Tre miti sul comportamento umano durante le emergenze...TRE MITI SUL COMPORTAMENTO UMANO DURANTE LE...

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© Drägerwerk AG & Co. KGaA 1 Che cosa pensate che succeda se nel vostro stabilimento scatta il sistema di allarme gas o si attivano le sirene di allarme incendio? Come reagiranno i dipendenti? Si ricorderanno tutte le regole, le vie di fuga, le procedure praticate nelle esercitazioni anche nella fretta di un evento reale? O scoppierà il caos? Tre miti sul comportamento umano durante le emergenze ST-2165-2003

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© Drägerwerk AG & Co. KGaA 1

Che cosa pensate che succeda se nel vostro stabilimento scatta il sistema di allarme gas o si attivano le sirene di allarme incendio? Come reagiranno i dipendenti? Si ricorderanno tutte le regole, le vie di fuga, le procedure praticate nelle esercitazioni anche nella fretta di un evento reale? O scoppierà il caos?  

Tre miti sul comportamento umano durante le emergenze

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2003

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TRE MITI SUL COMPORTAMENTO UMANO DURANTE LE EMERGENZE

– una formazione più pratica, in cui il dipendente simula diversi scenari di allarme e le necessarie operazioni di soccorso

– un esame critico del proprio sistema di allarme: i vari segnali possono essere identificati chiaramente ed esistono istruzioni chiare per ogni situazione di pericolo? Troppi segnali diversi generano confusione e possono disorientare fornendo troppe informazioni. Troppo pochi, d’altro canto, potrebbero lasciare spazio alle interpretazioni circa la causa del pericolo.

– l’installazione di dispositivi di allarme (ad es. rilevatori di gas) con il più basso rapporto possibile di falsi allarmi.

Anche se la sicurezza operativa non è mai stata migliore, il “fattore umano” resta difficile da calcolare nelle situazioni di allarme. Eppure, ogni piano d’emergenza operativo si basa su alcune ipotesi di base riguardo al nostro modo di reagire a situazioni di minaccia. Molte di queste ipotesi sono acquisite e trasmesse durante la formazione professionale e raramente sono messe in discussione. Persistono così alcuni miti circa il comportamento delle persone durante le emergenze anche se successivamente sono stati confutati dagli studi di psicologia comportamentale.

Questo è vero, a patto che sia chiaramente evidente ai dipendenti che esiste un pericolo immediato per la vita o l’incolumità delle persone. Tuttavia, le situazioni di allarme sono raramente così chiare ed evidenti, e spesso viene perso tempo prezioso prima che le persone coinvolte sul posto valutino correttamente la situazione e agiscano. Invece di tentare di mettersi al sicuro nel più breve tempo possibile, le persone aspettano segnali supplementari, discutono con i colleghi se potrebbe essere solo un falso allarme o una prova, cercano altri segnali come fumo o fiamme, e quindi perdono quei secondi preziosi che nel peggiore dei casi possono fare la differenza tra la vita e la morte.

Per un’evacuazione immediata e tempestiva è essenziale che in caso di allarme la situazione e le misure da adottare diventino chiare il più presto possibile. Questo può essere favorito in anticipo, ad esempio mediante:

Erik auf der Heide1

“È più efficace scoprire come le persone normalmente rispondono a un allarme e quindi basare un piano di emergenza su tale risposta che elaborare un piano e quindi aspettarsi che le persone lo seguano.”

I dipendenti rispondono a un allarme immediatamente1

1 auf der Heide, Erik. Common Misconceptions about Disasters: Panic, the ›Disaster

Syndrome‹, and Looting. In: O’Leary, M. 2004. The First 72 Hours: A Community

Approach to Disaster Preparedness. Lincoln, Nebraska, iUniverse Publishing. Fonte:

http://www.atsdr.cdc.gov/emergency_response/common_misconceptions.pdf, dicembre 2014)

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TRE MITI SUL COMPORTAMENTO UMANO DURANTE LE EMERGENZE

L’immagine di individui (o addirittura gruppi di persone) fuori controllo che agiscono irrazionalmente è una visione dell’orrore per tutti gli addetti alla sicurezza – e viene vista così spesso, in notizie, film e TV, che molti considerano il panico un fenomeno “normale” durante le emergenze. In realtà, però, il panico non è una risposta né automatica né particolarmente tipica. Specialmente in ambienti di lavoro industriali, dove il rischio di potenziali incidenti imprevisti viene regolarmente comunicato a ogni dipendente durante le relative esercitazioni di addestramento, gli scenari drammatici non sono del tutto impossibili, ma rimangono rari. Secondo gli esperti, il panico scoppia solo, ma non necessariamente, in presenza di tre fattori simultanei:

1. la percezione di un grande pericolo per sé o altre persone vicine,

2. la convinzione che il salvataggio è possibile, ma le vie di fuga e le opzioni sono limitate e non possono essere seguite senza limitazioni, e

3. una sensazione di impotenza e incapacità di evitare il pericolo in altri modi.

Almeno due di questi fattori possono essere efficacemente influenzati da misure preventive. L’obiettivo è quello di dare ai dipendenti un senso di sicurezza anche in situazioni di pericolo, ad esempio per mezzo di

– ridondanza di misure di sicurezza, ad es. predisponendo ulteriori vie di fuga alternative

– disponibilità di sufficienti dispositivi di protezione individuale e materiali di addestramento per esercitarsi a indossarli in pratica

– regolari esercitazioni di addestramento con simulazioni quanto più realistiche possibile.

Non appena scoprono che l'allarme è reale, le persone vanno in panico2

Paul e Ron Gantt2

“La paura, nonostante sia una

motivazione forte, non porta

necessariamente a comportamenti

di panico in situazioni di disastro

e di emergenza.”

2 Gantt, P. + R. 2012. Disaster Psychology. In: Professional Safety, Agosto 2012

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TRE MITI SUL COMPORTAMENTO UMANO DURANTE LE EMERGENZE

Al contrario: soprattutto durante situazioni estreme gli esseri umani si rivelano esseri fondamentalmente sociali. Le persone che hanno sperimentato situazioni di emergenza o catastrofi riferiscono tutte di un’enorme solidarietà, disponibilità ad aiutarsi e generosità tra le persone colpite.

Osservazioni pratiche e studi scientifici confermano che in situazioni di pericolo collettivo domina un comportamento sociale positivo. Questo vale ancora di più se le altre persone colpite non sono estranee, ma sono persone vicine, come i colleghi. Pertanto il “fattore sociale” può effettivamente diventare un pilastro della cultura della sicurezza operativa – ed esistono numerosi metodi per migliorarla positivamente:

– incremento della formazione sulla sicurezza con elementi interattivi e compiti per i team

– integrazione di un cambio di ruoli nelle sessioni di addestramento: questo consente ai dipendenti di acquisire prospettive differenti – per esempio quella di un tecnico esterno che non conosce bene i dispositivi di sicurezza dell’impianto

– implementazione di gruppi di compagni nei processi di sicurezza, per esempio, quando s’indossano i dispositivi di protezione individuale. Esercitazioni con azioni congiunte anche durante le situazioni di pericolo simulate

– definizione e comunicazione chiara dei ruoli e delle responsabilità per le emergenze

– promozione di una comunicazione aperta riguardo a errori e mancati incidenti (“near miss”), analisi congiunta delle cause di incidenti con esercizi su “Come avrei affrontato io questa situazione”

In un evento reale, ognuno pensa solo a salvare se stesso. 3

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