Tra movimento e potere. Donne e pacifismo nel · chiarazione di Sentimenti ... uno dei prerequisiti...

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Transcript of Tra movimento e potere. Donne e pacifismo nel · chiarazione di Sentimenti ... uno dei prerequisiti...

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Contemporanea / a. VIII, n. 2, aprile 2005

■ Alla ricerca di origini e tradi-zioniFino ai primi anni ’80 del secolo scorso sia

gli studi sul movimento per la pace che gli

studi di storia delle donne hanno trascurato

le attività delle associazioni pacifiste speci-

ficatamente femminili1. Ciò non solo ha

portato a scrivere una storia parziale. Ha

anche indotto a pensare che non si potesse-

ro tracciare le coordinate di un pacifismo di

genere, che non fosse necessaria una storia

delle donne pacifiste e una storia femmini-

sta del pacifismo. Tra la fine degli anni ’80 e

il decennio successivo, invece, questi temi

hanno attirato l’interesse di storiche e stori-

ci che hanno centrato il loro lavoro sui ca-

L A B O R A T O R I O

Tra movimento e potere.Donne e pacifismo nelmondo anglosassoneMaria Susanna Garroni

ratteri del contributo dato dalle donne al

movimento per la pace e sull’influenza di

tale contributo sulle relazioni internaziona-

li2.

L’esperienza delle rivoluzioni e delle guerre

napoleoniche in Europa e quelle della rivo-

luzione e delle guerre indiane negli Stati

Uniti alla fine del XVIII secolo disancorano,

o comunque rendono autonomo e indipen-

dente, il pensiero pacifista dalle apparte-

nenze religiose che ne avevano a lungo di-

segnato i contorni. La pace viene ad essere

considerata come un diritto civile da con-

quistare e difendere3. In questo contesto di

percezione di nuovi diritti, che si viene con-

solidando nel corso del XIX secolo, le don-

1 Vedi, per es., P. Brock, Twentieth-Century Pacifism, Princeton, Princeton University Press, 1970; M. Caedel,Pacifism in Britain, 1914-1945: The Defining of a Faith, Oxford, Clarendon Press, 1980. Interessante eccezio-ne e primo embrionale riconoscimento dell’originalità del pensiero pacifista delle donne del Women’s Pea-ce Party, nato nel 1915, si trova in R. Marchand, The American Peace Movement, and Social Reform, 1898-1918, Princeton, Princeton University Press, 1972, pp. 183-222.2 J. Liddington, The Long Road to Greenham. Feminism and Anti-militarism in Britain since 1820, London,Virago Press, 1989, pp. 4-5; H.H. Alonso, The Women’s Peace Union and the Outlawry of War, 1921-1942,Knoxville, The University of Tennessee Press, 1989; M. Hope Bacon, One Woman’s Passion for Peace andFreedom: The Life of Mildred Scott Olmstead, Syrcuse (N.Y.), Syracuse University Press, 1993, pp. XI-XII; E.P.Crapol, Women and Foreign Policy: Lobbyists, Critics, and Insiders, Wilmington, Del., Scholarly Resources,1992; R. Jeffreys-Jones, Changing Differences. Women and the Shaping of American Foreign Policy, 1917-1994, New Brunswick, New Jersey, Rutgers University Press, 1995.3 S. Cooper, Patriotic Pacifism: Waging War on War in Europe, 1815-1914, New York, Oxford UniversityPress, 1991, pp. 4-16.

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ne, o almeno alcune donne, quelle più dota-

te di strumenti religiosi, culturali, politici e/

o economici e emotivi, insorgono contro la

«barbarie» della guerra: si rendono conto

che il pacifismo come è stato inteso dalla

maggior parte delle organizzazioni a preva-

lenza maschile non fornisce risposte ade-

guate. La guerra che invade la sfera del pri-

vato – quel privato di cui gli uomini si ergo-

no a protettori, che infrange la barriera del-

le sfere separate, sfere volute e pretese dagli

uomini – è la prova che gli uomini non rie-

scono a far fronte agli impegni e ai ruoli che

si sono assegnati. Le donne cominciano a

vedere i nessi fra la cosiddetta «guerra ne-

cessaria» o «inevitabile», e le ingiustizie so-

ciali, la sete di potere, la protervia e la pre-

potenza dei forti e «civili» verso gli indifesi, i

deboli, i più «primitivi». Si rendono anche

conto, in forme diverse nei paesi europei e

negli Stati Uniti, che la loro condizione di

donne – quella di soggetti dalla cittadinanza

parziale e derivata da quella maschile – le

rende per molti versi vicine alle vittime di

guerra, o, per lo meno, più sensibili agli ef-

fetti devastanti delle guerre, di tutte le guer-

re, siano esse perse o vittoriose, giuste o in-

giuste.

Questo nesso tra coscienza pacifista delle

donne e guerre venne sottolineato con

grande evidenza in un numero di Women

Studies Quarterly del 1984, numero che può

quasi considerarsi una «chiamata alle

armi» per la storiografia femminista sul pa-

cifismo delle donne. Blanche Wiesen Cook,

storica già da tempo sensibile alle temati-

che pacifiste, vi denunciava in modo vee-

mente la scarsa conoscenza da parte del

pubblico delle questioni inerenti la pace, la

guerra, le relazioni internazionali. Raccon-

tava come nelle università statunitensi fos-

sero spariti i corsi sulla politica estera statu-

nitense, nella presunzione che la gente co-

mune non avesse il diritto o le capacità di

occuparsi di tali questioni; o meglio, sugge-

riva Cook, con l’intento politico di sottrarre

al controllo democratico la politica estera

del paese. E notava come in quegli anni ’80

fossero state principalmente le donne a bat-

tersi con maggior visibilità contro questo si-

lenzio sulla politica estera nazionale. Sug-

geriva quindi che «come femministe non

possiamo trascurare lo studio del potere in-

ternazionale o l’esame di chi possiede e

controlla la fonte dell’autorità, della pace e

della guerra. Dobbiamo acquisire il lin-

guaggio e gli strumenti per ridefinire, ana-

lizzare e riformulare questi campi di inda-

gine – e dobbiamo farlo alla radice [...] È un

appello alle donne affinché esigano un ruo-

lo più ampio nella formazione e nella ricer-

ca sulla pace, con l’intesa che non si può

studiare la pace senza conoscere la storia e

la politica della guerra, la realtà del milita-

rismo e il ruolo svolto dall’economia inter-

nazionale»4.

A conferma di quanto fosse stata significati-

va per la mobilitazione in favore della pace

la presa di coscienza delle donne, la rivista

pubblicò un documento del 1873, una «Di-

4 B. Wiesen Cook, Feminism and Peace Research: Thoughts on Alternative Strategy, «Women Studies Quar-terly», 1984, 2, p. 18; in questo numero si trova anche una ampia bibliografia, compilata da H.H. Alonso e M.Gustafson, sulla storia delle donne statunitensi nei movimenti per la pace, pp. 46-59.

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chiarazione di Sentimenti»5 stesa apposita-

mente per il Festival delle Donne per la

Pace, che si tenne il 2 giugno di quell’anno

in numerose grandi città degli Stati Uniti.

Scritto da Julia Ward Howe, vi si affermava

che le donne costituivano la metà del gene-

re umano, e la metà non bellicosa. E del ge-

nere umano erano le madri. Il loro duplice

ruolo, di cittadine non consultate, vittime di

decisioni in cui non avevano parte, e di ma-

dri che non volevano crescere figli per farli

diventare carne da cannone, dava alle don-

ne il diritto di esprimere un’opinione, di es-

sere ascoltate. Richiedevano allora l’aboli-

zione del ricorso alla guerra, il disarmo ge-

neralizzato e la creazione di una Assemblea

delle Nazioni alle cui decisioni ogni nazio-

ne che ne facesse parte avrebbe dovuto sot-

tomettersi. Si dichiaravano coscienti che

uno dei prerequisiti per la pace fosse quello

di offrire a tutti condizioni di uguali e digni-

tose opportunità e quindi chiedevano alle

proprie autorità di operare per eliminare le

discriminazioni sociali, religiose o politiche

e quelle fondate su sesso, colore o razza6.

Questo documento, a lungo dimenticato,

declinava l’ideologia «maternalista» del pa-

cifismo e conteneva in nuce i punti di un

potenziale, complesso programma politico.

■ La legittimazione di una nuovavisibilitàIl 1989 sembra l’anno in cui i propositi e i

suggerimenti espressi nel 1984 da Wiesen

Cook sono venuti a maturazione. Apparve-

ro infatti tre libri che aprirono la discussio-

ne sulla specificità femminista di alcuni

gruppi di donne pacifiste. Negli Stati Uniti

Catherine Foster pubblicò Women for All

Seasons: the Story of the Women’s Internatio-

nal League for Peace and Freedom7, e Har-

riet Hyman Alonso, The Women’ Peace

Union and the Outlawry of War, 1921-19458;

in Inghilterra, invece, Jill Liddington scris-

se The Long Road to Greenham. Feminism

and Anti-militarism in Britain since 18209.

Questi tre libri, per quanto diversi fra loro,

avevano in comune l’intento di mostrare

una continuità nel movimento delle donne

per la pace e di individuarne le origini intel-

lettuali. Le statunitensi scelsero di appro-

fondire lo studio di due organizzazioni par-

ticolari che avevano raccolto le voci più ra-

dicali del pacifismo femminista, l’inglese si

propose di dare un resoconto dell’ampio

novero di gruppi di donne coinvolte nel

movimento e di indagarne le origini.

Secondo Liddington fu l’ultimo decennio

dell’Ottocento che vide l’emergere di un

pensiero autonomo delle donne sulla pace.

Da un lato il famoso testo di Bertha Von

Suttner, Giù le armi [1889], dall’altro il libro

di riflessioni che Emily Hobhouse pubblicò

dopo la guerra boera (1899-1901), The

Brunt of War and Where It Fell (1902) cata-

lizzarono la cultura religiosa di donne già

5 Per il significato di questo tipo di strumento politico per dare voce alle istanze delle donne negli Stati Unitivedi R. Baritono, Introduzione a, R. Baritono (a cura di), Il Sentimento della Libertà. La Dichiarazione diSeneca Falls e il dibattito sui diritti delle donne negli Stati Uniti di metà Ottocento, Torino, La Rosa editrice,2001, pp. LV-LIX.6 J. Ward Howe, Woman’s Peace Festival, June 2, 1873, con una presentazione di A. Swerdlow.7 Athens, University of Georgia Press, 1989.8 Knoxville, The University of Tenessee Press, 1989.9 London, Virago Press, 1989.

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pacifiste, attive nel volontariato, con la cul-

tura dei diritti elaborata dal suffragismo.

Giù le armi ebbe grande successo interna-

zionale e fu tradotto in varie lingue. In esso

l’autrice, Bertha Von Suttner, certamente

non una femminista, e conservatrice per

nascita e tradizione culturale, suggeriva il

nesso fra la fragilità e vulnerabilità del cor-

po femminile e la crudeltà disumana della

guerra, metteva in luce la sofferenza delle

donne nelle guerre, ma ne richiamava an-

che la responsabilità, denunciandone la

complicità con lo spirito militarista10.

The Brunt of War and Where It Fell, invece,

traeva origine dall’esperienza della Guerra

Boera, guerra che in qualche modo fu lo

spartiacque in Gran Bretagna fra un generi-

co pacifismo femminile ausiliario di quello

maschile e un pacifismo femminista. L’au-

trice, Emily Hobhouse, fu l’anima della pro-

testa contro questa guerra e colei che scoprì

attraverso la propria esperienza e teorizzò

la specificità del ruolo femminile nel batter-

si contro la guerra. Luddington dice che le

iniziative pratiche e il programma di

Hobhouse nella Londra di Chamberlain fu-

rono visti come «political dynamite»11.

Un’altra pratica innovativa introdotta da

Hobhouse fu quella di recarsi in prima per-

sona sul luogo del conflitto come osserva-

trice indipendente e dispensatrice autono-

ma di aiuti e soccorsi. Tornata in Inghilter-

ra, cominciò a pubblicare rapporti e denun-

ce sulla situazione creata dalle truppe in-

glesi, suscitando da un lato le ire degli im-

perialisti e dall’altro sensibilizzando un più

vasto pubblico anche internazionale sulle

conseguenze devastanti della guerra. Il suo

libro divulgò alcune idee e pratiche riprese

successivamente da altri gruppi di pacifiste.

La mobilitazione pacifista statunitense

ebbe caratteristiche simili a quella inglese e

con questa ebbe frequenti contatti. Ma le

origini di uno specifico pensiero pacifista

delle donne negli Stati Uniti sono ricondotte

da Foster e Alonso all’abolizionismo e alle

confessioni quacchera e evangelica, dalla

quale provenivano molte delle donne impe-

gnate nel sociale sin dai primi anni del XIX

secolo12.

Negli Stati Uniti è la riflessione sulla costan-

te condizione di «guerra» necessaria per

mantenere il sistema schiavistico a far ri-

flettere alcune donne sulla presenza della

violenza non solo nella società allargata ma

dentro la famiglia stessa. Il rapporto violen-

to che deve instaurarsi fra padrone e schia-

vo deve per forza riprodursi all’interno del-

la famiglia, dove lo schiavo è presente con

mille mansioni. Per mantenere l’ordine e

soprattutto la sicurezza della famiglia, lì

dove vi sono gli schiavi, dove è possibile in

ogni momento la ribellione, il tradimento, o

più semplicemente ma anche più frequen-

temente l’inganno, è necessario vivere in

continua allerta, è necessario instaurare un

10 J. Liddington, The Long Road, cit., pp. 36-42; su B. Von Suttner cfr. R. Chickering, Imperial Germany anda World Without War. The Peace Movement and German Society, 1892-1914, Princeton, NJ, Princeton Univer-sity Press, 1975, pp. 78-80.11 J. Liddington, The Long Road, cit., p. 48.12 C. Foster, Women for All Seasons: the Story of the Women’s International League for Peace and Freedom,Athens, University of Georgia Press, 1989; H.H. Alonso, The Women’ Peace Union, cit.

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rigido sistema autoritario, dispensare puni-

zioni, esercitare controlli. Il rapporto padro-

ne – schiavo era simile, per dipendenza e

assenza di diritti del secondo verso il primo,

al rapporto uomo-donna. L’abolizionista

Sara Smith affermò negli anni ’30 dell’800

che le guerre organizzate per soffocare le

insurrezioni di schiavi coinvolgevano tutta

la struttura domestica in una guerra «em-

pia», atroce. Le donne ne rimanevano ne-

cessariamente colpite, pur essendo prive

del diritto di decidere se mantenere o meno

questo stato di guerra. Spettò all’abolizioni-

sta Lydia Maria Child compiere il passo

successivo. Le donne, come gli schiavi, di-

chiarò nel 1838, erano sottomesse attraver-

so la forza fisica degli uomini, e, come gli

schiavi, erano considerate più come pro-

prietà che come individui. Non solo la

schiavitù militarizzava la casa e i rapporti

fra uomo e donna, ma violava quelli che già

nel 1838 Angelina Grimkè, scrivendo a Ca-

therine Beecher Stowe, descriveva come di-

ritti umani: ovvero il diritto di tutti gli esseri

umani, di avere voce in tutte quelle leggi e

regole sia della Chiesa che della società dal-

le quali si è governati13. È nell’abolizioni-

smo che Alonso individua l’origine di prati-

che di militanza che caratterizzeranno sia il

suffragismo che il pacifismo femminista: la

pratica della non-violenza, della testimo-

nianza attraverso la partecipazione perso-

nale.

Queste pratiche ritroviamo appunto nella

Women’s Peace Union (Wpu: Unione delle

Donne per la Pace) di cui Alonso racconta

la storia. La Wpu nacque alla fine della Pri-

ma guerra mondiale da una separazione al-

l’interno del Women’s Peace Party (Wpp:

Partito della Donne per la Pace). Questo

partito era sorto per contrastare l’ingresso

in guerra degli Stati Uniti. Era un partito

pacifista nel senso che militava contro le

guerre, ma non applicava il principio della

resistenza passiva, caro alle/agli eredi di

William Loyd Garrison, l’intransigente fon-

datore del movimento abolizionista. La

Wpu, allora, raccolse quelle donne che con-

sideravano la non-resistenza un principio

inderogabile e che si ponevano un unico,

prioritario obiettivo: ottenere un emenda-

mento alla Costituzione che rendesse la

guerra illegale. Il libro della Alonso, dopo

aver descritto i vari momenti di questo par-

tito, le iniziative delle donne che si mobili-

tarono lungo tutti gli anni ’20 e ’40 del Nove-

cento per far approvare – invano – questo

emendamento, e gli uomini che in parte le

sostennero, traccia la continuità fra questo

partito e la cultura del suffragismo e vede

l’eredità della non-violenza trasmessa e

ampliata nei movimenti pacifisti femmini-

sti degli anni ’8014.

Catherine Foster, in Women for All Seasons,

offriva per la prima volta una descrizione

complessiva delle origini e delle attività in-

ternazionali della Women International Le-

ague for Peace and Freedom, dagli anni del-

la sua nascita, nell’aprile del 1915 come Co-

mitato Internazionale delle Donne Per Una

pace Permanente, fino al 1985. L’autrice

metteva in risalto l’aspetto «politico» della

13 H.H. Alonso, cit., pp. 3-6; H.H. Alonso, Peace as a Women’s Issue. A History of the U.S. Movement for WorldPeace and Women’s Rights, Syracuse, N.Y., Syracuse University Press, 1993, pp. 31-33.14 H.H. Alonso, The Women’s Peace Union, cit., pp. 163-179.

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Wilpf: per quanto vi siano solo brevi cenni,

si comprende quanto questa associazione

di donne abbia influito sulla Lega delle Na-

zioni e come fosse stata la prima organizza-

zione pacifista a creare un ufficio a Washin-

gton per esercitare pressioni sui rappresen-

tanti politici al Congresso15. Dalle diciotto

interviste ad altrettante attiviste emergeva-

no alcuni tratti che caratterizzarono la

Lega. Le donne si avvicinavano alla mili-

tanza pacifista per l’esperienza diretta o in-

diretta della guerra; fondamentale era per

molte l’esempio di altre donne, madri o

amiche, che già vi militavano. La tradizione

religiosa, soprattutto quacchera ed ebraica,

era stata un forte veicolo del loro pacifismo.

Inoltre la maggior parte di queste donne

condivideva una estrazione socio-culturale

medio-alta16.

Queste ricerche avevano avuto il pregio di

suggerire l’importanza anche di piccoli

gruppi nello sviluppo di una cultura e di

una legislazione per la pace, nazionale e in-

ternazionale; avevano anche fatto emergere

una modalità di pensiero e di azione tutta

femminile, spesso critica, se non in conflit-

to, con l’operato maschile17.

■ La dimensione transnazionaleNel solco di questo nuovo fronte di ricerca

fra il 1993 e il 1999 sono apparsi una serie

di studi che hanno collocato gruppi pacifisti

femministi sorti dalle tensioni della Prima

Guerra Mondiale come il Woman’s Peace

Party (Wpp), la Women’s Peace Union

(Wpu), la Women’s Peace Society (Wps), la

Women’s Peace Union of the Western Emi-

sphere, la Women’s International League

for Peace and Freedom (Wilpf), il Comitato

Nazionale sulle Cause e i Rimedi della

Guerra (National Committee on the Cause

and Cure of War – Ncccw) all’interno di una

complessa rete di rapporti fra associazioni

femminili, nazionali e internazionali18.

Questa prospettiva allargata consente di

considerare in ben altri termini l’originalità

delle elaborazioni teoriche e politiche delle

donne e l’influenza della loro mobilitazio-

ne. Le idee e le pratiche che questi gruppi

perseguirono e attuarono appaiono collega-

ti a una più ampia cultura delle donne che

si venne elaborando attraverso la pratica

nel sociale dagli inizi dell’Ottocento e i vari

associazionismi che da essa ebbero origine.

Peace as a Women’s Issue. A History of the

U.S. Movement for World Peace and Wo-

men’s Rights, pubblicato nel 1993 ancora da

Harriet Hyman Alonso19, ebbe il merito di

descrivere i diversi approcci al pacifismo

presenti nel suffragismo e illustrare come

questo movimento venisse quasi costretto

dal dibattito intorno alla guerra ispano-

americana del 1898 e alla Prima guerra

mondiale a prendere posizioni più nette nei

confronti del rapporto donne-guerre. L’as-

senza dei diritti di cittadinanza indeboliva

15 C. Foster, op. cit., p. 18.16 C. Foster, op. cit., pp. 119-203.17 H.H. Alonso, op. cit., p. 167.18 Questa dimensione fortemente «politica» venne messa in risalto da J. Vellacott, A Place for Pacifism andTransnationalism in Feminist Theory: The early work of the Women’s International League for Peace andFreedom, «Women’s History Review», 1993, 1, pp. 23-56.19 Syracuse, N.Y., Syracuse University Press, 1993.

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la voce delle donne anche nelle organizza-

zioni riformatrici miste quali quelle pacifi-

ste. Il separatismo, dunque, diventava per le

pacifiste metodo necessario per sviluppare

proprie iniziative volte a influenzare deci-

sioni politiche. Alonso ricostruisce in detta-

glio il dialogo fra vari gruppi che fu all’origi-

ne del pacifismo femminista nel 1915 e del-

le altre organizzazioni di donne che in parte

ne derivarono fino agli anni 80 del Nove-

cento. Le mobilitazioni messe in pratica

dalle donne pacifiste nello spazio pubblico

disegnarono una nuova modalità di parte-

cipazione di genere nella società civile.

In realtà Alonso individua gli anni fra il

1919 e il 1935 come i più intensi per il movi-

mento pacifista femminista. Le organizza-

zioni che operarono in questo periodo furo-

no la Wilpf, la Women’s Peace Society, la

Wpu e la Ncccw. Le iniziative assunte e i

metodi di propaganda elaborati durante

l’esperienza suffragista innescarono una

mobilitazione che aveva aspetti di massa.

Attraverso le sue strutture la Wilpf arrivò

nel 1927 ad affiliarsi un’organizzazione fi-

lantropica della comunità femminile ebrai-

ca, che contava oltre 12.000 associate. La

Ncccw, nata nel 1924 come consorzio di

undici associazioni femminili di cui aggre-

gava le sezioni per la pace a scopo di coordi-

namento e collaborazione arrivò a coinvol-

gere 5 milioni di donne nel 193520. Questi

gruppi sostennero, con modi e per motivi

diversi, iniziative come la Conferenza Na-

vale di Washington (1921), la Lega delle

Nazioni, il Patto Brian-Kellogg e trattati per

il disarmo, fecero attività di educazione alla

pace e esaltarono il ruolo specifico delle

donne nel mantenimento della pace. Pur

nella diversità delle priorità e delle modali-

tà di azione, concordavano su un principio

suggerito dalla loro esperienza dei proble-

mi sociali: non poteva esistere pace durevo-

le senza l’applicazione a livello internazio-

nale di profonde riforme che cancellassero

le ingiustizie economiche, razziali e di ge-

nere21.

Sono anni in cui le donne accedono in mi-

sura maggiore alle professioni, vengono as-

sunte in uffici governativi e si appropriano

anche degli strumenti istituzionali atti a

perseguire i propri proponimenti. Frances

H. Early mostra come queste professionali-

tà furono messe al servizio della pace. Fem-

ministe pacifiste attive in precedenza nel ri-

formismo sociale come Tracy Mygatt e

Frances Witherspoon organizzarono insie-

me a donne avvocato come Crystal Ea-

stman e Marion B. Cothren il National Civil

Liberties Bureau, che si occupò, durante la

guerra, fra le altre cose, di offrire protezione

legale agli obiettori di coscienza22. Così fa-

cendo non solo ampliarono le fondamenta

giuridiche del movimento per i diritti civili,

ma divulgarono un modello di mascolinità

pacifista in antitesi con quello tipicamente

americano del cittadino-soldato, ma altret-

tanto eroico e quindi legittimo23.

L’influenza sulle istituzioni delle pacifiste

femministe è comprovata anche dalle atti-

20 H.H. Alonso, Peace as a Women’s Issue, cit., p. 106.21 H.H. Alonso, Peace as a Women’s Issue, cit., p. 116.22 FH. Early, A World Without War. How U.S. Feminists and Pacifists Resisted World War I, Syracuse, Syracu-se University Press, 1997.23 F.H. Earley, A World Without War, cit., pp. 90-121.

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vità di Dorothy Detzer. Segretaria della Wil-

pf, fu capace attraverso le sue doti di «lob-

bying», di indirizzare il Congresso alla isti-

tuzione di una commissione di inchiesta

che indagasse il legame fra guerra e indu-

stria militare. Nel rapporto finale del 1934

la commissione Nye (dal nome del senatore

che ne diresse i lavori) sostenne che l’indu-

stria bellica aveva fatto pressioni sui rap-

presentanti del Congresso per ottenere il

voto favorevole all’entrata in guerra degli

Stati Uniti nel 1917. Per la prima volta – e

grazie all’attivismo del movimento pacifista

femminista – fu reso pubblico quello che in

anni successivi verrà definito «complesso

militare – industriale»24. In definitiva, se-

condo questi studi il pacifismo ha offerto al

suffragismo uno sbocco politico una volta

conseguito il voto25.

A fornire la più consistente elaborazione

teorica del pacifismo femminista furono

agli inizi del secolo alcune donne che pro-

venivano dal riformismo sociale e che at-

traverso questo, si avvicinarono alle proble-

matiche del socialismo, appresero a con-

frontarsi con le istituzioni, vissero dall’in-

terno conflitti sociali e ingiustizie, quali

Jane Addams, Emily Green Balch, Hannah

Clothier Hall, Dorothy Dezter e altre26. Ne

ricostruisce il pensiero Linda Schott, in una

innovativa storia intellettuale delle donne

che vuole comprendere tanto le idee origi-

nali da esse prodotte che le pratiche ad esse

ispirate. Schott individua negli scritti di Ad-

dams e di Balch le origini di quello che Ad-

dams stessa definì «il sostituto morale della

guerra», ovvero il «nourishing of human

life» («coltivare la vita umana»). Secondo

Carrie Foster l’enfasi sulla centralità di que-

sto concetto, troppo, a suo dire, «psicologi-

co, sociale, culturale», svilisce la dimensio-

ne politica del pacifismo femminista, che

era invece fortemente radicato nei principi

e nelle pratiche della democrazia27. In real-

tà Schott mostra come l’adesione al nurtu-

ring (cura) fosse emersa dalla coscienza

che problemi sociali, economici, politici,

considerati separati gli uni dagli altri, erano

in realtà interconnessi e che tutti, per essere

risolti, dovevano essere affrontati alla luce

di un ampio movimento per la pace28. Sen-

za la pace non poteva esistere il nourishing.

Jane Addams estese così il concetto di

«cura» dalla sfera privata a quella pubblica

e lo caricò di valenze sociali e politiche. La

«cura», valore prettamente femminile, do-

veva essere assunto a valore universale per

consentire una vera riforma dei rapporti

24 H.H. Alonso, Peace as a Women’s, cit., p. 124; sulla particolare sensibilità di Dorothy Detzer per la politicaestera e le sue implicazioni internazionali vedi R. Jeffrey-Jones, Changing Differences. Women and the Sha-ping of American Foreign Policy, 1917-1994, New Brunswick, N.J. Rutgers University Press, 1995, pp. 63-83.25 H.H. Alonso, Peace as a Women’s, cit., pp. 64; 260-274.26 A. Dawley, Changing the World. American Progressives in War and Revolution, Princeton, Princeton Uni-versity Press, 2003, pp. 241 ss., mette in luce il pacifismo quale componente a tutti gli effetti del progressi-smo e lo identifica come uno dei filoni, sviluppati dalle donne, che fecero sopravvivere il progressismonegli anni ’20 del ’900.27 C. Foster, The Women’s Interwar Peace Movement, «Canadian Review of American Studies», 28, 1998, 2,pp. 189-192.28 L.K Schott, Reconstructing Women’s Thoughts. The Women’s International League for Peace and FreedomBefore World WarI, Standford, Standford University Press, 1997, p. 19.

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sociali ed economici sia nazionali che inter-

nazionali. Lavoratori, donne, immigrati,

che la Addams aveva individuato attraverso

il suo lavoro nel movimento dei «settlemen-

ts» (case di assistenza sociale) come i grup-

pi più sensibilizzati all’importanza della

«cura», avrebbero dovuto essere alla testa

del movimento per la pace29.

A Emily Green Balch, bostoniana, studen-

tessa universitaria a Berlino, riformatrice

sociale, sostenitrice del partito socialista

statunitense e dalla Prima guerra mondiale

in poi attiva pacifista e premio Nobel per la

pace nel 194630, invece, si deve l’adesione

del movimento femminista pacifista al plu-

ralismo e alla non-violenza31. Alla base del-

le posizioni filosofiche di queste donne vi

era una certezza morale: la sacralità della

vita umana e quindi la necessaria rinuncia

a tutti i tipi di violenza. La forza della ragio-

ne, l’amore e l’esempio dovevano costituire

l’alternativa alla violenza. In definitiva, i

principi filosofici che incardinarono il mo-

vimento pacifista femminista furono: «l’im-

pegno nella cura dei propri simili; la con-

vinzione femminista che le donne condivi-

dessero alcune caratteristiche comuni e do-

vessero lavorare con altre donne per la pro-

mozione di cause di interesse delle donne;

il concetto dell’unità nella diversità, sia in

termini di appartenenza che di politiche; e

la fede nell’ideale della resistenza passi-

va»32.

Quale forza interiore, quale intima convin-

zione e o quale solidarietà esterna sostene-

va queste donne pacifiste nel loro impegno

a onorare le responsabilità assunte e svi-

luppare le iniziative concordate con l’asso-

ciazione di cui facevano parte? E, soprattut-

to, quale principio legittimava la consape-

volezza di essere portatrici di valori demo-

cratici e di emancipazione, validi per loro

stesse e per le altre donne, e ne consolidava

il ruolo di portavoce di istanze femministe e

pacifiste non solo nei confronti dei loro

stessi gruppi, ma nei confronti delle istitu-

zioni di cui cercavano e sceglievano di di-

ventare interlocutrici? In fondo, Addams,

Balch, Detzer per gli Stati Uniti o Swanwick,

Macmillan, per la Gran Bretagna, Jacobs e

Manus per i Paesi Bassi, Duchêne per la

Francia, Stöcker per la Germania e le altre

iscritte alla Wilpf non potevano non perce-

pire di essere un gruppo minoritario all’in-

terno dello stesso minoritario movimento

riformatore delle donne. Le donne che si

impegnavano fuori dalla sfera strettamente

domestica o religiosa rimanevano una élite,

per quanto visibile o incisiva. E allora, con-

vinte come erano del valore della rappre-

sentanza democratica, che cosa faceva loro

pensare di rappresentare legittimamente

gli interessi delle donne in prima istanza e

dell’umanità più in generale come fine più

complessivo?

Stavano queste donne forse elaborando un

diverso concetto di democrazia. Eleggeva-

no al loro interno donne con esperienze

29 L.K. Schott, Reconstructing, cit., p. 51.30 Vedi la biografia di M.M. Randall, Improper Bostonian: Emily Green Balch, Nobel Laureate 1946, NewYork, Twayne, 1964.31 L.K. Schott, Reconstructing, cit., pp. 32-37 e pp. 63-68.32 L.K. Schott, Reconstructing, cit., pp. 66, 75, 94.

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molteplici nei settori dell’assistenza sociale

o delle istituzioni, donne che avevano speri-

mentato direttamente i disagi di cui cerca-

vano le soluzioni, donne dalle molteplici

appartenenze associative. Donne quindi

che avevano avuto modo di conoscere vari

aspetti del femminile e dell’umano, del so-

ciale e del politico, del mondo economico e

di quello culturale. E perciò giustamente

rappresentative, democraticamente rap-

presentative, di una democrazia che non le-

gittimava attraverso i numeri soltanto

(maggioranza o minoranza), ma attraverso

la valutazione dell’esperienza e della parte-

cipazione, del coinvolgimento. Una demo-

crazia che non doveva ricalcare le forme

fino ad allora conosciute. Una democrazia

della partecipazione soggettiva33. Si muove

in questa direzione il libro di Leila Rupp,

Worlds of Women. The Making of an Interna-

tional Women’s Movement, che consolida e

amplia l’approccio metodologico di Linda

Schott. Qui sono prese in considerazione le

modalità operative, le figure di rilievo, le

iniziative e i dibattiti che attraversarono il

Consiglio Internazionale delle Donne, nato

nel 1888, l’Alleanza Internazionale delle

Donne, del 1904, e la Lega delle Donne per

la Pace e la Libertà (Wilpf).

Rupp mostra come queste donne, costrette,

per gli intenti che si proponevano, a creare

collegamenti e alleanze internazionali,

dalla valenza intenzionalmente transna-

zionale, dovettero affrontare questioni sul-

lo stato, sulla rappresentanza democratica,

sulle procedure decisionali, sulla legitti-

mazione del ruolo di leadership. Per poter-

si collocare nella sfera pubblica mentre a

un tempo proteggevano e tutelavano quel-

la privata, per la necessità di agire sul ter-

reno internazionale con unità di intenti, le

donne svilupparono nuove forme della po-

litica, nuovi linguaggi e nuove pratiche: la

capacità della mediazione e del dialogo, il

pluralismo, la necessità di contenere gli

estremi senza espellerli. Tutto ciò intes-

sendo fra loro, anche se non senza ombre,

difficoltà e malintesi, reti di relazioni affet-

tive e solidaristiche. Dal crogioulo di que-

ste esperienze nasce quella che la Rupp

considera la caratteristica «cruciale» delle

organizzazioni del movimento delle don-

ne: la tendenza a schierarsi con gli altri

gruppi di donne34.

Tutto ciò ha portato a conseguenze impor-

tanti. Cecilia Lynch, in Beyond Appease-

ment. Interpreting Interwar Peace Movemen-

ts in World Politics35, sostiene che tutto il

movimento pacifista, di cui le donne furono

asse portante, ha avuto una grossa influen-

za, al contrario di quanto sostengono gli sto-

rici «realisti» delle relazioni internazionali,

nel plasmare i valori della Lega delle Nazio-

ni prima e degli organismi internazionali

che l’hanno succeduta poi e nell’«umaniz-

zare» le relazioni internazionali sottraendo-

33 C. Pateman sostiene che le riforme per il suffragio nel corso del XIX secolo estesero la democraziamaschile, ma sottolinearono e consolidarono l’esclusione delle donne. Vedi C. Pateman, Three Questionsabout Womanhood Suffrage, in C. Daley e M. Nolan (a cura di), Suffrage and Beyond. Internationalist Femi-nist Perspective, New York, New York University Press, 1994, p. 333.34 L. Rupp, Worlds of Women. The Making of an International Women’s Movement, Princeton, PrincetonUniversity Press, 1997, p. 5.35 Ithaca, Cornell University Press, 1999.

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le all’incondizionata egemonia dei rapporti

di potenza.

Secondo Lynch gli studi femministi sul pa-

cifismo e sulla politica internazionale han-

no avuto il grande pregio di mettere in di-

scussione le ricostruzioni e le interpretazio-

ni storiche sia «costruttiviste» che «postmo-

derniste» delle relazioni internazionali. Nel

vedere le relazioni internazionali come

profondamente influenzate dal «genere», le

interpretazioni femministe delle relazioni

internazionali hanno fatto emergere con

forza la necessità di portare alla luce, rein-

terpretare e anche criticare, le analisi, le

iniziative, il ruolo in politica internazionale

di forze sociali nascoste o ignorate.

Tutta questa produzione scientifica credo

che consenta di affermare che si può e si

deve parlare di un vero e proprio, per quanto

variegato e non univoco, movimento pacifi-

sta femminista. E di rispondere al quesito

che, riprendendo Vellacott, si pone Maria

Cristina Giuntella: le conquiste di questi mo-

vimenti non furono vittorie di Pirro e le don-

ne riuscirono a farsi ascoltare, anche se con

modalità non immediatamente palesi36.

L’ampiezza di questi studi permette di porsi

una nuova, ambiziosa domanda: il movi-

mento pacifista delle donne ha per caso of-

ferto elaborazioni teoriche e pratiche di mi-

litanza che possono contribuire ad elabora-

re nuove forme della politica valide non per

le donne soltanto ma utili a nuovi movi-

menti?

36 M.C. Giuntella, Cooperazione intellettuale ed educazione alla pace nell’Europa della Società delle Nazio-ni, Padova, Cedam, 2001, p. 119.