà fa-

Calogero Marrone

ITAccusatodi aver fornito agli ebrei e agli antifascistiun grande numero di carte di identità falsificate,venne arrestato dalle SS e deportato a Dachau dove morì di tifo il 15 febbraio 1945

VARESE

Il figlio Domenico, che a 17 anni diventò partigiano,

l’oscuro eroe che

Calogero Marrone, capodell’ufficio anagrafe delComune di Varese, pocoprima dell’arresto.Nella pagina seguente:la targa in memoria diMarrone davanti all’in-

gresso del suo ufficio.Venne posta il 1° ottobre1994, nel 50° anniversa-rio dell’arresto che av-venne il 7 gennaio 1944(e non il 4 gennaio comeappare nella targa).

diFrancoGian-nantoni

Page 5: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

5

Una lapide della Comunità ebraica, dell’Anpi e del Comune di Varese ricorda davanti al suo posto di lavoro questa luminosa figura di antifascista che, dopo l’8 settembre 1943,collaborò con la Resistenza a prezzo della vita.Una delazione, forse di un impiegato, provocò la cattura.

Noi non sentivamo ma ave-vamo intuito di cosa potes-se trattarsi. Alla fine il papànon se l’era sentita di lasciarcisoli. Già se n’era andato inSvizzera, a metà settembre,mio fratello Salvatore, clas-se 1923, per evitare la chia-mata di Salò. Il papà era ungrande uomo, rigoroso, fe-dele ai suoi ideali di giusti-zia e di libertà, legato al suolavoro. Rispettava tutti.Amava sopra ogni cosa la fa-miglia, per niente al mondoavrebbe voluto che, per cau-sa sua, dovesse correre deirischi. Conosceva gli adde-

biti che gli erano stati mos-si e, credo, sapesse perfetta-mente la sorte che l’attende-va. Malgrado questo, rimasefermo al suo posto. In que-sto sta la sua grandezza. Finoall’ultimo, a prezzo di un tra-vaglio interno immenso, nonvolle ascoltare i nostri acco-rati consigli”.Il 7 gennaio, tre giorni dopola visita di don Locatelli, pun-tuale il destino si era com-piuto. Calogero Marrone, al-l’imbrunire, venne arrestatoda due ufficiali delle SS, conle armi spianate, sulla basedi un ordine del Comando

rievoca commosso la tragedia del padre deportato

salvò centinaia di vite

Page 6: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

6

Calogero Marrone

l’oscuro eroe che salvò

In un momento di svago, al Poligono di Varese. Marroneera un grande appassionato di tiro con la pistola olimpica.

Fallito un tentativo della 121a Brigata Garibaldi di libe

germanico di Varese che nonlasciava dubbi: collabora-zionismo con la Resistenza,favoreggiamento nella fugadegli ebrei, violazione deidoveri d’ufficio, intelligen-za con il Cln. Accuse da fu-cilazione.Dice Domenico Marrone -che ha impresso nella me-moria, indelebili, quei mo-menti e che, subito dopo l’ar-resto del genitore, volle en-trare a far parte, ancorchégiovanissimo, della brigatapartigiana “Poldo Gasparotto”comandata da Luciano Co-molli, per tener alta la me-moria paterna: “Quella deitedeschi non fu una visitainattesa, papà l’aveva previ-sta. La sua grande genero-sità, il suo spiccato altruismogli avevano forse fatto spe-rare un trattamento diverso:si figuri che subito dopo il12 settembre quando le trup-pe del Reich erano entrate incittà, si era preoccupato direperire degli alloggi ad al-cuni ufficiali tedeschi cheglielo avevano chiesto, an-dando a parlargli in Comu-ne.Spesso ripeteva che, comelui aveva aiutato gli altri, glialtri al momento opportunol’avrebbero aiutato. Era fat-to così ma gli eventi, pur-troppo, andarono diversa-mente. Le fasi dell’arresto siesaurirono in pochi minuti difronte a noi, spettatori sgo-menti e muti: il tempo di pre-parare una cartella e di riem-

pirla con poche cose e il papàlasciò quella casa che nonavrebbe più rivisto. Ci dissecon un sorriso velato daprofonda tristezza di staretranquilli, che non saremmorimasti soli, che gli amici ciavrebbero aiutato, di farci co-raggio, che il suo ‘caso’ sisarebbe risolto. Erano state parole di circo-stanza. Eravamo perfetta-mente consci della estremagravità della situazione”.Da quel 7 gennaio 1944Calogero Marrone, “giustotra i giusti”, come apparescolpito nel marmo biancodi una targa posta davanti al-l’ufficio anagrafe il 1° otto-bre 1994, dalla Comunitàebraica per l’impegno per-sonale dell’avvocato GiorgioCavalieri, dall’Anpi e dal Co-mune di Varese, passò sottoil solo controllo della giuri-sdizione tedesca, malgradofosse stato recluso in una cel-la del carcere giudiziario deiMiogni, prigioniero dei na-zisti sino alla morte (dopoun penoso, sofferto itinera-rio attraverso altre carceri ita-liane) avvenuta alla metà difebbraio 1945 nel campo diDachau “quando stava persorgere il sole della libertà”.Calogero Marrone, secondodi dieci figli, maturità clas-sica, solida cultura umani-stica, famiglia della mediaborghesia siciliana, un ne-gozio di tessuti e proprietàterriere, antifascista della pri-ma ora (“proprio non era ca-

Page 7: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

7

centinaia di vite

rare Marrone dai tedeschi: nella zona c’era una scuola

pace di sopportare il pensie-ro del regime”), legato alPartito d’Azione di CamilloLucchina, futuro presidentedel Cln di Varese e di AlfredoBrusa Pasqué, fervente pa-triota ed abile organizzatoredelle fughe in Svizzera diebrei, renitenti alla leva del-la Rsi, politici ricercati dal-le polizie di Mussolini, erain rapporto anche con la cel-lula cattolica dell’ingegnerAndrea Pedoia e la rete disoccorso antifascista “Oscar”di don Natale Motta e donFranco Rimoldi.Il 25 luglio 1943, alla cadu-ta del fascismo, Marrone, fi-no a quel momento nell’om-bra, cauto, riservato, era ap-parso per la prima volta inpubblico, prendendo la pa-rola dal Palazzo dei Fasci edelle Corporazioni in piazzaMonte Grappa, assieme algiornalista della “CronacaPrealpina” Mino Tenaglia, ri-volgendosi alla folla dei cit-tadini e degli operai giuntiin centro città dai quartierioperai di Valle Olona,Belforte e Masnago, in no-me dell’unità del Paese, fi-nalmente libero dall’oppres-sore.Per molti varesini fu una sor-presa vedere quell’uomo,inappuntabile nel suo dop-piopetto dietro la scrivaniadell’ufficio municipale, sulbalcone, occupato sino a qual-che giorno prima dai gerar-chi e dai propagandisti per iloro comizi. “Il papà uscì al-

lo scoperto - ricorda con unapunta di commozione il fi-glio Domenico - in una si-tuazione confusa, che anda-va governata con uno spiri-to nuovo. Da quel giorno sipose senza indugi al servi-zio della nuova causa”.A Varese Marrone era giun-to nel 1931, vincitore di unconcorso pubblico dopo es-sere stato impiegato al Co-mune di Favara. Aveva por-tato con sé la famiglia, la mo-glie Giuseppina, i figliFilippina, Salvatore, Dina eDomenico ancora in teneraetà. La carriera a Varese erastata rapida e brillante: ap-plicato di prima classe nel’31 all’ufficio elettorale, cer-tificati e passaporti di Varese;dal ’34 dirigente l’ufficioanagrafe; dal ’37 capo dellostesso reparto con dodici im-piegati. “Ottimo funzionario- si legge nel rapporto mu-nicipale del 9 febbraio 1942- sia per doti intellettuali cheper attività pratica, qualitàdirettive ed organizzative”.Un funzionario esemplare,punto di riferimento per mi-gliaia di cittadini, dall’8 set-tembre pedina fondamenta-le dell’antifascismo varesi-no che fra ostacoli di ognigenere, diversità di vedute,scarsità di determinazione edi mezzi, aveva cominciatoad abbozzare una strategiaorganizzativa. Varese, città di frontiera, su-bito dopo l’armistizio e leprime stragi naziste sul lago

Maggiore, era stata presad’assalto da migliaia di fug-giaschi, soprattutto ebrei,giunti da ogni città d’Italiama anche da giovani di levache avevano guardato alla vi-cina Svizzera come alla ter-ra promessa.Ma come fare per agevolarei movimenti clandestini dichi, avviato o respinto sulconfine o impossibilitato araggiungerlo, avrebbe tenta-to di nascondersi in qualcheComune della provincia, senon dotandolo di documenticon false generalità?Calogero Marrone, profon-damente convinto del dove-re di ogni italiano di com-battere i nazifascisti con ognimezzo ed in ogni circostan-za, aveva trasformato il suopiccolo ufficio di PalazzoEstense in una specie di cam-po di battaglia. Al posto delfucile, la penna e il calamaio,i timbri, le cartelle anagrafi-che.I segnali di aiuto partivanodal Cln, il motore delle va-rie iniziative in base alle ri-chieste che giungevano an-che da Milano e da altre cittàdella Lombardia. “A mia ma-dre - ricorda Domenico Mar-rone - il papà la sera rac-contava tutto. Aveva bisognodi sfogarsi, di aprirsi, di sve-lare quei segreti. Sai oggi,diceva sollevato, siamo riu-sciti a nascondere un’interafamiglia di ebrei. È andata bene! Gli ebrei era-no poi affidati a famiglie del-

la città che si preoccupava-no di sistemarle in luoghi si-curi. La famiglia Pedroletti,a noi legata da sincera ami-cizia, fu tra le più attive, uti-lizzava per i passaggi inSvizzera, la propria casa diLavena-Ponte Tresa, un po-sto strategicamente decisivo,a due passi dal confine”.Calogero Marrone, avuta lasegnalazione del Cln, attra-verso Alfredo Brusa Pasqué,riceveva ebrei ed antifascistinel suo ufficio, riduceva al-l’osso gli ostacoli burocrati-ci, compilava personalmen-te i documenti, rilasciava lepreziose carte d’identità.Un’attività sul filo del rasoio,scandita dal rischio, semprein agguato, di essere scoperto.“Non sappiamo con certez-za il numero dei documenticoncessi - dice DomenicoMarrone - ma credo che siastato nell’ordine di qualchecentinaio in soli tre mesi”.L’avvocato Giorgio Cavalieri,classe 1921, ebreo, il primoa volere la targa al Comunedi Varese in memoria diMarrone, grande amico dei“fratelli ebrei salvati dallaferocia nazifascista” (comeè testualmente riportato sulmarmo), ricorda commossoil contributo che il capo del-l’ufficio anagrafe diede persalvare alcuni suoi familia-ri, in quei giorni turbinosi:“Mentre io, mio fratello Aldoe mio padre Edgardo pas-sammo in Svizzera il 17 set-tembre 1943 attraverso il tor-

Page 8: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

8

Calogero Marrone

l’oscuro eroe che salvò

Nella pagina a fianco: unadelle ultime lettere cheCalogero Marrone, già de-tenuto da nove mesi nelle car-ceri di Varese, Como eMilano, inviò dal lager di

Bolzano-Gries alla famiglia.Pochi giorni dopo venne de-portato a Dachau dove morìil 15 febbraio 1945.In alto: una sentinella sor-veglia il piazzale del campo.

rente Tresa, mia nonna PaolaCavalieri Carpi, sua figliaEmilia Cavalieri ed i miei cu-gini Laura e Ferruccio Pizzo,tutti ebrei, ebbero daMarrone, sul finire del 1943,quattro carte d’identità fal-sificate, non so a chi inte-state. Con queste, riuscirononell’impresa straordinaria,dati i tempi, di nascondersinel piccolo abitato diMondonico, in Valganna, do-ve vissero fino al 25 aprile1945, ‘liberati’ alfine, si puòdire così, da un gruppo dipartigiani al comando del mioamico Dino Spreti”.Non solo gli ebrei furono ibeneficiari di questo oscuroeroe della nostra storia maanche i partigiani. L’avvocatoGianfranco Maris, allora “ga-ribaldino” in una formazio-ne del bergamasco, fu uno diquesti: “Venni a Varese fra il10 ed il 20 novembre 1943,andai in Comune dove avreidovuto prendere contatto conun funzionario siciliano del-l’ufficio anagrafe di cui igno-ravo il nome per ragioni disicurezza. L’indicazione laebbi da Salvatore DiBenedetto, siciliano, diAgrigento, un comunista delCentro di Milano che a suavolta mi aveva segnalato al-l’avvocato Montuoro, origi-nario della stessa città sici-liana, sfollato con la fami-glia nel Varesotto. IncontraiMarrone, ebbi da lui una car-ta d’identità intestata a taleGianfranco Lanati, un co-

gnome pensato lì per lì, na-to il 24 gennaio del 1926, re-sidente non ricordo bene sea Caserta o a Santa MariaCapua Vetere in via TommasoCampanella, questo sì che miè rimasto in mente. Quel do-cumento fu la mia salvezzafino al momento in cui, piùtardi, venni catturato ed in-ternato a Mauthausen”.Calogero Marrone non si eralimitato a distribuire cartefalse ma aveva esteso la pro-pria attività cospirativa in al-tre direzioni. In collegamento con AntonioDe Bortoli, un abile artigia-no mobiliere, autore di unarocambolesca fuga a Veronamentre stava per essere tra-sferito in Germania, Marroneorganizzò trasporti di armi edi derrate alimentari alGruppo partigiano “5 Gior-nate del San Martino” del co-lonnello Carlo Croce (di cuivenne riconosciuto partigia-no effettivo dalla appositaCommissione), prima che laformazione venisse stermi-nata in battaglia dai tedeschiil 16 novembre 1943. Il 31 dicembre 1943, dopooltre tre mesi e mezzo dal-l’inizio della sua attività be-nemerita, il lavoro di Marronesi interruppe per una dela-zione, partita quasi certa-mente dal Municipio, forseaddirittura dal suo ufficio. Sidisse, nell’immediatezza delfatto, che il responsabile po-tesse essere stato un impie-gato dell’anagrafe. Voci sfu-

mate, mai riscontrate. Il vol-to del traditore restò semprenell’ombra. “Noi abbiamosempre pensato - diceDomenico Marrone - che chitradì fosse in Comune. Si fe-cero altre congetture. Il mag-gior indiziato del Comune diVarese, fra l’altro, a fine guer-ra, ci venne a cercare per ave-re aiuti. Ex-fascista, era sta-to abbandonato da tutti. Unarisposta sicura sulle sue re-sponsabilità non siamo riu-sciti mai ad averla”.Con la freddezza del lin-guaggio burocratico, ilPodestà Domenico Castellettiaveva contestato il 31 di-cembre 1943 a CalogeroMarrone, dopo un colloquioa quattr’occhi a PalazzoEstense, in presenza del co-mandante della GuardiaDoganale di Frontiera, ilCommissario distrettuale ca-pitano Vornehm, di aver ri-lasciato il 15 dicembre in mo-do irregolare due carte d’i-dentità, intestate ai nomi diNatalina Rosati e di PietroDel Giudice, con ogni pro-babilità, ebrei di Milano.Era stata la goccia che ave-va fatto traboccare il vaso.Marrone prese atto della con-testazione, sottoscrivendol’atto di notifica del provve-dimento che assomigliavatroppo, per la pesantezza, aduna condanna a morte. Fu lasua ultima firma da liberocittadino.Le altre suggellarono i ver-bali dei vari interrogatori ai

quali fu sottoposto dagli uf-ficiali tedeschi (spessoall’Hotel Regina di TheodorSaevecke) e le accorate let-tere dalla prigionia.L’istruttoria condotta dalPodestà di Varese nei con-fronti dei collaboratori diMarrone per avere un qua-dro di quanto era accaduto,non diede risultati apprezza-bili. Emerse semmai quelloche era noto: che in qualchecaso “trattandosi di perso-nalità o di persone di moltoriguardo”, Marrone trattavapersonalmente le varie pra-tiche nel proprio ufficio, evi-tando che gli ospiti indu-giassero allo sportello nu-mero 5, quello per il pubbli-co e che lo stesso mai si eralasciato andare “ad apprez-zamenti di indole politica nétanto meno contro l’attualeregime”. Affermazioni scon-tate che non valsero a sot-trarre Calogero Marrone al-la sua tragica sorte.Preso in consegna il 7 gen-naio 1944 dagli aguzzini te-deschi senza attendere l’esi-to dell’inchiesta comunale,al Podestà di Varese non ri-mase neppure il tempo di ri-ferire a Marrone ciò che eraemerso dagli interrogatori deivari testimoni. Sarebbe delresto stata un’inutile forma-lità. I tedeschi, furenti per gliaffronti subiti dal settembredel ’43, volevano infatti di-sfarsi al più presto possibiledi quello che ritenevano unpericoloso nemico.

In una drammatica lettera alla moglie e ai quattro figli,

Page 9: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

9

centinaia di vite

commentava così la condizione di prigioniero politico

“Sembra proprio una Via Crucis. Speriamo di non arrivare al Golgota”

Dal carcere dei “Miogni”di Varese, a quello di San Donnino di Como, a San Vittore,al lager di Bolzano-Gries. Infine in Germania, dopo nove mesi di durissima detenzione.

Caduto nelle mani dei tedeschi,Calogero Marrone era statosottoposto dal 7 gennaio 1944

ad un regime di strettissima sorveglianzanel carcere giudiziario dei Miogni,isolato dagli altri detenuti.Alla moglie Giuseppina e, a turno,ai tre dei quattro figli (Salvatore si era rifugiato in Svizzera per evitare il bando di Salò) erano stati concessi alcuni permessi per brevi colloqui.

Gli interrogatori nelle stanzedi Villa Zanoletti in viaSolferino, requisita dalComando della Guardia diFrontiera tedesca per farne ilQuartier Generale, erano sta-ti lunghi ed estenuanti. La pre-da infatti era di primaria im-portanza.Marrone, prelevato quasi ognigiorno all’alba dalla propriacella e trasferito nella sededelle SS, aveva resistito, vi-sto l’esito fatale della sua vi-cenda, alle martellanti richie-ste di rendere pubblica la fit-ta rete dei collaboratori delCln e dei suoi componenti e

di rivelare i nomi delle centi-naia di persone che avevanoottenuto da lui i documentifalsificati per la fuga.Malgrado i familiari fosserostati informati con una certaregolarità del giornaliero spo-stamento del prigioniero lun-go un itinerario di circa unchilometro, interamente nelcentro della città, nessuno erariuscito mai ad individuare ilmezzo su cui era trasportatoné a fissare gli orari sempremodificati.Ma il comando della 121a

Brigata Garibaldi “GastoneSozzi” di Walter Marcobi e di

Page 10: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

10

Calogero Marrone

l’oscuro eroe che salvò

A pag. 11, la famiglia Mar-rone in una foto-ricordo qual-che anno dopo l’arrivo aVarese da Favara (Agrigento),nel 1931. Da sinistra, in pie-di, Dina, Calogero Marrone,la moglie Giuseppina, la pri-mogenita Filippina. Sempre

da sinistra, seduti, Domenico(che ha contribuito con la suatestimonianza a ricostruirel’arresto e la deportazionedel padre) e Salvatore che,dopo l’8 settembre 1943 si ri-fugiò in Svizzera per evitareil bando della Rsi.

Marrone, con lo pseudonimo di “Peppo Coppula” per

Claudio Macchi non aveva ri-nunciato sin dal primo mo-mento a tentare un’azione gap-pista per liberare Marrone ealtri detenuti dal carcere. Unprogetto difficile per i moltirischi, previsto fra il 20 ed il22 gennaio. La zona era infatti densamenteabitata e davanti al portonecentrale dei “Miogni” c’era lascuola elementare “FelicitaMorandi” affollata di scolariper gran parte della giornata.I partigiani, dopo aver valu-tato a fondo ogni aspetto del-l’operazione che prevedeval’uso di armi e di esplosivi,alla fine avevano rinunciato.Ma la voce di una possibileliberazione non era sfuggitaal Comando germanico che il26 gennaio, all’improvviso,aveva prelevato Marrone dai“Miogni” per trasferirlo nelpiù sicuro carcere di SanDonnino di Como.Una decisione che aveva al-lontanato l’ex capo dell’uffi-cio anagrafe del Comune diVarese dai propri cari. Eranoseguiti mesi durissimi, rottiogni tanto dalle visite dellamoglie e dei figli. Marrone,interrogato a ripetizione daitedeschi, non aveva mutato ilproprio atteggiamento. Un si-lenzio ostinato, incrollabile.L’8 maggio il detenuto era riu-scito a inviare un breve mes-saggio a casa. Due fogliettidiretti ai figli. Parole di confor-to, inviti a resistere.“Comprendo il dolore - ave-va scritto - e la lotta della

mamma nella vita, dato cheio non percepisco stipendio,unica fonte della nostra fa-miglia. Solo ciò mi rattristaenormemente, conscio delleristrettezze finanziarie in cuivi trovate ed in momenti co-sì terribili! Coraggio e fidu-cia. Vi stringo forte al petto evi bacio con ardore”.Solo, senza alcuna possibilitàdi ristabilire contatti coi com-pagni di lotta di Varese, in unambiente carcerario estraneo,Calogero Marrone aveva ma-nifestato in altri messaggi i ti-mori per l’immediato futuro.Rivolto alla moglie Giusep-pina, sempre a maggio, ave-va scritto: “Sabato scorso misei sembrata molto giù. Forse,oltre alle tue continue preoc-cupazioni per vivere, per tra-scinare la vita purtroppo ama-ra della famiglia, si è aggiuntolo spavento del bombarda-mento avvenuto nei pressi dicasa (nota: il 30 aprile 1944l’aviazione inglese aveva ra-so al suolo lo stabilimentoAvio Macchi, colpendo nellostesso tempo decine di abita-zioni civili e provocando ol-tre cento vittime e altrettantiferiti).Voglio che tu faccia una curamedica. [...] In salute, io pos-so ringraziare il Signore. Oggicompio il 55° anno di età edil quarto mese di una prigio-nia che mi sembra eterna.Speriamo in bene”. Domenico Marrone ricordanitidamente l’ultimo incontroche ebbe col padre nel carce-

re di Como: “Andai per dir-gli di persona che avevo so-stenuto con profitto gli esamiper il passaggio dal corso perragionieri a quello per geo-metri che a me piaceva di più.Il papà accolse la notizia congrande gioia. Era d’accordo.Mi fece come al solito co-raggio. Era convinto che pri-ma o poi tutto sarebbe fini-to”.La detenzione a Como ter-minò con il mese di giugno.Marrone con altri compagnidi lotta venne destinato al car-cere milanese di San Vittore,l’inferno concentrazionarionazifascista, tappa obbligatadi un successivo trasferimen-to al campo “di polizia e dismistamento” di Fossoli pres-so Carpi o della deportazionein Germania.“La mamma - ricorda Dome-nico Marrone - vide il papàper l’ultima volta il 13 ago-sto 1944 quando Milano fuinvestita da un tremendo bom-bardamento anglo-americano.Poco dopo, attraverso monsi-gnor Dell’Acqua, un anzianosacerdote che operava a SanVittore, giunse un biglietto nelquale veniva comunicato cheil papà era in procinto di par-tire per la Germania. In realtà il trasferimento fu aBolzano”.Il 7 settembre, sei righe scrit-te fitte, a penna, con il carat-tere minuto, per sfruttare ap-pieno lo spazio disponibile.Marrone, in carcere ormai daotto mesi, aveva avvertito il

pericolo incombente di doverlasciare l’Italia, visto che lepartenze si erano susseguitein quei giorni ad un ritmo in-calzante”. Era apparso profon-damente segnato nell’animo:“Quale destino ci attende?Mettiamoci nelle mani e pro-tezione della Madonna.Sempre coraggio e baci ar-denti e prolungati. Se hai nuo-ve, informami”.Cinque giorni dopo, Marroneche era sempre stato a dispo-sizione del Comando tedesco(veniva trasferito per gli in-terrogatori che non erano maicessati all’Hotel Regina, se-de delle SS), si era rivolto nuo-vamente ai familiari, utiliz-zando il canale dei religiosi(o monsignor Dell’Acqua o ilcappuccino padre Giannan-tonio) e la stessa striscia dicarta velina. Sette righe an-gosciate: le traduzioni inGermania si erano infittite, lacondizione di vita era diven-tata insopportabile, il doma-ni era parso sommerso dalleombre. “Te lo giuro - avevaannotato Marrone, questa vol-ta in preda allo sconforto -preferirei anch’io essere colàtradotto, poiché l’eterno in-cognito deprime, accascia, no-nostante la fede in Dio, soloconforto in questa vita oppri-mente, piena di terrore. [...]Ho avuto forza e coraggio main questa settimana sono unpo’ oppresso. [...]. Se ancorapuoi, portami a suo tempo ro-ba di lana per eventuale par-tenza”.

Page 11: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

11

centinaia di vite

le sue origini siciliane, infondeva coraggio per il futuro

Altri giorni d’attesa, rinnova-te sofferenze. Il 19 settembre:“ Verranno ancora giorni peg-giori! State sempre in guar-dia! In caso di torbidi, racco-mando di stare in casa. Prepararci a tutto. Fede e co-raggio”.Prima del trasferimento nellager di Bolzano-Gries, unastruttura destinata ai rastrel-lati di tutt’Italia, dai detenutipolitici, ai partigiani, agli ebrei,ai disertori militari, stazioneestrema prima dei campi disterminio, i figli di Marroneavevano indirizzato al padreun messaggio di conforto dicui si ignora la sorte. EbbeMarrone la possibilità di leg-gerlo, traendo a sua volta co-raggio di fronte all’ignoto?Domenico Marrone ne ha con-servata una copia, raccolta conle lettere scritte dal padre, lefotografie, documenti vari, inun grande album, messo a di-sposizione per la prima voltaper i lettori del “TriangoloRosso”: “Caro papà, sempretranquilli e fiduciosi, atten-diamo il giorno in cui ci po-tremo riunire tutti. Ma affin-ché quel giorno sia veramen-te bello, dobbiamo far di tut-to per conservarci, sani, buo-ni, forti. La mamma è ammi-revole in tutto e per tutto e cidà un esempio esemplare. Tuttipreghiamo perché il giorno dipace non sia lontano”.Il primo approccio conBolzano-Gries gli era appar-so stranamente discreto.Marrone, lasciato alle spalle

Page 12: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

12

Calogero Marrone

l’oscuro eroe che salvò

Un religioso milanese, pre-sente a Dachau, venne a sa-pere che Calogero Marrone,conosciuto nel carcere di SanVittore, era stato confinato

in una baracca per “la qua-rantena”. Marrone morì do-po pochi giorni per il tifo pe-tecchiale, assistito da alcunisacerdoti polacchi.

“Se mi vedeste vi mettereste a ridere: raso come una

il ricordo della tetra cella diSan Vittore, aveva creduto diritrovare un minimo di sere-nità. “Eccomi - aveva scrittoapparentemente sollevato il23 settembre - alla nuova re-sidenza sempre in ottima sa-lute e morale alto. Trovomi in un campo di con-centramento di prigionieri po-litici ove non manca l’aria deimonti, respirando a pieni pol-moni. [...]. C’è il problemadegli indumenti di lana ma pa-zienza, saprò adattarmi, nonpreoccupatevi affatto, in no-ve mesi, posso dire d’avercambiato carattere. Tutto mibasta e so assuefarmi ad ognisorta di lavoro. Tornerò con icalli che sono onore per l’uo-mo”.Si era trattato di un tremendoabbaglio. La pesantezza dellager aveva ben presto respintoCalogero Marrone nell’ango-scia, aggravata dai pensieridella famiglia in difficoltà esostenuta unicamente dallostipendio della primogenitaFilippina, impiegata alla Bancad’Italia.Aveva scritto il 25 settembre,due giorni dopo l’arrivo:“Parlarvi della vita del cam-po, mi esimo. Lascio solo avoi immaginare, pensate sem-plicemente che siamo prigio-nieri politici. [...] Il primo gior-no sono stato adibito con al-tri a scavare una grande fos-sa con pala e piccone. [...]Oggi dal campo ne sono par-titi parecchi, internati inGermania”.

“Fame da lupo - aveva ag-giunto in una lettera del 26settembre, firmandosi con lopseudonimo di Peppo Cop-pula - da sembrarmi torta quelpane nero come la pece checi danno. [...] Se mi vedestecome sono vestito vi mette-reste a ridere: raso come unapecora, berretto di carta in te-sta, una bustina, per coprircidal freddo e dal sole, tuta concroce alle spalle e triangolodi stoffa rossa, segno dei po-litici, con sotto il numero dimatricola 4317, scarpe spor-che e via dicendo. Ma quelloche importa è: salute ottimae morale sempre alto. Sonochiamato il filosofo. Coraggiosempre e costanza”.L’ora del distacco dall’Italiaera ormai nell’aria. Il 29 set-tembre il primo accenno:“Forse lunedì o martedì ci im-barcheranno per salire più anord. E fin a quando e fin do-ve? Non vi preoccupate perme che in qualunque posto oluogo, saprò resistere a que-sta vita di bestie immonde”.La partenza temuta, era stataancora rinviata, ma le “voci”non si erano placate.Questione di giorni, forse so-lo di ore. “Trovomi - avevascritto il 2 ottobre - ancoraalla 4a stazione della mia ViaCrucis. [...] Si vocifera di unaspedizione di pecore, ancorsu al nord. Questa notte o do-mani? Il mio pensiero è sem-pre costante in voi, unica miapreoccupazione. Prego Iddiodi assistervi. In questo lager

arrivano sempre pecore chevengono man mano inoltra-te. Che vita? Solo voi sor-reggete il mio spirito qualchevolta affranto, umiliato. Peril carattere generale della vi-ta mi sforzo, perché anelo for-temente di venire a stringer-vi forte forte da non più stac-carmi. Coraggio! Non im-pressionatevi se qualche vol-ta mi mostro abbattuto. Hobisogno delle anime care perpotermi sfogare. Scrivetemispesso. Papà ha bisogno del-le vostre parole”.Nella casa di via Sempione14 a Varese, erano giunte al-tre due lettere, consegnate daemissari sconosciuti. “È zioPeppo che le manda”, aveva-no detto i postini improvvi-sati, poi se n’erano andati.Furono gli ultimi scritti. Poiseguì il silenzio. “Oggi si do-veva proseguire la Via Crucis- aveva registrato il 5 ottobre-ma è stata sospesa la parten-za a causa di forte pillola-mento (nota: bombardamen-to) a poca distanza da noi. [...]Mi duole non poco non ave-re vostre notizie e sa Dio quan-do potrò averne. Proprio unaVia Crucis. Speriamo di nonarrivare al Golgota e passarealla resurrezione. Come sen-to il bisogno di una vostroconforto. Coraggio e fortez-za da entrambe le parti!”.Le porte di Dachau, il primocampo di concentramento perpolitici realizzato da Hitler nel1933, si schiusero per Ca-logero Marrone pochi giorni

dopo. Da quel momento i fa-miliari non ebbero più noti-zie sino al febbraio del 1945quando la Pontificia Com-missione Assistenza comunicò“che il dottor Marrone, già se-gretario del Comune di Varese,fino alla data del 7 dicembre1944 trovavasi nel campo diconcentramento di Dachau(Monaco) in perfetta salute”.Sempre secondo l’autorevolefonte vaticana “a quella dataera in atto il trasferimento adaltro campo di concentra-mento, il quale importava si-curo miglioramento delle con-dizioni di vita, specie vitto edalloggio”. Questa, per certiaspetti positiva notizia, ven-ne smentita dai fatti imme-diatamente successivi.Calogero Marrone era infattimorto a Dachau, con ogni pro-babilità il 15 febbraio 1945,dopo essere stato colpito datifo petecchiale, il fisico de-bilitato dagli stenti e dalle pri-vazioni.Alcune tragiche testimonian-ze, come del resto accadde inaltri casi, si erano alternate adelle smentite, alimentandoatroci ed ingiustificate spe-ranze. Così per Marrone.“Dopo essere stati informatidal dottor Bruni di Bergamoe da padre Liggeri, entrambireduci dal campo di Dachau,che il papà era morto - ricor-da Domenico Marrone - unaex-partigiana varesina ci ri-ferì che era stato notato allastazione di Verona.Immaginate la nostra grande

Page 13: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

13

centinaia di vite

pecora, tuta con croce alle spalle e il triangolo rosso”

gioia. Ci eravamo preparati alfestoso ed atteso incontroquando, prima il professorSilvio Brachetti, compagno diprigionia di De Bortoli, poi ilcappuccino padre Giannan-tonio, confermarono la dolo-rosa notizia”.La lettera del religioso del 10

giugno 1945 avevaaggiunto alcuni par-

ticolari: “Dopo la miapartenza da Milano non

vidi più Marrone.Soltanto nel campo diDachau un giorno ebbi la

notizia che egli pure eragiunto colà ma che sitrovava in una barac-ca chiusa, per la qua-rantena. Pochi giornidopo ebbi la triste no-tizia che Marrone eramorto di tifo. Io non lopotei vedere ma nel bloc-co nel quale si trovavavi erano dei sacerdotipolacchi. Certamenteha fatto una santa mor-te. Il suo sacrificio

varrà ad ottenere benedizionie grazie sulla famiglia e sul-la Patria”.Toccò al primo sindaco dellaLiberazione, il comunistaEnrico Bonfanti, garibaldinodi Spagna e poi confinato aVentotene, firmare il 20 mar-zo 1946, il documento uffi-ciale con il quale si attestavail martirio di Calogero Marrone“antifascista e fervente pa-triota, collaboratore nella lot-ta clandestina contro il tede-sco invasore”.

Page 14: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

14

IT

all’inferno

LilianaSegre

In una sala al piano terra del Castello Sforzesco un gruppo di una cinquantina

di ragazzi ascolta attento Liliana Segre, che racconta la drammatica, tragica odisseasua e di tante altre donne e uomini finiti nei campi di sterminio nazisti. Al primo piano del Castello,nella Sala della Balla,c’è la mostra dedicata ad Anna Frank, la ragazza ebreatedesca che, segregata,prima di essere scoperta,ha scritto un diario divenutofamoso in tutto il mondo.

“Sono nata un anno dopoAnna Frank, nel 1930, e selei fosse sopravvissuta sa-rebbe oggi una nonna” diceLiliana Segre, che è nonna eche dedica tanta parte dellasua attività a trasmettere aigiovani un patrimonio di ri-cordi e anche di ideali.Ragazzi ad ascoltare l’ora-trice, scolaresche che si ag-girano incuriosite e anche unpo’ intimidite tra i pannellidella mostra.Liliana Segre racconta la suatestimonianza, come ha fat-to il 27 gennaio nell’auladel Consiglio comunale diMilano riunito in sedutastraordinaria per ricordareil 55° anniversario della fi-ne di un inferno chiamatoAuschwitz, e come fa pra-ticamente ogni giorno con

gli studenti e là dove la in-vitano. “I miei interventinelle scuole sono facilitatidalla circolare del ministroBerlinguer che ha solleci-tato l’insegnamento dellastoria recente, spesso sco-nosciuta ai giovani.”

Un prologo italiano

La storia della deportazionedegli ebrei, degli antifasci-sti, dei comunisti, dei parti-giani, degli zingari è pienadei nomi stranieri dei lager:Mauthausen, Auschwitz,Buchenwald, ecc… ma ha unprologo italiano che per gliebrei inizia nel 1938, quan-do il fascismo emana le leg-

IlraccontodiLilianaSegre,deportatonumero 75190,ai ragazzi milanesiin visita allamostradiimmaginisu Anna Frank.AncheLilianaè finita in un campodaadolescente

Liliana Segre dopo il ritorno da Auschwitz.Nella foto a destra: una veduta complessiva di Birkenau.

diEnnioElena

Page 15: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

15

Memorie nel 55° anniversario della liberazione del campo di sterminioLe leggi razziali del fascismoLa delusione della SvizzeraL’umanità dei detenuti di San Vittore“Perché non vi siete ribellati?”Cammina, cammina!La commozione dei ragazzi

di Auschwitz e ritornogi razziali. Ho ascoltato piùvolte i racconti di ebrei neiquali ricorre un senso di in-credulo smarrimento per es-sersi trovati, improvvisa-mente, “diversi”, esclusi dalmondo che era sempre stato. “Nel 1943 avevo 13 anni; giàda cinque conoscevo la per-secuzione, perché io mi ri-cordo quella sera di fine esta-te 1938, avevo otto anni,quando mio papà cercò dispiegarmi che non avrei piùpotuto andare a scuola per-ché le leggi razziali fascisteci avevano declassato a cit-tadini di serie B e non pote-vo più andare alla mia scuo-la di via Ruffini dove avevofrequentato la prima e la se-conda elementare.” Mi tornain mente, e lo dico alla si-gnora Segre, che qualche an-

no fa qualcuno ebbe la bel-la pensata di proporre di in-titolare una via di Roma aGiuseppe Bottai, il ministrofascista dell’Educazione na-zionale che firmò le leggi percui venivano allontanati dascuola insegnanti e allieviebrei.Non se ne fece niente, comedel resto era largamente pre-vedibile.“Io mi ricordo quei cinqueanni di persecuzione” rac-conta Liliana Segre, “io miricordo la polizia che veni-va in casa a controllare i no-stri documenti e la mia cheera una famiglia di borghe-si piccoli piccoli era sba-lordita dall’arrivo di questipoliziotti che a loro voltaerano, devo dire, imbaraz-zati. La nonna apriva la por-

ta (non potevamo più averela persona di servizio aria-na), la nonna apriva la por-ta con la sua grazia otto-centesca, entravano questipoliziotti imbarazzati, lei lifaceva accomodare in salot-to e offriva loro dei dolcet-ti; mi mandava di là a gio-care ma io sapevo che nel-le case delle altre bambinenon andava la polizia a con-trollare i documenti. Così quei cinque anni di per-secuzione io me li ricordo,giorno dopo giorno, le umi-liazioni, gli amici che nonti salutavano più perché nonè facile essere amici quan-do si è in disgrazia, è faci-le esserlo quando si è sullacresta dell’onda; e poi mi ri-cordo, dopo l’8 settembre1943, la caccia all’uomo.”

La beffa alla frontiera

“Io mi ricordo quando miopapà cominciò a mandare mevia da casa, da amici eroiciche mi tennero nascosta conle carte false; io non riusci-vo ad imparare le mie gene-ralità false, mi ricordo comeero imbranata in quella cir-costanza. Poi mi ricordoquando cercammo di fuggi-re in Svizzera, quella fugasulle montagne, quella fugagrottesca, quella fuga finitamale, perché una volta pas-sata quella rete, entrati inquella terra che credevamoamica, che credevamo sarebbestata per noi la libertà, fum-mo invece rimandati indietroe sul confine arrestati.”

Page 16: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

16

I ragazzi seguono attenti ilracconto, qualcuno prende di-ligentemente appunti.E nella narrazione c’è unapausa, una riflessione. “Provouna specie di sdoppiamento”dice Liliana Segre. C’è il fi-lo della memoria che si di-pana chiaro, preciso, con ilsuo carico di ricordi e c’è,parallelo, il presente. “ Sonononna”, dice, “ho un nipoti-no di dodici anni, quasi l’etàche avevo io quando comin-ciò la mia odissea. Mio figlioha 47 anni, su per giù l’etàche aveva allora mio padre.”Non è una ricerca del tempoperduto, questa, ma un recu-pero del passato per con-frontarlo con l’oggi, con unavita normale e intensa nellaquale trovano ampio postoquesti incontri con i giovani,dove la rievocazione dellesofferenze e degli orrori sitinge con i colori della spe-ranza, della fiducia.“ Io mi ricordo quando a tre-dici anni entrai da sola nelcarcere femminile di Varese,piangevo come una pazza ecapivo che per la colpa di es-sere nata, per questo, ero inprigione.”Poi la trafila: carcere di Como,quaranta giorni a Milano, aSan Vittore, la prigione che“avevo sempre vista da fuo-ri, perché abitavo non lonta-no da San Vittore ed era stra-no vedere, allora quando nonc’era il muro così alto comeadesso, dal quinto raggio, daifinestroni che furono poi chiu-si e schermati, piazzaleAquileia e il tram che pas-sava.”Quaranta giorni in un’altale-na di speranze, di dispera-zione per la deportazione an-

nunciata. Poi l’arrivo del-l’ufficiale tedesco che lessei nomi e non ci fu più nullada fare: “Ci preparammo apartire.”

In viaggio versol’orrore

Nel racconto c’è una frase ri-petuta che bene sintetizza lasituazione di Liliana Segre edi tanti altri ebrei: la colpadi essere nati, di rappresen-tare qualcosa che non devepiù esistere perché incompa-tibile con l’“ordine” hitle-riano e perciò nei disegni deinazisti destinato a sparire.“Ecco la specificità dellaShoah rispetto ad altri ster-mini che sono sempre terri-bili sotto tutti i cieli, perchéi carnefici vanno sempre con-dannati sotto tutti i cieli: que-sta era stata preparata a ta-volino da anni.”All’uscita da San Vittore,mentre inizia il viaggio ver-so l’orrore, un caldo soffiodi umanità avvolge i prigio-nieri. “Gli altri detenuti, chein quel momento avevano si-curamente l’ora d’aria, ve-dendo passare questa tragicafila di 600 persone così in-nocenti, che avevano la solacolpa di essere nate, furonostraordinari, quei detenuti,perché furono uomini. Poi civolle un anno e mezzo perincontrare altri uomini, per-ché loro ebbero pietà di noie fu un plebiscito di grida, dibenedizioni, di incoraggia-menti. Poi uscimmo e fum-mo caricati su camion a cal-ci, pugni e bastonate.”Una settimana di viaggio ver-so una destinazione ignota

LilianaSegre

Memorie di Auschwitz nel 55° della

In basso: un prigioniero allavoro nel campo di Au-schwitz sotto il controllo diuna SS. Nella pagina accan-

to: il primo tenue sorriso diragazze che da dietro il filospinato hanno visto arriva-re i liberatori sovietici.

Page 17: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

17

ma certamente fonte di terri-bili sofferenze. “Mi ricordo come eravamoammassati l’uno sull’altro;mi ricordo i pianti di tutti; miricordo le preghiere dei piùfortunati, dei religiosi che lo-davano Dio anche in quellasituazione. Mi ricordo quelsilenzio profondo, essenzia-le, straordinario di quegli ul-timi giorni quando ci strin-gevamo l’uno all’altro e nonc’era più nulla da dire; quelsilenzio che ho tanto in ono-re, perché ognuno è solo conse stesso e comunica al mas-simo con la persona che amasenza bisogno di parole. Dopoquel silenzio mi ricordo il ru-more osceno e assordante de-gli assassini intorno a noi; miricordo i fischi; mi ricordo ilatrati; mi ricordo i comandie mi ricordo quando fui se-parata per sempre da miopapà. Mio papà aveva allora43 anni, era stato ufficialenella Grande guerra, nonavrebbe mai pensato che lasua principessa, figlia unica,bambina adorata, per la col-pa di essere nata sarebbe fi-nita lì.”

Nell’inferno

“Mi ricordo quando, separa-ta, da sola, con altre trentaragazze spaurite, come ubria-che, stupite di questo desti-no, di questo disegno incre-dibile che era stato prepara-to per noi, incolonnate dopola prima selezione. Eravamo31 ragazze italiane incolon-nate su quella strada piena dineve che ci portava lontanoda quel binario morto, finecorsa, perché la maggior par-

te morì quello stesso giorno.Entrammo nel grande lagerfemminile di Birkenau, adAuschwitz, preparato per noi.Ed ecco questa città fanta-sma, 60 mila donne, tra quel-le che entravano e quelle chevenivano uccise. Una diste-sa senza fine di baracche spa-ventose. Ecco che lì già il pri-mo giorno fummo denudate,rapate a zero e ci fu marchiatoil numero sul braccio. Dicosempre che mi paragono, pa-ragono noi prigionieri diAuschwitz-Birkenau ai caniai quali in quest’ultimo pe-riodo viene fatto un tatuag-gio sulla zampina perché co-sì i loro padroni sono più tran-quilli; anche i nostri padronierano più tranquilli, perchérapate a zero, vestite a righe,con il numero tatuato sul brac-cio e con un mondo nemicointorno a noi ben difficilmenteavremmo potuto sfuggire aquell’inferno.”Guardo le facce dei ragazziche ascoltano questo racconto,volti tesi, occhi rivolti alla si-gnora che seduta in mezzoalla sala rievoca quell’infer-no.

“Ho scelto la vita”

“Qualcuno potrebbe chiedersie chiederci: perché non vi sie-te ribellati? Ma che cosaavremmo potuto fare controi soldati armati, contro le mi-tragliatrici puntate contro dinoi dalle torrette? Anche nei dirottamenti degliaerei i passeggeri sequestra-ti non si ribellano, per esse-re liberi aspettano l’arrivodella polizia.“ E mi ricordo com’era quel-

l’inferno dal quale non pote-vamo fuggire. Mi ricordo quell’odore di car-ne bruciata: mi ricordo lafiamma del crematorio là infondo, mi ricordo la nevesporca, mi ricordo la fame,il freddo, mi ricordo le bot-te, mi ricordo l’appello, miricordo che non volevo piùessere amica di nessuno per-ché non sopportavo i distac-chi, ma mi ricordo anche cheho scelto subito la vita e cheio volevo vivere a tutti i co-sti, non volevo morire a 13 o14 anni, come li ho compiu-ti nel campo; mi ricordo,quando seppi che era il gior-no del mio compleanno, vo-levo vivere e scelsi semprela vita. Non dico che per que-sto sono rimasta in vita, macertamente i nostri aguzzini,a noi che abbiamo scelto lavita, non sono riusciti a to-gliere l’anima.”

Malatidi Auschwitz

“Ci hanno però fatto una co-sa, in questo ci sono riusci-ti: noi sopravvissuti diAuschwitz saremo sempremalati di Auschwitz, non lopotremo mai dimenticare innessun minuto della nostravita; il numero che ci hannomarchiato sul braccio sini-stro ha sostituito quel giornola nostra identità perché, èvero, prima di ogni altra co-sa siamo rimasti quel nume-ro.Poi la vita ha pensato a ri-darci le gioie, i dolori, masiamo rimasti soprattutto quelnumero, io sono essenzial-mente 75910 di Auschwitz.”

Pietà per l’Hitler Jugend

“Mi ricordo cos’era la nostravita: io ero un’operaia schia-va, lavoravo alla fabbricaUnion, fabbrica di munizio-ni ed era una gran fortunaperché lavoravo al coperto.Mi ricordo la marcia daBirkenau alla città diAuschwitz per andare in fab-brica quando nostri coetaneicon la divisa della HitlerJugend, incontrando questogruppo di prigioniere schia-ve, di donne scheletro, di ra-gazze che non erano più don-ne ma ectoplasmi di quelloche erano state nella loro vi-ta precedente, non contentici sputavano addosso e ci di-cevano delle parole così ter-ribili e quando poi io, chenon capivo il tedesco al mo-mento, ne chiesi la traduzio-ne non potevo credere chedopo averci tolto tutto ci di-cessero anche quelle cose eci sputassero addosso. Eraterribile! Allora li temevo eli guardavo come esseri ul-traterreni; poi negli anni neho avuto una grande pietà.Sono stata capace di avereuna grande pietà. Era terri-bile essere diventati dei gio-vani della Hitler Jugend, checredendo di appartenere aduna razza superiore erano ca-paci anche di sputarci addossoe di dirci quelle parole.”Si fa più incalzante il ritmodel racconto davanti alle fac-ce attente dei ragazzi che se-guono lo svolgersi di questaterribile avventura, qualcosache oggi, per loro fortuna, èpersino difficile immagina-re.

liberazione del campo di sterminio

Page 18: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

18

La marcia della morte

“Mi ricordo quando dopo unanno di lager ero magra, af-famata, durissima, non pian-gevo più, non sapevo più pian-gere ma avevo una voglia paz-za di vivere. Ed ecco che al-la vigilia di questo 27 gen-naio che oggi ricordiamo, ec-co che venne l’ordine di eva-cuare Auschwitz. I nostriaguzzini lasciarono nel cam-po solo quelli che non sta-vano più in piedi, fra cuiPrimo Levi che era grave-mente ammalato e che se-condo me in modo assoluta-mente perfetto descrive ne Latregua l’arrivo dei russi adAuschwitz. E io dove saròstata il 27 gennaio? Ero sta-ta avviata sulle strade dellaGermania con le altre di-sgraziate come me, ancora inpiedi, ancora vive dopo unanno; feci quella marcia chefu giustamente chiamata lamarcia della morte, perché lastrada era di neve insangui-nata. Io non mi voltavo a ve-dere le compagne che cade-vano e che venivano finitecon una fucilata alla testa dal-le nostre sentinelle. Io nonpotevo guardarle, io per so-pravvivere evitavo sempre diguardare quegli aspetti terri-bili della mia vita in quel mo-mento, che sarebbero stati in-sopportabili. Quindi, io cam-minavo e comandavo il miocorpo, una gamba davanti al-l’altra: cammina, cammina,cammina! Così dopo giornidi marcia mi ricordo che cibuttavamo sugli immondez-zai, non importa se dopo diar-rea e vomito li avremmo avu-

ti sicuramente, ci riempiva-mo come pazzi di qualunquecosa: torsoli di cavolo mar-cio, bucce di patate, ossi giàspolpati; qualunque cosa purdi mangiare, camminare e co-mandare al proprio corpo:cammina, cammina, se nomorirai! Ce lo dicevamo l’u-na con l’altra con gli occhiperché non c’era il fiato perparlare. Così arrivai al lagerdi Ravensbruk, terribile cam-po dove finirono molte don-ne politiche italiane. Poi an-cora, ancora altri campi, fi-no alla primavera del 1945.”

La libertà ha il sapore di albicocca

“Arrivò anche lì questa pri-mavera incredibile e nel pic-colo campo in cui ero mi ri-cordo che, al di là del triplofilo spinato, vedevo le foglie,vedevo il prato verde, sognavodi uscire da quel cancello edi camminare di nuovo libe-ra come ero stata prima, unabambina felice sui prati.“E così in effetti, ancora vi-ve per miracolo, ancora vi-ve, scheletri, ancora vive sen-za più la parvenza di nessu-na femminilità, ma ancora vi-ve, con i cervelli funzionan-ti, arrivò quel giorno fanta-stico, che non importa se è il27 gennaio, per me fu il pri-mo maggio del 1945 quandoquei cancelli si aprirono, inostri aguzzini sparirono earrivarono gli americani dauna parte, i russi dall’altra. “Io mi ricordo che in quelmomento, noi ragazze schia-ve, noi nullità, noi niente ma

ancora vive, fummo testimo-ni in quel momento della sto-ria che cambiava su quellestrade della Germania. Equando vedemmo le nostreguardie mettersi in borghe-se, allontanare i cani, butta-re le divise, buttare le armi,fu un momento straordinario,incredibile meraviglioso. Poividi arrivare una jeep ameri-cana, soldati che buttavanosigarette, cioccolato, fruttasecca. Io mi ricordo che miarrivò proprio addosso un’al-bicocca secca e la misi in boc-ca, era fantastica, era il sa-pore della libertà.”La tensione e la commozio-ne dei ragazzi si liberano inun lungo, caloroso applausoche si ripete quando LilianaSegre finisce il racconto.

Il ritorno

“Sono tornata a Milano congrande fatica dopo mesi,quando gli americani sonoriusciti ad organizzare il rien-tro dei francesi in Francia edegli italiani in Italia. Mi ri-cordo che quando arrivai suun camion sul piazzale dellaStazione Nord (stazione bom-bardata, città ferita, era la fi-ne di agosto del 1945), mi ri-cordo che sulla piazza io sce-si da quel camion con un’al-tra ragazza sopravvissuta co-me me, romana, e un signo-re che passava non ci chieseniente ma ci diede l’elemo-sina e ci diede anche due ba-rattoli di marmellata, ce li re-galò con grande pietà. Poi miavviai alla mia casa di corsoMagenta 55 per vedere se c’e-ra qualcuno dei miei ma lemie finestre rimasero chiuse

per sempre. Quando il por-tiere mi vide entrare nel por-tone gridò: “Fuori, fuori!”,mi aveva scambiata per unavagabonda. ‘Ma sono io,Liliana, gridai!’ e questo fuil mio ritorno dall’inferno.”I ragazzi si alzano, parecchisi avvicinano a Liliana Segreper una carezza, un bacio, ungesto di affetto e anche ma-gari di inconsapevole rico-noscenza.Nella sala che si svuota il rac-conto del numero 75190 diAuschwitz evoca la figura diJorg Haider, il leader dell’e-strema destra austriaca cheammira le SS, odia gli stra-nieri, andato al governo coni popolari. In Italia, e non so-lo in Italia, c’è chi dice, do-po la dura reazione del-l’Unione Europea, che non sideve interferire negli affariinterni di un Paese, che at-taccandolo lo si rafforza.Intanto le piazze dell’Austriasi riempiono ogni giorno perle manifestazioni di protesta.Che cosa ne pensa l’ex de-portata Liliana Segre? “Nonmi fa paura Haider ma l’am-biente in cui nasce. È l’am-biente che chiude la porta eil cuore al diverso, lo confi-na in un ghetto, poi dietro ilfilo spinato e poi, e poi…”

LilianaSegre

Memorie di Auschwitz nel 55° della

Page 19: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

19

liberazione del campo di sterminioAnna Frank (nella foto qui a fianco) nacque il 12 giugno1929 a Francoforte. Nel 1933, a causa delle persecuzionidel nazismo, la sua famiglia emigra in Olanda. Ad Amsterdam,nonostante la guerra vive un’infanzia felice fino al 1942. Il6 luglio di quell’anno si trasferiscono nell’“alloggio se-greto”, nello stabile della Prinsengract al n. 263. Il 4 ago-sto del 1944, a causa di una denuncia, vengono arrestati.Deportata ad Auschwitz e successivamente a Bergen-Belsen,Anna muore stroncata dagli stenti e dal tifo tra il febbraioed il marzo 1945, poco dopo la sorella Margot. Il suo fa-moso Diario è stato scritto nell’alloggio segreto dal 12 giu-gno del 1942 al 1° agosto del 1944.

La mostra su Anna Frank

Respinta dalla Svizzera,arrestata dai fascistiLa drammatica ricostruzione di come Liliana Segrevenne respinta in Italia dalla polizia svizzera, unavolta superato il confine a Viggiù (Varese) il 7 di-cembre 1943, è pubblicata nel libro di RenataBroggini, “La frontiera della speranza” (Gli ebreidall’Italia verso la Svizzera 1943-1945), Mondadori,“Le scie”, 1998.Liliana Segre, giovinetta di 13 anni, era quel gior-no con il padre Alberto Segre, 44 anni (deporta-

to ad Auschwitz, dove morì il 27 aprile 1944), econ gli anziani cugini Giulio e Gino Ravenna di70 e di 69 anni. Il primo dei due si spense nel cam-po “di smistamento e di polizia” di Fossoli per leprivazioni; il secondo si suicidò gettandosi da unballatoio del carcere di San Vittore dove era de-tenuto in attesa del trasferimento in Germania.Liliana Segre fu la sola del piccolo gruppo a sal-varsi.

Ci inoltrammo nel bosco cheera ai piedi di questa terra dinessuno ed eravamo sicura-mente entrati in Svizzera. Aquel punto, nel fitto del bo-sco, ecco che tra le frasche iovidi un soldato e avvertii miopapà senza parlare perché dal-l’uniforme ci sembrava un sol-dato tedesco; invece mio pa-dre disse: “No, tranquilla: que-sto è uno svizzero, siamo sal-vi”.Nel vederci il soldato rimasesbalordito perché evidente-mente non era passato nes-suno di lì o lui non aveva maivisto gente come noi: due vec-chi vestiti di nero con gli om-brelli aperti, io, una ragazzi-na di tredici anni, e l’unicouomo valido, mio papà. Alloramio padre disse: “Senta, ciaccompagni al paese: da cheparte si deve andare?” E luirispose: “Ma io vi devo por-tare al comando di Polizia diArzo” (questo è il nome delcomune svizzero subito al di

là del confine). Attraversammoin quell’alba (ormai sarannostate le otto del mattino) ilpaese di Arzo e subito avem-mo l’impressione di un geloterribile perché le massaie,che uscivano probabilmentea prendere il pane, il latte, leprime cose del mattino, nonci guardavano. Nessuno ci sa-lutò o fece cenno di notarequalche cosa di strano, men-tre non doveva essere cosa ditutti i giorni per un paesinoaddormentato come quello ve-dere, alle otto di mattina, ungruppo di persone accompa-gnate da un soldato. Ma nes-suno ci rivolse la parola: ciguardavano furtivamente, poidistoglievano in fretta lo sguar-do dalle nostre persone. Il sol-dato ci accompagnò al co-mando di Polizia, dove en-trammo sorridenti e speran-zosi; facemmo un’anticame-ra di ore. Ricordo un corri-doio con delle panche su cuistavamo seduti e c’erano al

Page 20: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

20

LilianaSegre

Memorie di Auschwitz nel 55° della

muro delle stampe di farfalledi montagna: io le guardai perore, quelle farfalle trafitte dauno spillo: il simbolo dellamia situazione, essere statepresa e infilata anch’io, co-me una farfalla. Il fatto diaspettare per ore già ci avevamesso in uno stato d’animodi grande ansia, soprattuttoperché alla nostra richiesta diavere qualche cosa di caldo,pagando naturalmente, un lat-te, un caffè, una cosa qua-lunque, la risposta fu negati-va: avevano ordine di non da-re niente a chi si presentavalì. Dopo ore che non sapreicerto quantificare, ma che fu-rono almeno due, ecco che siaprì la porta di questo ufficioe ci accolse, diciamo pure, cifece entrare un ufficiale sviz-zero-tedesco il quale imme-diatamente disse: “Chi siete?Cosa volete? Non è vero chein Italia gli ebrei sono perse-guitati”, e rivolto a mio pa-

dre: “Lei è sicuramente un uf-ficiale renitente alla chiama-ta alle armi”. Mio padre, sba-lordito, rispose: “Ma scusi, lesembra che se io fossi un uf-ficiale renitente alla chiama-ta mi porterei mia figlia cheha tredici anni e che è la co-sa più sacra che ho nella miavita?” E lui fece: “Ma questaè una stupida ragazza che, sic-come in tempo di guerra nonsi può certo girare il mondo,crede di essere venuta a ve-dere la Svizzera”. E i due vec-chi Ravenna? Mio padre re-plicò: “Ma le pare che duevecchie persone come questesi metterebbero in un perico-lo simile proprio dal punto divista fisico, sforzandosi di at-traversare la montagna, pas-sando dei disagi di questo ge-nere?”. L’ufficiale non lo sta-va neanche a sentire. Disse:“La Svizzera è piccola, ades-so è troppo tardi, non è vero,non voglio nemmeno stare a

sentire chi siete, non mi in-teressa. Tornate indietro, an-datevene via subito”. Mio pa-dre aveva cucito nella cintu-ra dei pantaloni del suo ve-stito una fila di brillanti chela nonna gli aveva dato e unaserie di francobolli rarissimi,perché era un filatelico ap-passionato e come tale era incontatto con filatelici di tut-to il mondo (tutti quelli cheamano i francobolli prima opoi si conoscono). “Guardi che io ho modo dimantenere me e mia figlia pertutto il tempo della guerra.”“Ah comodo!” fece questo.“Viene qui a fare il signore inSvizzera. No, no assoluta-mente. Qui, semmai, si develavorare”. Allora mio padredisse: “Ma noi siamo pron-tissimi anche a lavorare”.A un certo punto io, che so-no sempre stata una personapoco incline alle scene e mol-to riservata, bé, quel giorno

mi ero resa conto di ciò chestava succedendo e mi buttaiper terra e gli abbracciai leginocchia piangendo comeuna pazza, supplicando que-sto ufficiale di tenerci. Miopadre disse: “Tenga almenomia figlia”. Allora, gettata aipiedi di questo ufficiale, iopiansi disperata supplicando-lo e stringendolo, ma non cifu niente da fare. A quel pun-to mio padre, cambiando re-gistro - ormai vedeva che tut-to era perduto e non aveva piùla forza di trovare dei toni di-plomatici con questa personaterribile e spietata - disse: “Malei è solo un capitano, un te-nente? Telefoni al suo co-mando di Berna e chieda istru-zioni perché può garantire perme il signor...”. E adesso iopurtroppo non ricordo chi fos-se, ma direi Sacerdoti, cheaveva una carica in una so-cietà di assicurazioni e cono-sceva mio papà, il quale ave-

Il crematorio IV in una fotoche faceva parte del materiale sequestrato

dall’Armata Rossa alla liberazione del campo di Auschwitz.

Camerea gas

Portestagneal gas Centro

di“medicina”

Obitorioe deposito abiti

Cokeria Sala con 8 forni

crematoriWC e lavabo Posto delle SS

Page 21: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

21

liberazione del campo di sterminio

va una sua lettera di racco-mandazione. L’ufficiale fecemille storie, poi ci rimandònell’ingresso dove c’erano lefarfalle e fece una lunga te-lefonata in tedesco. Mio pa-dre sapeva un po’ di tedescoe stava fuori dalla porta cer-cando di capire. Ma quelloche intese senza ombra di dub-bio fu la versione dei fatti chel’ufficiale dava al suo co-mando, mettendo praticamentele cose in modo che gli si di-cesse: “Sì, rimandali indie-tro”.Mio padre era tirato, grigioin faccia, disperato; non ave-vamo mangiato niente: soloun tozzo di pane che ci era-vamo portati da noi e un pez-zettino di cioccolata la seraprima e poi niente tutto il gior-no, e ormai erano le quattrodel pomeriggio di quella gior-nata terribile che fu il 7 di-cembre 1943. Ecco che dopoquella lunga telefonata l’uf-ficiale uscì e, urlando i suoicomandi alle guardie, ci feceriaccompagnare indietro sen-za darci la possibilità di direneanche una parola. I soldati avevano i fucili conla baionetta innestata ed era-no degli stupidi ragazzi checi spinsero sulla montagna piùo meno da dove eravamo ve-nuti fino alla terra di nessu-no. Naturalmente loro non en-trarono nella terra di nessu-no, e ridevano minacciando-ci. Era quasi buio, la piogge-rella sottile ci aveva inzup-pato i vestiti: la disperazione.Io, con la forza dei miei tre-dici anni, pregavo e suppli-cavo mio papà e i due Ravennadi rimanere nella terra di nes-suno e di provare il giorno do-po da un altro punto. Mio pa-

dre disse: “Impossibile pas-sare la notte dove non c’è ri-paro, mentre piove, in inver-no: domani mattina saremmotutti assiderati o malatissimi.Dobbiamo assolutamente rien-trare, cerchiamo di non farcivedere”. Io corsi su, verso ilconfine italiano, guardandogiù; i soldati svizzeri non ciperdevano di vista e conti-nuavano a ridere: poveri ra-gazzi! Non sapevano neanchedi che cosa ridevano. Eccoche la terra di nessuno, nelpunto dove fummo accompa-gnati, aveva lungo tutto il con-fine una rete metallica e ognitanto dei cancelli con il pro-filo di legno che racchiudevala rete. Ebbi l’impressione divederne uno socchiuso, corsisu e dissi: “Vado, vado, rie-sco ad aprire, proviamo a rien-trare”. Come toccai questocancello, tutto l’allarme delconfine suonò. I soldati ride-vano dall’altra parte.Arrivarono due finanzieri incamicia nera, ci guardaronoe dissero: “Cosa fate lì?”. Mio padre si spiegò: a quelpunto non avevamo neanchepiù le carte false che eranostate stracciate nel boschettoprima di entrare in Svizzeracon i nostri veri documenti.“Siamo ebrei, abbiamo ten-tato di espatriare visto chel’Italia non ci vuole, ma nem-meno la Svizzera ci ha volu-to.” Quei finanzieri dissero:“Se volete restare nella terradi nessuno, potete restarciquanto volete; se volete en-trare, noi vi dobbiamo arre-stare”. Mio padre e i dueRavenna, ancora illudendosidi poter avere un futuro di-verso da quello che in realtàli aspettava, dissero: “Aprite

“Arrivarono quattrosoldati russi a cavallo...”

Il racconto della liberazione da Auschwitz

“La prima pattuglia russa giunse in vista del campo ver-so il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. Fummo Charles edio i primi a scorgerla: stavamo trasportando nella fossacomune il corpo di Somogyi, il primo dei morti fra i nostricompagni di camera. Rovesciammo la barella sulla nevecorrotta, ché la fossa era ormai piena, ed altra sepolturanon si dava: Charles si tolse il berretto, a salutare i vivi ei morti. Erano quattro giovani soldati a cavallo, che pro-cedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungola strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reti-colati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi etimide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzosui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e sunoi pochi vivi.“A noi parevano mirabilmente corporei e reali, sospesi (lastrada era più alta del campo) sui loro enormi cavalli, frail grigio della neve e il grigio del cielo, immobili sotto lefolate di vento umido, minaccioso di disgelo.“Ci pareva, e così era, che il nulla pieno di morte in cuida dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse tro-vato un suo centro solido, un nucleo di condensazione:quattro uomini armati, ma non armati contro di noi, quat-tro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pe-santi caschi di pelo,“Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi,oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava leloro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario fune-reo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che cisommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci tocca-va assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che itedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davan-ti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista,che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo dellecose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nul-la o scarsa, e non abbia valso a difesa.”

da Primo Levi, in La tregua

il cancello”. La sera stessaeravamo nella camera di si-curezza della caserma dellafinanza di Saltrio o Viggiù chefosse, e il giorno dopo fum-mo accompagnati dalle SS al-la prigione di Varese. Sullamontagna mio papà, dopo chefummo arrestati, buttò nel fan-go i brillanti e le serie deifrancobolli “Trinacria”. Avevovisto per anni mio padre met-tere a posto con grande ordi-ne e diligenza i suoi franco-bolli, e la serie “Trinacria”era rarissima, con esemplari

anche particolarmente belli.Li buttò nel fango perché, co-me disse: “Ormai siamo sta-ti arrestati, non voglio por-targli anche questi valori”.Sono rimasti là, sulla monta-gna. Entrammo nelle carceridi Varese e io, a tredici anni,fui separata da mio papà: en-trai da sola nel carcere fem-minile. Poi ci furono Como,San Vittore, la deportazione,l’arrivo ad Auschwitz, la se-parazione per sempre da miopadre. Di noi quattro, solo iosono tornata.

Page 22: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

22

Quando, all’inizio de-gli anni Sessanta, fucomunicata in Polonia

la notizia, che, in breve feceil giro del mondo, dell’im-minente pubblicazione deldiario ritrovato di un ragaz-zino ebreo, di nome DawidRubinowicz, l’emozione fuintensa e grande la curiositàdi conoscerne il contenuto.Io allora mi trovavo a Varsaviacome giornalista e fui il pri-mo, fra gli italiani, a saperecome si erano svolti i fatti,che feci conoscere a tambu-ro battente ai lettori dell’Uni-tà. Il giornale dedicò alla vi-cenda due pagine, nel primonumero domenicale, la cuivendita, ben maggiore di quel-la dei giorni feriali, si aggi-rava sul mezzo milione di co-pie, grazie ad una capillarediffusione militante. Il dia-rio, iniziato il 21 marzo del1940, quando Dawid aveva12 anni, a Krajno, un villag-gio in provincia di Kielce,poi proseguito a Bodzentyn,un paese vicino dove gli ebreifurono costretti a trasferirsi,riempiva cinque quaderni sco-lastici. Questi preziosi docu-menti, quando il ragazzo ven-ne brutalmente deportato inun campo di sterminio, ri-masero nell’abitazione di viaKielicka, contrassegnata colnumero 13. Vi restarono fin-ché un vicino non li trovò eli nascose nel solaio. Dopola guerra, i nuovi inquilini,mettendo in ordine l’appar-tamento, trovarono i quader-ni e senza neppure sfogliar-li, li gettarono nel cassonet-to della spazzatura, che si tro-vava nel cortile del fabbrica-to. Ma per fortuna non fini-rono al macero. Furono vistiinfatti, galleggiare fra l’im-mondizia dall’inquilina ElenaNoezyk, una signora polac-ca, madre di sette figli, perla quale i quaderni scolaticierano oggetto di quotidianaattenzione. Incuriosita, la si-gnora li raccolse e cominciòa sfogliarli, rendendosi con-to di avere fra le mani un do-cumento di straordinaria im-

Come un urlo

Ripubblicato dall’editore Einaudi dopo la prima edizione del 1960,il prezioso documento ritrovato vent’anni dopo in un cassonetto della spazzatura

di Ibio Paolucci

ALLA PARTENZA

Donnee bambiniebreiseparatidagliuomini inattesa dellaselezioneal loroarrivo adAuschwitz.

il diario del

Page 23: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

23

contro i boia

Con questo titolo “l’Unità”il 14 febbraio 1960 annunciò il ritrovamento dellostraordinario documento

portanza, che recava un mes-saggio umanissimo e scon-volgente, vergato da una pic-cola mano: un atto di accusaimplacabile contro l’infameregime nazista. Proprio inquei giorni la signora Elenaaveva letto una serie di arti-coli della giornalista varsa-viese Maria Jarocowoska suimassacri commessi sugli ebreidella sua regione, che l’ave-vano profondamente com-mossa. Letto e riletto il dia-rio, decise che la cosa mi-gliore era di far avere i cin-que quaderni alla giornalista.Fu così che il messaggio delpiccolo Dawid cominciò, daVarsavia, a irradiarsi in tut-to il mondo.

Il diario fu subito acco-stato, anche se notevol-mente diverso, a quello di

Anna Frank. Io stesso, nellapresentazione, scrissi cheAnna Frank aveva trovato inun villaggio polacco il suofratellino spirituale. E, in ef-fetti, i due adolescenti ave-vano in comune l’età, la con-dizione di ebrei, la tragicaconclusione della loro breveesistenza in un campo di ster-minio. Ma mentre conoscia-mo tutto della giovanissimaAnna, di Dawid sappiamo po-co più di quanto si legge nelsuo diario. Non sappiamo conprecisione in quale lager siafinito, in quale forno crema-torio sia stato bruciato, qua-le sia stato il suo carnefice.Sappiamo che era figlio di unpiccolo commerciante, un lat-taio, e che era uno dei quat-tro milioni di ebrei polacchieliminati dai nazisti.Probabilmente il suo cimite-ro fu Treblinka, perché lì ven-ne deportato la grande mag-gioranza, se non addiritturala totalità degli ebrei dellasua zona. Non ci chiediamo,invece, perché il piccoloDawid abbia iniziato a scri-vere, perché lo scopo è pre-cisato assai chiaramente sindalle prime pagine del suodiario. Già nelle prime righe,datate 21 marzo 1940, si tro-

ALLA LIBERAZIONE

Un gruppo di bambinilasciala baracca n. 2 del settore“B II”di Birkenauall’arrivo deisoldatisovietici.

piccolo Dawid

Page 24: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

24

va fissato con rigorosa net-tezza il suo programma: de-scrivere minutamente le sof-ferenze del suo popolo, il cal-vario degli ebrei polacchi. Perdue anni, con una maturitàsuperiore alla sua età, Dawidcontinuò a riempire i suoiquaderni scolastici e l’ultimapagina ritrovata, che è anchel’ultima del quinto quader-no, reca la data del 1° giu-gno 1942. Ma quasi certa-mente Dawid continuò a scri-vere il diario, riempiendo al-meno un altro quaderno, cheperò è andato distrutto.

Paradossalmente le ulti-me note conosciute ini-ziano con la frase:

“Giornata di felicità”. Felicitàperché il padre, internato ailavori forzati in un vicinocampo di concentramento, eratornato a casa. Il sadismo cri-minale dei nazisti era anchequesto: dare l’illusione del-la salvezza. Pochi mesi do-po, infatti, non solo il padre,ma tutti gli ebrei della zona,verrano avviati verso i fornicrematori.L’ultima pagina del diario,dunque, non termina dram-maticamente come quello diAnna Frank, col rumore delcamion dei nazisti che arri-vano per prelevare lei e glialtri, ma con l’illusione chela morsa del boia fosse di-ventata un po’ meno stretta.Epperò le ultime parole diDawid, quelle che chiudonoil diario, sono di segno di-verso, spietate e tragiche:“Quando è arrivato il carroho visto che era sporco disangue”. Quel carro era par-tito poco prima con due ebree,fucilate nel bosco. Anche ilsangue di Dawid colerà permano assassina e di lui nonci rimangono che i suoi cin-que quaderni. Non una foto-grafia, solo il ricordo dellasua maestra e di alcuni vici-ni, sopravvissuti all’inferno

della guerra. Da loro sappia-mo che Dawid era biondo eaveva gli occhi azzurri. Unebreo che poteva essere scam-biato per un tedesco. I vici-ni che lo conobbero diconoche avrebbe potuto salvarsi,ma che era troppo legato aipropri genitori per distac-carsene. Ma anche avesse vo-luto, come avrebbe potuto?Dawid era un ragazzo di quat-tordici anni quando vennepreso. Senza mezzi e senzasapere dove andare, dove na-scondersi, come avrebbe po-tuto sfuggire alla feroce cac-cia dei suoi aguzzini? Nonaveva scampo. La sola sua arma contro i boianazisti, il diario, fortunata-mente giunto fino a noi. Daquel diario conosciamo la suaprofonda maturità, la suastraordinaria capacità di rac-contare i fatti come fosse unconsumato cronista, il suo in-cancellabile atto d’accusa. Loleggano i “revisionisti” e i“negazionisti”, che sosten-gono che la storia dei campidi sterminio è una invenzio-ne degli ebrei e dei comuni-sti. Il calvario degli ebrei, so-lo colpevoli di essere tali eperciò, nella logica crimina-le dei nazisti, ineluttabilmentedestinati ad essere eliminati,è raccontato giorno per gior-no, con una prosa che, viavia, assume toni sempre piùcrudi. “È venuto da noi uncontadino di Krajno - scriveil 10 aprile del 1942 - e hadetto che hanno ammazzatoper strada la figlia del nostroex vicino perché era fuori do-po le sette. Non ci credo an-cora, ma tutto può essere pos-sibile.

Una ragazza che era unfiore, se ha potuto es-sere ammazzata così,

allora ormai verrà la fine delmondo”. Passeranno ancoratre anni prima che la feccianazista venga cancellata dal-

Dal diario di Dawid scegliamo i due

“Il carro eratutto sporco di sangue”

21 marzo 1940Di primo mattino passavo per il villaggio nel quale abi-tiamo. Da lontano ho visto sulla parete di un negozio unproclama, sono andato subito a leggerlo. Era un nuovoproclama che vietava agli ebrei di viaggiare sui carri(sui treni già da molto tempo era stato proibito loro diviaggiare).

Bimbi ebrei affamati su un marciapiedi del Ghetto di Varsavia.

Il primo giorno

Page 25: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

25

la Germania e dall’Europa.Ma ben pochi degli oltre quat-tro milioni di ebrei polacchisaranno ancora lì per saluta-re le armate liberatrici.La Polonia degli anni in cuivenne ritrovato il diario eraun Paese ancora pieno di spe-ranze per la svolta del ’56,che aveva riportato al potereGomulka, messo in galeraperché non ligio al dettatostalinista.

Purtroppo le cose, poi, an-darono diversamente, maallora la circolazione del-

le idee era abbastanza libera,tanto che la Polonia, come midisse, a Praga, un alto diri-gente del partito comunistacecoslovacco, veniva consi-derata (e, per il momento, masoltanto per il momento, tol-lerata) l’“enfant gatè” dei pae-si del socialismo reale.Insomma, in quel “momen-to”, le cose andavano abba-stanza bene, anche se già siavvertiva il giro di vite cheavrebbe nuovamente strango-lato le libertà democratichenel Paese. La popolarità diGomulka, alle stelle nel ’56,pur scemata, era ancora alta.Lui e il cardinale Wyszynskierano decisamente i due per-sonaggi più popolari. La sim-patia nei confronti del ricon-fermato segretario del Poup(Partito operaio unificato po-lacco), occorre dirlo, era do-vuta anche al fatto che, oltrealle idee, anche le merci cir-colavano in maniera suffi-cientemente soddisfacente.Forte, tuttavia, restava l’anti-sovietismo, in un Paese cat-tolico di frontiera, che, a par-te ogni considerazione, ave-va subito sino alla fine dellaprima guerra mondiale, la do-minazione zarista. Quasi deltutto assente, invece, in que-gli anni, l’antisemitismo, pre-sente nel passato e che tor-nerà ad essere strumentalmenteagitato in epoche successive,

quando la spinta stalinista sifarà più forte, accompagnan-dosi a gravissime difficoltà diordine economico. In quel cli-ma, sommariamente ricorda-to, il diario venne accolto congrande emozione dalla pub-blica opinione. In Italia, co-me si è detto, venne fatto co-noscere dall’Unità, che pub-blicò ampi stralci di quei qua-derni. La cosa fu possibile gra-zie al decisivo aiuto dell’a-mico Bronek Zalewski, un in-tellettuale polacco con unasquisita sensibilità musicale,che conosceva alla perfezio-ne la lingua italiana. Semprelui mi guidò nella traduzionedell’intero diario, che vennepubblicato dall’editore Einaudie che ora è stato ristampato.Quando il 14 febbraio del 1960lo presentai sull’Unità scris-si che “in tempi come questi,che hanno rivisto apparire lecriminali scritte contro gliebrei, i cinque quaderni diDawid rappresentano un in-segnamento importantissimoe un severo monito per tutti”.Parole, che, purtroppo, con lescritte e gli emblemi nazistinegli stadi, con l’accesso algoverno austriaco del partitodel leader razzista JoergHaider, conservano in tutto eper tutto una amarissima bru-ciante attualità.“Una singola Anna Frank -ha scritto Primo Levi - destapiù commozione delle miriadiche soffrirono come lei, mala cui immagine è rimasta inombra. Forse è necessario chesia così; se dovessimo e po-tessimo soffrire le sofferen-ze di tutti, non potremmo vi-vere”. Ciò vale anche per ilragazzino del ghetto diVarsavia con le mani alzatee il mitra nazista puntato sudi lui. Vale anche per il no-stro piccolo Dawid, che ci halasciato un diario, che noncessa di commuoverci e dicui gli siamo profondamen-te grati.

brani del primo e dell’ultimo giorno

1 giugno 1942Giornata di felicità. Oggi aspettavo una lettera del bab-bo ma non è arrivata, è arrivato invece un biglietto delcugino coi saluti del babbo. Questo è tutto. Abbiamopreparato un grosso pacco per il babbo perché doma-ni quelli del consiglio vanno a Skarzisko. Abbiamo mes-so nel pacco una giacca leggera, biancheria, un paiodi scarpe, alcune patate, del pane e altre cose. Avrei vo-luto che fosse già il 3 per leggere una lettera del bab-bo, per sapere se aveva modo di tornare a casa. Allasera sono andato da un vicino per fare delle pantofoleper mia sorella. Mentre le facevo ho sentito arrivare uncamion e ho sentito cantare, ho pensato subito che fos-sero gli ebrei che tornavano da Skarzisko. Sono uscitosubito e ho visto che erano proprio loro che ritornava-no. Da lontano si vedeva che agitavano le mani e i ber-retti. Ho visto che anche mio padre agitava le mani. Holasciato tutto e sono corso dietro il camion. Mi sono fermato assieme al camion. Ho preso subito ilfagotto del babbo mentre scendeva dal camion. Mamminame lo ha preso e io sono andato subito a riprendere ilpacco che avevamo preparato per mio padre. Quandosono tornato a casa, per la grande gioia, non ho potu-to nemmeno salutare mio padre. Nessuno può immagi-nare la nostra gioia, lo può immaginare soltanto chil’ha vissuto. Ma nessuno pensava che sarebbe giuntooggi. Tutto questo è avvenuto come in un film, in pochiistanti abbiamo vissuto tante cose. È venuta subito mol-ta gente e ognuno voleva sapere qualche cosa di buo-no. Papà è ritornato con una mano ferita, per questo lohanno lasciato. Da principio avevo paura perché pen-savo fosse molto ferito. Ma è difficile riportare tuttoquello che papà ha raccontato. Inizio dal principio delracconto. Il peggio è stato la prima settimana finchénon si è abituato, il lavoro non è così terribile, soltan-to la disciplina è terribile, chi non canta bene o nonmarcia bene riceve botte. La sveglia è alle 4 del matti-no, finiscono di lavorare alle 5 del pomeriggio. In que-ste tredici ore è proibito sedersi per un minuto, chi sisiede riceve terribili botte.I racconti non avevano fine. Siamo rimasti alzati finoalle due di notte, è impossibile descrivere tutto. Papànon ha un brutto aspetto, ha mangiato quanto ha volu-to. In tutta questa gioia ho dimenticato di raccontarela cosa più importante e più terribile. Questa mattinadue ebree, madre e figlia, sono andate al villaggio.Sfortunatamente i tedeschi andavano a Bodzntin perprendere delle patate e hanno incontrato queste dueebree. Quando esse hanno visto i tedeschi hanno co-minciato a scappare ma loro le hanno raggiunte e lehanno acchiappate. Volevano ammazzarle subito nel vil-lagio ma il sindaco non lo ha permesso e allora sonoandati nel bosco e là le hanno ammazzate. La poliziaebraica è andata subito a prenderle per portarle al ci-mitero. Quando è arrivato il carro ho visto che era tut-to sporco di sangue.

L’ultimo giorno

Page 26: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

26

... E il maresciallo Timoshenko “Tornerete presto nella vostra

La “memoria” di Bice Azzali, recentemente scomparsa, sulla liberazione

È morta nel gennaio scorso a Verbania, dove si trovavaper sottoporsi ad una curariabilitativa, Bice TeresinaAzzali. (Nella foto) Era natain provincia di Mantova, a S.Martino dell’Argine, il 16febbraio 1920. Antifascista,impegnata con la sorellaMaria nella Resistenza, avevavissuto anche la tragicaesperienza del campo diconcentramento nazista.Dopo l’8 settembre 1943,la sua casa si era trasformatain un ritrovo di giovani

che volevano raggiungere -come lei stessa ricorda in una“memoria” del 1994 destinataall’Anpi - i partigiani in montagna. Denunciata,venne arrestata e portata al comando tedesco di unpaese vicino, Bozzolo,e poi trasferita alle carceri di Mantova. Successivamente futrasportata a Verona, nellafortezza di San Leonardo e Santa Sofia. Fu qui che -come ricorda ancora nellatestimonianza resa all’Anpi -

L’incontro con Primo Levi sul treno del lunghissimo viaggio di ritorno

“Dopo un viaggio di venti giorni su carri be-stiame, attraversando parte della Germania, ar-rivammo in Polonia che già nevicava. La loca-lità era Konighutte-Kroleuska-Huta, sottocam-po alle dipendenze del campo di sterminio diAuschwitz.La vista di quel campo mi sconvolse. Avevo lasensazione di essere finita all’inferno. Eravamoalloggiate in enormi baracche di legno nellequali vi erano una ventina di letti a castello; ilmaterasso di sacco conteneva una paglia chepungeva le carni come chiodi. Al mattino pre-sto, al comando di un particolare bastone, do-vevamo recarci in fabbrica, la più importantedella Germania, la Farben-Fabrik che produce-va polveri per esplosivi.“Dopo il ventesimo giorno le nostre mani ed ilnostro viso sembravano squame di pesce. Infabbrica vi erano prigionieri d’ogni nazionalità,in maggioranza russi e molte donne che i te-deschi avevano reclutato dalla vicina Ucraina,per farle lavorare. Un giorno disperata per la tosse e per il fred-do, mi buttai per terra e piansi. Una mia com-pagna, Marusca, mi soccorse, poi mi disse: ‘Nonpiangere, coraggio, presto i miei compagni (to-varic) verranno a liberarci’. Mi feci coraggio,la strada per arrivare al campo non mi sembrava

Page 27: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

27

apparve e gridò:bellissima Italia”

di Auschwitz

alla fine del settembre 1944,le si avvicinò il cappellano:“Fatti coraggio - le disse - ituoi compagni Arini e Accorsisono stati fucilati all’alba,sono dei veri martiri”. Bicericorda: “Gridai: ‘Assassinifascisti’, e una frustata miparalizzò le gambe.”Da Verona venne trasferitaalla fortezza di Peschiera del Garda, dove eranorinchiusi gruppi di prigionieridestinati ai lager. Ma ecco come continua la testimonianza di Bice:

più così lunga, perché lontano si udiva unrumore di mitraglia. Marusca aveva ragione,erano gli spari della avanzata dell’ArmataRossa.Infatti dopo una settimana, verso la fine delfebbraio ’45 e dopo una violenta battagliatra tedeschi e russi, si sfondò la porta e ap-parvero i soldati con la stella rossa. Uno diloro era il maresciallo Timoshenko a caval-lo che ci disse: ‘Siete i primi prigionieri adessere liberati, la guerra sarà ancora lunga,ma vi assicuro che vi manderemo nella vo-stra bellissima Italia’. Sapemmo poi che laResistenza in Italia era attiva; avremmo vo-luto esserci anche noi, ma ci accontentava-mo di essere, bene o male, vivi.“Dopo otto mesi i russi ci caricarono su untreno sul quale viaggiammo per un mese. Suquesto treno conobbi Primo Levi, che rac-contò il viaggio nel libro La tregua.“Noi sopravvissuti avevamo creduto che lesofferenze di milioni di persone avessero in-segnato all’umanità l’orrore della dittatura edella guerra. Purtroppo invece stragi e guer-re dilaniano ancora l’umanità.“A Bozzolo, nella piazza grande vi è un mo-numento dedicato ai martiri della ResistenzaArini e Accorsi. Ogni volta che lo guardo mirivedo in carcere con loro e mi assale la rab-bia. No, non perdono ai fascisti di ieri e aifascisti di oggi”.

L’alto valore del loro rifiuto al nazismo

Passò anche dai lager la tragica persecuzionedei Testimoni di Geova

Triangoli viola: 6.019 iTestimoni di Geova arresta-ti nella sola Germania, oltre2.000 inviati nei campi diconcentramento, 253 con-dannati a morte e 653 mortiin detenzione. In Italia 83 iTestimoni condannati al car-cere ed al confino su un to-tale di 150 presenti nel no-stro Paese in quegli anni.Ventisei furono processati dalTribunale speciale fascista.Una persecuzione forse “pic-cola” nei numeri, non certa-mente così nei significati sto-rici politico-culturali. E cer-tamente non tale da poter edover essere dimenticata, oancor peggio, ignorata.Grazie all’amico Italo Tibaldila sezione Aned di Roma hapotuto stabilire utili, inte-ressanti e proficui rapporticon la Congregazione cri-stiana dei Testimoni di Geova.I primi risultati sono segna-ti dalla presenza dell’Aneda due momenti importantidella memoria. Il primo, pres-so la Sala delle Assembleedi Roma. Un incontro cuihanno presenziato diversecentinaia di persone, donnee uomini di tutte le età, cheha visto anche la presenta-zione ai Testimoni della no-stra mostra Sterminio inEuropa.Le relazioni sulla persecu-zione nazista dei Testimonisono state tenute dall’on.Pietro Ingrao, dal professorVito Lamorgese, dal profes-sor Claudio Marta, esperto

in particolare delle vicendedei Rom, dall’avv. RobertoLorenzini e da Aldo Pavia.Di particolare interesse la te-stimonianza del presidentedella sezione Aned di Prato,Castellani, che incontrò iTestimoni di Geova a Mau-thausen. Il secondo momen-to ha avuto luogo presso laprestigiosa Sala del Cenacolodella Camera. Sul tema del-la persecuzione nazista del-le minoranze religiose sonointervenuti il professor Lu-ciano Nencini, sottosegreta-rio presso il ministero del-l’Università, il professorGianni Long, della Com-missione affari costituziona-li e Aldo Pavia per l’Aned.Tutte le relazioni hanno con-tribuito a ricostruire la vi-cenda dei Testimoni di Geova,la deportazione e l’alto va-lore simbolico del loro ri-fiuto del nazismo.Pavia ha voluto ricordare latestimonianza di MargaretheBuber Neumann sulle donnedei Testimoni a Ravensbruck,ove fu capoblocco del Block3 nel quale erano rinchiuse500 donne, tutte con matri-cole molto basse a testimo-nianza che erano state de-portate tra le prime.Una persecuzione di lungadata che ebbe momenti diparticolare tragicità con loscoppio del secondo conflit-to mondiale.Gli interventi delle due ma-nifestazioni saranno pubbli-cati in un volume.

Page 28: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

Il dovere di sape

28

Pubblichiamo altre riflessioni,

anche in forma di poesia,

delle ragazze e dei ragazzi delle terze

medie di Pioltello (Milano)

sulla deportazione e i campi

di sterminio, dopo un viaggio

a Mauthausen e Gusen,

accompagnati da un ex deportato

Ho “visto” cos’era la deportazione

La parola deportazione vuol dire togliere con la forza tuttala gente dalla propria madrepatria, per motivi politici o/eeconomici. Per me questa parola non significa solo lasciarela propria terra, ma procurare sofferenza e morte alla gentecostretta ad andarsene, per il volere di alcune persone che sicredono superiori a tutti.Durante l’anno scolastico abbiamo approfondito l’argomen-to “deportazione” e, per vedere come è stato vissuto, siamoandati a visitare i campi di concentramento di Mauthausene Gusen, accompagnati da un deportato di Mauthausen, checi ha parlato di come si svolgeva la vita nel campo. Questilager sono i luoghi dove venivano radunati ebrei, partigiani,omosessuali, zingari...; qui essi venivano costretti a lavora-re in modo disumano.La cosa che mi ha colpito appena sono arrivata è stato il fi-lo spinato posto sul muro che mi ha fatto pensare a quanti,pur di sfuggire da quel terribile luogo, hanno perso la vita.Abbiamo visitato le docce e all’improvviso mi sono appar-se alla mente immagini di donne, bambini e uomini spogliatidei loro abiti e della loro identità, sotto le docce letali.Mi hanno colpito le baracche, poste una dietro l’altra, dovedormivano i deportati: luoghi squallidi dove era impossibi-le vivere, umidi e bui senza mobili e servizi igienici. Mi so-no sentita molto fortunata perché a me la vita ha offerto tut-to mentre alla gente vissuta lì, ha dato solo sofferenza e mor-te. Quello che mi ha colpito di più, è stato quando mi sonotrovata davanti alla cava e ho sceso la scala della morte; misono chiesta come abbiano potuto far soffrire così personeinnocenti e come abbiano resistito in condizioni disumanetutti i deportati. Non so se io avrei resistito a lungo se fossistata al loro posto. Quando sono uscita dai campi di con-centramento, ho provato un disgusto profondo per chi face-va morire persone innocenti tra mille sofferenze (...) Fino adora, avevo appreso il concetto di deportazione tramite i libridi storia, mentre invece in questo periodo, attraverso i gior-nali, radio e televisione, ho potuto vedere “in diretta” chenel Kosovo uomini, donne e bambini fuggono dalla propriaterra o vengono uccisi.Mi domando se ciò che è successo durante la seconda guer-ra mondiale, non sia servito per nulla a migliorare i rappor-ti di convivenza tra gli uomini che, nonostante le testimo-nianze, invece, continuano a dimenticare ciò che dovrebbeessere impossibile cancellare.

Rosanna Viscella

I nostri ragazzi

Page 29: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

re e di ricordareIl gas arrivava

insieme al terroreDeportazione significa strappare dalla propria terra d’ori-gine la gente e obbligarla a trasferirsi altrove sotto la mi-naccia delle armi. Con la scuola, ho avuto modo di visita-re i campi di Mauthausen e Gusen, accompagnata da Ramòn,un ex deportato politico.Attraversando la stanza dei forni crematori il mio pensieroè corso improvvisamente agli uomini, alle donne ed ai bam-bini di cui non è rimasta neanche la cenere. Questi luoghi,ormai deserti, sono la testimonianza di come tanti uominiabbiano potuto soffrire nell’anima e nel fisico senza unagiusta causa.Di fronte alla scala della morte ho pensato ai deportati malnutriti, deboli, nudi, in “pigiama” anche in pieno inverno,costretti a salire e scendere per trasportare massi di pietrasulle spalle, senza poter dimostrare il benché minimo segnodi debolezza. Abbiamo visitato anche le baracche: è il po-sto del campo che mi ha colpito di più perché in quelle stan-ze fredde ed umide, uomini, donne e bambini dormivanoammucchiate come nelle “celle dell’alveare”, e mi sono sen-tita veramente mortificata verso donne, uomini e bambiniche hanno subito umiliazioni così crudeli.Ci è stato mostrato il piazzale dell’appello: qui i deportatidovevano apparire sempre perfetti, allineati secondo le re-gole dei capi e sperare che tutto fosse a posto. Nella stan-za delle docce mi sono immaginata i sentimenti di quellepovere persone che convinte di potersi finalmente lavare,venivano invece uccise dal gas, sostituito all’acqua secon-do i piani criminali di Hitler.In questo campo erano state messe alcune croci alla me-moria dei deportati: ho ripensato a certe scene del filmSchindler’s List, dove erano ammucchiati e poi bruciati.Quando sono uscita dai campi, ho provato sdegno e ranco-re verso i nazisti che si credevano di razza superiore (...)Allora mi domando: come può un uomo credere d’esseresuperiore ad un altro e di ritenerlo indegno di vivere accantoa lui, nella stessa terra? Non credo affatto che noi possia-mo prendere decisioni così grandi, né tanto meno crederedi essere i migliori, gli indispensabili, gli unici. La terra èdi tutti, perciò dobbiamo imparare a dare e a ricavare, pervivere insieme lavorando per il bene morale e materiale ditutti.

Emilia Miranda

Bisogna fermare i nuovi nazisti

Non bisogna dimenticare quello che è accaduto: la stragedi un popolo, solo perché era riuscito dignitosamente a “far-si spazio” nel commercio e nell’economia di un Paese; dipartigiani, zingari ed altri, provocando l’Olocausto, la mor-te di persone innocenti, private dei loro oggetti, dei loro ve-stiti, dei loro ricordi e dei loro pensieri. Deboli e senza laforza di reagire. Migliaia di persone scacciate dalla propriacasa, limitate dalle leggi razziali; migliaia di persone de-portate nei campi diconcentramento.Furono uccise la-sciando il corpo inuna stanza a de-comporsi o furonocremati per non la-sciarne le tracce; uc-cisi nelle docce, chesi rivelarono terribi-li camere a gas.Senza nemmeno unatomba. Bisogna ri-cordare le testimo-nianze dei soprav-vissuti, fermare altrinazisti e i dittatoridel futuro.

Donato Lillini

Vola piccola ala

La vidi svolazzare e posarsi sui fioriCosì tenera e delicata;E con grazia ella venne a me.E, posatasi sul mio dito,Vidi le nubi in cielo diradarsiE i silenziosi raggi del soleRiscaldare il mio corpo nudo,Senza vesti;Allora, vola piccola ala,Io voglio che tu voli,E porti a tutti ciò che hai portato a me:

Libertà

Simona D’Angelo

29

Page 30: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

30

Il dovere di sapere e di ricordare

Li assassinavanogettandoli nel vuoto

Ho avuto l’occasione di visitare i campi di concentramentodi Gusen e di Mauthausen grazie ad un viaggio di istru-zione: è stato molto interessante e ha lasciato un segnodentro di me. Quando ho varcato l’ingresso del campo diMauthausen mi sono guardata attorno e mi sono tornatealla mente alcune immagini di videocassette riguardantiquesti luoghi, e mi si è ristretto lo stomaco. (...) In primoluogo abbiamo visitato la sala delle docce ed entrare làdentro mi ha fatto tanta impressione perché, mentre os-servavo quei rubinetti, mi sembrava di vedere morire tan-te persone e ho dovuto chiudere e riaprire gli occhi pertornare alla realtà. In una stanzetta di fianco alle doccec’è un forno crematorio e l’impressione è stata la mede-sima della precedente. Usciti di là, Ramòn (il nostro ac-compagnatore) ci ha mostrato due anelli di ferro dove itedeschi incatenavano i prigionieri, li picchiavano fino al-la morte e poi li bruciavano: un vero inferno.Successivamente abbiamo visitato le baracche: c’eranodue camerate grandissime con qualche letto. Dopodichésiamo andati sul piazzale dell’appello, l’Appel-Platz.Ovviamente anche quello è stato molto emozionante equesta volta mi immaginavo una lunga fila di deportati,tutti allineati alla perfezione. Infine abbiamo visitato ilMuseo, molto interessante: c’erano persino le scarpe, le“divise”, la frusta... Ancora una volta la vista di ognunodi quegli oggetti mi faceva immaginare la scena nella qua-le venivano usati. È strano perché qualsiasi cosa visitatami suscitava la stessa sensazione, e mi faceva immagina-re la scena.Spostandoci un po’ dal campo, abbiamo raggiunto la “sca-la della morte”, di 186 gradini stretti e molto ripidi; adogni salita e discesa di questa scala moriva un certo nu-mero di persone, ed io la stavo percorrendo! Mi facevaun’enorme impressione. Di fianco alla scala c’è la “pare-te dei paracadutisti”, una roccia dalla quale le SS getta-vano i deportati: tutto questo è Mauthausen.A Gusen invece c’è solo il forno crematorio, perché il re-sto l’hanno distrutto. Nel forno hano bruciato qualcosacome 37.000 deportati: è una cifra enorme, ad udirla qua-si non ci credevo, è troppo disumano! Veramente lì tuttoè disumano, la Shoah è disumana, forse perché lo scopodel Fuhrer era quello di disumanizzare le razze “inferio-ri”.Questo deve far riflettere, perché non capiti più una cosadel genere; e non deve essere dimenticato perché, comescrisse Primo Levi, “questo è stato”.

Gloria Argentieri

Spero che la poesia diLevi ci accompagneràNei versi che sono all’inizio del libro Se questo è un uomoPrimo Levi vuole esprimere tutta l’angoscia e il dolore chelo accompagnarono durante la deportazione ad Auschwitz.Egli spera, con le sue parole, che le generazioni future evi-tino il ripetersi di questi comportamenti. Durante la secon-da guerra mondiale molta gente come Primo Levi è stata de-portata nei campi di concentramento, dove veniva maltrat-tata, umiliata e costretta a vivere e a lavorare in mezzo alfreddo e in condizioni a cui nemmeno le bestie avrebberopotuto sopravvivere. Uomini, donne, giovani, vecchi e bam-bini perdevano definitivamente la propria identità sia mora-le che fisica, trasformandosi in numeri. Ho avuto l’occasio-ne di andare a visitare il campo di Mauthausen dove i de-portati hanno vissuto i peggiori anni della loro vita. Essendostata accompagnata insieme alla mia classe da un ex depor-tato, mi sembrava molto strano che una persona fosse so-pravvissuta a quei maltrattamenti. Infatti in un primo mo-mento avevo quasi paura a rivolgergli delle domande, per-ché avevo la sensazione che rievocando i tristi momenti del-la sua deportazione avrebbe potuto sentirsi male; poi ho pen-sato che se era venuto lì, con noi, certamente voleva rac-contare a noi ragazzi “per non dimenticare”. Entrando in quelcampo mi sono subito vista davanti agli occhi i deportati chelavoravano o che venivano maltrattati e mi sono venuti i bri-vidi a pensare che, dove quella gente veniva torturata, ades-so c’ero io, però non in veste di deportato ma in veste di vi-sitatore. Secondo me la seconda guerra mondiale è stata ilperiodo più orribile di tutta la storia dell’uomo. Credo pro-prio che le persone che hanno permesso che ad altri uominifosse tolta la dignità, dovrebbero vergognarsi di essere chia-mati uomini e di dichiararsi “razza pura”. Tutti speravamoche comportamenti e sentimenti così vili, non si riscontras-sero più tra gli esseri umani e invece ci accorgiamo che fa-natismo, orgoglio per la propria razza, odio per lo stranierosono ancora vivi. Quando ci troviamo di fianco uno stranie-ro, vedi per esempio un compagno albanese, non gli facili-tiamo l’inserimento tra coetanei, ci consideriamo sempre ecomunque superiori a lui. Io provo un forte imbarazzo quan-do vedo persistere quei comportamenti tra ragazzi. Alcunevolte anch’io sono un po’ fredda, indifferente, scostante coni compagni stranieri che oggi più che mai frequentano la miascuola. Forse non potremo più cambiare perché siamo statio ci siamo abituati a vivere solo con le persone che ci stan-no simpatiche e che sono ben viste da tutti. È un comporta-mento a volte inconscio che dovremmo sforzarci di sradica-re proprio in seguito all’insegnamento della storia. La visi-ta ai campi di Mauthausen e Gusen mi è servita molto a com-prendere la tragedia dell’Olocausto e spero che sia servita ainumerosi ragazzi che, come me, sono stati sui luoghi delladeportazione. Mi auguro che i versi di Primo Levi ci ac-compagnino sempre nella nostra vita quotidiana e ci aiutinoa vedere nell’altro un uomo come noi, a cui dare e da cui ri-cevere se il nostro scopo è il bene dell’umanità.

Alessia Vesmile

I nostri ragazzi

Page 31: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

Caro diario, da circa una settimana sono tornata dal viag-gio in Austria e quindi voglio raccontarti com’è andata.Siccome era un viaggio d’istruzione noi, in altre parole lamia classe con le altre, siamo andati a vedere i campi disterminio di Gusen e Mauthausen. (...)Prima ti parlo di Mauthausen. Il campo è stato aperto nel1938 ed è rimasto in attività fino al 5 maggio del 1945.In questo lager sono passate più di 206.000 persone d’am-bo i sessi ed altre 110.000 sono state uccise o sono dece-dute per colpa delle terribili condizioni di vita.Qui, abbiamo visitato il piazzale dell’appello, le docceche potevano essere anche camere a gas, le prigioni, i for-ni crematori a combustibile liquido, le baracche, la scaladella morte ed il museo storico, nel quale si possono ve-dere i vestiti che indossavano, le scarpe, cioè gli zoccoliduri, alcuni oggetti, certe armi che usavano i tedeschi con-tro gli ebrei e la lista di tutti i deportati uccisi e di tutti inazisti che comandavano il campo.Nel complesso mi hanno suscitato una sensazione che nonso spiegare. La prima impressione, vedendo il campo dal-l’esterno non è stata delle peggiori, perché è stato ri-strutturato. Entrando e vedendo ogni posto da vicino, lasensazione di prima è cambiata, è cioè diventata tristez-za e dolore per i prigionieri che hanno vissuto in quel luo-go e che hanno dovuto subire tutte quelle ingiustizie; e hoprovato rabbia per quello che è successo. Quello che èsuccesso non doveva accadere perché è stato tutto terri-bile. A compiere tutto questo è stato Hitler, una personasenza cuore. Volevo vedere se capitava a lui o alla sua fa-miglia.Ora ti parlo e racconto di Gusen. Era un sottocampo diMauthausen, fu aperto nel 1940 e diviso in tre sezioni(Gusen 1, Gusen 2, Gusen 3). Già dall’inizio, mi ha pro-vocato una sensazione di dolore, perché qui c’erano i for-ni crematori. Quelli che abbiamo visto si trova in una ca-mera molto grande. Tutte le varie aperture erano occupa-te dai fiori e dai lumini. Intorno al forno le foto di quel-li che sono stati cremati lì e che perla maggior parte sono di nazionalitàitaliana. A me ha suscitato dolore epaura, come ho sempre in tutti i ci-miteri.Dopo averti raccontato e descritto iposti che ho visitato, ti chiedo se tisono piaciuti e come li hai trovati.Dal mio punto di vista li ho trovatimolto brutti entrambi e pauroso l’ul-timo.Vorrei che anche i miei genitori edamici li visitassero perché è un viag-gio molto istruttivo; e rimarrebbe lo-ro nel cuore tutta la vita, come a me.

Maria Luisa Floresta

Cosa puoi fare tu,uomo del Duemila?

Caro uomo del Duemila, sono una ragazzina di tredici an-ni, italiana; sono andata con la mia classe a visitare i cam-pi di concentramento di Gusen e Mauthausen. È stata unacosa orrenda prendere coscienza di come degli uomini ab-biano potuto fare delle cose così crudeli, iniziando ad eli-minare, a tutte le persone di razza “non pura”, la propriapersonalità, togliendo loro il nome per chiamarli solo conun numero, raparli tutti da testa a piedi, spogliarli tutti in-sieme (bisogna immaginare la vergogna!) e dividere le fa-miglie senza pietà.Le persone anziane, i malati e i bambini venivano man-dati direttamente in una stanza per fare le docce, da cuiuscivano dei gas tossici che li uccidevano, per poi bru-ciarli nei forni crematori e non lasciare prove. Alcuni bam-bini venivano portati al castello di Harteim dove veniva-no sottoposti agli esperimenti dei tedeschi. Nella secon-da guerra mondiale circa undici milioni di persone sonomorte nei campi di concentramento: sei milioni furonoebrei, che dopo essere stati perseguitati dalle leggi raz-ziali vennero sterminati, e gli altri, colpevoli solo di vo-ler liberare il proprio paese dalla dittatura, opponendosia Hitler e Mussolini. [...] Primo Levi nella poesia Shemà,dal suo libro Se questo è un uomo comanda a tutte le per-sone di meditare, ricordare e ripetere a tutti quello che èaccaduto, perché non accada più. Tu uomo ricorda, e cer-ca di non fare gli stessi sbagli che sono avvenuti nel pas-sato e stanno ancora accadendo. Ricorda!

Cristina Dodaro

Senza...

Poveri bambini,privati della loro allegria,senza più amore,senza più sentimentiche pensano solo a cercare di “vivere”senza più ritegno,senza più ricordi.Soli con i loro pensieri,soli con le loro paure,senza più una ragione di vita.

Valentino GrecoGiuseppe Lemma 31

Quel viaggio resteràper sempre nel cuore

Page 32: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

L’iniziativa promossadai docenti di storiadel Liceo classico, si

inserisce nel progetto “Il 900- i giovani e la memoria”. Ilprogetto, cui aderiscono leultime classi del liceo è tesoa richiamare l’attenzione deigiovani sul contesto storiconel quale furono promulgatein Italia le leggi razziali e sul-le conseguenze a cui detteroorigine gli eventi ad esse col-legate.L’adesione all’iniziativa rap-presenta per i docenti un mo-mento fondamentale per fa-vorire, negli alunni, l’am-pliamento “dell’orizzontetemporale”, in modo da con-servarne la memoria storica.In effetti i docenti ritengonoche tra gli obiettivi dell’in-segnamento della materia, ilpiù importante è senza dub-bio quello di aiutare i giova-ni ad uscire dalla dimensio-

ne nella quale si sentono col-locati, per aprirsi ad una con-sapevolezza più ampia dellastoricità dell’uomo.La testimonianza di LeoneFiorentino e i ricordi perso-nali delle sofferenze che hapatito, degli orrori che ha vis-suto hanno coinvolto gli alun-ni proiettandoli in una di-mensione storica e umana chenessun testo o manuale po-trà mai rappresentare.Leone Fiorentino, cittadinoitaliano di religione ebraica,residente a Roma, ha ricor-dato i momenti salienti del-la sua tragica vicenda e delcontesto storico nella qualesi è realizzata: il regime fa-scista, le leggi razziali chehanno privato il padre della

licenza per il commercio am-bulante, le sue prime espe-rienze lavorative, la fre-quentazione di ambienti an-tifascisti, il lavoro obbliga-torio sulle sponde del Tevere,la detenzione presso il car-cere di Frosinone per attivitàantifascista, l’armistizio, igiorni della Resistenza aRoma contro l’occupazionetedesca e, infine, la deporta-zione: Auschwitz-Birkenaunel dicembre del ’43, il tra-sferimento ad altri campi diconcentramento tra cuiStutthof ed infine Dachau.Quindi l’evacuazione forza-ta nella primavera del ’45 perl’imminente arrivo dell’eser-cito sovietico e la fuga du-rante la “marcia della mor-

te”. Leone Fiorentino ha vo-luto specificare che lui, cosìcome gli altri ex deportatidell’associazione, non ha al-tro dovere se non quello dimantenere viva la memoriadell’Olocausto, dei forni cre-matori, dell’annichilimentofisico e morale cui sono sta-ti sottoposti, anche se il ri-cordo procura loro ancora tan-ta sofferenza.La testimonianza degli ex de-portati è inoltre diretta, pre-cisa Fiorentino, a smentirecoloro che oggi cercano dinegare o sminuire la realtà diquei fatti. A conclusione del-l’incontro gli alunni hannopartecipato al dibattito, po-nendo domande e proponen-do riflessioni.

“Il 900”in un dibattito a Sora

Da un ex deportato la più emozionante “lezione” di storia

32

Il silenzio e

la memoria

L’auditorium dell’Istituto magistrale di Sora (Frosinone) ha ospitato un incontro degli studenti dello stesso Istituto e del Liceo classico, con un rappresentante dell’Aned

Page 33: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

Motivo di grande tensionetoccare le pietre dell’alto muro

33

Mauthausen: un giorno di riflessione per duecentododici ragazzi dell’Azione Cattolica di Piacenza

Guidati da don Mauro Stabellini, coadiuvato da quattro sacerdoti, sono stati portati a visitare ilcampo di sterminio - Un forte impatto con le testimonianze - Non dimenticheranno

Il risultato è stato forte-mente positivo perchégrande è stato l’impatto

con le testimonianze presen-ti. Già all’arrivo, l’avere fat-to loro toccare le pietre del-l’alto muraglione è stato mo-tivo di grande emozione epresa di coscienza.Tutta la visita è stata un cre-scendo di interesse, di com-mozione che si stampavanonel viso dei giovani rigatodalle lacrime. Certamente nonsarà facile, per essi, dimen-ticare questo giorno e il si-gnificato profondo delle co-se viste e udite.Il futuro è loro.A noi “ex” non resta che lasperanza.Non mi era mai accaduto neinumerosi viaggi di accom-pagnamento ai campi di ster-minio. Non era mai accadu-to prima: un momento cosìparticolare, così denso di si-gnificati, così pieno di silen-zio.

Le rocce stavano lì, quellerocce che avevano visto i nu-merosi voli dei “paracaduti-sti”. La scala stava lì, quellascala che era stata offesa nu-merose volte dal tragico ro-tolio dei corpi e delle pietreributtati indietro dagli spin-toni delle SS che aspettava-no i deportati in vetta per far-li precipitare sotto.Il piano stava lì, dove corpi,pietre e sangue formavano unenorme, assurdo grumo ros-so e nero.Oggi tutto stava lì in un si-lenzio estatico perché tutte lecose giacevano rispettose difronte a quell’atteggiamentocompreso, sofferto, di due-centododici ragazzi che si era-no sparsi nel grande spaziodella “cava” e, trovando ognu-no il luogo adatto per sepa-

rarsi, giacevano meditabon-di, pensosi, ripassando le pa-gine del dolore già lette ascuola. Memoria presente edeterna nel silenzio delle co-se che non cancelleranno maila memoria. Le rocce stava-no lì lavate e rilavate dallapioggia, dalla neve, dal ven-to; austere, dignitose, arros-sate da un sole morbido au-tunnale che restituiva loro ilcolore del sangue.Anche gli alberi che faceva-no cornice a questo quadrose ne stavano attoniti la-sciando cadere ai loro piedifoglie che sembravano far-falle rosse e gialle sospintedall’alito di un refolo di brez-za.Duecentododici ragazzi pen-savano, meditavano, legge-vano lasciandosi penetrare da

messaggi misteriosi che lanatura andava diffondendosotto un cielo azzurro gene-roso di luce.Io non so.Io non so se Dio esiste o nonesiste ma, se Lui c’è, ancheLui stava lì lacerato dal do-lore della “Sua impotenza”.Lui stava nelle rocce, neglialberi, nelle foglie; nel cuo-re di quei ragazzi che batte-va all’unisono con il mio.Momento magico di un istan-te che univa passato, presen-te e futuro in un abbracciospirituale e ideale nella fededella Pace che il sole tra-montante benediceva nel gior-no che muore.

Roberto Camerani(deportato a Mauthausen -

Ebense)

Le mura perimetrali dell’excampo di Mauthausen con le torrette di guardia(foto E. Gusmeroli).

Page 34: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

Vuoto che continuava nella tua mente inghiottita dal Ricordo,nella speranza di riemergere e rinascere dall’ignoto.Forse nessuna parola mai potrà spiegare ciò che essi diceva-no. [...]Per noi è faticoso ascoltare ciò che per voi è difficile narrare.E tu, nonno, non hai parlato. Perché voi narrando soffrite, per-ché è stato troppo, perché percepite quello che in noi diventarifiuto, perché dovete riconquistarvi la Vita, e il Ricordo sem-bra non permetterlo.Eppure io sono certa che voi sentiate una prepotente necessitàdi parlare di voi e del vostro dolore, di farlo conoscere: sape-te che la vostra testimonianza potrà essere l’aria, l’ossigeno,potrà essere l’acqua nel deserto della Storia umana - Storia an-che di stragi e di sfregi - per chi verrà.È giusto e necessario che chi ha visto e vissuto cos’è un cam-po di sterminio ne parli. Ed è necessario che chi vuole capireaccetti la possibilità di non riuscire a farlo, perché voi ci par-late dell’uomo stesso, ci dite che cosa anche è un uomo e ten-tate di spiegarci l’Orrore oltre ogni ragione. Eppure credo chesolo chi sa ciò che non può comprendere, solo chi intuisce quel

limite, che l’uomo non deveoltrepassare, sa cosa deve te-mere e contro cosa deve lotta-re perché non accada di nuo-vo. Forse solo conoscendosi afondo, l’uomo può difendersida se stesso.Nonno, se tu fossi ancora qui,ti chiederei di parlarmi del tuoDachau. Ed ora forse ne par-

leresti: per troppo tempo, per un tempo senza limiti, la tuaNotte ha scavato nella tua mente, ha chiamato a sé i pensieripiù cupi, immolati sui gelidi altari del Silenzio, amari tributiall’oscurità ed alla follia di altri uomini, per farsi più nera, pernascondere le proprie tenebre all’alba ed alla luce in cui lapaura si scioglie.

Al nonno:Per te non è stato possibile parlare.Io ho paura. Ho paura di non capire, di dimenticare e dimen-ticarti, nonno. Ho paura che la tua fame, umiliazione, dolore,terrore vengano resi inutili anche per colpa mia, tua nipote, secederò alla fatica del ricordo.Ho paura di non pensare abbastanza, di non essere tenace e te-starda nel cercare una risposta, di non resistere, di non essereforte, di non chiedermi un numero sufficiente di volte “Perché,perché è stato? Che cos’è stato e perché così?” Io ho paura deltuo Dachau, nonno, perché non riesco a capire, a darmi unarisposta, una spiegazione. La ripugnanza che un’immagine dei

campi di eliminazione provo-ca non è tutto ciò che esala dal-la parola sterminio, non è tut-to ciò che si deve capire daBirkenau, Buchenwald, Da-chau, Mauthausen, Auschwitze dagli altri reticolati di stra-ge.Voglio volare oltre il ribrezzo.Vorrei squarciare le barricate

della mia mente e gettarla come una pietra nelle acque dell’i-gnoto, finché non ne tocchi il fondo. Ma finora sono riuscitasolamente a chiamare il vuoto con il suo nome.(...) Ciò che mi rimane è rabbia: rabbia verso di me che nonposso comprendere; rimpianto per un dialogo - quello con te- che il tempo mi ha tolto la possibilità di avere; inquietudineed angoscia perché io, tua nipote, non sono nemmeno in gra-do di formare nella mia mente un’immagine nitida di cosa siaaccaduto nei campi di sterminio.Ho forse paura di capire, di sapere?Tutto ciò che mi rimane, nonno, è il ricordo dei tuoi profondiocchi grigi, che avevano visto e vissuto: in essi erano con-centrati quei sei mesi di agonia, sevizie, fame; in fondo ad es-si si avvertiva la spasmodica, feroce lotta contro l’avanzare del

““

““

34

Un reduce da Mauthausen, Michele Mezzaroba di Frisasco in provincia di Pordenone, ci ha informatoche al ginnasio Jacopo Stellini di Udine una insegnante ha proposto un tema libero ad una studentessa,Francesca Bearzatto, che ha scritto una “lettera” al nonno reduce da Dachau. Il tema ha ricevuto un premio: l’offerta di visitare numerosi lager nazisti.

L’EMOZIONANTE TEMA DI UNA STUDENTESSA DI UDINE

Il tuo dolore,nonno, ti ha impeditodi raccontare il lager

Ecco il tema proposto a Francesca:“Non tutti coloro che sonoritornati dai lager, sono staticapaci di testimoniare.A trattenerli sono stati:il desiderio di rimuovere il ricordo di una esperienzaterribile, la difficoltà di descrivere adeguatamenteesperienze disumane,ma soprattutto il timore di non essere creduti.Tu ritieni che la testimonianza,anche se carica di sofferenza,sia doverosa in quanto ha un valore per l’umanità?”

Ecco le riflessioni di cuipubblichiamo ampi stralci.

Mi resta il ricordo

dei tuoi occhi grigi nei quali erano concentrati quei

sei mesi di agonia

Al tuo sguardo inquieto il riarso deserto

della storia umana si velerebbe

di fresca rugiada

Page 35: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

Ora forse ne parleresti, ed al tuo sguardo inquieto il riarso de-serto della Storia umana apparirebbe velato da una fresca ru-giada: la Speranza. Ora forse ne parleresti, perché ora se neparla. Non più silenzio ad opprimere l’angoscia di voi ex de-portati, c’è stato qualcuno che ha chiesto di sapere, che ha avu-to il coraggio di fermarsi ad ascoltare il vostro dolore, mentrequesto si mostrava nel suo lato più oscuro. C’è stato qualcu-no che ha capito, mentre voi narravate, che alla Storia va ag-giunto il grande, crudo capitolo della sofferenza, che non de-ve essere resa inutile dall’oblio. [...]A badilate l’uomo ha tracciato la sua esistenza, sfregiando laTerra e la Storia, scavando grandi precipizi, ma ha dovuto fer-marsi a pensare di fronte all’immenso Abisso dei campi di eli-

minazione.È forse allora che si è voltatoed ha guardato con occhi nuo-vi i Baratri lasciati alle suespalle ed ha capito che troppocostoso sarebbe stato ignorar-li, sprecando l’inquietante pa-trimonio di sofferenza e testi-monianza.È forse per questo che qual-cosa, lentamente, ha iniziato acambiare, sebbene tardi a ger-

mogliare: il 10 dicembre 1948 l’Assemblea Generale delleNazioni Unite ha riconosciuto l’universale dignità della per-sona umana, a prescindere dalle peculiarità di stirpe, di clas-se sociale, di religione e da ogni diversità individuale; fatico-samente sta nascendo (15 giugno 1998) un Tribunale penaleinternazionale che giudicherà dei delitti contro l’umanità, deicrimini di guerra, del genocidio.Ancora è poco, lo so - lo vedo -Spero, nonno, che arriverà il giorno in cui nessuno farà più ta-cere un ex deportato; o un testimone.

Francesca Bearzatto

““

35

I due nipotinivogliono ricordare

per capire

Il bisnonno di questi due bambini, Corrado e Carlo, è sta-to deportato a Mauthausen l’8 marzo 1944. Pietro Michelini,nato a Empoli nel 1907, era operaio della vetreria Taddeidi Empoli; fu catturato dai repubblichini insieme ad altri25 operai scelti secondo una lista già preparata per rap-presaglia per lo sciopero che i vetrai ebbero il coraggio difare alcuni giorni prima. È deceduto ad Ebensee nel 1945.I due bambini hanno visitato il monumento eretto, in me-moria dei deportati, nel luogo dove sorgeva la vetreriaTaddei ed hanno reso omaggio anche al loro nonno.

È giusto e necessario

che chi ha visto e vissuto cos’è stato

un campo di sterminio,

ne parli

Page 36: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

36

Nel Trentino

Trento - SS tedesche, filo spinato, ebrei nel-la divisa a righe dei detenuti e il grande, tra-gico portale che segnava l’ingresso ai lagerdi Auschwitz con la scritta «Arbeit machtfrei», «Il lavoro rende liberi». Un carro con queste scene è stato allestito neigiorni di carnevale a Storo nel Trentino.Purtroppo in questo paese soltanto gli inse-gnanti della scuola media hanno detto a chia-re lettere di non condividere l’iniziativa. Tuttigli altri abitanti, a quanto pare, sembravanoconvinti che si trattasse di una trovata spiri-tosa. Per fortuna c’è stato l’intervento dellamagistratura che ha sequestrato tutto, bloc-cando l’aberrante iniziativa.

Nel luogo simbolo dell’antifascismo

Roma: il ricordo e la città nel grande incontro a via Tasso

Dodici ore anche di incontrie di eventi di particolare eprofondo significato. La piùcivile delle risposte all’odio-so attentato di pochi giorniprima. Una iniziativa asso-lutamente senza precedenti,decisa e organizzata in po-che ore da Micaela Procaccia,da Annabella Gioia e PupaGarribbe, dell’Aned, con laregia di Elvira Palladini, l’in-sostituibile direttrice delMuseo. Più che il risalto da-to dai mezzi di comunica-zione, è stato il passaparolaa convogliare a via Tasso icittadini che hanno atteso pa-zientemente, per tutta la gior-nata, in lunghe file, tra lo stu-

pore delle stesse forze del-l’ordine.Nonni, padri, figli e nipoti,guidati nella visita alle celleda un gruppo di giovanissi-mi volontari, tra i qualiAndrea Astrologo, Serena DiNopi e Guido Panvini, ma an-che da alcuni testimoni chein quelle celle ebbero a pati-re. E da alcuni superstiti deilager. La giornata è stata animatada una serie di incontri tra ilpubblico, studiosi, storici etestimoni. Particolare emo-zione ha suscitato l’interventodi Moni Ovadia. Lucido, ap-passionato, di particolare chia-rezza e incisività. Parole, le

sue, di vera democrazia, dilimpida scelta per la libertà,la solidarietà, senza alcun ce-dimento a perdonismi sospettied inaccettabili, a confusio-ni nel nome di una genericacondanna della violenza. Molte e puntuali domande hasuscitato il dibattito La me-moria e la città, mentreClaudio Pavone, GuidoCrainz, Filippo Mazzonis eClaudio Parisella hanno dia-logato sul tema La Resistenzanei media. Infine la chiusu-ra con recital di poesie, concanti e musica del MihmashQuartet e di alcuni compo-nenti della Theaterorchestradi Moni Ovadia. Difficile con-

vincere il pubblico, sebbenesi fosse già a tarda ora, chela lunga, emozionante gior-nata era alla fine. Moltissimicittadini hanno espresso la ri-chiesta che altri momenti si-mili abbiano luogo, colle-gandoli a momenti e date diparticolare rilievo nella sto-ria della città: la strage del-le Ardeatine, il 25 Aprile, laliberazione di Roma, ad esem-pio.E negli organizzatori la vo-lontà di realizzare nuove e si-mili occasioni per rafforzarela Memoria, per tramandar-la, perché si sappia e si co-nosca.

Aldo Pavia

Sequestratoil carro-Auschwitz

Tremila romani sono accorsi al Museo storico della Liberazione, rispondendo in modo stupendo all’invito delle Associazioni democratiche della città. Porte aperte a via Tasso:dodici ore di visita al luogo simbolo dell’antifascismo romano,ove i nazisti ed i loro accoliti fascisti esercitarono la loro ferocia.

Page 37: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

37

Al Congresso nazionale dei Democratici di Sinistra

Anche la voce dell’Aned nelle parole di Moni OvadiaPubblichiamo un brano dell’appassionato intervento di Moni Ovadia al Congresso nazionale deiDemocratici di Sinistra. Dopo aver riproposto - tra l’emozione generale - l’emozionante poesia chePrimo Levi ha posto all’inizio del libro Se questo è un uomo, Moni Ovadia ha così proseguito:

«È per me un grandissimoprivilegio essere qui, in que-sta sede, a ricordare PrimoLevi, un grandissimo uomodi questa città, di questoPaese, un grande essere uma-no. Ho a lungo lavorato sul-la cultura ebraica, credo chequesto privilegio mi vengaun po’ anche da questo lavo-ro sulla cultura ebraica rife-rita al problema della Shoa edello sterminio, ma oggi horicevuto questa lettera: ve neleggo un frammento: “Le scri-

vo come presidente dell’As-sociazione nazionale ex de-portati politici nei campi diannientamento nazisti, asso-ciazione unitaria nata nel1945, di cui hanno semprefatto parte anche gli ebrei. Amareggiato per non poterpersonalmente ricordare, quiin questo Congresso, con ilsacrificio spaventoso di in-tere famiglie di ebrei ed ita-liani, anche l’annientamentodei 40.000 deportati politiciitaliani assassinati nei cam-

Contro il neo-nazista Haider una chiara “sonata” di SchiffQualche mese fa un caro ami-co, di ritorno da Salisburgo,mi portò in regalo un Cd ac-quistato nella casa natale diMozart con musiche del gran-de compositore, eseguite colfortepiano che fu di sua pro-prietà, da Andràs Schiff, con-siderato oggi uno dei mag-giori pianisti a livello mon-diale.Un godimento ascoltare quel-la musica interpretata in ma-niera superlativa. Ma al-l’ammirazione per l’artista siaggiunge oggi una stima nonminore per l’uomo. Di na-scita ungherese e di cittadi-nanza austriaca, Schiff, al-l’indomani delle recenti ele-zioni politiche, indignato perl’accesso al governo di Viennadel partito di Haider, cancellòper protesta un suo concertoall’ambasciata austriaca diWashington. “Ebreo al cen-

to per cento”, come ama de-finirsi, Schiff ha inoltre af-fermato che non metterà piùpiede in Austria finché quelpartito, guidato da un leaderxenofobo, che non esita adesprimere la propria ammi-razione per le SS, resterà algoverno. Intervistato da “Repubblica”,alla domanda se consideravaparagonabile Haider a Hitler,Schiff ha risposto che purconsiderando Haider un in-dividuo “politicamente stu-pido, che un giorno se la pren-de con Churchill e con gli in-glesi, un altro con gli ebreicitando Hitler, poi chiede scu-sa”, lo ritiene un pericolo “so-prattutto per quel che rap-presenta”, precisando che “inlui si specchia una fascia con-sistente di austriaci: il 27 percento, che non è poco”. No,non è poco. Questo non più

giovane uomo eternamenteabbronzato, con atteggiamentida ragazzone nonostante isuoi cinquant’anni, è riusci-to a calamitare una grossa fet-ta di elettorato, dicendo quel-lo che molti austriaci pensa-no ma non osano dire pub-blicamente. Ed è proprio inciò che consiste il pericolo,

e a chi gli fa osservare che lasituazione di oggi non è quel-la del ’38, Schiff replica chenon è identica “ma simile sì”e che “i presupposti sono glistessi”.E, infine, “che non si può pen-sare di cominciare a reagire,a fare qualcosa di concreto,quando ormai sarebbe trop-po tardi”. Lui, usando le ar-mi che gli sono proprie, nonha aspettato neppure un se-condo per elevare la sua in-dignata protesta. Viene vogliadi applaudirlo, di gridarglibravo, come si usa alla finedi un concerto. Bravissimo,per le ragioni proprie di ognicittadino democratico, da lui“suonate”, da par suo, ai tan-ti connazionali e non, di-mentichi o vogliosi di di-menticare, le mostruosità na-zista del passato.

I.P.

pi, deportati durante l’occu-pazione nazista del Paese trai quali vi furono ben 15.000operai, durante gli scioperidel marzo 1944”. Non ha ragione in questo sen-so di essere amareggiato ilpresidente dell’Aned. PrimoLevi ed io, molto modesta-mente insieme a lui, parlia-mo di tutte le vittime e di tut-ti gli esseri umani.Ricordiamo e ricorderemo -ha aggiunto Moni Ovadia -l’annientamento degli zinga-

ri, dei politici socialisti, co-munisti, democratici, social-democratici, dei Testimoni diGeova, degli omosessuali, diuomini e donne che apparte-nevano ad ogni categoria uma-na, per non dire di coloro cheoggi chiamiamo con under-statement burocratico, porta-tori di handicap, cioè i me-nomati, una popolazione tra-sversale a tutta l’umanità, chepoteva vivere in ogni fami-glia, persino in una famiglianazista».

Il pianista Andras Schiff

Page 38: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

38

LA GERMANIA DI DACHAU

Le impressioni di un gruppo di aderenti all’Aned e di insegnanti delle

Alcuni aderenti del-l’Aned di Trieste, in-sieme ad un gruppo di

insegnanti delle scuole me-die italiane e slovene dellacittà e di persone interessateallo studio della deportazio-ne, hanno compiuto un viag-gio nei Memoriali di Mau-thausen e di Dachau. Dopoenormi difficoltà eravamo riu-sciti a dare vita a questa ini-ziativa, benché si operasse inuna provincia dove la me-moria collettiva ha volutostendere un velo sull’esistenzadi uno dei monumenti più tra-gici della deportazione ita-liana, cioè la Risiera di SanSabba, da dove erano statiestradati deportati razziali enon, sia di etnia italiana cheslovena e croata.Attraverso la memoria diRiccardo Goruppi, OnesimoLoredan e Silvano Savron ab-biamo voluto ripercorrere illoro viaggio verso i lager.La fortezza di Mauthausen ciè apparsa all’improvviso, inuna mattinata grigia dopo unasvolta della strada che, in sa-lita, si “chiude” davanti alsuo portone. Nessuno, nono-stante una nostra richiestascritta, ci ha accolto. Comedei turisti qualsiasi abbiamopagato il nostro pedaggio da25 scellini, abbiamo noleg-giato un registratore con an-nessa cassetta e ci siamo inol-trati sulla piazza dell’appel-lo.Tutto appariva in ordine, aset-tico e levigato: la fila dellebaracche sulla sinistra, conle loro “cuccette” restaurate,i bagni puliti, il legno luci-do, quasi fossimo in una ca-ratteristica stube; sulla destradelle costruzioni basse in mu-ratura, dove si trovavano ilmuseo e i forni crematori, da-vanti ai quali Onesimo ci haspiegato il loro funziona-

mento, dato che, “scelto a ca-so”, vi era stato addetto.Nessuna guida e neppure unsorvegliante ha interrotto que-sto discendere materialmen-te verso i sotterranei dell’e-liminazione fisica.Ci siamo dispersi, ognuno in-seguendo la propria emozio-ne o la conferma di quantogià sapeva dai libri ma, infi-ne, ci siamo tutti ritrovati aguardare dall’alto la cava, oraricoperta da fitta vegetazio-ne e ingabbiata da tiranti me-tallici. La serenità del pae-saggio circo-stante, disse-minato dicampi, fatto-rie e piccoliboschi, face-va da apertocontrasto conquanto lì eraaccaduto.Sembravache il passa-to non fossemai esistitofinché nonabbiamo per-corso i 186scalini checonduconosul fondo.Scendendo prima e risalen-do poi accanto a chi ricor-dava in quel luogo la sua gio-vinezza, abbiamo avuto lachiara percezione della fati-ca e del dolore per tutti co-loro che i nazisti considera-vano alla stregua di bestie dasoma.Il ricordo è andato subito al-le condizioni delle minierenel corso dell”800, dove ildiritto alla vita era scanditodalla quantità di carboneestratto e dalla salute per con-tinuare a farlo; anche le SS,responsabili economicamen-te della resa della cava diMauthausen, consideravano

i loro prigionieri esclusiva-mente come dei carrelli o deipicconi. Le loro vite rappre-sentavano esclusivamente deidati numerici sulla colonnadelle spese, come usavanotrascrivere i padroni delle mi-niere dell’altro secolo, ogni-qualvolta dovevano dotarsi dinuovi macchinari. Che que-sta poi sia anche oggi unamentalità corrente è confer-mato dall’abbandono diGusen.Un cubo di cemento proteg-ge quel poco che rimane in

mezzo ad unalottizzazioneedilizia, dibrutte casettecostruite adimitazione diun ipoteticopaese dellefate. Le chiavi, perentrare nelMemoriale,sono custodi-te presso unavicina ga-sthoff, che tral’altro era inferie.Timidamenteci siamo spor-

ti oltre l’inferriata e ci siamopoi allontanati, in preda aduna sensazione di tristezza,nonostante la tranquillità delluogo, poiché non riusciva-mo a capacitarci come siapossibile aprire una finestraalla mattina e osservare ilMemoriale senza provare al-cuna emozione o alcuna in-quietudine, come se fosse unastatua o un monumento allavittoria o alla pace.

Ci aspettava però l’ulti-ma sorpresa della gior-nata quando siamo

giunti al paese di Hartheim.Due grandi cartelli stradali ci

indicano lo scopo della no-stra visita: Castello diHartheim e Centro per l’eu-tanasia. Sotto le fronde di unalbero giace una piastra dimarmo grigio, che ricorda lemigliaia di morti di quel luo-go. Dopo aver aggirato le mu-ra di cinta ci siamo fermatidavanti al portone, sopra ilquale spicca, anche se in par-te arrugginito, il segnale bian-co azzurro indicante un “be-ne culturale”. Il luogo sem-brava abbandonato. Alzandola testa verso la balconata po-sta al primo piano del corti-le a pozzetto abbiamo peròvisto due persone che ci guar-davano stupite. Abbiamo avu-to immediatamente la perce-zione di essere indesiderati,come ci venne poi segnalatoda una corpulenta signora inabito a fiori. C’è un attimodi smarrimento all’interno delgruppo ma rimaniamo nel cor-tile, poiché vogliamo ottene-re delle spiegazioni.Visto che non ci allontania-mo un uomo ci informa chela struttura sta per essere “da-ta” ai privati e che lui e lasua famiglia sono gli ultimiinquilini. Invero siamo nellaregione austriaca dove le ele-zioni sono state vinte dal par-tito di Heider - di cui sononote le simpatie nei confrontidel nazismo - ma tale apertavolontà di nascondere il pas-sato ci sconcerta e ci indigna.Eppure oltre due porte chiu-se a chiave e poste a destradel cortile si vedono delle co-rone e delle lapidi, tra cui unache ricorda la morte di un ita-liano. Quindi siamo nel luo-go giusto. Infine l’uomo diprima, che rifiuta di qualifi-carsi (custode? abusivo? pro-fugo?) ci accompagna nel se-minterrato, dove mostra conorgoglio le nuove tubaturedell’acqua ed un vecchio stru-

A Dachau gli accompagnatori

ci hanno confermato che

stavamo vivendoun momentoparticolare

Page 39: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

39

FA I CONTI CON IL PASSATO

scuole italiane e slovene di Trieste durante un viaggio-studio nei due lager

mento per la pigiatura del vi-no, e sostiene che del fornocrematorio non resta alcunatraccia, perché tutto è statodistrutto dagli americani al-la fine della guerra.

Non sappiamo se piùdelusi o indignati, maalla fine usciamo, pas-

sando accanto ad una tabel-la che ci informa che l’edi-ficio fu donato alla finedell’Ottocento da FrancescoGiuseppe per istituirvi un ri-covero per malati di mente.Per ironia della sorte, eccospiegato il motivo per cui l’e-dificio non più essere raso alsuolo. È un bene pubblico eperciò può essere soltantoalienato ed eventualmente tra-sformato in qualcosa d’altro,molto più innocuo dello sco-modo passato nazionalsocia-lista austriaco.Non si può distruggere la for-tezza di Mauthausen, perchétroppo conosciuta, ma si puòoccultare ciò che le sta at-torno, e cioè i sottocampi.Sono troppi, affinché l’Ami-cale di Mauthausen e l’Istitutoper la Storia della Resistenzaaustriaco possano controllar-li e conservarli. Eliminate letracce materiali, scomparsele vittime, propugnata a li-vello europeo la “pacifica-zione” tutto facilmente po-trebbe cadere nell’oblio e farscomparire i sensi di colpa,anche nelle generazioni piùgiovani. Se questa era statal’esperienza austriaca aveva-mo molte perplessità su quel-lo che avremmo potuto vive-re il giorno successivo alMemoriale di Dachau. Ci ave-vano avvertiti che il lager eranascosto dalla vegetazione,quasi per farne un muro di-visorio rispetto all’ambientecircostante, e che la popola-zione del luogo non amava

accennarne l’esistenza, vi-vendo la sua presenza con fa-stidio; quindi eravamo in par-te prevenuti. Invece con gran-de sorpresa siamo stati accoltidalla dottoressa GabrielaHamerman, ricercatrice pres-so il museo, da una guida ita-liana prenotata apposta pernoi, la signora Emma e infi-ne dal borgomastro di Dachau,dott. Kurt Piller.È stata una grande emozio-ne arrivare a Dachau, non sol-tanto perché due delle nostreguide vi erano state rinchiu-se per variotempo ma an-che perché sa-pevamo cheverso questolager eranostati diretti il75% dei con-vogli partitidalla nostraregione.Migliaia dipersone, dallecarceri delCoroneo odalla Risiera,dal carcere diGorizia o daquello di U-dine e infinedall’Istria, erano infatti giun-te qui.Il sole picchiava forte sullapiazza dell’appello, mentreEmma iniziava la sua visita:gli edifici della direzione, lebaracche segnate da rettan-goli di ghiaia circondati daun cordonato con impresso ilnumero e, infine, dopo ave-re attraversato un ponticellosulla destra, l’edificio checontiene i forni crematori, suiportelloni dei quali spicca an-cora la sigla della ditta co-struttrice, la Topf, il cui ruo-lo attivo è stato ben dimo-strato dalle ricerche di J.C.Pressac.

Accanto alla sala è sta-ta mantenuta integrala camera a gas, mai

usata e quindi spesso utiliz-zata dai revisionisti durantele loro campagne negazioni-ste. La realtà però è un’al-tra: non fu usata perché lamortalità del campo era tal-mente elevata che i forni nonriuscivano a smaltire il “la-voro arretrato”. Infine siamoentrati nella zona del bunker,oggi in restauro perché do-vrà ospitare quest’anno unamostra.

Una grandeattività sem-bra caratte-rizzare ogniluogo delMemoriale,sia per quan-to riguardala ricercache per il re-stauro, e ciòha provoca-to in tutto ilgruppo unsentimentodi soddisfa-zione, redu-ci come era-vamo dal-l’indifferen-

za austriaca. Anche l’ospita-lità della dott.ssa Hamermane il sopraggiungere del bor-gomastro, che si era libera-to appositamente dai suoi im-pegni per accoglierci, ci hafavorevolmente colpiti. Conil suo discorso invita il sin-daco di Trieste, Illy, a fargliuna visita ufficiale, e ag-giunge che “è suo impegnoaffinché la storia del lagernon venga mai dimenticatadai suoi cittadini, anzi essadovrà diventare parte inte-grante della centenaria sto-ria di Dachau”.Questa accoglienza calorosae la scoperta che condivide-

vamo la stessa volontà dimantenere viva la memoria,perché essa sta alla base diogni convivenza civile pre-sente e futura, ci ha caricatitutti di grande entusiasmo edi speranza. Abbiamo capi-to che a Dachau anche le ge-nerazioni del futuro non per-deranno questa occasione dimonito nei confronti del ri-nascere dell’autoritarismo edel razzismo.Anche il silenzio e la soli-tudine che circondano le fos-se comuni del cimitero diLeonberg, momento per noinecessario per riflettere suquanto avevamo appena vis-suto e sentito, non erano ilfrutto dell’abbandono. È vero che pure questo luo-go è separato dal paesaggiocircostante da un filare di al-beri, ma riteniamo che que-sta scelta possa essere inter-pretata come un invito allameditazione, su ciò che è ac-caduto durante il nazismoperché tutto appare curato inmodo partecipe e non aset-tico, come a Mauthausen. A noi è sorto però improv-viso il dubbio che stessimosubendo l’impressione posi-tiva vissuta nel Gedankstattedi Dachau. Allora per eliminare questaperplessità abbiamo chiestol’opinione ai nostri accom-pagnatori.Ma anch’essi ci hanno con-fermato che stavamo viven-do un momento particolare,perché finalmente avevamovisto una Germania che nonrifiutava più il suo passato,ma che anzi vuole compren-derlo per realizzare una ca-sa comune europea fondatasulla convivenza tra popolidiversi, sulla pace e sulla so-lidarietà.

Thea Maligoi

A Mauthausen funzionarie cittadini sembrano

invece infastiditi dallanostra presenza

Page 40: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

40

BIBLIOTECA

Sfidarono la morte ma dissero di no“Per la prima volta incon-trammo una tradotta della mor-te. Non sapevamo ancora co-sa fosse. Su un binario di smi-stamento, poco lontano da noi,era ferma una fila enorme divagoni con qualche viso sche-letrico affacciato all’alto spi-raglio dei carri, mentre dietroombre vacillanti scaricavano eammucchiavano a fianco di ca-taste quelli che al momentonon capivamo essere dei cor-pi umani. Si vedevano soloscheletri barcollanti o cadave-ri. Su tutto, sui vestiti laceri esui vagoni, la stella di Davide.Era uno dei tanti modi usatidai tedeschi per eliminare gliebrei. (...) Di fronte a quellavista capimmo definitivamen-te la pazzia e l’atrocità collet-tiva dei tedeschi.”Aveva ventidue anni ClaudioTagliasacchi, quando travoltocon altri seicentomila militariitaliani, si trovò nel lager diSiedlce: lo Stalag 366. E quan-do sulla strada per Sandbostel,Stalag 27, vide come i tede-schi selezionavano, deciman-doli, gli ebrei per i campi disterminio.Ufficiale a Rodi, dopo l’8 set-tembre ’43 viene caricato suun treno e, con molti altri, spe-dito in Polonia dove conosceràfreddo e fame, al limite dellatolleranza. La vera fame, do-lore incessante che attanaglialo stomaco, che uccide. Poi inGermania, al lavoro forzato.Disprezzati in quanto “tradi-tori” per i tedeschi. E dopo il

Shlomo Dragon, superstite delSonderkommando di Birkenau,aveva indicato che intorno al-le camere a gas ed ai forni cre-matori erano stati sotterrati do-cumenti. Il 5 marzo del 1945,nel corso di scavi ordinati dauna Commissione d’inchiestadell’armata sovietica, nelle vi-cinanze del crematorio III ve-niva rinvenuta una borracciacontenente 191 pagine nume-rate (dieci le mancanti) con ilracconto dei fatti vissuti dalloro autore, Salmen Gra-dowski, nato verso il 1910 aSuwalki, presso il confine li-tuano.Vissuto e deporato dal ghettodi Luna nel dicembre 1942.Ucciso, molto probabilmente,nell’ottobre 1944, durante larivolta del Sonderkommando.Una testimonianza eccezio-nale che si apre così: “Inte-ressatevi a questo documen-to, poiché contiene un mate-riale molto importante per lastoria”. Parole ripetute in quat-tro lingue: polacca, russa, fran-cese e tedesca. Poi il testo pro-seguiva nel dialetto yiddishdella zona di Bialystock.Oggi questo documento ap-pare, per la prima volta inItalia, nel volume La voce deisommersi, pubblicato dall’e-ditore Marsilio. Che presen-ta anche i manoscritti di altriuomini del Sonderkommando:Salmen Lewental, Lejb Lan-gfus, Haim Herman, MarcelNadsari ed uno di autore igno-to. La prefazione di Frediano

I lavori forzati per i militari italiani

Trasportavano i lorocompagni ai forni

Diario di Birkenau

rifiuto ad aderire allaRepubblica di Mussolini sot-toposti ad angherie e violenzecontinue, non più prigionieridi guerra ma “internati mili-tari”, definizione coniata adhoc per gli italiani. Quindi nonpiù protetti dalla convenzionedi Ginevra. Schiavi a totale di-sposizione del Reich.Dimenticati, scomparsi addi-rittura per l’Esercito italiano.Ignorati al loro ritorno.Emarginati quando nel dopo-guerra si restituirono stellettee gradi a coloro che avevanomilitato nella RepubblicaSociale. In questo libro che èpiù che diario o ricordo,Tagliasacchi ci racconta la suaprigionia e la sua liberazione,facendoci così conoscere unapagina della nostra storia e del-la nostra resistenza, di cui an-cora poco si è scritto. E di cuiancora poco si vuole parlare.Una storia di uomini che sep-pero dire di no. E che per quelrifiuto pagarono duramente.Si domanda l’autore nella pre-messa: “Perché ho scritto?”.Sicuramente perché altri han-no scritto con inesattezza. Forseperché ne sentiva la necessitào l’urgenza. Forse anche per-ché qualcuno ebbe a dirgli: “Infondo lo stupido sei stato for-se tu a star lì a morir di fame,non quelli che hanno aderi-to...”.

Claudio Tagliasacchi“Prigionieri dimenticati”

Gli Specchi Marsilio,pp. 162, lire 22.000

Sessi contribuisce a chiarire- speriamo una volta per tut-te - la figura e le tragiche vi-cende degli uomini delSonderkommando. Non - as-solutamente non - ebrei cheavevano deciso di collabora-re con i nazisti, non assassi-ni dei loro fratelli. Non corvineri, bensì vittime tra le vit-time, consapevoli e tragici te-stimoni dell’orrore assoluto.Segregati tra i segregati, co-stretti ad assistere all’annien-tamento del loro popolo.Destinati anche loro a sparireperché testimoni troppo peri-colosi. Portatori di incredibi-li segreti, la loro vicenda erasconosciuta agli stessi depor-tati. Una ignoranza - d’altrocanto voluta dalle SS - che nefece individui a volte ritenu-ti dei privilegiati quando nonodiati e duramente condan-nati, come se il loro operatofosse frutto di una libera scel-ta. Impossibile in un inferno,in un mondo fuori dal mon-do in cui non si era liberi nem-meno di morire.Pochissimi sono stati i so-pravvissuti dei Sonderkom-mando. Tra quelli condotti nelKZ Mauthausen, Shlomo Vene-zia, deportato da Salonicco,del quale siamo in procinto diraccogliere una lunga testi-monianza audio-video.

A.P.“La voce dei sommersi”a cura di Carlo Saletti,

Gli Specchi Marsilio,pp. 296, lire 32.000

Page 41: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

41

La strage infinitaDi questo libro, ciclicamen-te, se ne parlava ma ben po-chi lo conoscevano. Dopo la controffensivadell’Armata Rossa, artisti, in-tellettuali ebrei, tra i qualiVasilij Grossman e Il’jaErenburg, raccolsero in un“libro nero” le testimonian-ze sulla “soluzione finale”nei territori sovietici occu-pati dai nazisti. Ucraina,Bielorussia, Lettonia, Lituaniae parte della Polonia.Raccolsero i racconti dei so-pravvissuti alle stragi, alletragedie dei ghetti, alle fuci-lazioni di massa, al genoci-dio delle razze inferiori, ailager. Resoconti e testimo-nianze di disperati tentatividi rivolta, appunti, lettere, pa-gine di diario dei “sommer-si”.La documentazione dello ster-minio di ebrei e bolscevichi,di zingari. L’individuazionedelle vittime, il loro isola-mento, la spoliazione degliaveri, la negazione dei dirit-ti, le violenze individuali ecollettive, la sistematica eli-minazione fisica, la cancel-lazione di ogni traccia delmassacro.Tutto venne raccolto in que-sto “libro nero”.Ma nel 1945 il Comitatoebraico antifascista cui si de-ve questo enorme, difficile

Dall’Ucraina, alla Bielorussia,alla Lettonia e Lituania, alla Polonia

Pio XII e il nazismo: restano dubbi e ombre

lavoro, si attirò i sospetti diStalin e dei servizi segreti so-vietici. Dapprima parti del li-bro furono censurate, poi siaccantonò l’idea di pubbli-carlo. Vennero distrutte le ma-trici tipografiche. Nel 1952,durante una violenta campa-gna contro gli intellettualiebrei, parecchi collaboratoridi Grossman ed Erenburg ven-nero condannati a morte. Unacopia del volume, tuttavia, fusalvata dalla figlia di Eren-burg. Ed è grazie a lei che oggi noipossiamo accedere a un do-cumento tanto prezioso quan-to unico, per conoscere edascoltare le parole di tante trale vittime della più grandepulizia etnica del nostro re-cente passato.

Vasilij Grossman - Il’ja Erenburg

“Il libro neroIl genocidio nazista

nei territori sovietici 1941-1945”

Mondadori,pp. 915, lire 42.000

In attesa che venga pubbli-cato in Italia Il Papa di Hitler,sono apparsi in libreria neimesi scorsi due volumi sullatanto controversa figura di PioXII, sul suo rapporto con ilnazismo, sui suoi silenzi sul-la Shoah. Il primo, di suor MargheritaMarchioni, dal titolo Pio XIIe gli ebrei appare subito ope-ra agiografica, tutta tesa a san-tificare il pontefice, visto co-me il protagonista di scelte e

decisioni le più coraggiose,percorrendo le vie più rigo-rose. E come i cattolici, pro-prio seguendo il suo pensie-ro e la sua volontà, abbianoagito concretamente per sal-vare gli ebrei. Una azione prudente, sostie-ne suor Margherita, ma deci-sa, chiara e determinata.Certamente aiuto ci fu, con-venti si aprirono, ma altret-tanto certamente non è di-mostrabile che ciò accadde

su disposizione del ponteficee le prove - spesso più van-tate che dimostrate - non con-vincono.Tanto meno appare dimostratala determinazione di Pio XII,che si cerca di affermare at-traverso citazioni di singolefrasi, attribuendo alle stessemolto più significato di quan-to abbiano avuto in realtà. Unlibro, con errori e approssi-mazioni, che risulta essere uncollage di cose vuote e mol-

to vecchie, che semmai ren-dono ancor più equivoco ciòche era già poco certo. Un saggio, opportunamentepubblicato alla vigilia dellabeatificazione - per il mo-mento accantonata - del pro-tagonista di un papato con-troverso.

Margheria Marchione“Pio XII e gli ebrei”

Ed. Pan Logos,pp. 286, lire 30.000

Il terrore non piegava la resistenza nei campi

I ricordi di uno dei primi deportati italiani a Mauthausen

Avvocato, antifascista, parti-giano, deportato politico a Mau-thausen-Gusen, matricola53347. Questo l’itinerario diFrancesco Albertini, tra i pri-mi italiani a giungere nel la-ger, in cui divenne membro delComitato internazionale clan-destino e presidente del Co-mitato nazionale.Deputato e senatore per più le-gislature, ha ricoperto impor-tanti incarichi parlamentari egovernativi. È scomparso nel1996, pochi giorni prima delsuo novantesimo compleanno.Per ricordarlo e per rendere te-stimonianza della sua avven-tura umana e politica, del suocostante impegno a favore edin aiuto dei superstiti dei cam-pi di concentramento e di ster-minio, Ferruccio e SusannaMaruffi hanno voluto pubbli-care un libro dal titolo Un re-sistente nel lager in cui hannoraccolto, oltre alle testimonianzedi Bruno Vasari, di VincenzoPappalettera e di IreneMagistrini, soprattutto il “dos-sier” di Albertini, 112 paginedattiloscritte che lo stessoAlbertini aveva raccolto e fa-scicolato con una spirale.Tralasciandone solo le parti ri-tenute meno significative o quel-le con caratteristiche di chiaraprovvisorietà.Così facendo lo storico MauroBegozzi, dell’Istituto storico

della Resistenza e della Societàcontemporanea del Novarese edel Cusio Ossola, ha restituitoal lettore quello che sicura-mente per Albertini era moltopiù che “materiale di lavoro”,bensì il risultato di una lungariflessione ed al tempo stessol’indicazione di un percorsoche doveva essere portato a ter-mine come impegno priorita-rio. Una riflessione ancora digrande attualità, ricca di im-portanti notizie e documenta-zioni, necessaria per capire ul-teriormente la storia della de-portazione e dello sterminio.Di particolare rilevanza le pa-gine sulla resistenza nei lager.Il libro delle edizioni Eureditè stato presentato a Roma, alSenato, presso la sala Zuccari,alla presenza della figlia diAlbertini e della giovane ni-pote. All’incontro hanno par-tecipato Oscar Luigi Scalfaro,i senatori Paolo Emilio Tavianie Athos De Luca e con loro irappresentanti più qualificatidelle Associazioni dell’antifa-scismo, della Resistenza degliinternati militari e civili.Soprattutto non hanno volutomancare i superstiti dei campie non solo quelli di Mauthausen.

A.P.Francesco Albertini

“Un resistente nel lager”Ed. Euredit,

pp. 118, s.i.p.

Page 42: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

42

BIBLIOTECA

Suggerimenti di lettura a cura di Franco Giannantoni

“La lunga liberazione” (Giustizia e violenzanel dopoguerra italiano),Editori Riuniti, pp. 275, lire 28 mila

Mirco Dondi

Quanti sono stati realmente, e chi erano, i morti del dopoguerra ita-liano? Quanti collaborazionisti furono processati dalle Cortid’Assise? L’Italia ha vissuto, dopo la tragedia della guerra, unalunga liberazione che si svolse sul sottile crinale che separa la giu-stizia dalla vendetta. Una storia in parte simile a quella di altriPaesi europei ma a lungo taciuta.Questo libro indaga sulla difficile uscita del nostro Paese dallaguerra, sugli strascichi e sulle scosse d’assestamento che accompa-gnarono la transizione dal fascismo alla democrazia.

“L’ultimo Natale di guerra”Einaudi, pp. 141, lire 24 mila

Primo Levi

I racconti scritti da Primo Levi nell’ultimo decennio della sua vita,formano un libro in fieri interrotto dalla morte dello scrittore.Marco Belpoliti ne ripercorre le ragioni, consegnando un’operache conferma la grandezza di Levi nell’arte del racconto.Ai testi autobiografici che rievocano l’infanzia ma anche il lager, siaffiancano racconti fantastici.

“Lavori in corso 1943-1946”Einaudi, pp. 144, lire 18 mila

Vittorio Foa

L’Italia sta uscendo dal fascismo e dalle guerre e si avvia faticosa-mente alla costruzione di un assetto democratico e civile. VittorioFoa, appena scarcerato, analizza la situazione e tenta di avanzaredelle proposte. Il libro raccoglie i primi saggi politici pubblicati su vari giornali.Le speranze affidate al movimento di Resistenza, l’attività del Cln,il ruolo chiave dei partiti politici, sono alcuni fra i temi che, rilettioggi, aiutano a capire i nodi di fondo in cui si dibatte l’Europa e lanostra democrazia.

“Uomini comuni”(Polizia tedesca e soluzione finale in Polonia)Einaudi, pp. 249, lire 20 mila

Christopher R. Browning

All’alba del 13 luglio 1942, gli uomini del Battaglione 101 dellaRiserva di polizia tedesca entrarono nel villaggio polacco diJozefow. Al tramonto avevano rastrellato 1800 ebrei; gli altri,donne, vecchi, bambini, vennero uccisi. Ordinaria crudeltà nazista,verrebbe da pensare. Ma gli uomini del Battaglione 101 erano ope-rai, impiegati, commercianti, artigiani, uomini comuni, né nazistiné fanatici antisemiti e che ciò nonostante sterminarono 1500 per-sone in un solo giorno. Il “101” uccise altre 38 mila persone e col-laborò alla deportazione a Treblinka e allo sterminio di 45 milaebrei. Ma perché? La risposta è drammatica: i sentimenti più banalied apparentemente innocui sono i motori della più estrema inuma-nità. Anche oggi.

“L’ebreo e la ragazza”Baldini e Castoldi, pp. 406, lire 32 mila

Christiane Kohl

È una cronaca di quotidiana ferocia nella Norimberga del 1932:Irene Scheffler, giovane e brillante fotografa, affitta uno studio nelcondominio di cui è proprietario Leo Katzenberger, un maturocommerciante di calzature, ebreo, che ha promesso al padre dellaragazza di vegliare affettuosamente su di lei. Tra i due nasce un’in-tensa amicizia che suscita invidia tra gli inquilini del caseggiato eche nel 1935, al momento delle leggi razziali, viene denunciata.L’uomo è condannato a morte, la ragazza al carcere. Ma anchedopo la fine della guerra nessun tribunale tedesco rivede la senten-za né riabilita la giovane donna.

“La cultura ebraica”Einaudi, pp. 530, lire 35 mila

Patrizia Reinach Sabbadini (a cura di)

È un panorama completo dell’ebraismo per discutere e compren-dere l’identità della civiltà ebraica. La storia del popolo ebraico,dalle origini fino alla costituzione dello Stato di Israele, è ricostrui-ta nei suoi momenti salienti, dall’espulsione dalla Spagna nel XVsecolo alla persecuzione nazista, alla questione palestinese e neisuoi aspetti meno conosciuti, affiorati da un’attenta analisi dei rap-porti fra gli ebrei ed i modelli politici, economici e culturali dellesocietà in cui vissero.

Page 43: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

43

“1938 - I bambini e le leggi razziali in Italia”Giuntina, pp. 162, lire 20 mila

Bruno Maida

Vittime indifese della persecuzione, dello sfruttamento, dello ster-minio, i bambini sono stati doppiamente colpiti dall’applicazione edagli effetti delle leggi antiebraiche perché, da un lato hanno cono-sciuto, come gli adulti, limitazioni alle libertà e violenze, dall’altrohanno dovuto fare i conti con la costruzione di un’identità, ad untempo imposta e propria, scontando conseguenze culturali, psico-logiche e materiali, in gran parte da studiare.

“Le periferie della memoria-Profili di testimoni di pace”Anppia - Torino, Movimento non Violento - Verona,pp. 178, lire 10 mila

Autori vari

È un affresco sulla non violenza e sull’obiezione di coscienza. Illibro, con il contributo di diciassette autori, compilato da SergioAlbesano e Bruno Segre, raccoglie le biografie di una serie di per-sonaggi che hanno fatto in Italia, dal Risorgimento ad oggi la “sto-ria dell’obiezione di coscienza”: da Umberto Calosso ad AldoCapitini, da Carlo Cassola a Tullio Vinay, da Giorgio La Pira adErnesto Teodoro Moneta a Remigio Cuminetti di Pinerolo, “stu-dente biblico” come si chiamavano allora i Testimoni di Geova, ilprimo ad essere condannato nel 1916 da un tribunale, quello diAlessandria, per rifiuto del servizio militare.

“La lente focale(Gli zingari nell’Olocausto)”Marsilio, pp. 146, lire 24 mila

Otto Rosenberg

La politica razziale dei nazisti portò alla costruzione del campo diconcentramento di Marzahn dove vennero internati migliaia di zin-gari. È il 1936 quando il professor Robert Ritter e la propria assi-stente Eva Justin iniziano un ciclo di esperimenti sui prigionieri perstabilire la presunta nocività ai fini della purezza della razza. OttoRosenberg, il solo a salvarsi della famiglia, racconta il suo dram-ma. La tragedia degli zingari continuerà nel dopoguerra isolati emai risarciti nella Repubblica federale tedesca.

“La Sinistra nella storia italiana”Editori Laterza, pp. 246, lire 28 mila

Massimo L. Salvadori

Il primo bilancio del ruolo della Sinistra italiana nel Novecento.Perché la sinistra italiana è stata storicamente dominata dalle cor-renti rivoluzionarie, mentre le tendenze riformistiche sono risultateminoritarie? Perché, tenuto conto di ciò, la Sinistra italiana non haperò mai compiuto o tentato di compiere alcuna rivoluzione? Eperché, malgrado ciò, non ha mutato indirizzo ideologico? Perrispondere a queste domande Salvadori ripercorre le grandi svoltedella storia italiana dell’ultimo secolo.

“Giovanni Marcora. Un politico ‘concreto’dalla Resistenza all’Europa”,Centro Ambrosiano, pp. 100, lire 10 mila

Gianni Borsa

La vita di Giovanni Marcora (Inveruno 1922-83) è segnata da dueintense esperienze: la Resistenza e l’impegno politico. Dalla prima“Albertino”, è questo il nome di battaglia del partigiano cattolico,eredita un patrimonio di ideali ed un “vissuto” indelebili, tali daorientare le successive scelte del politico democristiano, senatore epiù volte ministro della Repubblica. Ad oltre quindici anni dallamorte, è un contributo per tentare di ricostruire storicamente l’inte-ressante figura e l’opera del politico lombardo.

“Angeli - Il coraggio della memoria”Eos editrice, pp. 63

Marisa Ferrario Denna, Rosella Formenti, Alberto Brambilla

Dedicato ad Angioletto Castiglioni, partigiano di Busto Arsizio,reduce da Flossenburg dopo essere sopravvissuto alla “marcia dellamorte”, il libretto, con una commossa prefazione di Francesco BertiArnoaldi Veli, è un forte invito a non dimenticare in una societàdove la memoria è fatta quotidianamente bersaglio di aggressioni estorture revisionistiche. “Nessuno li credeva - scrive Berti Arnoaldi -quando tornarono dai campi di sterminio, ridotti allo stato larvale. Ilsilenzio durò degli anni. Ma poi si fece strada la consapevolezza chequell’esperienza non era stata una orrenda avventura individuale.Così i sopravvissuti cominciarono a parlare”.

Da “La difesa della razza” anno I numero 6 del 20 ottobre 1938

Page 44: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

44

Non tutti i tedeschi, per fortuna, erano nazi-sti. Anche nella Wehrmacht c’era chi, costrettoad indossare quell’uniforme, la odiava e avreb-be voluto farla a pezzi. Uno di questi po-chissimi era Joe J. Hevdecker, autore di unlibro fotografico sconvolgente e di eccezio-nale interesse storico. Nato il 13 febbraio del1916 a Norimberga, dal gennaio del ’31 alluglio del ’33, frequentò uno studio fotogra-fico a Francoforte. Nel 1941, soldato germanico nella Varsaviaoccupata, scattò, a suo rischio e pericolo, uncentinaio di fotografie nel ghetto, con la com-plicità di altri due camerati. L’insieme com-pone un album assolutamente unico per la do-cumentazione del martirio ebraico in quellacittà. “Io - ha scritto l’eroico fotoreporter -fotografavo per fissare la vergogna, in un cer-to senso per conservare il grido che avrei vo-luto risuonasse nel mondo. Le foto conser-vano ancora oggi lo stesso significato del gior-no lontano in cui furono scattate, cioè il miotimore che in futuro nessuno voglia più am-mettere che tutto questo è veramente acca-duto”. Il libro, che racchiude le “cento foto”,con una lunga introduzione dell’autore e unaprefazione di Heinrich Böll, è uscito final-mente anche in italiano, pubblicato dalla ca-sa editrice Giuntina di Firenze (174 pagine,lire 20.000). Leggete il racconto della sua vita e guardatequelle foto terribili. Immagini di persone di-strutte dalla fame e dal freddo ormai alle so-glie della morte. Ma anche volti che, nel ’41,sono ancora pieni di dignità. C’è una foto checolpisce e commuove nel profondo, dove sivedono ebrei, con l’obbligatorio bracciale conla stella di David, che, in quell’inferno, cer-cano libri in una bancarella improvvisata. Unodi loro fruga fra quei volumi con una atten-zione straordinaria. Chissà chi era. Un inse-gnante, un bibliotecario, un artigiano, un me-dico, un avvocato, un operaio? Per i nazistiera soltanto un “sottouomo”, in attesa dellacamera a gas. Questa e non altro era la filo-sofia della “soluzione finale”. Nessuno do-veva essere risparmiato. Fossero stati inGermania Einstein o Charlot, anche per loronon ci sarebbe stato scampo.

I.P.

Un soldato tedesco che odiava il nazismo scattò

“Ho fissato l’orrore nel ghetto di Varsavia”

Il Ghetto

di Varsavia

All’entratae all’uscita,un recintosorvegliatochiudevatutta lazona (nellapagina afianco inbasso asinistra).Nella fotogrande unapanoramicasotto laneve.Anche sesottopostia terribiliprivazionigli ebrei del ghettononavevanopersoil desiderio di cultura(nellapaginaa fianco in basso a destra).

Un ragazzoperquisitoall’ingressodel ghetto.

Page 45: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

45

centinaia di foto, a suo rischio e pericolo

Page 46: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

46

Giornoper

giorno“Negazionismo”da voltastomaco

(f.g.) - C’è da trasecolare ma è proprio una storia vera. Unostorico inglese, tale David Irving, ha pensato bene di farcausa ad una collega americana, la professoressa DeborahLipstadt dell’Università di Atlanta, perché non sopporta piùche questa gli dia del negazionista, che, come noto, è co-lui che non crede all’Olocausto. Irving sotiene che di que-sto passo la sua carriera sarebbe rovinata per cui desiderache l’Alta Corte di Londra gli restituisca al più presto l’o-nore perduto.Ipotesi assai improbabile soprattutto adesso che sono in ar-rivo, messe a disposizione dal governo di Israele all’“im-putato”, le “memorie” di Adolf Eichmann, uno che certa-mente non può essere smentito.Semmai Irving dovrà guardarsi dal pubblico non più di-sposto a veder massacrata la storia da questo professore,fra l’altro già condannato da un tribunale tedesco per averaffermato nel ’92 “che Auschwitz era una frottola inventa-ta dai polacchi per interessi turistici”.“È un’intollerabile trappola internazionale montata controdi me, i calunniatori vogliono emarginarmi ma resisterò”,ha commentato, turbato, il negazionista al termine di unadelle prime udienze. Poi, veloce, ha gua-dagnato la porta d’uscita senza rinun-ciare a voler esporre un suo ultimo gra-zioso pensiero a difesa della personalereputazione: “Ci sono state più donnemorte nelle auto di Ted Kennedy che neicampi tedeschi. Fonderò l’Asshols, l’as-sociazione dei sopravvissuti di Auschwitze altri bugiardi”.Da voltastomaco. Tessera numero uno,la sua, per il primo grande impostore.

✔Davvero egregio lo striscione “onore al Gatto Silvestro”con il quale la curva del Torino ha voluto replicare al la-ziale “onore alla Tigre Arkan”, recente casus belli dellacampagna contro gli striscioni violenti. Ci devono averemesso lo zampino, in quello striscione gattesco, quelli di“Fegato Granata”, minimo e ottimo foglio satirico germi-nato, a suo tempo, dai paraggi di “Cuore” e dei suoi letto-ri. Se l’esempio dei parodisti granata dovesse attecchire,parecchia della cattiva andrenalina che stilla dalle curve po-trebbe riconvertirsi nel fiele intelligente (e non violento)della satira, e negli stadi ci sarebbe, finalmente, qualcosadi meglio della pubblicità da leggere per ingannare il tem-po. Non è vero, per giunta, che lo sport, essendo per suanatura drammatico, sia condannato ad essere poco spirito-so. Al contrario: l’elaborazione del lutto (e la sconfitta è unlutto) è una delle più forti e praticate ragioni della satira.Lo humour ebraico ne è una delle massime dimostrazioni.La comicità è un’ottima maniera di abitare nel tragico sen-za lasciarsene sopraffare. Perché la Lega Calcio, con tuttii quattrini che ha, non istituisce un premio per lo striscio-ne più spiritoso?

Michele Serra(l’Unità 8 febbraio 2000)

Buone letture

Page 47: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

47

Quando Haidertrionfava a Varese

(f.g.) - Con alle spalle la gazzarra antisemita degli anni ’70,quando un manipolo di nazistelli accolse con croci unci-nate la squadra di basket di Tel Aviv e con le regolari esi-bizioni dei loro eredi che continuano imperterriti le anti-che gesta allo stadio e al Palazzetto dello sport (??), laVarese “nera” si è fatta trovar pronta al nuovo appunta-mento della storia, quella con la “s” minuscola, inneggiandoal governatore xenofobo della Carinzia, Jorg Haider, cheha fatto ricordare a David Grossman che gli ebrei, quandotornano con la memoria alla Shoah, non parlano di quelloche è successo “allora” ma di quello che è accaduto “là”.Là, in Austria, dove si può ripetere.Ma i nostri giovani imbecilli forse non lo sanno. Si diver-tono a disegnare svastiche naziste. Ogni tanto alzano al cie-lo dei cori immondi. “Haider nel nostro cuore” accanto adun esemplare “Fuori lo straniero” campeggiano, color ver-de prato, su alcuni muri delle scuole varesine. Nelle vie delcentro i più composti “Viva Haider” con tanto di sigla (lafirma?) del sole della Padania stilizzato, sono stati ripulitisenza fretta. Borghezio, il braccio armato di Bossi, uno chedi questi affari se n’intende, aveva tuonato: “Haider? Unmoderato. Noi ci sentiamo vicini al suo partito!”.Che il cancelliere tedesco Schroder, nel timore di un ritor-no delle destre al potere nel nostro Paese, non si riferissetanto agli ex fascisti ma a questi signori, gli ex-secessio-nisti, di cui Varese è lo zoccolo duro?

Una delle decine di scritteinneggianti al governato-re della Carinzia apparsesui muri di Varese e rima-

ste in gran parte al loroposto malgrado la richie-sta di alcuni cittadini dicancellarle.

Page 48: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

48

NOTIZIE

Primo Levi e le sfide della scienza

Caro Direttore,quando in Francia uscì la biografia di Primo Levi scritta dauna signora Anissimov (Primo Levi o la tragedia di un ot-timista) fu accolta da critica abbondante e negativa, e cistupisce che attualmente tale “saggio (778 pagine) vengapubblicato in Italia senza correggerne le inesattezze, cheoffrono un Primo Levi alquanto improbabile. Quel che in-vece non ci stupisce è il proliferare e la costanza di sem-pre nuovi esordienti che, rileggendo qua e là, reinventano,a idea propria, una tragedia sull’uomo Primo Levi e, più omeno tutti, arzigogolano sulle vicende “lager” senza con-siderare che egli non è stato solo ebreo e deportato ma an-che un uomo e quindi dovrebbe poter riposare in pace. Se invece di memoria si deve parlare che sia almeno testi-monianza, e allora vi sarebbe ben poco da dire, giacché egliera uomo ilare e sereno (e questo non interessa né com-muove la curiosità contemporanea) ed era altresì riservatosulle vicende personali e, quindi, ben poco vi sarebbe dascovare tra le parole del sentito dire altrui. Ho conosciuto Primo Levi a Settimo Torinese quando ge-stiva il settore vernici della S.I.V.A., così era citata quel-l’azienda, ma non si trattava di vernici vere e proprie ben-sì di smalti speciali che avevano risolto un problema basi-lare, quando l’Italia di alcuni anni prima si era affacciataal mercato dell’esportazione asservita dall’acquisto di ma-teriali tecnologici all’estero. La difficoltà di mercato eradovuta all’autarchia del ventennio fascista che ignorò l’u-tilità degli interscambi culturali col resto del mondo, giac-ché presumeva che bastasse la mistica fascista della capa-cità italica di sudare per far risorgere un novello ImperoRomano. Tale eredità la stiamo pagando tuttora, giacchémolti imprenditori pensano si possa ancora oggidì conti-nuare a rodere sui costi di manodopera ed escludendo la

Legnano ricorda i deportati della ex TosiA Legnano è stato celebrato il56° anniversario della deporta-zione a Mauthausen degli ope-rai impegnati nella lotta di libe-razione alla Franco Tosi e allaex Comerio. Dopo la funzionereligiosa e una fermata comme-morativa di un minuto, hannoparlato all’assemblea dei lavo-ratori un delegato delle rappre-sentanze sindacali e SergioD’Antoni, segretario generaledella Cisl. Un corteo si è poisvolto nelle vie cittadine, con de-posizione di corone al cippo chericorda i deportati della Comerio,al Monumento e al Campo deipartigiani e dei deportati. Allacerimonia era presente una de-legazione dell’Aned, che ha con-segnato un messaggio del pre-sidente dell’Associazione.

Milano:Benemerenza civica alla famiglia PavarottiUn attestato di Benemerenzacivica è stato conferito dalComune di Milano, nel di-cembre 1999, alla memoria del-la famiglia Pavarotti. “Paganocon un altissimo tributo di san-gue”, si legge nella motivazione“il loro amore alla democrazia,alla libertà, alla giustizia. Unfratello deportato nel campo disterminio di Mauthausen, altridue eroicamente caduti sul SanMartino di Varese, nella valo-rosa resistenza contro i tede-schi subito dopo l’8 settembre.Il loro è un esempio perenneofferto alle giovani generazio-ni che si affacciano alla re-sponsabilità civile”.

“Sportello-scuola”dell’Aned per gli insegnanti

Durante tutto l’anno scolasti-co funzionerà presso l’Aned(sede di Milano, via Bagutta12, tel. 02/76006449 -02/76020637) uno “Sportello- scuola” (giovedì mattina dal-le 11.00 alle 13.00, prof.ssaGiovanna Massariello Merza-gora) per i colloqui con gli in-

ricerca scientifica per offrire al mercato estero merci a bas-so costo. Torniamo a Primo Levi, che ebbe la sorte di in-contrare un imprenditore dalle idee chiare e che già nel do-poguerra tentava di mettersi alla pari col resto delle nazioniprogredite. La sfida da affrontare proveniva da una consi-derazione di base: qualsiasi prodotto industriale destinatoall’esportazione conteneva parti elettromeccaniche che do-vevano essere importate, per meglio dire ogni particolare(dal modesto timer a qualsiasi macchina elettrica, rotanteo statica) necessitava di conduttori elettrici ricoperti da untipo di isolante chimico che in Italia non si sapeva cosa fos-se. La soluzione di questo problema portò Primo Levi al-l’apprezzamento mondiale. Per Primo Levi il successo significava viaggi, incontri e ri-conoscimenti morali dovunque, in ditta molto rispetto epurtroppo alcune invidie, che alla fine crearono una situa-zione difficile per un uomo retto. Diede le dimissioni, for-se credendo di soddisfare la propria creatività col mestie-re di scrittore e la testimonianza di ex deportato, ma quelmondo gli aveva lasciato un vuoto irrecuperabile. Si po-trebbe raccontare del suo umor faceto, l’ammiccare con itecnici, le generose occhiate muliebri, le trasferte conFaussone, che non esisteva, ma che è stato una parte di cia-scuno dei numerosi montatori e collaudatori degli impian-ti di smaltatura. Insomma smontare la figura solamente gri-gia che ne fanno codesti biografi da biblioteca (a tacere dichi maestro di scienza ne rimescola il cervello) e chiede-re: “Dite signori e signore Se questo è un uomo”. Egli erainvece quanto mai umano, sarebbe bastato il non averlo la-sciato troppo solo, e tante altre amarezze quotidiane taciutele avrebbe superate chissà dialogando, e forse sarebbe an-cora tra noi, schivo, arguto e radioso a un tempo.

Felice Malgaroli

segnanti, finalizzato alla con-sultazione e alla diffusione dimateriali idonei alla realizza-zione di progetti educativi sul-la “Memoria”.Per maggiori informazioni sipuò consultare il sito Aned,www.deportati.it

Chi scrive la lettera ha lavorato per circa sette anni nello stesso gruppo aziendale e vi ha incontrato Levi sia per lavoro che da ex deportato (Mauthausen).

Page 49: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

L’Aned di Sesto San Giovanniricorda con sincero affetto lafigura dell’ex deportato

Alvaro Terzi

del Consiglio di sezione emembro onorario, scompar-so il 27 dicembre 1999. Natoil 15 luglio 1927 a Monza,dove abitava, ha lavorato al-la Breda di Sesto SanGiovanni come calderaio bat-timazza. Ad appena 16 an-ni partecipò, dopo l’8 set-tembre 1943, all’attività an-tifascista clandestina dentroe fuori la fabbrica. Nella not-te del 31 gennaio 1944, pri-ma dei grandi scioperi delmarzo, fu arrestato nella pro-pria abitazione. Dopo alcu-ni mesi trascorsi nel carce-re di San Vittore, il 14 mar-zo 1944 venne tradotto daBergamo a Mauthausen do-ve giunse il 17 dello stessomese. Fu immatricolato conil n° 59166 e quattro giornipiù tardi trasferito a GusenI. Lavorò in condizioni di-sumane alla costruzione delcampo di Gusen II e alla ca-va di Kasthofen di Gusen I.È stato un testimone pre-zioso per i giovani, che ognianno partecipano ai “viaggidella memoria” nei lager.Fermo nella difesa dei va-lori antifascisti, attento allesofferenze dell’uomo e de-dito alla famiglia.

49

L’Aned di Milano annunciacon profondo dolore la scom-parsa di

Innocenzo Verri

deportato nel campo diBolzano.

Per molti anni Verri ha porta-to con orgoglio la bandieradell’Aned a tutte le manife-stazioni. Ha lasciato un gran-de vuoto sia nella sezione chein tutti coloro che lo hannoconosciuto. La moglie diInnocenzo Verri ha preso ilsuo posto nell’Aned per ono-rarne sempre la memoria.Milano, 23 febbraio 2000

È deceduto il 6 marzo

Saffo Morelli

deportato a seguito degli scio-peri del marzo 1944 all’età di14 anni nel campo diMauthausen, Ebensee, Flori-chsdorf e Gusen.

L’Aned di Verona annunciacon dolore la scomparsa, av-venuta nel novembre delloscorso anno, di

Giuseppa Ferrari

vedova di Protasio Riva, exdeportato a Mauthausen.

L’Aned di Milano annunciacon dolore la scomparsa di

Luciano Greatti

nato a Livorno il 1° luglio1925, superstite del campo diconcentramento di Dachau,deceduto il 5 dicembre 1999.

L’Aned di Milano annunciacon dolore la scomparsa di

Francesco Bruzzese

avvenuta il 20 dicembre 1999.Nato a Mammola (ReggioCalabria) il 17 maggio 1918,aveva subito la deportazionenel campo di Dora.

L’Aned di Milano annunciacon dolore la scomparsa di

Gina Nora(vedova Ferri)

avvenuta a Riccione nel di-cembre scorso. Nata a Luzzara(Reggio Emilia) il 23 agosto1919, aveva subito la depor-tazione a Dora e Belsen

L’Aned di Milano comunicacon tristezza la scomparsa di

Andrea Moroni

avvenuta il 23 dicembre del-lo scorso anno. Nato aBoffalora (Milano) il 9 mar-zo 1920, era stato deportatonei campi di Buchenwald,Dora e Mauthausen.

L’Aned di Torino annunciacon profondo cordoglio lascomparsa dei soci

Bice Mattiotto

deportata di Ravensbruck -matricola 44149 deceduta il10 ottobre 1999

Agostino Meda

deportato di Mauthausen - ma-tricola 58981 deceduto il 31gennaio 2000

I NOSTRI LUTTI

L’Aned di La Spezia annun-cia la morte del suo segretario

Lorenzo Bettaccini

deportato di Bolzano, matri-cola 9003, membro delConsiglio nazionale.Aveva quattordici anni nelsettembre del 1943, eppureassieme al fratello Mario siunì ai primi nuclei partigia-ni che si erano costituiti sul-le montagne, adoperandosiper portare alle formazioni learmi rimaste incustodite nel-le caserme. In seguito divenne staffettadella Colonna “Giustizia eLibertà”. Arrestato nel no-vembre del 1944, venne por-tato alla famigerata casermadel 21° Regg.to Fanteria, di-venuta la sede delle brigatefasciste, quindi a Marassi edin seguito nel campo diBolzano.Qui venne rinchiuso nel bloc-co E dove rimase sino alla li-berazione.Al ritorno a casa non di-menticò mai questa sua espe-rienza e divenne membro at-tivo della nostra sezione pro-vinciale. In questi ultimi an-ni quale segretario della se-zione, fu infaticabile comeorganizzatore degli annualiviaggi ai campi, guida sem-pre presente per studenti edocenti.Non dimenticò neppure i gior-ni della lotta partigiana e portòancora ragazzi e professorilungo le vallate e i sentierimontani che furono testimo-ni della Resistenza, illustrandola vita del partigiano perché,“anche lì si soffriva e si mo-riva”.Si adoperò per seguire tuttele pratiche dei superstiti e deifamiliari e solo una grave ma-lattia poté fermarlo per sem-pre.La sezione lo ricorda a tut-ti coloro che gli furono ami-ci, cosciente che la sua scom-parsa lascia un grande vuo-to, ma anche la volontà diseguire con coraggio la suastrada.

DachauLe cerimonie commemorative dell’anno 2000 si terranno, come d’abitudine,

la domenica seguente la liberazione del campo di Dachau

domenica 30 aprile 2000

Il Comitato Internazionale si riunirà sabato 29 aprile 2000.All’assemblea sarà presente il delegato nazionale dell’Aned, generale Luigi Mazzullo.

Page 50: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

50

CONGRESSO

L’attualità del messaggio

maggio3ore 9.00 - 13.00

● apertura dei lavori● saluti delle Autorità● relazione del Presidente avv. Gianfranco Maris● relazione del prof. Enzo Collotti, ordinario di storia

contemporanea dell’Università di Firenze:“Riflessioni sul messaggio europeista della Resistenza”

● intervento del Sen. Oscar Luigi Scalfaro già Presidentedella Repubblica italiana

● dibattitoore 13.00 - 14.30

● pausa pranzoore 14.30 - 18.00

● relazione del prof. Augusto Graziani, docente di econo-mia pubblica dell’Università “La Sapienza” di Roma:“Prospettive della globalizzazione: vantaggi e svantaggi”

● dibattito● elezioni delle commissioni elettorale e politica

XIICongresso nazionaledell’Aned

Saladelle bandiere

del campo di Mauthausen

1All’indomani della liberazione i deportatisuperstiti sentirono il bisogno morale di dire a tutti gli uomini d’Europa e del mondo ciò che erano stati i campi di sterminio e quello che essi ritenevanofosse l’insegnamento di una esperienzache non ha precedenti nella storia dei popoli. I superstiti di Mauthausen e Buchenwalddi tutte le nazionalità lanciarono un loromessaggio a tutti i popoli del mondo. I superstiti sono stati per 55 anni non reduci ma protagonisti e testimoniattivi in difesa di una memoria che eraportatrice dei valori sui quali intendevanofosse costruita la nuova società.

2Il loro messaggio – che si rivolgevasoprattutto alle nuove generazioni –esprimeva semplici ma ricchissimiconcetti.Essi hanno sempre sottolineato il valoredella fratellanza, della solidarietà,dell’unità, degli sforzi comuni comecondizioni essenziali e insopprimibiliperché tutti i popoli potessero conseguireil traguardo della libertà e della giustizia.I deportati di tutti i campi nazistiparlavano 21 lingue, avevano 21 culturediverse, avevano tradizioni e costumidiversi, appartenevano a 21 etnie. Il loro insegnamento è ancora pienamentevalido per affrontare i problemi del secoloche si è appena aperto.

3Il mondo è radicalmente cambiato nei suoiprocessi economici, nella ridistribuzionedella ricchezza, nella fenomelogia dei processi politici, nelle istituzioni,nel diritto, nella informazione,nella formazione del pensiero. Si è aperta l’epoca di una globalizzazioneineluttabile e sconosciuta che stainvestendo e mutando tutto e tutti.Un fenomeno epocale investe sempre più il secolo che nasce: quello dellospostamento delle popolazioni imposto al mondo dai bisogni di tutti, dei paesiricchi come di quelli poveri: i primi per avere contributi di lavoro, gli altri per potere lavorare e ricevere un salariodignitoso, senza il quale non ci può esserepromozione umana. L’emigrazione è quindi una realtà attornoalla quale ruoterà l’avvenire del mondoprossimo futuro. Le diversità sonodestinate ad incontrarsi perché hannobisogno le une delle altre per sopravvivere e progredire. Le comunità del futuro saranno formate da più lingue, più etnie, più culture,più religioni.

Page 51: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

51

dei superstiti dei campi

maggio4 maggio5ore 9.00 - 13.00

● relazione del prof. Enrico Pugliese, ordinario di sociologia del lavoro dell’Università “Federico II” di Napoli:“Problemi della emigrazione”

● dibattitoore 13.00 - 14.30

● pausa pranzoore 14.30 - 18.00

● relazione del Prof. Danilo Zolo, docente dei filosofia del diritto dell’Università degli studi di Firenze:“Prospettive future sui diritti degli uomini (normativa da Norimberga in poi)”

● dibattito● relazione finanziaria: tesoriere Italo Tibaldi● dibattito

ore 18.00● coro Singkreis Mauthausen

ore 9.00 - 12.30● dibattito con i rappresentanti dei Comitati Internazionali

sul documento politico conclusivo - messaggio● approvazione del documento conclusivo● votazione per l’elezione degli organismi dirigenti

dell’ANEDore 12.30

● chiusura del Congresso da parte del Presidente Avv.Gianfranco Maris

Nel corso dei lavori porteranno il loro saluto autorità italiane estraniere

4È in questa situazione che il monito deisuperstiti dei campi di concentramentonazisti assume una nuova e ancor piùgrande validità. È possibile oggi – anchetenendo conto di quella tragica esperienza– impedire i conflitti che i processi di globalizzazione e lo spostamento di popolazioni possono creare nelle variesocietà nazionali. Si possono costruiresocietà nuove, pluraliste per lingue, etnie,culture, religioni, costumi sulla base dei valori di tolleranza, di fratellanza e di solidarietà che restano – come 55 annifa – la ragione e il fondamento della

5Ma nuovi pericoli oggi appaionoall’orizzonte. Haider e Blocker, i liberalinazionalisti austriaci e quelli dell’Unionedi centro svizzera, con le loro sceltexenofobe, raccolgono consensi per unapolitica di isolamento e di chiusura. La loro unica proposta è quelladell’esclusione di ogni altra cultura e di ogni altra etnia. Questa politica si contrappone alle proposte di costruiresocietà nuove, inserendo comunità nuovein quelle vecchie del nostro continente,coniugando fra loro le diversità,nella tolleranza e nella fraternità. Il rischioper il nostro secolo è una deriva etnicapreoccupante che può contenere i prodromidi vicende molto gravi.La nostra esperienza ci ha insegnato chenon si può attendere che nascano i mostriper muoverci. Dobbiamo operare subito

per costruire, nella cultura e nel rispettodella democrazia, i necessari anticorpi,quei processi culturali che corrispondonoall’interesse di tutta l’umanità.La memoria ha un significato solo se siriesce a rielaborare i processi che hannoportato ad un risultato di dolore e di morte,per prevenire ciò che potrebbe nuovamenteverificarsi. Alle soglie del nuovo millennio,i deportati di tutte le nazionalità che hannocombattuto il fascismo e il nazismo, nellaconsapevolezza comune che proprio ladeportazione è stato il primo momentodell’unità europea, formulano un comunemessaggio affinché l’Europa non siasoltanto l’unione di mercati e di monete,ma sia soprattutto sostanza di uomini e divalori condivisi, per la crescita di unasocietà pluralista in cui si possanoaffermare diritti umani uguali per tutti.

promozione umana, individuale e collettiva. Sono queste le categorie del pensiero e dell’agire sociale ancoracapaci di condurre al superamento dei conflitti e delle differenze e chepossono contribuire alla costruzione di società diverse nelle quali tutticonvivono e danno un contributo alla ricchezza di tutti. Le identità non devono essere cancellate. È il riconoscimento e il rispetto dellediversità che rende possibile la coesistenzasenza conflitti per un comune impegno, nelrispetto delle leggi, senza negarsi a vicenda.

Page 52: TRIANGOLOTRIANGOLO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ROSSO ex deportati politici Nuova serie - anno XX N. 2 aprile 2000 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96

52

Si tratta di cifre – fornitecida Agorà, la società che ciospita ormai da un paio di an-ni – che confermano mese do-po mese il nostro sito comeil più consultato in assolutoin Europa sull’argomento del-la deportazione.Il fenomeno – lo ammettia-mo – ha preso un po’ di sor-presa persino noi stessi. Il grande balzo nei dati di gen-naio si spiega in parte con lapubblicazione su alcuni gran-di organi di stampa – ilCorriere della sera, la Re-pubblica, oltre a RadioRai –dell’indirizzo del nostro sitonei giorni a cavallo del 27gennaio, anniversario della li-berazione di Auschwitz, gior-nata scelta – non ancora inmodo formale, a dire il vero– come “Giornata della me-moria”.

Dopo l’exploit di gennaio era-vamo sicuri che ci sarebbestata una piccola flessione.Ne eravamo così convinti chel’abbiamo scritto anche nelsito. E invece a febbraio ec-co un ulteriore incremento del30% delle pagine lette.Di più: non solo è raddop-piato in questi stessi 5 mesiil numero di visitatori, ma èanche quasi raddoppiato – da2’29” a 4’42” – il tempo chein media ciascun visitatorespende per consultare le no-stre informazioni. Segno que-sto che la nostra realizzazio-ne si afferma sempre di piùcome uno strumento di con-sultazione e di approfondi-mento. Del resto anche i con-tenuti del sito sono enorme-mente aumentati in questi me-si. Come sa chi ha visitato lenostre pagine, le notizie re-

peribili al nostro indirizzo(http://www.deportati.it) so-no aggiornate come minimoogni 3 giorni, e anche questoè un piccolo-grande recordper un progetto fondato inte-ramente sul volontariato.Una segnalazione particolaremerita infine un’altra pecu-liarità del nostro sito: l’elen-co dei Paesi dai quali in que-sti cinque mesi qualcuno si ècollegato col nostro indiriz-zo conta ormai la bellezza di43 nomi, dall’Arabia Sauditaagli Usa, passando per ilGiappone, la Germania,l’Islanda, il Pakistan, laThailandia, e via elencando.Due dati saltano all’occhio,guardando le statistiche dei“contatti” dall’estero: il pri-mo è che gli amici italiani,pur quasi quadruplicati nelperiodo, sono ancora menodella metà del totale (il no-stro sito cioè ha oltre il 50%dei visitatori dall’estero). Ilsecondo è rappresentato dal-la classifica dei Paesi nei qua-li contiamo i più assidui fre-quentatori delle nostre pagi-ne: al primo posto c’è laSvizzera, seguita da pressodalla Germania, dalla Franciae dall’Austria. E non c’è si-

curamente bisogno di spen-dere troppe parole per sotto-lineare il valore di cifre checonfermano Germania eAustria ai primi posti per l’in-teresse verso la deportazioneitaliana.Il forte seguito internaziona-le è giustificato anche dal fat-to che le pagine essenziali delsito sono oggi tradotte in in-glese e tedesco. Abbiamo in-somma mantenuto l’impegnopreso alcuni mesi fa di fron-te al Consiglio nazionaledell’Aned. E ci piace pubbli-camente ringraziare qui il gior-nalista tedesco Eggert Blum,un amico che ha realizzatogratuitamente per noi la ver-sione tedesca.Oggi siamo alla vigilia di nuo-vi, importantissimi sviluppi,grazie a un progetto che stia-mo avviando in collabora-zione con il Dipartimento dimatematica e informaticadell’Università di Udine. Sitratta di un progetto destina-to a imporre una svolta deci-siva nella digitalizzazione de-gli archivi dell’Aned, di cuiparleremo diffusamente nelprossimo numero di questogiornale.

Dario Venegoni

Triplicati in 5 mesi i visitatoridel nostro sito Internet

Austria e Germania ai primi posti nella classifica dei Paesi più assidui

Continua a crescere e a raccogliere un sempremaggiore numero di visitatori. In 5 mesi, da ottobre ’99 a febbraio 2000,il numero delle “pagine” consultate mediamenteogni giorno è più che triplicato:si è passati dalle 1.598 di ottobre, a 1.878 a novembre, a 2.379 a dicembre, per arrivare a 3.841 a gennaio e a 4.989 a febbraio.

Nella tabella: così ècresciuto da ottobre ’99 a febbraio 2000 il numerodelle pagine consultate ogni giorno sul nostro sito.

Files richiesti: media giornaliera

5000

4000

3000

2000

1000

0ott-99 nov-99 dic-99 gen-00 feb-00

files