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analisi di casi studio e presentazione degli sviluppi di progetto da forte san nicolò a forte caroman tra allegoria e rovina le fortificazioni della laguna veneta / progetto e visione

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tra allegoria e rovina

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tra allegoria e rovina

le fortificazioni della laguna veneta / progetto e visione

Politecnico di Milano AUIC | Laboratorio Finale di Tesi

relatore: prof. Luca Basso Peressut correlatore: arch. Cristina Colomboarch. Matteo Sacchetti

a.a. 2018/2019

stefano belotti - 895691marta beretta - 896752

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abstract 003il Lido: un giardino tra folies e fortificazioni venete

progetto 025cinque folies al Lido di Venezia

parte I | caso studio parte II | azioni progettuali

- forte san nicolò- forte malamocco- batteria rocchetta- forte san pietro- forte caroman

bibliografia 117

indice

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il Lido di Venezia: un giardino tra folies e fortificazioni venete

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Le lunghe, affusolate, sabbiose lingue di terra che chiudono la laguna di Venezia sul versante orientale si caratterizzano di una vegetazione che invade il territorio, sia aprendosi e dilatandosi sia chiudendosi e riducendosi: il Lido di Venezia, che nasce sul modello della città giardino, punteggiato di ville Liberty e palazzi eclettici, terreno di sperimentazione nei secoli, si presenta come un grande giardino, che giunge fino alla spiaggia, presentandosi a volte selvatico e fitto, a volte addomesticato e regolare. Il paesaggio naturale del Lido, in cui paesaggi naturali si alterna-no e susseguono, viene interpretato come un giardino all’inglese di metà 1700 e inizi 1800, dove all’interno delle sinuose curve della natura lussureggiante si insinuano folies, fabriques, padi-glioni che punteggiano il territorio: in questa interpretazione, le fortificazioni venete, e in rovina e in buono stato, diventano le follie di questo grande giardino. Cinque sono le folies in cui, però, ven-gono a collocarsi cinque volumi puri, riconoscibili nel paesaggio, che aumentano la carica architettonica e poetica delle fortifica-zioni, entrando e in contrasto e in sintonia.I cinque punti in cui si collocano i cinque volumi, le folies, si trova-no in punti chiave all’interno della disposizione affusolata dei Lidi: una piramide viene a posarsi in corrispondenza del Forte San Ni-

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colò, fronteggiante il Forte Sant’Andrea, in corrispondenza della bocca di porto a nord; una lunga volta a botte si installa all’interno della fortificazione di Forte Malamocco, posta al centro del lido di Venezia, costruendo attorno un giardino in continuo movimen-to; alla bocca di porto centrale si posa una torre cilindrica, un faro che si distingue nel paesaggio e definisce lo spazio attorno alla batteria Rocchetta; un cubo puro si adagia sulle acque di uno specchio d’acqua in cui affiora il Forte San Pietro in Volta, raggiungibile attraverso barca a remi; infine, alla bocca di porto posta a sud, in corrispondeza della riserva naturale e faunistica di Caroman, un cerchio, che si confronta con la scala territoriale, abbraccia il Forte Caroman e i bunker novecenteschi, costruendo una paesaggista all’interno dell’archeologia moderna sopravvis-suta al secondo conflitto mondiale.Così, il profilo di Lidi, in cui si susseguono soluzioni architettoni-che differenti, maturate nel corso dei secoli in un paesaggio natu-rale notevole, si aggiungono i volumi puri che entrano in relazione con le fortificazioni veneziane: all’interno, questo volumi si scol-piscono attraverso forme irregolari, che rispondono alla rigidità dell’impianto esterno, puro e definito, giocando con l’elemento della luce, dell’acqua, delle sensazioni.

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Cinque folies, cinque luoghi senza tempo, si posano in questo paesaggio, demarcando cinque momenti di sosta, di riflessione e meditazione, nel corso dell’estatica esperienza del giardino dei Lidi.

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il Lido di Venezia: un giardino tra folies e fortificazioni venete

parte I | caso studio

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Tra i quieti bacini d’acqua e le sinuose curve dei declivi naturali, una colonna mozzata e spaccata da una profonda breccia ap-pare tra le fronde degli alberi del Désert de Retz, affacciandosi come un’improvvisa epifania tra i percorsi incisi nella lussureg-giante vegetazione: la Colonne détruite, dimora permanente di Monsieur de Monville, proprietario e ideatore del giardino, è una delle rovine che, oltre ad essere abitate, abitano il giardino, rap-presentando la traslazione del capriccio pittorico in ambito archi-tettonico. Le folies1 - traduzione di capricci in francese -, tra cui la Colon-ne détruite, inscenano all’interno del vasto distendersi del Désert la concretizzazione delle visioni utopistiche illuministiche in cui all’immagine dell’avvenire viene affiancata la figura della rovina: nel Settecento, il giardino, con i suoi padiglioni in rovina declinati nei differenti linguaggi architettonici, diviene l’espressione dei so-gni più fantasiosi già raccontati dai calamai dei pensatori dell’e-poca nella vasta produzione di romanzi del tempo2. Come i romanzi utopistici-ucronistici del secolo dei Lumi, il giar-dino diventa un luogo ideale, situandosi fuori dalla sfera tangibile del reale, capace di sollecitare l’immaginario e l’illusorio: come L’An 2440, rêve s’il en fut jamais di Louis-Sébastien Mercier rac-

1. L’etimologia del termine folie, follia intesa in senso architettonico, nasce «dall’alterazione francese di feuille, feuillée, fogliame: nel XVII e XVIII secolo, il termi-ne designa una casa di piacere con un’architettura a volte fantasiosa, costruita fuori dai limiti di una grande città», da Académie française, Dictionnaire de l’Académie française, t. 2, Parigi, Imprimerie nationale Fayard 1992, voce «Folie»

2. cfr. Dubin N. L., Future and ruins: eighteenth-century Paris and the art of Hubert Robert, Los Angeles, Getty Research Institute 2010, p. 22

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Planimentria generale del Désert de Retz, da da François Racine de Monville, XIIIème Chaier des Jardins Anglo-Chinois contenant les détails du Désert de Retz, Jardin Pittoresque à une lieu de Saint Germain en Layac, appartenant à Monsieur de Monville, projetté dessiné et exécuté dans toutes ses parties, Parigi, 1785

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conta di tempi futuri in una dimensione onirica, il giardino nel Settecento si carica di significati che trascendono il presente e riflettono sul futuro, diventando una tematica cardine per i pen-satori dell’epoca.Sebbene il giardino assuma un ruolo centrale nelle osservazioni dell’epoca, il termine non viene riportato nel testo che più di tutti si è posto l’obiettivo di formare un compendio del sapere nel cor-so del Settecento: l’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, infatti, esprime il concetto di jardin sotto la voce théâtre, il quale viene definito con il significato di «insieme di vari edifici, che grazie alla loro posizione elevata e a alla dislocazione felice, presentano una scena che riesce gradita allo sguardo»3. È nella definizione di teatro, quindi, che si esprime il nascente concetto di giardino, ora declinato secondo l’estetica del pitto-resco4, allontanandosi dai rigidi schemi geometrici e regolari dei giardini fino ad allora disegnati: la nuova immagine di giardino rifiuta l’uniformità e la simmetria dell’architettura, come afferma-to da Claude-Henri Watelet, membro Académie française, oltre che saggista, enciclopedista ed esperto di giardinaggio francese all’epoca dei Lumi nel suo Essai sur les jardins5 «la precisione, la pulizia dell’architettura sono antitetici al pittoresco principio

3. da Mosser M., Teyssot G., L’architettura dei giardini d’Occidente - Dal Rinasci-mento al Novecento, Milano, Mondadori Electa 2005, p. 229

4. Il termine pittoresco viene originariamente impiegato come riferimento ai mate-riali idonei ad essere inclusi in un dipinto o per estensione, agli elementi del mondo reale che potessero essere concepiti o visti come se facessero parte di un quadro. Il pittoresco non comporta necessariamente un’esperienza paesaggistica; al contrario l’arte del giardino viene invece considerata pittura paesaggistica, da Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti - La Treccani, t. 27, Roma, 1935, voce «Pittoresco»

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dell’imprevedibilità… lo sviluppatore del giardino coltiverà gli ef-fetti del caso, con la possibilità dell’inaspettato, favorirà disegni pieni di mistero, di forme diverse […] l’indecisione è più comoda della precisione e più naturale della precisione»6.L’estetica del pittoresco, quindi, si caratterizza da uno sviluppo di una trama, tracciata da linee precise e dalla trasposizione del mondo naturale secondo forme e colori, rendendo gradito uno scenario in cui la varietà, la forma, l’irregolarità ne rappresentano le principali qualità, capaci di far germogliare emozioni estetiche visive.Come delineato nella definizione dell’Encyclopédie, quindi, il giardino, attraverso la sua rinnovata estetica, raccogliendo le pro-poste dei letterati, le intuizioni dei philosophes e la convergenza del lavoro di architetti, pittori e scultori, assume il fine ultimo di diletto e piacere, sotto forma di luogo in cui ci si abbandona e ci si perde: il giardino viene inteso come luogo di sogno e di illusione, in cui risiede il sentimento della meraviglia, intesa come immagi-nazione senza ostacoli7. Tale meraviglia viene destata dall’estetica del giardino pittoresco attraverso la presenza di elementi insoliti8, come esemplificato dalla Colonne détruite del Désert de Retz: sono le folies, di cui

6. da Walelet C. H., Essai sur les jardins, Parigi, Prault Imprimerie du Roi 1774, ci-tato da Dubin N. L., Future and ruins: eighteenth-century Paris and the art of Hubert Robert, Los Angeles, Getty Research Institute 2010, p. 22

8. cfr. Dubin N. L., Future and ruins: eighteenth-century Paris and the art of Hubert Robert, Los Angeles, Getty Research Institute 2010, p. 24

9. È la definizione di pittoresco ad evidenziare tale approccio nel progettazione del giardino: pittoresco - derivante da pittore - è ciò che desta interesse o evoca emozioni estetiche, o comunque visive, per la presenza di elementi insoliti, oppure per la peculiarità del costume, del linguaggio o del comportamento, da Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti - La Treccani, t. 27, Roma, 1935, voce «Pittoresco»

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9. da Mosser M., Teyssot G., L’architettura dei giardini d’Occidente - Dal Rinasci-mento al Novecento, Milano, Mondadori Electa 2005, p. 233

10. cfr. Tafuri M., Progetto e utopia - architettura e sviluppo capitalistico, Ro-ma-Bari, Laterza 1973, pp. 13-14

11. cfr. Ketcham D., Le Désert de Retz - A Late Eighteenth-Century French Folly Garden, The Artful Landscape of Monsieur de Monville, Londra, MIT Press 1994, p. 4-5

12. I giardini pittoreschi si formano, in modo inatteso, quando in Europa comin-cia ad esercitarsi l’influenza del giardino cinese, arrivata grazie al grande sviluppo delle missioni cristiane in Estremo Oriente e alle letterature che aprono al publico occidentale un mondo fino ad allora sconosciuto: nel 1685, quando Versailles cono-sceva il suo più grande splendore, Sir William Temple nel suo Upon the Gardens of Epicurus introduce il termine sharawaggi, attraverso il quale si intende la dissimme-tria gloriosa e pittoresca del giardino cinese, cfr. Grimal P., L’arte dei giardini: una breve storia, Roma, Donzelli editore 2005, pp. 95-96

parla nel 1776 Jean-Marie Morel nello scritto Thèorie des jardins, affermando che l’espressione si riferisce a «tutti gli edifici e le co-struzioni che l’opera dell’uomo andava ad aggiungere alla natura per l’abbellimento dei giardini»9.In particolare, la folie - chiamata talvolta fabrique in francese o folly in inglese - può essere definita come un oggetto di media-zione tra la realtà e l’ideale, che consente nel febbricitante cli-ma del Settecento di testare le forme e realizzare un’architettu-ra sperimentale: legandosi idealmente alle Lettres Persianes di Montesquieu o all’Ingenue di Voltaire, la diffusione delle folie è strettamente connessa alle condizioni storiche del tempo10, in quanto reazione in campo architettonico alla frattura verificatasi con il passato. Le fabriques, infatti, iniziano a diffondersi proprio con la fine dell’Ancien Régime, quando i nobili avvertono l’impellente ne-cessità di abbandonare Versailles a causa dello stringente e in-cessante galateo di corte11: attraverso l’architettura a padiglione delle folies, che dipinge il paesaggio del giardino pittoresco, si innesca la fuga dal controllo di Luigi XIV, consacrando un’archi-tettura distante dalle convenzioni del tempo12.In questo clima, le folies reinterpretano differenti stili architettonici

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Vista prospettica della Colonne détruite del Désert de Retz, da François Racine de Monville, XIIIème Chaier des Jardins Anglo-Chinois contenant les détails du Désert de Retz, Jardin Pittoresque à une lieu de Saint Germain en Layac, appartenant à Monsieur de Monville, projetté dessiné et exécuté dans toutes ses parties, Parigi, 1785

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Vista prospettica della Glacière pyramide del Désert de Retz, da François Racine de Monville, XIIIème Chaier des Jardins Anglo-Chinois contenant les détails du Désert de Retz, Jardin Pittoresque à une lieu de Saint Germain en Layac, appartenant à Monsieur de Monville, projetté dessiné et exécuté dans toutes ses parties, Parigi, 1785

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provenienti da tutto il mondo, attingendo ai riferimenti dall’archi-tettura gotica, cinese, indù e dal naturalismo romantico: l’unica regola del gioco delle fabriques consiste nella follia, nella libertà dell’immaginazione, nell’architettura del divertimento13. È proprio nella libera composizione della folie che si contestua-lizza l’immagine della rovina, la quale contribuisce allo stimolo dell’immaginazione all’interno del casuale e inaspettato scenario del giardino: le rovine, come sostenuto da Ernst Cassirer, filosofo tedesco del secolo scorso, «erano stimolanti per l’intuizione ap-passionata e premonitrice, per l’immaginazione e la fantasia»14. L’attrattiva delle folies, come strutture intrinsecamente mutevoli, lasciate intenzionalmente incompiute, si congiunge perfettamen-te con il tema della rovina, intesa come una struttura aperta al caso e alla possibilità, esteticamente valida nella misura in cui è lasciata incompiuta. Il culto del non finito, così, va a definirsi nell’epoca dei Lumi ve-stendo le rovine con la temporalità dell’incompiutezza e, come Ernst Cassirer sottolinea, le rovine diventano «il risultato della nuova estetica, con l’ideale di inesattezza, diventa l’unico criterio risolubile»15.Edifici in rovina, terrazze, portici abbattuti, cupole sfondate du-

13. cfr. Mosser M., Teyssot G., L’architettura dei giardini d’Occidente - Dal Rina-scimento al Novecento, Milano, Mondadori Electa 2005, p. 230

14. da Cassirer E., The philosophy of the Enlightenment, Princeton, Princeton University Press 1951 citato da Dubin N. L., Future and ruins: eighteenth-century Paris and the art of Hubert Robert, Los Angeles, Getty Research Institute 2010, p. 26

15. da Cassirer E., The philosophy of the Enlightenment, Princeton, Princeton University Press 1951 citato da Dubin N. L., Future and ruins: eighteenth-century Paris and the art of Hubert Robert, Los Angeles, Getty Research Institute 2010, p. 27

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rante il Settecento, quindi, si configurano come strutture aperte al cambiamento, alla possibilità, preziose proprio perché rimaste incompiute e con la capacità di estendere all’immaginazione i piaceri orientati al futuro. Le possibilità esplorative nella composizione di successioni im-provvise di folies all’interno dei jardins pittoresques occupano di-verse personalità dell’epoca del Lumi, tra i quali lo stesso Hubert Robert, che traspone le atmosfere di resti di edifici e antichi mo-numenti dipinti nelle sue tele, quali vivide ispirazioni di capricci pittoreschi abitati da rovine, nel progetto del giardino: nel 1786, infatti, Robert riceve l’incarico per il proseguimento del Jardin de Méréville, su commissione di Jean-Joseph de Laborde, giungen-do al concepimento del «giardino più interessante, in cui l’uomo desidera essere costantemente affascinato, un luogo in cui la sensibilità è amplificata»16. La figura di Robert, però, sembra affiancare la progettazione di differenti giardini dell’epoca17, tra cui il Désert de Retz, giardi-no che diventa esemplificativo delle riflessioni e sperimentazioni del tempo: la Colonne détruite, la Cattedrale gotica in rovina o il piccolo padiglione cinese del Désert de Retz, tra le tante folies che punteggiano le dolci insenature naturali del giardino, sono la

16. da Walelet C. H., Essai sur les jardins, Parigi, Prault Imprimerie du Roi 1774, ci-tato da Dubin N. L., Future and ruins: eighteenth-century Paris and the art of Hubert Robert, Los Angeles, Getty Research Institute 2010, p. 2217. Osvald Sirén, storico dell’arte finlandese, ha affibbiato a Hubert Robert l’ideazio-ne del piano dell’intero giardino e della folie della piramide: per Sirén, Robert rimane un candidato unicamente sulla forza delle somiglianze visive tra gli ambienti del Désert e la sua pittura di scene all’aperto, in quanto non esiste prova documentata dell’azione di Robert nella progettazione del Désert. Sirén afferma che «nessuno che abbia visitato il luogo e abbia sentito il fascino […] dei suoi abbellimenti ar-chitettonici […] sarà sorpreso che Hubert Robert abbia avuto un ruolo nella sua forma attuale», da Sirén O., China and Gardens of Europe of the Eighteenth Century, Washington, Dumbarton Oaks 1990, citato da Ketcham D., Le Désert de Retz - A Late Eighteenth-Century French Folly Garden, The Artful Landscape of Monsieur de Monville, Londra, MIT Press 1994, p. 2

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Sezione del Pavillon chinois del Désert de Retz da François Racine de Monville, XIIIème Chaier des Jardins Anglo-Chinois contenant les détails du Désert de Retz, Jardin Pittoresque à une lieu de Saint Germain en Layac, appartenant à Monsieur de Monville, projetté dessiné et exécuté dans toutes ses parties, Parigi, 1785

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concretizzazione delle concezioni nate al seno dell’Illuminismo. Fin dalla sua denominazione, alquanto particolare, il Désert si colloca al centro dei dibatti del periodo storico in cui prende for-ma: il giardino deve il nome dèsert alla consuetudine secondo cui i grandi parchi contenessero al loro interno un angolo deserto - inteso come sezione di bosco ripulita da tutti gli alberi -, che rendeva possibile la creazione di un eremo, ovvero un luogo di contemplazione e meditazione18. Inoltre, il termine Retz, dato da François-Nicolas-Henri Racine de Monville, suo progettista e pro-prietario, deriva dall’evoluzione del termine Roye, correzione del XII secolo di Roi, vocabolo riferito alla proprietà del re: situandosi al confine delle terre di proprietà del re, a dodici miglia del cuore di Parigi, attraverso la combinazione di questi termini il Désert intende sottolineare lo spirito anti-monarchico tanto professato da Monsieur de Monville19. In particolare, Monsieur de Monville intende rispecchiare le pro-prie riflessioni sulla società dell’epoca nella creazione di un com-pleto mondo in miniatura: il tentativo è quello di giungere alla de-finizione di un unico giardino che potesse riassumere tutti i tempi e tutti i luoghi, come l’Africa, l’America, l’Asia, rappresentandoli attraverso le essenze arboree tipiche e la storia della loro archi-

18. cfr. Ketcham D., Le Désert de Retz - A Late Eighteenth-Century French Folly Garden, The Artful Landscape of Monsieur de Monville, Londra, MIT Press 1994, p. 12

19. Il Désert de Retz deve la sua originalità e fantasia al periodo della storia fran-cese in cui ha avuto origine: Monsieur de Monville e il giardino, entrambi figli dell’An-cien Régime periscono con la sua caduta: viene progettato alla vigilia della Rivolu-zione Francese tra il 1774 e il 1789 e viene distrutto a seguito di essa, cfr. Ketcham D., Le Désert de Retz - A Late Eighteenth-Century French Folly Garden, The Artful Landscape of Monsieur de Monville, Londra, MIT Press 1994, pp. 3-5

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tettura.Così, venti fabriques, realizzate sulla base del sapere illuministico delle scienze naturali e della storia dell’architettura, sintetizzano l’intero mappamondo, caratterizzandosi da atmosfere talvolta ec-centriche e bizzarre20: il giardino di Monville, costellato da padi-glioni rappresentanti i diversi periodi e stili architettonici, conta due rovine classiche, l’emblematica colonna spezzata e il tempio di Pan, una rovina medievale con le fattezze di una chiesa Gotica, il tempio classico del riposo, un padiglione cinese, un obelisco, una piramide, una tomba, un ponte rustico, una tenda tartara, un cottage del tetto di paglia, un hermitage, una latteria, un teatro all’aria aperta e una grotta. La prima rovina classica si materializza attraverso le fattezze di una colonna spezzata, che, realizzata esasperando i propri rap-porti dimensionali, diviene una torre a pianta tonda con una pare-te drammaticamente crepata: l’esterno rozzo e fantastico, sbrec-ciato e mozzato, cela la raffinatezza dello spazio interno, che, assolvendo la funzione di abitazione per Monsieur de Monville, offre tutte le dotazioni per la vita agiata di un aristocratico. Posata a ridosso di un lieve declivio, la Colonne Détruite all’ester-no si caratterizza dal ritmo serrato delle scanalature tipiche della

20. cfr. Ketcham D., Le Désert de Retz - A Late Eighteenth-Century French Folly Garden, The Artful Landscape of Monsieur de Monville, Londra, MIT Press 1994, p. 10

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colonna classica, coronata da una sequenza di finestre ovali in sommità, mentre all’interno viene scolpita da una cavità, in cui si sviluppa un’abitazione disposta su cinque piani, di cui uno sotter-raneo: ciascun piano ha quattro stanze principali disposte attorno alla scala a chiocciola centrale. La folie della colonna spezzata, concepita su progetto dello stes-so Monville nel 1781, succede al Pavillon chinois, che, prece-dente sede della dimora padronale, risale al 1777: prima folie ad occupare il Désert de Retz, è situata nel giardino terrazzato ai margini del lago e, composta da un salone, un’anticamera con camino, una biblioteca e una camera da letto, viene realizzata con un tipo di teak di origine indiana, mentre la facciata viene disegnata da pannelli intagliati da decorazioni viola e rosa, divisi da colonne scolpite ad imitazione del bambù21.All’interno della pluralità formale delle folies, risalta la fabrique a forma di piramide, che, impostandosi su base quadrata e rea-lizzandosi in pietra, prende a riferimento la piramide romana di Caio Cestio sulla via Appia: differentemente alla piramide roma-na, però, la folie della Glacière pyramide, assolve la funzione di stoccaggio del ghiaccio, che viene conservato in una cavità sot-terranea il cui accesso si verifica attraverso la porta ad arco posta

21. cfr. Ketcham D., Le Désert de Retz - A Late Eighteenth-Century French Folly Garden, The Artful Landscape of Monsieur de Monville, Londra, MIT Press 1994, p. 25

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al centro del basamento.Tra le folies, il tema della rovina ritorna in maniera preponderante nella Église gothique en ruine, che si compone di resti autentici di una chiesa in rovina22: le pareti e le finestre ad arco con frammenti di trafori di una chiesa gotica del XIII secolo vengono letteral-mente traslati dal villaggio di Retz, dove trovava originariamente collocazione, al verdeggiante giardino inglese di Monville.Attraverso la collocazione di autentiche rovine, come l’Église gothique en ruine, o la dissimulazione di edifici in rovina, di cui la Colonne Détruite è un caso esemplare, il Désert de Retz di François-Nicolas-Henri Racine de Monville rispecchia il tipico giardino pittoresco e lo specifico scenario della Francia di fine Settecento, da cui i visionari e i letterati dell’epoca cercano di scappare non senza le suggestioni immaginifiche e fantasiose suscitate dalle improvvise e affascianti fabriques: i giardini in cui si immergono le folies, ironici padiglioni esotici e false rovine, sono la trasfigurazione delle visioni costruite dagli Illuministi nel poderoso slancio verso il futuro, in cui la dimensione utopistica trova la propria attuazione nell’immagine della rovina.

22. cfr. Ketcham D., Le Désert de Retz - A Late Eighteenth-Century French Folly Garden, The Artful Landscape of Monsieur de Monville, Londra, MIT Press 1994, pp. 25-26

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il Lido di Venezia: un giardino tra folies e fortificazioni venete

parte II | azioni progettuali

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il Lido di Venezia: un giardino tra folies e fortificazioni venete

parte II | forte san nicolò

analisi di casi studio e presentazione degli sviluppi di progetto da forte san nicolò a forte caroman

A Nord del Lido di Venezia si costruisce il Forte San Nicolò, ri-salente al XVI secolo, in cui convivono diversi edificio storici: un convento con la relativa chiesa è al confine con la fortificazione di San Nicolò, che si compone di un ridotto cinquecentesco, at-tualmente profondamente in rovina, e la Caserma Pepe, chiamata anche Palazzo dei Soldati, costruita nel corso del 1500 per le truppe militari e oggi dismessa da inizio secolo. Le azioni progettuali compiute all’interno della fortificazione di San Nicolò contribuiscono alla definizione del grande spazio ve-getale del Lido, definendo il grande giardino che si espande a scala territoriale: la piantumazione di cipressi, secondo una ma-glia regolare alternata, si impone sulla fitta, boschiva e rigoglio-sa vegetazione del sito, ordinando lo spazio e indirizzando gli sguardi e i percorsi. Un primo passaggio avviene all’interno della Caserma, che viene completamente svuotata e trasformata in una rovina: vengono conservati i paramenti esterni, con i portali e le mensole in pietra l’Istria e il colonnato ad archi interno, realizzato in mattoni e dettagli in pietra d’Istria, che attorniano il grande poz-zo collocato al centro del cortile. Il grande spazio del cortile, abitato dalla vegetazione rigogliosa, viene avvolto dalle lunghe arcate della Caserma, dirigendo lo

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sguardo verso i portali esterni, a cui si accede al ridotto, posto a nord della Caserma. Oltre i muri in mattoni scavati dalle feritoie del ridotto si scorge una piramide, regolare e austera: il posizionamento di una pirami-de all’interno del recinto ridotto in rovina: la folie abita questa ro-vina, al cui interno viene a determinarsi uno spazio ricco di vege-tazione, in cui la piramide svetta e si relaziona al recinto quadrato e definito. All’interno della piramide vengono scolpite geometrie capaci di indirizzare la luce proveniente da un oculo tonto, posto lungo un prospetto, rivolto a ovest, verso uno specchio d’acqua che si espande all’interno della grande piramide. Oltre il recinto in mattoni, i cipressi ritagliano lo spazio ordinato rispetto alla selvaggia vegetazione imperante: ci si perde all’in-terno del succedersi del ritmo dei cipressi, scorgendo tutto at-torno un bosco: viene così a crearsi un eremo, spazio che inizia a essere progettato con l’avvento dei giardini settecenteschi e ottocenteschi all’inglese, uno spazio in cui poeti, musici, pittori, artisti riflettono, meditano, prendono ispirazione, toccano il pro-fondo del proprio spirito. I riferimenti progettuali per la visione di questo spazio, luogo sen-za tempo, volgono lo sguardo verso l’installazione Monstrum di

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Francesco Venezia a. Pompei, che prende a sua volta spunto dalle piramidi dei disegni e dai progetti utopici di Boullée e Le-doux, oltre alla Ghiacciaia a forma di piramide del Désert de Retz di Monsieur de Monville; i paesaggi impaginare di Costantino Dardi, composti di volumi puri e geometrici sono un altro spunto progettuali e, infine, il progetto del giovane studio Barozzi Veiga per il Museo di Neanderthal sono un esempio del possibile spazio interno della piramide, in cui acqua, luce, architettura si fondono e creano uno spazio suggestivo, toccante, intimo e grandioso allo stesso tempo.

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Francesco Venezia, Monstrum, Pompei 2016

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Costantino Dardi, disegno L’universo della precisione, Venezia 1980

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Ghiacciaia al Désert de Retz, Monsieur de Moville, Parigi XVIII secolo

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Neanderthal Museum, Barozzi Veiga, Spagna 2016

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il Lido di Venezia: un giardino tra folies e fortificazioni venete

parte II | forte s. malamocco

analisi di casi studio e presentazione degli sviluppi di progetto da forte san nicolò a forte caroman

In corrispondenza del borgo di pescatori di Malamocco, al cen-tro del Lido di Venezia, una fortificazione si innalza, circondata da un fossato, nel profilo del litorale veneto: il Forte Malamocco si compone di una stecca, absidata alle estremità, scandita in-ternamente da spessi setti posti in maniera regolare tra di loro, precisamente ritmati. Allo stato di fatto, il Forte è in rovina, circondato dalla vegetazione imperante e con forti segni di degrado: le azioni progettuali si in-stallano proprio sulla rovina di questo Forte, coinvolgendolo nella definizione di una folie all’interno del vasto giardino di Lidi. L’intervento, quindi, si insinua all’interno dell’edificio, lasciando scoperti i patii, che diventano giardini circondati da pareti cur-ve in mattoni e elementi d’Istria, mentre la stecca centrale viene elevata e coperta da una volta a botte, che ne determina il profilo esterno, denunciandosi e innalzandosi rispetto ai paramenti in mattoni e dettagli in pietra d’Istria. All’interno di questa volte a botte, i paramenti di divisione interna scandiscono piccoli spazi espositivi per l’arte contemporanea, oltre ad essere coperti da geometrie improvvise e dinamiche, che indirizzano la luce all’interno dell’edificio da lucernari posti in copertura e scavano la geometria regolare della volta a botte in

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spazi maggiormente fuggevoli e imprevisti. Si vengono, in questo modo, a creare spazi espositivi ognuno diverso dall’altro, in modo da fornire diverse esperienze. All’esterno lungo il muro Carnot posto all’estremità orientale si colloca una galleria all’aria aperta, che si distribuisce in maniera lineare seguendo il muro e definita da siepi regolari. Il resto del sito di progetto viene modellato da geometrie regolari capaci però di dare ognuna una esperienza differente, piccoli patii vegetali si alternano ad archi e fontane, a orti e pensiline capaci da dare ombra e riparo nel grande giardino che circonda la fortificazione. I riferimenti progettuali che hanno contribuito alla costruzione della visione di questo spazio sono i progetti utopi-ci di Ledoux, i cui disegni sono di forte ispirazione, e la Chinati Foundation a Marfa, di Donald Judd, celebre artista statunitense.

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Nicholas Ledoux, Atelier des Charbonniers, Parigi XVIII secolo

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Donald Judd, Chinati Foundation, Marfa 1987

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Donald Judd, Chinati Foundation, Marfa 1987

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il Lido di Venezia: un giardino tra folies e fortificazioni venete

parte II | batteria rocchetta

analisi di casi studio e presentazione degli sviluppi di progetto da forte san nicolò a forte caroman

A sud del Lido di Venezia, in corrispondenza della bocca di porto posta al centro della laguna, la batteria Rocchetta è circondata da un fossato e sommersa dalla vegetazione, animali popolano il ridere della fortificazione: come un faro che segna la centralità di questo luogo, una torre cilindrica si posa all’interno del sito di progetto, relazionandosi con la lunga e bassa stecca della fortifi-cazione, lasciata in rovina. All’interno dell’alto cilindro, forma pura e folie architettonica, si in-sinua una scala triangolare, dinamica e fortemente instabile, che conduce al vertice della torre, dove si apre un punto di vista ine-dito della laguna veneta e del vasto giardino punteggiato di folies. La torre viene, infatti, a porsi in un punto strategico e importante all’interno della sezione del Lido. Il maggiore riferimento progettuale, oltre ai disegni utopistici di Étienne-Louis Boullée che ritraggono svettanti fari e ciminiere, si costituisce della scala progettata da Louis Kahn alla galleria d’ar-te alla yale University, nel New Heaven, dove un cilindro in ce-mento armato, volume puro e solido, viene scavato internamente da una scala triangolare, che porta al piano superiore e si corona con un lucernario che filtra la luce attraverso l’intersezione tra il cerchio della pinata e il triangolo della scala.

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Louis Kahn, Yale University Art Gallery, New Haven 1953

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Louis Kahn, Yale University Art Gallery, New Haven 1953

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il Lido di Venezia: un giardino tra folies e fortificazioni venete

parte II | forte san pietro

analisi di casi studio e presentazione degli sviluppi di progetto da forte san nicolò a forte caroman

A nord del Lido di Pellestrina, il forte San Pietro presenta una piccola fortificazione in mattoni e particolari in pietra d’Istria, fron-teggiante il mare da una parte e la laguna dall’altra, posto in una sottile striscia di terra, protetta dai settecenteschi murazzi: l’inter-vento progettuale consiste nel definire un regolare specchio d’ac-qua dalla forma quadrata e installare una folie, un cubo, immerso nelle acque del bacino, che si riflette e specchia in esso.Il cubo, raggiungibile solo attraverso barca a remi, viene scavato all’interno da una forma dinamica, quella di un triangolo, che crea un patio d’acqua centrale, il quale dà accesso alle differenti sale espositive presenti lungo il perimetro del cubo. All’interno del ba-cino d’acqua triangolare, un gioco di luce si riverbera attraverso lo spazio, ampliando il vuoto e creando uno spazio suggestivo.Anche la fortificazione viene allagata e circondata d’acqua, in modo da essere raggiunta da barche a remi.Il riferimento progettuale che ha fornito la visione di questo inter-vento è il Monolite di Jean Nouvel realizzato nel 2002 in Svizzera, adagiato sulle acque del Lago di Morat.

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Jean Nouvel, Monolite, Lago di Morat 2002

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Jean Nouvel, Monolite, Lago di Morat 2002

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parte II | forte caroman

analisi di casi studio e presentazione degli sviluppi di progetto da forte san nicolò a forte caroman

A sud del lido di Pellestrina, fronteggiante il Forte San Felice e in corrispondenza della bocca di porto più a sud, che confina con Chioggia, il Forte Caroman, immerso nella vegetazione rigogliosa del parco naturalistico del Lido che accoglie diverse specie di animali e essenze arboree, viene a installarsi l’ultima folie, o la prima, che si estende a scala territoriale e si impone sulla lagu-na. Un cerchio dal diametro di un chilometro e mezzo abbraccia la fortificazione e si insinua attraverso i bunker novecenteschi, costruendo una promenade archeologica attraverso i resti dei conflitti bellici dello scorso secolo. L’anello, che si immerge nella natura e riaffiora a tratti tra le fronde degli alberi, si specchia nella laguna, che viene invasa dalla geometria pura e precisa del cer-chio: al di sopra, passeggiano cavalli e animali, a contatto con la terra e il cielo, l’acqua e la luce.I riferimenti progettuali che hanno contribuito alla definizione di questa visione progettuale consistono nel Santuario del pellegri-no, realizzato in Messico, dove un cerchio in calcestruzzo armato si adagia sulle curve di livello del terreno, includendo una porzio-ne di vegetazione e creando uno spazio incluso e intimo; inoltre, il ponte realizzato da Carillho de Graça nell’entroterra del Porto-gallo, che con linee pulite e regolari, si impone nel paesaggio.

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Dellekamp Arquitectos, Santuario del pellegrino, Messico 2011

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Joao Luis Carrilho da Graça, Ponte de pedestres, Covilhã 2009

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Dellekamp Arquitectos, Santuario del pellegrino, Messico 2011

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Gjøde & Povlsgaard Arkitekter, Infinity circle, Aarhus 2015

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il Lido di Venezia: un giardino tra folies e fortificazioni venete

bibliografia

analisi di casi studio e presentazione degli sviluppi di progetto da forte san nicolò a forte caroman

- Grimal P., L’arte dei giardini: una breve storia, Roma, Donzelli editore 2005

- Ketcham D., Le Désert de Retz - A Late Eighteenth-Century French Folly Garden, The Artful Landscape of Monsieur de Mon-ville, Londra, MIT Press 1994

- Ledoux C. N., L’Architecture de C. N. Ledoux: Collection qui rassemble tous les genres de batiments employés dans l’ordre social, New York, Princeton Architectural Press 1983

- Mosser M., Teyssot G., L’architettura dei giardini d’Occidente - Dal Rinascimento al Novecento, Milano, Mondadori Electa 2005

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