TRAFFICI ILLECITI E INFILTRAZIONI JIHADISTE NEI PORTI...

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TRAFFICI ILLECITI E INFILTRAZIONI JIHADISTE NEI PORTI ITALIANI: VERSO NUOVE SOLUZIONI Clarissa Spada, Francesco Marone A cura di Lorenzo Vidino

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TRAFFICI ILLECITI E INFILTRAZIONI

JIHADISTE NEI PORTI ITALIANI:

VERSO NUOVE SOLUZIONI

Clarissa Spada, Francesco Marone

A cura di Lorenzo Vidino

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CONTENUTI

PREFAZIONE ............................................................................................................................................................... 3

EXECUTIVE SUMMARY ............................................................................................................................................. 5

INTRODUZIONE ......................................................................................................................................................... 7

METODOLOGIA .......................................................................................................................................................... 9

1. L'IMPORTANZA DEI PORTI ITALIANI ............................................................................................................11

2. LA PORT SECURITY ...........................................................................................................................................15

3. CHI SI OCCUPA DI SICUREZZA NEI PORTI? ..................................................................................................20

4. TRAFFICI ILLECITI . ............................................................................................................................................26

4.1 Il contrabbando di Tabacchi Lavorati Esteri ...................................................................................26

4.2 Il traffico di sostanze stupefacenti .......................................................................................................34

4.2.1 Il traffico di cocaina .........................................................................................................................35

4.2.2 Il traffico di eroina ............................................................................................................................42

4.2.3 Il traffico di marijuana .....................................................................................................................44

4.2.4 Il traffico di hashish .........................................................................................................................46

4.3 L’immigrazione clandestina nei porti ................................................................................................48

4.3.1 Quali sono le maggiori modalità di infiltrazione nei porti? ........................................................48

4.3.2 Le principali criticità ..........................................................................................................................49

4.4 Il traffico di armi ......................................................................................................................................52

5. IL RISCHIO TERRORISMO ................................................................................................................................50

5.1 Il terrorismo marittimo ...........................................................................................................................50

5.2 Il rischio terrorismo nei porti italiani ................................................................................................60

6. RACCOMANDAZIONI ...........................................................................................................................................63

BIBLIOGRAFIA ...........................................................................................................................................................68

IL PROGETTO .............................................................................................................................................................77

RINGRAZIAMENTI .....................................................................................................................................................77

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PREFAZIONE

I porti, nella Storia, sono stati luoghi in cui si sono consumate alleanze tra popoli, confronti e

scambi tra diverse civiltà.

Il porto ha sempre costituito la misura della capacità di accoglienza di una città, della sua sensibili-

tà rispetto a culture differenti e, dunque, della sua ricchezza.

Non è, però, purtroppo, questo ciò di cui hanno inteso parlare gli autori di questo lavoro.

Gli scali portuali continuano, oggi, a giocare un ruolo fondamentale nella crescita economica di

un territorio, ma questo li ha portati a essere fortemente attenzionati da tutta la criminalità orga-

nizzata, quella comune e quella di stampo mafioso nonché quella di natura terroristica.

La presente ricerca ha, innanzitutto, il merito – vi assicuro di non poco momento – di provocare

una seria riflessione su questo problema, i cui risvolti non si apprezzano, purtroppo, solo sul

“fronte” criminale, ma, evidentemente, anche su quello propriamente economico, con pesanti ri-

cadute rispetto alla tematica generale della sicurezza, nazionale e – soprattutto guardando all’agire

dei gruppi terroristici – mondiale.

Invero, il fatto che i dati statistici rivelino un numero modesto – rispetto a quelli generali – di at-

tentati che abbiano avuto a oggetto strutture o ambienti marittimi – fenomeno le cui cause sono

state, peraltro, ben individuate nel rapporto – non deve comunque “fare abbassare la guardia”,

soprattutto rispetto ai sistemi a salvaguardia della sicurezza degli scali portuali e di tutta la rete di

infrastrutture a essi collegata, che, per la già sottolineata importanza rispetto alla crescita econo-

mica di un territorio, sono certamente da reputarsi obiettivi sensibili anche rispetto ad azioni ter-

roristiche.

Buona parte degli scali del Mediterraneo, da Genova a Livorno, da Valencia a Marsiglia, sono uno

snodo fondamentale sia per l’economia turistica – costituendo tappe di varie crociere – che per

quella commerciale ed è, dunque, evidente, che presentano le caratteristiche di luoghi di potenzia-

li attacchi terroristici, per la consistenza delle conseguenze, in punto di perdita di vite umane e di

danni economici, che da essi deriverebbero.

Il lavoro dà, comunque, puntuale conto delle diverse e gravi azioni terroristiche che hanno inte-

ressato aree portuali – per esempio l’attacco suicida ai danni del cacciatorpediniere “USS Cole”

avvenuto nel Porto di Aden, capitale dello Yemen, il 12 ottobre 2000, dunque meno di un anno

prima dell’attacco alle Torri Gemelle – o mezzi di trasporto marittimo, tra cui l’attentato eseguito

da un gruppo jihadista ai danni del traghetto “Superferry 14” il 27 febbraio 2004 nella baia di Ma-

nila.

4

Anche l’Italia, peraltro, è stata teatro della nota operazione terroristica in mare che ha coinvolto la

nave da crociera “MS Achille Lauro”, dirottata, il 7 ottobre 1985, da militanti del Fronte per la

Liberazione della Palestina.

Le problematiche connesse alle attività dei gruppi terroristici costituiscono, tuttavia, solo un

aspetto delle importanti riflessioni svolte dagli autori, che prendono le mosse da un’analisi attenta

di dati che rivelano le, purtroppo, diverse vulnerabilità connotanti il sistema portuale mondiale e,

per quel forse maggiormente interessa, quello italiano.

Trattasi, soprattutto, di evidenze di natura giudiziaria, esaminate con estrema puntualità, relative

agli svariati traffici illeciti che si sviluppano nei porti.

Il contrabbando di tabacchi lavorati esteri, l’immigrazione clandestina, il traffico di armi e, soprat-

tutto, quello degli stupefacenti, in relazione al quale ritroviamo una trattazione differenziata tra

cocaina, eroina, hashish e marijuana, quanto mai opportuna, attese le diversità che riguardano i

luoghi di provenienza, le rotte e le modalità di trasporto, nonché i gruppi criminali che si occupa-

no del relativo smercio.

Certamente istituzioni come la Direzione Centrale per i Servizi antidroga e la Direzione Naziona-

le Antimafia e Antiterrorismo analizzano costantemente tali dati, al fine di fornire ai singoli uffici

giudiziari, elementi utili a dare maggiore efficienza all’azione di contrasto, ma il presente lavoro va

al di là, combinando le emergenze investigative con rapporti delle maggiori Organizzazioni inter-

nazionali e, ancora, con dirette e specifiche esperienze, raccolte dalla voce di chi le ha vissute o,

comunque, studiate sul campo, come il sistema GAIA (Generalized Automatic Exchange of Port

Information Area) presso il porto di Bari, che, sottolineano gli autori, potrebbe costituire la base

per creare un vero e proprio Port Community System.

Il tutto è accompagnato da una ricognizione puntuale di una normativa notevolmente complessa

e articolata, contenuta in fonti internazionali e interne, primarie e secondarie.

Ma a suscitare grande interesse sono soprattutto quelle che gli autori chiamano “raccomandazio-

ni”, indicazioni chiare e concrete su ciò che potrebbe esser fatto rispetto alle criticità riscontrate.

Iniziando da una intensificazione della cooperazione con i paesi da cui provengono i beni illeciti,

stupefacenti, armi, TLE ma anche interna, tra i vari soggetti istituzionali cui sono deputati i

compiti di controllo nelle aree portuali (doganieri, finanzieri, polizia di frontiera), sforzandosi di

costruire protocolli operativi funzionali a rendere sempre più sinergico l’agire.

Ancora, avere dei database comunicanti, per uno scambio in tempo pressoché reale del patri-

monio informativo di ognuno, investire nella tecnologia e, infine, un imprescindibile poten-

ziamento, sia quantitativo che qualitativo, del capitale umano.

Si è di fronte a un lavoro che fornisce un importante contributo al percorso che vorrebbe condurre i

porti a riappropriarsi della loro mission, quella di essere luoghi di incontro tra diverse civiltà.

Direzione Nazionale Anti Mafia e Anti Terrorismo

Sostituto Procuratore

Salvatore Dolce

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EXECUTIVE SUMMARY

Con l’avvento dell’era della globalizzazione, il settore dei trasporti marittimi e delle infrastrutture

portuali è stato oggetto di una rimarchevole operazione di rimodellamento. Da tale trasformazio-

ne ne è conseguita una vera e propria marittimizzazione dell’economia, all’interno della quale i porti

e la retrostante filiera logistica hanno acquisito un ruolo fondamentale.

I porti costituiscono punti di frontiera marittima e pertanto punti intra-ispettivi, al pari delle

altre frontiere aeroportuali e terrestri. Per tal motivo, essi possono rappresentare nodi vulnerabili

per chiunque voglia utilizzare l’infrastruttura per benefici economici a titolo illecito o minacciare

la sicurezza nazionale.

Per quanto riguarda l’Italia, i porti rivestono un ruolo assolutamente strategico nel bacino del

Mediterraneo, potendo contare su fiorenti rotte con paesi e regioni cruciali, come, ad esempio, il

Canale di Suez. È fatto notorio che i porti italiani detengono enormi potenzialità sullo scenario

europeo e globale che, se sfruttate a pieno, potrebbero portare innumerevoli vantaggi

all’economia del paese.

D’altra parte, la criminalità organizzata, autoctona e straniera, attiva sul territorio nazionale ha

mostrato grande interesse nei confronti dei porti come zone da controllare per far fiorire i propri

traffici illeciti. Ciò rende i porti strutture vulnerabili, soggette a controlli serrati al fine di contra-

stare gli affari della criminalità organizzata.

È inevitabile che ciò abbia delle forti ripercussioni sulla funzione primaria che i porti rivesto-

no. Risulta, quindi, di assoluta importanza trovare un giusto equilibrio tra quelle che sono le esi-

genze provenienti dal settore sicurezza e quelle dal settore commerciale.

Dopo un’attenta attività di ricerca, si sono voluti mettere in evidenza alcuni traffici illeciti di

entrata che riguardano la filiera portuale italiana. Stante il fatto che determinati traffici illeciti spes-

so prediligono le aree marittime extra-ispettive, nondimeno si sono rilevati degli importanti mo-

vimenti di tipo intra-ispettivo.

Contrabbando di Tabacchi Lavorati Esteri (TLE). La casistica più recente mostra un

aumento di questo tipo di traffico (specialmente di illicit/cheap whites1) attraverso le frontiere

portuali marittime. Al pari del passato, i porti più colpiti dal fenomeno sono quelli

dell’Adriatico, con carichi provenienti sia da zone di frontiera extra-Schengen (es., Albania)

sia intra-Schengen (es., Grecia). La motivazione va rinvenuta nello storico traffico di siga-

rette di contrabbando, contraffatte e cheap whites dall’Est Europa e dalla regione balcanica,

grazie ai rapporti tra i vari gruppi di criminalità organizzata italiana e quelli di tali paesi. I

1 Ossia quelle sigarette la cui produzione avviene legalmente in un dato paese/mercato, ma la cui distribuzione è destinata a un

altro paese/mercato in cui la vendita è illegale, principalmente a causa di un mancato rispetto di standard di qualità.

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metodi più utilizzati sono sicuramente l’uso di container e autoarticolati in viaggio su navi

cargo, talora in aggiunta a navi passeggeri.

Traffico di cocaina. Anch’esso di carattere intra-ispettivo (perlopiù attraverso l’uso di navi

container), tale traffico risulta essere di quasi totale monopolio della ’Ndrangheta, grazie ai

floridi contatti che questa organizzazione ha instaurato con i cartelli del Sud America. I

porti più interessati sono Gioia Tauro (RC) – dove tendenzialmente non meno di due quin-

tali di sostanza stupefacente vengono sequestrati ogni anno –, ma anche Livorno e Genova

(con i vicini Vado Ligure e La Spezia), diventati anch’essi porti importanti per gli affari del-

le ʼndrine a causa dei controlli sempre più serrati delle forze dell’ordine nel porto gioiese.

In tal senso, di fondamentale importanza è il ruolo di operatori portuali infedeli.

Traffico di eroina. Il traffico di eroina risulta essere particolarmente florido nell’area adria-

tica – in particolare attraverso i porti di Brindisi, Bari e Trieste. La sostanza stupefacente ar-

riva prevalentemente da est, dai paesi di maggior produzione, come Afghanistan, Pakistan,

Iran, seguendo la tratta attraverso Turchia e Albania per fare infine il suo ingresso in Euro-

pa occidentale.

Traffico di marijuana. Sequestri di carichi di marijuana si registrano su entrambi i versan-

ti, adriatico e tirrenico, e, in particolare, nei porti di Civitavecchia (RM), Genova e Bari at-

traverso l’impiego di navi cargo e navi passeggeri. I carichi provengono sia dal Nord Africa

sia dai Balcani, in virtù di sodalizi tra gruppi di criminalità italiana e straniera – operanti sia

in territorio nazionale sia estero.

Traffico di hashish. Tale traffico risulta importante sul versante tirrenico attraverso porti

come Genova e Civitavecchia. Ciò è principalmente dovuto al fatto che la produzione di ta-

le sostanza stupefacente è particolarmente concentrata in Marocco e, in generale, nella fa-

scia del Nord Africa.

Infiltrazioni clandestine. Il fenomeno di infiltrazioni di immigrati clandestini a bordo di

articolati su navi cargo e container è abbastanza diffuso. La casistica recente mostra come

questo accada su mezzi di provenienza sia da paesi extra-Schengen (es., Albania e Turchia)

che intra-Schengen (es., Grecia) con persone provenienti soprattutto da paesi come Iran,

Iraq, Afghanistan, Pakistan e Siria. Il rischio che questi individui riescano a uscire dal porto

inosservati pone potenzialmente problemi di sicurezza, tanto più in un momento storico in

cui la minaccia di infiltrazioni terroristiche (e, in particolare, jihadiste; per esempio, in rela-

zione ai cosiddetti foreign fighters di ritorno), è molto alta.

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INTRODUZIONE

Con l’avvento dell’era della globalizzazione, il settore dei trasporti marittimi e delle infrastrutture

portuali è stato oggetto di un’importante operazione di rimodellamento. È proprio durante

quest’epoca che le filiere portuali si sono trasformate in vere e proprie grandi industrie marittime

capaci di collegare poli geografici opposti, movimentando merci e persone. Ne è scaturita una ve-

ra e propria “marittimizzazione dell’economia”2 che ha determinato nuove regole del gioco sia

nell’ambito del trasporto globale che nella logistica. Infatti, l’importante ruolo che il trasporto ma-

rittimo è riuscito ad acquisire non dipende solo dalle tratte marittime di collegamento tra due

punti geografici, ma anche e soprattutto da tutta la filiera retrostante a un porto.

Con particolare attenzione al trasporto delle merci, tutto questo non sarebbe stato possibile senza

l’introduzione del container nel commercio marittimo: una semplice scatola di metallo, in grado

di ridurre di gran lunga tempi di trasporto e consegna, garantendo efficienza, rapidità e un note-

vole abbattimento dei costi di trasporto diretti e indiretti (tra i fattori che maggiormente incidono

sui prezzi finali della merce).

Il container ha costituito, per così dire, una rivoluzione copernicana, la forza motrice del grande

sviluppo dell’economia marittima; peraltro, il traffico di container, misurato in TEU (Twenty-foot

Equivalent Unit), è divenuto il principale indice di grandezza e potenza di un porto. Nondimeno,

non bisogna dimenticare il ruolo vitale che, oltre alle navi porta-container, svolgono anche altri

tipi di imbarcazioni dedicate agli scambi commerciali. Al trasporto puramente merceologico si

deve aggiungere il settore legato al trasporto di persone per fini commerciali oppure per turismo

che comprende imbarcazioni e traghetti dedicati al trasporto di persone per tratte di medio-lungo

raggio e imbarcazioni crocieristiche.3

Da quanto detto emerge come i vari mezzi che compongono il trasporto marittimo possano fa-

cilmente essere visti come punti e obiettivi assai sensibili e vulnerabili. E infatti, gli eventi dell’11

settembre 2001 hanno portato all’attenzione della comunità internazionale in maniera eclatante la

vulnerabilità del mezzo di trasporto, qualsiasi esso sia, e delle infrastrutture/piattaforme di cui i

mezzi di trasporto si servono. Ecco che soprattutto porti e aeroporti sono stati percepiti sempre

più come punti su cui investire in termini di sicurezza e protezione. Come si vedrà, gli attacchi al-

le Torri Gemelle hanno portato a un ripensamento del quadro normativo internazionale allora

esistente, con lo sviluppo del nuovo concetto di maritime security – all’interno del quale rientra an-

che quello di port security, oggetto della presente trattazione – come concetto distinto e separato da

quello di safety. Tali eventi non hanno fatto altro che mettere in risalto una vulnerabilità delle

2 P. SPIRITO, “La geopolitica dei trasporti”, HuffPost, 3 agosto 2013. 3 Senza togliere la possibilità di imbarcazioni dedite sia al trasporto merci che persone.

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frontiere già esistente da tempo. Un tipo di vulnerabilità non solo causata dalla minaccia terrori-

smo, ma anche dai vari gruppi di criminalità organizzata che fanno delle frontiere dei punti vitali

per le loro attività illecite.

In questo report si vuole mettere in risalto la centralità e l’importanza della sicurezza portuale in

Italia, specialmente nell’era della minaccia jihadista, non soltanto in Europa, ma anche nelle re-

gioni vicine, teatri dei più importanti conflitti degli ultimi anni. Nello specifico, però, il presente

lavoro si pone l’obiettivo di analizzare due fenomeni, che, pur essendo distinti, hanno in comune

la capacità di mettere a repentaglio la sicurezza dei porti e, di conseguenza – considerata la rile-

vanza di tali strutture –, la stessa sicurezza nazionale: traffici illeciti gestiti da gruppi di criminalità

organizzata di stampo mafioso – e non – e terrorismo.

In primo luogo, il rapporto mira a effettuare una mappatura dei traffici illeciti legati ai gruppi di

criminalità organizzata transazionale italiana e straniera che, come spesso succede, utilizzano i

porti italiani sia per operazioni di trasbordo sia per l’ingresso illecito di beni e persone. In partico-

lare, verranno posti in evidenza, per quanto possibile, trend e modi operandi relativi a traffico di

droga, contrabbando di sigarette, traffico illecito di armi da fuoco e immigrazione clandestina, le-

gati a gruppi di criminalità organizzata italiana e straniera che si servono dei porti italiani per lo

svolgimento di tali attività.

La storica presenza di gruppi di criminalità organizzata nel paese può sicuramente costituire un

grave pericolo per le relazioni commerciali di un porto. Come si vedrà nel prosieguo, l’esistenza

di questa sorta di cancro potrebbe causare un allontanamento di terminalisti e compagnie di navi-

gazione spingendoli verso porti più sicuri, favorendo, in tal modo, altri competitors.

Il secondo fenomeno preso in considerazione è il rischio terrorismo. Uno delle più note azioni

terroristiche in ambito marittimo fu il dirottamento della nave da crociera “Achille Lauro” nel

1985, evento che portò a un cambiamento nella normativa internazionale in termini di distinzione

tra terrorismo marittimo e pirateria. Come già accennato, la minaccia del terrorismo di matrice

jihadista, a partire dagli attacchi dell’11 settembre, riguarda anche la sicurezza dei porti, con rischi

significativi per la sicurezza nazionale. Costituendo per sua natura, per diverse ragioni, un “tallone

di Achille” della sicurezza, il porto può essere usato come mezzo o bersaglio per il raggiungimen-

to di determinati fini politici/ideologici/religiosi: sia tramite attacchi diretti a navi e strutture por-

tuali sia attraverso l’infiltrazione di soggetti radicalizzati, compresi i cosiddetti foreign fighters di ri-

torno, interessati a compiere o quantomeno supportare attività terroristiche.

Prima di procedere a tale analisi, però, occorre sottolineare sin da subito che questi tipi di minac-

ce non colpiscono solo ed esclusivamente i punti frontalieri, come nel nostro caso dei porti. I

porti sono punti di frontiera e, come tali, punti di ispezione da parte delle varie autorità operanti

al loro interno. Non solo, i porti, come si vedrà, sono dotati di tecnologie in grado di individuare

minacce e di rilevare sostanze sospette che possono rendere più difficile il traffico illecito di un

determinato carico. Ragion per cui, in diversi casi, i gruppi criminali optano per aree costiere lon-

tane da strutture portuali. La scelta del tema port security non è casuale, ma deriva dalla necessità di

sensibilizzare su un tema di cui si parla troppo poco e che, considerata la collocazione geografica

dell’Italia e la presenza nel paese di importantissimi e strategici scali portuali, merita di essere ade-

guatamente analizzata anche per comprendere quali siano i punti di forza del sistema italiano e,

inoltre, quali aspetti potrebbero essere migliorati e potenziati per garantire porti sempre più sicuri

e all’avanguardia.

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METODOLOGIA

Obiettivi della ricerca

La ricerca si pone due obiettivi principali.

In primo luogo, presenta una mappatura quanto più possibile dettagliata, accurata e aggiornata

del fenomeno delle attività illecite nei porti marittimi italiani, con una particolare attenzione a

contrabbando di Tabacchi Lavorati Esteri (TLE), traffico di droga, traffico di armi, flussi di im-

migrazione clandestina e infiltrazioni terroristiche.

In secondo luogo, fornisce raccomandazioni per prevenire e contrastare in maniera più efficace

ed efficiente tali attività illecite, sulla base di indicazioni formulate direttamente dagli esperti in-

tervistati.

Metodi della ricerca

Lo studio ha combinato ricerca desk con ricerca sul campo.

Da un lato, il gruppo di ricerca ha consultato una pluralità di fonti aperte secondarie e primarie, com-

prendenti cinque tipi principali: 1) documenti ufficiali, come relazioni di Law Enforcement Agencies (per

esempio, le Relazioni Annuali della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo), rapporti di or-

ganizzazioni internazionali (per esempio, studi dello United Nations Office on Drugs and Crime,

UNODC) e comunicati stampa ufficiali; 2) materiale giudiziario (per esempio, sentenze di tribunali);

3) letteratura scientifica di riferimento (articoli e volumi accademici); 4) resoconti giornalistici di testate

affidabili, in versione cartacea o disponibili on-line; 5) letteratura grigia, non pubblicata attraverso i

normali canali commerciali, come rapporti tecnici.

Per ragioni di affidabilità, la precedenza è stata assegnata alle informazioni e ai dati provenienti

dai tipi di fonte 1), 2) e 3). In particolare, i resoconti giornalistici (4), individuati anche attraverso

aggregatori di notizie e motori di ricerca, sono stati utilizzati come tipo di fonte residuale quando

non è stato possibile raccogliere informazioni e dettagli salienti direttamente da fonti ufficiali (per

esempio, in relazione a operazioni di polizia, sequestri e confische). Il gruppo di ricerca ha con-

sultato fonti in lingua italiana e inglese.

Dall’altro lato, sono state realizzate visite ad hoc presso le principali sedi portuali italiane. Inol-

tre, sono state effettuate interviste semi-strutturate e non strutturate a rappresentanti di Autorità

nazionali – Autorità portuali, Guardia di Finanza, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Coman-

do centrale de Corpo delle Capitanerie di Porto (MARICOGECAP), Magistrati anti-mafia e anti-

terrorismo, Polizia di Stato (compresa Polizia di frontiere), Direzione Investigativa Anti-Mafia

(DIA) –, responsabili e dipendenti di imprese private, esperti e studiosi.

In numerosi sedi portuali è stato possibile intervistare rappresentanti di tutte le diverse Autori-

tà pubbliche coinvolte nelle attività del porto.

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Estensione geografica e temporale della ricerca

Lo studio prende in considerazione soltanto le attività illecite che hanno coinvolto almeno un

porto marittimo italiano.

Il periodo di riferimento della ricerca si riferisce ai trend degli ultimi anni, con un focus mag-

giore sui casi più recenti, più rappresentativi dell’andamento attuale.

Limiti della ricerca

La ricerca ha carattere esplorativo ed è finalizzata a offrire una migliore comprensione delle attivi-

tà illegali nei porti marittimi italiani: attività diversificate e complesse che, per la loro stessa natura

illecita, vengono ovviamente svolte in maniera clandestina. In particolare, alcuni mercati illegali,

come quello delle armi da fuoco, sono notoriamente difficili da monitorare.

Il gruppo di ricerca ha fatto il possibile per garantire la massima completezza e accuratezza

delle informazioni e dei dati presenti nel report. Nondimeno, occorre tenere a mente limiti in

termini di disponibilità, coerenza e affidabilità delle informazioni, specialmente associati

all’impiego delle fonti aperte.

Precisazione terminologica

È opportuno evidenziare che il presente rapporto impiega il termine “sicurezza portuale” (port se-

curity) in un’accezione differente da quella tecnica. Per gli addetti ai lavori tale espressione riconduce

esclusivamente alla normativa IMO (International Maritime Organization) sopra menzionata,

ideata all’indomani degli attacchi alle Torri Gemelle del 2001, al fine di proteggere navi e porti da

possibili attacchi terroristici.

Qui, invece, l’espressione fa riferimento alla protezione dell’infrastruttura portuale da una serie

di attività, movimenti, infiltrazioni che possono non soltanto generare pericoli per l’area portuale

e tutti gli addetti, ma anche costituire una minaccia alla sicurezza nazionale.

Il ruolo delle raccomandazioni

Le raccomandazioni proposte alla fine del testo non devono essere considerate esaustive e sono il

frutto di una prima attività di ricerca condotta sul campo

dagli autori. L’attività di disseminazione del progetto di ricerca, a partire dalla pubblicazione del

seguente rapporto, fornirà nuovi spunti e nuove riflessioni. Con la pubblicazione di un addendum,

prevista entro giugno 2019, si cercherà di fornire una presentazione quanto più possibile accurata,

completa e bilanciata di prospettive e soluzioni per la protezione dell’infrastruttura portuale.

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1. L’IMPORTANZA DEI PORTI ITALIANI E

LA LORO ORGANIZZAZIONE

La posizione geografica dell’Italia al centro del

bacino del Mar Mediterraneo fa comprendere

l’importanza cruciale che i porti italiani rive-

stono per il commercio non solo prettamente

nell’area mediterranea, ma ben oltre. Infatti,

con i suoi circa 8.000 km di perimetro costiero

– all’interno dei 70.000 di quello europeo –,

l’Italia rappresenta da sempre un punto di in-

contro di varie culture, realtà, flussi commer-

ciali e trasporti.4

In tal senso, possono essere delineate quat-

tro direttrici commerciali che collegano

l’Italia: 1) ai Balcani e all’Europa orientale; 2)

al Nord Africa e ai paesi del Medio Oriente

più prossimi; 3) all’Estremo Oriente e a tutto

il resto del Medio Oriente tramite il canale di

Suez; 4) e, infine, alle Americhe.

La necessità di investire nella sicurezza por-

tuale italiana è dovuta alla grande importanza

che i porti italiani detengono nel panorama

europeo e mondiale e, ancor più, alle enormi

potenzialità che essi hanno. Porti sicuri atti-

rano il mercato. Se, da un lato, è vero che la

sicurezza non costituisce l’unico fattore in

grado di aumentare la competitività,

dall’altro contribuisce alla loro crescita

commerciale. Con l’espressione “porti sicu-

ri” non ci si riferisce a porti “militarizzati” o

caratterizzati da controlli invasivi. In tal sen-

4 M. CALIGIURI, A. SBERZE, Il Pericolo viene dal mare, In-

telligence e portualità, Roma, Rubettino, pp. 25-57.

so, la sicurezza può e deve essere considerata

come binomio di efficienza.

Alcuni dati possono essere utili a una mag-

gior comprensione di quanto detto.

Il Port Indicators 2018 pubblicato dal Centro

Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (SRM)

in collaborazione con Assoporti 5 informa

che nel 2017 l’Italia ha movimentato com-

plessivamente 502 milioni di tonnellate di

merci,6 segnando un aumento dell’1,8% ri-

spetto al 2016. A livello europeo, l’Italia si

posiziona al terzo posto per volume di merci

gestite, preceduta da Paesi Bassi e Regno

Unito, raggiungendo posizioni di leadership

nello Short Sea Shipping nel Mediterraneo.7

Senza scendere nei dettagli concernenti le varie

tipologie di merce gestite, i principali porti ita-

liani per volume di merci gestite sono Genova,

Trieste, Gioia Tauro (RC), La Spezia, Cagliari e

5 SRM, Italian Maritime Economy, 5th Annual Report, 2018. 6 SRM, Assoporti, Port Indicators, 2018, p. 16. 7 Ivi, p. 40. Short Sea Shipping è il movimento di merci e pas-

seggeri via mare su rotte di corto raggio. La Commissione

Europea definisce lo Short Sea Shipping quella tratta che in-

clude sia trasporto marittimo domestico che internazionale,

comprensivo dei servizi feeder (relativi a navi di dimensioni

medio-piccole), lungo le coste e da/a fiumi e laghi. Il con-

cetto di Short Sea Shipping si estende anche al trasporto

marittimo tra gli Stati Membri, inclusivo di Norvegia, Islan-

da e altri Stati del Mar Baltico, il Mar Nero e il Mediterra-

neo. ECSA, Short Sea Shipping, p.3.

12

Livorno.8 Va da sé che la preminenza di un de-

terminato porto su un altro varia a seconda

delle merce presa in considerazione. In ogni

caso, segnale della loro rilevanza è data anche

dal fatto che siano servite da almeno una delle

tre alleanze leader del trasporto marittimo

(2M, the ALLIANCE, the OCEAN AL-

LIANCE); Genova, La Spezia e Livorno sono

servite da tutte e tre.9

Ulteriori elementi indicativi dell’importanza

della portualità italiana sono 1) i rapporti

commerciali con il canale di Suez – il 50%

delle merci trasportate a Genova e il 47% a

La Spezia sono associati a questo crocevia

commerciale;10 2) l’alta connettività maritti-

ma con paesi cruciali come Cina, Emirati

Arabi Uniti, Arabia Saudita e Marocco – i

quali sono, inoltre, tra i principali leader della

filiera portuale mondiale.

Rappresentando un hub naturale per l’import,

l’export e trasporto passeggeri, i porti italiani

devono mantenere alta la loro competitività

nel confronto con altri porti, europei e non.

Fondamentali sono l’innovazione, la qualità

dei servizi, ma anche la stessa sicurezza.

Competitività e sicurezza sono infatti due

concetti che vanno di pari passo: porti non

sufficientemente sicuri mettono a rischio il

mercato.

Il mare, in generale, e i porti, con gli enormi

quantitativi di merci movimentate, sono per

natura degli ambienti vulnerabili, difficili da

gestire e, soprattutto, da controllare. Nascon-

dono di per sé insidie e pericoli che possono

mettere a repentaglio sia l’economia sia la si-

curezza nazionale.

Ecco che i porti italiani rappresentano luoghi

e bersagli appetibili per quei soggetti che vo-

8 Le classifiche cambiano in base alla categoria di merce presa

in considerazione. Se si parla di container, il primato viene

detenuto da Genova, Gioia Tauro e La Spezia. 9 SRM, Ports Indicators, p. 51. 10 Ivi, p. 11.

gliono renderli punti nevralgici per le loro

attività illecite.

In Italia, una prima preoccupazione è dovuta

alla presenza delle associazioni mafiose e di

altre organizzazioni criminali. La loro azione

di infiltrare, in vario modo, le infrastrutture

portuali per il traffico di droga, tabacco, ar-

mi, ecc. compromette l’idea di porto sicuro e

fa sì che un’inevitabile intensificazione dei

controlli da parte delle forze dell’ordine, ri-

schi di allontanare le compagnie che si ser-

vono delle rotte italiane per commerciare in

Europa, a vantaggio di competitors.

In aggiunta, la presenza di una minaccia terro-

ristica in grado di avvantaggiarsi anche di alcu-

ne vulnerabilità dell’ambiente marittimo e dei

porti, è sempre più incombente. Come si vedrà

in dettaglio, la questione della maritime security in

generale e della port security in particolare iniziò

a emergere con il dirottamento dell’ “Achille

Lauro” nel 1985 per poi assumere rilevanza

giuridica nel periodo immediatamente succes-

sivo agli attacchi delle Torri Gemelle. I porti,

dunque, costituiscono punti sensibili per la

minaccia terroristica.

Accanto alla preoccupazione per veri e pro-

pri attacchi terroristici contro i porti, c’è an-

che il timore di potenziali infiltrazioni jihadi-

ste in relazione a container, camion telonati,

autoarticolati e navi passeggeri. Come si ve-

drà nelle sezioni opportune, se vari strata-

gemmi di occultamento sono non di rado

utilizzati da immigrati clandestini, non si può

escludere che metodi simili possano essere

impiegati anche da soggetti che costituisco-

no un pericolo per la sicurezza nazionale.

Come accennato, Tutto ciò se, da una parte,

esigerebbe controlli sempre più serrati presso

varchi portuali e zone doganali, dall’altra, con-

trasta con le esigenze di un mercato altamente

competitivo che richiedono, invece, procedure

sempre più accelerate.

13

FIG. 1 - LE AUTORITÀ DI SISTEMA PORTUALE

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti

14

Da quanto detto, si può ben comprendere co-

me la gestione dell’infrastruttura portuale do-

vrebbe essere considerata tra le priorità di ogni

stato, al fine di intraprendere iniziative che mi-

rino, quanto più possibile, al soddisfacimento di

entrambi gli obiettivi, competitività e sicurezza.

LA STRUTTURA PORTUALE ITALIANA

In Italia, il 31 agosto 2016, è stato pubblicato

sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica ilde-

creto legislativo 169 del 4 agosto 2016 con-

tenente la Riforma per la “Riorganizzazione,

razionalizzazione e semplificazione della di-

sciplina concernente le Autorità Portuali di

cui alla Legge 28 gennaio 1994, n.84”1 avente

lo scopo di rilanciare e sviluppare il com-

1 Nel settembre 2017 il Consiglio dei Ministri, su proposta

del Ministro per la semplificazione e la pubblica ammini-

strazione e di concerto con il Ministro dell’economia e delle

finanze e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ha

approvato in esame preliminare lo schema di decreto legi-

slativo recante disposizioni integrative e correttive al decre-

to legislativo 4 agosto 2016, n. 169, http://www.mit.gov.it/

comunicazione/news/autorita-di-sistema-portuale-riforma-

porti-porti/autorita-portuali

mercio marittimo italiano. La riforma aveva

lo scopo di rilanciare il sistema delle Autorità

portuali, snellendone anche le procedure di

gestione. Il provvedimento, infatti, prevede

una drastica riduzione delle Autorità Portuali

(rinominate Autorità di Sistema Portuale), da

24 a 15.2

Come mostra la Figura 1, le Autorità di Sistema

Portuale coordinano 57 porti di rilevanza na-

zionale, nei cui vi è stabilita una figura rappre-

sentante e dipendente dal presidente di Autorità

di Sistema Portuale di riferimento. 3

In questa sezione si faranno alcune precisa-

zioni sul vigente sistema di leggi a protezio-

ne di navi e porti marittimi contro possibili

attacchi terroristici.

2 Tali Autorità di Sistema Portuale sono enti pubblici non

economici di rilevanza nazionale a ordinamento speciale,

dotati di autonomia amministrativa, organizzativa, regola-

mentare, di bilancio e finanziaria. Esse svolgono alcune

specifiche funzioni strategiche di indirizzo, programmazio-

ne e coordinamento del sistema dei porti della propria area.

In particolare, si prevede che esse si occupino dell’indirizzo,

programmazione, coordinamento, regolazione, promozione

e controllo delle operazioni e dei servizi portuali nonché

delle attività autorizzatorie e concessorie previste dagli arti-

coli 16, 17 e 18 della legge 28 gennaio 1994, n. 84.

http://www.mit.gov.it/mit/mop_all.php?p_id=26040 3 http://www.mit.gov.it/comunicazione/news/autorita-

portuale/approvato-il-decreto-riorganizzazione-dei-porti

15

2. LA PORT SECURITY

Queste precisazioni risultano dovute e ne-

cessarie al fine di comprendere sia

l’importanza che l’infrastruttura marittima

riveste, sia la necessità di avere un sistema

strutturato pronto a intervenire contro even-

tuali attacchi terroristici. Si vedrà poi

l’applicazione specifica della normativa in-

ternazionale al panorama italiano.

Quando si parla di sicurezza portuale – nella

sua accezione inglese di port security – tecni-

camente s’intende la protezione delle infra-

strutture portuali dalla minaccia terroristica.

È quello che c’è dietro all’adozione del Co-

dice internazionale per la sicurezza delle navi

e degli impianti portuali (ISPS Code), in

modifica alla Convenzione internazionale

per la salvaguardia della vita umana in mare

(SOLAS), all’indomani dell’attacco alle Torri

Gemelle. Creata sotto l’egida dell’IMO, tale

normativa internazionale è stata poi recepita

a livello europeo e nazionale.

Sebbene la normativa IMO costituisca il sub-

stratum del funzionamento dei porti e sia per

questo meritevole di trattazione, essa non va a

regolamentare – quantomeno direttamente – la

questione relativa a infiltrazioni mafiose e, in

generale, di criminalità organizzata nei porti.

Essa, dunque, è il punto di riferimento di un

altro aspetto di questo report, che è appunto

la minaccia terroristica – non solo intesa

come infiltrazione nei porti, ma anche come

attacco alle infrastrutture portuali.

Andando ad analizzare più nel dettaglio, il

concetto di port security rientra nella categoria

più ampia della maritime security, sicurezza ma-

rittima. Per comprendere tale concetto risulta,

dunque, necessario partire dal livello più alto

e generale, analizzandone elementi normativi

e background storico e geopolitico.

Come già accennato, la storia della maritime

security risale fondamentalmente al 1985, con

l’episodio dell’Achille Lauro che scosse gli

animi della Comunità internazionale. Il di-

rottamento della nave italiana da parte di un

gruppo di terroristi palestinesi al largo delle

coste egiziane rappresenta il primo episodio

clamoroso di azione terroristica nei confron-

ti di una nave passeggeri nell’epoca contem-

poranea. Inizia così ad avvertirsi un vuoto

normativo in tema di security marittima che

porta – nel 1988 e sotto l’egida dell’IMO –

all’adozione della cosiddetta Convenzione

sulla repressione degli illeciti contro la sicu-

rezza della navigazione marittima, meglio

conosciuta come Convenzione Lauro.1

La Convenzione Lauro dà vita al concetto di

terrorismo marittimo, come fenomeno sepa-

rato e distinto da quello di pirateria.2 Seppur

rimasto lo strumento legislativo di riferimen-

to per la repressione degli atti di terrorismo

1 Convention for the Suppression of the Unlawful Acts Against the

Safety of Maritime Navigation. 2 L. MARINI, Pirateria marittima e diritto internazionale, Roma,

Giappichelli, 2016, pp. 120-121.

16

contro la navigazione, il concetto di maritime

security non ha preso ancora forma nella legi-

slazione internazionale e questo si nota

dall’utilizzo del termine safety nel testo della

Convenzione Lauro.

A costituire la vera e propria rivoluzione co-

pernicana sono gli eventi dell’11 settembre

2001 che mettono in discussione la sicurezza

del “mezzo di trasporto” come elemento

vulnerabile.

Come risposta, l’IMO ha adottato, dopo la

Conferenza di Londra del dicembre 2002, il

Codice internazionale per la sicurezza delle

navi e degli impianti portuali,3 il cosiddetto

ISPS Code, entrato ufficialmente in vigore il

1° luglio 2004. Il Codice ISPS è diviso in due

parti, la parte A, contenente disposizioni

vincolanti, e la parte B, contenente racco-

mandazioni, pertanto non vincolanti, con la

possibilità, però, da parte degli stati di rende-

re vincolanti tali misure nella normativa di

ricezione interna. Queste novità normative

sono andate a modificare e ad aggiungersi

alla già esistente Convenzione SOLAS e

contengono il nuovo approccio alla sicurez-

za marittima. Da una parte, i capitoli V4 e

3 Gli impianti portuali rappresentano la località nella quale

avviene l’interfaccia nave/porto, ovvero l’insieme delle inte-

razioni che hanno luogo quando una nave è direttamente ed

immediatamente interessata da azioni che comportano il

movimento di persone, merci o la fornitura di servizi por-

tuali alla o dalla nave. SOLAS, Capitolo XI-2, Regola 1. 4 Indirizzato alle navi diverse da quelle passeggeri e cisterne,

di stazza pari o superiore a 300 ed inferiore a 50.000 tonnel-

late. Le navi dovranno anche essere dotato di un registro

sinottico il Continuous Synopsis Record, rilasciato dallo

Stato di nazionalità della nave e consistente in un elenco di

informazioni e documenti contenete informazioni aggiorna-

te in tempo reale e concernenti lo Stato di bandiera, la data

di registrazione , il numero di identificazione ed il nome

della nave, il porto di immatricolazione, il nominativo del

comandante, del proprietario, del noleggiatore, dell’autorità

emittente del Document of Compliance, Safety Manage-

ment Certificate e di quella certificante l`International Ship

Security Certificate regolamentato nella parte A dell’ISPS

Code. Laruffa, p. 71

XI-1 hanno imposto alle navi di dotarsi di

sofisticati sistemi di identificazione, ossia

AIS (Automatic Identification System), e di ripor-

tare sulla nave il numero di identificazione,

al fine di evitare collisioni tra navi e monito-

rare il traffico marittimo. Dall’altra, il capito-

lo XI-2, intitolato “Special Measures to en-

hance Maritime Security”, oltre all’identifi-

cazione delle autorità designate, ha delineato

quelli che sono i tre livelli di sicurezza dai

quali discendono relative e adeguate misure e

restrizioni. In tal senso, sono i governi che a

livello nazionale decidono il livello di sicu-

rezza da mantenere – normale (1), medio (2)

o elevato (3).5 Le navi sono tenute a con-

formarsi al livello di sicurezza esistente nel

porto, sia in fase di arrivo, sia quando sono

già ormeggiate in porto. Ai fini della nostra

trattazione, il capitolo XI-2 rappresenta la

più grande novità, delineando le definizioni

di “impianti portuali” e di “interfaccia nave-

porto”. Nella parte A dell’ISPS Code si sta-

tuisce che gli impianti portuali debbano con-

formarsi alle prescrizioni contenute nella

normativa internazionale e che i Governi

debbano provvedere alla predisposizione di

valutazioni di sicurezza portuale, base per i

piani di sicurezza nazionali.

Più nello specifico, di notevole importanza è

l’identificazione dell’addetto alla sicurezza

dell’infrastruttura portuale, ossia il Port Facili-

ty Security Officer (PFSO), al quale spetta an-

che l’elaborazione del Port Facility Security

Plan (da qui PFSP). Il contenuto del PFSP si

basa sugli elementi fondanti il Port Facility Se-

curity Assessment (PFSA), la valutazione del

rischio per l’appunto. Pertanto, tali elementi

dovranno figurare nei piani di sicurezza por-

tuale seguiti da considerazioni aggiuntive

concernenti esigenze “nazionali e locali”.

Compito del PFSO è quello, inoltre, di stilare

una serie di misure appropriate atte a mini-

5 Ibidem.

17

mizzare il più possibile il rischio di violazioni

di sicurezza e le potenziali conseguenze.

Ogni PFSP deve contenere: una descrizione

dettagliata del sistema di sicurezza del porto

e la messa in evidenza di tutte le ulteriori fi-

gure necessarie al corretto espletamento del-

le funzioni portuali; una descrizione delle

misure di sicurezza previste al livello di sicu-

rezza 1 e di quelle aggiuntive nel momento

in cui i livelli di sicurezza sono innalzati a 2 o

3 – tenendo in considerazione che debba

trattarsi di misure che non ostacolino il cor-

retto e scorrevole funzionamento del porto;

infine, il funzionamento delle reporting proce-

dures con i punti di contatto governativi.

Tra i compiti principali del PFSO vi è la te-

nuta di registri degli incidenti di e minacce

alla security, di training e simulazioni espletate

per la verifica del corretto funzionamento

delle misure di sicurezza.

Ultima procedura è l’atto di approvazione

del piano da parte della competente autorità

governativa, la quale potrà promuovere

emendamenti in una fase sia precedente sia

successiva all’approvazione medesima.

A livello europeo, la normativa di ricezione

della direttiva internazionale è rinvenibile nel

Regolamento 725/2004 CE, relativo al mi-

glioramento della sicurezza delle navi e degli

impianti portuali, tramite il quale gli Stati

membri hanno adottato la normativa ISPS

Code. In aggiunta a ciò, la Direttiva

2005/65/CE ha provveduto al miglioramen-

to delle disposizioni in tema di port security,

andando a integrare quanto previsto nel Re-

golamento 725/2004.

In Italia, la Direttiva europea del 2005 è stata

integrata nell’ordinamento nazionale attra-

verso l’emanazione del Decreto Legislativo

n. 203 del 6/11/2007. Quest’ultima norma-

tiva si sofferma sulla definizione di impianto

portuale, che, come anticipato, è il luogo do-

ve avviene l’interfaccia nave/porto (intesa

come insieme di interazioni che hanno luogo

quando una nave è direttamente e immedia-

tamente interessata da attività che compor-

tano il movimento di persone, merci o la

fornitura di servizi portuali verso/dalla na-

ve). Tale decreto legislativo istituisce poi la

Conferenza dei Servizi 6 presso ciascun

Compartimento marittimo, presieduta dal

Capo del Compartimento Marittimo,

l’Autorità di Sistema Portuale e l’agente di

sicurezza del porto, un funzionario prefetti-

zio, il capo della Polizia di Frontiera, quello

dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e il

dirigente dell’Autorità doganale e il coman-

dante dei Vigili del Fuoco. In questa sede

avviene il coordinamento dei vari corpi inte-

ressati ai controlli di sicurezza portuale,

mentre il controllo delle merci è demandato

all’Agenzia delle Dogane nelle interfacce na-

ve/porto.

Attraverso il Decreto Ministeriale del 29 no-

vembre 2002, viene istituito il CISM, il Co-

mitato Interministeriale per la Sicurezza Ma-

rittima e dei Porti, con compiti di indirizzo

nei confronti delle Capitanerie di Porto per

l’applicazione della normativa security. Un

successivo Decreto Ministeriale del 18 giu-

gno del 2004 ha attributo le funzioni in ma-

teria di sicurezza marittima, nonché quelle di

Autorità competente per la sicurezza marit-

tima e punto di contatto per la sicurezza ma-

rittima al Corpo delle Capitanerie di Porto.

LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO

Per assicurare un buon livello di sicurezza

dell’infrastruttura portuale, è indispensabile

procedere a un’attenta analisi dei potenziali

rischi. I porti nascondono, infatti, per natura

vari rischi che vanno da quelli legati

all’ambiente a quelli relativi al trasferimento

di merci e persone.

6 Art. 5 del Decreto Legislativo 203/2007.

18

Ecco che il processo di analisi del rischio si

articola attraverso tre momenti:

Threat Assessment (TA), la valutazione

della minaccia – danno materiale, per-

dita di vite umane, danni agli affari;

Vulnerability Assessment (VA), la valuta-

zione delle vulnerabilità – facilità di

accesso ed entrata alla struttura por-

tuale, permeabilità dell’infrastruttura a

un attacco terroristico, capacità del

personale addetto alla sicurezza nel

prevenire, reagire, eliminare un inci-

dente di security;

Risk Assessment (RA), la valutazione del

rischio – tale fase va a riassumere le

precedenti, mirando a porre a sistema i

risultati, analizzandoli nell’ottica di vari

interessi, ad esempio, salute pubblica,

trasporti, difesa, comunicazione,

commercio.7

I livelli di rischio sono tre: basso (1), me-

dio/moderato (2), alto/critico (3). A ogni

livello corrispondono delle misure di sicu-

rezza che vanno implementate all’interno

dell’infrastruttura portuale.

Il livello 1 è quello a cui operano normal-

mente le navi e le infrastrutture portuali.

Il livello 2 richiede misure supplementari da

applicare per un determinato periodo di

tempo in conseguenza di un incremento del

rischio.

Il livello 3, il più alto, denota una situazione

di emergenza e di per sé di carattere tempo-

raneo. Richiede misure ad hoc in vista di un

rischio altamente probabile/imminente.

Le navi che approdano in un’infrastruttura

portuale sono tenute a uniformarsi al livello

esistente in tale porto e ad adempiere gli ob-

blighi di security derivanti dalla situazione.

7 F. GARZIA, Sistemi della gestione della security in ambito portuale,

Università di Roma “La Sapienza”.

Quello che i piani di sicurezza devono rag-

giungere è la creazione di un sistema integra-

to di sicurezza quanto più adeguato possibi-

le. Un sistema caratterizzato da procedure

specifiche in accordo con le esigenze del

porto, da semplicità gestionale, da non intru-

sività nelle esigenze commerciali e dall’im-

piego di strumenti tecnologici all’avan-

guardia, quali tecnologia scanner, sistema di

sorveglianza, ecc.

IL PIANO “CRISTOFORO COLOMBO”

In Italia, il piano di sicurezza nazionale studia-

to ad hoc per la minaccia terroristica all’interno

dei porti prende il nome di “Cristoforo Co-

lombo”, ossia il Piano di Sicurezza Nazionale

Marittimo. In data 24 gennaio 2014, il Ministro

dell’Interno ha approvato tale piano redatto

dall’Ufficio Ordine Pubblico.

ESERCITAZIONI PIANO “CRISTOFORO COLOMBO”

PORTO DI TRIESTE

Il porto di Trieste, ad esempio, prevede

che ogni impianto portuale effettui una

volta all’anno e comunque a intervalli

che non superino i 18 mesi, alcuni ad-

destramenti che mettano alla prova il

coordinamento, le comunicazioni, la di-

sponibilità delle risorse e la prontezza

delle reazioni. Prevede, inoltre, eserci-

tazioni interne trimestrali atte a verifi-

care il corretto funzionamento di risor-

se e mezzi a disposizione. Infine, una

volta all’anno, tutti gli impianti por-

tuali devono partecipare alle esercita-

zioni più complesse disposte e coordi-

nate dall’Autorità di Pubblica sicurezza

e alle esercitazioni di security organiz-

zate dall’Autorità Designata in coope-

razioni con tutti gli enti competenti.

19

Tale piano nazionale prevede un’imple-

mentazione di piani “particolareggiati” per

ciascun porto, a cura dei prefetti che abbiano

competenza sui porti, e prevede un coinvol-

gimento attivo e diretto della Polizia di

Frontiera. Per ogni complesso portuale viene

previsto un insieme di misure di security, ade-

guando le previsioni generali alle esigenze

della specifica realtà portuale, tenuto anche

conto della tipologia di traffici marittimi, del

flusso passeggeri e in raccordo ai piani di port

security approvati in sede locale.8

L’importanza di tali piani si comprende pie-

namente nel momento in cui si pensa alla lo-

ro effettiva implementazione di fronte a un

incidente di security. A tal riguardo, è oppor-

tuno che tali piani siano ben conosciuti nella

loro attuazione pratica. Esercitazioni e simu-

lazioni, ad esempio, risultano necessarie per

il perfezionamento di ciascun piano partico-

lareggiato e per la messa in sicurezza di cia-

scun porto.

Dunque, da una prima analisi emerge come

tra le varie minacce temute vi siano gli attac-

8 http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/documenti

parlamentari/indiceetesti/038/003t02_RS/00000003.pdf

chi terroristici a navi ormeggiate e a tutta la

filiera portuale, per quanto siano da conside-

rare anche le navi in navigazione. Ovviamen-

te il regime in vigore deve mirare a protegge-

re quanto più possibile gli operatori e le for-

ze dell’ordine che potrebbero essere i primi

target di un attacco terroristico.

Una dimostrazione del funzionamento di

questo sistema risale ai più recenti attacchi

terroristici in Europa ispirati all’ideologia ji-

hadista. Prima gli attacchi di Parigi del 2015 e

poi quelli di Bruxelles del 2016 hanno indotto

le autorità italiane a innalzare il livello di sicu-

rezza nei porti per portarlo a 2. Tale innalza-

mento del livello – non dovuto in questo caso

a minacce concreti presenti, ma piuttosto le-

gato alla delicata situazione circostante 9 –

comporta, come già visto, un appesantimento

dei controlli su merci e passeggeri ai varchi

portuali e un aumento del personale incarica-

to della sicurezza. Sono misure necessaria-

mente a carattere temporaneo; in caso contra-

rio, si rischierebbe di bloccare tutto il traffico

marittimo sia turistico sia commerciale.

9, Italia, alzato livello di sicurezza nei porti, Il Sole24 Ore 12 ago-

sto 2016,

20

3. CHI SI OCCUPA DI SICUREZZA PORTUALE?

La sicurezza nei porti italiani è di competen-

za di diversi attori operanti al loro interno.

Prima di addentrarci a illustrarne operato e

specificità, è opportuno ricordare che la ge-

stione dell’infrastruttura portuale è affidata

alle Autorità di Sistema portuale,1 dirette da

un presidente, nominato dal Ministero delle

Infrastrutture e dei Trasporti di intesa con le

Regioni interessate.2

A livello generale, però, la sicurezza portuale

italiana si basa sul CISM, il quale ha il com-

pito di elaborare il programma nazionale

contro gli atti terroristici nel settore maritti-

mo, e quindi anche quello di stabilire i già

menzionati livelli di sicurezza secondo le di-

sposizioni della normativa IMO.

In accordo alla normativa internazionale di

riferimento – oltre a quella europea e nazio-

nale di ricezione – compito di ogni Autorità

portuale è l’indicazione al suo interno di un

funzionario per la sicurezza dell’infra-

struttura portuale, ossia il cosiddetto PFSO,

di cui si è parlato precedentemente. A tal ri-

guardo, occorre mettere in risalto come – in

aggiunta alle varie Forze dell’ordine presenti

preposte alla sicurezza – anche le Autorità di

sistema portuale siano munite di corpi priva-

1 Come visto in precedenza, la riforma della struttura por-

tuale è avvenuta attraverso l`adozione del decreto legislati-

vo 169 del 2016. 2 Tale figura, a sua volta, presiede un Comitato di gestione,

compost da 3-5 soggetti, http://www.camera.it/temiap/t/

news/post-OCD15-12585

ti che esercitano funzioni di vigilanza attra-

verso controlli di sicurezza nei confronti di

soggetti sia in entrata sia in uscita.

Tali organi svolgono servizi di sicurezza sus-

sidiaria e sono regolamentati dalla normativa

contenuta nel Decreto Ministeriale 15 set-

tembre 2009, n. 154.3 Il Decreto riveste par-

ticolare rilievo anche ai fini del recepimento

del regolamento europeo (Regolamento CE

725/2004 del 31 marzo 2004) adottato in

materia di miglioramento della sicurezza del-

le navi e degli impianti portuali, stabilendo,

peraltro, che servizi così delicati possono es-

sere svolti solo da personale qualificato e do-

tato di specifiche attribuzioni (le guardie par-

ticolari giurate).

Il servizio riguarda la predisposizione e la

messa in atto di tutte le azioni che, in ag-

giunta a quanto contemplato dal Piano di Si-

curezza Portuale4, si rendono necessarie per

la tutela della sicurezza dei beni e delle per-

sone che si trovano all’interno di tutte le aree

3 Regolamento recante disposizioni per l'affidamento dei

servizi di sicurezza sussidiaria nell'ambito dei porti, delle

stazioni ferroviarie e dei relativi mezzi di trasporto e depositi,

delle stazioni delle ferrovie metropolitane e dei relativi mezzi

di trasporto e depositi, nonché nell’ambito delle linee di tra-

sporto urbano, per il cui espletamento non è richiesto

l’esercizio di pubbliche potestà, adottato ai sensi dell’articolo

18, comma 2, del Decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, con-

vertito, con modificazioni, dalla Legge 31 luglio 2005, n. 155. 4 Come visto in precedenza, piani di sicurezza portuale so-

no stati introdotti dalla normativa IMO del 2001, poi rece-

pita a livello europeo e nazionale.

21

portuali comuni rientranti nella circoscrizio-

ne di ciascuna Autorità di sistema portuale.

Le disposizioni del suddetto Decreto Ministe-

riale richiedono che tali enti di vigilanza ab-

biano competenze ad hoc per la sicurezza por-

tuale e stabiliscono modalità di verifica e ac-

certamento dei requisiti professionali e ag-

giornamento di tutto il personale addetto a

tale servizio di sicurezza sussidiaria (controllo

del bagaglio, controllo dei varchi, vigilanza ai

terminal passeggeri e simili), affidato alla sicu-

rezza privata solo a integrazione dei servizi

esercitati dalla forza pubblica (come già acca-

de per gli aeroporti) e nei limiti in cui non sia

richiesto l’esercizio di pubbliche potestà.

Secondo tale meccanismo, gli enti di gestio-

ne portuali sono liberi di garantire la sicurez-

za sussidiaria direttamente o indirettamente

tramite l’affidamento del servizio in appalto

a istituti di vigilanza privata.5

Oltre a tali organi di sicurezza sussidiaria, la

sicurezza portuale è garantita dal presidio di

ulteriori corpi che tutelano i vari settori della

sicurezza in determinate aree di competenza.

Nella sezione dedicata alla normativa inter-

nazionale-comunitaria-nazionale in tema se-

curity si è fatto cenno anche alla differenza

tra safety e security. Si è detto che se la safety

attiene perlopiù alla salvaguardia della vita in

mare e alla tutela di persone e merci da qual-

siasi incidente, la security attiene più

all’ambito della prevenzione e del contrasto

di attività dannose intenzionali, come terro-

rismo, pirateria, infiltrazioni criminali. Ecco

che il Corpo delle Capitanerie di porto -

Guardia Costiera della Marina Militare costi-

tuisce l’ente che esegue controlli in materia

di sicurezza più legato al concetto di safety.

Essi tutelano sia la sicurezza della navigazio-

ne in mare – delle vite umane e delle merci –

sia quella delle banchine portuali e di tutta

l’infrastruttura portuale. In particolare, la

5 Vedasi art.1 del Decreto Ministeriale n.154 del 2009.

Guardia Costiera è detentrice di vastissime

funzioni che vanno dalla sicurezza della navi-

gazione, alla ricerca e soccorsi in mare – nelle

zone SAR (Search And Rescue). Ai fini della no-

stra ricerca, occorre sottolineare che per

quanto il Corpo eserciti funzioni di Port State

Control, ciò miri a garantire strettamente la sa-

fety,6 valore fondamentale sia per la struttura

portuale sia per quella navale,7 esso costitui-

sce, per così dire, il guardiano della normativa

IMO e quindi anche dell’ISPS Code e quindi

non si occupa di fatto di controlli di security.

Accanto alle autorità marittime, garanti della

sicurezza intesa nell’accezione stretta di secu-

rity, vi sono la Polizia di Frontiera, organo

della Polizia di Stato, l’Agenzia delle Dogane

e dei Monopoli e la Guardia di Finanza. Tali

Corpi sono i responsabili diretti di tutto ciò

che avviene all’interno dei varchi portuali e

nell’immediato esterno (Guardia di Finanza),

occupandosi quindi di fattispecie criminose e

di violazioni tributarie.

LA POLIZIA DI FRONTIERA

L’attività principale della Polizia di Frontiera8

è il contrasto all’immigrazione clandestina e

6 La Guardia costiera mira a garantire il rispetto della nor-

mativa internazionale di IMO e ILO, del Memorandum of

understanding f Paris del 1982 e della normativa comunitaria

e di quella di recepimento nell’ordinamento nazionale, de-

creto legislativo n. 53 del 24 marzo 2011 (decreto attuativo

della Direttiva 2009/16/CE). 7 Per approfondimento, http://www.guardiacostiera.gov.it/ 8 La Direzione centrale è stata istituita con la cosiddetta

Bossi-Fini – la legge 30 luglio 2002, n. 189. L’articolo 35 ha

istituito la Direzione centrale della polizia

dell’Immigrazione e delle frontiere che si colloca presso il

Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero

dell’Interno. Con la creazione di una Direzione centrale

totalmente dedicata all’immigrazione e alle frontiere si è

voluto perseguire il duplice obiettivo di favorire lo sviluppo

di strategie d’azione innovative e più efficaci, nel contrasto

all’immigrazione clandestina con una maggiore proiezione

anche sul piano internazionale, e di gestire le problematiche

inerenti la presenza degli stranieri sul territorio nazionale.

http://www.poliziadistato.it/articolo/23463

22

alla falsificazione di documenti – come visti,

passaporti, carte di identità, patenti. I con-

trolli alle frontiere concernenti l’attività di

ingresso e di uscita ai confini sono regolati

nel “Codice delle frontiere di Schengen”, re-

golamento europeo CE 562/2006.

Nelle funzioni di controlli e ispezioni di

pubblica sicurezza per il contrasto all’immi-

grazione clandestina, gli agenti possono pro-

cedere a controlli e ispezioni di persone e

merci, anche quelle sottoposte a speciale re-

gime doganale, qualora vi sia un fondato moti-

vo, basato su elementi di analisi di rischio,

idoneo a far ricadere la fattispecie in uno dei

reati di immigrazione clandestina ai sensi del

Testo unico sull’immigrazione. Gli agenti di

polizia dovranno procedere al respingimento

alla frontiera di un soggetto in caso di: a)

presenza di cause ostative all’ingresso (ad

esempio, una segnalazione nella banca dati

SIS, sistema di informazione Schengen, o

una condanna per reati inerenti sostanze

stupefacenti); b) assenza di taluno dei requi-

siti per il soggiorno nel territorio nazionale

(ad esempio, del visto di ingresso ove richie-

sto o di un’idonea situazione di alloggio); c)

presenza di elementi che inducano a ritenere

che la persona che chiede l’ingresso rappre-

senti una minaccia reale, attuale e sufficien-

temente grave per la sicurezza interna,

l’ordine pubblico o le relazioni internazionali

degli Stati membri, ovvero una minaccia per

la salute pubblica.9

9 Altra forma di respingimento è quella disposta dal Que-

store, non alla frontiera, bensì con accompagnamento alla

frontiera qualora quando lo straniero, entrando nel territo-

rio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, è ferma-

to all’ingresso o subito dopo; quando lo straniero, pur non

avendo i requisiti richiesti per l’ingresso, è stato temporal-

mente ammesso nel territorio per necessità di pubblico soc-

corso, https://www.asaps.it/downloads/files/art_pag_18_

cent_162(1).pdf

L’AGENZIA DELLE DOGANE E

DEI MONOPOLI

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli è

organo che, nello svolgere funzioni sia di ca-

rattere prettamente tributario (es., dazi, acci-

se) sia di carattere extra-tributario (es., lotta

alla contraffazione), presidia gli spazi doga-

nali e quindi anche nei porti. In quanto tale,

s’inserisce in un quadro composito, come

autorità dedita al monitoraggio e al controllo

per il contrasto di fattispecie fraudolente.

La normativa doganale esistente è rinvenibile

nel Regolamento UE 952/2013, il quale ha

istituito il nuovo Codice Doganale

dell’Unione Europea (CDU), abrogando –

tra i vari regolamenti preesistenti10 – il pre-

cedente Codice Doganale Comunitario isti-

tuito con Reg. CEE 2913/92. Il nuovo Co-

dice prosegue il percorso di informatizza-

zione dei dati già intrapreso con il preceden-

te codice comunitario e, ad ogni modo, in

uno stadio già avanzato nel sistema italiano.

A ciò si aggiunge la normativa nazionale rin-

venibile nel Testo Unico delle Leggi Doga-

nali, la quale prevede la presenza comple-

mentare, sussidiaria o esclusiva della Guardia

di Finanza, a seconda delle situazioni.

Il sistema di controllo merce delle autorità

doganali è stato riformato a livello comunita-

rio. È stato il cosiddetto sistema automatiz-

zato ICS (Import Control System) e ECS (Ex-

port Control System). L’ICS prevede la presen-

tazione di una dichiarazione sommaria delle

merci in entrata nella comunità, ENS (Entry

Summary declaration). Ed è proprio su tale di-

chiarazione che le autorità doganali, attraver-

so un sistema dei rischi comunitario, decidono

se la merce debba procedere a un controllo –

10 Dal 1 maggio 2016, il nuovo CDU ha anche abrogato il

Reg. (CEE) n. 3925/91, relativo all’eliminazione dei con-

trolli sui bagagli dei viaggiatori intracomunitari e il Reg.

(CEE) n. 1207/2001, relativo al rilascio dei certificati di

origine EUR e alla qualifica di esportatore autorizzato.

23

che in taluni casi porterà anche a una mancata

autorizzazione di ingresso nella comunità ENS

– oppure se, invece, possa procedere diretta-

mente verso la destinazione designata.

Infatti, le merci che fanno ingresso nel regi-

me unionale sono soggette alla vigilanza do-

ganale e, se richiesto, a controlli doganali –

salvo eccezioni e restrizioni di vario tipo.

Dunque, la merce non potrà mai essere ri-

mossa senza l’autorizzazione delle dogane.11

Le procedure dei controlli costituiscono un

panorama complesso. Ad ogni modo, va

detto che un’importante parte di operazioni

doganali avviene in via semplificata, ossia

una dichiarazione proveniente da enti auto-

rizzati dal quale si evincono semplicemente

gli elementi per identificare la merce e il re-

gime al quale si tende vincolarla. Statistica-

mente, i controlli sulle operazioni doganali

semplificate risultano nettamente minori.

I controlli, infatti, vengono fatti per lo più su

operazioni doganali ordinarie oppure su

quelle domiciliate.

In spazi doganali così importanti come i por-

ti, è necessario dotarsi di sistemi in grado di

rispondere alle esigenze commerciali senza

bloccare la catena di spedizione e, allo stesso

tempo, evitare il passaggio di merci illegali.

Ecco che AIDA (Automazione Integrata

Dogane Accise), il sistema informatico do-

ganale, consente la telematizzazione degli

scambi di documenti, offre servizi standar-

dizzati e integrati che agevolano il commer-

cio e riducono i costi di transazione, incre-

menta le potenzialità delle attività di analisi e

gestione dei rischi, necessari all’effettuazione

di controlli mirati. La scelta strategica di of-

frire un servizio di sdoganamento in cui è

integrata l’attività di controllo si è rivelata

cruciale per velocizzare le operazioni di im-

11 Art 133, Codice Doganale dell’Unione.

port/export e ottenere una crescente effica-

cia dei controlli.12

Stante il fatto che i controlli doganali sulla

merce vengono effettuati anche a campione

– e quindi in maniera casuale – l’Agenzia si

basa per lo più su un’analisi di rischio, relati-

va a i fattori che possono far scattare proce-

dure di controllo più o meno approfondite.

Come anche specificato nel Codice Doganale

dell’UE, la gestione del rischio comprende una

serie di attività che vanno dalla raccolta di dati

e informazioni, analisi e valutazione di rischi,

prescrizione e adozione di misure e monito-

raggio, analisi dei risultati sulla base di fonti e

strategie internazionali, unionali e nazionali.

L’analisi di rischio, in un primo momento

locale, viene trasmessa in caso di alert nel cir-

cuito doganale nazionale in modo tale che

corrispondenti delle Dogane siti in altre lo-

calità abbiano la possibilità di vedere l’alert –

in relazione a un elemento che in futuro po-

trebbe costituire una minaccia anche per lo

spazio doganale di loro competenza. Il cir-

cuito doganale non è altro che una banca da-

ti dell’agenzia.13 Detto ciò, anche quando il

controllo proviene dal metodo a campione e il

risultato è negativo, questo dato verrà inseri-

to nel database dell’agenzia.

Entro un dato termine e per ragioni di sicu-

rezza, l’ufficio doganale deve procedere a

un’analisi di rischio basata sulla dichiarazione

sommaria di entrata.14

Ai fini della presente trattazione, non è ne-

cessario esaminare dettagliatamente il com-

plesso panorama procedurale della telema-

tizzazione introdotta con la riforma del Co-

dice Doganale. Nondimeno, occorre tenere a

12 Audizione del Presidente Giuseppe Peleggi presso la VI

Commissione Permanente Finanze, Camera dei Deputati,

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, 6 giugno 2013. 13 Audizione Parlamentare, Sergio Cardiello, Direttore

dell’Agenzia delle Dogane di Ravenna, 13 maggio 2015. 14 Art. 128 del Codice Doganale dell’Unione Europea.

24

mente che a livello europeo è in atto un va-

sto processo di adeguamento dei sistemi do-

ganali alla telematizzazione di dati, docu-

menti e informazioni richieste dai vettori.

Sommariamente si può dire che ogni dichia-

razione doganale presentata, anche su carta,

è trattata dal sistema ed esaminata dal Circui-

to Doganale di Controllo che provvede a in-

dirizzarla a uno dei 5 canali di controllo

(verde, giallo, arancio, rosso e blu) in rela-

zione ai circa 6.000 profili di rischio even-

tualmente associati a uno o più elementi del-

la dichiarazione (origine, provenienza, merci,

imballaggi, ecc.):

canale verde – controllo automatizzato

(CA): è il sistema stesso che, in base ai

dati in memoria nel sistema AIDA, ef-

fettua un controllo formale. In codice

verde, la merce viene immediatamente

svincolata;

canale giallo – controllo documentale della

dichiarazione e della documentazione al-

legata (CD): agli operatori viene richiesta

tutta la documentazione e le autorizzazio-

ni correlate alla movimentazione;

canale arancione – controllo documentale

e verifica “scanner” (raggi-x) dei mezzi

di trasporto e dei container (CS) per ve-

rificare che ci sia un riscontro positivo

tra l’immagine del prodotto e quanto di-

chiarato;

canale rosso – controllo documentale e

fisico delle merci (VM): se dai controlli

scanner gli addetti rilevano merce non

dichiarata o sostanze illecite, essi scari-

cano materialmente il container per ve-

rificare il contenuto; 15

canale blu – controllo a posteriori con re-

visione dell’operazione effettuata. Il cir-

15 Audizione del Presidente Giuseppe Peleggi presso la VI

Commissione Permanente Finanze, Camera dei Deputati,

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, 6 giugno 2013.

cuito doganale di controllo selezionerà

per ogni ufficio un campione di dichiara-

zioni indirizzate precedentemente al cana-

le CA per sottoporle a revisione, al fine di

verificare unitamente agli elementi dell’ac-

certamento, anche la concordanza tra il

fascicolo cartaceo e il fascicolo elettronico

eventualmente trasmesso.16

Riassumendo, dunque, i controlli possono es-

sere di tipo automatizzato, documentale, ispet-

tivo totale o parziale fisico della merce o attra-

verso l’utilizzo della tecnologia scanner.17

Tutto il sistema è quindi incentrato su fatto-

ri/indicatori di rischio che, a loro volta, si

basano su una costante attività di raccolta,

elaborazione e valutazione delle informazio-

ni provenienti dall’analisi dei flussi e da nu-

merose banche dati nazionali e comunitarie.

Un processo ciclico di valutazione e corre-

zione dei profili di rischio in relazione ai ri-

sultati dei controlli, il cui esito viene registra-

to nel sistema, consente al sistema di gestio-

ne automatizzata del rischio di “apprendere”

dai risultati ottenuti per accrescere l’efficacia

e la selettività dei controlli, riducendone

progressivamente la quantità. O, meglio, una

serie di feedback positivi fa diminuire i con-

trolli. Al contrario, una serie di feedback ne-

gativi registrati indurrà il Corpo a una mag-

giore attenzione e, di conseguenza, a un au-

mento progressivo dei controlli.

LA GUARDIA DI FINANZA

La Guardia di Finanza s’inserisce tra gli altri

attori rilevanti nella grande dimensione della

sicurezza portuale grazie anche al nuovo

ruolo di vera e propria Polizia del mare at-

traverso il conferimento di poteri esclusivi di

16 Agenzia delle Dogane, 11 gennaio 2016. 17 G. DAL SAVIO, G. DARI, L’impatto dell1attività doganali sui

flussi portuali containerizzati, Studi e Ricerche n.1/2012, Agen-

zia delle Dogane. Tra i più diffusi vi è la tecnologia Silhouette

Scanner per container in transito.

25

tutela della sicurezza nel mare.18 In aggiunta

alle summenzionate autorità, anche la Guar-

dia delle Finanza esercita poteri di controllo

e vigilanza all’interno dei varchi delle aree

portuali. Infatti, sebbene il servizio doganale

venga in primis svolto dal personale delle

Dogane, può esser svolto dai militari della

Guardia di Finanza in via sussidiaria; questi

ultimi, per motivi di sicurezza fiscale, posso-

no agire anche al di fuori delle aree stretta-

mente doganali e quindi al di fuori delle aree

di carico e scarico merci. Il T.U.L.D (Testo

unico delle leggi doganali) regola i poteri di

visita, ispezione e controllo delle persone e

quelli sui mezzi di trasporto e i bagagli. In

aggiunta a ciò, i militari della Guardia di Fi-

nanza, sempre nel rispetto del T.U.L.D,

svolgono autonomamente il servizio di ri-

scontro nella fase finale del procedimento di

controllo, integrando l’accertamento con un

esame fisico della merce, sommario ed

esterno, che garantisca la rispondenza con

quanto indicato nei documenti doganali di

scorta. Come già sopra menzionato, il testo

procede a regolamentare la presenza del

Corpo delle Dogane e dei militari della

Guardia di Finanza nelle varie situazioni. Va

comunque detto che la presenza dei militari

della Finanza accanto alle Dogane deve esse-

18 Dal 1° gennaio 2017, infatti, alla luce di quanto disposto

dal Decreto Legislativo n. 177 del 19 agosto 2016, alla

Guardia di Finanza sono state attribuite funzioni esclusive

nell’ambito del comparto di specialità della “sicurezza del

mare”, rendendo di fatto il Corpo l’unica Forza di Polizia a

mare. Ad ogni modo, la Guardia di Finanza da sempre

svolge in mare il suo ruolo esclusivo di polizia economico -

finanziaria (D.Lgs n .68/2001) integrando il dispositivo re-

gionale con quello di proiezione sia per il controllo delle

frontiere esterne con le attività di esplorazione aeromaritti-

ma condotte in acque internazionali, sia per la difesa degli

interessi economici del paese con l’impiego dei reparti ope-

rativi aeronavali che insistono sul territorio, potendo così

sviluppare una complessa ed organizzata attività sinergica

per il contrasto dei traffici illeciti, nelle loro varie forme.

re sempre rispettato ogni qual volta ci sia

una motivata richiesta da parte dei primi.19

In ambito doganale la Guardia di Finanza

garantisce un saldo presidio rispetto alle mi-

nacce provenienti dall’esterno dell’Unione

Europea ed è in grado di sviluppare approfon-

dite e complesse indagini di polizia giudiziaria

volte a disarticolare le organizzazioni criminali

dedite agli illeciti traffici e a sottoporre a se-

questro i profitti dalle stesse conseguiti. A dif-

ferenza dell’Autorità Doganale, la Guardia di

Finanza è a tutti gli effetti un organo di Polizia

dotato di attività di intelligence, ragion per cui

l’acquisizione delle informazioni avviene se-

condo modalità diverse. L’operato della Guar-

dia di Finanza nelle zone portuali rientra anche

nelle funzioni ordinarie di lotta alla criminalità

organizzata, al traffico di stupefacenti, ecc, tut-

te attività dove un ruolo centrale è giocato dai

vari reparti investigativi come S.C.I.C.O (Ser-

vizio Centrale di Investigazione sulla Crimina-

lità Organizzata), G.I.C.O (Gruppi di investi-

gazione sulla criminalità organizzata) e G.O.A.

(Gruppo Operativo Anti-Droga). Da ciò

emergono due esigenze fondamentali quando

si parla di sicurezza portuale:

una quanto più chiara possibile distin-

zione e, allo stesso tempo, coordina-

mento tra l’Agenzia delle Dogane e

Guardia di Finanza;

una sinergia tra tutti i corpi addetti a ga-

rantire la sicurezza portuale.

Tale sinergia appare indispensabile, special-

mente all’occorrere di incidenti di sicurezza.

La diversità dei ruoli all’interno delle aree por-

tuali e nelle immediate vicinanze conduce, in

realtà, a una necessaria cooperazione tra i vari

organi per il contrasto dell’immigrazione clan-

destina e falsificazione di documenti e per tutti

i traffici illeciti che sono di principale interes-

se per questa ricerca.

19 Artt. 21 e 63 del Testo Unico Leggi Doganali.

26

4. TRAFFICI ILLECITI

4.1 IL CONTRABBANDO DI

TABACCHI LAVORATI ESTERI

Secondo alcuni dati pubblicati recentemente

dal Project Sun, l’Italia è al 21esimo posto in

Europa per il consumo di sigarette di con-

trabbando.1 In numeri, circa il 5,8%, che tra-

sformati in accise non pagate corrisponde-

rebbero a 822 milioni di euro. Sebbene que-

sti dati non siano particolarmente allarmanti

se confrontati con quelli di altri paesi euro-

pei, un’importante fetta del mercato resta

comunque occupata dalle sigarette di con-

trabbando. Appare quindi naturale chiedersi

come queste ultime entrino nel mercato ita-

liano – occupandosi in questo contesto

dell’ingresso tramite le zone intra-ispettive

marittime (ovvero zone dove sono presenti i

controlli frontalieri).

LA STORIA DEL CONTRABBANDO IN ITALIA

In Italia il contrabbando di sigarette o, più

precisamente di TLE, si manifesta come at-

tività illecita legata alla criminalità autoctona

e straniera – organizzata e non – e ha vissuto

periodi di floridità alternati a periodi di stallo.

1 The Project SUN è lo studio annuale di KPMG sulla por-

tata e lo sviluppo del mercato illecito delle sigarette nei Pae-

si dell’UE, in Norvegia e in Svizzera, commissionato dal

Royal United Services Institute for Defence and Security

Studies (RUSI). L’ultima edizione dello studio è disponibile

alla pagina web:

https://home.kpmg.com/uk/en/home/insights/2017/07/

project-sun-2016-results-illicit-cigarette-market.html

Appare utile ripercorrere sinteticamente

l’evoluzione del fenomeno. Sin dal secondo

dopoguerra, l’Italia ha costituito un impor-

tante scenario per il contrabbando di sigaret-

te. Gli anni ’50 hanno visto un principio di

questo traffico sulla fascia tirrenica e, in par-

ticolare, in Campania. Basti pensare che solo

il 20% della produzione di sigarette proveni-

va dal Monopolio dello Stato, mentre il 50%

di produzione campana era legato a elementi

camorristici e il restante 30% era gestito dal

contrabbando dei porti di Gibilterra, Marsi-

glia, ecc.

È negli anni ʼ70 che si assiste a un boom del

contrabbando di sigarette a causa dello

shock petrolifero che provocò una profonda

crisi economico-finanziaria. La domanda di

sigarette a bassissimo prezzo era, di conse-

guenza, sempre in aumento e i famosi “scafi

blu” che prelevavano i carichi di sigarette

dalle navi madri approdavano giornalmente

e con grande affluenza presso il porto di

Napoli. Tutta questa fase ha fatto sì che si

venissero a creare delle “multinazionali” del

contrabbando di sigarette gestite dalla crimi-

nalità organizzata, ormai altamente specializ-

zata nel settore.2

Gli anni ’80-’90 hanno visto l’inizio di una

nuova tecnica di ingresso dei carichi illeciti di

sigarette, attraverso zone extra-ispettive –

2 A. MIGLIACCIO, Il secondo dopoguerra e gli anni Sessanta: il con-

trabbando, Università degli Studi di Napoli Federico II

27

ossia quelle zone dove non sono presenti i

controlli frontalieri – di cui si tratterà più

avanti nel report.3

Di fronte a tale scenario, il governo italiano

decise di procedere a uno stringente giro di

vite sulla fascia tirrenica tramite l’ausilio dei

funzionari della Guardia di Finanza. Questo

inasprimento provocò come conseguenza uno

spostamento del traffico sulla fascia adriatica.

Proprio nella fascia adriatica il contrabbando

di tabacchi ha acquistato un ruolo di assoluta

predominanza, con particolare riguardo al traf-

fico via mare che dall’area balcanica tocca le

coste del Sud Italia. Infatti, la maggior parte dei

vettori di TLE proviene dall’Est Europa, dal

Montenegro e dall’Al-bania. L’instabilità politi-

ca di quella regione ha sempre avuto un forte

impatto sull’Italia – come si vedrà, anche per il

traffico di armi. Le guerre nell’ex-Jugoslavia

degli anni ’90 hanno favorito la formazione di

organizzazioni criminali dedite ai più svariati

traffici illeciti, aggiungendosi a gruppi criminali

preesistenti.4

La famosa Operazione “Primavera” del 2000

portò a una significativa battuta di arresto

del contrabbando di sigarette in Italia. In se-

guito agli eventi del 23 febbraio del 2000 a

Brindisi, quando due finanzieri persero la vi-

ta e due furono gravemente feriti a causa di

uno speronamento da parte di alcuni con-

trabbandieri, il governo diede il via a una

forte azione di contrasto. Dal 28 febbraio al

15 giugno 2000, questo intervento si tra-

sformò in una vera e propria maxi-

operazione, non limitandosi solo alle sigaret-

te, ma estendendosi anche a droga e armi. Il

periodo immediatamente successivo all’Ope-

razione “Primavera” ha visto una fase di

3 Generale D. STEFANO SCREPANTI, Strategie Internazionali ed

europee nella lotta contro il commercio illegale di prodotti del tabacco,

Comando Generale della Guardia di Finanza, gennaio 2018. 4 C. RACIOPPI, in N. Dalla Chiesa (a cura di), Mafia globale.

Le organizzazioni criminali nel mondo, Milano, Laurana Editore,

2017, p. 133.

tranquillità, o quantomeno di semplice calma

apparente. A un’iniziale diminuzione del

traffico si contrappone una nuova fase carat-

terizzata da una sensibile e meno timida ri-

presa del contrabbando di sigarette.

L’esperienza del passato ha comunque dota-

to le forze dell’ordine italiane di grandissime

conoscenze relative al traffico, sia per quan-

to riguarda le tecniche utilizzate sia per gli

attori coinvolti.

QUAL È LA SITUAZIONE ATTUALE DEL

CONTRABBANDO DI SIGARETTE VIA MARE?

Pur essendo un’attività criminosa altamente

remunerativa, essa risulta comunque secon-

daria rispetto al traffico di stupefacenti. Con

quest’ultimo però condivide non di rado rot-

te e tecniche di infiltrazione. In molti casi le

sigarette di contrabbando via mare sono traf-

ficate insieme a droga, armi e immigrati clan-

destini. Tuttavia non mancano i casi in cui in-

genti quantitativi di TLE viaggiano da soli in

container dietro carichi di copertura. Si con-

stata, infatti, come il traffico di sigarette sia

per lo più di carattere intra-ispettivo, ossia

avvenga attraverso le frontiere portuali.5

Prima di procedere all’analisi di alcuni seque-

stri recentemente effettuati, dai quali poi

estrapolare le principali vulnerabilità, è bene

sottolineare che con l’espressione “sigarette

di contrabbando” ci si può riferire a:

Sigarette contraffatte: al pari delle merci

contraffatte che comunemente si ven-

dono in strada (borse, scarpe, ecc.), esi-

stono anche le sigarette contraffatte.

Pertanto esse sono sempre illegali, in

quanto costituiscono un’imitazione non

autorizzata di marchi commerciali, con

una qualità inferiore ai prodotti origina-

li. Non è infatti solo un problema di

confezione contraffatta; la qualità sia

5 Intervista ad autorità, Trieste, ottobre 2017.

28

della carta sia del tabacco generalmente

è di gran lunga inferiore, andando quin-

di a intaccare la salute dei consumatori.

Inoltre, spesso al tabacco sono aggiunte

sostanze nocive al fine di rendere anco-

ra più bassi i prezzi dei singoli pacchetti.

Illicit o cheap whites: ossia marchi prodotti

legalmente in un mercato – tassati per il

consumo locale o non tassati per

l’esportazione – e venduti consapevol-

mente a commercianti che li trasportano

in un altro paese dove i prodotti sono

venduti illegalmente, sviando così la tas-

sazione locale. In altre parole, tutto è

regolare nel paese di produzione, per

poi diventare illegale nel momento in

cui, per esempio, un determinato mar-

chio che non rispetta gli standard di

qualità comunitaria entra nell’Unione

Europea e non paga le tasse in un de-

terminato paese. Alcuni esempi di mar-

chi noti come illicit whites sono: Marble,

Minsk 6 , President, Penang, Portman,

Premier, Yes, Regina, Royal, Gold

Mount, Ashima, ecc.7

Sigarette di contrabbando in senso stretto: so-

no sigarette regolarmente prodotte dalle

grandi aziende del tabacco e destinate

alla vendita in un determinato paese, ma

vendute in realtà in un altro paese non

destinato a tale vendita. Tendenzialmen-

te, vengono trasportate illegalmente in

paesi dove la tassazione sulle sigarette è

più alta; in questi paesi, infatti, sarà più

facile trovare della clientela alla ricerca

di sigarette a prezzi inferiori.

6 Minsk, marchio della Bielorussia, è tra i più conosciuti.

Molte pressioni da parte dell’Unione Europea sono state

esercitate contro questo traffico, https://www.euractiv.

com/section/trade-society/news/minsk-under-pressure-to-

take-action-against-illicit-whites/ 7 http://tobaccocontrol.bmj.com/content/suppl/2015/09/

28/tobaccocontrol-2015-052540.DC1/tobaccocontrol-

2015-052540supp.pdf

TREND E OPERAZIONI

In Italia, la maggioranza delle sigarette se-

questrate sono di tipo illicit whites/cheap whites.

Per esempio, il 2016 ha visto un totale di cir-

ca 240 tonnellate di sigarette sequestrate, di

cui la maggior parte appartenente a

quest’ultima categoria.8 Consistenti sono sta-

ti anche i sequestri di TLE di contrabbando

effettuati nel 2017 e nei primi mesi del 2018,

i quali hanno visto il coinvolgimento di di-

versi porti italiani.9

Appare ragionevole congetturare che, nono-

stante la grande efficienza delle autorità italia-

ne coinvolte e una meticolosa attività di intelli-

gence, la reale quantità di sigarette oggetto di

contrabbando possa essere nettamente supe-

riore a quella che i sequestri effettuati mo-

strano. Ciò può essere il segno di una presen-

za del traffico illecito decisamente meno ti-

mida rispetto a qualche anno fa; in particola-

re, le possibilità di contrabbando via mare uti-

lizzando rotte e mezzi di altri traffici illeciti

costituiscono un importante facilitatore.

La seguente illustrazione (Figura 3) mostra le

zone italiane dove sono avvenuti i maggiori

sequestri di contrabbando di TLE nei primi sei

mesi del 2017. Non c’è da stupirsi se sul podio

compaiono Campania, Puglia e Friuli Venezia

Giulia. Campania e Puglia si riconfermano tra

le principali regioni per la presenza di organiz-

zazioni criminali. Nel caso pugliese, si segnala

la vicinanza geografica ad aree storicamente

sensibili. Analogamente la zona triestina detie-

ne una posizione cruciale al confine con paesi

dell’Est.

Per quanto riguarda il business del contrab-

bando di sigarette e le mafie nazionali, Ca-

morra e mafia pugliese sono quelle più inte-

ressate a questo traffico. Cosa Nostra appare

coinvolta in misura ridotta. La ’Ndrangheta

8 Generale D. STEFANO SCREPANTI. 9 Intervista ad autorità, Bari, febbraio 2018.

29

sembrerebbe preferire impegnare le sue for-

ze nel ben più remunerativo traffico di co-

caina.10

FIG. 2 - MAGGIORI SEQUESTRI DI TLE DI

CONTRABBANDO NEL PRIMO SEMESTRE DEL 2017

Fonte: Ares- Rendicontazione statistica. Il Sole 24Ore,

9 maggio 2018

I metodi utilizzati dai contrabbandieri sono

molteplici e variano molto a secondo del ti-

po di rotta di cui si servono. Se è vero che la

maggior parte delle partite di sigarette di

contrabbando proviene dalla Grecia e, a sua

volta, da paesi dell’Est Europa, nell’ultimo

periodo si è registrata la presenza di un gran

numero di stecche di sigarette provenienti

dalla Libia, dall’Algeria e dal Marocco, dovu-

ta principalmente al fatto che in questi paesi,

a causa di attività di contrasto e repressione

meno efficaci, le attività illecite fioriscono,

anche a discapito dei paesi vicini.11

Da singole operazioni si possono evincere le

principali criticità del sistema, che sollevano

10 Intervista a Cesare Sirignano, ex magistrato a Napoli e

procuratore delle Direzione Nazionale Antimafia e Antiter-

rorismo a Roma, Il Sole 24 Ore, 9 maggio 2018. 11 Ibidem.

questioni meritevoli di particolare attenzione.

Doveroso sottolineare, in particolare, come

l’utilizzo delle zone intra-ispettive comporti

pericoli per gli stessi operatori incaricati della

sicurezza portuale, in prima linea nella lotta

contro i traffici illeciti e la contraffazione.

LA “FRONTIERA ESTESA”.

IL RUOLO DELLA GRECIA

Tra i principali punti da analizzare,

un’attenzione preminente deve essere data al

ruolo della Grecia. Questo tema non riguar-

da soltanto il contrabbando di sigarette e

pertanto verrà menzionato più volte nel cor-

so del report.

Accanto ai suoi benefici indiscussi, il regime

Schengen, responsabile dell’eliminazione dei

controlli alle frontiere interne dell’Europa,

ha fatto sì che molti stati abbiano di fatto vi-

sto la propria frontiera spostarsi in un altro

luogo. Verso sud-est la frontiera europea

dell’Italia (e non solo) è effettivamente rap-

presentata dalla Grecia, con tutte le possibili

instabilità derivanti.12

In sostanza, è come se l’Italia affidasse parte

della sua sicurezza alle frontiere greche. I ca-

richi illeciti che dall’Est oltrepassano il con-

fine greco entrano già nello spazio Schen-

gen. Ed è impossibile non considerare il fat-

to che la frontiera greca subisca continua-

mente le conseguenze della politica di sicu-

rezza della Turchia. In questo modo, stati

più deboli dal punto di vista della sicurezza

rischiano di diventare facili porte di ingresso

per traffici illeciti.13

Uno dei casi più recenti e importanti è quello

che ha colpito il porto di Bari nel febbraio

2018. Su una motonave proveniente dalla

Grecia, Guardia di Finanza e Agenzia delle

12 Il contrabbando di sigarette come fenomeno transnazionale: flussi e

connessioni tra Italia e Grecia, Intellegit, Università degli Studi

di Trento, 2018. 13 Intervista ad autorità, Bari, gennaio 2018.

30

Dogane e dei Monopoli hanno ritrovato una

notevole quantità di sigarette di contrabbando

di marca Marble richiusi in cartoni in mezzo

ad altra merce. I primi sospetti sulla presenza

delle sigarette sono scaturiti dal preventivo

esame dei documenti di accompagnamento del

carico, in relazione a incongruenze relative

all’ignaro soggetto destinatario e al peso di-

chiarato inerente a presunti bicchieri di vetro

provenienti dalla Georgia. L’esame del contai-

ner, a mezzo di apparecchiatura radiogena si-

lhouette scanner a raggi X del locale Ufficio

delle Dogane, ha confermato i sospetti, dive-

nuti certezza al momento dell’apertura del

container. Nascosti dietro un centinaio di car-

toni contenenti bicchieri di vetro di pessima

qualità, sono state rinvenute – accuratamente

stoccate in scatole di cartone – circa nove ton-

nellate di sigarette.14

Altro caso di un ingente sequestro di tabac-

chi lavorati esteri ha coinvolto Agenzia delle

Dogane e Guardia di Finanza nel porto di

Ancona lo scorso gennaio 2018.

Dopo aver fermato un articolato condotto

da un cittadino bulgaro sbarcato da una mo-

tonave proveniente dalla Grecia e traspor-

tante 26 palette di bottiglie di vetro vuote, le

autorità hanno scoperto che tali palette fun-

gevano da copertura a un cassone contenen-

te 1.000 stecche di sigarette di contrabbando

per paletta (per un totale di 5.200 kg di ta-

bacco e corrispondenti ad un’evasione di cir-

ca 991.000 euro).15

E ancora nel novembre del 2017, un altro in-

gente carico di 15.500 kg di tabacco afgano e 1

kg di sigarette Pine Lights, proveniente dalla

Grecia, era stato rinvenuto da Agenzia delle

Dogane e Guardia di Finanza del Porto di Bari

e successivamente sequestrato.16

14 Agenzia delle Dogane, 13 febbraio 2018. 15 Agenzia delle Dogane, 25 gennaio 2018. 16 Agenzia delle Dogane, 7 novembre 2017.

L’entità del fenomeno stimola naturalmente

riflessioni in merito a soluzioni efficaci ed

efficienti rispetto a lacune e criticità nel si-

stema sicurezza di stati esteri più fragili, que-

stione che verrà affrontata in seguito.17

LA ROTTA DAL NORD AFRICA

Per i motivi sopra menzionati anche il Nord

Africa costituisce un punto di partenza e di

transito delle sigarette di contrabbando. I paesi

maggiormente coinvolti sono Marocco, Libia,

Egitto, Tunisia e Algeria. Queste zone, dun-

que, non sono interessate soltanto dai traffici

di sostanze stupefacenti, comunque molto più

remunerativi, ma anche dell’esportazione di

TLE, specialmente del tipo cheap whites.

I numerosi collegamenti commerciali e turi-

stici tra questi paesi e l’Italia, con particolare

riguardo alla fascia tirrenica, permettono

l’occultazione anche di altri tipi di merce.

L’esistenza di questa rotta dipende da diversi

fattori che vanno dalla criminalità locale pre-

sente in Italia e dai rapporti tra la criminalità

organizzata italiana e quella dei paesi produt-

tori di tabacco.

Un caso recentissimo accaduto presso il por-

to di Livorno ha messo in luce l’importanza

di questa rotta. Lo scorso maggio 2018, la

Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Dogane

hanno rinvenuto all’interno di un container

sospetto 9 tonnellate di TLE, di tipo cheap

whites, suddivise in 900 casse da 50 stecche

ciascuno. La merce era stata nascosta dietro

a componenti d’arredamento provenienti dal

porto africano di Bissau (Guinea Bissau),

con scalo a Tangeri (Marocco), all’interno di

un container che a livello documentale risul-

tava utilizzato per il trasporto di tavoli e se-

die di legno destinati all’Italia.

Il rinvenimento di questo carico è stato pos-

sibile grazie all’implementazione da parte de-

17 Vedasi la sezione dedicate alle raccomandazioni.

31

gli attori incaricati dell’analisi di rischio, che

ha tenuto conto del paese di origine, di transi-

to, destinazione e tipologia di prodotto.18

NON SOLO CRIMINALITÀ ORGANIZZATA.

L’OPERAZIONE “DOGE VESUVIANO”

Partita nel 2016 in seguito al ritrovamento di

un ingente quantitativo di TLE, l’Opera-

zione “Doge Vesuviano” ha segnato il più

grande sequestro di sigarette nel porto di Li-

vorno degli ultimi anni.

In un rimorchio contenente, all’apparenza,

lana di vetro, Agenzia delle Dogane e Guar-

dia di Finanza hanno portato alla luce più di

36 mila stecche di sigarette, per un totale di 7

tonnellate e mezzo di tabacco di contrab-

bando. Molte di queste stecche (marchi co-

me American Legend, Roma, Futura Blu,

Futura Red, 500) contenevano sostanze al-

tamente nocive per la salute. Proprio per

questa ragione la sigaretta contraffatta ha un

costo decisamente inferiore e, inoltre, ven-

duta a prezzi irrisori, viene acquistata preva-

lentemente dalle persone più giovani.

Il carico, il cui valore di commercializzazione

è stato stimato in circa 1 milione di euro, era

documentato come merce estera provenien-

te dalla Tunisia e destinato in buona parte in

Campania.19

Le indagini hanno scoperto che dietro que-

sto traffico illecito vi era l’attività di un pic-

colo gruppo criminale, composto da soggetti

sia italiani (campani e livornesi) sia tunisini,

apparentemente non legato a sodalizi di vera

e propria criminalità organizzata e mafia tra-

dizionale. Questo caso dimostra che anche

gruppi criminali di modeste dimensioni sono

18 Guardia di Finanza, 25 maggio 2018. 19 http://www.rainews.it/dl/rainews/TGR/media/sigarette

-contrabbando-livorno-00d74a25-77f9-429d-b8ce-

d8ea666ab9a8.html

in grado di organizzare il traffico di ingenti

carichi attraverso scali portuali di rilievo.20

La particolarità di questo caso risiede anche

nel furto di identità, a opera di questi soggetti,

di una società veneta – estranea ai fatti – per

la conduzione delle operazioni di sdogana-

mento dei traffici illeciti al fine di rendere il

carico meno sospetto agli occhi delle Dogane

e della Guardia di Finanza. Tale elemento

mette in luce un’ulteriore criticità e vulnerabi-

lità del sistema, data l’estrema difficolta nelle

attività di controllo e prevenzione.

L’IMPORTANZA DELLA TECNOLOGIA

SCANNER

Sebbene i sequestri non rappresentino il primis-

simo obiettivo delle autorità, essi sono comun-

que necessari per: a) sottrarre denaro e risorse ai

gruppi criminali coinvolti; b) comprendere chi

si celi dietro le spedizioni e smantellare i gruppi,

portando i componenti di fronte alla giustizia; c)

indagare il funzionamento e le dinamiche dei

traffici illeciti, al fine di applicare simili analisi in

altre zone e contesti.21

Molti sequestri non sarebbero possibili senza

l’utilizzo della tecnologia scanner in dotazio-

ne presso i porti.. I controlli doganali neces-

sitano dell’ausilio degli scanner per rilevare

merci illecite o comunque pericolose che si

possano celare all’interno dei vari vettori, sia

container, sia semplici navi cargo, tir, baga-

gli, ecc. Gli scanner sono in grado di rilevare

doppi-fondi e quanto difficilmente rilevabile

a occhio nudo, specialmente a causa degli

enormi quantitativi di tempo necessari

all’espletamento di tali operazioni.

Proprio grazie all’utilizzo della tecnologia

scanner, e a dimostrazione della loro impor-

tanza, il Porto di Bari nel 2017 e 2018, in

particolare, ha potuto assistere a ingenti se-

20 https://livornopress.it/7-tonnellate-sigarette-contrabbando-

contraffatte-rischi-la-salute 21 Intervista ad autorità, Brindisi, giugno 2018.

32

questri di sigarette. Il primo caso riguarda il

sequestro di 19.500 stecche di sigarette di-

sposte in 390 casse trasportate in un tir con

targa bulgara da un autista greco. Il carico,

formalmente destinato a Roma, era in realtà

diretto a Ravenna dove sarebbe arrivato at-

traverso un’altra nave cargo. A causa di un

sospetto derivante da un’incongruità docu-

mentale, l’Autorità delle Dogane ha portato

alla luce il carico illecito grazie all’ausilio del-

la tecnologia scanner. Questo è stato possi-

bile nonostante il carico di sigarette fosse na-

scosto dietro una partita di lana di roccia,

conosciuta per le sue proprietà isolanti.22

Lo scorso marzo 2018 le autorità del porto

di Brindisi hanno rinvenuto dietro casse di

arance quasi 7 tonnellate di sigarette di con-

trabbando (Mark e Regina) – circa 32 mila

stecche di “bionde” – che viaggiavano su un

articolato con targa bulgara proveniente dalla

Grecia e con conducente lettone. Oltre a es-

sere nascoste dietro la partita di arance, le

stecche erano coperte da lamine di metallo,

nella speranza che potessero sfuggire alla

tecnologia scanner.23

Coinvolto dall’attività di contrabbando di si-

garette è stato anche il porto di Civitavecchia

(RM). Lo scorso 7 luglio 2017, a seguito di

incongruenze documentali, le Dogane del

luogo hanno individuato un carico di circa 6

tonnellate e mezzo di sigarette di contrab-

bando trasportate da un marocchino e pro-

venienti da Barcellona. Le forze di Dogana e

Guardia di Finanza sono riuscite a rinvenire

questo carico illecito grazie all’uso della tec-

nologia scanner, che ha individuato le partite

22 https://video.repubblica.it/edizione/bari/brindisi-4-

tonnellate-di-sigarette-nascoste-nel-tir-arrestato-l-

autista/275535/276099 23 http://www.brindisireport.it/cronaca/casse-di-arance-e-

6-6-tonnellate-di-sigarette-sequestro-e-arresto-nel-

porto.html

di TLE dietro lampadari da giardino e altri

arredamenti da esterno.24

Questi due casi, comunque non isolati nei

porti italiani, mettono in evidenza l’impor-

tanza fondamentale che riveste la tecnologia

scanner. Gli scanner, mobili o fissi, risultano

mezzi necessari per il contrasto ai traffici il-

leciti, non solo con riguardo alle sigarette,

ma anche ad armi e droga. I metodi sempre

più ingegnosi ideati dai soggetti criminali

rappresentano una sfida impegnativa per gli

addetti alla sicurezza. Gli scanner fissi, ossia

quelli attraverso i quali passano camion, con-

tainer, ecc., sono sicuramente più efficaci ri-

spetto a quelli mobili: l’attra-versamento ob-

bligatorio degli apparati fissi da parte di tutti

i container in entrata e in uscita dai porti ita-

liani costituirebbe un importante deterrente

ai traffici illeciti.25

NON SOLO CONTAINER E CARICHI MERCI

Come spesso ribadito anche dagli esperti del

settore, le tecniche di infiltrazione sono mol-

to variegate e per così dire creative. Se nella

maggior parte dei casi, si assiste a un ampio

uso di container, articolati e così via, data

ovviamente la grande capacità in termini di

volume, di grande importanza risulta anche il

trasporto della merce da parte di individui in

semplici bagagli.

Per esempio, a fine marzo del 2018, la

Guardia di Finanza di Reggio Calabria ha

proceduto a un controllo di bagagli personali

di un giovane cittadino italiano che si stava

imbarcando a Villa San Giovanni (RC) in di-

rezione di Palermo su un bus di linea. Nel

bagaglio erano conservati circa 170 stecche

di sigarette corrispondenti a 40 kg di TLE.26

24 Agenzia delle Dogane, 7 luglio 2017. 25 Direzione generale delle Dogane, Audizione alle Camere,

XIII legislatura. 26 Sole 24ore, 9 maggio 2018.

33

Un altro caso degno di nota risale al 18 ot-

tobre 2017, presso il porto di Palermo, dove,

al momento del controllo passeggeri, un

viaggiatore proveniente della Tunisia è stato

sorpreso con un carico di 29 kg di TLE nel

suo bagaglio.27

Un altro esempio è il caso, risalente al 9 ot-

tobre 2017, di un sequestro di 17 kg di ta-

bacchi (del tipo Winston, Marlboro, Chester-

field, Pall Mall, Rothmans, Play Kent Nere e

Bianche) al porto di Bari. Il carico era nasco-

sto in alcuni bagagli che appartenevano a sei

individui di diverse nazionalità.28

Due casi simili nel porto di Bari risalgono al

28 agosto 2017 quando, Dogane e Guardia

di Finanza hanno ritrovato in fase di con-

trollo passeggeri 20 kg di tabacchi lavorati

esteri (Philip Morris, Lucky Strike, Rodeo e

27 Agenzia delle Dogane, 18 ottobre 2017. 28 Agenzia delle Dogane, 9 ottobre 2017.

FM Slims), occultati nei bagagli appartenenti

a tre cittadini albanesi e un macedone, pro-

venienti dall’Albania29 e quello del 23 agosto

del medesimo anno, quando sono stati se-

questrati 18,5 kg di TLE in bagagli apparte-

nenti a tre cittadini albanesi e un italiano,

provenienti sempre dall’Albania.30

Un caso particolare è quello concernente una

nave da crociera battente bandiera olandese

approdata al porto di Civitavecchia, prove-

niente da Napoli. Nell’aprile del 2017,

nell’ambito dell’attività dei controlli doganali

svolti presso il porto, i funzionari dell’Uf-ficio

delle Dogane, unitamente ai militari della lo-

cale Compagnia della Guardia di Finanza,

dopo un attento monitoraggio delle liste pas-

seggeri hanno individuato e fermato una

coppia di turisti italiani, trovati in possesso di

29 Agenzia delle Dogane, 28 agosto 2017. 30 Agenzia delle Dogane, 23 agosto 2017.

34

3.430 pacchetti di sigarette, per un totale di

circa 70 kg, di tipo Marlboro, Camel, Cheap

White e Ome. Le sigarette – occultate

all’interno di 4 valigie – qualora immesse sul

mercato clandestino, avrebbero fruttato circa

20.000 euro, con conseguente evasione di ac-

cisa e Iva per oltre 12.000 euro.31

Situazione similare si è presentata, nel porto

di Bari, qualche mese più tardi, nell’agosto

del 2017, quando le autorità hanno seque-

strato 5,5 kg di tabacco fuso, diviso in undici

pacchi nascosti in un’autovettura guidata da

un cittadino albanese.32

Questi casi mettono in luce quanto possa es-

sere difficile controllare tutte le persone (e ri-

spettivi bagagli) che oltrepassano i varchi por-

tuali. Anche in questo caso le tecniche di oc-

cultamento sono estremamente variegate e

talvolta anche pericolose per gli stessi vettori.

LA QUESTIONE DELLE ZONE

EXTRA-ISPETTIVE

Il contrabbando di sigarette attraverso zone

extra-ispettive è molto diffuso, specialmente in

alcune aree geografiche, in virtù della vicinanza

territoriale a zone sensibili che permette un fa-

cile utilizzo di questo modus operandi. In virtù

della prossimità geografica della fascia adriatica

dell’Italia a quella balcanica, possono essere

usate imbarcazioni veloci come vettori di siga-

rette, migranti irregolari, droghe e armi. Si assi-

ste a un problema analogo lungo la rotta cen-

trale del Mediterraneo che congiunge il Nord

Africa con l’Italia del Sud.

L’analisi dettagliata dei metodi utilizzati per

condurre le attività di contrabbando esula

dagli obiettivi del presente rapporto. Non-

dimeno è utile sottolineare che la presenza di

vari gruppi criminali che si fanno largo in

questo tipo di attività illecita altamente re-

31 Agenzia delle Dogane, 7 aprile 2017. 32 Agenzia delle Dogane, 18 agosto 2017.

munerativo; spesso misti, come italiani e tu-

nisini / marocchini / tunisini albanesi o an-

che russi, ecc. Tali gruppi prediligono l’uso

di zone extra-doganali, utilizzando coste re-

mote e scarsamente abitate come punti di

approdo per sfuggire ai controlli di sicurez-

za. Ecco quindi che anche i punti extra-

frontalieri possono rappresentare un perico-

lo per il sistema sicurezza del paese.

4.2 IL TRAFFICO DI SOSTANZE

STUPEFACENTI

Il traffico di droga è considerato la più im-

portante fonte di guadagno per le organizza-

zioni criminali di tutto il mondo. Secondo

alcuni dati di Europol, nel 2017 sono state

identificate circa 5.000 organizzazioni crimi-

nali operanti nell’Unione Europea; per più di

un terzo erano coinvolte nel traffico di dro-

ga.33 Nella maggior parte dei casi, si tratta di

organizzazioni criminali ben strutturate e or-

ganizzate, raramente dedite al solo traffico di

droga, bensì coinvolte anche in traffico di

armi, di esseri umani e di merce contraffat-

ta.34

Traffico di droga in Italia

via frontiera marittima

Nel 2017 l’Italia ha visto un totale di seque-

stri di sostanze stupefacenti da parte di For-

ze dell’ordine e Autorità doganali pari a circa

101.175,913 kg di stupefacenti.35 La maggior

parte dei sequestri ha riguardato cannabis

(hashish e marijuana), seguita da cocaina ed

eroina. Tale numero, che non distingue tra

sequestri via mare e via terra – e dunque

nemmeno tra via frontiera marittima o terre-

33 Europol, European Union Serious and Organized Crime Threat

Assessment (SOCTA), 2017, p. 14. 34 The drug problem and organized crime, illicit financial

flows, corruption and terrorism, UNODC, 2017, p. 16. 35 Direzione Centrale per i Sevizi Anti-Droga, Dati Sicurez-

za 2017. La somma indicata rappresenta la somma dei dati

riportati su base mensile.

35

stre – è altresì indicativo dell’importante

quantità di stupefacenti che viene rinvenuta

e sequestrata in Italia.

Concentrandoci ora sui modi operandi del traf-

fico di stupefacenti che sfida i controlli delle

frontiere portuali, si può dire che diversi so-

no i paesi di provenienza per cocaina, eroina

e cannabis. Simili, invece, sono le tecniche di

introduzione in Italia.

In particolare, appare di grande interesse il

traffico di cocaina. Infatti, essendo in mano

a potenti organizzazioni criminali di stampo

mafioso e sfruttando rotte di medio-lungo

raggio, è associato a una varietà molto ampia

di metodi di infiltrazione nella frontiera por-

tuale.

4.2.1 IL TRAFFICO DI COCAINA

L’Italia è una delle principali destinazioni del

traffico di cocaina; meno frequentemente

costituisce un paese di transito. Il traffico di

questa sostanza stupefacente in Italia è per-

lopiù monopolio delle varie cosche (’ndrine)

della ’Ndrangheta, per le quali il traffico di

stupefacenti costituisce il settore più remu-

nerativo. Tra tutte le varie organizzazioni di

stampo mafioso in Italia, infatti, quella cala-

brese è riuscita ad acquisire il quasi totale

controllo di questo traffico, spingendo le al-

tre organizzazioni criminali, italiane o stra-

niere, a specializzarsi nel traffico di altre

droghe o in altri traffici illeciti.

La particolarità della ’Ndrangheta è che la

detenzione di questo monopolio le permette

di curarsi meno degli altri traffici, come ad

esempio quello dei tabacchi lavorati esteri,

preferendo lasciare questo tipo di attività a

Camorra e mafie pugliesi, quasi a spartirsi i

proventi per un pacifico modus vivendi.

L’acquisizione di questo sostanziale mono-

polio è stata possibile grazie alla creazione di

solidi rapporti con i cartelli sudamericani che

hanno reso la ’Ndrangheta tra le organizza-

zioni mafiose più importanti al mondo, con

ramificazioni anche in tutto il Centro-Nord

Italia e nel resto d’Europa36 (oltre che nel re-

sto del mondo). Ragion per cui, sono le altre

organizzazioni mafiose italiane a doversi ri-

volgere ai clan calabresi per l’acquisto di par-

tite di cocaina.37

Questa regola del gioco si è venuta a forma-

re alcuni anni fa; in particolare, quando con

l’Operazione “New Bridge”38 del 2014 si re-

gistrarono le prime conferme del fatto che la

’Ndrangheta stesse acquisendo molto più

potere nel traffico transnazionale sia di co-

caina sia di eroina rispetto a Cosa Nostra.

Questo aspetto è stato poi confermato da

una successiva operazione, la “Buongu-

staio”, del 2014,39 che permise di verificare

che la ’Ndrangheta era effettivamente dive-

nuta la mafia italiana più potente al mondo,

con contatti diretti in moltissimi paesi.

36 Tra gli altri, N. GRATTERI, A. NICASO, Fratelli di sangue,

Milano, Mondadori, 2010, p. 93. 37 “La porta della cocaina in Europa? Il porto di Gioia

Tauro”, Linkiesta, 10 febbraio 2017. 38 L’indagine è frutto di un lavoro avviato nel 2012 dallo

Sco (Servizio centrale operativo) della Polizia di Stato

nell’ambito del protocollo di intesa denominato “Progetto

Pantheon", siglato fra Italia e Stati Uniti con lo scopo di

contrastare la criminalità organizzata transnazionale. L'inda-

gine ha svelato il tentativo delle ’ndrine di far giungere in

Italia un ingente quantitativo di cocaina proveniente dai

potenti cartelli narcos del Centro America, con basi logisti-

che nel Sud (Guyana) e in Italia, a Gioia Tauro. La cocaina

arrivava dall’America in forma liquida all'interno di barattoli

di frutta confezionata da una società guyanese, a cui lo scor-

so novembre era stato sequestrato un carico di oltre 70 chi-

li. Operazione New Bridge: fiumi di droga tra Italia e Stati Uniti,

Polizia di Stato, 11 febbraio 2014. 39 Una maxi-operazione tra Italia, Europa e Brasile, con il

coinvolgimento di importanti cosche della ’Ndrangheta. Si

acquistavano e importavano dal Sudamerica enormi quanti-

tativi di cocaina a bordo di navi mercantili, provenienti

principalmente dal Brasile e dal Perù e collocati in borsoni

all`interno di container con la tecnica del rip-off (questo si-

stema verrà illustrato nel paragrafo successivo).

36

Ed è proprio in questo modo che il porto di

Gioia Tauro aumenta ancor di più la sua im-

portanza nello scacchiere mondiale del traf-

fico. Come noto, infatti, esso costituisce an-

che la più grande porta di ingresso della co-

caina, tanto da essere talora denominato

“Coca Tauro”. 40 Un porto ormai divenuto

fondamentale per la ’Ndrangheta, dove le

famiglie più importanti della piana di Gioia

Tauro – Piromalli, Pesce, Molè, Bellocco –

dominano riuscendo a penetrare la gestione

del porto a più livelli.

La pervasiva presenza ’ndranghetistica ha

fatto sì che le Forze dell’ordine e la Magi-

stratura abbiano avviato un forte giro di vite

sul porto calabrese, con controlli sempre più

serrati e, di conseguenza, sequestri di cocaina

sempre più massicci.

Durante il semestre luglio-dicembre 2017 nel

porto gioiese sono stata sequestrata circa una

tonnellata di cocaina, dando conferma ulte-

riore di come il porto continui a rappresen-

tare un importante scalo per il traffico di co-

caina. Il totale per l’intero 2017 si è aggirato

intorno ai 1700 kg in totale. Ed è questa la

quantità in media sequestrata nel porto

gioiese ogni anno.41 Questi dati sono il sim-

bolo dell’esistenza di una forte presenza e

capacità di penetrazione nel porto di Gioia

Tauro, difficile da scardinare.

Il forte giro di vite delle autorità italiane, pe-

rò, ha fatto sì che la ’Ndrangheta abbia gra-

dualmente iniziato a guardare altrove, in cer-

ca di nuovi punti di approdo dove poter far

arrivare il suo “oro bianco” dal Sud America.

L’idea sottostante era di trovare dei porti

con un volume di traffico rilevante e, allo

stesso tempo, senza un’attenzione così forte

da parte delle forze dell’ordine. Le varie co-

sche hanno così pensato di rivolgersi ai porti

40 M. CALIGIURI, A. SBERZE, “Gioia Tauro, l’ennesima oc-

casione sprecata”, Limes, febbraio 2018, p. 202. 41 Intervista ad autorità, Reggio Calabria, maggio 2018.

del Nord Italia, come quelli di Genova, La

Spezia, Vado Ligure (SV), Livorno, Venezia.

Con una particolare attenzione ai porti di Li-

vorno e di Genova, i pericolosi legami che i

clan dell’organizzazione sono riusciti a creare

e cementare hanno reso queste aree crocevia

di smistamento e, per tal motivo, scenari di

sequestri per le forze dell’ordine.

La penetrazione nei territori del Nord Italia

costituisce un ulteriore vantaggio per la

’Ndrangheta, potendo contare in questo

modo su una vicinanza maggiore ai canali di

spaccio più remunerativi come quelli di

Lombardia, Piemonte e anche del Nord Eu-

ropa.

La strategia espansionistica delle cosche

passa […] anche attraverso un’espor-

tazione dei comportamenti mafiosi, in

grado di scardinare gli apparati burocrati-

ci di altre regioni.42

A conferma di quanto detto, il 2018 è inizia-

to con pochissimi sequestri di cocaina presso

il porto di Gioia Tauro (circa 74 kg da gen-

naio a maggio 2018). Al contrario, quantita-

tivi più consistenti sono stati rinvenuti in

porti come Genova e Livorno.

Una maggior vicinanza alle più grandi zone di

spaccio e di consumo assicura ai clan calabresi

altissimi guadagni che non fanno che alimenta-

re i ricavi dell’organizzazione mafiosa.43

QUALI SONO LE ROTTE PRINCIPALI?

La cocaina che giunge nei quantitativi mag-

giori nei porti italiani proviene da Colombia,

Messico e paesi del Sud America, spesso usu-

fruendo di operazioni di transhipment con ser-

vizi feeder, passando anche attraverso l’Africa

occidentale o i porti della Spagna meridionale.

Nello specifico, studiosi accademici hanno

delineato quattro rotte principali:

42 DIA, relazione 1 semestre 2017, p. 13 43 Intervista ad autorità, Reggio Calabria, maggio 2018.

37

1. California express – dal Nord America a

Panama attraverso la California e il Mes-

sico. Da Panama, poi, attraverso i men-

zionati servizi feeder, si raccolgono carichi

minori provenienti da Cile, Perù, Brasile,

diretti a Gioia Tauro;

2. Medusa – da Messico e Bahamas. Qui si

raccolgono carichi più piccoli provenien-

ti dal resto del Sud America e poi diretti

a Gioia Tauro attraverso i porti della

Spagna, specialmente Valencia. La scelta

di entrare nell’area Schengen toccando

prima i porti spagnoli non è di certo ca-

suale, ma ha lo scopo di eludere i con-

trolli, e di rendere il carico meno sospet-

to. Come si è visto nella sezione dedicata

ai controlli nei porti, uno degli elementi

costituenti l’analisi di rischio delle doga-

ne è appunto la provenienza del carico,

insieme alla bandiera della nave. Il fatto

che una nave abbia in teoria già passato i

controlli di un altro stato europeo, fa sì

che il carico illecito attiri meno atten-

zione.

3. La rotta dell’Argentina – dall’Argentina

verso Montevideo, in Uruguay, e Sud

Brasile prima di partire alla volta di Gioia

Tauro.44

4. Dall’Africa occidentale – al fine di evitare

rotte prevedibili, molte partite di cocaina

vengono dirottate prima verso alcuni

paesi dell’Africa Occidentale, come

Ghana e Nigeria per poi farle arrivare in

Europa.45

I METODI DEL TRAFFICO DI COCAINA:

SOGGETTI E TECNICHE

In tale sezione si cercherà di esplorare quali

siano i metodi di infiltrazione più diffusi per

44 A. SERGI E A. LAVORGNA, Drug trafficking and Investments,

in `Ndrangheta, Palgrave McMillan, 2016, p. 81. 45 “Battaglia navale contro i narcos. “Un carico al giorno

verso l’Italia””, La Stampa, 23 marzo 2018.

il traffico di cocaina attraverso i porti. Come

si potrà notare, il container è sicuramente il

mezzo più utilizzato in assoluto per il tra-

sporto illecito della sostanza stupefacente.

La droga viene celata dietro carichi di coper-

tura, sofisticati doppifondi messi a punto per

aggirare i controlli a raggi X o, anche, in

container vuoti.46

Diverse, quindi, possono essere le tecniche

di occultamento ed estrazione, molteplici

sono i potenziali punti di approdo, come an-

che le figure coinvolte nel traffico.

È opportuno evidenziare che in questa se-

zione non si ha la pretesa di fornire

un’analisi esaustiva del fenomeno. Sarebbe

assai difficile, se non impossibile, elencare

tutte le tecniche usate da quella che è, al

momento, la mafia italiana più coinvolta in

questo tipo di traffico.

La ’Ndrangheta ha mostrato una grande fles-

sibilità nell’adattarsi alle varie esigenze del

momento e le sue future tecniche sono diffi-

cili da prevedere. Quello che si è cercato di

fare in questa sede è delineare una serie di

trend derivanti dalla prassi delle recenti inda-

gini e sequestri delle autorità italiane. In bre-

ve, la creatività dei componenti della

’Ndrangheta pone sfide molto impegnative

per le forze dell’ordine, benché esse con il

tempo abbiano acquisito grandissime tecni-

che e conoscenze investigative.

Rip-off system

Ai fini dello stivaggio del carico illecito

all’interno dei container, da alcuni anni è sta-

ta adottata la tecnica del rip-off system, che

consiste nel posizionamento della partita di

droga in borsoni davanti alla porta-

container, in modo tale da essere facilmente

estraibile da operatori portuali “infedeli”, i

quali ricevono specifiche istruzioni per svol-

46 Intervista ad autorità, Genova, gennaio 2018.

38

gere tale azione. Si noti come in molti casi il

carico illecito non venga inserito nella pri-

missima fase di riempimento del container,

ma in un momento successivo, con

l’apertura del container stesso attraverso

manomissione e, talvolta, sostituzione del

suo sigillo.47

Un esempio di questa tecnica si è riscontrata

nell’ambito dell’Operazione “Rebuffo” del

novembre 2017 al porto di Genova, durante

la quale la Guardia di Finanza ha rinvenuto

77 kg di cocaina in panetti occultati in un

container su una nave cargo proveniente dal

Sud America. Era previsto che la droga, del

valore di circa 3 milioni di euro, fosse poi

rivenduta a gruppi albanesi attivi in Lombar-

dia. La tecnica utilizzata per il prelevamento

del carico illecito è stata appunto quella del

rip-off. La particolarità di questa operazione

risiede anche nel corrispettivo promesso ai

portuali infedeli. Non prettamente denaro,

ma un compenso in natura di circa 14 panet-

ti – più di un chilo ciascuno – da rivendere

nei canali di droga. Il ricavato, circa mezzo

milione di euro, doveva essere diviso tra i

cinque soggetti coinvolti (tre italiani e due di

etnia albanese) – di cui due operatori portua-

li infedeli. Questa operazione indica anche

che i portuali – di cui si parlerà nello specifi-

co più avanti – possono essere inseriti in

proprio in canali di rivendita.

Operazione di transhipment/trasbordo

Un’altra tecnica che sembra essere stata

messa a punto nell’ultimo periodo è quella

che riguarda le operazioni di trasbordo al

largo delle coste su imbarcazioni più piccole,

spesso pescherecci, che attirano meno

l’attenzione delle forze dell’ordine.

47 La manomissione del sigillo è spesso un indicatore della

presenza di un carico illecito. Intervista ad autorità, Geno-

va, gennaio 2018.

Una recente operazione ha potuto verificare

direttamente l’utilizzo di questa tecnica. Nel

2016 l’Operazione “Vulcano” ha portato al

sequestro di oltre 80 kg di cocaina purissima

rinvenuta all’interno di uno degli oltre 1500

containers imbarcati su una nave mercantile,

sottoposta a sequestro e a perquisizione dai

finanzieri, dopo l’attracco presso lo scalo

portuale di Gioia Tauro. Nell’occasione,

l’organizzazione criminale aveva pianificato

una nuova metodologia di importazione del-

lo stupefacente, la quale prevedeva – grazie

al diretto coinvolgimento del comandante

della cargo ship – il trasbordo del carico illeci-

to su un’altra imbarcazione, in mare ancora

al largo della costa. La minuziosa organizza-

zione di trasbordo è testimoniata da diversi

“pizzini” rinvenuti all’interno della cabina in

uso al comandante, sui quali erano appuntati

la dicitura “80 kg” con l’indicazione del nu-

mero del container nel quale la droga era ini-

zialmente stata caricata, nonché uno schema

riepilogativo delle varie fasi attraverso cui si

sarebbe dovuta articolare l’operazione di tra-

sbordo. Tale operazione sarebbe stata attua-

ta anche mediante lo spostamento fisico del-

la cocaina in un nuovo container, il cui nu-

mero sarebbe stato tempestivamente comu-

nicato dallo stesso comandante all’organiz-

zazione criminale.48

Spesso succede anche che i panetti di droga

vengano lanciati in mare dall’imbarcazione

madre, muniti di GPS, in modo tale che le

imbarcazioni più piccole riescano a intercet-

tare tutti i panetti lanciati in mare.

Portuali e vigilanti infedeli

I portuali infedeli rappresentano uno dei

punti di forza del traffico di droga, operando

come braccio operativo delle organizzazioni

criminali. Sono spesso soggetti vulnerabili,

che operano nell’ambito di una scelta strate-

48 Guardia di Finanza, 3 agosto 2016.

39

gica e ben oculata delle cosche, interessate

ad avere una longa manus all’interno del porto

per il recupero della cocaina.49

Il più delle volte sono soggetti versanti in

condizioni economiche non agiate o pro-

blematiche e comunque alla ricerca di ulte-

riori fonti di guadagno. L’Operazione “Re-

buffo” a Genova, sopra analizzata, mette in

luce il fatto che non solo essi vengano retri-

buiti in denaro – che di solito costituisce una

quota del 20% – ma talvolta anche in panetti

di droga.

Solitamente un portuale è infedele sin

dall’inizio dell’attività lavorativa, 50 (per

esempio, i fratelli Brandimarte nell’ambito

dell’operazione “Puerto Liberado” presenta-

ta di seguito), mentre in alcuni casi, meno

frequentemente, capita che un portuale di-

venti infedele successivamente la propria as-

sunzione.

In quest’ultimo caso spesso entra in gioco

un intermediario, un anello di congiunzione

tra il sodalizio mafioso che gestisce uno o

più carichi e il portuale. Si noti bene come

questa terza figura non sia un membro di

una cosca – sarebbe troppo rischioso per

l’organizzazione criminale – ma solitamente

un individuo già autore di reati comuni o

comunque frequentatore di ambienti malavi-

tosi. Ed è proprio questa figura che approc-

cia il portuale mettendolo al servizio della

cosca.

Per esempio, il 24 luglio 2014 durante una

vasta e sofisticata operazione di polizia, de-

nominata “Puerto Liberado”, la Guardia di

Finanza ha dato esecuzione a provvedimenti

di fermo nei confronti di 13 individui ritenu-

ti appartenenti a un gruppo criminale dedito

al traffico internazionale di sostanze stupefa-

centi, in particolare cocaina, giunte

49 Intervista ad autorità, Genova, gennaio 2018. 50 Intervista ad autorità, Roma, febbraio 2018.

dall’America Latina in Italia, attraverso le

strutture logistiche dello scalo marittimo di

Gioia Tauro. Fondamentale per il traffico

illecito era la complicità di alcuni operatori

portuali (in particolare, dipendenti, oltre a ex

dipendenti, della società che gestisce la mo-

vimentazione dei containers).

L’operazione, coordinata dalla Direzione Di-

strettuale Antimafia (DDA) di Reggio Cala-

bria, è l’esito di indagini e operazioni di poli-

zia contro il sodalizio criminale, iniziate già

nel 2011. A partire da quella data sono state

sequestrate, nel complesso, oltre 4 tonnellate

di droga, per un valore sul mercato di più di

800 milioni di euro. Le autorità italiane si

sono avvalse di intercettazioni telefoniche e

telematiche, attività di osservazione e con-

trollo del territorio e anche dichiarazioni rese

da collaboratori di giustizia.

Secondo gli investigatori, la banda criminale

attiva nel porto di Goia Tauro, guidata da

due fratelli, Alfonso e Giuseppe Brandimar-

te, con un passato da operatori portuali, van-

tava disponibilità finanziarie elevate e contat-

ti ai massimi livelli del narcotraffico interna-

zionale, oltre che legami con diverse ’ndrine.

Inoltre, appariva ben strutturata e solida

(tanto da riuscire ad assorbire i colpi costitui-

ti da precedenti sequestri di droga e arresti) e

poteva contare su importanti competenze di

carattere criminale, messe a frutto anche

fuori dalla Calabria. Per esempio, uno degli

individui arrestati aveva svolto il ruolo di

emissario del gruppo con i narcos sudameri-

cani; un altro aveva gestito il traffico di so-

stanze stupefacenti nella città di Roma.

Il gruppo operava direttamente all’interno

del porto. Era in grado di gestire e controlla-

re i cambi di turno, organizzava le “squa-

dre”, sovraintendeva le operazioni sottobor-

do e si occupava infine di trasportare clande-

stinamente il carico all’esterno, impiegando

veicoli di servizio della società portuale.

40

L’organizzazione sapeva utilizzare diversi

metodi per eludere i controlli. In particolare,

nelle comunicazioni intercorse tra i sodali,

ciascuno dotato di un nome di copertura,

veniva intercettato un complesso codice al-

fanumerico con il quale venivano forniti, in

maniera cifrata, i dati essenziali da comuni-

care al personale portuale infedele per indi-

viduare la nave e il container contenente la

droga.

Nel corso delle indagini, emergeva costan-

temente lo studio di nuovi espedienti e di

nuove rotte lungo le quali inviare carichi ini-

zialmente di modica quantità e di scarsa qua-

lità (orientativamente tra i 10 e i 30 kg) per

testare in questo modo la risposta delle For-

ze dell’ordine preposte al controllo ed even-

tualmente procedere, in un secondo momen-

to, alla spedizione di carichi di valore ingen-

te.

In cambio dei propri servizi, il gruppo cri-

minale si faceva pagare con una parte del ca-

rico di stupefacenti, che variava dal 10 al

30% in relazione al peso criminale della co-

sca importatrice. In alcuni casi, come accen-

nato, aveva persino trattato direttamente con

i narcos in Sud America per importazioni in

proprio di cocaina.51

Un’altra operazione, risalente a marzo 2017,

ha messo in luce due elementi importanti:

l’utilizzo sia di portuali che di vigilanti nei

porti del Nord Italia. L’Operazione “Gerry”

ha visto il coinvolgimento del porto di Li-

vorno con ordini di fermo nei confronti di

persone in Toscana, Calabria e Sicilia. Le au-

torità sono state in grado di sequestrare 300

kg di cocaina in tre momenti diversi tra lu-

glio 2015 e settembre 2016. A essere coin-

volti nel traffico di cocaina proveniente dalla

Colombia sono famiglie del mandamento

51 Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Giudice per le

indagini preliminari, Sentenza nei confronti di Brandimarte

Alfonso e altri, 2015.

tirrenico e jonico della ’Ndrangheta quali,

Bellocco, Molè, Piromalli, Avignone, Pavi-

glianiti.52 Questo sodalizio era stato in grado

di infiltrare il porto attraverso un dipendente

del porto di Livorno, di origini calabresi, il

quale a sua volta aveva contatti molto stretti

con diversi portuali e persino vigilanti che

facilitavano l’uscita dall’aerea del porto.53

Molto importante, in questo caso, risulta an-

che il ruolo dei vigilanti, anch’essi in alcuni

casi anelli debole del sistema di sicurezza.

Ricerca di nuove rotte e porti e parcelliz-

zazione dei carichi

La prassi mostra come i gruppi criminali sia-

no molto attivi nella ricerca di nuove rotte e

porti, allo scopo di essere meno prevedibili,

e, inoltre, stiano adottando una strategia di

parcellizzazione dei carichi su più container

in direzione di diversi scali portuali, potendo

contare sulla presenza di portuali infedeli.54

È in tal senso significativo il recente caso

che ha riguardato tre portacontainer in due

scali portuali, quello di Livorno e quello di

Genova. Sono stati trovati 200 kg di cocaina

in un container proveniente dal Cile, la cargo

“Carolina Star”, approdato nel porto livor-

nese55 e altri 300 kg in una seconda porta-

container, la “Dimitris C.”, presso il porto

genovese.56 In quest’ultimo caso, lo stupefa-

cente era occultato in diversi sacchi neri

all’interno di un’intercapedine al centro della

nave ed era destinata a essere smistata in vari

porti di scalo nazionali ed europei.57

52 Direzione Investigativa Anti-Mafia (DIA), Relazione

primo semestre 2017, p. 23. 53 Operazione “Gerry”, conferenza stampa, 23 marzo 2017. 54 Intervista ad autorità, Reggio Calabria, maggio 2018. 55 Guardia di Finanza, 13 marzo 2018. Agenzia delle Doga-

ne, 13 febbraio 2018. 56 “Genova, scoperti 300 kg di cocaina nella stiva del cargo

greco “Dimitris C””, Il Secolo XIX, 16 febbraio 2018. 57 “Droga: 300 kg di coca su portacontainer, arrestato ma-

rittimo”, La Stampa, 12 marzo 2018.

41

La terza nave, la “Hsl Nike”, invece, è risul-

tata vuota. Azione di depistaggio o meno,

sembra che le organizzazioni criminali stiano

pensando di suddividere, appunto, i quanti-

tativi di droga su più vettori, invece di punta-

re tutta la partita su un solo container, ri-

schiando così di perdere tutto in caso di se-

questro.

La parcellizzazione dei carichi è stata anche

notata in un recente sequestro di 218 kg di

cocaina purissima presso il porto di Gioia

Tauro. La partita di cocaina era suddivisa in

due container diversi, uno proveniente dal

Guatemala e l’altro dalla Costa Rica, destina-

ti in Egitto e in Sicilia, contenenti spezie e

caffè. La tecnica di estrazione era, ancora

una volta, quella del rip-off system.58

58 Agenzia delle Dogane, 9 settembre 2017.

I carichi di prova

La prassi ha anche dimostrato l’esistenza di

un’altra tecnica della criminalità organizzata

consistente nel testare il sistema di ingresso

attraverso un carico di prova di piccole

quantità e tendenzialmente in un porto di-

verso da quello in cui si progetta di far arri-

vare il carico illecito più consistente. Un ca-

rico di piccole dimensioni, dunque, può es-

sere il segnale che un altro sia in arrivo.59

È questo quanto emerso, tra gli altri elemen-

ti, nella maxi-operazione “Stammer” del

febbraio 2017. Costituisce difatti, un’ope-

razione tra le più importanti degli ultimi anni

a causa dei molteplici fattori concatenati, ma

soprattutto perché mette in rilievo stabili e

diretti contatti con cartelli sudamericani. Le

due parti che stavano contrattando una spe-

59 Intervista ad autorità, Genova, gennaio 2018.

42

dizione di circa 8 tonnellate di cocaina, poi

sequestrate al porto di Turbo in Colombia,

avevano organizzato anche un carico di pro-

va di 63 kg di cocaina purissima destinato al

porto di Livorno, carico infatti rinvenuto e

posto sotto sequestro dalla Guardia di Fi-

nanza.

Nel disegno criminoso della ’Ndrangheta e

dei cartelli colombiani c’era anche l’idea di

trafficare la cocaina sia tramite un mezzo ae-

reo da fare arrivare all’aeroporto di Lamezia

Terme (CZ) o attraverso l’utilizzo di moto-

navi appositamente modificate nel fondo per

procedere poi all’estrazione del carico con

l’ausilio di sommozzatori.60

4.2.2 IL TRAFFICO DI EROINA

Il traffico di eroina è sempre più consistente

in Italia. Il primato di produzione a livello

globale spetta all’Afghanistan, paese ormai

rinomato per la produzione e distribuzione

di questa sostanza verso Russia ed Europa

Occidentale. Nel Vecchio continente i con-

sumatori maggiori sono Regno Unito, Fran-

cia, Germania e Italia.

Sebbene i più grandi quantitativi transitino su

strada, a bordo di camion e vetture o per via

aerea, una porzione del traffico viaggia anche

via mare, potendo contare sulla rotta adriatica

e su una forte presenza di organizzazioni alba-

nesi – principali detentori di questo traffico –

sia in loco sia in Italia.61 Tuttavia, il traffico di

eroina tipicamente non si avvale di container e

i quantitativi rispetto a quelli della cocaina so-

no notevolmente inferiori.

Le rotte marittime più recenti e maggior-

mente interessate da questo traffico sono le

frontiere esterne di Albania e Turchia.

60 Guardia di Finanza, 16 febbraio 2017. 61 Intervista ad autorità, Bari, febbraio 2018.

LE TECNICHE

I carichi di eroina sono spesso di quantità

molto modeste, ma si può notare una mol-

teplicità di metodi usati. È fondamentale te-

nere a mente, però, che per quanto riguarda

il traffico di eroina – e, come si vedrà an-

che,di marijuana –, la porta principale di in-

gresso non sono le zone intra-ispettive, quali

sono i porti. Vi è, al contrario, una preferen-

za per le zone extra-ispettive,62 ossia approdi

su costa, servendosi di natanti veloci, in virtù

della prossimità geografica dell’Italia all’area

balcanica.

La frontiera esterna dell’Albania

Nonostante le zone intra-ispettive siano po-

co battute dal traffico di eroina, alcuni casi

recenti hanno mostrato le modalità di questo

traffico attraverso le frontiere marittime.

La casistica più recente vede un certo flusso

dall’Albania verso il porto di Bari. Rispetto al

traffico di cocaina si possono notare notevo-

li differenze, tra cui: 1) quantitativi assai infe-

riori. Nel caso dell’eroina, i quantitativi se-

questrati si aggirano intorno ai 5-6 kg – men-

tre nel caso della cocaina, come si è visto, i

62 Intervista ad autorità, Brindisi, giugno 2018.

Lo scorso 20 luglio 2018, Guardia di

Finanza e Autorità Doganale del Porto

di Trieste hanno rinvenuto 50 kg di pa-

netti di eroina su un articolato iraniano,

e condotto da un cittadino iraniano,

proveniente dalla Turchia.

Nonostante il minuzioso occultamento

dietro alcune parti meccaniche del mez-

zo, grazie ai cani antidroga della Guar-

dia di Finanza e ai sistemi a raggi X in

dotazione delle dogane, il carico di dro-

ga è stato scoperto e sequestrato.

43

carichi individuali sono di gran lunga più

consistenti; 2) come accennato, il traffico di

eroina tipicamente non si avvale di contai-

ner. Quei pochi carichi, infatti, vengono rin-

venuti sui traghetti di collegamento a bordo

di autovetture o in borsoni di passeggeri.

Alcuni casi recenti possono illustrare meglio

le modalità impiegate.

L’inizio del 2018, ad esempio, è stato segna-

to da un mini-sequestro, durante un control-

lo passeggeri, di 5,5 kg di eroina purissima di

tipo Brown Sugar su un autoarticolato prove-

niente dall’Albania e guidato da una coppia

di origine albanese.63

E di nuovo presso il porto di Bari, nel dicem-

bre 2017, le autorità hanno sequestrato 2,4 Kg

di eroina. La droga è stata individuata grazie a

63 Agenzia delle Dogane, 16 gennaio 2018.

un’attenta analisi dei rischi (di cui si è parlato

nella sezione apposita), in un autoarticolato,

condotto da un cittadino proveniente

dall’Albania. L’eroina, rinvenuta all’interno del

veicolo, era avvolta in 5 confezioni di cello-

phane sigillato con nastro da imballaggio e oc-

cultata in parte all’interno della cabina, in un

vano posto sotto al sedile del guidatore, e in

parte in un vano porta attrezzi.64

Un quantitativo più consistente è stato rinve-

nuto sempre presso il porto di Bari, lo scorso

maggio 2017, quando doganieri e finanzieri

hanno sequestrato 6 kg di eroina, occultata

all’interno di 4 doppifondi ricavati nei cerchio-

ni di un’autovettura, condotta da un cittadino

albanese, appena sbarcata da una motonave

proveniente dall’Albania.65

64 Agenzia delle Dogane, 4 dicembre 2017. 65 Agenzia delle Dogane, 26 maggio 2017.

44

Lo scorso gennaio 2017, sempre presso il

porto pugliese, Guardia di Finanza e Agen-

zia delle Dogane hanno sequestrato circa

700 grammi di eroina nascosti all’interno di

una panciera prémaman indossata da una

donna in stato di gravidanza appena sbarca-

ta, insieme al figlio minore di tre anni, da

una motonave proveniente dall’Albania.66

I più disparati espedienti possono essere in-

ventati per celare la sostanza. Ecco che il la-

voro attento di Forze di Polizia, autorità do-

ganali guidato da informazioni di intelligence

risulta cruciale.

Come si vedrà anche per altri traffici illeciti,

la particolarità di questo traffico è dovuta

dalla vicinanza geografica dei paesi di prove-

nienza dello stupefacente; ciò permette ai

vettori di utilizzare imbarcazioni da diporto

che, in quanto tali, non passano attraverso i

controlli frontalieri. Anzi, essi preferiscono

coste più o meno frastagliate dove effettuare

le operazioni di sbarco senza incappare nei

pericoli dei controlli frontalieri. In tale situa-

zione, diventa cruciale l’attività di pattuglia-

mento via mare eseguita dalla Guardia di Fi-

nanza che, come si è già detto, ha visto am-

pliata la sua operatività in mare, anche grazie

al trasferimento di potenti mezzi navali.67

La frontiera esterna della Turchia

Assieme all’Albania, anche la Turchia rap-

presenta un paese di provenienza rilevante

per il traffico di eroina – così come anche

per altri tipi di traffici illeciti – attraverso

l’utilizzo di container. Analogamente alla

tratta albanese, lo stupefacente proviene ori-

ginariamente dall’Afghanistan, dall’Iran e dal

Pakistan.68

66 Agenzia delle Dogane, 10 gennaio 2017. 67 Decreto Legislativo 19 agosto 2016 n.177, entrato in vi-

gore il 13 settembre 2016. 68 Intervista ad autorità, Trieste, ottobre 2017.

E ancora una volta, l’area geografica italiana

più coinvolta risulta essere il versante adria-

tico in virtù degli stretti rapporti commerciali

tra alcuni suoi porti (specialmente Trieste)

con la Turchia. Un recente caso ha, inoltre,

dimostrato come potenzialmente questa rot-

ta veda carichi più ingenti di eroina.69

La presenza di ingenti quantitativi di eroina

su questa rotta non può definire un vero e

proprio trend – vista la frequenza limitata dei

carichi – quanto una potenzialità, essendoci

diverse variabili in gioco (ad es., provenienza

del carico, soggetti coinvolti, ecc.). È natura-

le che su rotte marittime di tipo commerciale

ci sia il rischio di avere maggior quantitativi

di stupefacente rispetto a rotte utilizzate per

fini turistici.

4.2.3 IL TRAFFICO DI MARIJUANA

Negli ultimi anni in Italia i sequestri di mari-

juana sono notevolmente aumentati e solo il

2017 ha visto circa 78 tonnellate di marijua-

na sequestrate.70

Le due rotte principali verso l’Italia sono anco-

ra una volta quella albanese – frontiera esterna

– e quella greca – frontiera interna. Albania e

Grecia condividono un confine piuttosto per-

meabile, spesso violato da organizzazioni cri-

minali, le quali cercano di introdurre la merce

illecita in Grecia, dove vige il regime di libero

scambio di Schengen. Tuttavia, a partire dal

2017, si sono registrati diversi sequestri presso

porti della fascia tirrenica attraverso carichi

provenienti da porti spagnoli.

69 Guardia di Finanza, 20 luglio 2018. 70 Polizia di Stato, Direzione Centrale per i Servizi Anti-

Droga (DCSA), Relazione 2017 - Lotta traffico illecito sostanze

stupefacenti.

45

In questa sezione, oltre alla casistica delle zone

intra-ispettive, si vuole mettere in evidenza la

situazione ancora più problematica delle zone

extra-ispettive. Il traffico di marijuana, infatti, è

all’80% extra-ispettivo ed è per questo che

l’operato via mare da parte della Guardia di

Finanza è assolutamente prezioso.71

LE ZONE INTRA-ISPETTIVE

Il versante tirrenico

Si può notare dalla casistica qui di seguito

riportata – riscontrando un’altra similarità

con il traffico di eroina – che la marijuana

non viene solitamente trasportata via contai-

ner – quanto piuttosto attraverso autoartico-

lati commerciali e su traghetti. Sul versante

tirrenico i casi hanno coinvolto perlopiù i

71 Intervista ad autorità, Bari, febbraio 2018.

porti di Genova72 e di Civitavecchia73 – con

sequestri rispettivamente di 2 e 27 kg di stu-

pefacente nel 2017 –, entrambi su navi pro-

venienti da Barcellona.

Nel caso di Genova, risalente a maggio 2017,

la droga era trasportata da un passeggero su

un traghetto. In quello di Civitavecchia, in-

vece, la merce è stata rinvenuta su un autoar-

ticolato proveniente dal porto catalano di

Barcellona (oltre ai 27 kg di marijuana, si so-

no contati anche 15 kg di hashish). Il quanti-

tativo, che era stato abilmente nascosto die-

tro un carico di frutta, è stato scoperto sia a

causa di alcune incongruenze documentali

concernenti il peso del carico sia grazie ai

controlli scanner a raggi X.

72 Agenzia delle Dogane, 29 maggio 2017. 73 Agenzia delle Dogane, 22 dicembre 2017.

46

Il versante adriatico

Come mostrano due casi recenti, ancora una

volta il porto più coinvolto è il porto di Bari,

punto di frontiera che continuamente risente

della vulnerabilità dell’area balcanica. Nei

due casi illustrati di seguito i quantitativi se-

questrati si sono rivelati significativi.

Lo scorso settembre 2017, nel corso dei con-

trolli finalizzati al contrasto dei traffici illeciti, i

funzionari dell’Ufficio delle Dogane di Bari

hanno sequestrato presso il porto, in collabora-

zione con i militari della Guardia di Finanza, ol-

tre 21 kg di marijuana. A seguito dell’analisi de-

gli elementi di rischio giornalmente effettuata, è

stato individuato un cittadino macedone

41enne, sbarcato nel porto barese da una mo-

tonave proveniente dal Montenegro, a bordo di

un’autovettura. I controlli effettuati dai funzio-

nari hanno consentito di individuare la droga

contenuta in 39 confezioni di cellophane sotto-

vuoto, abilmente nascosta in parte nella ruota di

scorta e in parte nel serbatoio del carburante.74

Nel marzo 2017, presso il porto di Bari,

nell’ambito dell’intensa attività di controllo

sui passeggeri in transito presso il porto cit-

tadino, le autorità di Guardia di Finanza e

Agenzia delle Dogane hanno sequestrato ol-

tre 25 kg di marijuana.

La sostanza stupefacente, confezionata in 71

panetti, era nascosta all’interno di un dop-

piofondo situato nel vano posteriore, ricava-

to tra la marmitta e il serbatoio, di un auto-

vettura proveniente dall’Albania e condotta

da un cittadino albanese.75

4.2.4 IL TRAFFICO DI HASHISH

Anche l’hashish è una sostanza assai diffusa

in Italia, anche se nell’ultimo anno il suo

traffico ha subito una lieve contrazione, poi-

ché una quantità maggiore di carichi si dirige

74 Agenzia delle Dogane, 18 settembre 2017. 75 Agenzia delle dogane.

verso il Nord Europa.76 Come sottolineato

dalla Direzione Centrale dei Servizi Anti-

Droga, il traffico di hashish è perlopiù nelle

mani della criminalità marocchina. Questo è

dovuto al fatto che il Marocco è tra i princi-

pali paesi produttori a livello mondiale.

La vicinanza geografica all’Italia e i frequenti

collegamenti marittimi – diretti o via Spagna

– costituiscono dei facilitatori per il traffico

di questa sostanza. Avendo quindi conqui-

stato questo dominio, la criminalità maroc-

china è riuscita a creare rapporti stabili sia

con clan della ’Ndrangheta sia della Camor-

ra, che sono tra i clienti più importanti. Mol-

te partite di hashish, dunque, partono dal

grande porto di Tangeri e hanno come de-

stinazioni i principali porti del versante tirre-

nico, come Genova, Civitavecchia, Porto

Torres. Le variabili da tenere in considera-

zione per tracciare questo traffico sono di-

verse e, in definitiva, tutto dipende da chi

sono gli acquirenti del carico e dalle rotte

che in quel momento paiono più sicure.

La pericolosità di questa rotta è dimostrata da

una recente operazione, risalente al 2017, pres-

so il porto di Genova, Operazione “Caddy”,

con la quale sono stati rinvenuti e sequestrati

circa 734 kg di hashish nascosti in

un’automobile – a bordo di un traghetto – di

proprietà di una coppia di italiani, recatasi in

Marocco per conto di organizzazioni criminali.

Altre persone sono state coinvolte, tra cui ma-

rocchini e italiani, a dimostrazione dell’esi-

stenza di sodalizi, di varie dimensioni, compo-

sti da individui appartenenti a etnie diverse. Si

tratta di uno dei più grandi sequestri di hashish

presso una sede portuale degli ultimi anni, at-

traverso il quale si è riusciti a sottrarre circa 5

milioni di euro dai ricavi di organizzazioni cri-

minali operanti nel Nord Italia – luogo di de-

stinazione di quella partita di droga.

76 DCSA, Servizi AntiDroga, Relazione 2017, op. cit, supra

note 118

47

Come trend generale, però, occorre sottoli-

neare come questo traffico non avvenga con

utilizzo di container, bensì attraverso traghetti

e autoarticolati (come si è visto), imbarcazioni

come pescherecci, barche a vela e altri tipi di

natanti che non passano attraverso i punti di

frontiere, oppure via aerea e terrestre.

Per tale categoria di traffico abbiamo sia la

rotta dalla Libia, paese divenuto un’impor-

tantissima area di stoccaggio di hashish sia

dal Marocco, paese principale per la produ-

zione della sostanza; in questo caso il traffico

è nella mani della criminalità nigeriana che

talvolta immette lo stupefacente nelle rotte

destinate al traffico di migranti e di armi.77

Altra rotta di una certa importanza è quella

delle due sponde dell’Adriatico, Albania-

Puglia. Anche l’Albania ha acquisito un certo

ruolo nella produzione e distribuzione di ha-

77 Intervista ad autorità, Palermo, agosto 2018.

shish e, al pari di altri traffici sopra esamina-

ti, sfrutta la vicinanza geografica della Puglia

per il traffico extra-frontaliero.

A tal riguardo, risulta importante menzionare

due importanti sequestri avvenuti nel quadro

di una più vasta maxi-operazione, la “Libeccio

International”,78 che nell’arco di due mesi ha

portato al sequestro di circa 30 tonnellate di

hashish. Si menziona tale operazione, nono-

stante tali sequestri non riguardino i punti in-

tra-ispettivi, in quanto è indicativa della sensi-

bilità e pericolosità di determinate rotte che

costituiscono il filo di collegamento tra impor-

tanti organizzazioni criminali.

Il primo di questi sequestri risale a giugno

2018 quando 10 tonnellate di hashish sono

state sequestrate a bordo di un peschereccio

battente bandiera dei Paesi Bassi. Nel caso in

questione, il mezzo aveva compiuto una rot-

78 Una maxi-operazione di ampio respiro iniziata nel 2014 .

48

ta anomala, che ha insospettito le forze di

polizia: partendo da Malta si stava dirigendo

verso lo stretto di Gibilterra tra Marocco e

Algeria per effettuare delle operazioni di tra-

sbordo del carico per mezzo di gommoni

dalla terraferma.79

Il secondo sequestro, risalente ad agosto

2018, ha invece visto la confisca di ben 20

tonnellate di hashish circa80 a bordo di una

motonave battente bandiera panamense,

partita dal porto di Las Palmas a Gran Cana-

ria (aveva dichiarato di essere diretta verso il

porto di Tuzla in Turchia via Alessandria).

Avendo la nave assunto un comportamento

sospetto – il trasmettitore AIS era stato

spento più volte –, la Guardia di Finanza ha

iniziato a seguirne i movimenti per poi arri-

vare al sequestro del carico e all’arresto di 11

trafficanti montenegrini.

Anche questa serie di casi, che ha interessato

l’area intra-ispettiva, mostra come le rotte

del Nord Africa siano assai salienti e quanto

un continuo monitoraggio risulti quindi es-

senziale.

4.3 L’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA

NEI PORTI

Se, da una parte, è vero che il fenomeno

dell’immigrazione clandestina nell’accezione

di traffico di migranti (smuggling of migrants)

riguarda prevalentemente i soccorsi umanita-

ri al largo delle coste libiche, maltesi, spagno-

le e italiane, non si può sottovalutare

l’esistenza di un altro tipo di fenomeno, sep-

pur di dimensioni certamente più ridotte:

l’ingresso irregolare nel territorio italiano di

individui extra-comunitari attraverso le zone

intra-ispettive marittime.

Il problema è stato portato alla pubblica at-

tenzione dal disastro della nave “Norman

79 Guardia di Finanza, 7 giugno 2018. 80 Guardia di Finanza, 9 agosto 2018.

Atlantic”, che il 28 dicembre 2014, mentre

navigava da Patrasso in Grecia ad Ancona,

subì un grave incendio. L’incidente provocò

30 morti e rivelò la presenza di diversi clan-

destini, sia tra i morti sia tra i superstiti. Ne-

gli ultimi anni diverse migliaia di immigrati

clandestini hanno raggiunto i porti italiani.

Dati del Ministero dell’Interno, 81 infatti,

hanno indicato che nel 2012 e 2013, sulla so-

la rotta Patrasso-Ancona, sono stati intercet-

tati rispettivamente 1.317 e 1.809 immigrati

clandestini.

Dati più recenti82, nel ribadire la dimensione

limitata del fenomeno, indicano che questi

flussi avvengono in condizioni umane disa-

strose. Il problema dell’immigrazione clan-

destina si presenta nelle vesti di chi non solo

cerca di entrare nel territorio italiano sfug-

gendo ai controlli, ma anche di chi è munito

di documenti falsificati, rendendo così la

propria identità e provenienza una vera e

propria incognita. Se a ciò si aggiunge la

grande allerta sul rischio terrorismo che sta

riguardando all’Occidente negli ultimi anni,

si comprende la gravità del problema e la

necessità di investire nella sicurezza delle

frontiere marittime.

4.3.1 QUALI SONO LE MAGGIORI

MODALITÀ DI INFILTRAZIONE NEI PORTI?

Coloro che optano per questo metodo di in-

gresso si avvalgono di diversi mezzi che

vanno dai classici container ad autoarticolati

e autoveicoli imbarcati su navi cargo e tra-

ghetti. Vengono utilizzate rotte di frontiera

“interna”, ossia attraverso navi provenienti

da paesi dello Spazio Schengen come la

Grecia, e anche rotte di frontiera “esterna”,

come accade spesso dall’Albania.

81 “La battaglia navale dei clandestini”, Il Foglio, 5 gennaio,

2015 (visitato il 25 novembre 2017). 82 Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo,

“Relazione Annuale”, 12 aprile 2017.

49

La maggior parte di coloro che usano la

frontiera interna proviene da paesi come Af-

ghanistan, Pakistan, Siria e cerca di penetrare

il sistema Schengen in zone e punti difficili

da presidiare e controllare costantemente.

Ritorna anche per questo tipo di traffico la

questione della frontiera estesa che accomuna

tutti gli altri tipi sopra esaminati, dal traffico

di droga al contrabbando di TLE.

Alcuni casi recenti mostrano una maggior

salienza del problema sul versante adriatico

da Nord a Sud, prevalentemente per ragioni

di carattere geografico, ed evidenziano diver-

se modalità di infiltrazione.

CASI:

Frontiera esterna

Il 7 febbraio 2017, i funzionari dell’Ufficio

delle Dogane di Bari hanno individuato, in

collaborazione con i militari della Guardia di

Finanza e della Polizia di Frontiera, tre im-

migrati clandestini di nazionalità albanese. Il

controllo su un autoarticolato serbo, prove-

niente dall’Albania, ha consentito di accerta-

re la presenza dei tre uomini, nascosti dietro

un carico di rotoli di spugna industriale. Uno

dei clandestini è stato arrestato in quanto già

destinatario di un’ordinanza di custodia cau-

telare, mentre gli altri due sono stati rimpa-

triati perché destinatari di provvedimenti di

espulsione emessi dal Prefetto di Belluno.83

Frontiera interna

Il 6 marzo 2017 i funzionari dell’Ufficio del-

le Dogane di Bari, nell’ambito delle attività

di contrasto ai traffici illeciti, hanno indivi-

duato, in collaborazione con i militari della

Guardia di Finanza e della Polizia di Frontie-

ra, quattro immigrati clandestini. Nel corso

di un controllo effettuato su un autoarticola-

to con motrice lituana e rimorchio danese e

83 Agenzia delle Dogane, 7 febbraio 2017.

proveniente dalla Grecia, è stata scoperta la

presenza di due adulti di nazionalità iraniana

e due minori di nazionalità afgana, nascosti

in un vano ricavato all’interno di una cella

frigorifero contenente arance. I quattro, ap-

parsi provati, sono stati immediatamente

soccorsi. Gli adulti hanno chiesto asilo poli-

tico mentre i minori sono stati affidati ai ser-

vizi sociali. I due conducenti del mezzo, ri-

spettivamente di nazionalità ucraina e bielo-

russa, sono stati posti agli arresti e denunciati

alla Procura della Repubblica di Bari.84

Il 31 maggio 2017 i funzionari dell’Ufficio

delle Dogane di Bari hanno individuato, in

collaborazione con i militari della Guardia di

Finanza e della Polizia di Frontiera, due im-

migrati clandestini. Il controllo, effettuato su

un autoarticolato proveniente dalla Grecia,

ha consentito di accertare la presenza di due

cittadini afgani, nascosti fra la merce traspor-

tata, costituita da vasche in plastica ricoperte

di cellophane.85

4.3.2 LE PRINCIPALI CRITICITÀ

Casi come questi, seppur associati a numeri

di persone non elevati, non sono infrequenti

presso i principali porti. Nella maggioranza

dei casi non si tratta di persone che approfit-

tano di canali irregolari con lo scopo di pre-

sentare domanda di protezione internaziona-

le, bensì di persone che hanno l’intenzione di

eludere i controlli, al fine di rimanere in Italia

senza permessi oppure di raggiungere altre

destinazioni europee.

Ma quali sono le principali vulnerabilità riscon-

trate? Le questioni che maggiormente preoc-

cupano sono l’identificazione degli irregolari –

spesso sprovvisti di documenti non in regola o

addirittura falsi – e la potenziale catena di con-

tatti nel territorio di ingresso.

84 Agenzia delle Dogane, 6 marzo 2017. 85 Agenzia delle Dogane, 31 maggio 2017.

50

UN’INFILTRAZIONE ORGANIZZATA?

È stato fatto spesso notare come questo tipo

di infiltrazioni abbia alle spalle un sistema

organizzativo ben studiato e articolato. Per

esempio, a coloro che utilizzano questa mo-

dalità di ingresso vengono impartite istru-

zioni ben precise concernenti le modalità di

uscita da un porto.

Le dimensioni e la complessità di certi porti

non consentono una facile e veloce indivi-

duazione dei varchi d’uscita, specialmente

quando lo scopo è quello di eludere i con-

trolli della Polizia di frontiera.

È lecito, dunque, supporre che queste orga-

nizzazioni riescano ad assoldare a vario tito-

lo persone che conoscono la struttura por-

tuale e le sue dinamiche. Sotto questo profi-

lo, tale tipo di traffico, vedendo presumibil-

mente il coinvolgimento di insiders, non si

differenzia quindi da quello di droga e dal

contrabbando di sigarette.86

IL PERICOLO DI INFILTRAZIONI

TERRORISTICHE

Come verrà analizzato più avanti nella sezione

ad hoc, a causa degli sconvolgimenti politici in

paesi come Siria, Iraq e Libia, il pericolo di in-

filtrazioni terroristiche, specialmente di matrice

jihadista, che facciano uso di questi canali di

ingresso non è così remoto né tantomeno im-

possibile. Con ciò non si vuole in alcun modo

instaurare un nesso diretto tra immigrazione e

jihadismo. Nondimeno, dal momento che

questa modalità di ingresso può rappresentare

un’opzione per foreign fighters di ritorno o co-

munque per soggetti radicalizzati, desiderosi di

far ingresso in Europa, tale rischio non può

essere escluso.

Non bisogna infatti dimenticare come molti

dei soggetti ritrovati all’interno di container e

autoarticolati – grazie, per esempio, all’uso di

86 Intervista ad autorità, Trieste, ottobre 2017.

strumenti di rilevazione dell’anidride carbo-

nica in dotazione delle autorità – provenga-

no da aree sensibili, come Afghanistan e

Iraq, entrambi teatri di conflitti. Inoltre, mol-

ti dei soggetti che usano questa modalità di

ingresso sono sprovvisti di documenti oppu-

re presentano documenti falsi, rendendo così

difficile la loro identificazione.

LA RESPONSABILITÀ E LA SICUREZZA DEL-

LE COMPAGNIE DI NAVIGAZIONE

Non mancano casi in cui le compagnie di

navigazione si accorgono della presenza a

bordo di persone non registrate ancor prima

di attraccare in un porto. Da quel momento

è naturale che il personale della compagnia

di navigazione diventi responsabile di tali

soggetti, al fine di tutelare la loro sicurezza e

di assicurare loro condizioni igienico-

sanitarie adeguate.

Il principale problema risiede nel fatto che, a

causa delle criticità sopra menzionate, una

spesso difficile identificazione di migranti

clandestini a bordo comporta problemi di

sicurezza sia per il personale a bordo sia per

la nave stessa.87

Il tipo di misure messe in atto nell’Ope-

razione “Talassa” su scala nazionale ha con-

fermato la grande preparazione e abilità delle

forze dell’ordine; nondimeno, è opportuno

sottolineare come esse non siano misure

quotidiane, né potrebbero esserlo. Le giorna-

te che hanno visto i principali porti italiani

interessati da tali controlli intensificati han-

no, allo stesso tempo e inevitabilmente,

comportato rallentamenti al commercio e al

turismo marittimo. Come detto, è questo

uno degli aspetti più problematici delle atti-

vità in materia di sicurezza portuale.

87 Intervista ad autorità, Roma, giugno 2018.

51

Detto ciò, il problema di questo tipo di traf-

fico non riguarda solo i porti per così dire

commerciali, ma anche quelli turistici, desti-

nazione di velieri, motoscafi e altre imbarca-

zioni da diporto a volte utilizzati da criminali

esperti (o anche individui che, pur non fa-

cendo parte di organizzazioni criminali, ven-

gono ingaggiati per il compimento della tra-

versata). Va da sé che questo tipo di viaggio

è in genere molto più costoso rispetto alle

altre traversate, dati i tempi di percorrenza

inferiori e le condizioni di viaggio migliori.

Non è nemmeno da tralasciare il fatto che,

oltre a migranti irregolari, vengano spesso

trasportati altri tipi di merci come droga, ar-

mi o sigarette, creando una vera e propria

commistione di traffici.

Questo fenomeno è comune sul versante

adriatico, potendo contare sulla vicinanza

dell’Italia ad aree vulnerabili, come la regione

balcanica. In questi casi, aldilà dei porti turi-

stici e commerciali, e come accade per gli altri

traffici illeciti analizzati nel testo, si prediligo-

no approdi in zone extra-ispettive, allo scopo

di sfuggire più facilmente ai controlli.

Da questa analisi emerge come le frontiere

marittime possano essere altamente vulnera-

bili e come richiedano grande attenzione da

parte delle autorità nazionali. E, come sottoli-

neato anche per gli altri traffici illeciti, se è ve-

ro che un numero importante di persone vie-

ne individuato e respinto alle frontiere por-

tuali, è anche vero che una quota significativa

riesce a entrare nel territorio italiano eludendo

i controlli.

Banchine e impianti portuali costituiscono

luoghi di lavoro, incontro e aggregazione per

il grande numero di individui che opera nel

settore del trasporto marittimo, con diverse

nazionalità, lingue, culture, usi e costumi. Ri-

sulta quindi difficile pensare che sia possibi-

lecontrollare attentamente chiunque sia pre-

sente nel porto ogni giorno.

A prescindere dalle autorizzazioni di ingresso,

è possibile congetturare che un “intruso” sia in

grado di mescolarsi e confondersi tra tutti co-

loro che quotidianamente popolano banchine

e punti di aggregazione per poi uscire tranquil-

lamente dai varchi portuali.

OPERAZIONE “TALASSA”

L’importanza di questo fenomeno è

confermata dalle recenti misure e ini-

ziative su scala nazionale coordinate

dalla Direzione Centrale dell’Immi-

grazione e Polizia delle Frontiere fi-

nalizzate a individuare le principali

rotte utilizzate dai migranti irregolari

per giungere in Italia, nonché porre in

essere attività di contrasto al terrori-

smo internazionale e alla criminalità

transfrontaliera.

In particolare, l’operazione “Talas-

sa”, svoltasi nel febbraio del 2018,

ha visto la sinergia di Agenzia delle

Dogane, Guardia di Finanza e Capi-

tanerie di Porto con l’ausilio della

Polizia stradale, di FRONTEX ed

EUROPOL.

Sul versante adriatico, i controlli

hanno coinvolto misure straordina-

rie di controllo sia in frontiera in-

terna (dalla Grecia) sia in frontiera

esterna (ad es., dall’Albania).

A livello complessivo, la maxi-

operazione ha consentito di controlla-

re 12.026 persone e 2.235 veicoli, re-

spingere 22 migranti irregolari, arre-

stare quattro persone per reati con-

nessi al crimine transfrontaliero e in-

dagarne 17, nonché rintracciare 10

clandestini occultati in tir, mediante

l’utilizzo di apparecchiature per il ri-

levamento del battito cardiaco e per la

rilevazione dell’anidride carbonica e

scannerizzando mezzi pesanti, contai-

ners e veicoli con la tecnologia si-

lhouette scanner 300.

52

La disponibilità di impianti e strumenti tecno-

logici offre un grandissimo supporto agli atto-

ri che si occupano di sicurezza, ma non esiste

un sistema infallibile. Sicuramente, però, si

possono individuare proposte volte a miglio-

rare il sistema della sicurezza.

4.4 IL TRAFFICO DI ARMI

Il traffico illecito di armi da fuoco88 costitui-

sce, nel vasto panorama dei traffici illegali,

88 La definizione più usata di traffico di armi da fuoco è

quella fissata nel Protocollo sulle Armi da fuoco dell’ONU:

«the import, export, acquisition, sale, delivery, movement or

transfer of firearms, their parts and components and am-

munition from or across the territory of one State Party to

that of another State Party if any one of the States Parties

concerned does not authorize it in accordance with the

terms of this Protocol or if the firearms are not marked in

accordance with article 8 of this Protocol». United Nations

Protocol against the Illicit Manufacturing of and Trafficking

uno dei più difficili da monitorare e studia-

re.89

Anche rispetto al caso italiano vi sono state

ben poche indagini – e ancor meno analisi

metodologicamente solide – in grado di far

luce in modo sistematico sulle caratteristiche

del mercato, gli attori, le rotte e i metodi del

traffico, nonostante il fatto che un ampio

quantitativo di armi sia stato nella disponibi-

lità dei gruppi mafiosi attivi nel paese, alme-

no sin dalla fine degli anni Settanta.90

in Firearms, Their Parts and Components and Ammuni-

tion, 2001. 89 Tra gli altri, si vedano Monica Massari, Il traffico illecito di

armi: appunti per un’analisi, in «Rivista di studi e ricerche sulla

criminalità organizzata», vol. 3, n. 1, 2017, pp. 3-18; ERNE-

STO U. SAVONA E MANCUSO MARINA (a cura di), Fighting

lllicit Firearms Trafficking Routes and Actors at European Level.

Final Report of Project FIRE (www.fireproject.eu), Milano:

Transcrime – Università Cattolica del Sacro Cuore, 2017. 90 Vedi DOMITILLA SAGRAMOSO, The Proliferation of Illegal

Small Arms and Light Weapons in and around the European Un-

53

In generale, il mercato illecito delle armi, da un

punto di vista economico – cioè del valore del

mercato e dei profitti che genera – appare di

rilevanza piuttosto limitata, quantomeno se

comparato con altri mercati illeciti, come quelli

relativi a diverse sostanze stupefacenti.91

Per quanto riguarda il caso italiano, si può fa-

re riferimento a uno studio di Calderoni e

colleghi che ha stimato il giro d’affari del

mercato criminale delle armi da fuoco come

compreso tra un minimo di 46 e un massimo

di 141 milioni di euro nel 2010.92

Una delle ragioni principali di ricavi non molto

elevati, quantomeno in confronto ad altri traf-

fici illeciti, è il fatto che le armi, al contrario

delle droghe o di altre merci illegali, sono beni

durevoli, che possono essere usati anche dopo

decenni, e non richiedono interventi di aggior-

namento significativi. Inoltre, dal punto di vi-

sta del trasporto e della logistica, a parità di pe-

so e volume, un carico di armi da fuoco è na-

turalmente molto meno redditizio di un carico

di sostanza stupefacente.

D’altra parte, il traffico illecito delle armi

non richiede competenze commerciali speci-

fiche né elevati capitali da investire e presen-

ta barriere non elevate di accesso al e di usci-

ta dal relativo mercato. Le armi rappresenta-

no di fatto un «bene liquido», pronto a esse-

re convertito in contanti e facile da commer-

cializzare, tanto più a fronte di una domanda

persistente.93

ion: Instability, Organized Crime and Terrorist Groups, Centre for

Defence Studies, King’s College, University of London, and

Saferworld, London, 2001. 91 Tra gli altri, Monica Massari, Il traffico illecito di armi, cit. 92 FRANCESCO CALDERONI, SERENA FAVARIN, LORELLA

GAROFALO, FEDERICA SARNO, Counterfeiting, illegal firearms,

gambling and waste management: An exploratory estimation of four

criminal markets, in «Global Crime», vol. 15, nn. 1-2, 2014,

pp. 108-137. 93 Ernesto U. Savona, Mancuso Marina (Eds.), Fighting lllicit

Firearms Trafficking Routes and Actors at European Level, cit., p.

88.

L’Italia costituisce un importante paese di

destinazione per le armi illegali, provenienti

in particolare dai paesi dell’ex-Jugoslavia e

dall’Albania. Com’è noto, la regione dei Bal-

cani occidentali ha accumulato ingenti sur-

plus di armi e munizioni dopo la Guerra

fredda e soprattutto dopo i conflitti degli

anni ’90. Per esempio, un’inchiesta giornali-

stica di pochi anni fa è giunta alla conclusio-

ne che circa il 90% delle armi illegali presenti

nella città di Roma proveniva proprio

dall’ex-Jugoslavia.94

Inoltre, a causa della prossimità geografica con

i Balcani, l’Italia rappresenta un paese di transi-

to per armi da fuoco dirette verso il Nord Eu-

ropa. Per esempio, la già menzionata opera-

zione antidroga “New Bridge”, condotta nel

2014 dalla Polizia di Stato in collaborazione

con l’FBI contro la ’Ndrangheta, ha riguardato

anche il traffico internazionale di armi.

In Italia un ruolo cruciale nel traffico delle

armi da fuoco in Italia è giocato proprio dal-

le organizzazioni mafiose, autoctone (Cosa

Nostra con base in Sicilia, ’Ndrangheta in

Calabria, Camorra in Campania, Sacra Coro-

na Unita in Puglia), ma anche straniere (ma-

fia russa, albanese, ecc.). Tali organizzazioni

operano sul lato dell’offerta, come venditori

(e mediatori) di armi e munizioni, e sul lato

della domanda, come acquirenti.

Molte armi da fuoco utilizzate dalle principa-

li organizzazioni mafiose provengono for-

malmente dal mercato legale. Si tratta, cioè,

di armi che vengono deviate dal mercato le-

gale e destinate a quello illegale, attraverso

varie strategie. Non di rado si tratta di armi

rubate nelle armerie o alle forze dell’ordine o

a privati cittadini che le detenevano regolar-

mente e che in questo modo entrano quindi

nei circuiti clandestini. È interessante notare

94 FEDERICA ANGELI, “Pistole, Kalashnikov, persino un

missile grandi affari al supermarket dei ‘Ferri’”, La Repubbli-

ca, 21 febbraio 2012.

54

che in Campania molte armi da fuoco non

vengono effettivamente rubate, ma sono ce-

dute volontariamente ai camorristi che, in

questo modo, si assicurano armi “pulite”.95

Inoltre, le armi possono essere trasferite nel

circuito illegale attraverso false esportazioni

sulla carta, conversione di armi da fuoco non

letali 96 o riattivazione di armi disattivate.

Un’altra potenziale modalità di approvvigio-

namento, emersa di recente, è costituita

dall’acquisto su internet, nel cosiddetto dark

web.97 A oggi la fabbricazione illecita attra-

verso la tecnologia di stampa 3D non sem-

bra essere un’opzione rilevante in Italia.98

Un’ulteriore modalità di approvvigionamen-

to delle armi utilizzata frequentemente è

quella che prevede lo scambio fra armi e altri

beni di natura illegale, prime fra tutte le so-

stanze stupefacenti. Per esempio, in Italia sia

la ’Ndrangheta sia Cosa Nostra hanno utiliz-

zato questa modalità per rifornirsi di armi

nell’Europa orientale e nei Balcani. In effetti,

la rilevanza di nessi esistenti tra traffico di

armi e traffico di droga è stata cruciale per le

mafie italiane per ampliare i propri arsenali.99

Nel complesso, secondo gli esperti, nessuna

organizzazione mafiosa italiana ha mai eser-

95 MONICA MASSARI, Guns in the Family. Mafia violence in Italy,

in Small Arms Survey 2013. Everyday Dangers, Small Arms Sur-

vey, Cambridge, Cambridge University Press, 2013, pp. 75-

101. 96 NICOLAS FLORQUIN, BENJAMIN KING, From Legal to Le-

thal: Converted Firearms in Europe, Small Arms Survey, Graduate

Institute of International and Development Studies, Gene-

va, 2018. 97 Cfr. GIACOMO PERSI PAOLI GIACOMO, JUDITH AL-

DRIDGE, NATHAN RYAN, RICHARD WARNES, Behind the cur-

tain: The illicit trade of firearms, explosives and ammunition on the

dark web, RAND Europe, Santa Monica, Calif. - Cambridge,

UK, 2017. 98 FRANCESCO STRAZZARI E FRANCESCA ZAMPAGNI, Between

organised crime and terrorism: Illicit firearms actors and market dy-

namics in Italy, in N. Duquet (a cura di), Triggering Terror: Illicit

Gun Markets and Firearms Acquisition of Terrorist Networks in

Europe, Brussels, Flemish Peace Institute, 2018, pp. 237-283

(p. 261). 99 MONICA MASSARI, Il traffico illecito di armi, cit.

citato un’assoluta egemonia sul traffico ille-

gale di armi, per quanto la ’Ndrangheta gio-

chi un ruolo di primo piano.100 A differenza

di quanto accaduto in passato, gli scambi di

armi tra associazioni mafiose autoctone sono

oggi infrequenti.101

In generale, il traffico di armi non è quasi

mai rientrato tra le attività del programma

delittuoso delle associazioni di stampo ma-

fioso italiane, ovvero finalizzato a produrre

profitto. La disponibilità di armi, anche da

guerra, ha avuto piuttosto una funzione

strumentale rispetto alle altre attività delle

organizzazioni, finalizzata soprattutto

all’obiettivo di mantenere quel controllo del

territorio che costituisce la precondizione

della loro operatività.102

Secondo le informazioni disponibili, la re-

gione maggiormente interessata dai sequestri

di armi è stata la Puglia, e in particolare il

foggiano, zona d’Italia in cui vi è, peraltro,

un’elevata concentrazione di gruppi criminali

armati per l’assalto ai portavalori. L’arma

preferita dalle mafie italiane sarebbe il fucile

d’assalto AK-47 (il celebre Kalashnikov).103

Dai Balcani le armi attraversano il Mar

Adriatico in imbarcazioni o, più frequente-

mente, viaggiano via terra attraverso il Nord

Italia. Le armi sono spesso occultate in cari-

chi legali, trasportate da camion o da jeep o,

talvolta, in piccole quantità, da auto private;

o, ancora, vengono nascoste momentanea-

mente in aree dismesse vicino alle autostrade

prima di giungere a destinazione.

100 SALVATORE DOLCE, Le organizzazioni di stampo mafioso

italiane e il traffico di armi da fuoco. Riflessioni su alcune esperienze

giudiziarie, in «Rivista di Studi e Ricerche sulla criminalità

organizzata», vol. 4, n. 2, 2018, pp. 49-64. 101 FRANCESCO STRAZZARI, FRANCESCA ZAMPAGNI, Between

organised crime and terrorism, cit., p. 267. 102 SALVATORE DOLCE, Le organizzazioni di stampo mafioso

italiane e il traffico di armi da fuoco, cit., pp. 50-51. 103 Ivi, p. 58.

55

Secondo le informazioni disponibili, è impor-

tante sottolineare che per quanto riguarda il

traffico delle armi in Italia il trasferimento via

mare e, ancor più, il transito attraverso struttu-

re portuali non rappresenta la modalità di tra-

sporto più frequente. Infatti, per i gruppi cri-

minali il rischio di ritrovamento dei carichi

grazie all’uso della tecnologia scanner è eleva-

to. Il trasporto avviene principalmente via ter-

ra, con l’occultamento delle armi in automobi-

le, furgoni e autocarri, spesso in doppi fondi. Il

Nord-est, in particolare, è da oltre vent’anni

un’importante area di transito – e di conse-

guenza di sequestri.

È importante notare che i consistenti flussi di

migranti clandestini dall’Africa (in particolare

dalla Libia) all’Italia non presentano legami

stretti con il traffico di armi, a differenza di

quanto avveniva negli anni ’90 con

l’immigrazione dall’Albania. Infatti, le imbar-

cazioni che attraversano la cosiddetta rotta

centrale del Mediterraneo sono intercettate

dalle autorità in mare e quindi eventuali armi

presenti sarebbero facilmente intercettate.104

A causa dei controlli, i trafficanti tendono a

evitare il transito delle armi attraverso i porti

italiani, persino nel caso di trasporto via ma-

re. Per esempio, in Puglia sono stati accertati

flussi illeciti di armi da fuoco, ritrovate anche

in gommoni utilizzati per il traffico di mari-

juana. I responsabili di queste attività illecite

sono generalmente soggetti albanesi, che

possiedono anche fucili Kalashnikov. Inter-

viste originali realizzate dagli autori di questo

rapporto hanno confermato che, analoga-

mente al traffico di droga (in particolare, ma-

104 Tra gli altri, FRANCESCO STRAZZARI, FRANCESCA ZAM-

PAGNI, Between organised crime and terrorism, cit.; Audizione del

Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catan-

zaro Nicola Gratteri, Comitato parlamentare di controllo

sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull'at-

tività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di im-

migrazione, Seduta n. 49 di martedì 23 maggio 2017, Reso-

conto stenografico.

rijuana) presente nell’area, le armi non giun-

gono nei porti, ma sulle coste e in punti di

approdo isolati che la morfologia del territo-

rio pugliese, con le sue coste frastagliate, of-

fre. Questa modalità di trasporto illecito di

carattere extra-ispettivo ha luogo soprattutto

nelle aree più distanti dal capoluogo pugliese,

a nord verso il Gargano o a sud verso il Sa-

lento. La costa della provincia di Bari infatti

è altamente urbanizzata, a causa della pre-

senza di strutture turistiche e ricettive, indu-

strie, ecc., per cui i punti di approdo liberi,

più difficili da controllare e pattugliare, sono

meno diffusi. Come già accennato, queste

rotte illecite sono spesso miste, combinando

il trasporto di droga con quello di armi op-

pure di migranti irregolari.105

La relativa vicinanza geografica delle coste

italiane alla regione balcanica permette

l’utilizzo dei cosiddetti “squali” da parte dei

trafficanti. Queste imbarcazioni piccole e ve-

loci rappresentano una sfida significativa per

i mezzi delle Autorità italiane, anche per la

Guardia di Finanza che pure è specificamen-

te equipaggiata per contrastare questo feno-

meno. 106 Inoltre, come è stato notato, se-

condo le forze di polizia italiane, una nuova

strategia prevede l’uso di container sigillati

trainati da motoscafi che vengono sganciati

vicino alla costa e recuperati successivamen-

te dal destinatario del carico. 107 Oltretutto,

specialmente a partire dai gravi attacchi ter-

roristici del 2015 in Francia, i controlli nei

porti, così come negli aeroporti, sono stati

intensificati anche in Italia.108

105 Intervista ad autorità, Bari, febbraio 2018. 106 Ibidem. 107 FRANCESCO STRAZZARI E FRANCESCA ZAMPAGNI,

Between organised crime and terrorism, cit., p. 263. 108 Intervista ad autorità, Genova, gennaio 2018. Con rife-

rimento al capoluogo ligure, cfr. MARCO GRASSO, “Armi e

passaporti falsi, boom di sequestri a Genova”, Il Secolo XIX,

8 gennaio 2018.

56

Può essere interessante notare che anche per

un recente caso di traffico illegale riguardan-

te non armi da fuoco, ma interi mezzi milita-

ri, opportunamente smontati per eludere i

controlli e trasportati via mare dall’Italia alla

Somalia, i responsabili avevano preferito ab-

bandonare i porti italiani proprio perché

l’imbarco era diventato sempre più difficile,

optando alla fine per il porto di Anversa, in

Belgio, dove i veicoli militari venivano con-

dotti via terra a bordo di tir, con il carico

coperto da teloni.109

Anche il Porto calabrese di Goia Tauro, così

rilevante per diversi traffici illeciti, a partire da

quello di cocaina (vedi apposita sezione del

rapporto), non occupa una posizione centrale

per il trasferimento di armi da fuoco. Di recen-

te è stato rilevato che «secondo gli organi inve-

stigativi, Gioia Tauro ha ceduto il passo a Rot-

terdam come porto di preferenza per i traffi-

canti di armi da fuoco, perché quando i seque-

stri superano il 20% dei beni trafficati, i mafio-

si preferiscono cambiare porto: come un

esperto italiano ha affermato, “i mafiosi pos-

sono sempre cambiare porti; questa è la forza

della ’Ndrangheta”».110

Nondimeno, una parte dei traffici illeciti di

armi da fuoco, per quanto minoritaria, tran-

sita effettivamente dai porti marittimi italia-

ni. Tra gli altri, il porto di Taranto risulta al

centro di numerosi traffici illeciti transnazio-

nali che comprendono, appunto, trasferi-

menti di armi, oltre che di droga.111

Gli autori di questo rapporto hanno esamina-

to alcuni casi, anche con apposite interviste a

esperti. Per esempio, nel Porto di Genova è

stato individuato un traffico illecito di auto- 109 Polizia di Stato, “Traffico illegale di mezzi militari, 4 ar-

resti”, 4 ottobre 2017. 110 FRANCESCO STRAZZARI, FRANCESCA ZAMPAGNI, Between

organised crime and terrorism, cit., p. 263. 111 Vedi Camera dei Deputati, Relazione sull’attività delle forze

di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla

criminalità organizzata (Anno 2015), 2017, volume I, p. 490.

mobili provenienti dalla Libia, sul quale hanno

indagato i GICO (Gruppi di Investigazione

sulla Criminalità Organizzata) e il secondo

gruppo della Guardia di Finanza del capoluo-

go ligure. Queste automobili sembrerebbero

appartenere a un ex parco-auto del leader libi-

co Muammar Gheddafi, finite poi in mano a

militanti jihadisti. Nel paraurti sono state ritro-

vate numerose armi da fuoco.112

D’altra parte, la Calabria, insieme ad altre

aree del Mezzogiorno, rappresenta un centro

non trascurabile per la riattivazione delle ar-

mi da fuoco e, in particolare, secondo alcune

indicazioni, «il porto di Goia Tauro ospita

attività di modifica clandestina delle armi da

fuoco in container».113 Vale la pena di notare,

infine, che un’inchiesta giornalistica del 2016

ha prospettato un nesso tra traffico di armi e

il traffico di reperti artistici tra l’Italia e la Li-

bia, con il coinvolgimento rispettivamente

delle mafie italiane, a partire dalla ’Ndran-

gheta, e del cosiddetto Stato Islamico. Gioia

Tauro rappresenterebbe la base di smista-

mento per tale traffico (Quirico 2016). Non-

dimeno la notizia di cronaca non ha trovato

finora riscontri ufficiali.

A questo proposito, è opportuno precisare,

infine, che a oggi non esistono indicazioni

salienti di legami organizzativi tra associa-

zioni criminali attive in Italia e gruppi terro-

ristici di matrice jihadista, nemmeno rispetto

all’approvvigionamento e uso delle armi da

fuoco.114

112 Intervista ad autorità, Genova, gennaio 2018. 113 FRANCESCO STRAZZARI E FRANCESCA ZAMPAGNI,

Between organised crime and terrorism, cit., p. 265. 114 Vedi PETER R. NEUMANN PETER, RAJAN BASRA, The

Crime-Terror Nexus in Italy and Malta, The Crime Terror Ne-

xus, 2018; FRANCESCO MARONE, Terrorismo jihadista e uso

delle armi da fuoco in Occidente, in «Rivista di studi e ricerche

sulla criminalità organizzata», vol. 4, n. 2, 2018, pp. 65-87.

57

5. IL RISCHIO TERRORISMO

5.1 IL TERRORISMO MARITTIMO

Com’è noto, il terrorismo 1 costituisce una

delle principali minacce alla sicurezza nazio-

nale e internazionale. In particolare, il terro-

rismo transnazionale di matrice jihadista ha

suscitato grande preoccupazione negli ultimi

anni, almeno a partire dai catastrofici attac-

chi suicidi dell’11 settembre 2001. L’ascesa

del cosiddetto Stato Islamico, con la procla-

mazione del suo “califfato” il 29 giugno

2014, ha segnato un’ulteriore fase di recru-

descenza della minaccia. Dal 2014 decine di

attacchi terroristici hanno colpito anche i

paesi occidentali.2

Il terrorismo, specialmente di matrice jihadi-

sta, può rappresentare un pericolo serio an-

che per la sicurezza (nell’accezione di security)

dei porti marittimi e merita quindi attenzione

in questa sede.

È vero che storicamente i porti e, in genera-

le, i mari non hanno costituito luoghi e am-

bienti di cruciale importanza nelle attività

1 Non esiste una definizione comunemente accettata di ter-

rorismo. Sul punto si veda, tra gli altri, ALEX P. SCHMID (a

cura di), The Routledge Handbook of Terrorism Research, Abing-

don, Routledge, 2011, capitolo 2. In essenza, il termine fa

riferimento a un metodo utilizzato per ragioni politi-

che/ideologiche da un attore non-statale per piegare la vo-

lontà e la resistenza di uno Stato (o più Stati) attraverso

l’uso della violenza. 2 Vedi, in particolare, LORENZO VIDINO, FRANCESCO MA-

RONE, EVA ENTENMANN, Jihadista della porta accanto. Radica-

lizzazione e attacchi jihadisti in Occidente, Istituto per gli Studi di

Politica Internazionale (ISPI), 2017.

terroristiche. Per esempio, il Database GTD

START,3 il più ampio disponibile in materia,

registra soltanto 357 attacchi terroristici con-

tro obiettivi “marittimi” – avvenuti prevalen-

temente al di fuori dell’Occidente – sugli ol-

tre 180.000 realizzati nel mondo (0,2%) dal

1970 al 2017.

Il terrorismo marittimo può manifestarsi in

due ambiti diversi: l’alto mare, che si identi-

fica sostanzialmente con le “acque interna-

zionali”, e la zona costiera che tende a coin-

cidere con le “acque territoriali”. 4 Ai due

ambiti corrispondono logiche e dinamiche

differenti, sia sotto il profilo della minaccia

terroristica sia sotto il profilo della risposta

antiterroristica. Chiaramente in questa sede

l’attenzione si concentra principalmente sul

secondo ambito.

Le ragioni della scarsa rilevanza del terrori-

smo in mare – e, specialmente, in mare aper-

to, – sono probabilmente molteplici e ten-

dono a sovrapporsi.5 In primo luogo, guar-

dando ai responsabili della violenza, un nu-

mero significativo di organizzazioni terrori-

stiche non ha base in aree costiere (si pensi,

per esempio, ai numerosi gruppi attivi in Af-

3 Global Terrorism Database (GTD), National Consortium

for the Study of Terrorism and Responses to Terrorism

(START), https://www.start.umd.edu/gtd/. 4 MARCO BANDIOLI, Terrorismo nei porti. Minaccia da terra e dal

mare (protezione, difesa, contrasto), Roma, IBN, 2017, pp. 19-20. 5 PETER CHALK, The maritime dimension of international security:

Terrorism, piracy, and challenges for the United States, Report,

Rand Corporation, 2008, p. 19 e ss.

58

ghanistan, paese privo di sbocchi sul mare) e

non è in grado di estendere il proprio raggio

d’azione al di là degli originari contesti locali.

Inoltre, non molte organizzazioni terroristi-

che – e tantomeno singoli militanti – hanno

competenze e mezzi adeguati per operare

nello specifico ambiente marittimo (disponi-

bilità di imbarcazioni, esperienze nautiche,

ecc.). Oltretutto, come segnalato da numero-

si studiosi ed esperti, le organizzazioni terro-

ristiche tendono a essere piuttosto conserva-

trici nella selezione delle tattiche e delle armi

impiegate.6

In secondo luogo, sotto il profilo dei bersa-

gli, obiettivi in mare – e, specialmente, in

mare aperto, – tendono a essere meno visibi-

li e quindi interessano meno organizzazioni e

singoli militanti che generalmente adottano

la strategia del terrorismo proprio per ricer-

care pubblicità per la propria causa politica.7

Al contrario, attacchi eseguiti sulla terrafer-

ma di solito possono essere visti e seguiti da

un numero maggiore di persone, sia diretta-

mente sia indirettamente attraverso vari tipi

di media (per i quali, a loro volta, l’accesso

alla scena di un attacco risulta più difficolto-

so lontano dalla terraferma).

D’altra parte, tutto ciò non impedisce che

organizzazioni e singoli militanti possano es-

sere interessati a colpire in alto mare o, an-

cor più, in prossimità della costa. Si possono

indicare almeno tre ragioni distinte di tale

interesse. In primo luogo, l’ambiente marit-

timo offre un’ampia disponibilità di bersagli

potenziali, tanto più, per esempio, nell’am-

6 Nell’ampia letteratura disponibile si vedano, a titolo di

esempio, BRUCE HOFFMAN, Terrorist targeting: Tactics, trends,

and potentialities, in «Terrorism and Political Violence», vol. 5,

n. 2, 1993, pp. 12-29; NICOLE A. TISHLER, Trends in Terror-

ists’ Weapons Adoption and the Study Thereof, in «International

Studies Review», vol. 20, n. 3, 2018, pp. 368-394. 7 Tra gli, si segnala FRANCESCO MARONE, La politica del terro-

rismo suicida, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013, capitolo

1.9.

bito di bracci di mare e canali (non di rado di

grande valore strategico, come lo Stretto di

Hormuz).

In secondo luogo, attacchi a porti o a vie di

comunicazioni marittime (sea lines of communi-

cation, SLOC) possono produrre significativi

danni al sistema commerciale marittimo, ba-

sato su meccanismi “just in time just enough”. Il

traffico marittimo (di merci innanzitutto, ma

anche di persone) – basato essenzialmente

su navi, porti e interconnessioni – è chiara-

mente un pilastro fondamentale dell’architet-

tura del trasporto globale e rappresenta un

fattore assai rilevante per il benessere e la

prosperità di numerosi stati. Un’operazione

di terrorismo marittimo può quindi produrre

danni molto seri, tanto più considerando che

il sistema commerciale si fonda su meccani-

smi “just in time just enough”. La causazione di

gravi costi economici rientra, peraltro, per-

fettamente nelle finalità o quantomeno nella

retorica di diverse organizzazioni terroristi-

che, come quelle di matrice jihadista, almeno

a partire dall’11 settembre: gruppi come al-

Qaeda hanno persino ostentato più volte

l’intenzione di portare alla bancarotta gli Sta-

ti nemici, e persino la superpotenza america-

na.

In terzo luogo, com’è noto, numerose orga-

nizzazioni terroristiche hanno indirizzato de-

liberatamente i propri atti di violenza contro

il sistema dei trasporti. A questo riguardo, i

trasporti su acqua non fanno totalmente ec-

cezione. In particolare, mezzi di trasporto

come battelli e traghetti, usati anche per il

servizio pubblico, possono rappresentare

bersagli interessanti per questi gruppi armati,

specialmente se essi sono disposti a ricorrere

alla violenza indiscriminata contro civili

inermi: tali imbarcazioni possono contenere

un ampio numero di persone in spazi relati-

vamente ridotti e spesso non sono protetti

da misure di controllo molto stringenti.

59

Si può ricordare a questo proposito

l’attentato perpetrato da un gruppo jihadista

contro il traghetto “Superferry 14” il 27 feb-

braio 2004 nella baia di Manila, di fronte alla

capitale filippina. L’esplosione di una bomba

a bordo provocò l’affondamento dell’imbar-

cazione e la morte di 116 passeggeri: si è

trattato probabilmente del più letale attacco

terroristico mai compiuto sull’acqua. Anche

navi da crociera potrebbero attirare l’atten-

zione di gruppi estremistici, anche in virtù

della loro valenza simbolica (per esempio,

come simbolo dello stile di vita e

dell’opulenza occidentali od “occidentalizza-

ti”); basti pensare al caso, ben noto, del di-

rottamento dell’“Achille Lauro” nel 1985.

Un numero ridotto di attacchi terroristici,

anche di alto profilo, è stato eseguito diret-

tamente all’interno di strutture portuali o

nelle loro immediate vicinanze. In generale, i

porti, per la loro struttura complessa, per il

continuo transito (o sosta) di diversi tipi di

persone, merci, navi, natanti e mezzi, per la

loro collocazione all’interno del tessuto ur-

bano o in stretto collegamento con città, co-

stituiscono bersagli vulnerabili. Inoltre, se il

controllo ininterrotto di un sito sensibile

“terrestre” risulta impegnativo al tempo di

un terrorismo di portata globale e protei-

forme, sempre pronto a cambiare obiettivi,

metodi e armi, lo è a maggior ragione per i

porti marittimi. Infatti, in questo caso la mi-

naccia può giungere dalla terra, ma anche dal

mare. Si possono ipotizzare, per esempio,

infiltrazioni di nuotatori o sommozzatori nei

porti, uso di veicoli subacquei semoventi per

il posizionamento di ordigni esplosivi nelle

acque interne o nelle darsene oppure utilizzo

di navi gasiere o petroliere da scagliare con-

tro obiettivi prefissati.8

Tra i più importanti attacchi terroristici pres-

so un porto marittimo si segnala l’attacco

8 MARCO BANDIOLI, Terrorismo nei porti, cit.

suicida ai danni del cacciatorpediniere “USS

Cole”, per alcuni versi preludio dell’11 set-

tembre, avvenuto il 12 ottobre 2000 nel Por-

to di Aden, capitale dello Yemen. Una picco-

la imbarcazione guidata da due membri di al-

Qaeda con a bordo decine di chilogrammi di

esplosivo C4 esplose a poca distanza dal

cacciatorpediniere, ormeggiato nel porto per

un rifornimento di routine dopo una naviga-

zione nel Golfo Persico. L’azione causò la

morte di 17 marinai statunitensi e il ferimen-

to di altri 39.

Peraltro, nello stesso porto pochi mesi prima

l’organizzazione di Bin Laden aveva già cer-

cato di distruggere il cacciatorpediniere lan-

ciamissili “USS The Sullivans (DDG-68)”: il

3 gennaio 2000, un barchino pieno di esplo-

sivo affondò per il peso eccessivo prima di

potere colpire la nave da guerra statunitense.

Il porto di Aden fu il teatro di un altro attac-

co suicida eseguito con modalità simili il 6

ottobre 2002 ai danni della petroliera “MV

Limburg”, battente bandiera francese.

L’operazione, organizzata di nuovo da al-

Qaida, provocò la morte di un membro

dell’equipaggio e il ferimento di altri dodici.

La nave subì un grave incendio, nel corso

del quale riversò in mare migliaia di metri

cubi di petrolio, ma non affondò.

L’incidente provocò il collasso del commer-

cio marittimo nel Golfo di Aden nel breve-

medio periodo.

A differenza di altri gruppi armati, come le

Tigri Tamil dello Sri Lanka, al-Qaida non

possedeva una vera e propria struttura dedi-

cata al terrorismo marittimo né tantomeno

una flotta d’altura o costiera. Inoltre, non

aveva elaborato una dottrina in materia.

L’attacco allo “USS Cole” nel 2000 ha rap-

presentato un punto di svolta nel pensiero

strategico dell’organizzazione e dell’intera

galassia jihadista, segnando un salto qualita-

tivo e l’avvio di quello che può essere chia-

60

mato il “jihad marittimo”.9 L’incarico di or-

ganizzare le tre operazioni citate fu presumi-

bilmente affidato al saudita Abd al-Rahim al-

Nashiri, un esperto di esplosivi che per la

sua specializzazione in questo ambito si è

guadagnato il nome di Ameer al Bahr (“Prin-

cipe dei mari” in arabo).

Anche nell’ambito del conflitto israelo-

palestinese si sono registrati significativi at-

tacchi terroristici in strutture portuali. Il 14

marzo 2004, nel corso della cosiddetta Se-

conda Intifada (2000-2005), due attentatori

suicidi palestinesi si fecero esplodere

nell’importante porto israeliano di Ashdod,

dopo esser riusciti a superare le misure di si-

curezza. L’azione, rivendicata congiunta-

mente da Hamas e dal braccio armato di Fa-

tah, provocò 10 morti e 16 feriti. Secondo

informazioni raccolte dalle autorità israelia-

ne, i due attentatori si sarebbero nascosti

all’interno di un container.

Lo Stato Islamico ha espresso più volte inte-

resse per attività in mare, ma è rimasto, an-

cor più che al-Qaida, una realtà essenzial-

mente legata alla terraferma, con un baricen-

tro fissato in Iraq e Iraq, nonostante il fatto

che alcune sue branche siano attive in aree

costiere, in Libia e in altri paesi.10

5.2 IL RISCHIO TERRORISMO NEI

PORTI ITALIANI

Per quanto riguarda l’Italia, come detto,

un’influente operazione terroristica in mare

ha coinvolto direttamente il paese nel 1985:

la nave da crociera italiana “MS Achille Lau-

ro” venne dirottata, il 7 ottobre, al largo del-

le coste egiziane da quattro militanti del

Fronte per la Liberazione della Palestina, sa-

9 NORMAN CIGAR, The Jihadist Maritime Strategy: Waging a

Guerrilla War at Sea, MES Monograph, Marine Corps Uni-

versity, 2017. 10 Ibidem.

liti bordo a Genova, utilizzando documenti

falsi. Il dirottamento si concluse con trattati-

ve tra le parti, non prima che un cittadino

statunitense, Leon Klinghoffer, fosse ucciso

dal commando palestinese.

In aggiunta agli attacchi, i porti possono

rappresentare luoghi di transito rilevanti per

le attività terroristiche, in particolare per i

militanti. Sebbene si possa affermare che i

terroristi prediligano generalmente altri mez-

zi di trasporto per i loro spostamenti, non

mancano i casi di soggetti transitati da porti

marittimi, anche in Italia.

Si può ricordare innanzitutto il caso di Salah

Abdeslam, uno dei terroristi coinvolti negli

attacchi del 13 novembre a Parigi, divenuto

oggetto di una vastissima caccia all’uomo in

tutta Europa fino alla sua cattura il 18 marzo

2016 a Molenbeek, nell’area di Bruxelles;

Abdeslam era, infatti, l’unico terrorista della

cellula ad essere ancora vivo, insieme a Mo-

hamed Abrini. Il 1° agosto 2015 Abdeslam a

Bari è salito su un traghetto turistico per Pa-

trasso, in Grecia, per poi transitare nuova-

mente nel porto pugliese 4 giorni più tardi,

diretto verso il Belgio. 11 All’epoca l’uomo,

cittadino francese nato e cresciuto in Belgio,

non era formalmente ricercato e apparente-

mente ha esibito i propri documenti. Duran-

te il viaggio di andata, con Abdeslam, a bor-

do di un’utilitaria a noleggio, vi sarebbe stato

anche Ahmed Dahmani, considerato il “ba-

sista” del commando di Parigi12 e arrestato in

Turchia alcuni giorni dopo gli attacchi.13

11 “Caccia a Salah, il terrorista transitò da Bari: ad agosto si

imbarcò per la Grecia”, La Repubblica, 20 novembre 2015. 12 FIORENZA SARZANINI, “Carte di credito e auto: jihadisti

in fuga e le tracce del passaggio in Italia”, Corriere della Sera,

23 novembre 2015. 13 “Suspected Paris attacker Abdeslam was in Italy in Au-

gust”, Reuters, 23 November 2015; BARBIE LATZA NADEAU,

“Did Paris Terrorist Move Freely Between Italy and

Greece?”, Daily Beast, 23 November 2018.

61

Dopo gli attacchi nell’area portuale di Bari è

stato attivato un nuovo protocollo che pre-

vede serrati controlli prima dell’ingresso nel-

la stazione marittima, con il contributo di

militari dell’Esercito, posizionati intorno al

cancello che delimita la zona.14

Secondo diversi resoconti giornalisti, altri

estremisti sarebbero transitati da porti pu-

gliesi, diretti verso est.15 Tra questi casi po-

trebbe rientrare quello di Ridha Shwan Jalal,

cittadino iracheno, arrestato una prima volta

presso il porto di Bari, mentre tentava di im-

barcarsi per la Grecia con documenti falsi, il

5 agosto 2015 (stesso giorno in cui Abde-

slam e Dahmani salivano sul traghetto diret-

to a Patrasso). Jalal, successivamente scarce-

rato, era in contatto con Muhamad Majid,

cittadino iracheno già condannato in Italia

per terrorismo internazionale.16

Altri porti italiani, fuori dalla Puglia, sono

stati associati al transito di militanti radicali.

Si segnala, ad esempio, la vicenda di due ji-

hadisti stranieri che alla fine del 2016 hanno

tentato, senza riuscirvi, di imbarcarsi nel

porto di Ancona, presumibilmente con

l’obiettivo di recarsi in Siria. Si tratta di Lu-

tumba Nkanga cittadino congolese di 27 an-

ni, arrestato con l’accusa di associazione con

finalità di terrorismo internazionale e di Sou-

fiane Amri, cittadino marocchino di 22 anni,

espulso dal territorio nazionale. Secondo gli

inquirenti, i due facevano parte di una cellula

salafita operante a Berlino e avevano aderito

alla causa dello Stato Islamico. Soufiane sa-

14 BEPI CASTELLANETA, “Il terrore sull’asse Bari-Grecia.

Tre i jihadisti passati dal porto”, Corriere del Mezzogiorno, 29

marzo 2016. 15 Cfr. CRISTINA GIUDICI, “Il varco italiano del jihad”, Il

Foglio, 19 luglio 2016. 16 “Terrorismo, due stranieri arrestati a Bari: ‘La città è una

base per foreign fighters’”, La Repubblica, 24 marzo 2016;

IVAN CIMMARUSTI, “Fino a 20 anni di carcere per lo stragi-

sta di Parigi. Faro sulle cellule logistiche in Italia”, Il Sole 24

Ore, 5 febbraio 2018.

rebbe anche stato in contatto con il tunisino

Anis Amri, responsabile del grave attacco a

un mercatino di Natale di Berlino del 19 di-

cembre 2016.17

Altra questione degna di nota è quella relati-

va ai movimenti dei cosiddetti foreign fighters

jihadisti, individui che si recano, appunto, in

aree di conflitto all’estero per unirsi a gruppi

armati. Le informazioni disponibili indicano

che nel loro viaggio verso l’Iraq e la Siria (e,

secondariamente, verso la Libia), i foreign

fighters jihadisti legati all’Italia (pochi più di

130, secondo le Autorità italiane) 18 hanno

preferito avvalersi dell’aereo, di solito imbar-

candosi su voli diretti in Turchia.19 Nondi-

meno non meno di cinque individui hanno

impiegato una nave o un traghetto per alme-

no una parte del loro viaggio. Interessante è,

in particolare, il caso di Laura Passoni, citta-

dina italiana residente in Belgio, che nel giu-

gno del 2014, insieme al marito e al figlio, ha

raggiunto Venezia in treno, passando da Pa-

rigi, per imbarcarsi su una nave da crociera.

Scesi a terra durante una sosta nella città tur-

ca di Izmir (Smirne), i tre si sono poi recati

in Siria, per unirsi allo Stato Islamico.20 Pas-

soni è poi ritornata in Belgio e ha abbando-

nato la causa jihadista.

I porti marittimi, infine, possono essere im-

portanti crocevia di attività terroristiche per

il trasferimento di denaro e di beni. In rela-

zione al caso italiano, i casi registrati negli

ultimi anni appaiono in numero ridotto e,

soprattutto, presentano talora tratti ancora

17 “Terrorismo, contatti con Amri. Un arresto e un espulso

in Italia”, Corriere della Sera, 28 aprile 2017. 18 Ministero dell’Interno, Dossier Viminale Ferragosto

2018. 19 FRANCESCO MARONE, LORENZO VIDINO, Destinazione

jihad. I foreign fighters d’Italia, Rapporto, Istituto per gli

Studi di Politica Internazionale (ISPI), 2018, p. 73. 20 FRANCESCO MARONE E LORENZO VIDINO, Destinazione

jihad, cit.; ANNE SPECKHARD E ARDIAN SHAJKOVCI, “Be-

ware the Women of ISIS Part I: Dreamers”, Clarion Pro-

ject, September 20, 2017.

62

poco chiari. Si è già fatto cenno a

un’inchiesta giornalista del 2016 su un pre-

sunto scambio tra mafie italiane e gruppi

armati. Più recentemente, secondo resoconti

apparsi sui media italiani nel 2018, reperti ar-

cheologici trafugati dallo Stato Islamico sono

stati scoperti dalla Polizia di frontiera di Sa-

lerno in un container proveniente dall'Egit-

to.21 Infine, sono state anche avviate indagini

in merito all’ipotesi di complesse operazioni

di importazione clandestina di petrolio via

mare da aree sottoposte al controllo di orga-

nizzazioni terroristiche (in particolare, lo Sta-

to Islamico), destinate a raffinerie italiane.22

In queste vicende i porti italiani sarebbero

stati associati, loro malgrado, ad attività di

finanziamento di gruppi armati estremisti,

21 NELLO FERRIGNO, “Il tesoro trafugato dall'Isis custodito

in una caserma campana”, Il Mattino, 21 maggio 2018. 22 GIULIANO FOSCHINI, FABIO TONACCI, “Il petrolio

dell’Isis finisce in Italia: la Guardia di Finanza indaga sulle

‘navi fantasma’”, La Repubblica, 31 luglio 2017.

anche a causa della collocazione geografica

del paese.

Se, come detto, non vi è alcuna indicazione

di una saldatura tra tradizionali associazioni

mafiose italiane e gruppi armati stranieri,

non si può escludere del tutto la possibilità

che si instaurino contatti e occasioni di

scambio, basati su vantaggi reciproci, tra so-

dalizi criminali attivi nel paese e organizza-

zioni terroristiche all’estero.23

In conclusione, il terrorismo costituisce po-

tenzialmente una minaccia significativa per la

sicurezza dei porti marittimi, anche in Italia,

in relazione al rischio di attacchi, al transito

di militanti e al trasferimento di denaro e

beni provenienti da o diretti a gruppi armati.

23 Cfr. MARIO CALIGIURI, ANDREA SBERZE, Il pericolo viene

dal mare. Intelligence e portualità, Soveria Mannelli, Rubbettino,

2017.

63

6. RACCOMANDAZIONI

Dall’attività di ricerca sul campo e dalla di-

samina delle fonti sono emerse alcune critici-

tà meritevoli di attenzione. Queste, a loro

volta, hanno suggerito una serie di racco-

mandazioni, qui di seguito evidenziate.

Si ritiene che, se messe a frutto, tali racco-

mandazioni siano in grado di apportare mi-

glioramenti alla sicurezza portuale, in primis

nell’ottica di un concreto rafforzamento al

contrasto ai traffici illeciti, ma anche in dire-

zione di una maggiore competitività delle in-

frastrutture portuali italiane sia su scala eu-

ropea che mondiale.

LA COOPERAZIONE

La ricerca ha fatto emergere come il princi-

pio fondante e comune denominatore del

contrasto alle attività criminose analizzate sia

la cooperazione, sia di tipo transfrontaliera

(o interstatale) che interna.

Cooperazione transfrontaliera

Ai fini del presente report, si vuole eviden-

ziare l’importanza del ruolo della coopera-

zione con stati cruciali che costituiscono

punti di transito (come la Grecia) o di par-

tenza (come il Marocco e Turchia) della

merce illecita.

La cooperazione transfrontaliera Italia-

Grecia, ad esempio, è diventata un modello

da seguire. Per quanto si riscontrino delle

fragilità nel sistema della sicurezza, il forte

legame storico tra i due Paesi crea delle con-

dizioni di lavoro assai favorevoli al contrasto

dei traffici illeciti. Da qui anche il ruolo chia-

ve di organismi come Europol, Frontex, In-

terpol, Eurojust.

In maniera simile, si segnalano anche i forti

legami con l’Albania. L’Italia ha svolto e

svolge importanti funzioni di sostegno del

paese balcanico. Inoltre a ciò si aggiunge la

preziosa collaborazione anche con gli organi

di law enforcement albanesi permette di proteg-

gere meglio le frontiere marittime nazionali.

E ancora, i forti legami con i corrispondenti

sudamericani hanno permesso alle autorità

italiane di sequestrare beni, smantellare clan

e cosche, individuare nuovi porti di arrivo e

di conquista della ’Ndrangheta calabrese.

La cooperazione con stati cruciali, dunque,

appare di vitale importanza per garantire la

sicurezza alle frontiere marittime. Legami

ancor più stretti risultano necessari con molti

altri paesi nordafricani, punti di transito o di

partenza di grossi quantitativi di merce illeci-

ta, grazie a varie connessioni o con la crimi-

nalità organizzata italiana o con altri gruppi

criminali di etnia straniera residenti in Italia.

Anche laddove la cooperazione è storica e

duratura, si avverte la necessità di investire

più risorse in termini forze di polizia per un

presidio più solido e per un potenziamento

nei processi di identificazione di persone e di

controlli alle frontiere.

Cooperazione interna: la sinergia

Come visto nell’apposita sezione, Guardia di

Finanza e Agenzia delle Dogane sono i prin-

cipali attori in materia di contrasto dei traffi-

ci illeciti. Ad essi si aggiunge la Polizia di

Frontiera, in prima linea nel contrasto

all’immigrazione clandestina.

Le operazioni analizzate hanno messo in lu-

ce come tutte le operazioni di controllo della

merce avvengano necessariamente alla pre-

64

senza di doganieri e finanzieri in primis, e poi

della polizia frontaliera a seconda dei casi (ad

esempio, quando sia rilevata la presenza di

persone all’interno di navi tramite il rileva-

mento dei battiti cardiaci e dell’anidride car-

bonica). Questo perché ciascuno nella pro-

pria sfera di competenza ha compiti specifici

che spesso sono complementari/sussidiari

all’altro corpo.

A livello pratico, dunque, se l’Agenzia delle

Dogane ha giurisdizione nelle aree doganali,

occupandosi dei controlli delle merci in en-

trata e in uscita dai varchi portuali, la Guar-

dia di Finanza ha competenza sia in aree do-

ganali, sia all’esterno di esse. Quest’ultima

detiene un ruolo di polizia giudiziaria, dotata

di una propria intelligence. La parola chiave

che emerge chiaramente è la necessità di

avere una perfetta “sinergia” tra gli attori del

sistema. Solo cooperando, mettendo insieme

le proprie forze e poteri si può perseguire al

meglio il comune obiettivo che è quello del

contrasto delle attività criminose.

Pur avendo poteri e sfere di competenza

propri, è inevitabile che in talune situazioni

si creino delle situazioni di sovrapposizione

in cui una stretta cooperazione è assoluta-

mente necessaria. A tal riguardo, in più occa-

sioni è stata messa in evidenza la mancanza

di veri e propri protocolli e norme di coor-

dinamento efficaci che mettano a sistema,

con limiti ben definiti, la sinergia di cui so-

pra. Quest’ultima, infatti, sembra essere tal-

volta garantita solo laddove le relazioni inter-

personali tra i vari soggetti funzionano. È

stato fatto presente come questa lacuna ab-

bia qualche volta avuto anche un impatto

sulla fluida conduzione di talune operazioni.

DATABASE COMUNICANTI

La sezione precedente ha sottolineato la dif-

ferenza dei vari corpi, sia nel loro atto istitu-

tivo e ragion d’essere che nelle funzioni e nei

poteri. Da ciò deriva che ogni corpo agisce

seguendo le informazioni raccolte e posse-

dute, che confluiscono in una propria banca

dati. La diversità dei ruoli fa sì che ciascun

database contenga informazioni diverse

dall’altro, con la conseguenza che le infor-

mazioni dell’uno possano essere cruciali per

l’altro.

Ci si potrebbe aspettare che nella conduzio-

ne di operazioni, tutte le informazioni siano

accessibili a tutti gli attori del sistema. Du-

rante l’attività di ricerca è stato messo in evi-

denza come, in realtà, non esistano banche

dati comunicanti con informazioni fruibili a

tutti gli addetti alla sicurezza. E, in diverse

occasioni, tale deficit ha comportato gravi

malfunzionamenti e rallentamenti.

L’istituzione di una banca dati comunicante

e fruibile a tutti gli attori in carico della sicu-

rezza portuale e contenente le informazioni

riguardanti passeggeri e merci in transito da

un determinato varco portuale potrebbe co-

stituire un importante contributo aggiuntivo

nella lotta ai traffici illeciti. L’obiettivo, se-

condo molti esperti, sarebbe quello di creare

un vasto archivio di tracciabilità di tutto ciò

che transita nelle frontiere portuali.

Un precursore di quello che potrebbe effet-

tivamente essere un database di questo tipo è

il sistema GAIA (Generalized Automatic Ex-

change of Port Information Area) presso il porto

di Bari, il quale aspira a creare un vero e

proprio Port Community System. Esso infatti ha

sviluppato un sistema di alert attraverso il

quale il personale abilitato di Autorità por-

tuale e Agenzia delle Dogane con pochi e

semplici passaggi, attiva ricerche automati-

che di nominativi di persone e targhe im-

messe nel sistema. All’occorrenza di alcuni

eventi prescelti (generazione di un biglietto,

un transito al varco, ecc.), il sistema invia in

tempo reale delle notifiche agli operatori.

Ciò permette sicuramente una più sicura

65

tracciabilità di persone e veicoli che sono di

interesse per le autorità.179

Altri sistemi sono in utilizzo in altri porti, ma

con finalità diverse e non prettamente foca-

lizzate sulla sicurezza. Sicuramente progetti

di questo tipo, tanto più a livello nazionale,

potrebbero offrire un valido aiuto per il con-

trasto di attività criminose che si servono dei

porti.

IL CAPITALE UMANO

La lunga attività di ricerca ha portato alla lu-

ce un’altra importante questione. In ogni

paese la sicurezza è composta da due ele-

menti principali: strumenti ed infrastrutture,

da un lato, risorse umane istruite ad hoc,

dall`altro. In taluni casi e contesti, l’esigenza

di capitale umano è particolarmente avverti-

ta. Negli ultimi anni si è assistito a una forte

diminuzione di concorsi di accesso alle car-

riere delle forze dell`ordine a causa di tagli di

bilancio. Garantire una solida attività di sicu-

rezza, svolta da personale istruito e addestra-

to, sia nel presente che nel futuro è un prin-

cipio cardine per il sistema paese.

Questa limitatezza di risorse umane a dispo-

sizione è stato fatta notare in relazione ad

almeno tre situazioni particolari:

La conduzione di operazioni. Taluni

esperti hanno rilevato come alcune opera-

zioni di carattere sensibile necessitino di un

ingente dispiegamento di risorse umane, tal-

volta anche per tempi piuttosto prolungati.

Inevitabilmente questo comporta che in quel

frangente diverse altre necessità e incom-

benze non possano essere assolte, creando

quindi delle difficoltà interne in termini di

priorità.

Le prospettive nel futuro. Si è segnalato

come la scarsità di risorse umane nel presen-

179 http://www.shippingtech.it/presentazioniPST2012/

PortiamoSviluppo/MarioMega.pdf

te potrebbe acuirsi ancor di più nel futuro se

non si agisce in tempo. In particolare, si se-

gnalano la mancanza di giovani leve, di fron-

te ad un’età media del personale attuale piut-

tosto alta, e l’impellente necessità di investire

ora nell’addestramento delle risorse presenti

e future.

L’ampliamento della filiera portuale. È

stato fatto notare, inoltre, come la necessità

e volontà di ampliamento di zone portuali

sia contrastata dalla carenza di personale di

sicurezza da posizionare ai varchi. In molti

contesti, a prescindere da un’aspirazione di

ampliamento, si avverte l’esigenza di esten-

dere i tempi di apertura dei varchi al fine di

a) ottenere benefici commerciali; b) “spalma-

re” il movimento di merci e persone

nell’arco di tutta la giornata, evitando conge-

stioni nel traffico cittadino e agli imbocchi

autostradali.

LA CORRETTA IMPLEMENTAZIONE DEL

PIANO DI SICUREZZA “CRISTOFORO CO-

LOMBO”

Il piano di security portuale battezzato come

Piano “Cristoforo Colombo”, analizzato in

precedenza richiede, per rendersi effettivo

ed efficiente all’occorrenza, di esercitazioni e

simulazioni sul campo. Poiché esso prescrive

le procedure da seguire, le misure da attuare

e le azioni da intraprendere, una corretta im-

plementazione è essenziale.180

Molti hanno fatto notare come tali esercita-

zioni non sempre trovino una realizzazione

concreta sul campo, correndo piuttosto il ri-

schio di limitarsi alla teoria e a regole scritte.

L’importanza delle esercitazioni risiede nel

fatto che, nel caso in cui incidenti di security si

materializzino, il personale incaricato sia

180 A tal riguardo, vedasi il Decreto Legislativo 6 novembre

2007, n. 203 "Attuazione della direttiva 2005/65/CE relati-

va al miglioramento della sicurezza nei porti". Allegati II-

III.

66

preparato al meglio a fronteggiarli. Se si tiene

conto di tutti i pericoli rappresentati da ma-

teriali e strutture all’interno dell’infra-

struttura portuale, dalla moltitudine di per-

sone che quotidianamente frequentano le

zone portuali, ecc., si comprende che i danni

che un incidente di security è in grado di cau-

sare possono essere enormi.

A ciò si aggiunge la necessità di avere veri e

proprio piani particolareggiati. Seppur essi

siano stati implementati, si avverte la man-

canza di correttivi che tengano conto delle

specificità di ogni porto e terminal.

INVESTIRE NELLA TECNOLOGIA

Le raffinate tecniche di occultamento della

merce illecita da parte di organizzazioni cri-

minali pongono sfide complesse e impegna-

tive per le autorità. In questi anni delicati, tra

crisi migratorie e minacce estremiste, la ne-

cessità di un potenziamento di strumenti

tecnologici all’interno dei porti è sempre più

evidente.

Per esempio, il potenziamento di scanner a

presidio fisso, in grado di condurre le attività

di controllo in tempi rapidi, potrebbero sicu-

ramente facilitare il contrasto ai vari feno-

meni illeciti senza ostacolare quelle che sono

le esigenze di procedure di controllo e sdo-

ganamento in tempi rapidi.

L’ADDESTRAMENTO DELLA

SORVEGLIANZA SUSSIDIARIA

Il meccanismo, già analizzato, volto alla de-

finizione dei criteri di selezione e dei pro-

grammi di formazione della sicurezza sussi-

diaria 181 (in ausilio alle autorità operanti

all’interno delle aree portuali) è di assoluta

importanza.

181 DM n. 154/2009.

Il ruolo svolto da questo personale è crucia-

le, specialmente in alcune zone dell’area por-

tuale, come i punti di aggregazione e sosta

dei trasportatori. Non è impossibile immagi-

nare come tali aree possano costituire dei fa-

cilitatori per la creazione di contatti, reti, or-

ganizzazioni per lo svolgimento di attività

irregolari o persino criminali.

Come illustrato nella sezione ad hoc, questo

sistema di sorveglianza è emerso dalla

preoccupazione della minaccia del terrori-

smo internazionale nei confronti di porti e

navi. Ne è derivata l’esigenza di avere un si-

stema di sicurezza rafforzato, avvalendosi di

ulteriori figure, in aggiunta alle autorità pub-

bliche già operanti. Ragionevole pensare che

la selezione del personale fosse caratterizzata

da competenze e conoscenze specifiche.

Durante l’attività di ricerca, è stata messa in ri-

salto la necessità che i criteri di selezione siano

rigorosamente rispettati al fine di avere perso-

nale di sorveglianza altamente preparato.

Si nota come alcune strutture portuali hanno

provveduto a u’ulteriore attività di aggior-

namento e addestramento del personale in

house, in aggiunta quindi a quanto richiesto

dal decreto del 2009. Stante una valutazione

dei costi che la security comporta (che grave-

rebbe sulle autorità portuali), iniziative di

questo tipo potrebbero sicuramente offrire

un valore aggiunto alla sicurezza di un porto.

CONSIDERAZIONI FINALI:

CONCILIARE BUSINESS E SICUREZZA

Oltre a costituire una frontiera marittima, i

porti sono principalmente hubs del commer-

cio, del trasporto di merci e persone capaci,

di mettere in relazione ogni giorno aree geo-

grafiche agli antipodi.

La tutela della sicurezza nei porti non può e

non deve esser binomio di lentezza e scarsa

efficienza nella circolazione di merci e per-

67

sone. Le best practices qui delineate non devono

esser interpretate come una spinta alla “milita-

rizzazione” dei porti. Diversamente, essi non

asservirebbero più alla principale funzione per

la quale essi sono stati concepiti e creati. Per tal

motivo, sebbene le presenti raccomandazioni

non entrino in contrasto con le necessità del

commercio, la loro implementazione – come

qualsiasi tipo di misura – non può essere con-

dotta escludendo dal tavolo di confronto e la-

voro quelli che costituiscono attori fondamen-

tali della filiera portuale, ovvero i rappresentan-

ti del settore privato.

Per concludere, la centralità geografica

dell’talia fa sì che i suoi porti abbiano una

forte rappresentativà non solo nell’area del

Mediterraneo ma ben oltre. La grande per-

formance raggiunta da molti porti italiani

negli ultimi anni li rendono validi competitors

per i grandi porti europei.

Alla luce di un trasporto marittimo in conti-

nua espansione, i porti italiani con tutte le

loro potenzialità dovrebbero cercare di trarre

i più grandi vantaggi da questo florido mer-

cato che richiede competitività, innovazione,

sicurezza e strategia.

68

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IL PROGETTO

Italian Port Security è un progetto della

Turtle Group Consulting. Il presente pro-

getto e` supportato da PMI IMPACT, un

programma di azione globale della Philip

Morris International che prevede il finan-

ziamento di diversi progetti aventi come

scopo primario il contrasto dei traffici ille-

citi.

La Turtle Group Consulting mantiene un

rapporto di totale indipendenza dalla Philip

Morris International sia nella conduzione

dei lavori che nella realizzazione del pre-

sente rapporto. La Turtle Group, inoltre, si

assume ogni tipo di responsabilità editoria-

le per tutto ciò riportato in tale lavoro di

ricerca.

RINGRAZIAMENTI

La produzione del presente rapporto e della

relativa pubblicazione non sarebbe stata

possibile senza uno scambio informativo

ed indirizzamento da parte delle Autorità

Portuali Italiane, Polizia di Stato, Magistra-

tura Anti-Mafia e Anti-Terrorismo, Dire-

zione Investigativa Anti-Mafia, Guardia di

Finanza, Agenzia delle Dogane e dei Mo-

nopoli e del Comando Generale delle Capi-

tanerie di Porto. Si ringraziano, inoltre, tut-

ti coloro che a vario titolo hanno contributo

all`inizio dei lavori e alla realizzazione di

questo lungo lavoro di ricerca. Si ringrazia,

inoltre, l`Ammiraglio Alberto Cervone per

il suo contributo alla produzione del pre-

sente rapporto.

CONTATTI

Per qualsiasi tipo di informazione, si prega

di contattare:

[email protected]