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il fallimento della transizione al socialismo in Urss

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La transizione sconfitta144Andrea CatoneLa transizione bloccatail modo di produzione sovietico e la dissoluzione dellURSS Indice Introduzione 1. La transizione bloccata 2. Il modo di produzione sovietico e la dissoluzione dellURSS 3. Razionalit e piano nella teoria sovietica 4. Organizzazione del lavoro e societ di transizione: possibile un taylorismo sovietico? 5. Il problema irrisolto della costruzione di uneconomia socialista6. Il modello di Stalin: una societ perennemente mobilitata per uscire dallarretratezza 7. Lideologia del socialismo maturo 8. Gli anni di Gorbaev: una catastrofe non annunciata9. Il magnifico 89 10. La disgregazione dellURSS 11. La fine del PCUS 12. Il dibattito su Stato e democrazia al crepuscolo dellUnione Sovietica13. La casa comune europea... 14. LOttobre di Boris Elcyn15. La Russia doggi: instabilit e questioni irrisolte BibliografiaIntroduzione Sono raccolti in questo volume quindici testi - di diversa natura e dimensione - pubblicati tra il 1985 e il 1997 (1). Essi ruotano tutti sostanzialmente intorno al problema del socialismo in URSS e alle ragioni della sconfitta - che segna la fine di unepoca - del primo prolungato tentativo di costruzione di una societ socialista. Ma il lettore non trover in essi giudizi definitivi e trancianti su ogni questione: il continente URSS talmente vasto e profondo da non consentire risposte pienamente soddisfacenti. Credo, per, che possa essere di qualche utilit il modo in cui le questioni vengono sollevate, e, soprattutto, il fatto che esse vengano sollevate e rimangano aperte. Il che non affatto scontato. Con la fine dellURSS nel 1991, infatti, abbiamo assistito, dopo un dibattito durato una breve stagione, ad una sorta di rimozione del bilancio storico del movimento comunista e del problema teorico della transizione al socialismo. La forma pi semplice di rimozione quella che segue le mode culturali del momento, che insegue il movimento, e che ritiene perci inutile riflettere e discutere su una formazione economico-sociale definitivamente passata, un dinosauro estinto. Ma vi sono altri modi di rimozione. Vi la rimozione degli irriducibili e dichiarati avversari del comunismo, alla von Hayek: quella esperienza non poteva non sfociare in un disastro, perch sbagliata sin dalle origini, negatrice della libera impresa e del mercato. Un altro modo, pi sottile e pi insidioso, di rimozione quello del palingenetico, di chi ritiene che si debba ritornare alle pure origini, direttamente a Marx - mettendo tra parentesi una storia, in fondo, di errori e di orrori - per ricominciare, tutta daccapo, una nuova storia: un modo di non fare i conti con la propria vecchia storia. Ma si pu rimuovere una storia anche involontariamente, con la semplificazione eccessiva, col rifiuto fideistico di ogni approccio critico, di chi ritiene che le pagelle dei buoni e dei cattivi, dei rivoluzionari conseguenti e lungimiranti e dei carrieristi opportunisti e traditori siano state gi da un pezzo compilate, che la storia sia in fondo gi scritta per intero, la spiegazione di tutto quanto avvenuto ormai consolidata. Modi diversi per non fare veramente i conti con la storia della formazione economico-sociale sovietica, i cui 74 anni di vita rappresentano - nel grandioso e contraddittorio processo delle sue realizzazioni e delle sue involuzioni, delle sue vittorie entusiasmanti e dei suoi arretramenti deludenti - il pi lungo e complesso tentativo di transizione al socialismo che si sia sino ad ora conosciuto; unesperienza, che stata - nel bene e nel male - paradigmatica e fondativa delle altre rivoluzioni di orientamento socialista del XX secolo, dalla Cina a Cuba, dalla Jugoslavia al Vietnam, dallAlbania al Nicaragua. Dobbiamo forse ringraziare il Libro nero del comunismo - unoperazione politico-ideologica tendente a liquidare definitivamente tutta lesperienza del movimento comunista come sequela ininterrotta di orribili delitti e stragi, ben peggiore del fascismo e del nazismo - se, grazie alla rozzezza dellimpostazione di S. Courtois (2) - secondo cui la storia delle lotte di classe e delle rivoluzioni di ispirazione comunista del XX secolo era tutta gi scritta nellidea stessa di rivoluzione comunista, nella sua presunzione fatale di imporre una teoria utopica in totale contrasto con la realt - potr rinascere un interesse per lanalisi storica del movimento comunista del XX secolo e le questioni che esso solleva? La storia del movimento comunista nel 900 ha conosciuto pagine terribili, rispetto a cui non si possono assumere atteggiamenti apologetici o giustificazionistici. Ma se vogliamo capirne effettivamente le dinamiche, non possiamo operare con criteri riduzionistici: se c una lezione di Marx che Lenin non ha cessato di ripetere, quella dellanalisi concreta della situazione concreta, della specificazione storica. La storia del movimento comunista del 900 non pu essere compresa non solo se si prescinde dal contesto esterno, ma anche dalla questione dellarretratezza. Questione sollevata da Plechanov, dai menscevichi, da Kautsky, ma anche, qualche anno dopo, dai comunisti di sinistra, gi allindomani della rivoluzione dOttobre per sostenere limpossibilit del passaggio al socialismo saltando la fase borghese-capitalistica. Questione ben presente a Lenin e a gran parte del gruppo dirigente bolscevico. Questione che si riproporr a Mao e a Guevara nel secondo dopoguerra. La conquista del potere politico da parte dei comunisti - che sin dal Manifesto di Marx ed Engels posta come condizione necessaria (ma non sufficiente) per la trasformazione economico-sociale - avvenuta in paesi arretrati, con scarso sviluppo borghese e capitalistico. Il movimento comunista allesordio del 900 si imbattuto nella terribile contraddizione di un progetto politico emancipatore avanzatissimo in una societ arretrata. Di qui, dopo che alla met degli anni 20 si delineava chiaramente la sconfitta della rivoluzione in Occidente, una continua corsa contro il tempo, per forzare le tappe, con momenti volontaristici e fughe in avanti, che non potevano non produrre forti tensioni sociali, contraddizioni violente, non sempre e non facilmente governabili - anche dal politico pi equilibrato - con la mediazione politica e il compromesso. Ma il volontarismo comunista (cos forte anche nel giovane Gramsci che guarda alla rivoluzione russa) non pu essere compreso senza il fallimento di quel positivismo evoluzionistico che impregna la II Internazionale e fallisce completamente di fronte alla prova della prima guerra mondiale. Si dimentica spesso che le rivoluzioni comuniste del 900 furono prodotte, certo, dalla determinazione e dalla capacit strategica dei suoi dirigenti (qualit che lavversario di classe non perdoner mai), ma, soprattutto, da violentissime contraddizioni interne e internazionali: la storia che sinora abbiamo conosciuto non ha proceduto secondo scansioni ben preordinate, lungo una scala evolutiva unilineare. I bolscevichi hanno tentato - facendo leva sulle contraddizioni politiche e sociali che non essi avevano prodotto - il primo assalto al cielo in condizioni difficilissime. Non rimuovere, ma fare i conti con queste esperienze, significa anche rimettere sul tappeto alcune questioni fondamentali - teorico-politiche - che hanno assillato generazioni di comunisti e di marxisti e che mantengono - al di l delle contingenze - tutto il loro peso: come costruire uneconomia socialista? Come collocarsi nelle contraddizioni del mercato mondiale? Come realizzare uneffettiva socializzazione dei mezzi di produzione? Qual il ruolo dello Stato nella transizione? Quale il ruolo del partito comunista? Quale il rapporto partito-masse? Come superare la separazione/contrapposizione tra dirigenti e diretti? Come contrastare linvoluzione del processo rivoluzionario? Quale educazione? Quale cultura? Quale concezione del mondo? Il percorso - non lineare - che i saggi raccolti in questo volume cercano di delineare, potrebbe anche essere esplicitato nei punti che seguono (una sorta di tesi per un bilancio del movimento comunista): 1. La rivoluzione dOttobre segna un momento fondamentale non solo nella storia del movimento operaio, ma dellintera umanit. il primo tentativo vittorioso del proletariato e delle classi subalterne di rovesciare i rapporti sociali dominanti e di costruire una societ nuova. Essa segna anche lavvio di un poderoso processo di emancipazione dei popoli oppressi e di sviluppo di lotte anticoloniali e antimperialistiche. 1.1. La rivoluzione costituisce una rottura radicale dei rapporti di propriet dominanti nellimpero zarista. In particolare: la soppressione della propriet privata capitalistica dei mezzi di produzione e il suo passaggio a propriet di Stato pressoch generalizzata; lavvio della pianificazione economica con una distribuzione di risorse e di lavoro che rende possibile il pieno impiego; un sistema progressivo di accesso agli studi e sviluppo dellistruzione; un sistema di garanzie sociali sulla base delle risorse esistenti. 1.2. La rottura operata nei rapporti di propriet, tuttavia, non si sviluppa pienamente nel senso di una socializzazione reale, di unappropriazione effettiva da parte dei produttori diretti e della societ nel suo complesso dei mezzi di produzione (con la possibilit di esercitare su di essi tutte le prerogative di proprietario, dalla decisione sul come, cosa, quanto produrre alla gestione e al controllo). Il potere reale di disposizione sulla propriet viene di fatto esercitato dai direttori di impresa, dagli organi centrali della pianificazione. 1.2.1. Si produce in tal modo una forma inedita di divisione sociale del lavoro: separazione tra lavoro intellettuale (funzione di comando) e lavoro manuale (funzione esecutiva). Una divisione tra chi gode del potere di disposizione sui mezzi di produzione e sulle risorse e chi di fatto ne escluso. I primi, lo strato dirigente economico e politico, si trovano in posizione privilegiata rispetto ai secondi, anche riguardo alle condizioni materiali, allaccesso a beni di consumo. Lesistenza di tali privilegi materiali, se evidenzia condizioni di diseguaglianza sociale, non costituisce, tuttavia, lelemento centrale determinante i rapporti di produzione in questa societ. 1.2.2. In URSS non si realizza unautentica democrazia proletaria: dal potere effettivo di decisione e controllo sui processi economici, sociali e politici rimangono in gran parte escluse le masse lavoratrici. 1.3. Nel complesso, si determina un sistema che potrebbe essere definito di transizione bloccata: non funziona secondo una logica capitalistica (non si muove secondo la massimizzazione del profitto e lantagonismo tra capitali privati), ma non funziona neppure secondo una logica socialista (impiego pianificato, ottimale e razionale delle risorse in funzione del massimo soddisfacimento dei bisogni sociali). Vive cos contraddizioni specifiche sue proprie, le contraddizioni della transizione bloccata. 1.4. Il ruolo storico svolto dal partito bolscevico, poi PCUS, stato rilevantissimo. Esso ha avviato e diretto uno dei pi grandi processi di trasformazione della societ e ha impostato con i suoi dirigenti, Lenin in particolare, una delle pi serie riflessioni sulla natura del capitalismo moderno, sullimperialismo, sulla transizione verso il socialismo. La storia del PCUS non pu essere in alcun modo ridotta a galleria degli orrori, come vuole il Libro nero. 1.4.1. Dopo la presa del potere e una fase di acutissime lotte interne su grandi opzioni strategiche (quale via di sviluppo percorrere?, quale rapporto coi contadini? come collocarsi nel contesto internazionale dopo la sconfitta delle rivoluzioni in Occidente?) il partito comincia ad assumere un ruolo e una funzione che non gli sono propriamente costitutivi: da organo di direzione politica del grandioso processo di trasformazione sociale a organizzatore diretto e controllore meticoloso di ogni sfera della societ, ivi comprese la cultura, larte, la scienza. Si trasforma in apparato che duplica le funzioni dello Stato. (Questa trasformazione del partito sovietico risulta particolarmente evidente negli ultimi decenni e con la perestrojka: la crisi del partito, a partire dal 1989, si riflette direttamente sulla tenuta complessiva delleconomia, che attraversa una crisi catastrofica di disorganizzazione). 1.4.2. A questo dilatarsi di funzioni economiche e statali corrisponde una riduzione e un depauperamento della funzione propriamente politica e teorico-politica. Tale depauperamento viene colmato da una visione fortemente sacrale e gerarchica del partito; esso - invece che il luogo e lelaboratore collettivo, attraverso una vivace dialettica interna, di un pensiero e di una linea politica fondati sullanalisi delle contraddizioni della realt - diviene, nella figura del suo capo, linfallibile e indiscutibile custode della verit in ogni campo, dallideologia, alla scienza, allarte. 1.4.3. Il modo in cui, negli anni della direzione staliniana, il partito sovietico ha affrontato le contraddizioni (che inevitabilmente si sviluppano e acuiscono in un processo di profonde trasformazioni sociali), senza distinguere, nella maggior parte dei casi, tra contraddizioni antagonistiche e inconciliabili (lavoro/capitale; imperialismo/popoli oppressi) e contraddizioni in seno al popolo, trasformando in nemico del popolo ogni avversario che si opponeva alla linea politica adottata dalla direzione, ha pregiudicato lo sviluppo di una seria e reale dialettica interna al partito e alla societ sovietiche, che si sono in tal modo fortemente impoveriti di quadri e di idee. Costretti ad adeguarsi in modo conformistico a decisioni imposte dallalto, ridotti a funzionari e meri esecutori, una parte consistente dei quadri del partito diviene sempre meno capace di analizzare dialetticamente la realt con le sue contraddizioni. Il partito si riveler intimamente fragile, poco reattivo (come dimostra il suo comportamento tra il 1989 il 1991). 1.5. Sulla questione delle cause storiche del blocco della transizione in URSS, questione che stata al centro di un ampio dibattito teorico tra marxisti, bene evitare risposte semplificate e consolatorie (lindividuazione del nemico di turno) che pure sono state presenti nel movimento comunista internazionale (ivi comprese le sue ali eretiche) ostacolando cos la comprensione reale dei processi sociali. 1.5.1. Tra le cause oggettive un ruolo rilevante hanno giocato: larretratezza del paese, che non era solo economica (poche isole industriali in un oceano di campagna prevalentemente arretrata), ma anche culturale (la non numerosa classe operaia, per di pi decimata dalla guerra civile non ha quel bagaglio di cultura tecnico-industriale, di gestione economica, che le consenta di affrontare adeguatamente la gestione delle imprese e delleconomia nel complesso); la sperimentazione di un campo totalmente nuovo nella storia dellumanit, quale quello del calcolo economico in uneconomia di transizione (in cui non pu essere soppressa immediatamente la forma merce, il cui campo dazione va orientato e delimitato in un mercato determinato da rapporti sociali non capitalistici); la sconfitta, negli anni del primo dopoguerra, delle rivoluzioni in Occidente, che priva lURSS del sostegno economico e culturale del proletariato dei paesi avanzati e la lascia sola a difendere la rivoluzione; la sindrome da fortezza assediata che spinge il partito ad estendere e rafforzare il controllo su ogni aspetto della societ; il peso della tradizione culturale e delle consuetudini (lautocratismo zarista, la delega al capo, il burocratismo inefficiente) che tendono a permanere per pi duna generazione e non possono essere cancellate per decreto, volontaristicamente, da unavanguardia illuminata, che ritenga di poter forzare oltre ogni limite il corso dei processi storici, ricorrendo troppo spesso alla coercizione esterna nei confronti delle masse, piuttosto che al difficile, lungo, laborioso lavoro di ricerca del consenso. Le riflessioni dellultimo Lenin andavano in questo senso. 2. Lesperienza storica dellURSS non pu essere considerata come un blocco unico, senza soluzione di continuit. Essa stata scandita da fratture che, nellapparente continuit delle forme della propriet statale e della pianificazione, hanno per modificato profondamente i rapporti sociali reali. 2.1. Nel periodo post-staliniano permangono e si accentuano la separazione tra dirigenti e diretti e la divisione sociale del lavoro tra funzioni di comando e funzioni esecutive, pur in presenza di condizioni oggettive nuove (ampia industrializzazione del paese, scolarizzazione di massa, istruzione superiore tecnica diffusa, sviluppo consistente della ricerca scientifica) che potrebbero consentire di avviarne il superamento. 2.1.1. Lallentamento della stretta coercitiva e repressiva senza lemergere di una partecipazione attiva e responsabile dei lavoratori alle scelte produttive e alla gestione delle imprese, senza la sostituzione della coercizione esterna (che si accompagnava per anche con forme di consenso) dellet staliniana con una forma di coercizione interna, di consapevolezza del fine da raggiungere e del ruolo svolto nella societ (che possono essere dati solo da una appropriazione effettiva dei processi economici e sociali da parte dei lavoratori), si traduce in progressiva perdita di controllo da parte degli organi centrali della pianificazione sui processi produttivi, in un peggioramento della qualit della produzione. Il consenso della classe operaia viene ottenuto, ma a farne le spese sono lorganizzazione razionale del lavoro, la produttivit, lo sviluppo tecnologico, mentre si diffondono enormi sprechi, forme di parassitismo, uneconomia parallela semiclandestina e uneconomia nera e illegale, con caratteristiche anche mafiose, che svuoteranno di senso lazione del piano, accresceranno a dismisura lo iato tra paese ufficiale e paese reale. il compromesso sovietico, che si affermer soprattutto nel periodo brezneviano. 2.1.2. Anche se vi sono alcuni settori prioritari (industria atomica, aerospaziale), il complesso delleconomia sovietica funziona molto al di sotto delle sue possibilit effettive e, soprattutto, si dimostra incapace di tradurre ampiamente in innovazione tecnologica limmenso patrimonio scientifico di cui il paese dei Soviet si dotato. 2.2. Questo modello sovietico si riproduce in forme pi o meno analoghe nei paesi dellEuropa centro-orientale in cui si affermano, nel secondo dopoguerra, le democrazie popolari, attraverso processi in cui generalmente si combinano lazione di massa di partiti e forze comuniste autoctone con lapporto talora determinate dellURSS. 2.2.1. I limiti economici e politici di tale modello - che inizialmente riesce a produrre, soprattutto nei paesi prevalentemente agricoli dellEuropa orientale, grandiose trasformazioni, e che ottiene innegabili successi nel campo dellistruzione di massa e dellassistenza sociale - incideranno alla lunga negativamente nei rapporti tra questi paesi e lURSS e nei rapporti interni al mercato comune (COMECON) dei paesi socialisti. 2.2.2. Anche per i limiti economici di questo modello, i dirigenti di questi paesi (Ungheria e Polonia in particolare) sono spinti, con una grave sottovalutazione dei rapporti reali allinterno del mercato capitalistico mondiale, ad accedere, negli anni 70, ai crediti occidentali, senza riuscire pi ad uscire dalla morsa del debito estero: le loro scelte di politica economica dipenderanno sempre di pi dai dettami del FMI, che imporr politiche restrittive e aumenti dei prezzi, con conseguenti rivolte operaie e popolari che erodono fortemente il consenso verso questi regimi. 2.3. I limiti del modello sovietico si riflettono anche nei rapporti tra URSS e paesi in via di sviluppo (Asia, Africa), che, attratti fortemente nei primi due decenni del secondo dopoguerra dallesempio dellURSS (e da questa sostenuti direttamente o indirettamente nelle loro lotte anticoloniali e di indipendenza nazionale contro limperialismo), se ne distaccano in seguito: lURSS si rivela incapace di fornire impianti e prodotti industriali in grado di favorire lo sviluppo e liberare questi paesi dalla dipendenza economica dal capitale occidentale, che utilizzer il ricatto economico per avviare una massiccia offensiva di ricolonizzazione nei confronti di quei paesi che, sulla scia dei nuovi rapporti di forza mondiali stabiliti dalla vittoria sovietica nella coalizione antifascista, avevano acquisito lindipendenza politica. 2.4 La debolezza economica interna del modello sovietico sar anche alla base dellincapacit dellURSS di cogliere un vantaggio significativo dal momento di maggiore difficolt dellimperialismo americano (met degli anni 70), sconfitto e umiliato in Vietnam e alle prese, come tutto lOccidente, con la grande crisi capitalistica dei primi anni 70, mentre movimenti di liberazione nazionale di orientamento marxista coglievano consistenti vittorie anche in Africa (Angola, Mozambico). 2.4.1. Un ruolo notevole nel facilitare la ripresa dellimperialismo americano e della sua offensiva travolgente nella guerra fredda contro lURSS tra la fine degli anni 70 e gli anni 80 stato giocato dalla rottura del movimento comunista internazionale. Tale rottura - intervenuta negli anni 60 sul terreno della lotta ideologica e politica tra i partiti comunisti cinese e sovietico su questioni di grande rilevanza (e che vanno assunte nel patrimonio storico del movimento comunista), quali le strategie della transizione, il rapporto partito-masse, il ruolo e il modo di affrontare le contraddizioni in una societ di transizione - a partire dalla met degli anni 70, porta ad una convergenza tra Cina e USA per isolare lURSS considerata allora dalla Cina come nemico principale e imperialismo pi aggressivo. 2.4.2. Lo scontro tra Cina e URSS (che sul finire degli anni 60 aveva registrato momenti di acuta tensione e di confronto militare alle frontiere) diviene guerra per interposta persona in Cambogia e nello stesso Vietnam (lezione della Cina ai vietnamiti). 2.4.3 Alla fine degli anni 70 lURSS ritorna a vivere la sindrome della fortezza assediata: minacciata ad ovest dallinstallazione dei nuovi missili della NATO e insicura ad est per la presenza di una Cina che si accorda con gli USA; con lembargo imposto dagli USA sui prodotti ad alta tecnologia e il progetto di scudo stellare di Reagan che la spossa in una continua costosissima corsa al riarmo. In questo contesto - reazione di difesa ai confini pi che azione di conquista - va inquadrato lintervento in Afganistan alla fine degli anni 70. 3. La perestrojka viene avviata dal PCUS nel suo complesso (XXVII congresso, 1986) sulla base della consapevolezza dei gravi ritardi accumulati sul terreno economico, soprattutto rispetto alla rivoluzione informatica in corso nei paesi a capitalismo avanzato. 3.1 Le terapie inizialmente indicate tendono a coinvolgere, con incentivi materiali e morali, i lavoratori nella gestione delle imprese; a responsabilizzare le singole imprese alla gestione economica, rafforzando il profitto aziendale; a incentivare linnovazione tecnologica. 3.1.1. Si pone termine ad ogni forma di repressione del dissenso politico e ideologico; si cerca di favorire la libera espressione e la critica degli intellettuali (la glasnost). 3.2 Sul piano internazionale la politica gorbacioviana mira a rompere lisolamento in cui stata posta lURSS dalloffensiva USA. La politica di Gorbaev, da un lato mira a giocare sulle contraddizioni fra i tre centri dellimperialismo mondiale, tra Europa e USA in particolare; dallaltro a spezzare la corsa agli armamenti con una grande azione diplomatica per il disarmo. 3.3. Tuttavia, la perestrojka non si basa su un serio apparato teorico: se Gorbaev formalmente fa riferimento, ancora fino al 1989, al marxismo (anzi, al marxismo-leninismo), espunge per dal suo discorso alcuni elementi essenziali del marxismo (le contraddizioni antagonistiche tra lavoro e capitale, tra imperialismo e popoli oppressi, tra imperialismi), costruendo un impasto eclettico di teorie vagamente umanistiche o mutuate dalla socialdemocrazia occidentale (teoria della convergenza dei sistemi capitalista e socialista). Tali posizioni teoriche privavano il discorso gorbacioviano di qualsiasi criticit seria e fondata nei confronti del capitalismo: tanto era dura (e in alcuni casi penetrante e teoricamente fondata) la critica verso alcuni aspetti del socialismo reale, quanto sempre pi evanescente o assente la critica verso il capitalismo reale e limperialismo, fino a sfiorare lapologia di essi. 3.3.1. Le posizioni teoriche del gruppo gorbacioviano spianano la strada a posizioni pi apertamente antisocialiste, liberiste e filocapitalistiche. La perestrojka passa ben presto ad una seconda fase, in cui il principale responsabile di tutti i mali delleconomia e della politica viene individuato nella propriet statale, nella pianificazione, nelle garanzie occupazionali e sociali fornite ai lavoratori: le politiche liberiste di Reagan e della Thatcher divengono il modello principe e insuperato per i radicali sovietici. 3.4. Se il discorso liberista - del passaggio alleconomia di mercato basata sulla propriet privata - riesce a divenire egemone, ci dovuto anche alla debolezza delle posizioni comuniste interne al PCUS, che non riescono a costruire una seria alternativa teorica e politica. Tale debolezza il risultato del modo in cui venivano formati i quadri e i militanti nel partito: lo studio del marxismo era stato ridotto in gran parte a formule vuote; premiato il conformismo; disabitudine alla lotta politica aspra e aperta, su posizioni nette e ben definite, che era stata una caratteristica della formazione del partito bolscevico ai tempi di Lenin. In et brezneviana, invece, la formazione dei comunisti non avviene n sul terreno della lotta sociale, n su quello della lotta politica e neppure culturale o ideologica, ma piuttosto su quello della carriera e del funzionariato. Cos il partito si rivela estremamente fragile di fronte agli attacchi - sul terreno ideologico e politico - portati da quella che inizialmente una minoranza, che fa intelligentemente leva su tutti i limiti, i difetti, gli errori del sistema e che nel 91 prende il potere in URSS, attuando a tutti gli effetti una controrivoluzione. 3.5 In politica estera la diplomazia del disarmo si trasforma in politica di cedimenti unilaterali e senza contropartite allimperialismo: lURSS si colloca in posizione subalterna ad esso sulla scena internazionale, cedendo ai ricatti americani su Cuba, fino allavallo dato dalla dirigenza gorbacioviana alla guerra del Golfo. 4. Il crollo dellURSS e di una parte dei paesi del socialismo reale il risultato di una lotta politica, ideologica, economica, in cui i comunisti sono stati la parte soccombente di fronte ad una controrivoluzione restaurativa. 4.1. Quanto avvenuto non il risultato inevitabile, da lunghi anni gi fatalmente scritto, della profonda crisi economica, ma anche sociale, ideologica, spirituale, del paese dei Soviet. La crisi era profonda, ma il crollo del sistema avvenuto in seguito a una lotta condotta su tutti i fronti - interno e internazionale - e a tutto campo. 4.2. In tale crollo il ruolo di Gorbaev e della dirigenza a lui vicina - che pure hanno avuto il merito di denunciare apertamente i problemi che erano di fronte allURSS - hanno avuto un peso determinante. La responsabilit soggettiva della direzione gorbacioviana essenzialmente nellabbandono del marxismo, in una pratica di cedimento allimperialismo, nel mutamento continuo e disorientante di strategia, col sacrificio delle scelte strategiche stesse alla tattica del momento. 4.3. Il crollo dellURSS e di diversi paesi del socialismo reale una sconfitta di enorme portata storica per tutto il movimento comunista internazionale, per tutte le forze progressiste. 4.3.1. Tali sistemi, con tutti i limiti e le deformazioni della transizione bloccata e le contraddizioni specifiche - allinterno e in politica estera - da essa derivanti, costituivano, tuttavia, una retrovia per i movimenti di liberazione nazionale e sociale. 4.3.2. Sullo scacchiere mondiale si lascia ora mano libera alla superpotenza USA, che cerca di utilizzare la supremazia militare per occupare posizioni contro gli altri poli imperialistici concorrenti. 4.3.3. Sul piano interno, il socialismo reale garantiva una certa distribuzione delle risorse, della sicurezza sociale, del salario e delle pensioni, dellistruzione e della medicina pubbliche. Anche qui, sono bastati un paio di anni dei nuovi regimi per far rimpiangere ampiamente quel minimo di garanzie del passato. 4.3.4. In URSS e in altri stati plurinazionali era stata realizzata, con tutte le difficolt che il peso della tradizione e di problemi plurisecolari irrisolti comportava, unaccettabile convivenza tra diverse etnie e nazionalit. E solo ex post, con i massacri nella ex Jugoslavia e nella ex URSS si pu comprendere quanto fosse importante e faticoso quellequilibrio raggiunto. 4.4. I regimi che si sono instaurati tra il 1989 e il 1991 in Europa centro-orientale e in URSS sono, nella stragrande maggioranza dei casi, regimi reazionari, tanto in politica interna che estera. Sul piano economico-sociale si presentano con una dichiarata volont di restaurare i vecchi rapporti di propriet e attuano politiche liberiste (secondo le ricette dettate dai centri del capitalismo mondiale, FMI, Banca mondiale), con licenziamenti massicci, abolizione delle garanzie sociali, aumento dei prezzi e peggioramento generale delle condizioni di vita delle masse. Sul piano politico e culturale si presentano in diversi casi come regimi di destra e filofascisti, che attuano aperte discriminazioni, iscritte direttamente nelle nuove costituzioni, rispetto alle minoranze nazionali (Croazia, Estonia, Lettonia). Tra l89 e il 91, finita la retorica delle celebrazioni, sono state attuate delle vere e proprie controrivoluzioni. 4.4.1. Il ruolo della Russia eltsiniana e degli altri regimi nel mercato capitalistico mondiale quello di partner subordinati e dipendenti dai poli forti dellimperialismo. Per questo la classe che attualmente al potere in questi paesi potrebbe essere definita come borghesia compradora. 4.5. Con lingresso di questi paesi nellormai unificato mercato mondiale si acuisce la lotta fra i tre principali poli imperialistici per il controllo economico dei mercati e risorse di questi paesi (dellex URSS in particolare, per le sue materie prime e il suo mercato potenziale). 4.6. Contro i regimi reazionari nei paesi ex-socialisti, che stanno facendo rapidamente rimpiangere alla popolazione il precedente sistema, riemerge il ruolo dei comunisti, impegnati in un difficile e a volte clandestino lavoro di riorganizzazione e di lotta politica e sociale, di rielaborazione ideologica e politica delle strategie e degli obiettivi, dellimmagine stessa del socialismo del XXI secolo. Uno sforzo di elaborazione difficilissimo, che deve fare i conti fino in fondo con lesperienza passata, individuare la radice degli errori e delle involuzioni, ma conservare anche tutto quanto di positivo in quelle esperienze c stato. Un compito che spetta ai comunisti di quei paesi - che per questo vanno guardati con rispetto e comprensione - ma anche ai comunisti di tutto il mondo per il carattere universale che lesperienza dellOttobre ha avuto. Note 1. I luoghi di prima pubblicazione dei testi qui presentati (in taluni casi con notevoli modifiche) sono: 1. La transizione bloccata, pubblicato in parte in La contraddizione, n. 22, Roma, 1991, con il titolo: I problemi della transizione; 2. Il modo di produzione sovietico e la dissoluzione dellURSS, pubblicato in parte in Cattivi maestri, n. 11, Roma, 1992, con il titolo: Le teorie critiche al vaglio degli eventi sovietici; 3. Razionalit e piano nella teoria sovietica, in Istituto di Filosofia Annali uno, Urbino, 1986, col titolo: Alcune note sul concetto sovietico di planomernost; 4. Organizzazione del lavoro e societ di transizione: possibile un taylorismo sovietico?, in Lineamenti, n. 7, Padova, 1985; 5. Il problema irrisolto della costruzione di uneconomia socialista, in ALTERNATVEeuropa, n. 2, Milano, 1997; 6. Il modello di Stalin: una societ perennemente mobilitata per uscire dallarretratezza, in lErnesto, n. 8, Novara, 1997; 7. Lideologia del socialismo maturo tratto dal saggio La parabola di unidea: 1985-1990, pubblicato in A. Colombo (a cura di), Crollo del comunismo sovietico e ripresa dellutopia, Dedalo, Bari, 1994; 8. Gli anni di Gorbaev: una catastrofe non annunciata, in lErnesto, n. 8, Novara, 1997; 9. Il magnifico 89, in Politica e classe, Roma, n. 6/7??, 1992, col titolo Per una storia del magnifico 89; 10. La disgregazione dellURSS, pubblicato in Questioni del socialismo, n. 2, Roma, 1992, col titolo Sui processi di disgregazione dellURSS; 11. La fine del PCUS, in A Sinistra, n. 5, Roma, 1991; 12. Il dibattito su Stato e democrazia al crepuscolo dellUnione Sovietica in Alternative, n. 5/6, Roma, 1996; 13. La casa comune europea..., in Marxismo oggi n.2, Milano, 1993, col titolo La casa comune europea. Russia-URSS-Europa: parabola di unideologia [il testo stato pubblicato anche in A. Ponzio (a cura di), Idee e realt dellEuropa: lingue letterature ideologie, Annali della facolt di lingue e letterature straniere dellUniversit di Bari, Schena editore, Fasano, 1995]; 14. LOttobre di Boris Elcyn fonde due articoli pubblicati in La contraddizione, Roma, n. 39, 1993 e n. 40, 1994, rispettivamente col titolo Il secondo golpe. Alcune riflessioni per discutere la Russia di Elcyn e Lultimo Soviet russo - marzo 1990 - ottobre 1993; 15. La Russia doggi: instabilit e questioni irrisolte, pubblicato parzialmente in AltrEuropa, n. 3, Milano, 1996, col titolo Dal socialismo reale al capitalismo reale. 2. Per una critica dellimpostazione e del metodo del Libro nero del comunismo, cfr. in particolare, G. Perrault, Communisme, les falsifications dun livre noir, in Le monde diplomatique, dicembre 1997; e, allinterno del dibattito promosso sul Manifesto da Rossana Rossanda, gli articoli di L. Canfora (La Comune sconfitta, 28.2.1998), D. Losurdo (Una rivoluzione nellangolo, 3.3.1998), A. Catone (La storia in tribunale, 5.3.1998). 1 La transizione bloccata Perch si arenata - e rovesciata anzi nel suo contrario - la transizione al comunismo in URSS, nellEuropa centro-orientale e in diversi paesi in cui si era in qualche modo sviluppato un processo rivoluzionario egemonizzato da partiti o organizzazioni che avevano iscritto esplicitamente nel loro programma finalit comuniste? Prima di tentare di dare risposta a questa domanda, necessario porne preliminarmente unaltra: corretto, ha ancora un senso, porre la questione in questi termini, che presuppongono avviato un processo di transizione al comunismo in questi paesi (per poi bloccarsi, degenerare, rovesciarsi nel suo contrario)? In questi termini la questione era gi posta allinterno del movimento comunista internazionale. Trockij, negli anni 30, aveva sviluppato la tesi della rivoluzione bloccata nel suo percorso e tradita dalla burocrazia che aveva espropriato la classe operaia del suo potere reale; da qui la necessit di una nuova rivoluzione politica per riappropriarsi tale potere. Mao, negli anni 60, aveva fornito diversi spunti per la costruzione di una teoria della non irreversibilit del processo storico avviato da una rivoluzione con finalit comuniste, della possibilit - inscritta nel percorso stesso della rivoluzione - che questa, nel suo processo di transizione, potesse, in determinate circostanze, a determinate condizioni - dipendenti in larghissima misura dal fattore soggettivo, dal carattere del partito e della sua teoria - trasformarsi nel suo contrario, in una restaurazione del capitalismo. Da qui lelaborazione di determinate strategie (mobilitazione delle masse, rivoluzione culturale, esaltazione del momento del controllo dei dirigenti dal basso) per evitare che la forza guida del processo di transizione, il partito comunista, cambiasse natura e seguisse la stessa strada del partito sovietico. Vale la pena di ricordare il tentativo fatto dal maoismo occidentale negli anni 70 di costruire una teoria sistematica ed una spiegazione compiuta dal punto di vista storico, dei tempi, modi, cause che portarono il processo di transizione al comunismo in URSS a trasformarsi nel suo contrario, in restaurazione del capitalismo. C. Bettelheim scrisse i suoi primi due libri sulle lotte di classe in URSS con questo preciso, dichiarato intento. Col terzo libro, agli inizi degli anni 80, mut radicalmente posizione, sostenendo che un processo di transizione al comunismo in Russia non si era mai avviato: la rivoluzione dOttobre sarebbe stata sin dallinizio capitalistica (1). In tal modo, il nodo teorico della transizione dal modo di produzione capitalistico a quello comunista non costituiva pi un problema teorico-politico, non per perch la questione fosse soddisfacentemente risolta, ma per il fatto che veniva rimossa. Si ritornava cos, in un certo modo, alle posizioni dei primi critici della rivoluzione dOttobre negli anni 20; posizioni che si riaffacciano anche oggi con maggior forza e convinzione tra molti di coloro che cercano una spiegazione, da un punto di vista comunista e non liberaldemocratico, al crollo dei socialismo reale: in quei paesi non stato mai avviato un processo di transizione al comunismo, ma si trattato, sin dallinizio, di una forma di capitalismo, di un capitalismo di tipo particolare, di un capitalismo di Stato. La tesi sul carattere sin dallinizio capitalistico dei processi intervenuti in Russia si fondava sul mancato superamento della divisione del lavoro, sul mantenimento del rapporto salariale (oltre che sulla permanenza di rapporti mercantil-monetari), sul fatto che - si diceva - lorganizzazione del lavoro nella fabbrica sovietica fosse modellata su quella capitalistica. Una transizione, dunque, mai avviata perch: - il modo materiale di produrre non mutava, ma era mutuato e modellato su quello capitalistico; - con la forma della propriet statale generalizzata, in presenza di un modo materiale di produrre sostanzialmente capitalistico, fondato sulla divisione del lavoro, tanto nella fabbrica (divisione tecnica del lavoro), quanto nella societ (divisione sociale del lavoro) (2) non si realizzava una socializzazione effettiva dei mezzi di produzione. La propriet statale generalizzata, in queste condizioni, non poteva che configurarsi come capitalismo di Stato, il quale si riveler, alla lunga, meno efficiente del modello capitalistico proprio alle economie occidentali (3). A favore delle posizioni che negano lavvio di un processo di transizione nei paesi del socialismo reale gioca anche il fatto che quasi tutti questi paesi erano caratterizzati - prima dellascesa al potere dei partiti comunisti - da condizioni di arretratezza nello sviluppo delle forze produttive, che non favorivano di certo la preparazione materiale alla socializzazione dei mezzi di produzione: la presa del potere politico in Russia come in Cina interveniva ben prima che fossero mature le condizioni materiali per la transizione al comunismo. I processi avviati dai partiti comunisti al potere potrebbero dunque essere inscritti nella storia del passaggio da condizioni precapitalistiche e semifeudali a un modo di produzione capitalistico; i partiti comunisti si sarebbero sostituiti in questo caso alle borghesie nazionali, avrebbero svolto il ruolo di queste ultime. Un gigantesco inganno e autoinganno avrebbe caratterizzato la storia di queste societ. Negare che in Russia e negli altri paesi del socialismo reale si fosse avviato un processo di transizione al socialismo, di per s, potrebbe implicare solo una valutazione sulla storia reale di quelle societ e non comportare affatto, come conseguenza inevitabile, la negazione della categoria di transizione in generale (a meno che non si voglia postulare leternit del capitalismo). Potrebbe significare solo affermare che non si conoscono esperienze nella storia del 900 che abbiano segnato lavvio di un processo di transizione al comunismo, che la storia della societ postrivoluzionarie non va letta sotto la categoria di transizione, ma sotto altre categorie (instaurazione di forme di capitalismo di Stato inedite nella storia, con un particolare meccanismo di riproduzione, con specifiche crisi di sovraccumulazione di capitali, ecc.) (4). La rimozione della questione della transizione nellanalisi delle societ postrivoluzionarie estremamente allettante e si presenta con indubbi vantaggi pratici immediati: ci esime soprattutto dallingrato compito di misurarci con le ragioni del fallimento delle esperienze dei paesi definiti del socialismo reale: fallimento del socialismo non c, perch socialismo non c mai stato, e, dunque, siamo a un nuovo inizio, di una storia affatto nuova, per la realizzazione del vero comunismo, ecc... Non possiamo continuare ad affrontare questa questione senza una definizione della categoria di transizione. Con essa non si intende il generico movimento storico, il divenire, della societ che si sviluppa attraverso le sue contraddizioni (che ogni momento che passa sia un momento di transizione una banalit tautologica che pu accettare anche chi non si pone dal punto di vista del materialismo storico). In Marx non ritroviamo esposta in modo compiuto e sistematico una teoria della transizione, che pu per essere ricavata dai suoi scritti (5). Lidea di transizione come fase di coesistenza e antagonismo di pi regimi economici presente nellanalisi leniniana della situazione russa allindomani della rivoluzione dOttobre. Transizione implica un periodo pi o meno lungo - articolato anche in fasi diverse (la sussunzione formale e la sussunzione reale, secondo il Marx del capitolo VI inedito del Capitale) - di passaggio da un modo di produzione ad un altro. La transizione, dunque, non si esaurisce n pu confondersi col momento della rivoluzione politica o semplicemente del passaggio del potere politico da una classe ad unaltra, anche se questelemento politico - la costituzione di un nuovo Stato - svolge un ruolo non secondario e non eludibile nel processo di transizione. Si pu assumere pi specificamente sotto la categoria di transizione quella fase storica in cui convivono pi regimi economici in reciproca dipendenza, collaborazione e/o antagonismo, in cui il vecchio entrato in crisi, ma non stato ancora soppiantato e il nuovo si sta formando, ma non ancora divenuto lelemento principale, che caratterizza e impregna di s una data formazione storico-sociale (da cui la differenza, che possiamo riprendere da Lenin, tra questultima e la categoria di modo di produzione). Si pu dire che un processo di transizione giunga a termine quando il nuovo modo di produzione diviene non lunico, ma quello determinante e dominante. Avremo cos societ caratterizzate da un dato modo di produzione. Il modo di produzione dominante tende a sottomettere a s, al suo scopo della produzione (Zweck der Produktion) gli altri modi di produzione che con esso coesistono in posizione subalterna o a superarli. Lelaborazione di una teoria marxista della transizione si basa sullanalisi del processo storico concreto che porta dal modo di produzione feudale a quello capitalistico. Nei Grundrisse Marx ci avverte che, se possibile, partendo dalla forma pi complessa (la societ capitalistica) comprendere anche le forme precedenti pi semplici (societ antica, feudale), in cui sono presenti in forma embrionale i rapporti sociali che arriveranno a maturazione nella forma pi complessa, se lanatomia delluomo una chiave per lanatomia della scimmia, non si pu fare invece loperazione inversa (6). Ci significa che dallanatomia della societ capitalistica, dallantagonismo reale in essa presente, possiamo cogliere alcuni elementi che consentono di prefigurare il modo di produzione comunista, ma che non possiamo assolutamente definire le sue leggi scientifiche di funzionamento. Possiamo prefigurare delle ipotesi dei processi di transizione, senza la pretesa di definirne le concrete fasi storiche, di mettere le brache alla storia. Anche e soprattutto perch - contro ogni insostenibile visione storicistico-deterministica - il superamento del modo di produzione capitalistico in senso comunista non una necessit ineluttabile, ma solo una possibilit. Il che non significa affatto affermare, come gli apologeti di oggi, lintramontabilit dellorizzonte capitalistico: il capitalismo condannato a perire dalle proprie contraddizioni interne. Il problema, per dirla con W. Benjamin, se perir di mano propria o per mano del proletariato (7). Il processo reale delle interne contraddizioni del modo di produzione capitalistico, in altri termini, pu anche andare non verso il suo superamento (una negazione da cui emerge il positivo: Aufhebung), ma verso una qualche forma di dissoluzione-distruzione. Nessuna provvidenza, dunque, nessun moto verso una meta finale inevitabile: lesito della transizione non scontato o predeterminato e il comunismo solo una possibilit aperta dalle contraddizioni del capitalismo. Una possibilit che pu realizzarsi solo a condizione - tra laltro - che il soggetto rivoluzionario sappia leggere correttamente quelle contraddizioni e agire su di esse nel modo pi conveniente. La costituzione (non arbitraria o casuale, ma posta oggettivamente dallo sviluppo stesso delle contraddizioni del capitalismo) di tale soggetto un elemento indispensabile della transizione al comunismo, non solo e non tanto nella fase di rottura del vecchio assetto di potere politico, del vecchio Stato, quanto, soprattutto, in funzione della direzione cosciente e secondo un piano delleconomia. Da quanto sopra detto deriva anche che la transizione al modo di produzione comunista ha una peculiarit intrinseca: quella di essere un movimento promosso da forze sociali organizzate ed orientate secondo un progetto determinato, movimento cosciente di una soggettivit rivoluzionaria. Il fattore politica - e quindi, per unintera lunga fase, il fattore Stato - gioca in questa transizione un ruolo essenziale. Se si assume, contro ogni pretesa deterministica, che la transizione al comunismo solo una possibilit offerta dalle contraddizioni del capitalismo, bisogna allora riconoscere non solo che il periodo di transizione un periodo di lotta tra diversi regimi economici e tra le classi che in essi si costituiscono, ma anche che il processo di transizione non del tutto irreversibile. Dico non del tutto, nel senso che poco probabile un ripristino puro e semplice del vecchio ordine, invece ben possibile che anche le trasformazioni strutturali avviate in direzione della transizione comunista possano - venendo meno determinati presupposti - essere sussunte sotto il capitale. Ad esempio, le cooperative operaie (autogestite dai lavoratori) nelle societ in cui determinante il modo di produzione capitalistico rappresentano - come sostiene Marx nel III libro del Capitale (8) - dei momenti di rottura in positivo (negazione della propriet privata capitalistica e sua sottomissione ai lavoratori) dellordine economico capitalistico, la costituzione di un regime economico basato sulla propriet sociale dei lavoratori in contrapposizione alla propriet privata capitalistica: rappresenterebbero, quindi, a tutti gli effetti una tappa nella transizione al modo di produzione dei produttori associati. Ma perch la transizione proceda in direzione comunista e non di una forma di propriet privata di gruppo, occorre una direzione e organizzazione consapevoli delle cooperative operaie che si sviluppi in antagonismo con la forma capitalistica. Se manca questo elemento di organizzazione antagonistica consapevole, la forma cooperativa, di per s, pu essere sussunta sotto il capitale e il suo scopo fondamentale della produzione. Quando ci avviene - come avvenuto per il movimento cooperativo nei paesi capitalistici - il capitale non distrugge la forma cooperativa (che si era costituita in antagonismo con il capitale stesso), ma la utilizza ai suoi fini. un ritorno indietro nel processo di transizione, ma non un mero ritorno alle vecchie forme. Un discorso analogo si potrebbe fare anche per quei paesi che hanno tentato consapevolmente di avviare un processo di transizione, ponendo sotto il controllo dello Stato, formalmente diretto dai lavoratori, la propriet dei mezzi di produzione. Questi paesi rappresentavano, allinterno di un mercato mondiale determinato dal capitalismo, dei punti di rottura in positivo dellordine capitalistico, rispetto al quale si ponevano in antagonismo. Al pari delle cooperative, tali paesi sono stati riassorbiti dal pi forte rapporto capitalistico dominante, che non ha mai cessato la sua pressione esterna - economica, politica, militare, ideologica - su di essi. La reversione del processo di transizione dei punti di rottura allinterno del mercato mondiale non pu non essere vista anche come conseguenza di questa pressione esterna. Il che, per, non ci esime dallanalisi dei processi storici che in questi paesi sono intervenuti, delle ragioni interne (soggettive: povert di elaborazione teorica, debolezza di direzione politica, assenza di capacit egemonica da parte delle forze guida del processo di transizione; e oggettive: arretratezza nello sviluppo delle forze produttive) per cui la transizione ha subito uninversione, La sconfitta del grande e ripetuto assalto al cielo del movimento comunista del XX secolo intervenuta a diversi livelli; un ruolo certamente rilevante stato svolto dal fattore economico. La stessa dissoluzione jugoslava, con tutto il seguito di guerre e massacri, non spiegabile senza la grave crisi economica che induce le repubbliche pi ricche della federazione al separatismo. A grandi, grandissime, linee, credo si possano individuare due nodi fondamentali, che, pur nella vasta pluralit e diversit di esperienze, hanno costituito il limite invalicato (salvo in rari, pur se significativi, momenti) delle rivoluzioni ad orientamento socialista del XX secolo e la causa della loro sconfitta sul terreno della formazione di una nuova e pi avanzata organizzazione economica. Luno, interno, stato costituito dallincapacit di passare ad uneffettiva autogestione, da parte dei lavoratori tutti, della produzione e dellorganizzazione economica nel complesso. Laltro, esterno, stato quello - determinato dalle condizioni storiche in cui la rivoluzione si svolgeva - di circoscrivere sostanzialmente il tentativo di trasformazione economica nellambito dello Stato nazionale. Nella crisi e nel successivo tracollo delle economie dellURSS e dei paesi del COMECON, della Jugoslavia, dellAlbania, il ruolo determinante non stato svolto essenzialmente dalla carenza o scarsa presenza di una economia di mercato. Questa tesi stata proposta in modo sempre pi martellante ed incalzante da un vasto movimento ideologico, presente sia in URSS che in Occidente, che concepiva il mercato come lunico luogo in cui potessero formarsi razionalmente i prezzi delle merci e le scelte economiche di allocazione delle risorse e destinazione degli investimenti produttivi. Se, dunque, in codesta rappresentazione ideologica, il mercato risultava essere lunico luogo deputato alla razionalit economica, il piano economico stabilito centralmente era ritenuto il suo opposto: il generatore principale di irrazionalit economica. Ma non solo: leconomia di mercato era rappresentata come lambito nel quale poteva esprimersi effettivamente la sovranit dellindividuo consumatore, libero di scegliere (come suona il titolo del libro dei Friedman) (9), di far valere le sue decisioni, votando, attraverso lacquisto, le merci a lui pi confacenti: il mercato era la democrazia, lunica autentica democrazia possibile, di contro al piano centralizzato, espressione del comando dallalto esercitato dispoticamente su produttori e consumatori. Ma leconomia di mercato non pu che fondarsi sullesistenza di una molteplicit - antagonistica nel movimento della concorrenza - di capitali privati (in forma individuale o di gruppo, azionaria): , in re ipsa, incompatibile con una forma di propriet sociale socialista. NellURSS della perestrojka gorbacioviana (1985-1990) divenne egemone lideologia di von Mises: impossibile uno sviluppo razionale di uneconomia fondata sulla propriet sociale dei mezzi di produzione e sulla pianificazione (10). Il rallentamento dei ritmi di sviluppo in URSS e nei paesi dellEuropa centro-orientale, con la successiva crisi, parevano confermare la previsione liberista formulata 60 anni prima. E, tuttavia, se indubbio che esistevano grandi limiti nella teoria e nella pratica del calcolo economico in URSS e nelle economie del COMECON (tentativi che, a partire dal grande dibattito sulla pianificazione svoltosi in URSS negli anni Venti (11), costituiscono, nonostante la sconfitta presente, un patrimonio prezioso per chi intenda battere nuove strade e non uniformarsi al pensiero unico dominante), risulta mistificante (ideologica, nel senso marxiano dellIdeologia tedesca) la tesi che equipara mercato e democrazia, piano e dispotismo. Per dirla in breve, non la carenza di mercato, ma la carenza di effettiva autogestione e autogoverno sono state in ultima istanza la causa principale della crisi di queste economie. Il comunismo un nuovo modo di produzione che si sviluppa dalle insanabili contraddizioni del modo di produzione capitalistico. In antitesi alla propriet privata capitalistica, il comunismo il modo di produzione determinato dalla propriet sociale, il modo di produzione dei produttori associati. Alla socializzazione da parte di tutta la societ dei mezzi di produzione spinge, secondo Marx, lo stesso modo di produzione capitalistico, in cui la produzione riveste carattere sociale. Ma parlare di propriet sociale (di tutta la societ e non solo di piccoli gruppi) significa parlare di un modo di produzione in cui mutano radicalmente i rapporti sociali tra i produttori, lorganizzazione e la gestione della produzione e delleconomia nel suo complesso. Propriet sociale implica necessariamente una pianificazione sociale della produzione ed una gestione sociale della stessa. Implica rapporti non antagonistici tra i produttori e nel rapporto di produzione, e rapporti non antagonistici nella distribuzione pianificata socialmente dei beni prodotti. E ci implica, a sua volta, il raggiungimento di un determinato grado di maturit da parte dei soggetti sociali impegnati nella produzione, il loro trasformarsi da esecutori parziali di direttive imposte dalle direzioni aziendali capitalistiche in coordinatori e dirigenti consapevoli di un immenso processo collettivo di produzione. Implica, necessariamente, una grande rivoluzione culturale che trasformi i membri della societ in soggetti consapevoli e altamente competenti (dal punto di vista tecnico, organizzativo, gestionale, ecc.). A differenza di tutti i principali precedenti modi di produzione - schiavistico, feudale, capitalistico - che si sono basati sulla divisione del lavoro tra lites dirigenti (in grado di dirigere e organizzare il processo produttivo) e masse oppresse e incompetenti, il comunismo richiede il superamento di questa divisione sociale del lavoro tra dirigenti e diretti, richiede, per definizione, che i soggetti sociali siano tutti dirigenti: questo tema stato particolarmente caro a Lenin - anche la cuoca deve potere e sapere dirigere lo Stato - e, con insistenza ancora maggiore, a Gramsci. Se ci volgiamo rapidamente alla storia del comunismo del XX secolo, possiamo vedere che - al di l di tutti gli errori (e anche gli orrori) politici - il punto debole delle esperienze delle rivoluzioni comuniste non stato il modo in cui i comunisti sono arrivati al potere, ma stata la trasformazione, la riorganizzazione del modo di produzione. Il tratto comune generale a queste esperienze stato costituito dalla nazionalizzazione (pi o meno generalizzata, in ogni caso dominante) dei principali mezzi di produzione. Ci accaduto pure in Jugoslavia e in Polonia (anche se sono rimasti ampi tratti di economia privata, propriet contadina, ecc.). Ci che alla fine non riuscito, stata la trasformazione della propriet statale dei mezzi di produzione in propriet comunista, cio in propriet diretta e gestita da tutti i membri attivi della societ. La propriet statale dei mezzi di produzione rappresentava tuttavia, per dirla con lEngels dellAntidhring (12), il mezzo formale necessario per la transizione al comunismo (dico rappresentava, perch oggi, nella fase del capitalismo transnazionale, il processo di transizione al comunismo non pu non essere pensato su scala mondiale). Ma se ancora debole - per limmaturit storica del soggetto sociale - la capacit di organizzare collettivamente leconomia, la transizione al comunismo si blocca, si ripiega su se stessa, fino alla sua implosione, come accaduto per lURSS. A distanza di tempo e post festum, si pu affermare che il comunismo del XX secolo - che ha saputo prendere il potere statale e trasformare la propriet privata in propriet statale, ma non ha saputo compiere il passo successivo del passaggio al modo di produzione comunista - stato un comunismo immaturo. Le sue vicende sono state determinate, in ultima istanza, dallimmaturit non tanto delle sue direzioni politiche, quanto dei soggetti sociali della trasformazione. Vi sono stati, nella storia del movimento operaio, dalla Comune di Parigi ad oggi, alcuni momenti alti, in cui autogoverno politico ed autogoverno proletario della produzione si sono combinati nella democrazia dei soviet, dei consigli. Ma tali esperienze, la pi importante e significativa delle quali rimane forse ancor oggi - per tutta una serie di concomitanze storiche, dovute al livello di sviluppo industriale, allorganizzazione del lavoro, al tipo di classe operaia che si era formato - quella della rivoluzione russa e dei movimenti rivoluzionari in Europa nella grande crisi dellimmediato primo dopoguerra, non si sono sviluppate n generalizzate, hanno dovuto ripiegare su se stesse. E sostanzialmente, non tanto per difetto di teoria e di direzione politica: il Lenin di Stato e rivoluzione (1917) e dei Compiti immediati del potere sovietico (13) riprende e amplia tutto il discorso di Marx e, pi ancora, dellultimo Engels, sullestinzione dello Stato e sullautogoverno dei produttori. Tutti gli sforzi di Lenin sono diretti a far s che le masse imparino la difficilissima arte dellautogoverno, non solo nella sfera politica, ma in quella - decisiva - delleconomia nelle condizioni della moderna produzione industriale. Per questo egli lancia, come obiettivo minimo indispensabile per avanzare in quella direzione, la parola dordine dellinventario e controllo. Si veda ad esempio lopuscolo Sullinfantilismo di sinistra e sullo spirito piccolo-borghese (maggio 1918), in cui comincia a fare i conti con il problema della socializzazione socialista effettiva dei mezzi di produzione. Lenin distingue chiaramente nazionalizzazione e socializzazione: Si pu essere decisi o indecisi sulla nazionalizzazione e sulla confisca. Ma nessuna decisione, anche la maggiore al mondo, pu essere sufficiente ad assicurare il passaggio dalla nazionalizzazione e dalla confisca alla socializzazione [...] la socializzazione si distingue dalla semplice confisca proprio perch la confisca si pu attuare con la sola decisione, senza saper giustamente calcolare e giustamente distribuire, mentre socializzare senza saperlo fare non si pu (14). Rispetto alla prospettiva generale di Stato e rivoluzione, secondo la quale sarebbe stato relativamente semplice realizzare un controllo di massa sulleconomia, sui funzionari ex-capitalisti addetti alla produzione e alla distribuzione (anche perch si ipotizzava la transizione in un paese capitalisticamente avanzato; e, comunque, non affatto detto che anche in quella situazione le cose sarebbero poi cos facili), qui Lenin deve fare drammaticamente i conti con larretratezza della cultura tecnica, economica, produttiva, delle masse russe. Senza lacquisizione da parte dellavanguardia del proletariato e delle masse di questa capacit di calcolare e controllare, amministrare, vacuo ogni discorso sulla socializzazione effettiva. questa anche la differenza fondamentale tra rivoluzione borghese e rivoluzione proletaria: Nelle rivoluzioni borghesi il compito principale delle masse lavoratrici consisteva nello svolgere lazione negativa, o distruttiva, di spazzar via il feudalesimo, la monarchia, il medioevo. Lazione positiva, o creativa, di organizzare la nuova societ era svolta dalla minoranza possidente, borghese, della popolazione. E questa svolgeva tale compito, nonostante la resistenza degli operai e dei contadini, con relativa facilit, non solo perch la resistenza delle masse sfruttate dal capitale era allora estremamente debole, data la loro dispersione e arretratezza, ma anche perch la forza organizzativa fondamentale della societ capitalistica, costruita anarchicamente, il mercato nazionale e internazionale, che si sviluppa spontaneamente in estensione e in profondit. Al contrario, in ogni rivoluzione socialista - e di conseguenza anche nella rivoluzione socialista da noi iniziata in Russia il 25 ottobre 1917 - il compito principale del proletariato e dei contadini poveri da esso diretti il lavoro positivo o creativo per fondare un sistema estremamente complesso e delicato di nuovi rapporti organizzativi, che abbracciano la produzione e la distribuzione pianificate dei prodotti necessari alla esistenza di decine di milioni di uomini. Questa rivoluzione pu essere realizzata con successo solo se la maggioranza della popolazione, e innanzitutto la maggioranza dei lavoratori, capace di unattivit storicamente creativa e autonoma. Solo nel caso in cui il proletariato e i contadini poveri sappiano trovare in s coscienza, forza ideale, abnegazione e tenacia, la vittoria della rivoluzione socialista sar garantita. Creando un nuovo tipo di Stato, lo Stato dei soviet, che offre alle masse lavoratrici e oppresse la possibilit di partecipare nel modo pi attivo alla edificazione autonoma della nuova societ, noi abbiamo adempiuto soltanto una piccola parte di un difficile compito. La difficolt principale nel settore economico: compiere dappertutto il pi severo inventario e controllo della produzione e della distribuzione dei prodotti, elevare la produttivit del lavoro, socializzare di fatto la produzione. [...] E tutta loriginalit del momento attuale, tutta la sua difficolt sta nel comprendere la particolarit del passaggio dal periodo in cui il compito principale era quello di convincere il popolo e di schiacciare militarmente gli sfruttatori, al periodo in cui il compito principale quello di amministrare (15). Per la mancanza di forza motrice e di attrezzatura industriale, lo Stato operaio stato costretto a introdurre in alcune industrie masse ingenti di contadini, lontanissime dalla psicologia proletaria e quindi senza capacit di autogoverno industriale: il Consiglio non aveva significato per queste masse contadine arretrate (16). Cos Gramsci spiega lestinzione (di ci si tratta, piuttosto che di uno scioglimento dimperio dovuto a vocazioni autoritarie dei bolscevichi, come si ama dire ora) dei soviet di fabbrica in Russia: le sue cause vanno ricercate nellimpreparazione e nellincapacit del proletariato russo di organizzare direttamente e su nuove basi la produzione. Anche la sconfitta delle rivoluzioni europee del primo dopoguerra dipesa, secondo Gramsci, essenzialmente dallincapacit di lavoro ricostruttivo, dal fatto che non sufficiente - per mantenere il potere proletario - affidarsi semplicemente alla forza. Il potere economico non si suscita dautorit; occorre sostanziare il potere politico col potere economico. Allazione distruttiva, di rottura dei rapporti di produzione capitalistici, occorre accompagnare unopera positiva di creazione e di produzione. Se questopera non riesce, vana la forza politica, la dittatura non pu reggersi (17). In Germania, in Austria, in Baviera, In Ucraina, in Ungheria [...] alla rivoluzione come atto distruttivo non seguita la rivoluzione come processo ricostruttivo in senso comunista. La esistenza delle condizioni esterne: Partito comunista, distruzione dello Stato borghese, forti organizzazioni sindacali, armamento del proletariato, non stata sufficiente per compensare lassenza di questa condizione: esistenza di forze produttive tendenti allo sviluppo e allespansione, movimento cosciente delle masse proletarie rivolto a sostanziare col potere economico il potere politico (18). Lacquisizione di una competenza tecnico-politica di massa, serve non solo a quellazione ricostruttiva che Gramsci indica come elemento essenziale di una rivoluzione comunista, ma costituisce anche un antidoto allemergere del burocratismo, forma di separazione tra dirigenti e diretti, che si oppone allautogoverno reale delle masse. Il quale, per essere tale, deve realizzare effettivamente la socializzazione dei mezzi di produzione. Il limite che accomuna i tentativi e le esperienze di costruzione e organizzazione di uneconomia socialista (diversi e anche conflittuali tra loro) costituito dal loro essere - han fatto di necessit virt e anche ideologia - iscritti allinterno dello Stato nazionale. Sin dal Manifesto del partito comunista alla vigilia delle rivoluzioni del 1848-49, era considerato necessario per il proletariato conquistare il potere politico quale premessa indispensabile per la rivoluzione sociale e la transizione allautogoverno dei produttori associati (19). Significava rovesciare il governo dello Stato in cui la rivoluzione si svolgeva, riscriverne la costituzione, passare a misure transitorie, adottate dal nuovo potere politico rivoluzionario, che andassero nella direzione della costituzione dellordine nuovo dei produttori associati. La rivoluzione era tuttavia pensata - e la concomitanza delle rivoluzioni quarantottesche in Europa sembrava confermare pienamente quelle previsioni - come processo che si svolge contemporaneamente a livello internazionale, nella prospettiva imminente di un governo internazionale del proletariato. Anche la prospettiva aperta dalla rivoluzione bolscevica del 1917 - dopo la breve ma significativa esperienza della Comune parigina del 1871, isolata alla capitale dello Stato francese - si muove al suo esordio in una dimensione internazionale, collocata com nella grande crisi in cui il primo conflitto mondiale travolge quasi tutti gli Stati belligeranti. Le sconfitte dei movimenti rivoluzionari in Europa nel primo dopoguerra rinchiudono la rivoluzione russa nellambito di un solo - sia pure immenso e plurinazionale - paese. Il grande e inedito tentativo di costruire uneconomia socialista deve misurarsi non solo con il condizionamento interno della grande arretratezza culturale, tecnico-produttiva delle masse russe, eredit della sua specifica storia, ma anche con i limiti che gli vengono imposti dallessere unisola, sia pure di vastissime dimensioni, circondata dal mercato capitalistico mondiale. Il peso di tale isolamento di un modo di produzione tendenzialmente altro da quello capitalistico dominante, si tuttavia sentito molto meno nella fase iniziale di costruzione dello Stato sovietico, soprattutto perch il processo che va oggi sotto il nome di mondializzazione delleconomia ed oramai sotto gli occhi di tutti, non era che agli inizi. La forma dello Stato nazionale, fino al secondo dopoguerra, si rivelava ancora la pi adeguata al livello di sviluppo complessivo del capitalismo. Il fatto che il tentativo di costruzione di una nuova economia fosse circoscritto allinterno dello Stato nazionale implicava una contraddizione acutissima, di cui furono in parte coscienti i gruppi dirigenti degli Stati socialisti: quella tra una forma socialista allinterno del paese (contrassegnata da principi socialisti, da goal-function socialisti) e lessere allinterno di un mercato capitalistico mondiale; e lesservi sempre - cosa di cui, a partire dallepoca chruscioviana si stati sempre meno consapevoli - in posizione subordinata, pi debole. Anche nei tempi migliori, quando diventato un consiglio economico di mutua assistenza (COMECON), anche quando abbracciava buona parte dellAsia e dellEuropa, il socialismo non mai riuscito ad essere in posizione egemone sul mercato mondiale. la storia delle rivoluzioni in paesi arretrati e semifeudali, le quali si presentano in duplice veste: di rivoluzioni borghesi, nazional-borghesi, e di rivoluzioni socialiste. La cornice dello Stato nazionale, in cui si racchiudono, rafforza la componente nazional-borghese, con tutto il seguito di contrasti e conflitti di carattere statuale-nazionale tra paesi socialisti: jugoslavo-albanese, sovietico-albanese, cino-sovietico, cino-vietnamita... Dal punto di vista economico questi Stati socialisti hanno dovuto agire sulla base di principi socialisti (di un socialismo ancora immaturo, che non poteva dispiegare pienamente se stesso, legato pur sempre al mercato mondiale) e di principi capitalistici allesterno. Solo isolandosi dal mercato capitalistico mondiale potevano sperare di far valere al loro interno principi socialisti: il monopolio del commercio estero - uno dei primi atti del governo sovietico voluti da Lenin - era una improrogabile necessit. Negli anni 80, il processo di mondializzazione del capitale giunto a maturit, e lesigenza di unificazione del mercato mondiale sotto il suggello capitalistico ha premuto con una forza inusitata contro le barriere dei paesi del COMECON (20), oramai sempre pi fragili, perch minate dal mancato passaggio allautogoverno dei produttori, fondamentale per la costruzione di uneconomia socialista. Il mercato capitalistico si imposto. E invece di una trasformazione di quelle economie nel senso dellautogestione e dellautogoverno sulla base della propriet sociale di tutto il popolo - che qualche voce, sempre pi isolata e dissonante della perestrojka indicava (21) - abbiamo avuto laffermarsi ideologico del liberismo, le privatizzazioni, il dominio assoluto e incontrastato della logica del mercato capitalistico. NOTE 1. Cfr. C. Bettelheim, Le lotte di classe in URSS 1917/1923, vol. 1, Etas Libri, Milano, 1975; Le lotte di classe in URSS 1923/1930, vol. 2, Etas Libri, Milano, 1978; Les luttes de classes en URSS 1930-1941, 2 tomi, Maspero-Seuil, Parigi, 1982-1983. 2. Che per non sono affatto la stessa cosa e si muovono su due piani concettuali diversi. Una divisione tecnica del lavoro viene richiesta dallo sviluppo del processo produttivo, con le sue ramificazioni e articolazioni: non , di per s, necessariamente antagonistica e pu caratterizzare un modo di produzione non basato sullantagonismo di classe. La divisione sociale del lavoro implica, invece, divisione in classi antagonistiche della societ. 3. Non mi soffermo qui sulla questione del capitalismo di Stato, se non per notare che il significato che si attribuisce a questespressione non lo stesso in Lenin e nei sostenitori della teoria del capitalismo di Stato in URSS: nel primo, infatti, esso non si riferisce mai ad una propriet statale generalizzata dei principali mezzi di produzione, ma - nel caso dellURSS della NEP - al fatto che lo Stato sovietico favoriva e controllava, attraverso una politica di concessioni, lintroduzione di capitali privati, in prevalenza stranieri, in Russia; nel secondo caso, invece, esso si riferisce ad uno Stato proprietario generale dei mezzi di produzione gestiti in modo capitalistico. Non sottolineo questa differenza per rimuovere la questione del capitalismo di Stato in URSS, ma per richiamare lattenzione sul fatto che si tratta di una categoria diversa rispetto a quella impiegata da Lenin, e che abbisogna per questo di una ridefinizione consapevole. 4. Una negazione teorica della categoria di transizione invece nei sostenitori del passaggio diretto dal capitalismo al comunismo, senza processi intermedi, come si potrebbe desumere da alcuni passi dei Grundrisse marxiani, in particolare il cosiddetto Frammento sulle macchine. 5. Per unelaborazione puntuale, cfr. E. Grassi, Per una teoria della transizione, ed. Kappa, Roma, 1984; Le nuove societ multimodali, ed. La Contraddizione, Roma, 1990. 6. Cfr. K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica delleconomia politica, vol. I, La Nuova Italia, Firenze, 1968, pp. 32-33. 7. Cfr. W. Benjamin, Angelus Novus, Einaudi, Torino, 1962, pp. XXXVI-XXXVII: che la borghesia viva o soccomba nella lotta, essa condannata a perire dalle contraddizioni interne che divengono mortali nel corso del suo sviluppo. Il problema solo se perir di mano propria o per mano del proletariato. La permanenza o la fine di unevoluzione millenaria dipendono da una risposta a questa domanda. 8. Cfr. K. Marx, Il Capitale, L. III, traduzione di M. L. Boggeri, V edizione, Editori Riuniti, Roma, 1968, p. 522: Le fabbriche cooperative degli stessi operai sono, entro la vecchia forma, il primo segno di rottura della vecchia forma, sebbene dappertutto riflettano e debbano riflettere, nella loro organizzazione effettiva, tutti i difetti del sistema vigente. Ma lantagonismo tra capitale e lavoro abolito allinterno di esse, anche se dapprima soltanto nel senso che gli operai, come associazione, sono capitalisti di se stessi, cio impiegano i mezzi di produzione per la valorizzazione del proprio lavoro. Queste fabbriche cooperative dimostrano come, a un certo grado di sviluppo delle forze produttive materiali e delle forme di produzione sociale ad esse corrispondenti, si forma e si sviluppa naturalmente da un modo di produzione un nuovo modo di produzione. 9. Cfr. M. & R. Friedman, Liberi di scegliere, Longanesi &C., Milano, 1981. 10. Cfr. L. von Mises, Il calcolo economico in uno Stato socialista (articolo del 1920), in F. A. Von Hayek (a cura di), Pianificazione economica collettivistica. Studi critici sulle possibilit del socialismo, Einaudi, Torino, 1946. 11. Si pu consultare, tra laltro, lancor utile antologia a cura di N. Spulber, La strategia sovietica per lo sviluppo economico 1924-1930 (ed. it. a cura di Lisa Foa), Einaudi, Torino, 1970, e AA.VV., Istorija politieskoj ekonomii socializma (Storia delleconomia politica del socialismo), Edizioni dellUniversit di Leningrado, Leningrado, 1983. 12. Engels delinea il passaggio dalla propriet capitalistica individuale a quella azionaria (SpA), alla propriet capitalistica di Stato, ultima tappa del cammino della borghesia: Se le crisi hanno rivelato lincapacit della borghesia a dirigere ulteriormente le moderne forze produttive, la trasformazione dei grandi organismi di produzione e di traffico in societ anonime e in propriet statale mostra che la borghesia non indispensabile per il raggiungimento di questo fine. Tutte le funzioni sociali del capitalista sono compiute oggi da impiegati salariati. Il capitalista non ha pi nessuna attivit sociale che non sia lintascar rendite, il tagliar cedole e il giocare in borsa, dove i capitalisti si spogliano a vicenda dei loro capitali. Se il modo di produzione capitalistico ha cominciato col soppiantare gli operai, oggi esso soppianta i capitalisti e li relega, precisamente come gli operai, tra la popolazione superflua. Ma il modo di produzione capitalistico non viene per questo abolito. La contraddizione intercapitalistica che ha condotto alla formazione della propriet capitalistica di Stato non abolisce per questo i rapporti capitalistici di produzione. Perch ci avvenga occorre la rottura rivoluzionaria. Lo sviluppo della contraddizione capitalistica crea per le condizioni oggettive perch tale rottura possa avvenire. Con lassunzione da parte dello Stato capitalistico dei mezzi di produzione il rapporto capitalistico non viene soppresso, viene invece spinto al suo apice. Ma giunto allapice, si rovescia. La propriet statale delle forze produttive non la soluzione del conflitto, ma racchiude in s il mezzo formale, la chiave della soluzione [...] Il modo di produzione capitalistico, trasformando in misura sempre crescente la grande maggioranza della popolazione in proletari, crea la forza che, pena la morte, costretta a compiere questo rivolgimento. Spingendo in misura sempre maggiore alla trasformazione dei grandi mezzi di produzione socializzati in propriet statale, mostra esso stesso la via per il compimento di questo rivolgimento. Il proletariato simpadronisce del potere dello Stato e anzitutto trasforma i mezzi di produzione in propriet dello Stato. Ma cos sopprime se stesso come proletariato [...] e sopprime anche lo Stato come Stato. F. Engels, Antidhring, II edizione, I ristampa, Editori Riuniti, Roma, 1971, pp. 296-299; il corsivo mio, A. C.. 13. V. I. Lenin, Stato e rivoluzione, in Opere complete, vol. 25, Editori Riuniti, Roma, 1967; I compiti immediati del potere sovietico, in Opere complete, vol. 27, Editori Riuniti, Roma, 1967. 14. Cfr. V. I. Lenin, Opere complete, vol. 27, cit., p. 303. 15. Cfr. Lenin, I compiti immediati del potere sovietico, cit., pp. 214-216; il corsivo mio, AC. 16. A. Gramsci, La relazione Tasca e il congresso camerale di Torino, in LOrdine Nuovo 1919-1920, a cura di V. Gerratana e A. Santucci, Einaudi, Torino, 1987, p. 539. 17. A. Gramsci, I sindacati e la dittatura, in LOrdine Nuovo, cit., p. 259. 18. A. Gramsci, Due rivoluzioni, in LOrdine Nuovo, cit., p. 571. In questo articolo Gramsci sostiene che una rivoluzione proletaria e comunista solo nella misura in cui riesce a favorire e promuovere lespansione e la sistemazione di forze proletarie e comuniste capaci di iniziare il lavoro paziente e metodico necessario per costruire un nuovo ordine nei rapporti di produzione e distribuzione, un nuovo ordine sulla base del quale sia resa impossibile lesistenza della societ divisa in classi. Essa tale solo se alla rivoluzione distruttiva segue la rivoluzione ricostruttiva (ivi, p. 569). 19. Cfr. K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista (nella traduzione di Antonio Labriola), Tascabili economici Newton, Roma, 1994, p. 36: Il proletariato profitter del suo dominio politico, per togliere via alla borghesia tutto il capitale, per concentrare nelle mani dello Stato, e ossia del proletariato organizzato quale classe dominante, tutti glistrumenti della produzione, e per aumentare con la massima celerit possibile le forze produttive. 20. Cfr. in questo stesso volume il capitolo Il magnifico 89. 21. Si veda ad esempio lelaborazione di A. P. Butenko, Vlast naroda posredstvom samogo naroda (Il potere del popolo attraverso il popolo stesso), ed. Mysl, Mosca, 1988. Per unanalisi delle ideologie nel periodo della perestrojka, cfr. in questo stesso volume il capitolo Il dibattito su Stato e democrazia al crepuscolo dellUnione Sovietica; Cfr. anche A. Catone, La parabola di unidea: 1985-1990, in AA.VV., Crollo del comunismo sovietico e ripresa dellutopia, a cura di A. Colombo, Dedalo, Bari, 1994. 2 Il modo di produzione sovietico e la dissoluzione dellURSS 1. La natura sociale dellURSS: una lunga e travagliata querelle tra marxisti La rivoluzione bolscevica non intendeva solo dare pace e pane al popolo russo; essa si proponeva un obiettivo ben pi ambizioso che mai nella storia dellumanit si era posto in termini cos netti: dar vita non solo ad un nuovo ordine politico, ma a un nuovo ordine economico e sociale, passare dal modo di produzione capitalista a quello socialista. Oggi, in sede di bilancio storico, quando la formazione economico-sociale sorta con lOttobre e durata poco pi di 70 anni non esiste pi, ci si pu riproporre, relativamente lontani dalle polemiche ideologico-politiche di un tempo, la domanda che ha tormentato generazioni di militanti e studiosi marxisti: si era formato (o si stava almeno formando) in URSS il modo di produzione socialista? Oppure, dietro il travestimento, la maschera, le parole che dicono socialismo e comunismo, si nascondeva una variante dellimperituro e sempre vitale capitalismo, che, come il mitico Proteo, riesce ad avere ragione dei suoi avversari, ad illuderli, assumendo le forme pi strane, per conservare intatto il suo contenuto, la sua essenza, s che, come ha scritto nel 1982 C. Bettelheim: Ottobre cos allorigine di ci che si pu chiamare la grande illusione del XX secolo(1)? Altri hanno parlato di statalismo, di nuovo modo di produzione statale, che, consolidatosi in URSS sino a diventare sistema tra il 1930 e il 1940, il prototipo dello Stato moderno, il fenomeno che ha aperto la via su cui si incamminato il mondo contemporaneo (2). ben nota la tesi di L. Trockij sulla rivoluzione tradita da una burocrazia che avrebbe spossessato del potere il proletariato, ma che continuerebbe ad essere funzionaria di uno Stato operaio, ancorch degenerato, e a pianificare per conto di questultimo (3). Per B. Rizzi, invece, lURSS non poteva definirsi n capitalismo di Stato, come voleva A. Bordiga (4), n tantomeno Stato operaio, ma si trattava di collettivismo burocratico, una sorta di sistema feudale moderno con monopolio statale dei mezzi di produzione e della forza-lavoro irrimediabilmente votato al dispotismo e non diverso dal fascismo e dal nazismo (5). O si trattava di una formazione economico-sociale del tutto nuova nella storia, con sue particolarit e specificit, non classificabile in alcun modo n come capitalismo, n come socialismo? LURSS avrebbe percorso una via non-capitalista, ma neppure socialista, allindustrializzazione, passando attraverso il dispotismo industriale (6). Secondo H. H. Ticktin non si trattava n di capitalismo di Stato n di Stato operaio, ma di un sistema non vitale e intrinsecamnte instabile, in cui non funzionava n il piano n il mercato, caratterizzato da una tendenza enorme allo spreco (7). A. Heller, F. Fher, G. Mrkus hanno parlato di un sistema che sfocia nella dittatura sui bisogni, caratterizzato, oltre che da una struttura di potere dispotica, da sprechi e inefficienze economiche crescenti, funzionali per a rapporti sociali di dominio, per cui la goal-function, la funzione-obiettivo che governa le attivit economiche dello Stato la massimizzazione del volume dei mezzi materiali a disposizione dellapparato di potere nel complesso (8). Gorbaev ha ripescato la formula, cara alla scuola neoliberista di Hayek e von Mises, di economia di comando, sistema amministrativo di comando, che combinerebbe inevitabilmente dittatura economica e dittatura politica (9) Lelenco - anche solo delle teorie elaborate in campo marxista, per non parlare di quelle del totalitarismo - potrebbe continuare a lungo. Una bibliografia immensa sulla questione della natura sociale dellURSS, fatta di studi ponderosi e documentati, di pamphlet, di migliaia di saggi e articoli sparsi nelle tante piccole e agguerrite riviste del comunismo eretico testimonia da sola di quanto controversa sia stata (ed tuttora) questa questione, che investiva le speranze, i progetti, la passione politica di milioni di militanti comunisti. Questa non era - e continua a non essere - una questione, per dir cos, accademica. Questa domanda si posta sin dai primi anni Venti ai militanti rivoluzionari e si riproposta nei momenti di svolta, di crisi o di ascesa delle lotte del movimento operaio. La produzione teorica sulla societ sovietica strettamente intrecciata con la storia delle lotte politiche e sociali. Lelaborazione delle teorie che hanno cercato di definire il modo di produzione sovietico, per tutto il periodo di esistenza dellURSS, stata direttamente parte di una lotta politico-ideologica, che vedeva, a seconda dei casi, lURSS, la sua direzione politico-statuale, come alleato principale o principale nemico della lotta del proletariato e dei popoli oppressi. Il giudizio sulla natura sociale dellURSS stato, in questo secolo breve, la posta in gioco delle teorie e delle pratiche rivoluzionarie. Cos stato negli anni Venti-Quaranta, nellaspro confronto del Comunismo dei Consigli e dellOpposizione di Sinistra con la direzione staliniana; cos stato negli anni Sessanta-Settanta, quando la Rivoluzione Culturale Cinese riproponeva la teoria del capitalismo di Stato in unUnione sovietica divenuta per di pi socialimperialista, e quindi principale nemico dei popoli al pari, o anche pi, dellimperialismo USA. Nessuna valutazione della realt sovietica poteva essere allora neutrale, poich ogni valutazione implicava indicazioni tattiche e strategiche per i comunisti; nessuno avrebbe potuto seriamente affrontare la questione della natura sociale dellURSS come si potrebbe affrontare tra studiosi lanalisi di una formazione economico-sociale oramai definitivamente passata. Ma di quale URSS parliamo? Nel corso della sua storia lURSS ha conosciuto numerose rotture, discontinuit. Che cosa prendere in considerazione per il discorso che ci riguarda? Dal punto di vista dei rapporti economico-sociali, la fine della Nep, lavvio della pianificazione quinquennale, la collettivizzazione dallalto delle campagne rappresentano - dopo la prima fase rivoluzionaria che porta alla nazionalizzazione quasi integrale delle imprese e della terra - una gigantesca rottura dei rapporti sociali preesistenti, una rivoluzione industriale e una rivoluzione profonda in tutte le strutture sociali. in quel momento che si costituiscono i meccanismi essenziali di un nuovo sistema economico e si forma il vasto esercito dei quadri della pianificazione e dellorganizzazione economica. Il meccanismo economico costituitosi negli anni Trenta subisce continue trasformazioni e aggiustamenti (il pi noto la riforma Kosigyn del 1965), ma non sembra possa parlarsi di una trasformazione sostanziale paragonabile a quella che interviene dal 1991 in poi, con le privatizzazioni e il passaggio alleconomia di mercato. Per quasi 60 anni n i rapporti giuridici di propriet, n il ruolo del piano subiscono mutamenti sostanziali. Sul fatto che lURSS, dal punto di vista della struttura economico-sociale, rappresenti, dagli anni Trenta in poi, un continuum caratterizzato da invarianti fondamentali, si pronunciavano non solo le diverse versioni sovietiche della storia del PCUS, nonch i numerosi manuali di economia politica del socialismo o di comunismo scientifico, ma anche un buon numero di teorie critiche (10): tanto la Heller che R. Bahro, tanto Bordiga che E. Mandel e Charlier (11), tanto Chavance (12) che Ellman (13)], A. Nove (14) o Rita Di Leo (15), sono concordi nel non riscontrare, allinterno di questa struttura, fratture tali da far ritenere di essere in presenza, negli anni Ottanta, di un sistema radicalmente mutato rispetto a quello formatosi negli anni Trenta, con la propriet statale pressoch generalizzata dei mezzi di produzione, la pianificazione centralizzata e la collettivizzazione delle campagne. Unica eccezione di rilievo, allinterno del quadro delle teorie critiche, costituita dalle elaborazioni, negli anni Sessanta-Settanta, dei partiti comunisti cinese e albanese. Essi vedono nel chrusciovismo e nel processo di destalinizzazione le fasi cruciali di una controrivoluzione borghese, che restaura il capitalismo in URSS, trasformandola in unaggressiva potenza, socialista a parole, imperialista nei fatti. Lusurpazione della direzione del partito e dello Stato da parte di un pugno di responsabili del partito sovietico impegnati nella via capitalista [...] lusurpazione cio del potere proletario da parte della borghesia, attraverso il colpo di Stato controrivoluzionario della cricca rinnegata Chruev-Brenev, avrebbe trasformato la dittatura del proletariato in dittatura della borghesia, di una borghesia monopolista burocratica, cio una borghesia di tipo nuovo, che ha in mano la macchina dello Stato e dispone di tutte le ricchezze della societ, e, approfittando del potere statale sotto il suo controllo, ha trasformato la propriet socialista in propriet dei responsabili impegnati nella via capitalista, leconomia socialista in economia capitalista e in economia del capitalismo monopolistico di Stato (16). A fondamento di tali affermazioni vi un duplice presupposto: a) nel periodo staliniano stato realizzato il socialismo; b) la struttura economico-sociale dellURSS nel periodo chruscioviano si modificata radicalmente rispetto al precedente periodo, e si modificata in senso capitalistico. Non questa la sede per esaminare nei dettagli una tale tesi, che fu fatta propria da numerose organizzazioni e movimenti marxisti-leninisti degli anni Sessanta-Settanta; per problematica la ricerca di una sostanziale discontinuit, di una frattura profonda e irreversibile, che si sarebbe verificata non solo nella sfera politica e ideologica, ma nella struttura economico-sociale stessa, nel campo dei rapporti di produzione. Alcuni argomenti, prodotti a sostegno di questa tesi, per dimostrare la natura borghese dellURSS poststaliniana, potrebbero rivelarsialtrettanto adeguati allURSS del periodo staliniano. Laccusa allapparato del partito e dello Stato di aver spossessato di fatto i produttori diretti, il proletariato sovietico, era stata gi rivolta dai gruppi antistalinisti di sinistra nei confronti del gruppo dirigente sovietico, sin dagli anni Venti, e ripresa con maggior vigore negli anni Trenta-Quaranta (17). Le riforme degli anni Sessanta possono essere considerate come evoluzioni o involuzioni di un sistema comunque gi formato. Tuttavia, lincessante succedersi di riforme amministrative, nella gestione economica, nei meccanismi di pianificazione, soprattutto a partire dagli anni Cinquanta, rivela che il modo di produzione sovietico non era affatto stabile, non aveva raggiunto nessuna regolarit. Il sistema, per funzionare, sembrava aver bisogno di una costante coercizione esterna. Una formazione sociale fragile, nonostante le apparenze. Una parte non irrilevante della storia del marxismo novecentesco potrebbe essere scritta a partire dalle diverse e divergenti interpretazioni che militanti e studiosi che si richiamava