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CACUCCI EDITORE

BARI

Contratti di lavoro, mansioni e misure di conciliazione vita-lavoro nel Jobs Act 2

a cura di

EDOARDO GHERA e DOMENICO GAROFALO

Commento ai decreti legislativi 24 giugno 2015, nn. 80 e 81, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183

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INDICE Introduzione EDOARDO GHERA pag. 11

SEZIONE PRIMA D.lgs. 15 giugno 2015, n. 81

Profili di costituzionalità del decreto legislativo n. 81/2015 in materia di riordino delle tipologie contrattuali e di mansioni FEDERICO GHERA » 19 Il d.lgs. n. 81/2015 e la (in)compatibilità con il diritto dell’Unione europea VINCENZO DE MICHELE » 25 Legge e autonomia privata ai tempi del Jobs Act LORENZO SCARANO » 91 Il ruolo dell’autonomia collettiva GIUSEPPE ANTONIO RECCHIA » 117 La riaffermata centralità della subordinazione ENRICO MARIA TERENZIO » 131 La nuova nozione di equivalenza delle mansioni. La mobilità verso il basso: condizioni e limiti LIBERATO PAOLITTO » 155 Le mansioni superiori MANUELA SARACINO » 187 Autonomia privata e norma inderogabile nella nuova disciplina del mutamento di mansioni ROBERTO VOZA » 199 Il lavoro part-time dopo il d.lgs. n. 81/2015 VINCENZO BAVARO » 215

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Gli ennesimi ritocchi alla disciplina del lavoro intermittente ROBERTO VOZA pag. 233 Contratto a termine: limiti e divieti ENRICO CLAUDIO SCHIAVONE » 243 Contratto a termine: clausole di contingentamento e diritto di precedenza FRANCESCA CHIETERA » 253 Il sistema delle tutele nella nuova disciplina del contratto a termine MANUELA SARACINO » 263 Esclusioni e discipline specifiche FRANCESCO GHERA » 283 La somministrazione di lavoro VALERIA FILÌ e ANGELICA RICCARDI » 293 L’ennesima riforma dell’apprendistato DOMENICO GAROFALO » 341 Verso l'alternanza scuola lavoro: il restyling del contratto di apprendistato del "primo tipo" ALESSANDRO VENTURA » 365 Apprendistato di alta formazione e di ricerca LUCIA VALENTE » 377 Il ritorno alla co.co.co. FRANCESCO STOLFA » 395 Il lavoro occasionale accessorio: un’altra occasione mancata STEFANO CAFFIO » 415 “Vecchio” e “nuovo” del lavoro flessibile nelle pubbliche amministrazioni ANNA ZILLI » 437 I criteri di computo dei lavoratori flessibili tra conferme e novità CLAUDIO DE MARTINO » 457 La clausola finanziaria nel testo organico delle tipologie contrattuali ALESSANDRO VENTURA » 477

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SEZIONE SECONDA D.lgs. 15 giugno 2015, n. 80

Obiettivi e finanziamenti delle misure per la conciliazione delle esigenze di cura, vita e lavoro VALERIA FILÌ pag. 483 Le novità in materia di congedi genitoriali VINCENZO LAMONACA » 489 Strumenti di tutela delle esigenze di cura e di conciliazione ERNESTA TARANTINO » 515 Lavoro non subordinato e tutela della genitorialità DANIELA LANZALONGA » 557 Elenco delle abbreviazioni » 575

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Introduzione

EDOARDO GHERA

Con i decreti legislativi in commento l’attuazione del c.d. Jobs Act 2 – in realtà

la riforma del lavoro disegnata dalla l. 10 dicembre 2014, n. 183 che ha delegato al governo la potestà di legiferare in materia – segna una tappa di grande importanza. Il d.lgs. 15 giugno 2015, n. 80, emanato in attuazione dei criteri direttivi posti ai cc. 8 e 9 dell’art.1 della legge delega, contiene misure per la conciliazione delle esi-genze di cura, di vita e di lavoro. Il d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 emanato in attua-zione dei criteri posti al c. 7 dello stesso art. 1 contiene norme per la disciplina or-ganica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni. I due decreti – va subito notato – hanno portata ed importanza ben diverse. Il d.lgs. n. 80/2015, pur enunciando (art. 1) la finalità di tutelare la maternità delle lavora-trici e di «favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori» affronta solo parzialmente l’ampia materia della con-ciliazione vita-lavoro concentrandosi sul rafforzamento dei congedi parentali e in particolare del congedo di maternità (fruibili ormai sino ai 12 anni di età del bam-bino), così arricchendo le tutele della madre lavoratrice e in genere della genitoria-lità (da segnalare, tra le altre cose, l’estensione del congedo di paternità ai lavorato-ri autonomi). Una apposita norma (art. 23) è mirata alla promozione del telelavoro.

Ben maggiore è la portata del d.lgs. n. 81/2015. Ed invero se si considera che del c. 7 – suddiviso in dieci autonome parti o disposizioni contraddistinte dalle let-tere da a) a l) ciascuna delle quali reca un distinto criterio di delega – questo decre-to richiama in premessa ben sette lettere, viene in evidenza l’ampiezza della delega conferita al governo. Oggetto della delega è infatti il riordino dell’intera normativa sul rapporto di lavoro subordinato nelle sue diverse declinazioni legislative. Non solo il modello codicistico del rapporto individuale a tempo indeterminato ma an-che le non poche specie (o se si vuole, modelli) di contratti c. d. flessibili perché funzionali a determinate esigenze di flessibilità organizzativa ed economica delle imprese (ad esempio flessibili nel tempo della prestazione oppure del rapporto; o ancora flessibili in funzione delle modalità di assunzione dei lavoratori e della ge-stione del rapporto).

In effetti il d.lgs. n.81 detta una compiuta disciplina dei seguenti rapporti: la-voro a tempo parziale; lavoro intermittente; lavoro a tempo determinato; sommini-strazione di lavoro; apprendistato; lavoro accessorio. È stato invece eliminato il c.d. job sharing o lavoro ripartito. La disciplina di questi contratti è stata oggetto di un lavoro di riscrittura rivolto ad armonizzare e semplificare i disposti legislativi – spesso prodotto della stratificazione di più modifiche susseguitesi nel tempo – e, in molti casi, ad adeguare i contenuti (i precetti) delle norme previgenti alle esigenze sociali emerse dall’esperienza della loro applicazione anzitutto giurisprudenziale. Questo lavoro di revisione e consolidamento non ha modificato le caratteristiche

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dei rapporti flessibili – che l’ordinamento mette a disposizione delle parti – ma non ha certo impedito importanti innovazioni. Così, ad esempio, nel lavoro a tempo parziale è stata liberalizzata la facoltà datoriale di pretendere, entro un certo limite, prestazioni di lavoro supplementare anche in assenza di previsione nei contratti collettivi; analogamente per le clausole elastiche in assenza di previsione collettiva ne è stata ammessa la pattuizione per accordo individuale stipulato in sede assistita (commissione di certificazione). La somministrazione di lavoro a tempo indetermi-nato (c.d. staff leasing) è stata consentita in tutti i settori produttivi con il limite massimo del 20% degli occupati. È stata allargata la possibilità di fare ricorso al lavoro accessorio il cui limite massimo di compenso pro capite è stato innalzato dagli attuali € 5.060 a € 7.000. Al contrario la disciplina del contratto a termine “acausale” è rimasta sostanzialmente invariata. Gli esempi potrebbero continuare.

Da notare che la tecnica adottata non è stata quella del consolidamento in un testo unico della precedente legislazione ma quella della abrogazione espressa delle fonti legislative e della emanazione, in loro sostituzione, delle norme del decreto delegato.

Un discorso a parte va fatto per l’apprendistato. Anche qui il legislatore dele-gato ha proceduto all’abrogazione del pur recentissimo testo unico (d.lgs. n. 167/2011) ed ha completamente riscritto le norme regolatrici dell’istituto. Questo continua ad essere articolato su tre distinte tipologie per altro accomunate da una disciplina generale unitaria delle obbligazioni e delle vicende del rapporto. Tuttavi-a, mentre la normativa dell’apprendistato professionalizzante non presenta grandi variazioni, importanti innovazioni sono state introdotte per le due tipologie del-l’apprendistato per la qualifica, il diploma professionale e il diploma superiore e dell’apprendistato di alta formazione. Queste due tipologie sono infatti contraddistinte dalla appartenenza al nuovo sistema duale di alternanza scuola-lavoro: per assicurare tale alternanza, in virtù della quale l’adempimento delle attività scolastiche entra a far parte degli effetti obbligatori del contratto, al contratto stesso accede quale elemento necessario un protocollo che il datore di lavoro è tenuto a sottoscrivere con l’istituzione scolastica o formativa scelta al fine di individuare – in attuazione degli standard formativi stabiliti a livello centrale (con decreto interministeriale) – i contenuti le modalità e la durata della formazione in azienda e i relativi obblighi datoriali.

Ma le innovazioni più importanti, anche per il loro impatto di sistema, riguar-dano il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato che l’art. 1. d.lgs. n. 81/2015, conferma essere la forma comune di rapporto di lavoro. Al di là del suo valore di principio questa disposizione trova un riscontro immediato nel successivo art. 2 del medesimo decreto nel quale il legislatore delegato interviene radicalmente nella delicata materia delle collaborazioni coordinate e continuative. La norma abo-lisce il contratto di collaborazione a progetto, creato dalla Legge Biagi, e conte-stualmente traccia una nuova e più stringente linea di distinzione tra lavoro auto-nomo continuativo c.d. parasubordinato – che continua ad essere previsto dall’art. 409, n. 3, c.p.c. – e il contratto di lavoro subordinato la cui disciplina viene estesa, in forza di una presunzione legale e con la evidente intenzione di riassorbirle nell’area della subordinazione, alle collaborazioni organizzate dal committente.

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Ai sensi del c. 1 dell’art. 2 sono da considerare organizzati dal committente e perciò sottoposti alla disciplina del lavoro subordinato i «rapporti di collaborazio-ne che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personale, continua-tive e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». Più che una presunzione assoluta di su-bordinazione la norma sembra stabilire un criterio di qualificazione o meglio un indicatore legale della natura effettivamente subordinata della prestazione lavorati-va. Il potere di organizzazione esercitato dal committente ha infatti due note carat-teristiche: a) deve incidere sulla esecuzione (le modalità di esecuzione) e quindi sull’attività e non sul risultato della prestazione; b) deve necessariamente riguarda-re i tempi e il luogo dell’attività prestata dal collaboratore. Da ciò la equivalenza tra eterodirezione ed eterorganizzazione del lavoro. D’altra parte si sa che la subor-dinazione, proprio perché vincola il lavoratore all’adempimento di una obbligazio-ne di durata e perciò qualificata dalla continuità nella esecuzione della prestazione non si identifica esclusivamente con la eterodirezione – o soggezione al potere di-rettivo (art. 2104 c.c.) e disciplinare (art. 2106 c.c.) – ma comprende anche il coor-dinamento nello spazio e nel tempo dell’attività del prestatore.

La nuova norma ha quindi una duplice funzione. Da un lato di specificazione della definizione di subordinazione contenuta nell’art. 2094 c.c.; dall’altro di deli-mitazione dell’area delle collaborazioni autonome previste dall’art. 409 n. 3, c.p.c. che l’art. 52, c. 2, del decreto fa espressamente salvo. Nel primo senso il c.1 affian-ca alla tradizionale nozione di eterodirezione la nozione più aggiornata ed estesa di eterorganizzazione. L’una e l’altra riconducibili all’esercizio del potere direttivo dell’imprenditore e da considerare incluse nel vincolo della dipendenza o disponi-bilità continuativa alla prestazione caratteristico dell’obbligazione del lavoratore in quanto debitore di un facere (determinato nel tempo e nello spazio oltre che fina-lizzato alla collaborazione nell’impresa). Nel secondo senso e per le collaborazioni autonome – nelle quali l’attività del collaboratore può non essere esclusivamente personale – l’organizzazione e quindi il coordinamento da parte del committente, anche quando riguarda il tempo e il luogo della prestazione non può incidere sull’esecuzione della stessa ma si colloca al suo esterno in quanto attiene alla uti-lizzazione – la mera inserzione nella organizzazione del committente – del risultato finale e non all’attività necessaria per la sua produzione.

Tutto questo importa una delimitazione più rigorosa della tradizionale figura della parasubordinazione e determina indubbiamente una notevole restrizione della possibilità di instaurare rapporti di collaborazione continuativa e coordinata secon-do la previsione dell’art. 409, n. 3, c.p.c.: questa rimane tuttavia applicabile ai rap-porti nei quali le modalità di tempo e di luogo della prestazione siano stabilite in autonomia dal collaboratore nonché nelle ipotesi di esclusione dalla nuova discipli-na stabilite dallo stesso legislatore.

In effetti l’art. 2, c. 2 – in parte riprendendo la precedente disciplina (cfr. art. 61, c. 3, d.lgs. n. 276/2003) delle collaborazioni continuative e coordinate – ha pre-visto alcune importanti ipotesi di esclusione dalla applicazione della regola della subordinazione-eterorganizzazione posta nel c. 1. La più importante [c. 2 lett.a)]

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riguarda i rapporti di collaborazione per i quali il trattamento economico e norma-tivo sia specificamente disciplinato, a livello nazionale, da accordi collettivi stipu-lati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. È dunque conferita all’autonomia collettiva la potestà di sottrarre alla presunzione legale e quindi alla disciplina del lavoro subordinato determinate tipo-logie di collaborazione, purchè l’esclusione sia giustificata da particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore. Per altro, poiché dette esigenze non sono specificate dalla legge, alla contrattazione è lasciata una autonomia molto ampia nella individuazione sia delle esigenze sia dei settori in cui sono riconoscibi-li. Di tal che il limite così posto si presenta alquanto elastico e comunque resistente al sindacato del giudice. È invece stata eliminata la norma speciale che rimandava ai contratti collettivi nazionali di riferimento per autorizzare il lavoro a progetto nei call center1: da deroga eccezionale il rinvio all’autonomia collettiva in luogo della legge diventa così potenzialmente estensibile ad ogni settore dell’economia.

Da ciò la conseguenza che la norma di legge del c. 1 che impone la regola (c.d. presunzione) della subordinazione-eterorganizzazione essendo cedevole nei con-fronti dell’autonomia collettiva, ha natura non imperativa, ma semi-inderogabile.

Nell’insieme si deve concludere che la riforma ha conservato, benché ridimen-sionata, la categoria delle collaborazioni coordinate e continuative le quali restano nell’ambito del lavoro autonomo e della relativa disciplina. Non vi è invece spazio per una figura di collaborazione eterorganizzata come tertium genus tra l’autonomia e la subordinazione.

Va aggiunto che la scelta del legislatore di abolire il contratto a progetto di-sponendo il suo sostanziale assorbimento nell’area del lavoro subordinato è stata opportuna: essa si colloca nella medesima prospettiva antielusiva adottata già dal legislatore del 2003 e poi rafforzata dal legislatore del 2012 e in ogni modo appare giustificata dalle difficoltà e dalle contraddizioni cui era andata incontro la applica-zione dell’istituto del lavoro a progetto. Si noti che nella stessa prospettiva anti-elusiva si colloca anche la soppressione dell’associazione in partecipazione con ap-porto di lavoro: l’art. 53 modifica in tal senso l’art. 2549 c.c. eliminando la compli-cata disciplina restrittiva introdotta dalla l. n. 92/2012 (cfr. art. 1, c. 28).

L’altra importante innovazione di sistema riguarda la disciplina delle mansioni e dell’inquadramento professionale del lavoratore. L’art. 3 ha infatti novellato – come a suo tempo l’art. 13 dello statuto dei lavoratori – l’art. 2103 c.c. abbando-nando i due caposaldi della equivalenza delle mansioni e del divieto assoluto della retrocessione ivi stabiliti come limite alla mobilità interna del lavoratore e, innanzi tutto, all’esercizio dello jus variandi dell’imprenditore. È vero che questi limiti e-rano stati, nel corso degli anni, derogati da alcune disposizioni legislative ed atte-nuati da autorevoli interpretazioni giurisprudenziali. Può dirsi anzi che proprio da queste ultime sia venuto al legislatore il suggerimento ad intervenire in materia, es-

1 Art. 61, c. 1, come modif. dall’art. 24-bis, c. 7, d.l. 22 giugno 2012, n. 83. La norma si riferisce

al caso dei lavoratori a progetto che sono assunti nei call center per servizi outbound, in cui l’operatore contatta l’utenza per la presentazione di un prodotto.

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sendo innegabile che la norma statutaria si presentava datata nella misura in cui ri-fletteva un modello di organizzazione del lavoro non più attuale.

Il nuovo art. 2103 c.c. ha introdotto tre importanti modifiche in tema di muta-mento di mansioni. A) In primo luogo (c. 1) viene notevolmente ampliato lo spazio della mobilità interna c.d. orizzontale, consentendo lo spostamento del lavoratore su tutte le mansioni classificate nel medesimo livello contrattuale e nella stessa ca-tegoria legale di inquadramento delle ultime mansioni effettivamente svolte (e non più soltanto su mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte). B) In se-condo luogo (c. 2) viene consentito lo spostamento unilaterale su mansioni classifi-cate nel livello immediatamente inferiore e comunque all’interno della stessa cate-goria legale; e ciò soltanto in presenza di mutamenti organizzativi che incidano sul-la posizione del lavoratore. In tal caso la modificazione delle mansioni dovrà essere giustificata e comunicata per iscritto (a pena di nullità) e il lavoratore mantiene il precedente inquadramento con la retribuzione maturata eccetto gli elementi colle-gati a particolari modalità di svolgimento della prestazione. Altre ipotesi di deman-sionamento/dequalificazione possono essere previste dai contratti collettivi anche aziendali. È inoltre previsto (c. 3) che il mutamento in pejus delle mansioni sia ac-compagnato da un obbligo formativo dell’azienda il cui inadempimento, però, non determina la nullità dell’atto unilaterale di assegnazione. C) Infine (c. 4) viene e-spressamente ammessa la possibilità di accordi individuali, da raggiungersi in sede assistita (art. 2113, c. 4, c.c. e commissioni di certificazione), per la modificazione verso il basso delle mansioni quando ciò sia nell’interesse del lavoratore alla con-servazione del posto, all’acquisizione di una diversa professionalità o al migliora-mento delle condizioni di vita. In tal caso il demansionamento potrà andare oltre il limite della categoria e del livello immediatamente inferiore e determinare una vera e propria retrocessione del lavoratore nella scala delle qualifiche.

La norma regola (c. 7) anche il passaggio a mansioni di livello e categoria su-periori riconoscendo il diritto del lavoratore al trattamento ed inquadramento corri-spondenti: l’assegnazione diventa definitiva dopo un periodo fissato dai contratti collettivi o in mancanza di sei mesi continuativi. Questo a meno che non si tratti di mera sostituzione di altro lavoratore in servizio (questo – è da ritenere – con diritto alla conservazione del posto). Il diritto all’inquadramento superiore è però rinun-ciabile dal lavoratore mediante espressa dichiarazione di volontà: la c. d. promo-zione automatica non è più quindi un effetto necessario dell’adibizione del presta-tore a mansioni superiori. Pertanto la norma è derogabile anche in via convenzionale dalle parti: cosa che sembra consentire ampi spazi alla discrezionalità dell’azienda nel-la mobilità verso l’alto.

È rimasta invece immutata la disciplina (c. 8) del trasferimento del lavoratore da una unità produttiva all’altra, che resta subordinato a comprovate ragioni tecni-che, organizzative e produttive.

Nell’insieme la nuova disciplina delle mansioni, pur concedendo molto alle esigenze della flessibilità organizzativa, impone alcuni rilevanti limiti al potere dell’imprenditore di disporre la variazione delle mansioni vincolandone l’esercizio alla forma scritta e ad una motivazione oggettiva simile a quella prevista per giusti-

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ficare il licenziamento e tutelando la posizione del lavoratore non più in termini di equivalenza professionale ma di inquadramento o classificazione contrattuale e le-gale; e questo non più attraverso lo strumento della legge inderogabile e quindi del controllo del giudice ma con gli strumenti della contrattazione collettiva e del-l’autonomia individuale assistita in sede di conciliazione o certificazione e dunque con la possibilità di un controllo sindacale. Questo carattere compromissorio del nuovo art. 2103 c.c. è ben rappresentato dal c. 9, che riafferma il previgente enun-ciato «ogni patto contrario è nullo» ma salva espressamente le ipotesi contemplate dalla novella. Come dire che la norma dell’art. 2103 c.c. ha valore seminderogabile e la tutela delle mansioni compete ormai all’autonomia collettiva che si presenta come la fonte regolatrice prioritaria della mobilità interna.

Il rinvio ai contratti collettivi è del resto un tratto caratteristico del d.lgs. n. 81/2015 e segna un elemento di continuità con le precedenti leggi di riforma del lavoro. Nel nostro caso va segnalato per il suo valore di sistema l’art. 51 che sanci-sce espressamente la regola della equiparazione tra i contratti stipulati a livello na-zionale territoriale e aziendale dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale e i contratti aziendali stipulati dalle loro rappresentanze azien-dali oppure dalle rappresentanze sindacali unitarie. La norma estende il riconosci-mento della titolarità del potere contrattuale e, a monte, dell’esercizio della funzio-ne normativa delegata dalla legge ai soggetti sindacali di base e pertanto contiene un’importante apertura di credito all’autonomia collettiva, affinchè si impegni in una operazione di decentramento del sistema di produzione delle norme chiamate a disciplinare i rapporti di lavoro.

Gli spunti che precedono non esauriscono certo l’elenco, pur sommario, delle tante novità apportate dai decreti in commento ma bastano a mettere in evidenza l’impegno scientifico richiesto agli Autori dell’opera che si propone l’obbiettivo di offrire un contributo all’interpretazione delle norme di nuova emanazione. In defi-nitiva uno strumento di conoscenza pratica ma anche di riflessione sui principi del nuovo diritto del lavoro.

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