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La Goccia n. 11 del 3 giugno 2006 EVENTI E COMMENTI 28 Che Dan Brown sia un maestro nel far parlare di sé dovrebbe essere ormai chiaro a tutti, dacché si è fatto processare pur di non disconoscere la propria “verità” sui priori di Sion. Dovrebbe essere chiaro anche che qualora trovasse una eco l´ipotesi di vilipendio al cristianesimo, Dan Brown ci guadagnerebbe infinitamente in credibilità. Perché per il “Codice Da Vinci” nel bene e nel male, l´importante è che se ne parli. E logicamente gli anatemi, le censure, le scomuniche, lo bruciare in piazza i suoi libri, gli hanno fatto gioco. In buona fede, s´intende, ma gli hanno fatto gioco. E non dovremmo avere difficoltà ad ammettere che Dan Brown ci ha fregato per bene. Ha fatto soldi facili sfruttando l´anticattolicesimo diffuso negli Usa, con un romanzo peraltro ben strutturato, e un film avvincente. Ha fregato per bene anche il suo collega Baigent che ha avviato contro di lui un´azione legale accusandolo di aver copiato il suo libro; dove già c´erano riferimenti alla chiesa di Saint Sulpice e l´idea che il Santo Graal fosse il Sang Réal. Credergli o meno è questione di fede, ma anche di intelligenza. Perché francamente se le nostre convinzioni barcollano in ragione di un libro, un giallo, o di un film, allora vuol dire che la nostra fede è debole. Infondo è dal tempo dei Papiri di Qumarn che girano voci più o meno incontrollate su Gesu’. Pertanto più semplicemente tratterei Dan Brown come uno scrittore che lavora con la fantasia. Il film prende le mosse dall´omicidio del curatore del Louvre, che Dan Brawn decide di chiamare Jaques Suniere; nome non casuale, è un parroco che nell´Ottocento rese celebre Rennes le Château con alcune rivelazioni sul Graal. Accanto al cadavere, disposto come l’uomo di Vitruvio di Leonardo, campeggiano i numeri della serie di Fibonacci. Alcuni elementi destano subito scetticismo: le letture della Vergine delle Rocce e della Gioconda appaiono forzate. Però è proprio a partire da queste che verrà via via svelato il “più grande insabbiamento della storia”: il Santo Graal sarebbe nientemeno che un discendente diretto di Cristo. Ciò è bastato, e per svariati motivi, a trasformare Dan Brown in un profanatore della verità cristiana. Accadde lo stesso al saggio di Baigent; e che poi Brown avesse già letto quel saggio è cosa certa, dacché un personaggio del suo romanzo lo chiama Teabing, anagramma di Baigent. Nelle leggende tradizionali invece il Graal è la coppa in cui il Cristo si servì nell´ultima cena; coppa nella quale Giuseppe d´Arimatea avrebbe poi raccolto il sangue del Redentore sulla croce. Numerosi poemi francesi hanno raccontato in vario modo la ricerca del Santo Graal, rinchiusa secondo alcuni ne “la colonna dell´allievo” chiesa Saint Claire, dove anche i metal detector ne rileverebbero la presenza. Altri invece lo cercano in Scozia, nella cappella di Rosslyn, edificata dai templari. Le decorazioni di questa peraltro lascerebbero supporre che i templari siano sbarcati in America molto prima di Colombo, dacché sono disegnate piante che all´epoca in Europa erano sconosciute. Leggende che incuriosiscono e affascinano; e che hanno finito col portare al cinema anche chi di suo non ci sarebbe andato. E la polemica si è amplificata. Finché il Codice Da Vinci era un best seller, infatti, lo sgomento non aveva turbato le gerarchie, perché un libro di quella mole spesso per pigrizia lo si conserva e via. L´immagine invece è seducente, come è seducente l´interpretazione dell´Ultima Cena che testimonierebbe il segreto della “regina cancellata”. Un segreto che sarebbe stato noto a Leonardo, come gli altri del Priorato. Senonché il dossier sui maestri del Priorato di Sion, perno della vicenda, pare sia il Tra teorie confutabili e velleità storiche del Codice che ha scosso il Vaticano La donna nel cenacolo non è la Maddalena falso dell´esoterista Pierre Plantard, ed è certo che non si tratta di documenti antichi ma di falsi moderni. Il suo principale autore, Philippe de Chérisey aveva infatti lamentato di non aver ricevuto il dovuto compenso per quella falsificazione; il tutto documentato nelle lettere del suo avvocato. L´idea della Maddalena sposa di Gesù peraltro troverebbe il suo unico fondamento nel vangelo gnostico di Filippo, che definisce Maria di Magdala “compagna” del Signore. Passo che però i medioevisti spiegano in chiave allegorica. Dan Brawn però segue una sua tesi e prova ad avvalorarla: interpretando il cenacolo, ad esempio, rintraccia nello spazio che separa il Cristo dalla Maddalena, il simbolo del femmineo sacro. Vittorio Sgarbi in una recente apparizione televisiva aveva spiegato innanzitutto che non si tratta di una donna, ma dell´apostolo Giovanni, in tutta l´iconografia cristiana presentato con tratti femminei; e che l´ipotetica “V” tra questi e Gesù è solo la rappresentazione dello sgomento. Altra e più convincente interpretazione all´affresco di Santa Maria delle Grazie a Milano è quella secondo cui Leonardo ha rappresentato l´Ultima Cena fedele al vangelo di Luca 22,31- 21 “La mano di chi mi tradisce è con me sulla tavola”. Perciò la mano che impugna il coltello sulla tavola non sarebbe di Pietro ma di Giuda, nascosto dietro gli altri -anche per la difficoltà del pittore ad immaginare il viso del traditore. Infatti, sebbene il gioco di colori lo faccia sembrare effettivamente il braccio di Pietro, non si spiegherebbe la posizione innaturale e la lunghezza dell´arto, quasi il doppio del braccio sinistro. Errore che un artista come Leonardo, che aveva fatto delle proporzioni una ragione di vita, non si sarebbe mai concesso. A questo punto perciò i commensali sarebbero quattordici, e alla destra di Gesù ci sarebbe effettivamente una donna. Non una Maria qualsiasi però. Ma propriamente la Vergine. Quel volto infatti, confrontato con altri dipinti in cui Leonardo raffigura la Madonna, rivelerebbe una corrispondenza identica. Che poi Dan Brown abbia studiato alcuni passaggi in maniera magistrale è fuori dubbio. La scelta dell´Opus Dei, per esempio, non è casuale, dacché il processo di santificazione più breve ha interessato proprio sant´Escriverrà, fondatore dell´Opera; il che avvalorerebbe la tesi secondo cui l´Opus Dei eserciti pressioni sul Vaticano. Un passaggio ben studiato, anche se poco credibile, al quale però se ne alternano altri approssimativi. E´ un falso storico grossolano, infatti, che i Merovingi avrebbero fondato Parigi, quando invece i papi un tempo vivevano ad Avignone. Poi ovviamente, l´inquisizione e le crociate sono pagine di storia e non le ha inventate Dan Brown, ma sostenere il rogo di cinque milioni di streghe è anche quello un errore intenzionale; come affermare che Cristo non fu considerato divino se non dopo il Consiglio di Nicea, e solo grazie alla politica di Costantino. A meno che Dan Brown non consideri anche la Sacra Sindone un dipinto di Leonardo. Evidenziate così tutte le inesattezze del Codice Da Vinci, e stabilito che si tratta di fiction -salvo volersi veramente illudere di poter incontrare per le vie di Parigi una nipotina di Gesù- resta innegabile che questo film accompagna senza via di scampo ad una riflessione. Per questo anch´io una volta uscito dal cinema mi sono chiesto in cosa cambierebbe la mia fede nell´idea di Gesù sposato. “Assolutamente in nulla” è l´unica risposta che sono riuscito a darmi. Gianvito Volpe

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La Goccia n. 11 del 3 giugno 2006EVENTI E COMMENTI 28

Che Dan Brown sia un maestro nel far parlare di sé dovrebbe essere ormai chiaro a tutti, dacché si è fatto processare pur di non disconoscere la propria “verità” sui priori di Sion. Dovrebbe essere chiaro anche che qualora trovasse una eco l´ipotesi di vilipendio al cristianesimo, Dan Brown ci guadagnerebbe infinitamente in credibilità. Perché per il “Codice Da Vinci” nel bene e nel male, l´importante è che se ne parli. E logicamente gli anatemi, le censure, le scomuniche, lo bruciare in piazza i suoi libri, gli hanno fatto gioco. In buona fede, s´intende, ma gli hanno fatto gioco. E non dovremmo avere difficoltà ad ammettere che Dan Brown ci ha fregato per bene. Ha fatto soldi facili sfruttando l´anticattolicesimo diffuso negli Usa, con un romanzo peraltro ben strutturato, e un film avvincente. Ha fregato per bene anche il suo collega Baigent che ha avviato contro di lui un´azione legale accusandolo di aver copiato il suo libro; dove già c´erano riferimenti alla chiesa di Saint Sulpice e l´idea che il Santo Graal fosse il Sang Réal. Credergli o meno è questione di fede, ma anche di intelligenza. Perché francamente se le nostre convinzioni barcollano in ragione di un libro, un giallo, o di un film, allora vuol dire che la nostra fede è debole. Infondo è dal tempo dei Papiri di Qumarn che girano voci più o meno incontrollate su Gesu’. Pertanto più semplicemente tratterei Dan Brown come uno scrittore che lavora con la fantasia. Il film prende le mosse dall´omicidio del curatore del Louvre, che Dan Brawn decide di chiamare Jaques Suniere; nome non casuale, è un parroco che nell´Ottocento rese celebre Rennes le Château con alcune rivelazioni sul Graal. Accanto al cadavere, disposto come l’uomo di Vitruvio di Leonardo, campeggiano i numeri della serie di Fibonacci. Alcuni elementi destano subito scetticismo: le letture della Vergine delle Rocce e della Gioconda appaiono forzate. Però è proprio a partire da queste che verrà via via svelato il “più grande insabbiamento della storia”: il Santo Graal sarebbe nientemeno che un discendente diretto di Cristo. Ciò è bastato, e per svariati motivi, a trasformare Dan Brown in un profanatore della verità cristiana. Accadde lo stesso al saggio di Baigent; e che poi Brown avesse già letto quel saggio è cosa certa, dacché un personaggio del suo romanzo lo chiama Teabing, anagramma di Baigent. Nelle leggende tradizionali invece il Graal è la coppa in cui il Cristo si servì nell´ultima cena; coppa nella quale Giuseppe d´Arimatea avrebbe poi raccolto il sangue del Redentore sulla croce. Numerosi poemi francesi hanno raccontato in vario modo la ricerca del Santo Graal, rinchiusa secondo alcuni ne “la colonna dell´allievo” chiesa Saint Claire, dove anche i metal detector ne rileverebbero la presenza. Altri invece lo cercano in Scozia, nella cappella di Rosslyn, edificata dai templari. Le decorazioni di questa peraltro lascerebbero supporre che i templari siano sbarcati in America molto prima di Colombo, dacché sono disegnate piante che all´epoca in Europa erano sconosciute. Leggende che incuriosiscono e affascinano; e che hanno finito col portare al cinema anche chi di suo non ci sarebbe andato. E la polemica si è amplificata. Finché il Codice Da Vinci era un best seller, infatti, lo sgomento non aveva turbato le gerarchie, perché un libro di quella mole spesso per pigrizia lo si conserva e via. L´immagine invece è seducente, come è seducente l´interpretazione dell´Ultima Cena che testimonierebbe il segreto della “regina cancellata”. Un segreto che sarebbe stato noto a Leonardo, come gli altri del Priorato. Senonché il dossier sui maestri del Priorato di Sion, perno della vicenda, pare sia il

Tra teorie confutabili e velleità storiche del Codice che ha scosso il Vaticano

La donna nel cenacolo non è la Maddalenafalso dell´esoterista Pierre Plantard, ed è certo che non si tratta di documenti antichi ma di falsi moderni. Il suo principale autore, Philippe de Chérisey aveva infatti lamentato di non aver ricevuto il dovuto compenso per quella falsificazione; il tutto documentato nelle lettere del suo avvocato. L´idea della Maddalena sposa di Gesù peraltro troverebbe il suo unico fondamento nel vangelo gnostico di Filippo, che definisce Maria di Magdala “compagna” del Signore. Passo che però i medioevisti spiegano in chiave allegorica. Dan Brawn però segue una sua tesi e prova ad avvalorarla: interpretando il cenacolo, ad esempio, rintraccia nello spazio che separa il Cristo dalla Maddalena, il simbolo del femmineo sacro. Vittorio Sgarbi in una recente apparizione televisiva aveva spiegato innanzitutto che non si tratta di una donna, ma dell´apostolo Giovanni, in tutta l´iconografia cristiana presentato con tratti femminei; e che l´ipotetica “V” tra questi e Gesù è solo la rappresentazione dello sgomento. Altra e più convincente interpretazione all´affresco di Santa Maria delle Grazie a Milano è quella secondo cui Leonardo ha rappresentato l´Ultima Cena fedele al vangelo di Luca 22,31-21 “La mano di chi mi tradisce è con me sulla tavola”. Perciò la mano che impugna il coltello sulla tavola non sarebbe di Pietro ma di Giuda, nascosto dietro gli altri -anche per la difficoltà del pittore ad immaginare il viso del traditore. Infatti, sebbene il gioco di colori lo faccia sembrare effettivamente il braccio di Pietro, non si spiegherebbe la posizione innaturale e la lunghezza dell´arto, quasi il doppio del braccio sinistro. Errore che un artista come Leonardo, che aveva fatto delle proporzioni una ragione di vita, non si sarebbe mai concesso. A questo punto perciò i commensali sarebbero quattordici, e alla destra di Gesù ci sarebbe effettivamente una donna. Non una Maria qualsiasi però. Ma propriamente la Vergine. Quel volto infatti, confrontato con altri dipinti in cui Leonardo raffigura la Madonna, rivelerebbe una corrispondenza identica. Che poi Dan Brown abbia studiato alcuni passaggi in maniera magistrale è fuori dubbio. La scelta dell´Opus Dei, per esempio, non è casuale, dacché il processo di santificazione più breve ha interessato proprio sant´Escriverrà, fondatore dell´Opera; il che avvalorerebbe la tesi secondo cui l´Opus Dei eserciti pressioni sul Vaticano. Un passaggio ben studiato, anche se poco credibile, al quale però se ne alternano altri approssimativi. E´ un falso storico grossolano, infatti, che i Merovingi avrebbero fondato Parigi, quando invece i papi un tempo vivevano ad Avignone. Poi ovviamente, l´inquisizione e le crociate sono pagine di storia e non le ha inventate Dan Brown, ma sostenere il rogo di cinque milioni di streghe è anche quello un errore intenzionale; come affermare che Cristo non fu considerato divino se non dopo il Consiglio di Nicea, e solo grazie alla politica di Costantino. A meno che Dan Brown non consideri anche la Sacra Sindone un dipinto di Leonardo. Evidenziate così tutte le inesattezze del Codice Da Vinci, e stabilito che si tratta di fiction -salvo volersi veramente illudere di poter incontrare per le vie di Parigi una nipotina di Gesù- resta innegabile che questo film accompagna senza via di scampo ad una riflessione. Per questo anch´io una volta uscito dal cinema mi sono chiesto in cosa cambierebbe la mia fede nell´idea di Gesù sposato. “Assolutamente in nulla” è l´unica risposta che sono riuscito a darmi.

Gianvito Volpe

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Una nuova realtà è nata a Ginosa da pochi mesi e già lascia intravedere un ambizioso futuro. Parliamo della South Symphonic Band, l’orchestra di

fiati con sede a Ginosa e formata da musicisti pugliesi. La band si inserisce nel nuovo corso che le formazioni di fiati stanno vivendo anche in questa zona d’Italia in cui tanto forte è il legame con le tradizionali bande liriche. Esecuzione di repertorio originale (pensato per la formazione) e non di trascrizioni, utilizzo a 360 gradi delle potenzialità timbriche, dinamiche e ritmiche degli strumenti senza il riferimento all’esperienza degli archi, esplorazione di un repertorio più vicino alle esigenze del pubblico. Sono queste le caratteristiche principali delle odierne orchestre di fiati. Non c’è assolutamente contrapposizione tra la gloriosa tradizione delle bande da giro e la nuova esperienza delle band. Queste ultime soddisfano le esigenze di una larga fetta di ascoltatori così come per le bande avveniva sino a qualche anno fa. Ma la South Symphonic Band, creatura dell’Associazione “Pensieri, Autori, Artisti” presieduta dal M° Giuseppe Scarati, ha una particolarità. Essa si pone come un vero e proprio laboratorio nel quale i musicisti si incontrano, affrontano insieme un percorso e, soprattutto, si aprono continuamente alla cittadinanza. Le prove sono infatti aperte al pubblico e innanzitutto agli studenti del Conservatorio e dell’Istituto ad indirizzo musicale “G.Carducci”. Questo consente alla popolazione e ai più piccoli cultori della musica di vedere nascere e crescere di settimana in settimana gli spettacoli che il gruppo propone nelle sue esibizioni. Ma da chi è formata la Band? Al suo interno docenti di conservatorio, orchestrali, musicisti professionisti, solisti di chiara fama, ma anche giovani e giovanissimi musicisti che si affacciano

per la prima volta ai palcoscenici. Tutti insieme per produrre musica e cultura. Per questa ragione, per questa capacità di fondere esigenze

e potenzialità, la South Symphonic Band si pone al tempo stesso come una risorsa e come una possibilità. In essa troveranno sfogo diverse competenze del territorio e attraverso essa una sempre più consistente parte della cittadinanza si trasformerà in costante fruitrice del messaggio musicale. La band piace, lo dimostra il successo delle sue esibizioni.Il 26 dicembre in una chiesa di S.Martino gremita di gente, il pubblico presente è planato dalle sonorità ora evocative ora trascinanti dei concerti per solista e banda eseguiti da Giuseppe Scarati (Tuba) e Domenico Zicari (Trombone) e diretti da Alfredo Cornacchia all’entusiasmo delle pagine più significative della musica per jazz band e per orchestra di fiati dirette da Alessandro Muolo. Successo bissato presso la chiesa di S. Lorenzo a Laterza. Ma la prova del fuoco la Band l’ha affrontata (e brillantemente superata) in occasione dell’evento ginosino dell’ 1 maggio. Piazza IV novembre è divenuta cornice per

l’esecuzione di due brani per solista e banda, eseguiti da Giuseppe Carrozzoli (Clarinetto) e Giuseppe Lapiscopia (Sassofono) e diretti da Alfredo Cornacchia, e ancora di una carrellata tra il jazz,la musica leggera d’autore sino ad una simpatica rivisitazione de “Lo Schiaccianoci” di Ciakovkij diretta da Alessandro Muolo. Il pubblico che a Ginosa per la prima volta (è importante sottolinearlo) assisteva ad uno spettacolo simile con una tale formazione, ha reagito con un entusiasmo che ha colto di sorpresa gli stessi musicisti. Importante la presenza della più alta carica musicale della nostra zona, il Direttore del Conservatorio di Matera, Prof.ssa Cancellaro. L’ambizione dell’associazione e della band è confermata dalla rete di rapporti che sin dal nascere si va tessendo. E’ già realtà la collaborazione con la “Società dei Concerti del Teatro Petruzzelli” per la quale la South Symphonic Band si è esibitacon grande successo a Pisticci lo scorso 23 maggio. In cantiere, inoltre, un’altra grande collaborazione: quella con la nota cantate Linda. Chissà che non si possa esordire proprio nel corso delle prossime Feste Patronali di ottobre! Segno che si sta percorrendo la strada giusta. Ma anche che questo progetto merita l’attenzione di tutti. La volontà, la professionalità e la qualità dell’operato di tanti musicisti, coordinati dall’Associazione presieduta dal M° Scarati, da sole possono non bastare. Occorre il sostegno di tutti, ciascuno secondo le proprie possibilità.

L’Addetto Stampa S.S.B.Davide Giove

South Symphonic Band: progetto meridionale, cuore ginosino

E’ ormai realtà il progetto dell’Associazione “Pensieri, Autori, Artisti”

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D – DOCUMENTARSI

Giuda: un nome che suscita ancora interesse, forse per la particolare carica di mistero che ad esso è connessa. Ma se questo nome viene associato ad uno scritto apocrifo e all’idea di un Vangelo che presenta i fatti secondo la versione dell’Apostolo che tradì Gesù, allora non può che destare curiosità e provocare un fenomeno di massa, che da alcuni è stato paragonato a quello causato da “Il Codice Da Vinci”.In verità, la notizia è vecchia di decenni: trattasi del ritrovamento in un deserto egiziano (e precisamente nel 1970) di un papiro che risale al IV secolo dopo Cristo e già abbastanza noto agli studiosi della materia. Questo scritto copto, dal sapore tipicamente gnostico, sviluppa il pensiero di una particolare setta dei primi secoli, quella dei Cainiti, già attestata da Ireneo da Lione (“Contro gli eretici”, XXXI, 1, c.180), la quale considerava un bene l’azione di Giuda perché necessaria alla storia della salvezza. In realtà, ciò che occorre mettere in risalto è la visione differente che questa setta aveva della persona di Gesù Cristo. Secondo loro, la vera divinità era nascosta in Gesù e poteva manifestarsi solo spogliandosi (nel senso di sbarazzarsi) dell’inutile corpo che lo rivestiva; in questa missione, Giuda non fa altro che obbedire al comando del Maestro, divenendo egli stesso “vittima sacrificale”. Una teoria, perciò, basata su una visione profondamente dualistica, dove la materia è intrinsecamente negativa. Ma non voglio annoiare il mio unico lettore circa la questione dell’eresia gnostica che impermea lo scritto attribuito a Giuda. Ciò che invece penso che gli possa interessare è un punto specifico, che si trova nel famoso articolo che il National Geographic ha dedicato alla “sensazionale scoperta”. In un box di pagina 13 (dell’edizione italiana), dal titolo “Le altre facce del Cristianesimo”, si legge: “Dopo la morte di Gesù, circolarono tra i primi cristiani i racconti della sua vita e dei suoi insegnamenti. Ne furono scritte decine di versioni, ma per il Nuovo Testamento i Padri della Chiesa ne scelsero quattro. Nel ‘900 molti testi scartati sono stati riscoperti. Alcuni, come quello di Pietro, sono simili ai quattro prescelti. Altri, come il Vangelo di Giuda, sono diversi, dando rilevanza alla gnosi, la conoscenza diretta

di Dio tramite la coscienza della scintilla divina interiore”. A parte la generale approssimazione di tutto l’enunciato, è l’idea sottesa secondo cui i quattro Vangeli canonici sarebbero stati scelti tra le “decine di versioni” sulla vita di Gesù, circolanti nei primi tempi cristiani, a suonarmi alquanto azzardata, oltre che estremamente imprecisa e per nulla documentata. Soprattutto perché da una simile formulazione parrebbe che i Vangeli apocrifi, tra cui quello di Giuda, siano coevi a quelli ritenuti canonici; e la differenza starebbe solo nel fatto della “scelta” compiuta da parte di qualcuno in una stagione successiva (di cui, tuttavia, non si danno i termini temporali esatti). Anche in questo caso, il sacro diritto alla documentazione va a farsi benedire. Invece, da studiosi (incontestabili per serietà e vita spesa su questi argomenti) è stato dimostrato che i Vangeli canonici sono in realtà più antichi (addirittura di secoli) rispetto agli apocrifi, compreso quello di Pietro e di Giuda; risulta che nessuna traccia di testi antecedenti i Vangeli canonici sia mai stata trovata; è documentato che il frammento più antico di Vangelo (il 7Q5 di Qumram), attribuito a Marco, sia stato scritto verso il 40 (sette anni dopo la crocifissione!) e che gli altri tre siano stati scritti fra il 60 e il 90: vicinanza temporale (e dunque fedeltà) rispetto agli avvenimenti narrati che agli occhi dello storico serio fa accertare di considerare i Vangeli canonici degni di fede. Ma ignorando seraficamente tutta questa documentazione, facilmente rintracciabile in una marea di testi, il nostro Corrado Augias di recente è ritornato sull’argomento in ben due articoli su Repubblica (Sabato 29 Aprile e Venerdì 5 Maggio), riprendendo le tesi del National Geographic: “Nei primi anni del cristianesimo i resoconti sulla vita di Gesù e sulle sue opere erano innumerevoli. Poi la corrente di maggioranza del cristianesimo (mitica questa definizione, dal sapore tipicamente politico!?, n.d.r.) riuscì ad emarginarli tutti con l’eccezione dei 27 testi che compongono il Nuovo Testamento, tra questi i quattro vangeli”. Ciò stabilito, Augias si pone il tremebondo interrogativo: “Quali versioni dei fatti raccontavano i testi che sono stati così duramente condannati all’oblio?”. A parte il feroce dubbio che mi martella la mente circa la poca dimestichezza

di Augias (absit injuria verbis) su queste tematiche, come si può evincere dal suo pur interessante curriculum professionale, e mentre rimango in frenetica attesa che dagli archivi di Repubblica salti fuori qualche più attendibile documentazione, forse al mio unico lettore potrebbe bastare quanto, invece, scrive John P. Meier nella sua opera Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico (vol. 1, Ed. Queriniana, 2002), dove, a conclusione dell’analisi degli apocrifi, viene detto che tutto quanto si trova in quei vangeli “è piuttosto la reazione a scritti del Nuovo Testamento o la loro rielaborazione da parte di cristiani fantasiosi che rispecchiavano la pietà e le leggende popolari o da parte di cristiani gnostici che sviluppavano un sistema mistico speculativo”. Altro ci sarebbe da dire. Ma mi fermo qui. Il National Geographic, che ha così investito in questa operazione da allestire addirittura la copertina del numero citato prima e da allegare al numero di questa settimana (insieme al nostro settimanale L’Espresso) un voluminoso libro sull’argomento, è senza dubbio una bellissima rivista. Tuttavia la preferisco quando, con maggiore serietà di documentazione, tratta di geografia, etnologia, esplorazioni. Lasci stare argomenti per lei troppo complicati, come quelli dei papiri e dei testi apocrifi.

don Franco ConteP.S.: In merito a quanto scrivevo la volta scorsa su “IL CODICE DA VINCI”, vorrei segnalare al mio unico lettore una notizia di questi giorni. Allorché da parte cattolica fu chiesto ai produttori della Sony di far precedere il film in questione da una scritta che spiegasse che i fatti raccontati erano inventati, la multinazionale e il regista dell’opera si erano quasi offesi. “Sarebbe come negare l’intelligenza degli spettatori”, risposero. Ciò che in Occidente li offende, va bene però per sfondare sui mercati orientali. Le autorità indiane hanno, infatti, ottenuto che il film esca nei cinema di quel Paese con una scritta, all’inizio e alla fine, che avvisa gli spettatori che il film è frutto di pura finzione e “che la pellicola non ha alcuna pretesa di verità storica”. Un bel cambio di rotta. “Se non facevamo così – hanno ammesso i produttori – il film non sarebbe uscito”. Così i “coraggiosi produttori” del film si sono piegati alle ragioni…del business.

Il Vocabolario

di Dio

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nata Rubrica

a cura didon Franco

Conte

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Continua La disattivazione delle porte è con-sigliabile solo se si è sicuri che i servizi che si vanno a disattivare non siano necessari al vostro pc. Infine, una delle cose più importanti ed ereditata dai sistemi *nix: la creazione di un account utente limitato. Una volta finita tutta la procedura di installazione dei vari software per la sicurezza del nostro pc - alla fine di questo articolo - sarà possibile passare all’utilizzo del pc con utente limitato al successivo riavvio del computer. Molte sono le informazioni a favore dell’uso dell’account limitato: l’utilizzo continuo del pc in modalità amministratore permette a qualunque software lanciato dall’utente di avere accesso a qualunque locazione del sistema operativo, potendo fare danni anche gravi. Nei sistemi *nix, infatti, una volta creato l’utente root viene fatto creare un account utente limitato, non permettendo ad un utente di far danni al sistema. Eventuali malware sono così tagliati fuori, non possono installarsi sul sistema ma potranno esclusi-vamente far danni - se sono progettati per farli - dove l’utente può fare modifiche. Ci sono vantaggi e svantaggi nel-l’utilizzo di un account limitato. Ovviamente, come già detto, un malware avrebbe molte più difficoltà nell’attaccare la macchina, non potendo compiere la propria routine di installazione nelle parti vitali del sistema per la mancanza dei diritti di amministratore. E’ chiaro che, usando l’account limitato, ogni volta si desideri installare sof-

tware che abbia bisogno di particolari settaggi si avrà bisogno dei diritti di amministratore. Per ovviare a questo problema, quando si vuole installare un programma del genere basta cliccare con il tasto destro del mouse sull’icona del setup, lanciare il software con la voce “Esegui come” e selezionare l’account amministratore. Verrà chiesta la password e l’installazione avrà luogo. Per creare un account limitato basta accedere al pannello di controllo di sistema di Windows XP, andare su Account utente - Crea nuovo account. Verrà successivamente chiesto di inserire il nome utente, poi di sce-gliere la categoria di appartenenza - utente limitato in questo caso - e poi la password.

Seguiti i passi precedenti, è possi-bile passare all’installazione dei software di sicurezza fondamentali: antivirus e firewall. Un software antivirus è essenziale in un si-stema operativo Windows. Il funzionamento di un software antivirus e l’importanza degli aggiornamenti è di vitale importanza. Microsoft Windows si sa, è il si-stema operativo più utilizzato al mondo e come tale è spesso e malvolentieri vittima della maggior parte degli attacchi sferrati da chi tenta di utilizzare il computer per scopi maligni. É chiaro, se si vuole fare il peggior/maggior danno ad un folto gruppo, bisogna colpire ciò che è maggiormente e più comunemente sfruttato. Proprio per questo motivo possiamo contare ad oggi più di 150.000 virus informatici, la piaga informatica per eccellenza. Dagli anni ’80 a seguire, con maggior picco proprio in questi ultimi anni, i virus informatici si stanno espandendo oltre ogni previsione, sfruttando soprattutto Internet, la rete globale. Il cyberspazio è diventato infatti uno strumento fondamentale sia nel lavoro sia in un ambiente domestico, dove spesso la fanno da padrone i più giovani. Per utilizzare un computer ed avere accesso ad Internet oggi come oggi non vi è necessità di una prepa-razione culturale particolarmente elevata: bastano infatti alcuni semplici passaggi per entrare a far parte del mondo digitale. Il problema è che spesso questa facilità permette di gustare solamente i lati positivi del web, lasciando all’oscuro gli ignari navigatori di quali siano i rischi che si possono correre e che si potrebbero evitare con un po’ di conoscenza e di buonsenso. In alcuni casi infatti basterebbe un software antivirus aggiornato a proteggere il proprio pc dalla maggior parte dei rischi. Ma spesso molte persone neanche sanno cosa sia un antivirus, né capiscono perché debba essere aggiornato. Quali sono i meccanismi? Perché va aggiornato? Per garantire una buona protezione del sistema, la mia scelta è caduta su Antivir Personal Edition 7, che tra i software free è risultato essere nei test il più performante in

termini di individuazione virus e tecnologia euristica. Dal sito della società H+BDEV è possibile scaricare il HYPERLINK “http://www.free-av.com/down/windows/antivir_workstation_win7u_en_h.exe” \t “_blank” setup dal sito: HYPERLINK “http://www.free-av.com/down/windows/antivir_workstation_win7u_en_h.exe” www.free-av.com/down/windows/anti-vir_workstation_win7u_en_h.exe per i sistemi NT/2000/XP - che si aggira sui 10MB - per poi così procedere all’installazione; questa fase risulta semplice e veloce. Finita la procedura di installazione il programma chiederà di effettuare un aggiornamento delle firme virali. Questo update è indispensabile per garantire la giusta efficacia del softwa-re. É possibile ora aprire il programma e, sebbene le configurazioni standard siano già efficaci, è preferibile effettuare alcune modifiche. Dal menu principale bisogna selezionare la voce “Scheduler” e successi-vamente andare a modificare la voce Daily Update con il tasto destro cliccando su “Edit Job”. Nella nuova finestra che si aprirà biso-gna lasciare invariati il nome del compito e successivamente il tipo di lavoro - che rimarrà Update job - per arrivare all’intervallo in minuti di ogni aggiornamento. Da qui si può scegliere se far fare gli aggiornamenti ad intervalli di tempo, uno solo al giorno, uno a settimana. Il consiglio, se si ha una connessione ad internet a banda larga, è quello di fare almeno un aggiorna-mento al giorno, se non ogni 6/12 ore, vista la frequenza con cui escono nuovi malware. Infine si deve spuntare la voce “Repeat job if time has expired”, in modo tale da poter effettuare l’aggiornamento appena si accende il pc se l’ultimo aggiornamento programmato non è stato effettuato. La modalità di visualizzazione rimarrà su “minimized” in modo tale da occupare meno spazio possibile sul desk-top durante l’aggiornamento. É necessario assicurarsi, tornati al menu principale, che la voce “Daily Update” abbia la casella “Activated” spuntata. É possibile ora spostarsi nel menu “Extra” e poi “Configuration”. Si può spun-tare la casella “Expert Mode”, in modo da visualizzare maggiori impostazioni da poter configurare. Sfogliando il menù ad albero su Scanner - Scan - Heuristic l’utente dovrà la casella “Win32 file heuristic”. Lo stesso si deve fare, sempre nel menu ad albero, su Guard - Scan - Heuristic. In questo modo è stata attivata la tecnologia di scansione euristica anche sui files esegubili, altrimenti disattivata di default per il rischio di possibili “falsi positivi”.

continua

HOMEPAGE

Rendiamo Windws sicuro...

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La Goccia n. 11 del 3 giugno 2006EVENTI E COMMENTI 32

Queste elezioni amministrative 2006 mi ricordano molto una canzone del 1989 di Raf dal titolo “Cosa Resterà Degli Anni ‘80”. Il testo di questa canzone riporta delle frasi molto attinenti alla nostra, appena terminata, campagna elettorale. Per esempio, se io vi dicessi “Cosa resterà di questi Anni Ottanta, afferrati già scivolati via..., e la radio canta una verità dentro una bugia.” o ancora “Anni veri di pubblicità, ma che cosa resterà, anni allegri e depressi di follia e lucidità, sembran già degli Anni Ottanta, per noi quasi ottanta anni fa... “. La domanda è doverosa alla fine di una intensa campagna elettorale tra vinti e sconfitti, chi spazzerà? Osservo l’operatore ecologico (ex spazzino) rimuovere dalle strade e dalle vie del nostro paese volti, nomi, amici che magari giacciono in balia del vento fresco alle prime luci dell’alba. Cosa dire e pensare del candidato che si è visto calpestare da un anziano a passeggio durante il giorno, della massaia che tornando a casa, dopo aver fatto la spesa, ha dovuto tenere in tasca

pubblicità metronotte

I cimeli delle elezioni comunali

2006 a Ginosa!Il dopo campagna elettorale: un mare di

dépliant, bigliettini e manifestiun dépliant, non potendolo gettare via, per non essere ripresa da un candidato. Era bello girare per il mercato il giovedì e vedere i sostenitori dei partiti litigare tra loro per accaparrarsi un potenziale voto, rendevano meno grigia la ormai sgomitata per conquistare un chilo di patate e di pomodori. Che fine faranno quei dépliant? Andranno bene per sostituire la paletta in casa? I cittadini restano un po’ carnefici, in grado di dare o togliere la vittoria ad un potenziale sindaco, e vittime, coccolati e riveriti con fobia dai loro candidati. L’altro giorno un amico mi ha fermata per strada dicendomi “ho fatto una bella collezione di figurine”, ed io “Panini?” e lui “elettorale!”. Che nostalgia non vedere più aggirarsi di notte i nostri candidati, armati di colla e nastro adesivo, tra i muri, i cassonetti della spazzatura e qualsiasi cosa in senso verticale, mentre cercavano di coprire con i loro volti i partiti avversari. Come riconoscerli?, sono quelli che al mattino sono davanti ad una tazza di caffè con gli occhi stanchi, lo sguardo perso nel vuoto, con ancora la forza di dare un volantino a chiunque si avvicini per chiedere una sigaretta. Ormai più nessuno ci offrirà da bere al bar, ci saluterà da lontano con un sorriso, ci chiederà come sta la famiglia. Abbiamo già fatto il nostro dovere, abbiamo scelto, barrato una piccola casella, scritto il nome di preferenza, adesso non serviamo più, siamo diventati come quei volantini lasciati per le vie del nostro paese. Che nostalgia, che rimpianto, che malinconia ... un sospiro e poi ci si riprende, si va avanti. Pensiamo al lato positivo, pensiamo al dopo, magari tra 5 anni saremo noi a candidarci e a infilare nella busta della spesa, alla cassa in un supermercato, il nostro bigliettino, chissà?! Non importa da che parte stiamo, alla fine di una campagna elettorale comunque restiamo tutti stanchi e sfatti ... chi di dare e chi di ricevere. Scusatemi ma adesso devo andare, un mio amico ha il doppione di una figurina da scambiare ... della Panini naturalmente!, quelle delle elezioni amministrative le lascio all’operatore ecologico.

Mariacarmela Ribecco

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La Goccia n. 11 del 3 giugno 2006EVENTI E COMMENTI 33

Nunzio Santantonio

Valerio Massimo Manfredi incontra gli studenti del liceo Vico di Laterza

Affollatissimo l’auditorium “Giovanni Paolo II” del liceo scientifico G.B.Vico di Laterza. Giovedì 25 Maggio, Valerio Massimo Manfredi, scrittore di chiara fama internazionale, è stato ospite della scuola nell’ambito del progetto “Incontro con l’autore”. La Dirigente scolastica, prof.ssa Maria Alfonso, nel presentare l’incontro, ha manifestato soddisfazione per una presenza così gradita ed ha affidato alla studentessa Anna Carbotti il compito di tracciare il profilo biografico dell’autore. Difficile definire Valerio Massimo Manfredi perché i suoi interessi spaziano in diversi campi. E’ docente di archeologia all’Università Bocconi di Milano; è archeologo con la specializzazione in topografia del mondo antico; è conduttore di programmi televisivi; è persino collaboratore di sceneggiature di films tratti dai suoi libri, ma è, soprattutto, un grande romanziere. Impossibile elencare tutti i titoli pubblicati, si citano solo alcuni come Palladion, Lo scudo di Talos, La trilogia di Alèxandros, L’ultima legione, e l’ultima pubblicazione, appunto, L’impero dei draghi, presentato durante l’incontro.Tutti romanzi di successo le cui storie s’intrecciano tra passato e presente, tra antico e moderno, dando origine a storie fantastiche romanzate che prendono il lettore coinvolgendolo in una lettura tutta d’un fiato.L’impero dei draghi ha riscosso molto successo tra gli studenti; infatti, Domenico Ricciardi, alunno di III, ha definito la storia “un

triller storico che avvince ed appassiona perché nei personaggi l’autore riesce a coniugare con un linguaggio moderno l’ethos delle azioni con il pathos dei sentimenti del mondo antico”. L’intreccio narrativo del libro è molto articolato ed è costruito sulle vicende del protagonista. Siamo in Anatolia nell’anno 260 d.C. La storia parte dall’assedio dei persiani alla città romana di Edessa. Il comandante della II Legione romana, Marco Metello Aquila, nonché leggenda vivente per i soldati, per una serie di vicende subisce lo scacco crudele dei persiani che incidono la vergogna della cattura sulle rupi del luogo. Ma il coraggio e la fierezza dei soldati riscattano l’umiliazione subita dimostrando tutta la fierezza e la “virtus” del popolo romano quando in Cina “incontrano una civiltà straordinaria, una cultura meravigliosa, uomini intelligenti e tolleranti, donne bellissime ed appassionanti”. L’impero dei draghi è una summa di valori profondi ed universali, un valido sussidio dal punto di vista educativo e formativo, meritevole di attenzione nella scuola. L’amicizia, l’amore, la forza del gruppo, il senso della patria, la fedeltà ai propri ideali, il rispetto di quelli altrui, la tolleranza sono temi trattati nel romanzo non solo in linea di principio, ma affermati e validati dalle condotte degli uomini. Modelli da proporre ai giovani di oggi che, trascinati dalla frenesia e dall’indifferenza, vanno perdendo il giusto senso delle cose ed il rispetto reciproco. Nel vivace e pressante dibattito che ne è seguito, gli

studenti del Vico si sono confrontati con l’autore anche su altri temi quali la globalizzazione, l’invasione del mercato cinese, il possibile dialogo tra culture diverse. Valerio Massimo Manfredi, controbattendo, ha invitato gli studenti del Vico a scoprire il lato positivo dei rapporti umani, a demolire le forme di corruzione, a dimostrare la laboriosità e soprattutto l’ingegno degli italiani, unica arma vincente della nostra economia.

Insomma una piacevole conversazione rotta a tratti dagli applausi degli studenti che hanno gradito ed apprezzato l’autore.

Palma Martino

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pubblicità OMNIA

Cosa possiamo, dunque, desiderare noi genitori ed educatori, se non una umanità votata al rispetto, alla responsabilità, alla tolleranza, alla ricerca del senso della vita? Abbiamo bisogno di modelli significativi ed autorevoli ed è per tale ragione che ci sta a cuore affidare i nostri piccoli uomini alla protezione di Papa Giovanni Paolo II che sempre è riuscito a dialogare con i giovani e sempre ha pregato per loro. Vogliamo ricordare infine la figura di questo Santo Padre con le parole del prof. Mario Agnes, direttore dell’Osservatore Romano, che lo definisce “Bambino di Dio che nel tempo è divenuto il gigante della storia”. Noi tutti siamo chiamati a prolungare questa storia, la grandezza di questi giganti è a portata di ognuno, basta essere così bambini. Buon cammino, ai nostri piccoli uomini, nella lunga

strada della vita.Dott. Caruso LeonardoProf.ssa Mele Damiana

“Una scelta motivata” Un grande evento è stato celebrato martedì 23 maggio 2006, presso la sede staccata dell’Istituto Giosuè Carducci, evento atteso da tempo e che finalmente ha trovato attuazione. Il nuovo edificio, inaugurato all’inizio del mese di settembre, divenuto dimora, oramai, di numerosi alunni di scuola dell’infanzia e

primaria, da oggi , gode di un nome: Giovanni Paolo II.

Giovanni Paolo II: un uomo, un nome, una storia. Si, un nome che non ha bisogno di commenti perché tutto il mondo dall’Oriente all’Occidente ha potuto conoscere ed apprezzare la sua umanità. E’ stato l’uomo del terzo mondo che ha dato voce ai poveri della terra, è stato l’uomo della pace e della guerra che ha condannato gli interventi americani in Kuwait e in Iraq ed è insorto a difesa delle vittime dei massacri in Bosnia. E’ stato l’uomo che ha tuonato contro la mafia in Sicilia. E’ stato indubbiamente l’uomo che ha contribuito più di tutti a cambiare la storia del mondo a cavallo tra il XX e il XXI secolo. Per questo non lo ricordiamo solo come uomo di Chiesa, ma come educatore, filosofo, poeta, antropologo, difensore inestimabile della dignità umana. Sicuramente però, chi ha seguito il suo lungo Pontificato lo ricorda anche come uomo ardito, uomo della montagna, uomo della parola immediata e della battuta facile, uomo capace di abbracciare tutto e tutti attraverso un dialogo aperto e tollerante. Lo ricordiamo come l’ uomo dei giovani, capace di radunare attorno a sé numerose folle, sapendo trasmettere loro la positività della vita.

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AVIS SER

Profondamente grazie!L’Istituto Comprensivo G.Carducci, con profonda gratitudine, ringrazia tutti coloro che con diversa modalità di partecipazione, hanno consentito la realizzazione della 1° ciclopasseggiata “In bici con mamma” il giorno venerdì 12 maggio. Siamo grati per la sinergica collaborazione che si è instaurata tra gli insegnanti e le famiglie, ma anche tra il territorio e l’istituzione scolastica. Abbiamo sempre apprezzato la generosa disponibilità con cui gli sponsor invitati hanno risposto alla nostra richiesta di sostenere le iniziative pubbliche organizzate, ma ancor più, in questa circostanza, la varietà degli omaggi ha reso la manifestazione vivace e nel contempo piacevole.Ringraziamo, l’Assessore alla Cultura, Sig. Bradascio Antonio e l’Assessore all’Ambiente Dott. Sozio Franco per aver collaborato alla organizzazione logistica e strumentale della manifestazione, il supermercato Catucci di Via Martiri D’Ungheria per le rose offerte a tutte le mamme, l’ottica Pastore per i palloncini colorati che hanno vivacizzato la festa, il salottificio Natuzzi per il contributo economico, i Sig. ri De Palma che con l’allestimento del simpatico gazebo di ristorazione hanno generosamente offerto caffè, bibite e snack a tutti i partecipanti.Visto il buon esito della giornata e la briosità che aleggiava nella piazza non ci resta che dire… grazie a tutti.

Istituto Comp. Giosuè Carducci

Piacevole omaggio alle mamme

“carducciane” Venerdì 12 maggio sembrava una giornata come tutte le altre, anche se, verso l’Istituto Carducci alle ore 8,00, affluiva un ridotto numero di studenti per dare regolarmente inizio alla giornata scolastica. La parziale tranquillità era dovuta alla ciclopasseggiata organizzata dal nostro Istituto per le ore 10,00 con raduno in Piazza Orologio alle ore 9,30. Infatti, verso l’ora prevista, un cospicuo numero di ragazzi, accompagnato dalle mamme e in bicicletta, ha popolato la Piazza e le strade circostanti . Uno spettacolo davvero insolito per i residenti del quartiere, ma anche per noi docenti che da anni percorriamo lo stesso tratto di strada, sempre, alla stessa ora. Curiosità, allegria e sorpresa sono state suscitate, soprattutto, dall’arrivo in triciclo e in mini bici dei piccoli “carducciani” della scuola dell’infanzia e primaria, accompagnati dalle loro mamme che si affannavano per seguirli anche a piedi. Lentamente, il silenzio, che incombeva sulla Piazza, ha lasciato il posto al brusio, agli schiamazzi e alle risate dei piccoli e dei grandi. Per dare, poi, inizio alla tanto attesa ciclopasseggiata, ecco che è intervenuto il gruppo della fanfara dell’Istituto, di cui la Dirigente, le famiglie e tutto il personale scolastico ne sono sempre molto fieri. Terminato il consueto saluto musicale e consegnati i palloncini colorati a tutti i partecipanti, la Dirigente Scolastica ha dato il via alla ciclopasseggita e tutti cautamente ci siamo avviati verso il percorso stabilito. La finalità della ciclopasseggiata non era semplicemente omaggiare le mamme per la loro festa, che ricorreva la domenica successiva, bensì cogliere l’occasione di applicare le norme stradali acquisite. I nostri alunni, infatti, di tutti e tre gli ordini di scuola seguono delle lezioni di educazione stradale in aula; gli alunni della scuola sec. di 2° grado, invece, svolgono anche

attività pratica all’esterno, in piccoli gruppi. Alla conclusione della ciclopasseggiata il corpo dei vigili urbani ha organizzato, per i più piccoli, una simulata, predisponendo sulla villa un percorso da seguire a piedi e in bicicletta . Il tutto è risultato abbastanza piacevole e festoso, considerando che i piccoli della scuola dell’infanzia e primaria hanno animato la festa con canzoni dedicate alle mamme. Insomma, il pretesto è stata la festa della mamma, ma in realtà, si è cercato di fare “scuola attiva”, mediante un sodalizio tra apprendimento e divertimento.Ci auguriamo che sia stato realmente così! Grazie alunni, grazie famiglie.

Prof.ssa Damiana Mele

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“Assisti mio Dio la Patria nostra e chi per essa dona la vita. Benedici le nostre famiglie lontane e proteggile. Infondi nei nostri cuori forza, virtù, valore, rassegnazione”. E’ questa la riflessione intima che Vito Biancofiore pensò la mattina del 10 Gennaio 1943, giorno del suo giuramento di soldato nella caserma della Marina

Militare di Brindisi. In questa frase vi è il senso profondo del soldato Biancofiore al servizio della Patria, col pensiero della famiglia, sostenuto dalla Fede. Valori profondi, forti, consapevoli che, a distanza di oltre sessant’anni, sono stati confermati con la stessa tenacia, mercoledì 24 Maggio, nella Sala delle Conferenze del Palazzo della Cultura, quando, alla presenza del sindaco, Gino Montanaro, del delegato alla cultura, Antonio Bradascio, del consigliere provinciale, Augusto Pardo, del consigliere regionale, Pietro Lospinuso, nonché di molti insegnanti ed amici, il maestro Biancofiore, così è da tutti riconosciuto, ha presentato il libro di memorie della sua esperienza di guerra “Lero - Una storia dimenticata”. Pubblicato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Ginosa, il libro è il IV della collana “Vestigia Temporis” dei Quaderni della Biblioteca Civica di

Ginosa. Precisamente è la trascrizione di un quadernone scritto dal maestro durante la sua permanenza a Lero e di foglietti sparsi raccattati e scritti durante la prigionia, come sostiene Giovanni Avarello nella prefazione. Lero è un’isola nel mar Egeo. Su quest’isola Vito Biancofiore vi giunse l’8 Aprile del ’43, appena ventenne, per

adempiere al suo dovere di soldato come migliaia di altri giovani. Il valore della Patria è riconosciuto seriamente dal giovane soldato; infatti, a pagina 21 leggiamo: presi in mano seriamente la mia vita e mi misi da solo di fronte alle mie responsabilità: la divisa, il mio servizio, il mio dovere di combattente per la Patria. La Patria non è soltanto un territorio, è il pensiero d’amore, il senso di comunione che stringe in uno tutto gli individui che abitano quel territorio. La Patria è come la mamma con le sue attenzioni e il suo gran cuore, e come tale bisogna amarla, rispettarla, difenderla. Occorre comprenderla, darle prosperità nel campo del lavoro, delle scienze delle arti, delle lettere, fama di onestà e di rettitudine e di sacrificio in particolare sul campo di battaglia, ma anche per il bene collettivo e il trionfo degli ideali sacri”. Vito Biancofiore la guerra l’ha realmente vissuta e combattuta. Ha conosciuto il pericolo, la fame, la paura, l’eroismo dei suoi compagni e superiori, la crudeltà e l’odio antisemitico dei soldati tedeschi che lasciarono morire una famiglia ebrea in mezzo al mare. Ha visto lo strazio

dei corpi dilaniati dalle armi, sentito le urla di disperazione. Ha vissuto la prigionia, la dura condizione dei lavori forzati e la paura del condannato a morte. Ha provato l’impotenza di non poter fare nulla se non affidarsi alla preghiera e misericordia di Dio. Ma ha dato anche prova di umanità e di bontà nell’assistere chi era in condizioni peggiori delle sue e, soprattutto, ha

dimostrato un eroico coraggio nella difesa di Lero meritando la Croce di guerra, un Encomio solenne e il Riconoscimento delle Campagne di Guerra, 1940-43. Dalle pagine del diario si evince che Vito Biancofiore è stato un riferimento per tanti soldati non solo perché persona istruita ma perché era un amico sempre pronto e con la parola di conforto e fiducia. Ma quello che più colpisce del giovane soldato è il senso profondo della Fede che anche nei momenti più disperati è stata

una ragione di vita. Così, il mese mariano, le celebrazioni Eucaristiche, le preghiere, e persino l’altarino alla Madonna nel mese di Maggio, hanno trovato un momento di pace nel tempo della guerra, coinvolgendo anche gli aguzzini. Fanno riflettere, inoltre, le annotazioni del 18 Gennaio 1943, quando la Fede e le invocazioni a Maria, lo guidarono l’evasione verso la libertà. Vito Biancofiore durante la presentazione ha coinvolto tutti raccontando con dovizia di particolari tutti gli episodi più importanti come se fossero accaduti solo ieri. Profondo è il segno lasciato dall’esperienza di guerra che toccò tutti i giovani di allora, tantissimi dei quali non fecero più ritorno a casa. Per il loro sacrificio, per dire agli uomini di oggi che la guerra è sempre dolorosa, per insegnare ai giovani che il valore della Patria ha richiesto un prezzo altissimo, il maestro ha deciso di pubblicare gli appunti custoditi gelosamente per tanti anni e che ora sono patrimonio della Storia.

Palma Martino

Vito Biancofiore ancora una volta maestro

Presentato il libro Lero - Una storia dimenticata

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Larga la bocca, rezzi i capelli. Correvano felici gli ultimi anni cinquanta e la spiaggia di Ginosa Marina diventava più moderna anche se i pagliai e le baracche erano ancora in prima fila di qua e di là dell’unico vero stabilimento balneare esistente, il Miramare. C’era un’area centrale cosparsa di moderni ombrelloni multicolori frammisti ai neri ombrelli parapioggia che supplivano. Nella parte alta della spiaggia allineati decine di loculi di sabbia con dentro i bisognosi di cure paratermali antireumatiche, coperti di sabbia bollente che li cuoceva. I loculi preparati e non ancora utilizzati rimanevano segnalati con un paio di scarpe piantate a capitale, in attesa che la sabbia si asciugasse e raggiungesse la temperatura di cottura ideale sotto il sole incandescente. Lo struscio sul bagnasciuga era molto praticato per farsi vedere e per vedere. Ogni tanto un capannello richiamava l’attenzione dei curiosi, come quella volta che un pescatore dormendo in mutande sotto un telo mostrava i suoi zebedei, che le signorine tonde e baffute andavano a spiare ridacchiando. O quella volta che decine di persone guardavano incuriosite e sorprese (chi l’aveva mai visti prima?) due uomini di pelle nera. Li guardavano e ci giravano intorno come fossero allo zoo. Che strani personaggi: alti e neri, neri da capo a piedi, e le palme delle mani e dei piedi così bianche! E gli occhi grandi e bianchi, e quei denti come splendevano! I due si guardavano intorno, sorpresi e divertiti anche loro da questi indigeni bianchi bassi e rotondetti che non avevano mai visto un nero in vita loro. Ma dove erano mai capitati? La curiosità, che, come dice Mariolina, è un difetto femminile che tutti gli uomini hanno, portò a tentare un colloquio, ma i due non parlavano italiano. Si fece avanti Nicola Sannelli che essendo stato prigioniero dei francesi parlava quella lingua, fece da interprete per l’intervista che seguì. Perché avete i capelli così rezzi? chiese una. Perché avete le labbra così grosse? disse un’altra. E poi perché avete la pelle così nera? Santa ingenuità. Chi se l’immaginava che qualche decennio dopo ci sarebbero stati neri che avrebbero parlato il dialetto ginosino!

Toh! Chi si risente: Oh Biancofiore!. Le capriole politiche degli ultimi anni ci avevano fatto credere passato il tempo dei partiti e delle campagne elettorali cantate e suonate ad alto volume. Gli inni di partito sembravano messi un po’ in disparte, non più trendy mentre il trend tendeva all’unificazione, di qua e di là, di partiti disomogenei. Cacciato dalla porta di tangentopoli è rientrato dalla finestra di questa campagna elettorale l’inno democristiano che grazie alla lista che sosteneva la candidata Benintendi è tornato al svettare sul palco comiziale (inteso come luogo dei comizi e non nel senso della malattia comiziale come pure certi comizi potevano far credere). Oh biancofiore, simbolo d’amore…. Ci siamo trovati indietro nel tempo di decenni, quando la piazza era percorsa contemporaneamente dagli inni di tutti i partiti che col volume al massimo cercavano di zittire gli altri. Di qua il biancofiore, di là l’internazionale socialista, mentre bandiera rossa ossessiva si ficcava martellante nel cervello; ...si scopron le tombe , si levano i morti… minacciava l’inno di Garibaldi e l’inno nazionale faceva da comune denominatore alternandosi con la marcia reale dei monarchici residui. La politica era passione verace e spettacolo sanguigno. Dai paesi vicini si davano la parola: andiamo a Ginosa che ci sono i comizi! E ce n’era di che! Tra i comizianti c’era chi scambiando il palco col ring, gridava : …da questo ringo!..., mentre altri si paragonavano ai laboriosi insetti: …noi siamo come le lape!..., e chi guardava: …attraverso le spaccazze! Altri tempi, stessa cultura. Oggi come allora niente discorsi, solo comizi.

Michele Galante (2006)[email protected]

I GINOSINI

Unico 2006: nuove deduzioni -novità

Debutta con l’Unico 2006 la nuova deduzione per carichi di famiglia, la cosiddetta “family area” che sostituisce le vecchie detrazioni d’imposta.Alla “no tax area” già in vigore negli anni precedenti va aggiunta la nuova deduzione, che si riflette anche sul calcolo delle addizionali regionali e comunali.Quindi, per l’anno 2005, si hanno due imponibili ai fini delle addizionali e dell’Irpef:- l’imponibile ai fini Irpef va determinato al netto della “no tax

area” e della nuova family area;- l’imponibile, ai fini della addizionali regionali e comunali,

va determinato al netto della nuova family area e al lordo della no tax area.

Entrambe le deduzioni sono vincolate al tipo e all’importo del reddito personale.Partono, inoltre dal 2005 e, quindi con l’Unico/2006, altre novità importanti:• gli acconti saranno vincolati alla scelta di aderire alla

programmazione fiscale relativa al triennio 2006/2008;• il limite minimo di versamento di ciascuna imposta passa da

10,33 euro a 12,00 euro;• è possibile destinare una quote del 5 per mille dell’Irpef a

enti o associazioni di ricerca, assistenza e volontariato;• occorre esercitare la scelta se le eventuali comunicazioni

dell’Agenzia delle Entrate, relative al controllo della dichiarazione, devono essere inviate direttamente al contribuente o telematicamente al professionista abilitato (quest’ultima soluzione consente di utilizzare un termine di 60 giorni in più per la risposta).

Non vanno, inoltre, dimenticate le deduzioni dal reddito complessivo delle spese sostenute per gli addetti all’assistenza personale e la detrazione dall’imposta per le spese effettivamente pagate per la frequenza degli asili nido. Infine va ricordato che debutta quest’anno il nuovo modello “F24net” che consente di pagare le imposte direttamente da casa.

Dott. Mario D’Alconzo

Noi e il fisco

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La Goccia n. 11 del 3 giugno 2006EVENTI E COMMENTI 40

Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.110 del 13 maggio 2006 del decreto del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali del 6 aprile 2006, n. 174 “Regolamento per il funzionamento del sistema telematico delle Borse merci italiane, con riferimento ai prodotti agricoli, agroalimentari ed ittici” è nata la “Borsa merci telematica italiana dell’agroalimentare”. Si tratta di un mercato telematico, analogo alla Borsa Valori, grazie al quale si effettueranno le contrattazioni dei prodotti agricoli, agroalimentari e ittici. La Borsa è dotata di un organo di vigilanza e di controllo con compiti simili a quelli della CONSOB, e di un elenco di soggetti abilitati all’intermediazione, paragonabili alle SIM, a tutto vantaggio dell’efficienza e della trasparenza delle transazioni. Il funzionamento di tale entità sarà effettuato dalla società Meteora Spa, facente parte del sistema delle Camere di Commercio costituita all’unico scopo di organizzare e gestire la contrattazione via internet, senza alcuna commissione, dei prodotti agricoli, agroalimentari e ittici. Il meccanismo promette di essere estremamente semplice, essendo simile a quello di una bacheca dove il venditore specifica le caratteristiche di quanto offre, la quantità e il prezzo. Con un clik l’acquirente potrà acquistare la merce, perfezionando così la negoziazione. Una copia del contratto così stipulato verrà trasmesso a entrambe le parti. Per prendere parte, nella qualità di acquirente o venditore, è necessario essere un produttore agricolo, un agente d’intermediazione o d’affari, un commerciante, un utilizzatore, una cooperativa, un operatore

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Il parere del tecnicorubrica a cura di Raffaele Fanelli

della pesca o della grande distribuzione. E’ necessario inoltre, a norma del comma 2 dell’art 8 del Regolamento Generale essere in possesso di determinati requisiti: capacità giuridica, capacità tecnico-professionale, capacità economica-finanziaria, onorabilità. Per poter accedere al servizio è necessario inoltre versare una quota di iscrizione di 138,00 euro + Iva e un canone annuale di 87 euro + Iva. Talune Camere di Commercio prevedono delle agevolazioni, anche economiche, per le aziende che intendono utilizzare tale innovativo servizio. La Borsa merci telematica rappresenta

quindi un sistema potenzialmente innovativo per favorire lo sviluppo del mercato agricolo, agroalimentare e ittico. Svincolandosi dai mercati locali e dall’influenza delle “leadership”, legali o illegali, di intermediari e commercianti è favorita sicuramente la trasparenza dei prezzi e una dinamica della domanda e dell’offerta più corrispondente alle regole del libero mercato. Tutto questo, naturalmente, in potenza. Alcune incognite infatti gravano sulla riuscita del progetto. Le adesioni, che ci si augura massicce, favoriranno indubbiamente la creazione di un largo ed ampio mercato nazionale, consentendo rilevazioni sui

prezzi reali che diventerebbero quindi un punto di riferimento insostituibile. In caso contrario, scarsi scambi e contrattazioni non consentiranno alla Borsa merci telematica di essere il fulcro e il cuore del mercato agricolo/agroalimetare/ittico italiano.

Sarà inoltre determinante un accorto e accurato controllo perché eventuali cartelli, azioni speculative inficino la fiducia in questo nuovo strumento. Nessuno degli operatori, tanto che si tratti di agricoltori quanto di commercianti, deve prevalere, in nessuna misura, sulla controparte. I punti di forza della Borsa merci telematica, spazio al libero mercato e alla trasparenza, rischiano quindi di diventare i principali nodi e spine del sistema. Un’opportunità che speriamo non vada sprecata.

E’ NATA LA BORSA MERCI TELEMATICA

DELL’AGROALIMENTARE

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La Goccia n. 11 del 3 giugno 2006EVENTI E COMMENTI 41

La CGIL compie 100 anni (5) La rivendicazione del controllo del processo lavorativo e della sicurezza. Dal 1970 i rapporti di forza, all’interno dell’Ital-sider divennero chiari. Il sindacato con l’elezione dei Consigli di fabbrica e la formazione dei quadri sindacali si appropriò del ruolo di controparte attiva nella gestione del lavoro. Fu quello il periodo in cui FIM, FIOM e UILM, elaborarono unitariamente una piattaforma rivendicativa che investiva sicurezza, organizzazione del lavoro e gestione degli appalti. La discussione di tale piatta-forma sarebbe stato il momento decisivo della legittimazione del ruolo del sindacato all’interno della fabbrica. Gli operai che fino a qualche mese prima avevano paura di lottare, in quel momento mostrarono tutta la loro decisione. Il padronato (e alcuni rami della dirigenza sindacale) non era convinto della determinazione e del seguito che avrebbe avuto la rappresentanza sindacale di fabbrica, nell’eventuale sciopero paventato a sostegno della trattativa. Ma dovette ricredersi allorquando il 31 Agosto del 1971 un dipendente della Obf morì schiacciato dal braccio di una gru semovente, ab-battutosi al suolo e il comitato interaziendale, il giorno successivo, proclamò lo sciopero delle imprese appaltatrici. La sua riuscita sancì la sconfitta di quanti avevano espresso dubbi sulla capacità di mobilitazione degli operai. Lo sciopero del 1 settembre 1971, può essere considerato il primo atto della vertenza che vide il sindacato impegnato sulla regolamentazione del lavoro in appalto. Ma la morte del 31 agosto fu soltanto la prima di altre undici morti bianche che si verificarono nel solo arco di un anno (31 agosto 1971 - 25 gennaio 1972). In quel periodo, però, altre rivendicazioni affioravano. «Cominciava a delinearsi anche il destino di migliaia di lavora-tori che avevano realizzato il raddoppio del IV centro siderurgico Italsider, in particolare quello degli edili: oltre a far scendere in campo, fianco a fianco, dipendenti dell’appalto e dipendenti Italsider diventò indispensabile coordinare e pensare le lotte di categorie (edili e metalmeccanici) differenti, in funzione di spe-cifici problemi nel rapporto di lavoro e di adeguate prospettive occupazionali. (...) Sotto la spinta dei delegati, le manifestazioni sindacali, via via più serrate e incisive, sfociarono nell’importante sciopero del 19 novembre 1971, relativo all’ambiente di lavoro che riguardava l’Italsider. Successivamente, il 29 novembre, il primo sciopero del settore degli appalti realizzato a Taranto.» (Il caso Taranto - Consiglio/Lacava) Le rivendicazioni esposte durante quel periodo di lotta trovarono in alcuni casi, soddisfazione da parte del padronato: regolamentazione dell’affidamento del lavoro in appalto; assorbi-mento da parte dell’Italsider di lavori fin a quel momento affidati in appalto; norme riguardanti l’ambiente di lavoro. E «se l’accordo del 29 novembre 1971 poteva lasciare sperare la Italsider in un periodo di relativa “pace sociale”, il verificarsi di nuovi infortuni mortali, ripropose drammaticamente il problema della sicurezza e della organizzazione del lavoro negli appalti, ponendo sempre più sotto accusa l’azienda pubblica. L’incidente del 5 gennaio 1972 - in un cunicolo nei pressi dell’altoforno 3, persero la vita due

dipendenti della Italstrade e altre 2 persone rimasero intossicate; anche i soccorritori rischiarono la vita. In seguito all’incidente l’Italsider bloccò immediatamente i lavori affidati all’Italstrade; i suoi dipendenti furono messi in cassa integrazione. - rese evidente l’impossibilità di concedersi pause, sul problema della sicurezza in fabbrica; immediata fu la reazione di tutta l’area industriale; blocco della strada per Bari (per sensibilizzare gli automobilisti e i cittadini), sciopero nazionale di metalmeccanici contro le morti bianche, per il giorno seguente. In questa occasione, anche gli Enti Locali furono costretti a prendere posizione; tra l’altro fu dichiarato il lutto cittadino e l’amministrazione provinciale inviò un contributo in denaro alle famiglie dei due operai rimasti uccisi; furono nominate commissioni comunali d’inchiesta. Contemporaneamente il ministro del Lavoro fu sollecitato ad avviare un’inchiesta nazionale sulle condizioni di lavoro in tutto il settore siderurgico. Solo in seguito al verificarsi, pochi giorni dopo, di un altro incidente mortale, questa volta nello stabilimento di Genova, la segreteria nazionale Fim, Fiom e Uilm, insieme al coordina-mento nazionale Italsider, denunciando la responsabilità diretta dell’azienda e respingendo la “speciosa distinzione fra infortuni che investono i lavoratori direttamente dipendenti dall’Italsider e quelli che colpiscono lavoratori di imprese in appalto”, aprì l’11 gennaio 1972, una vertenza nazionale sui temi dell’ambiente, sicurezza e appalti. Lo sdegno e il clamore suscitato da questi fatti in tutta l’opinione pubblica fu enorme - la Rai realizzò per la rubrica Cro-nache Italiane, nel mese di febbraio, un processo pubblico sulle morti bianche, alla inchiesta-dibattito non ritenne di partecipare alcun imprenditore -. Era ancora vivo il ricordo delle due vittime della Italstrade, quando il 25 gennaio (20 giorni dopo), un altro operaio perse la vita nello stabilimento di Taranto: da quel momento, per un lungo periodo, la mobilitazione unitaria dei lavoratori dell’area industriale non conobbe più soste: ogni giorno si realizzavano scioperi e manifestazioni; fu indetto un nuovo sciopero nazionale per il 27 gennaio. La volontà di cambiare era tale che le agitazioni cessarono solo quando all’Italsider, siglando un nuovo accordo il 19 febbraio 1972, dimostrò di accogliere integralmente le richieste formulate dalle organizzazioni sindacali. Recepito a livello di stabilimento il 29 successivo, di con-tenuto estremamente importante e complesso, l’accordo sancì la nascita, seppure informale, del comitato interaziendale di sicurezza e modificò a tal punto la situazione esistente (o, almeno, costituì una premessa concreta al cambiamento), da suscitare immediate reazioni da parte della imprenditoria locale. I punti salienti dell’accordo possono essere così sintetiz-zati: - impegno della Italsider di assorbire, direttamente o presso altre aziende a partecipazione statale, progressivamente, tutte le attività in appalto, riguardanti lavorazioni strettamente collegate al ciclo produttivo, in applicazione della legge 1369 del 1960 (l’accordo del 29 settembre ne prevedeva soltanto alcune);- l’assegnazione ai lavoratori delle aziende appaltatrici di un monte ore di permessi (15.000) da utilizzare nelle attività di formazione dei delegati sindacali sull’antinfortunistica;- impegno della Italsider, sotto il controllo del sindacato, a non concedere appalti alle aziende che non garantiscono l’applicazione delle normative, contrattuali e legislative, in materia di diritti dei lavoratori;

Civiltà Puglieserubrica di cultura, storia,

ambiente e tradizionia cura di Adele Carrera

segue a pag. 43

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Sabato 4 marzo a Cagliari, nel corso del suo primo intervento pubblico, il nuovo governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi ha – tra le altre cose – compiuto un’analisi della situazione del sistema finanziario nazionale rivolgendo precise raccomandazioni alle banche. Nell’ambito del suo intervento, il neo governatore ha dedicato un passaggio significativo al ruolo delle banche locali. “Le banche di minore dimensione – ha affermato – hanno consolidato le proprie posizioni nei mercati locali, sfruttando i vantaggi comparati nell’offerta di credito alle piccole e medie imprese”. Si tratta di un riconoscimento significativo che si pone in continuità con le ultime Relazioni della Banca d’Italia.

Nel suo intervento il governatore ha anche invitato tutta l’industria bancaria italiana, quindi anche la componente delle Banche di Credito Cooperativo, a raggiungere un livello di maggiore efficienza, produttività e competitività. Obiettivi già perseguiti dal

sistema del Credito Cooperativo che, peraltro, vede crescere le proprie quote di mercato e la propria reputazione, senza trascurare la coerenza con la propria missione specifica e la peculiare identità, scegliendo una linea strategica chiara e netta che non predilige a priori le operazioni di fusione tra Banche di Credito Cooperativo, ma investe, comunque in maniera convinta e determinata, sullo sviluppo del sistema “a rete” e sull’incremento del grado di coesione tra tutte le componenti del Credito Cooperativo. Tutto ciò diventa una forma di garanzia incrociata a protezione della clientela che rimane il primo punto di riferimento.

Le affermazioni del governatore Mario Draghi sembrano pertanto costituire un ulteriore ed autorevole impulso, seppure indiretto, a lavorare celermente nei progetti già intrapresi e condivisi dalle Banche di credito Cooperativo in generale e da quella di Marina di Ginosa in particolare.

BCC MARINA DI GINOSA Uff. Finanziario

ESISTE L’INVESTIMENTO PERFETTO?

segue da pag. 41- impegno dell’Italsider, per i lavoratori non compresi tra le attività di costruzioni dei nuovi impianti, a un’azione di coordinamento sotto il profilo antinfortunistico. Esclusi dalle trattative, gli imprenditori tarantini rivolsero alla Italsider e alle organizzazioni sindacali, una pesante accusa di discriminazione nei loro confronti e, per non essere da meno, gli industriali dell’appalto formularono una richiesta di incontro immediato sul problema al ministro delle partecipazioni statali, dando implicitamente a intendere che, pur di non correre il rischio di essere espulsi dall’area industriale, sarebbero stati disponibili a confrontarsi con il sindacato e a rispettare i contratti e le norme vigenti in materia di lavoro. Rispetto alla polemica, sollevata dalla associazione industriali tarantini, l’allora ministro delle partecipazioni statali, Falminio Piccoli, in un primo momento fornì assicu-razioni agli imprenditori, ma successivamente fu costretto a limitare il suo intervento a un invito all’Italsider e agli stessi imprenditori per l’avvio di un “dialogo tecnico”, che avesse anche lo scopo di concordare strumenti atti ad evitare la di-soccupazione di ritorno nell’area industriale. Agli imprenditori, il sindacato rimproverò di avere “solo verbalmente rivendicato un ruolo di iniziativa privata, mentre nella realtà si adagiavano in atteggiamenti volti uni-camente ad utilizzare le possibilità momentanee create dai lavoratori di raddoppio”; invitandoli, però, a “... una diversa politica economica che punti alla creazione di aziende capaci di trasformare le ricchezze che si producono”. Nonostante le sollecitazioni delle parti e le dichiara-zioni di intento, però, il livello di credibilità degli industriali jonici non accennò ad elevarsi, anzi, in questo stesso periodo, fallirono nell’indifferenza le uniche iniziative di investimento promosse (Camel, Cement Jonio, Tribuzio, Omi), mentre la stessa Associazione industriali, per bocca del suo presidente,

giustificava gli imprenditori impossibilitati a realizzare ini-ziative destinate in partenza a diventare luoghi di scontri e di lotta con i dipendenti, che “fatalmente porta alla chiusura delle aziende”, ammettendo, così, implicitamente, la vocazione clientelare e speculativa della gran parte dei suoi associati. Con questa classe imprenditoriale, che in realtà chiudeva tutti i canali di dialogo con il sindacato, si dovrà condurre la battaglia per al soluzione dei problemi imposti dalla disoccupazione di ritorno nell’area industriale; con essa e, a volte, suo malgrado, le forze più vitali, sindacali, econo-miche e politiche, saranno impegnate a stimolare e valorizzare iniziative industriali operativamente autonome dall’azienda siderurgica e a favorire la creazione di un tessuto produttivo diversificato nell’area tarantina. Le grandi lotte della fine del 1971 e dei primi mesi del 1972, e il conseguente accordo di febbraio 1972, non bastarono a ad interrompere la catena degli omicidi bianchi nel centro siderurgico. Se era giusta la strategia della razio-nalizzazione e del controllo degli appalti, i risultati tardavano ad arrivare. Ci sarebbero voluti ancora degli anni perché il movimento sindacale potesse raggiungere gli obiettivi che si era prefissati; l’impegno e gli interventi dovevano colpire più in profondità; in particolare, era necessario aggredire con forza e convinzione l’organizzazione del lavoro nella grande fabbrica. Cosa che, però, richiedeva esperienza e conoscenza approfondita del ciclo di produzione e dei metodi di lavoro, oltre a una costante mobilitazione.» (op. cit) - continua -

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ARA

TERZA CATEGORIA / La “ics” predomina nelle ultime quattro gare

Il Ginosa conclude il torneo al sesto postoI biancazzurri non vanno oltre il pari (1-1 con Maruggio e Real

Statte) negli ultimi due incontri della stagione e chiudono il torneo al sesto posto. Unica squadra, quella ginosina, ad aver conservato

l’imbattibilità interna.

Il mese di maggio consegna al Ginosa quattro pareggi che consentono di occupare il sesto posto in classifica, con il vanto di aver concluso il torneo mantenendo inviolato il “Miani”. Purtroppo i troppi pareggi (ben 13) hanno impedito ai biancazzurri di poter occupare una posizione di classifica migliore. Nella penultima giornata, i biancazzurri si congedano al “Miani” impattando per 1-1 contro un modesto Maruggio. Prima frazione equilibrata con i ginosini poco incisivi. Dopo un paio di conclusioni fuori misura, al 28’ il Ginosa passa grazie ad un destro preciso ed angolato di Francesco Bozza che non lascia scampo al portiere avversario. A quel punto i biancazzurri tirano il fiato e la reazione ospite non si fa attendere. Dopo un salvataggio sulla linea di Tarantini (34’), il Maruggio al 38’ perviene al pareggio grazie al suo centravanti che approfitta di un’indecisione difensiva locale ed infila l’estremo difensore ginosino. La ripresa vede un Ginosa arrembante alla ricerca del successo ma la scarsa lucidità sottoporta non permette ai biancazzurri di centrare la vittoria. Stesso risultato (1-1) nell’ultima giornata che ha visto il Ginosa impegnato sul non facile campo del Real Statte. I padroni di casa, forti del terzo posto in classifica, premono sin dalle prime battute per chiudere in gloria il proprio campionato. Nei primi venti minuti si registra un netto dominio dei locali che prima sfiorano il vantaggio cogliendo una traversa e poi lo concretizzano andando in rete verso il 20’. Verso la mezzora esce dal guscio il Ginosa che rende la gara più equilibrata. Nella ripresa i biancazzurri entrano sul terreno di gioco più determinati e si

affacciano più volte nell’area avversaria. Al 15’ giunge il meritato pari grazie a Ferrara che, sugli sviluppi di un corner, sbroglia una mischia in area insaccando la sfera alle spalle dell’estremo difensore. Da qui alla fine non accade quasi più nulla se non nel finale quando, su azione di rimessa, i biancazzurri non riescono a finalizzare un contropiede che avrebbe consentito di portare a casa il bottino pieno. Comunque il pari alla fine sembra il risultato più giusto per quanto visto sul campo. Il campionato giunge così all’epilogo ma avrà una coda per la disputa dello spareggio tra Ponzetta e Paolo VI che l’11 giugno si contenderanno il primato e la conseguente promozione in Seconda Categoria.

29a giornata (21/05/06): Ginosa-Aldo Demitri Maruggio 1-1.Risultati 30ª ed ultima giornata (28/05/06): Ponzetta-Ausonia 9-0; Paolo VI-Faggiano 3-0 a tavolino; Real Statte-Ginosa 1-1; Anspi-Olimpia Lizzano 3-0 a tavolino; Sporting Mottola-Olimpia Crispiano 3-1; Gioventù Lizzano-Scintille Grottaglie 4-7. Hanno riposato: Centro Jonico e Aldo Demitri Maruggio.

Classifica finale: Ponzetta 68; Paolo VI 68; Real Statte 60; Sporting Mottola 58; Scintille Grottaglie 56; Anspi 55; Ginosa 52; Olimpia Crispiano 32; Centro Jonico 32; Gioventù Lizzano 29*; Ausonia 27; Aldo Demitri Maruggio 27; Faggiano 11**; Olimpia Lizzano 7*; Vittoria Grottaglie 0 (escluso dal campionato). (*) 2 punti di penalizzazione – (**) 3 punti di penalizzazione. Spareggio promozione (11/06/06 ore 16,00 – Stadio “Italia” di Massafra): Ponzetta-Paolo VI.

Domenico Ranaldo

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beghelli

Io credo…in Gesù Cristo, nostro

Signorea cura di Giuseppe Pizzulli

Che cosa implica il fatto di credere in Gesù Cristo? Vuol dire che il credente che dichiara la fede nel Dio Padre, crede ed accetta Gesù quale Salvatore del mondo, che per la fede diviene il proprio Salvatore. Infatti il nome di Gesù = Jehoshua in Ebraico, vuol dire proprio: Dio salva, l’Eterno salva. Gesù è tale qual è il Suo nome. Così diceva la voce profetica d’Isaia:”Dite a quelli che hanno il cuore smarrito: Siate forti, non temete! Ecco il vostro Dio…verrà Egli stesso a salvarvi” (Is.35,4). Tutta la Potenza di Dio sta nel NOME di Gesù e nella Sua Persona. L’appellativo “Cristo”, gli è stato attribuito, in quanto Egli è l’Inviato per eccellenza, l’Unto di Dio, il Cristo, il Messia. Il credente cristiano non ha difficoltà a credere che Gesù è Dio e uomo nello stesso tempo; nato dal Padre prima di tutti i secoli, Verbo creatore (Gv.1,1-3), Dio vero dal Dio vero, generato e non creato (Sal.2,7), della stessa sostanza del Padre. Per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, il quale è l’immagine dell’Invisibile Iddio… ed Egli è avanti ogni cosa (Col.1,15-17; Gv.8,56-58). Questa dichiarazione del credente non è, dunque, basata su una fede puramente intellettuale, ma è l’accettazione del cuore mediante la conoscenza pratica e sperimentale nella propria vita, cambiata e trasformata dalla Potenza dell’Evangelo di Cristo. E’ una dichiarazione di fede basata

sulla rivelazione delle parole di Gesù (Gv.14,1-11; Mt.11,25-27), che c’induce alla fede e alla conoscenza del Padre e del Figliuolo. Credere in Gesù Cristo vuol dire ascoltare la Sua Parola, come il Padre stesso ha raccomandato (Mt.17,5); per avere Vita Eterna (Gv.5,24), per vivere e camminare nella Luce, nella Verità, nella giustizia e nella santità. Credere in Gesù Cristo vuol dire considerarlo come l’Unico Mediatore fra l’uomo e Dio (1°Tm.2,5; Gv.14,6), senza bisogno di altri intercessori, mediatori o mediatrici, essendo Egli l’Unico che intercede per noi presso il Padre (Rm.8,33,34). Le parole di Gesù sono chiare e inequivocabili: “Io sono la Via, la Verità e la Vita, nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. Gesù Cristo è l’Unico Salvatore accreditato da Dio Padre per cui ottenere Salvezza (At.4,12), per la fede nel Suo eccellente Sacrificio sostitutivo, Unico e irripetibile, offerto sulla Croce per i nostri peccati, per porre fine a tutti Sacrifici di tori, di becchi e di agnelli, offerti nel Vecchio Patto (Eb.9,11-15). Solo Gesù Cristo ha potuto compiere, “una volta per sempre”(Eb.10,12-14), l’Opera di Salvezza, di Riscatto e di Redenzione, perché era senza peccato, Santo, innocente, separato dai peccatori (Eb.7,26,27); Egli giusto per gl’ingiusti, per condurci a Dio (1° Pt.3,18). “Perciò il Padre lo ha sovranamente innalzato, e gli ha dato un NOME al di sopra di ogni nome; affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei Cieli, sulla Terra e ovunque, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il SIGNORE alla gloria di Dio Padre”(Filip.2,5-11). Caro amico cristiano, credi tu in Gesù Cristo in tal senso? Puoi tu affermare in piena convinzione le ragioni della tua fede sulla base di questo CREDO?

Hai tu fatto di Gesù Cristo il Maestro, Salvatore e SIGNORE della tua Vita? Sei tu nato di nuovo secondo che Gesù richiede da ogni credente (Gv.3,3-5), per avere l’accesso nel Regno di Dio? Hai esperimentato il perdono dei tuoi peccati e la certezza della salvezza, per fede nell’Opera di Gesù alla Croce? Se non puoi rispondere in modo positivo a questi interrogativi, allora sei ancora un peccatore perduto. Forse sei anche religioso, ma ricordati che la tua religione non può salvarti. Rivolgiti a Gesù così come tu sei, digli pure dei tuoi problemi, esprimigli le tue perplessità, le tue delusioni, dei legami che non riesci a slegarti, dei peccati che non riesci a liberarti o quella strana inquietudine che attanaglia il tuo cuore. Parla a Gesù in preghiera come ad un amico, confessagli le tue debolezze, i tuoi peccati, il fallimento di una vita sbagliata; Dio ti ama, ti comprende e ti vuole perdonare, salvare, liberare, guarire le tue complessità o anche la tua malattia. Stai forse vivendo una situazione difficile? Un matrimonio in crisi? Qualunque sia il tuo disagio, Dio ti può aiutare. Invocalo con tutto il tuo cuore e l’Eterno interverrà in tuo favore. Ricorda, solo Gesù può darti Pace, Salvezza, Conforto e vita nuova. Coloro che volessero mettersi in contatto con noi, il nostro indirizzo è il seguente: Chiesa Cristiana Evangelica A.D.I. Via Verbena 7, GINOSA – TA. Le nostre riunioni si tengono: Martedì e Giovedì alle ore 19, la Domenica alle ore 17. A LATERZA in Via P. Amedeo 45, Lunedì e Giovedì alle ore 18, la Domenica alle 10,15. Inoltre, Radio Evangelo trasmette su 102,300 Mhz, ogni giorno dalle 7 del mattino alle 23. Dio vi benedica e buon ascolto. L’Iddio della Pace, della Grazia e della Consolazione sia con tutti voi.

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La pallamano ginosina è nella storia. Domenica scorsa, sul parquet del Palazzetto dello Sport di c.da Cavese, la formazione del presidentissimo Peppino Tortorella, ha battuto con un perentorio 34-19, il Conversano, aggiudicandosi lo spareggio per approdare in serie B. Partita vibrante, e sempre in mano alla formazione di casa, che ha giocato una gara davvero impeccabile. Il vero mattatore della giornata, è stato Vincenzo Caporusso, autore di ben 17 reti, la metà di quelle realizzate dal Ginosa. Da ricordare anche la prestazione del portiere Blasi, autore di ottimi interventi. Ma la vera carta vincente di questa promozione, è stato soprattutto il gruppo, che ha dominato alla grande questa stagione. Da Facilla Giuseppe, ad Orfino Angelo, e come non citare anche gli altri protagonisti di questa cavalcata, che rimarrà nella storia della pallamano ginosina. Vito Masciulli, Giuseppe Caporusso, Vincenzo Caporusso, Masella Giuseppe, Annichiarico Daniele, Blasi Cosimo, Mario Ratti, Bitella Nicolangelo, Giovanni Losito, Pasquale Gasbarro, Flavio Magazzino, Michelangelo Pacente e Luciano De Marco. E poi l’artefice di questa promozione: l’allenatore, Angelo Bianchi, un vero trainer, che ha saputo dare la carica giusta nei momenti particolari della stagione. Un vero maestro per questa squadra. Da sottolineare anche la collaborazione del Dott. Leccese, medico sociale della

Pallamano: Il Presidente Peppino Tortorella centra uno storico traguardo.

L’Handball Sport Club Ginosa conquista la Serie B

La pallamano ginosina vince il campionato di serie C maschile, e approda in serie B, disputando una grande stagione.

Nella gara spareggio, strapazzato il Conversano per 34-19.

società, e del professor Giovanni Materano. E poi l’artefice di questo successo. Il presidentissimo, Peppino Tortorella, che non ha bisogno di presentazione, perché l’amore che ha per questo sport da tantissimi anni, va al di sopra di ogni commento. La pallamano per Peppino è tutto. Nel suo Dna, cè solo l’Handball. La promozione in serie B, va dedicata soprattutto a lui, un grande uomo di sport. Per quanto riguarda lo spareggio, ricordiamo, che la F.I.G.H. ha dovuto far effetture i playoff per decretare la squadra vincitrice del girone. I playoff, sono stati disputati con il Conversano. Nella prima gara

la formazione ginosina, ha vinto con il punteggio di 30-24. nella gara di ritorno in terra barese, il Ginosa, è stato sconfitto col risultato di 26-25. Poi la bella, disputatosi a Ginosa, dove la formazione di casa, ha strapazzato il Club 2000 Conversano con il punteggio di 34-19. Al fischio finale degli arbitri, l’apoteosi da parte dei tifosi ginosini e dei giocatori che hanno portato in trionfo il presidente Peppino Tortorella, che con grossi sacrifici economici, ha visto coronare questo grande successo. La prossima stagione il Ginosa di pallamano giocherà in Serie B, un sogno che diventa realtà.

(Gianluca Catucci)

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Questa la Rosa vincente che ha conquistato la storica Serie B:Giuseppe Caporusso; Vito Masciulli; Giuseppe Facilla;

Giuseppe Masella; Vincenzo Caporusso; Daniele Annichiarico; Cosimo Blasi; Mario Ratti; Angelo Orfino; Nicolangelo Bitella; Giovanni Losito; Pasquale Gasbarro;

Flavio Magazzino; Michelangelo Pacente; Luciano De Marco; Allenatore: Angelo Bianchi.

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infoteca

La Corte Costituzionale, il 3 maggio, si è pronunciata, con anticipo rispetto alle previsioni, sul conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato sollevato con ricorso del Presidente della Repubblica del 10 giugno 2005, nei confronti del Ministro della Giustizia e con ad oggetto l’esercizio del potere di grazia.

Il conflitto è sorto in seguito ad una nota del 24 novembre 2004 con la quale il Ministro della Giustizia ha dichiarato di non dar corso alla determinazione del Capo dello Stato relativa alla concessione della grazia ad Ovidio Bompressi, ex esponente di Lotta Continua condannato con Adriano Sofri a 22 anni di carcere per l’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi.

La nostra Costituzione conferisce il potere di grazia al Presidente della Repubblica (art. 87, undicesimo comma Cost.) in quanto rappresentante super partes dell’unità nazionale e come tale estraneo al circuito dell’indirizzo politico- governativo.

In concreto, però, l’adozione di tale provvedimento è il risultato di un complesso procedimento, che si snoda in tre fasi: quella dell’iniziativa, che può venire dal condannato o da un suo prossimo congiunto, ma che può essere assunta anche direttamente dal Presidente della Repubblica, segue poi la fase dell’istruttoria, di competenza del Guardasigilli, che, ove ritenga sussistenti i presupposti di merito e di legittimità, predisporrà lo schema del provvedimento, poi formalmente adottato con Decreto del Presidente della Repubblica.

La legge nulla disciplina circa l’eventualità che il Ministro della Giustizia decida di negare la clemenza pur in presenza di esplicita volontà in senso affermativo del Capo dello Stato. Non solo: il Ministro avrebbe potuto insabbiare la richiesta di clemenza semplicemente non dando corso all’istruttoria, come nel caso di specie.

È bene precisare che il conflitto di attribuzioni non ha avuto ad oggetto la titolarità del potere di grazia, chiaramente attribuito dall’art. 87 Cost. al Presidente della Repubblica, ma il suo concreto esercizio. Si è trattato, cioè, di un conflitto di attribuzioni per menomazione (come lo definiscono i costituzionalisti) che si

ha allorquando l’esercizio scorretto o il mancato esercizio da parte di un “potere” dello Stato delle proprie competenze, impedisce ad altri organi di esercitare le proprie.

È così sorta l’occasione per interrogare la Consulta su di un tema già oggetto di accesi dibattiti nel mondo accademico. La dottrina giuridica si era, infatti, espressa con posizioni contrastati, definendo il decreto di grazia a volte come atto sostanzialmente ministeriale e formalmente presidenziale, a volte come totalmente presidenziale, altre volte ancora come atto complesso, a partecipazione uguale.

Le tesi che sostengono un coinvolgimento sostanziale del Guardasigilli hanno come fondamentale argomento la necessità dell’apposizione della controfirma ministeriale, a norma dell’art. 89 Cost, che comporta l’assunzione della responsabilità di quel provvedimento da parte del Ministro e che, pertanto, non potrebbe considerarsi come un “atto dovuto”.

Non può dimenticarsi, d’altro canto, che l’attribuzione al Governo di un potere che incide sull’efficacia dei provvedimenti giurisdizionali intaccherebbe l’indipendenza costituzionalmente garantita all’ordine giudiziario e che, dunque, l’unico modo per scongiurare questo rischio è affidare sì delicato compito ad un organo che possa, ragionevolmente, ritenersi imparziale.

La Corte, risolvendo il conflitto in senso pienamente favorevole al Presidente della Repubblica, ha chiarito che la controfirma ministeriale ha il significato di attestazione della effettiva paternità dell’atto (con correlativa assunzione di responsabilità da parte del Ministro) solo in relazione agli atti formalmente presidenziali ma sostanzialmente governativi. Le posizioni dei due organi costituzionali si presentano, invece, invertite riguardo agli atti attribuibili formalmente e sostanzialmente al Capo dello Stato, tra i quali rientra, oramai pacificamente, la concessione della grazia. In tali casi, la controfirma ministeriale ha una funzione che si potrebbe definire “notarile”: attesta la provenienza dell’atto dal Presidente e ne garantisce la regolarità formale. Si presenta, in altri termini, come atto dovuto, espressione della leale collaborazione tra i poteri perseguita dalla Costituzione.

Indubbiamente il Ministro ha l’importate compito di condurre l’istruttoria e può ben disporre l’archiviazione laddove manchino i requisiti per il provvedimento di clemenza, ma permettergli di impedire la prosecuzione del procedimento anche nel caso in cui il Capo dello Stato, venuto a conoscenza delle risultanze dell’istruttoria, persiste nella sua determinazione equivarrebbe ad attribuirgli un inammissibile potere inibitorio su di un atto proprio del Presidente, cui partecipa solo quale garante della regolarità formale.

Maria Luisa Avellis

MARIA LUISA AVELLIS

Finalmente chiarezza sul potere di grazia

Commento alla sentenza n. 200 del 2006 della Corte Costituzionale