TOSCANA OGGI INVENTARIO 17 marzo 2019 mondo Ecco i motivi … · 2019. 3. 21. · ballottaggio...

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INVENTARIO TOSCANA OGGI 17 marzo 2019 12 mondo MEDIA di Anselmo Grotti Un linguaggio infantile ell’Italia umbertina ci si compiaceva di un linguaggio aulico anche nelle comunicazioni più semplici. Nel ventennio fascista debordava una retorica pettoruta e bellicista. Nell’Italia del dopoguerra il burocratese ha imperversato. Stilemi linguistici che abbiamo abbandonato senza rimpianti. Per aderire a quali nuovi moduli comunicativi? Sobrietà, semplicità e chiarezza sono caratteristiche che tutti ci auguriamo, purtroppo però in molti casi per marcare l’allontanamento da modelli obsoleti si rischia di cadere in un linguaggio bambinesco, infantile (che nulla ha a che vedere tra l’altro con la freschezza del linguaggio dei bambini veri). Qualche esempio? Un tempo la seriosità era un obbligo per le banche, che anche in questo modo segnalavano la propria affidabilità. Oggi le offerte di conto corrente si chiamano «Conto Quick», «Conto Adesso», «Hello Money»… Le stesse banche si chiamano «Extrabanca», «Vivi Banca», «Che Banca!» (e ahimè anche un testo di religione ha ceduto e si chiama «Che Vita!»). I provvedimenti del governo e le leggi si chiamano «Salva Italia», «Buona Scuola», «Sicurezza», «Pace fiscale»… Offerte commerciali, informazioni fiscali, interlocuzioni di vario genere usano indiscriminatamente il «tu». Cartelli per strada avvisano che «finalmente sono cominciati i lavori», ma lo fanno con linguaggio volutamente dialettale (ancorché debitamente stampato su supporto metallico da adeguate tipografie). Un tourbillon di infantilismo che lascia un sapore dolciastro e stucchevole. Non ci piaceva la retorica paludata. Non per questo ci piace un falso e stonato cameratismo. In entrambi i casi il linguaggio rischia di mascherare la verità. N Ecco i motivi che hanno portato un sindaco leghista a Pisa DI ROBERTO BARZANTI a scelto Pisa come case study e s’è tuffato dentro la città, ha girato per i dintorni, ha intervistato notabili e cittadini, studenti e bottegai per ricavarne un racconto pieno di insegnamenti. La domanda che David Allegranti aveva in testa è buona anche per altri centri toscani, ma la conquista da parte della Lega del governo di Pisa ha avuto qualcosa di eccezionale. Ha posto, e pone, interrogativi alla Toscana tutta. Come si può in un breve volger d’anni passare da un’amministrazione di centrosinistra che pur non aveva combinato disastri evidenti ad un trionfo leghista così netto e smaccato? Nelle elezioni del 2013 i leghisti avevano ottenuto 123 preferenze. Dopo cinque anni hanno incassato 9.784 voti, cioè il 27,71%. Poi il meccanismo del ballottaggio astioso in essere ha fatto il resto e li ha coronati vincitori assoluti. Il fogliante Allegranti nel suo vivace rapporto (Come si diventa leghisti, UTET, Milano 2019, pp. 221, euro 15) formula domande impertinenti, s’infila nei posti meno frequentati, punzecchia il malcapitato fino a fargli uscir di bocca confessioni fatali. Il viaggio comincia dal Centro Edilizia Popolare che tutti chiamano semplicemente Cep e con un’intervista a Sergio Cortopassi, sindaco socialista del 1990 al 1994. È sempre bene muovere dal passato prossimo, se no il presente è muto. La spiegazione che lui offre della disfatta è elementare: «La Lega - sbotta - a suo modo ha soddisfatto le richieste della gente, facendosi carico dei problemi di Pisa, dalla sicurezza all’immigrazione, allo spaccio». E il Pd è stato percepito come l’erede di un ceto politico avvolto in diatribe astruse e personalistiche, appassionato di disquisizioni non emozionanti: «una cosa esterna per non dire estranea». Gente è parola che ricorre spesso nelle pagine del giornalista-scrittore e «gentismo» è un neologismo quasi abusato: diverso da «populismo» segnala, piuttosto, la capacità di dialogare senza prosopopea con chiunque incontri. E inoltre «devi amare il tuo territorio» è l’imperativo. Pisa e provincia prima di tutto il resto! Questo è il trumpiano principio cui ubbidire. Gli slogan non avrebbero avuto ascolto se non fossero stati accompagnati da astute strategie mediatiche tese a ingigantire i fenomeni o a portare in primo piano situazioni sconcertanti. L’immigrazione non è stata affrontata con interventi di accoglienza adeguate e con l’indispensabile severità nei controlli. Al degrado dei costumi non si sono opposte decisioni efficaci. Certe delibere comunali hanno assomigliato alle gride di manzoniana memoria. Insomma alla base di tutto ci sarebbe una fame di concretismo - tanto per usare un categoria con la quale la sinistra ha avuto sempre qualche problema - in grado di smentire o attenuare il crescente disagio, intollerabile anche per persone di comprovata fedeltà gauchiste e ancor di più ai ceti medi, riflessivi o meno. Il gestore delle hotel La Pace, in faccia alla troppo trafficata stazione, non le manda a dire. Alla domanda se i pisani siano diventati leghisti dà una risposta che non ammette repliche: «No, guardi: i pisani finalmente si sono rotti i coglioni». Le voci più pacate vengono dalla Caritas, da chi si dà da fare per alleviare sofferenze e povertà. Don Emanuele Morelli smentisce la propaganda falsificante a sfondo razzista. Non è vero che l’organizzazione si occupa solo degli stranieri. Gli italiani sono purtroppo in crescita e hanno assistenza, al pari di tutti gli altri. Se non che mancano i volontari, d’estate soprattutto. Un comunista che ha restituito la tessera e ha votato Lega è lapidario: «Le ideologie appartengono al passato. Hanno fatto tanti danni, di destra e di sinistra che siano. Meglio idee buone e portate fino in fondo. Ecco: preferisco le idee agli ideali». Questa laicizzazione disincantata non è una resa. Deve spingere, piuttosto, a sintonizzarsi con una società stufa del passato: e non sarà - già gli scricchiolii s’avvertono - soddisfatta dal becchettare qua e là del volgare postmoderno in salsa leghista/grillina. Non mancano segnali incoraggianti. Non si tratta di battersi rispolverando «ismi» sacrosanti, ma di mettere in agenda i grandi progetti e la quotidianità offesa, di recuperare uno slancio etico senza il quale ogni riforma si svuota di senso. Alla fine del viaggio Allegranti abbozza un tema cruciale: «C’è un 40 per cento - suggerisce - e più di astenuti da intercettare». Battere l’indifferenza, sconfiggere lo scoramento, dare spazio a intelligenze fresche è la strada nuova da percorrere. Non è la sola per costruire un ceto dirigente che sappia capire e motivare misurandosi coraggiosamente con mutamenti che non hanno più confini. Com’è stato possibile che sia siano registrati ribaltamenti così imprevisti? La velocità è una dannazione, ma anche una chance se subito afferrata. Molto di ciò che rapidamente ha cambiato di segno può essere riconvertito se si lavora con serietà. H DI FRANCESCO GURRIERI dito dal «Mulino» è recentemente uscito Ho imparato (pagine 192, euro 15), un volume di Enrico Letta, a seguito della sua esperienza di Presidente del Consiglio (2013-2014), delle sue dimissioni da deputato e del suo impegno, a Parigi, nella Scuola di Affari Internazionali dell’Università «Sciences Po» (Scienze Politiche e Relazioni Internazionali). Il libro ha un sottotitolo importante: «In viaggio con i giovani sognando un’Italia mondiale». È questa la filigrana che sottende questa summa riflessiva di un politico e intellettuale che va annoverato fra i pochi rimasti ancora accreditabili per riconsiderare le sorti del nostro Paese. L’insegnamento di Nino Andreatta (1928-2007), economista, politico e accademico fra i più apprezzati, ricorre spesso nelle pagine di questo libro: «Devi avere un mestiere e una professionalità fuori dalla politica - ricorda Letta del suo maestro - per poter essere libero, in politica, di fare le giuste e coerenti scelte. Ci saranno dei momenti in cui sarai solo con la tua coscienza e nessun altro ti coprirà. In quei momenti farai la scelta giusta solo se avrai la libertà di poter dire no». «La strada che ha preso l’Italia - esordisce l’Autore - non mi piace per niente e vorrei che si cambiasse direzione». Quando soffia impetuoso il vento del cambiamento c’è chi alza muri e chi, guardando avanti, costruisce mulini a vento: quest’ultima è la posizione etica professata da Letta, mirata ad un impegno «responsabilmente» ottimistico per un possibile futuro; avversando e denunciando gli atteggiamenti democraticamente regressivi, come il caso americano che ha per protagonista Trump.L’analisi (e l’autocritica) diventa quasi impietosa davanti all’abbandono dei «codici valoriali» e alla «cultura»; il machiavellismo estremo travolge chi vi ricorre, come fu nel caso del cosiddetto «Italicum». Non meno interessanti le considerazioni sull’Europa e sulle sue prospettive.L’Autore sintetizza cinque punti per questo 2019: la Brexit, l’esito del voto per il Parlamento europeo a maggio, l’avvicendarsi di tutta la prima fila dei leader delle istituzioni europee, la centralità del tema «Europa» nella campagna elettorale per il Parlamento europeo, il cambiamento della funzione della Germania che ha sempre giocato un ruolo chiave. Un capitolo è dedicato alla «crisi migratoria», rilevando come la linea «anti-immigrati» abbia prodotto odio e rabbia collettiva e una percezione distorta rispetto alla realtà. Né manca di ricordare come il «Regolamento di Dublino», che oggi impone che siano i primi paesi di approdo a prendere in carico la richiesta di asilo - con un chiaro squilibrio a sfavore di chi, come noi, si trova in prima linea - vada cambiato, ripensando anche ai «corridoi umanitari» come possibili modelli replicabili e ricordando come esempio interessante la costituzione, nel 2016, dell’European Border and Coast Guard Agency (Frontex). C’è anche l’attenzione per la Cina, che «ha da qualche anno lanciato una vera e propria campagna di colonizzazione dell’Africa». Occorre lavorare - suggerisce Letta - per una «diplomazia economica», centrale nel mondo di oggi, perché in grado di mettere insieme il pubblico e il privato, e in ciò l’Italia dovrebbe poter essere un attore centrale. Richiamata la necessità di bandire l’idea della «distruzione dell’avversario per farsi largo e raggiungere il potere» e ricordando che «la qualità della democrazia è data anche dalla qualità degli eletti», Letta indica quattro punti cui guardare per cercare di tornare ad una condizione politica condivisibile: l’apertura, che oggi vuol dire scegliere regole elettorali e regole interne che rendano impraticabili le serrature del passato; l’affidabilità, con poche e chiare regole, così che la gente possa tornare a guardare alla politica e ai propri rappresentanti con fiducia e non con diffidenza; la competenza, nel senso che la formazione alla politica deve essere una via obbligata; le radici, premiando chi è, appunto, radicato e si impegna a favore della propria comunità. E «Ho imparato»: in un libro il «ritorno» di Enrico Letta Un libro- inchiesta del giornalista David Allegranti svela i retroscena del voto che nel giugno scorso ha fatto capitolare il centrosinistra Dopo quattro anni l’ex presidente del Consiglio si riaffaccia al balcone della politica e lancia le sue proposte SOCIETÀ

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INVENTARIOTOSCANA OGGI17 marzo 201912

mondo MEDIAdi Anselmo Grotti

Un linguaggioinfantile

ell’Italia umbertina ci sicompiaceva di un linguaggio

aulico anche nelle comunicazioni piùsemplici. Nel ventennio fascistadebordava una retorica pettoruta ebellicista. Nell’Italia del dopoguerra ilburocratese ha imperversato. Stilemilinguistici che abbiamo abbandonatosenza rimpianti. Per aderire a qualinuovi moduli comunicativi? Sobrietà,semplicità e chiarezza sonocaratteristiche che tutti ci auguriamo,purtroppo però in molti casi permarcare l’allontanamento da modelliobsoleti si rischia di cadere in unlinguaggio bambinesco, infantile (chenulla ha a che vedere tra l’altro con lafreschezza del linguaggio dei bambiniveri). Qualche esempio? Un tempo laseriosità era un obbligo per le banche,che anche in questo modosegnalavano la propria affidabilità.Oggi le offerte di conto corrente sichiamano «Conto Quick», «ContoAdesso», «Hello Money»… Le stessebanche si chiamano «Extrabanca»,«Vivi Banca», «Che Banca!» (e ahimèanche un testo di religione ha ceduto esi chiama «Che Vita!»). Iprovvedimenti del governo e le leggi sichiamano «Salva Italia», «BuonaScuola», «Sicurezza», «Pacefiscale»… Offerte commerciali,informazioni fiscali, interlocuzioni divario genere usanoindiscriminatamente il «tu». Cartelliper strada avvisano che «finalmentesono cominciati i lavori», ma lo fannocon linguaggio volutamente dialettale(ancorché debitamente stampato susupporto metallico da adeguatetipografie).Un tourbillon di infantilismo che lasciaun sapore dolciastro e stucchevole.Non ci piaceva la retorica paludata.Non per questo ci piace un falso estonato cameratismo. In entrambi icasi il linguaggio rischia di mascherarela verità.

N

Ecco i motivi che hanno portatoun sindaco leghista a Pisa

DI ROBERTO BARZANTI

a scelto Pisa come case study e s’ètuffato dentro la città, ha girato per idintorni, ha intervistato notabili ecittadini, studenti e bottegai per

ricavarne un racconto pieno diinsegnamenti. La domanda che DavidAllegranti aveva in testa è buona anche peraltri centri toscani, ma la conquista da partedella Lega del governo di Pisa ha avutoqualcosa di eccezionale. Ha posto, e pone,interrogativi alla Toscana tutta. Come si può

in un breve volger d’annipassare daun’amministrazione dicentrosinistra che pur nonaveva combinato disastrievidenti ad un trionfoleghista così netto esmaccato? Nelle elezionidel 2013 i leghisti avevanoottenuto 123 preferenze.Dopo cinque anni hannoincassato 9.784 voti, cioè il27,71%. Poi ilmeccanismo delballottaggio astioso inessere ha fatto il resto e liha coronati vincitoriassoluti. Il foglianteAllegranti nel suo vivacerapporto (Come si diventaleghisti, UTET, Milano

2019, pp. 221, euro 15) formula domandeimpertinenti, s’infila nei posti menofrequentati, punzecchia il malcapitato fino afargli uscir di bocca confessioni fatali. Ilviaggio comincia dal Centro EdiliziaPopolare che tutti chiamano semplicementeCep e con un’intervista a Sergio Cortopassi,sindaco socialista del 1990 al 1994. Èsempre bene muovere dal passato prossimo,

se no il presente è muto. La spiegazione chelui offre della disfatta è elementare: «La Lega- sbotta - a suo modo ha soddisfatto lerichieste della gente, facendosi carico deiproblemi di Pisa, dalla sicurezzaall’immigrazione, allo spaccio». E il Pd èstato percepito come l’erede di un cetopolitico avvolto in diatribe astruse epersonalistiche, appassionato didisquisizioni non emozionanti: «una cosaesterna per non dire estranea». Gente èparola che ricorre spesso nelle pagine delgiornalista-scrittore e «gentismo» è unneologismo quasi abusato: diverso da«populismo» segnala, piuttosto, la capacitàdi dialogare senza prosopopea con chiunqueincontri.E inoltre «devi amare il tuo territorio» èl’imperativo. Pisa e provincia prima di tuttoil resto! Questo è il trumpiano principio cuiubbidire. Gli slogan non avrebbero avutoascolto se non fossero stati accompagnati daastute strategie mediatiche tese a ingigantirei fenomeni o a portare in primo pianosituazioni sconcertanti. L’immigrazione nonè stata affrontata con interventi diaccoglienza adeguate e con l’indispensabileseverità nei controlli. Al degrado dei costuminon si sono opposte decisioni efficaci. Certedelibere comunali hanno assomigliato allegride di manzoniana memoria. Insommaalla base di tutto ci sarebbe una fame diconcretismo - tanto per usare un categoriacon la quale la sinistra ha avuto semprequalche problema - in grado di smentire oattenuare il crescente disagio, intollerabileanche per persone di comprovata fedeltà gauchiste e ancor di più ai ceti medi, riflessivio meno. Il gestore delle hotel La Pace, infaccia alla troppo trafficata stazione, non lemanda a dire. Alla domanda se i pisani sianodiventati leghisti dà una risposta che nonammette repliche: «No, guardi: i pisani

finalmente si sono rotti i coglioni». Le vocipiù pacate vengono dalla Caritas, da chi si dàda fare per alleviare sofferenze e povertà.Don Emanuele Morelli smentisce lapropaganda falsificante a sfondo razzista.Non è vero che l’organizzazione si occupasolo degli stranieri. Gli italiani sonopurtroppo in crescita e hanno assistenza, alpari di tutti gli altri. Se non che mancano ivolontari, d’estate soprattutto.Un comunista che ha restituito la tessera eha votato Lega è lapidario: «Le ideologieappartengono al passato. Hanno fatto tantidanni, di destra e di sinistra che siano.Meglio idee buone e portate fino in fondo.Ecco: preferisco le idee agli ideali». Questalaicizzazione disincantata non è una resa.Deve spingere, piuttosto, a sintonizzarsi conuna società stufa del passato: e non sarà - giàgli scricchiolii s’avvertono - soddisfatta dalbecchettare qua e là del volgarepostmoderno in salsa leghista/grillina. Nonmancano segnali incoraggianti. Non si trattadi battersi rispolverando «ismi» sacrosanti,ma di mettere in agenda i grandi progetti e laquotidianità offesa, di recuperare unoslancio etico senza il quale ogni riforma sisvuota di senso. Alla fine del viaggioAllegranti abbozza un tema cruciale: «C’è un40 per cento - suggerisce - e più di astenutida intercettare». Battere l’indifferenza,sconfiggere lo scoramento, dare spazio aintelligenze fresche è la strada nuova dapercorrere. Non è la sola per costruire unceto dirigente che sappia capire e motivaremisurandosi coraggiosamente conmutamenti che non hanno più confini.Com’è stato possibile che sia siano registratiribaltamenti così imprevisti? La velocità èuna dannazione, ma anche una chance sesubito afferrata. Molto di ciò cherapidamente ha cambiato di segno puòessere riconvertito se si lavora con serietà.

H

DI FRANCESCO GURRIERI

dito dal «Mulino» è recentemente uscito Hoimparato (pagine 192, euro 15), un volume di

Enrico Letta, a seguito della sua esperienza diPresidente del Consiglio (2013-2014), delle suedimissioni da deputato e del suo impegno, a Parigi, nellaScuola di Affari Internazionali dell’Università «SciencesPo» (Scienze Politiche e Relazioni Internazionali). Il libroha un sottotitolo importante: «In viaggio con i giovanisognando un’Italia mondiale». È questa la filigrana chesottende questa summa riflessiva di unpolitico e intellettuale che va annoveratofra i pochi rimasti ancora accreditabiliper riconsiderare le sorti del nostroPaese. L’insegnamento di NinoAndreatta (1928-2007), economista,politico e accademico fra i piùapprezzati, ricorre spesso nelle pagine diquesto libro: «Devi avere un mestiere euna professionalità fuori dalla politica -ricorda Letta del suo maestro - per poteressere libero, in politica, di fare le giustee coerenti scelte. Ci saranno deimomenti in cui sarai solo con la tuacoscienza e nessun altro ti coprirà. In quei momenti faraila scelta giusta solo se avrai la libertà di poter dire no».«La strada che ha preso l’Italia - esordisce l’Autore -non mi piace per niente e vorrei che si cambiassedirezione». Quando soffia impetuoso il vento delcambiamento c’è chi alza muri e chi, guardando avanti,costruisce mulini a vento: quest’ultima è la posizioneetica professata da Letta, mirata ad un impegno«responsabilmente» ottimistico per un possibile futuro;avversando e denunciando gli atteggiamentidemocraticamente regressivi, come il caso americanoche ha per protagonista Trump. L’analisi (e l’autocritica)diventa quasi impietosa davanti all’abbandono dei«codici valoriali» e alla «cultura»; il machiavellismoestremo travolge chi vi ricorre, come fu nel caso delcosiddetto «Italicum».Non meno interessanti le considerazioni sull’Europa esulle sue prospettive. L’Autore sintetizza cinque puntiper questo 2019: la Brexit, l’esito del voto per il

Parlamento europeo a maggio, l’avvicendarsi di tutta laprima fila dei leader delle istituzioni europee, lacentralità del tema «Europa» nella campagna elettoraleper il Parlamento europeo, il cambiamento dellafunzione della Germania che ha sempre giocato unruolo chiave.Un capitolo è dedicato alla «crisi migratoria», rilevandocome la linea «anti-immigrati» abbia prodotto odio erabbia collettiva e una percezione distorta rispetto allarealtà. Né manca di ricordare come il «Regolamento diDublino», che oggi impone che siano i primi paesi di

approdo a prendere in carico larichiesta di asilo - con un chiarosquilibrio a sfavore di chi, come noi, sitrova in prima linea - vada cambiato,ripensando anche ai «corridoiumanitari» come possibili modellireplicabili e ricordando come esempiointeressante la costituzione, nel 2016,dell’European Border and CoastGuard Agency (Frontex). C’è anchel’attenzione per la Cina, che «ha daqualche anno lanciato una vera epropria campagna di colonizzazionedell’Africa». Occorre lavorare -

suggerisce Letta - per una «diplomazia economica»,centrale nel mondo di oggi, perché in grado di mettereinsieme il pubblico e il privato, e in ciò l’Italia dovrebbepoter essere un attore centrale.Richiamata la necessità di bandire l’idea della«distruzione dell’avversario per farsi largo e raggiungereil potere» e ricordando che «la qualità della democraziaè data anche dalla qualità degli eletti», Letta indicaquattro punti cui guardare per cercare di tornare ad unacondizione politica condivisibile: l’apertura, che oggivuol dire scegliere regole elettorali e regole interne cherendano impraticabili le serrature del passato;l’affidabilità, con poche e chiare regole, così che lagente possa tornare a guardare alla politica e ai proprirappresentanti con fiducia e non con diffidenza; lacompetenza, nel senso che la formazione alla politicadeve essere una via obbligata; le radici, premiando chiè, appunto, radicato e si impegna a favore della propriacomunità.

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«Ho imparato»: in un libroil «ritorno» di Enrico Letta

Un libro-inchiesta

del giornalistaDavid

Allegranti svelai retroscena

del voto chenel giugno

scorso ha fattocapitolare

il centrosinistra

Dopoquattro annil’ex presidentedel Consigliosi riaffacciaal balcone dellapolitica e lanciale sue proposte

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