Tracce d'Arte | Santa Maria della Vittoria | Mantova | Italy

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Info:Spazio Giovani Artisti di MantovaVia Sant’Agnese, 10 Mantova - tel 0376-355858giovaniartistimn@gmail.comwww.santagnese10.itwww.facebook.com/SpazioGiovaniArtisti

Promosso da

Con il contributo di

In collaborazione con

Con il patrocinio di

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Con la partecipazione di

Stefano Pezzotti

anna Donati

eliSa lebovitz

Gianluca ferrari

Walter borGhetti

ermanno Poletti

roberta buSato

anDrea coccoli

vaneSSa belotti

clauDia meleGari

anDrea coccoli

anDrea Sante taDDei

A cura di

Donato novellini, vincenzo Denti

Coordinamento

Giulia Pecchini, Daniele GolDoni

Organizzazione

fanny GaDenne, Daniele GolDoni, Donato novellini

Allestimento

Donato novellini, vincenzo Denti

Chiesa di Santa Maria della Vittoria (ex) - MANTOVADal 10 al 18 Marzo 2013

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Il progetto Tracce d’arTe si è caratterizzato per la sua capacità di attrarre l’attenzione di giovani talenti artistici e creativi, che hanno dato vita a una rassegna di iniziative che ha saputo coniugare molti valori positivi: arte e creatività con senso di appartenenza alla città di Mantova, il patrimonio del passato con l’attenzione al presente, la formazione con la collaborazione. Abbiamo voluto valorizzare i giovani, nostra risorsa fondamentale, e il loro potenziale creativo: essi hanno testimoniato grande capacità di conoscere, apprezzare, valutare l’importanza del patrimonio artistico e culturale che ci circonda e di renderlo vivo tramite nuovi linguaggi espressivi. Iniziative di valorizzazione e promozione di giovani talenti come le due mostre “Tracce d’arTe, l’arte giovane a Mantova” e  “ManTova nascosTa, osservare con (+) attenzione”,  si sono alternate a vere e proprie occasioni didattiche e di formazione, con coinvolgimento diretto dei ragazzi nella realizzazione di eventi e iniziative (il workshop canTieri aperTi con video-istallazione e il workshop di fotografia dedicato ai giovanissimi). Particolare successo ha avuto l’iniziativa di partecipazione legata a ManTova nascosTa: più di cento cittadini hanno “postato” le loro foto sul profilo facebook dello Sportello Giovani di Mantova, esprimendo un affetto diffuso per la città. Il Comune di Mantova, attraverso la preziosa attività dello staff di Santagnese10, ha dato corpo e concretezza alle cosiddette “politiche giovanili”, creando una vera e propria rete di collaborazione continuativa, che ha saputo coinvolgere, sollecitare, sostenere ed entusiasmare tanti giovani. Il progetto Tracce d’arTe chiude in bellezza, con l’esposizione presso l’ex chiesa di Santa Maria della Vittoria di opere e istallazioni di arte contemporanea legate al tema del patrimonio: com’era, come si è trasformato, come lo vediamo con gli occhi dei giovani artisti oggi.

Nicola Sodano - Sindaco di Mantova

In un anno di attività il progetto Tracce d’arTe ha promosso l’incontro tra i giovani artisti lombardi e il patrimonio culturale del nostro territorio.Le azioni del progetto sono state l’allestimento di esposizioni di arte contemporanea presso il prestigioso Palazzo della Ragione di Mantova, la realizzazione di un corso audiovisivo che ha prodotto un videoart dedicato al Distretto Culturale Regge dei Gonzaga, iniziative social legate alla fotografia, workshop di specializzazione condotti da artisti di caratura internazionale rivolti ai giovani artisti mantovani.

Oggi Tracce d’arTe conclude il suo percorso incontrando un’associazione e un gruppo di artisti giovani (per età, non certo per maturità espressiva) e mettendoli in relazione con un importante monumento mantovano: l’ex chiesa di Santa Maria della Vittoria. Ancora una volta l’arte giovane, con la sua capacità di percorsi irregolari e il suo sguardo teso a orizzonti non ancora codificati, riesce a ridefinire e riconsegnare alla città, sotto una veste nuova, questo luogo, che nel tempo ha subito tanti mutamenti e trasformazioni. Questo in fondo è il compito di Tracce d’arTe e, più in generale dello Spazio Giovani Artisti di Mantova: utilizzare nuovi linguaggi e talenti per arrivare a ri-conoscere ciò che siamo.

Daniele GoldoniCoordinatore Spazio Giovani Artisti di Mantova

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nUova FaBBriceria arTisTica 2013.

DOVE

Occorre partire dalla struttura museale per introdurre una mostra fatta di tracce luminescenti, apparenti devianze riguardo al consueto e suggestioni contemporanee disposte a portare un segno inedito nello spazio che fu sacro; tensioni sferzanti ospitate entro salde mura e consegnate alla lettura con lo scopo di misurare come scorre il tempo da queste parti. Sarebbe utile come premessa ripercorrere il segreto travaglio delle pietre, riconoscere l’umidità dei secoli negli incavi, la sofferenza degli affreschi, il peso sopportato dai legni, gli sbriciolamenti ereditati nella foschia dei tempi giunti fin qui. Si resta infatti stupefatti e affascinati riguardo alle pragmatiche funzioni alle quali l’ex chiesa di Santa Maria della Vittoria, in Mantova, fu adibita; si resta sorpresi perché il luogo conserva sotto traccia mutilazioni risapute e segreti inconfessabili, una sorta di profanazione tollerata per hospitalitas; tutto un campionario di rocambolesche vicissitudini che caratterizza in genere l’increspato, mai davvero così lineare, scorrere del tempo. Un po’ come nell’arte contemporanea, pare che lo iato – dalla separazione tra concetto e rappresentazione tutto il lato oscuro di un mutamento perpetuo - debba assumere senso solo a partire da un ipotetico giorno dopo, una volta affrontate le criticità e ricevuto il benestare dell’attesa unanimità, il restauro completato e consegnato al consorzio umano. Eppure il contemporaneo è sempre e in ogni epoca tale: per definizione, per intensità, per difficoltà nel farsi comprendere. Un continuo e incessante affresco sullo stesso muro, lo stratificato racconto, impulso subliminale, che l’arte ci consegna spontaneamente, la lancetta che s’inceppa sul quadrante cangiante. Così gli stili non solo si susseguono, ma pure si fondono senza soluzione di continuità.

PERCHÉ

“Produrre, creare, significa vietarsi la chiaroveggenza, avere il coraggio o la fortuna di non percepire la menzogna della diversità, il carattere ingannevole del molteplice. Un’opera è realizzabile soltanto se ci inganniamo sulle apparenze”(Tratto da “La Caduta del Tempo, di E. M. Cioran)

Sarebbe interessante sbarazzarsi delle consuetudini , tentare il silenzio e farsi tentare dal bianco cartaceo piuttosto di replicare i cliché, ovvero tutta l’autoreferenzialità del bon ton critico riguardante l’arte moderna. Sarebbe per lo meno inedito saltare a piè pari quel prefabbricato ideologico rappresentato dalle parole d’ordine pronte all’uso in materia. Per questo è preferibile lasciare libero l’occhio per indagare senza timore i linguaggi presenti in mostra, oppure scrivere d’altro, perdersi in elucubrazioni fini a se stesse, dedicarsi al giardinaggio in serra-museo lasciando che i lavori comunichino da soli la loro verità. Persiste infatti, al di là di qualsiasi manifesto generazionale possibile, oltre la ricognizione e catalogazione dello stato dell’arte giovanile, questo dissos logos spiazzante, la doppia verità della poetica contemporanea: da un lato la radicalizzazione del punto di vista artistico del singolo, dall’altro la conseguente deflagrante atomizzazione di quello che un tempo sarebbe stato definito “lo stile di un’epoca”. Trattasi forse di una crisi attorno all’idea di bellezza, entità a noi giunta liofilizzata, di specchi posti gli uni dinnanzi agli altri, così messi per riflettere all’infinito il riflesso del riflesso, per dare testimonianza di una realtà cortocircuitata, raccontata oltrepassando il soliloquio e le categorie, travalicando spesso anche la concezione stessa di arte canonicamente intesa. Data la situazione di forte ibridazione, esiste una sola opzione, ovvero la presa d’atto di una molteplicità espressiva

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irrequieta, al contempo disarticolazione ed emancipazione delle possibilità in campo, retrocessione dell’apparato critico in favore di una libertà nuova, riconducibile all’estrema mutevolezza del teatro spaziotemporale che ci ospita, il nostro presente edificabile.

CHI

“Chi siete? Cosa fate? Cosa portate? Sì, ma Quanti siete?” (Tratto dal film “Non ci resta che piangere”di Roberto Benigni e Massimo Troisi)

Gli artisti presenti sono stati selezionati partendo dall’esperienza della Biennale Imprimatvr, piattaforma piuttosto inedita nel panorama artistico mantovano per la spiccata connotazione contemporanea. Partendo da una profonda conoscenza del percorso personale dei protagonisti chiamati a partecipare, pare davvero non sia il caso di argomentare schematicamente riguardo agli stili, ma bensì occorre scomodare tutta un’altra serie di riferimenti, con i quali non si può fare lavoro d’accetta, aventi più a che fare con la sensibilità che con l’anagrafe. Sentieri che si sovrappongono e s’intrecciano verso una direzione imprevedibile e in fondo la segreta speranza che possa nascere una progettualità nuova per quanto riguarda l’arte contemporanea. Un cammino fatto anche di euforici sacrifici, di coraggiosi gesti pioneristici per l’installazione di una segnaletica inedita, dentro e fuori l’urbanità conosciuta. Dato poi che della rotta stabilita non resta che un segno premonitore e delle vecchie certezze solo un rassicurante ricordo, subentra l’esuberanza sincera di proposte inconsuete, la capacità di comunicare a tutti una particolare visione estetica ed esistenziale del nostro tempo. Delle molte direzioni possibili, infatti, s’è scelto di escludere quella a ritroso.

Donato Novellini

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OPERE

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Big-Data Tecnica mista su tela, 90x 80 cm, 2013.

Andrea Sante Taddei

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Merz, artista dell’Arte Povera, chiedeva “che fare?”La mia domanda di partenza è che cosa fare con quello che c’è già.Cerco di rispondere utilizzando e appropriandomi di immagini, informazioni, ritagli della contemporaneità già esistenti, assemblandoli.Divento un DJ, prendendo qua e là ciò che mi aggrada dando nuova forma all’ oggetto.La contemporaneità è come un paesaggio fatto di frammenti, un collage eclettico nel quale confluiscono istanze di una realtà altrettanto complessa. Una riflessione che si muove fra gli scarti del rapporto binario, nella perversione del linguaggio, guardando ai media odierni che ben rappresentare tutto questo: un agglomerato fluttuante d’indizi, immagini, e detriti di comunicazione.Non ho una tecnica prediletta, mi servo sia della pittura che del collage, contaminandoli e unendo di conseguenza figurazione con astrazione. Così il risultato porta a una sorta di lavoro ambiguo, un’arte fusion fortemente legata al repentino muoversi di tutte le cose.

Andrea Sante Taddei

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Alla Luce Fotografia Digitale, stampa su carta fotografica, 40x35 cm, 2013.

Beatrice Madella

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C’è gotico e gotico: è una questione di luce, di riconoscibilità strutturale, di tensione ascensionale; talvolta più semplicemente faccenda riguardante una serie di allegorie genericamente connesse al mistero, suggestione impalpabile. Termine dalle variabili sfumature che però assume una peculiare accezione se utilizzato per accompagnare la lettura dell’opera fotografica di Beatrice Madella. Attraverso una tecnica di scomposizione dell’immagine, qualcosa di simile alla fotodinamica primo novecentesca, l’autrice ci conduce all’interno di una meccanica umana fortemente introspettiva: sfuggevoli vie di fuga, paralisi e scatti sciolti in sfuocati riflessi, caducità e saturazione di una luce d’origine ignota. Interpretazione forse fuorviante oppure semplice allucinazione, ma nella foto pare di scorgere l’ombra trasfigurata dell’Innocenzo X baconiano. Trattasi in apparenza di gotico egotico, ma del soggetto non restano che indizi sfasati e dell’atto di andarsene solo il gesto, mentre il peso di una sparizione impone il suo codice all’intera scena.

Guglielmo De Vecchi

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Contaminazione Fotografia digitale, 100x50 cm.

Claudia Melegari

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Per introdurre efficacemente l’arte di Claudia Melegari forse sarebbe opportuno uscire dal seminato, evadere dagli schematismi per riposizionare l’attenzione lontano da qui: basterebbe scrivere d’altro, di equilibri sospesi nel vuoto per farne eristica, ad esempio. Il gesto michelangiolesco del tocco divino, rielaborato sordidamente per l’occasione, rappresenta già questa fuga in avanti, il passaggio tracciato verso un azzeramento ben più radicale di quanto l’opera possa suggerire alla vista. Le rielaborazioni fotografiche dell’artista in realtà non esistono, fin dall’inizio perse in un’implosione meditativa, nella severa desolazione seguente a un collasso stellare. In fondo pretesti estetici e minimalismi cromatici servono “solo” a mimetizzare l’astrale distanza che ci separa da una comprensione più vasta, origine e fine da riunire in un punto non a caso, esattamente dietro il visibile.

Guglielmo De Vecchi

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Puntik Olio su tela, 100x80 cm.

Elisa Lebovitz

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L’immaginario estetico di Elisa Lebovitz è intrinsecamente riconducibile al Giappone, questo non solo per la scelta di riproporre con originalità un campionario manga assai emblematico, ma anche per l’estrema grazia che sapientemente l’artista utilizza nella costruzione dell’opera. Non un dettaglio è fuori posto, coerentemente con quell’idea di perfezione che qui vorremmo riportare al significato etimologico: compimento, nell’accezione tragica greca avente a che fare con una particolare, fatale, forma di costrizione e d’immutabilità. Nel quadro infatti si compie un rituale antico ma dalle parvenze moderne, l’anelito metafisico sotto la veste pop s’incunea nell’armonico lucore degli elementi, diventando spontaneamente metalinguaggio, simbologia atemporale, ricerca ostinata di nuovi bagliori, spiragli di bellezza nella sintesi dei contrasti.

Guglielmo De Vecchi

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Figures Fotografia digitale.

Gianluca Ferrari

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Figure post suprematiste si stagliano anonime, contorni carbone si manifestano sgranati per silhouette arcaiche, un’impersonale postura assume valenza di prototipo umano, l’umbratile scultura tolta alla luce sembra rievocare un ricordo collettivo, l’avvicinarsi di un automa post Bauhaus. Figures sono virtuali statue contemporanee, ipotesi d’umanità postuma confluita nel pulviscolo stroboscopico tutt’attorno, fredda claustrofobia e controllo meccanico del fattibile, volumi antropomorfi di un’essenzialità possibile. Gianluca Ferrari riformatta un’ipotesi di tangibilità partendo da una simulazione “fisica”, anatomia celebrale entro bianchi corridoi, proiezione verso una sintesi assoluta; c’è la sensazione di un’invulnerabile parvenza umana, seppure subordinata a un meccanismo costruito integralmente sul contrasto, disegno che si fa archetipo e al contempo dissimulazione, segno che delimita con sforzo, a stento, l’intervento di una luce nuova.

Guglielmo De Vecchi

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Yes, I was behind youStampa fotografica LightJet, 100x100 cm

Roberta Busato

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Nei lavori di Roberta Busato la realtà restituita possiede qualcosa che beffardamente non torna, una cosa sola che non gioca più la stessa partita e crea così tensione, forza comunicativa, talvolta disagio, dubbi. Dispendio infinito di visione pur di valicare quell’ostacolo materiale e oggettivo, è il superamento dell’apparenza attraverso l’estremo rigore dell’impianto concettuale. Così il “Falso movimento” altera la staticità dei rapporti di forza tra l’illusione rappresentativa e la tangibilità del soggetto originale, inaugurando una relazionalità nuova, una sintesi archetipa e dialogica fra le parti. Proprio muovendo da ciò, l’immagine stessa esce dai limiti didascalici, si fa indagatoria e interrogativa, pur nella caratteristica imperturbabilità iconica e la resa estetica, dovendosi risolvere in vincolante perfezione tecnica, scivola inerte verso una sorta di ri-velazione, doppio velo a proteggerne il contenuto secretato, l’ambiguità latente. Perché infatti dietro il visibile c’è dell’altro, c’è una consapevole riflessione esistenziale sull’identità e sulla metamorfosi, che l’autrice porta avanti con coerenza, come sviluppando gradualmente una “poetica delle situazioni” tesa a ribaltare la vista, ad acuire lo sguardo sul puerile rovescio delle cose. Così l’occhio inizia a guardarsi vedere.

Guglielmo De Vecchi

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Anche i ricchi piangonoTecnica mista, 32x54x50 cm, 2013.

Vanessa Belotti

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Sarebbe facile, nel caso di Vanessa Belotti, ricondurre ogni cosa alla Pop culture, a quell’immaginario tutto americano fatto di gommose effervescenze, di simbiotici parallelismi attorno a un’idea di comunicazione sarcastica, diretta, priva di filtri concettuali; un’arte apparentemente di semplice fruibilità ma che cela sovente, dietro l’estetica luccicante e fumettistica, una critica sociale decisamente anticonformista, fatta di spietate ironie più o meno camuffate nei dintorni dell’iconografia mediatica prescelta. Ma la cosa interessante è che Vanessa non replica qualcosa di già visto, le sue originali sculture si avvicinano più al manufatto artigianale che alla fredda rielaborazione di un derivativo gioco di rendita, e lo fanno mantenendo la vivacità espressiva e l’acume progettuale di un pensiero lucido, libero e privo d’inibizioni. Ecco, anche se scappasse un sorriso perplesso dinnanzi alla “posa”, nulla ci impedirebbe di riconoscere nell’opera proposta l’evidente sberleffo rivolto all’opulenza e all’avidità, insieme al coraggio di provare ancora una volta, davanti all’arte, inspiegabile stupore.

Guglielmo De Vecchi

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The touristStampa fotografica su tela, 90x60 cm.

Walter Borghetti

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Negli scatti di Walter Borghetti la realtà si fa strumento per strani giochi di ruolo, come se fosse null’altro che il prologo, l’acuta premessa di un’ipotesi ipnagogica, l’apertura sul circondario per una combinazione non preventivata; l’intento narrativo sublimato all’interno di una costruzione scenografica, teatrale, costituisce l’impianto imprescindibile sul quale imbastire una poetica sottile e sempre ambivalente, al confine fra ironia e malinconia, tra parola e silenzio. Borghetti, attraverso un candido ed empatico surrealismo, ci rende partecipi di un’attesa subtemporale, l’insondabile momento in cui ci si ritrova stupefatti riguardo al senso delle cose, ma consapevolmente.

Guglielmo De Vecchi

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Senza titoloOlio su tavola, 70x100 cm, 2012.

Anna Donati

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Attori senza volto in uno spazio che non ha proporzioni o misura se non quelle che loro stessi tracciano muovendosi... l’autrice descrive il rapporto dell’uomo con lo spazio urbano che è anche uno spazio metafisico, forse ideale e mentale.Il punto di vista è estremo, insolito; rende irriconoscibili i soggetti del dipinto se non per un gesto, un atteggiamento, una postura. All’interno dello spazio dipinto si incontrano, interagiscono a metà tra un videogioco e il fotogramma di un film.La funambolica visione porta l’osservatore a forzare sulle proprie capacità percettive, permettendogli alfine di apprezzare compiutamente la raffinata opera di Anna Donati, che in equilibrio perfetto tra formale e informale, tra realtà e astrazione, descrive i suoi soggetti, noi.

Vincenzo Denti

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ColonnaGesso patinato, 10x10x70 cm.

Ermanno Poletti

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Ermanno Poletti scava nella materia ritrovando l’inaspettato, l’inatteso, l’incongruo. Vibrazioni geometriche, cristalli e strutture architettoniche si affastellano mescolandosi a elementi naturali, che, fossilizzati nella materia, aspettavano solo di essere riportati alla luce.Una natura altra, memoria fossile di ciò che si muoveva sulla superfice terrestre, o anima stessa della terra, forse organismo tuttora vivente? Colonna di un tempio innalzato alla natura ormai reperto musealizzabile, testimonianza di un diverso rapporto tra gli uomini e il mondo? Non c’è dato di sapere, solo possiamo analizzare questa epidermide, cercarne i codici di lettura come si farebbe con un antico testo, scorrere la punta delle dita sulla superfice, nella speranza che il nostro tatto risvegli la memoria atavica di una lingua conosciuta.Se è vero che il pensiero muove la materia, la materia riporta altresì l’impronta del pensiero che l’ha generata.

Vincenzo Denti

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ScomposizioneTecnica mista su tela, misure variabli, 2013.

Stefano Pezzotti

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Il soggetto per Stefano Pezzotti è un pretesto. Perché nonostante la qualità estetica dell’opera, il soggetto è la pittura stessa! Una pittura impura con contaminazioni tecniche e tecnologiche che la avvicinano pericolosamente ad alcune opere che spesso s’incontrano ovunque fuorché in una galleria d’arte.Porta una tecnica di strada fuori strada, contamina l’incontaminato protocollo della pittura da cavalletto. La sfida sta nel portare, all’interno di un luogo deputato all’arte, ciò che ancora da molti non è considerata arte, sdoganata nelle grandi esposizioni museali, ma ancora guardata con diffidenza dai più. Eppure riconosciamo in queste opere un codice che ci appartiene, una purezza di linguaggio che forse è caratteristica stessa della sua contemporaneità. Riconosco in questa pittura il fraseggiare farcito di termini inglesi dei ragazzi, la grafica delle loro magliette, la ricerca spasmodica di risposte che traspare dai loro occhi.

Vincenzo Denti

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Divieto di affissioneOlio su tela, 100x100 cm, 2012.

Andrea Coccoli

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Andrea Coccoli, con la pazienza di un ricercatore scientifico, analizza meticolosamente l’immagine, la scompone e la ricompone, come farebbe un musicista per trovare un accordo inaspettato e insolito che al primo ascolto, forse, non ci apparirà in tutta la sua bellezza. L’immagine fittizia e ammiccante delle vetrine, crea una dicotomia con l’immagine del quotidiano e questo incidente racconta in tutta la sua disarmonia lo stato umano. Eppure è lì dove vuole portarci, è quello che ci vuole far sentire e vedere, perché è quello che distrattamente non vediamo e non sentiamo. L’interno e l’esterno delle vetrine si sovrappongono mostrandoci un’immagine che fonde il dato reale con quello ideale, e la nuova realtà che si compone è lo spazio umano dove viviamo. A metà tra la verità e la finzione, dove spesso realtà e finzione perdono i loro confini.

Vincenzo Denti

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