Toscana delle Culture 1993-2012 - 20 anni di manifesti

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[ 20 ANNI DI MANIFESTI ] MARIO PAPALINI | GIORGIO ZORCÙ

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20 anni di manifesti del festival Toscana delle Culture. Mario Papalini, Giorgio Zorcù.

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Venti anni di storie e venti manifesti:

una testimonianza dedicata ai giovani artisti,

amministratori pubblici e operatori culturali, ai cittadini

che sanno cogliere e interpretare le voci.

QUADERNI 6

[20 ANNI DI MANIFESTI ]

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MARIO PAPALINI | GIORGIO ZORCÙ

€ 10.00

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[20 ANNI DI MANIFESTI ]

MARIO PAPALINI | GIORGIO ZORCÙ

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Produzione C&P Adver

Grafi ca Stefano Cherubini

Foto di Lorenzo Filoni e Antonio Ruffaldi Santori

Collaborazione Luigi Freni

ACCADEMIA MUTAMENTIPiazza Colonna 158033 Castel del Piano (Gr)www.accademiamutamenti.it

Via Circonvallazione Nord 4 58031 Arcidosso (Gr)www.cpadver-effi gi.com

Quaderni 6

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E se a qualcuno verrà in mente,

un giorno, di fare la mappa

di questo itinerario;

di ripercorrere i luoghi,

di esaminare le tracce,

mi auguro che sarà solo

per trovare un nuovo inizio.

ANTONIO NEIWILLERPer un teatro clandestino

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Fare un festival è come creare un’opera. Mi ci dedico a lungo, studio le possibilità, i luoghi, i compagni di viaggio, e infi ne creo una com-

posizione, con un inizio una fi ne e un corpo centrale. Il progetto si nutre di intuizioni e di occasioni improvvise, come di atti meditati a lungo. Come un’opera, appun-to. Toscana delle Culture non è mai stata una “rassegna”.

Ho trovato in Mario Papalini lo stesso atteggiamento, e l’intesa è stata immediata e duratura. Un manifesto ha come destinazione i muri di una città, ed è la sua pri-ma forma di dialogo col mondo, la sua prima lingua. La prima azione manifesta della manifestazione. È parte costitutiva di quell’atto creativo, sostanza del produrre cultura. Pubbllca. Bene comune, come si usa dire oggi. È anch’es-so un’opera.

È una cosa rara che un festival sia stato fondato e diretto per venti anni dalla stessa persona, e cosa ancora più rara che l’auto-re dei manifesti sia sempre stato

lo stesso. Ci è sembrato così un atto dovuto darne testimonianza con questo catalogo: semplice, immediato, senza altre immagini se non quelle dei manifesti stes-si.

Abbiamo chiesto una presen-tazione a Giovanni Alessandri, chiedendo anche a lui il lin-guaggio immediato del ricordo e dell’emozione, sapendo che fi n da quando, poco più che ra-gazzo, vide il primo manifesto sui muri di Sasso d’Ombrone, ha accompagnato il festival come amministratore in quasi tutte le sue edizioni, e sempre come spettatore.

Per quanto mi riguarda non so ancora cosa ho scritto; il com-pito iniziale era di fare un breve racconto per ogni anno, poi sono stato sopraffatto dalla densità e dall’intreccio di tante storie, che la memoria amplifi ca, distorce o cancella: il progetto con gli arti-sti, le compatibilità economiche, i rapporti con le istituzioni, le rabbie e le soddisfazioni, le mille relazioni umane, la vita privata.

MANIFESTAZIONIdi GIORGIO ZORCÙ

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La sensazione, ora, è che la som-ma delle tante “operine” di ogni anno ha il respiro di un’opera più grande, che ha trasformato me, molte persone, l’immagine stes-sa di un territorio. E che questa opera ha i volti dei personaggi - dei caratteri - che l’hanno creata: non solo io e non solo Mario, ma i volti degli artisti, degli operatori, dei funzionari e degli amministra-tori che rappresentano e hanno rappresentato le istituzioni pub-bliche, e che ne hanno consentito la produzione, seguendo un loro ideale.

Ed è per questo che voglio rin-graziare di cuore tutti, ma so-pratutto le istituzioni che hanno sempre accompagnato Toscana delle Culture: la Comunità Mon-tana – ora Unione dei Comuni – dell’Amiata Grossetana, i Comuni che la compongono, la Provincia di Grosseto e la Regione Tosca-na. Sempre hanno fatto sentire la loro vicinanza e la loro voce, e reso vivace il nostro discorrere.

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Quasi non ci credo… ma a vederli così, di-stesi uno die-tro l’altro, anno dopo anno, ac-

cade ciò che accade quando si mettono assieme cose del pas-sato. Sembra impossibile, eppu-re eccoli in fi la, venti manifesti, la sublimazione di un rapporto cre-ativo, la mappa di un percorso di lavoro e amicizia, di intenti comu-ni e contrasti, di aspirazioni.Giorgio, animatore di Toscana delle Culture, ti devo ringraziare, io diffi dente, mi hai aperto al te-atro, suggerendomi che nell’agire artistico la differenza sta solo nel prodotto e non nei procedimenti, nei metodi. Quelli nascono se-condo impulsi individuali mace-rati nell’essere e nella formazione propria: ogni azione è comunica-zione del sé in rapporto con gli al-tri vicino, con un linguaggio capa-ce di prendere il volo e diventare memorabile, patrimonio comune, di fatto, ricchezza. Non mi sembra nemmeno che siano miei tanto, nel mutamento, ritrovo diversi ed uguali quei se-gni partoriti da C&P Adver, sigla

improbabile ereditata da erro-ri giovanili che, caparbiamente, ho perseguito come un piercing, come un tatuaggio di cui mai co-stringerei il mio corpo. Capacità di adattamento e istinto di so-pravvivenza direi. Alterità.Quei segni li ascolto come un gioco e come l’enzima di una perseveranza che mi riconosco e la prova che quelle cose le ho fatte davvero, come se nel vortice dell’operare scompaia lo stile che non ho mai avuto, rigenerato nel-la mano anonima del mio gruppo creativo. Quei segni sono segni di un altro da me, dell’alterego ope-rativo? Creativo? Dell’altro che abita e convive con il me che si alza ogni mattino. Si tratta di immagini, di corpora-zioni frattali che acquistano la loro consistenza morfologica nel pro-cedere delle relazioni personali, una volta “trovate” si depositano come sedimenti, come ogget-ti portati dal mare, come ossi di seppia, sulla corteccia degli anni. Non sono più la medesima per-sona del primo manifesto spo-erriano, ma in quella croce latina disposta nel tramonto all’orizzon-te riconosco un’intuizione che

Vent’anni di manifesti per Toscana delle Culture di MARIO PAPALINI

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appartiene al mio essere più pro-fondo.La produzione creativa è anche questo, anima svelata, eccitazio-ne, sudore e profumo del proprio corpo che si mescola col mondo. Non occorrono pennelli per fare arte, ma movimenti articolati delle mani rubati al razionale di non so quale parte del cervello.Le guardo, le immagini, i mani-festi, uno dopo l’altra. E ne vado fi ero.

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Passo con la macchina e scruto i manifesti at-taccati sul muro. Non c’è quasi mai niente che mi colpisce. Anzi no, fammi vedere…

c’è qualcosa di nuovo. Toscana delle Culture. Che bel manifesto, deve essere bravo questo stu-dio grafi co C&P Adver per fare una cosa così particolare, anche la manifestazione deve esserlo. Saranno di Firenze o di Roma, chissà. Sono di Arcidosso? Non ci credo. Se la locandina è bella forse anche la manifestazione lo è. Ci devo andare. Ci andrò. Ci vado e sono sorpreso. Da noi… questa roba… pazzesco. A Ci-nigiano non c’è mai stato niente di simile; se fossi assessore farei di tutto per portare Toscana del-le Culture da noi. Mi chiamano: uno scherzo? Vuoi fare l’asses-sore? Io? Ma, che c’entro? Dai, ci vuole gente nuova. Ci penso, ci ripenso, sono intrigato. Alla fi ne dico sì. Assessore all’agri-coltura, all’ambiente al territorio e si collabora con l’assessore alla cultura. Mi piace. Che esperienza stimolante fare l’amministratore e Toscana delle Culture, fi nalmente

a Cinigiano: troppo bello. Troppo diffi cile. Meglio la banda o i bal-lerini o una sfi lata di miss. Costa-no meno si riempiono più serate d’estate. Ci sono tante frazioni. La gente non capisce certe cose. Ci vuole roba semplice, più popo-lare. Poi costa troppo. Lo devi fare tu. Io? Perché? Non c’è nessuno, sei giovane… Sarò in grado? Divento Presidente del-la Comunità Montana dell’Amia-ta Grossetana. Toscana delle Culture non si tocca. Per me è l’evento dell’Amiata. Un festival di area, esagerato. Ci credo. La promuovo. Mi ci dedico con l’as-sessore alla cultura. Ogni anno è una guerra. Ai sindaci, non pia-ce, non lo vogliono più. Troppo diffi cile, costa troppo; basta con queste cose troppo originali. Con gli stessi soldi che si spendono, sai quante bande, fanfare cori e dj. Qualche comune, con i sol-di di uno spettacolo di Toscana delle Culture, ci riempie tutte le sere d’estate: hai presente? Ma perché Alessandri difende a tut-ti i costi Toscana delle Culture? È amico di Zorcù, è per questo. Se si fa, questo è l’ultimo anno e con quei costi Zorcù deve fare

Toscana delle Culture e i suoi manifestidi GIOVANNI ALESSANDRI

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tutto quello che dicono i sinda-ci. Ma non ci piace uguale. Per quest’anno si fa, ma al prossimo si cerca un altro direttore artistico. E poi è meglio la musica classi-ca: Santa Fiora in Musica; no, è meglio Amiata Piano Festival, non costa niente, lo pagano tut-to i privati. Toscana delle Culture è un festival che ha fatto il suo tempo. È nel circuito provinciale? Allora anche gli altri festival ci de-vono essere. E poi sempre questi personaggi strani che nessuno conosce: Virgilio Sieni, Ascanio Celestini, Marco Paolini… basta. Finisce il mio secondo mandato di amministratore. Finalmente, torno al mio lavoro. Mi dispiace, però. Sono passati già Venti Anni e To-scana delle Culture c’è di nuovo. Ancora? Ma com’è possibile? Sto aspettando il manifesto, ecco lo vedo, lo riconosco, come sempre, sul muro del mio paese e allora mi fermo con la macchina, lo voglio vedere bene; sempre originale; scorro le date e poi… come sem-pre a qualche spettacolo ci vado, dovesse cadere il mondo… con qualcuno che apprezza. Ormai è una costante della mia estate. An-che della mia vita?

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FACTORY

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19 93N

el 1993 avevo 41 anni, e la mia vita nel teatro era a un punto di svolta. I dieci anni appena trascorsi erano stati

molto tumultuosi: avevo scoperto il teatro del mondo dagli osservatori del Festival di Santarcangelo, del CRT di Milano e del Festival di Vol-terra. Tutte esperienze concluse. Ero ricco di relazioni e di interessi, ma inquieto mi domandavo i per-ché più profondi del mio rapporto col teatro, e la mia collocazione.

Grazie a Renato Palazzi avevo ini-ziato un nuovo percorso di inse-gnamento – e quindi di studio – con la Scuola d’Arte Drammatica Pao-lo Grassi di Milano, e mi decisi ad aprire un mio centro di lavoro arti-stico in Toscana, con la vicinanza di Antonio Neiwiller, l’artista a cui ero stato più vicino negli ultimi anni. Fondammo quindi sull’Amiata, che avevo riscoperto grazie a Thomas Fortmann, il nuovo festival-labora-torio Toscana delle Culture, con la vicinanza amichevole e rassicuran-te di Claudio Angelini, del nuovo amico Bruno Gaudieri, e di coetanei attori-autori come Claudio Morgan-ti, Danio Manfredini e il danzatore e coreografo Virgilio Sieni, che avreb-be eletto l’Amiata a proprio cantiere di lavoro estivo per più di dieci anni. Fu Marco Baliani ad aprire la prima edizione con “Kohlhaas”, in una piazzetta di Monticello Amiata. Leo de Berardinis era il mio punto di rife-rimento artistico in quell’epoca, e lo

invitai insieme a Francesca Mazza a stare con noi in quei giorni, sem-plicemente, senza nessun impegno “spettacolare”. Negli ultimi giorni ci raggiunse anche Steve Lacy, pro-tagonista di due memorabili con-certi insieme agli inseparabili Steve Potts, Jean-Jacques Avenel e al Quartetto di Tirana.

Lo scopo di Toscana delle Culture era quello di aprire un luogo di la-voro estivo, con poche ospitalità esemplari ma con tanti laboratori e nuovi incontri in scena, aperti alla musica e alle arti visive. Un festival di creazione.

La formula era quella di un lungo periodo preparatorio che doveva sfociare in cinque giorni intensi ad Arcidosso, invadendo luoghi ed orari diversi. Gli artisti amici che si volevano unire erano invitati a por-tarsi nello zaino documenti da con-dividere, ed attrezzammo la stanza al primo piano della Sala dell’Orato-rio con un impianto di riproduzione video sempre affollata di nuove vi-sioni e discussioni.

L’evento artisticamente più im-portante fu senza dubbio “L’altro sguardo” di Antonio Neiwiller, ma i ricordi belli di quei giorni sono legati alla vita quotidiana intensa fatta di colloqui fi tti: con Neiwiller e Steve Lacy al Bar Centrale, le notti al Ristorante Zi’ Emilio, le passeg-giate con Leo e Claudio Morganti, che apriva la prima fase di lavoro del fi lm “Riccardo III”, che avrem-mo girato l’anno successivo.

Ci concedemmo anche escursio-ni in altri luoghi della provincia: un evento a Capalbio, e un piccolo festival a Castiglione della Pescaia, alla fi ne di agosto. Tutto quel lavo-ro ci lasciò stremati, ma soddisfatti per l’incontro nuovo con le comu-nità locali, l’entusiasmo di tanti gio-

vani e meno giovani che scopriva-no per la prima volta un altro teatro, l’adesione appassionata di tanti at-tori, il cui nucleo fondamentale era il gruppo formato da Leo a Bologna intorno alla sua nuova esperienza al Teatro Testoni.

Roberto Bacci e il Centro di Ponte-dera mi donarono un furgone pieno di materiale tecnico per permet-tere quella prima edizione. Paola Capranica, l’allora assessore alla cultura della Provincia di Grosseto, fu la prima a credere nel progetto, concedendo i primi fi nanziamenti.

Il manifesto

Con Mario Papalini fu il primo in-contro, e mi meravigliai di come quello che avevo inseguito a Santarcangelo e a Milano, cioè la sintonia e l’affi atamento con un grafi co che potesse comunicare all’esterno la mia idea di teatro, lo incontrai in questo posto ai confi -ni del mondo. Non avrei fatto più nulla senza la sua vicinanza e il suo contributo artistico.Siccome una delle novità più sor-prendenti del paesaggio amiatino era il Giardino di Daniel Spoerri, e l’artista era uno dei fondato-ri dell’Accademia Amiata, deci-demmo di partire da lì. Dopo tanti tentativi non soddisfacenti Mario decise che doveva esserci solo l’ombra, il profi lo di un’opera che si stagliava sul paesaggio. E così fu. Ripensando a come si svol-ge oggi il lavoro di composizione grafi ca e di stampa mi viene da ridere ripensando a quei giorni, quando il luogo più vicino per comporre le immagini e poter ve-dere i bozzetti era a Siena, e io e Mario facevamo avanti e indietro da Arcidosso a là.

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19 94Il 1993 fi nì con un lutto, la scom-parsa improvvisa di Antonio Nei-willer per leucemia. Da sei anni ne condividevo il percorso artistico, e proprio grazie a lui nacque la decisione di fondare Toscana del-le Culture. Con la sua compagna Loredana Putignani decidemmo di creare un’opera a lui dedica-ta: Il Castello dei Mutamenti. Il Castello Aldobrandesco, vuoto e disponibile, si prestava ad opera-zioni artistiche importanti, come nel futuro feci con il gruppo co-lombiano di Enrique Vargas e con il russo Jurij Alschitz. Ma fu da Antonio che nacque tutto.

Insieme al Castello dei Mutamenti decidemmo di mettere in cantie-re altre due opere impossibili: un lavoro di teatro e musica guidato dal tedesco Horst Lonius con al-cuni giovani attori italiani poi di-ventati famosi: Bebbe Battiston, Sergio Romano e Massimiliano Speziani; e il fi lm di Claudio Mor-ganti “Riccardo III”, che chiamò a raccolta un nugolo di grandi atto-ri, da Moni Ovadia a Marina Con-falone, da Marco Baliani a Danio Manfredini. Decisi di giocarmi questa possibilità provando a fare un progetto europeo, sostenu-to dal nuovo dirigente regionale Massimo Paganelli.

Il 1994 cominciò con una bella notizia. Ero a Bergamo e mi pre-sentarono Mario Raimondo, diret-tore della sede RAI di Milano. Ap-pena lui sentì il mio nome mi fece

i complimenti per il bel progetto che avevo fatto, e scoprii che era il commissario italiano nella giuria di selezione dei progetti culturali europei, che allora si chiamava Caleidoscopio. Insomma appresi così, per caso, che avevo vinto il mio primo bando europeo, e che quel progetto impossibile si pote-va ora realizzare.

Il festival del 1994 fu fatto quin-di di riprese cinematografi che nei boschi, di nottate di prove con at-tori e musicisti al Teatro degli Una-nimi, di messa a punto dei tantis-simi pezzi di teatro, di cinema, di installazioni artistiche al Castello Aldobrandesco, insieme ancora a Leo de Berardinis e Mario Mar-tone, Remondi e Caporossi, Toni Servillo, Renato Carpentieri e una moltitudine di attori, poeti e artisti napoletani che avevano Antonio nel cuore. Mentre Danio Manfre-dini “occupava” lo spazio della Sala dell’Oratorio, inaugurato l’anno prima da Antonio, col suo “Tre studi per una crocifi ssione”.

Il manifesto

Neiwiller amava disegnare e di-pingere, del resto nasce sceno-grafo, e aveva lasciato una gran-de quantità di disegni e pitture. La nostra attenzione fu colpita da una croce bianca su fondo bian-co, e quella fu la partenza. Ricor-do però le mille discussioni che ci furono in seguito tra i “puristi” della croce bianca, che ebbero la peggio, e gli “ornamentali” che condirono la croce con cornice e disegnetti.

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19 95I

l segno artistico più forte del 1995 fu il colombiano Enrique Vargas. Quello che sarebbe rimasto più a lun-go non solo nella memoria degli spettatori del festival

ma anche in quella collettiva del luogo-Amiata, tutto partì da una telefonata di Maria Vignolo, mia ex allieva attrice alla Paolo Gras-si: «Guarda che devi venire asso-lutamente a Parigi, alla Villette, a vedere “Il fi lo di Arianna”; lavoro con Enrique da qualche mese e fa un teatro sorprendente». E alla Villette, effettivamente, mi trovo davanti una sorpresa: un labirin-to dove accede una persona alla volta e un percorso emotivo for-tissimo nell’oscurità, accompa-gnato da voci, evocazioni, mani, sussurri. Con Enrique fu intesa immediata, e l’occasione per far-lo venire fu un corso di specializ-zazione professionale per attori in cui lui e i suoi artisti più vici-ni erano le guide. Il Castello dei Mutamenti continuò quindi sotto il segno di Vargas, e per il teatro italiano fu una vera scoperta: già un anno più tardi molti se lo sa-rebbero conteso. E per il Castel-lo Aldobrandesco nasceva una nuova vocazione: un “contenito-re” vuoto che diventava sede di grandi eventi internazionali, so-stenuto da fi nanziamenti europei; opportunità molto concreta che sarebbe continuata fi no al 2004, quando si strutturò in Amiata Summer Theatre Academy con

partecipanti (paganti) da tutto il mondo, e vincitore di nuovi bandi europei.

Insieme a Vargas, star di questa edizione, e alla “Conferenza di un danzatore ambulante” di Vir-gilio Sieni, arrivò Bustric e anche un nuovo progetto di arti visive nel paesaggio, con cui intende-vo ridare senso e vita alla sezio-ne arti visive del festival. Invitai Giuliano Mauri, l’artista italiano più rappresentativo di Arte nella Natura, conosciuto ai tempi di Santarcangelo quando realizzò allestimenti fantastici sul greto del fi ume Marecchia per un’opera del Teatro Valdoca. Lo scoprii culto-re e amante della storia di David Lazzaretti, e in suo onore si offrì di stare con noi dieci giorni e costru-ire al Parco Faunistico, con legni e arbusti, una nuova piccola Tor-re di David, con vista prospettica sull’originale, che chiamò “Came-ra vegetale di decompressione”.

L’altra sorpresa del 1995 fu l’invito a realizzare una sezione del festi-val ad Orbetello, cui dedicammo molte energie, e che riuscimmo ad inaugurare con uno splendido Billy Cobham che ci deliziò con oltre tre ore di concerto, ma an-che con l’arrivo di Marco Paolini e del suo “Racconto del Vajont”, di uno scatenato Virgilio Sieni che coreografava Eschilo nello spazio della Corte del Frontone, che ri-battezzammo Teatro della Lagu-na, di Pippo Delbono e Pepe Ro-bledo che portavano “La rabbia”, spettacolo che fu la premessa del loro successo internazionale, preceduto da un laboratorio dove conobbero attori e attrici che li avrebbero poi seguiti nella loro fortunata carriera.

Il manifesto

Si trattava di porre di nuovo il Ca-stello Aldobrandesco al centro dell’attenzione, e questa volta la scelta fu immediata e senza di-scussioni: ll lato del muro della torre che mostra misteriosi graffi ti d’altre epoche, da cui far sorgere come spiritelli i simboli alchemici dei metalli, tra cui quello dell’oro, che ci avrebbe accompagnato per qualche anno, e che ancora oggi rivedo con gioia.

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19 96N

el 1996 ci fu insie-me l’apertura di una nuova possi-bilità, e insieme un rischio: le nuove regole della Regio-

ne imponevano di fare “progetti d’area”, e Toscana delle Culture fu uno dei progetti pilota. Il festival si allargava agli 8 paesi della Comunità Montana, e soprattutto cambiava la formula gestionale e amministrativa. Ci fu infatti il passaggio della “pro-prietà” dall’Accademia Amiata alla Comunità Montana, che da allora ne detiene la gestione a tutti gli effetti. Il festival quindi si allargava, ma per-deva il suo centro, fi no ad allora ad Arcidosso, insieme alla formula dei laboratori e delle produzioni, per di-stendersi in un mese di programma-zione. C’era l’acquisto di una forza istituzionale, e anche l’opportunità di rappresentare un territorio vasto, ma anche la perdita di un centro e delle possibilità produttive. Ripensando a quei momenti mi viene in mente un koan del buddismo zen che recita: “Dove va il pugno quando la mano s’allarga?”. Sono ancora qui che medito sulla risposta.

Il festival cominciò di fatto a Lubia-na e Bogotà: il festival Exodos e il festival Iberoamericano erano infatti i nostri partners per la produzione di “Oracoli”, il nuovo grande spet-tacolo di Enrique Vargas, sostenuta da un progetto europeo che insie-me vincemmo. Dopo queste due prime tappe lo spettacolo sarebbe

approdato al Castello Aldobrande-sco e da qui, ancora fi no ad oggi, in tutti i più grandi festival del mondo. Quell’anno provai di nuovo, dopo gli anni di Santarcangelo, l’ebbrezza di essere al centro dell’attenzione dei teatri del mondo: lo scambio di bi-glietti da visita con Bernard Faivre d’Arcier, direttore artistico del Festi-val d’Avignon, dopo l’invito a recar-si là per un sopralluogo; i colloqui con Joe Melillo, executive director della prestigiosa BAM, la Brooklyn Academy of Music di New York che aveva appena ospitato il “Mahaba-rata” di Peter Brook, durante una gita in camionetta nelle fazende dei dintorni di Bogotà, insieme ad altri direttori di festival internazionali.

Pagai molto cara questa vanità: ol-tre trenta attori per più di un mese, un allestimento ad hoc al Castello Aldobrandesco, le spese che an-darono fuori controllo. Ci sarebbero voluti quindici anni per ripagare quei debiti, aggravati da un furto subito alla fi ne della sezione orbetellana del festival, due computer e tutta la cassa. Alla fi ne mi resi conto dell’im-possibilità di gestire il mastodon-te “Oracoli”, e chiesi al mio amico Pietro Valenti, direttore dell’ERT, il Teatro Stabile dell’Emilia Romagna, di prendersi a carico la produzione e la sua distribuzione. Il passaggio di consegne avvenne proprio ad Avi-gnone, dove accompagnai Enrique per il sopralluogo. Per anni il pro-getto del Teatro de los Sentidos sa-rebbe continuato a Modena, dove continuò l’attrazione di nuovi attori italiani iniziata sull’Amiata.

Ma “Oracoli” non fu il solo even-to del festival; di quell’anno ricordo con particolare piacere l’ospitalità di dieci giorni data a Marco Paolini, che stava provando il suo “Milione” e aveva bisogno di un luogo appar-tato di concentrazione. Insieme a lui alcuni allievi attori della Paolo Grassi

di Milano, a cui passava la memoria del “Racconto del Vajont”. Le prime prove pubbliche del “Milione” avven-nero nella piccola piazzetta di Porta di Maremma a Roccalbegna, in due serate diverse. Nella prima chiamai a raccolta, intorno a lui, molti narratori e attori locali, e fu una serata indi-menticabile; fu lì che Giuliana Musso, una delle allieve attrici che erano con lui, ci fece sentire per la prima volta il “Racconto del Vajont” al femminile; molti anni dopo avrei ospitato nella stagione invernale gli spettacoli di Giuliana, diventata ormai attrice co-nosciuta e apprezzata. Subito dopo le prove del “Milione” a Roccalbegna Marco portò il suo “Racconto del Vajont” – l’originale - al Teatro degli Unanimi di Arcidosso. Nell’autunno successivo quello spettacolo avreb-be scosso le statistiche televisive dell’audience, e sarebbe diventato l’emblema della possibilità di fare una televisione diversa, lanciando Marco verso il successo popolare.Piccole chicche furono il corollario di questo pazzo 1996, portate da alcu-ni degli attori che gravitavano intorno a Leo a Bologna, da Marco Manchisi a Francesca Mazza, oppure dal fol-letto Paolo Ciarchi che girò l’Amiata con la sua “Microconferenza di mu-sicologia applicata”.

Il manifesto

Nel gruppone di artisti colombiani che accompagnavano Enrique spic-cava la sagoma massiccia, barbuta e misteriosa di Dioscorides Peres, pittore, fi losofo e sciamano originario delle foreste amazzoniche. Sua era una delle stanze di “Oracoli”, dove tatuava un segno sul polso di ogni visitatore, suoi i disegni dei tarocchi che accompagnavano il percorso, e suo il disegno del manifesto, che Mario subito approvò con entusia-smo, e i tanti disegni che accompa-gnarono il libretto con il programma.

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19 97F

u l’anno nero. Erava-mo sommersi da debi-ti enormi, ed arrivò la mazzata fi nale: il nuo-vo assessore alla cul-tura della Provincia di

Grosseto, con una decisione sen-za precedenti e – scoprimmo più tardi – piuttosto “discrezionale”, azzerò totalmente i contributi al festival, accumulati dopo anni di riconoscimenti e successi. Quindi crollavano sia la possibilità di fare il festival che quella di iniziare un lento recupero delle economie. Oltretutto il festival era diventato “d’area”, ed avevamo l’impegno di programmare in 8 diversi Co-muni.Ma come ogni tanto accade, è proprio dal fondo più nero della sconfi tta che nascono le cose del domani. Quell’azione dell’asses-sore provinciale provocò prima di tutto una valanga di fax da tanto teatro italiano e internazionale; dalla segreteria della presidenza della Provincia un giorno mi ar-rivò una telefonata, tra lo scher-zoso e l’allarmato: “Basta, digli di smetterla, non facciamo altro che ricevere fax per voi!”. Il Presiden-te quindi si rese conto dell’effetto e promise che avrebbe guardato con un altro occhio la manifesta-zione; non era possibile ormai in quell’anno stesso, ma quell’atteg-giamento non sarebbe perdurato. Il secondo effetto fu che il gruppo dei giovani assessori dei Comuni dell’Amiata, coordinati da Angelo Bernardelli, che l’anno prima ave-

vano sostenuto la nascita del pro-getto d’area, si strinsero intorno alla manifestazione, vollero conti-nuarla a tutti i costi, e si unirono a noi per chiedere un sostegno alla Regione. Da qui un altro effetto ancora: fummo inseriti nel pro-getto più generale della Via Fran-cigena, che ci avrebbe portato verso il Giubileo del 2000, ed ar-rivarono alcuni spettacoli con cui riuscimmo non solo a fare il festi-val, ma ad avere ospitalità pre-stigiose come quella di Mimmo Cuticchio. Tra l’altro Mimmo, che era in transito per una tournée al nord, arrivò col camion carico dei suoi bellissimi – e preziosi - pupi siciliani, con cui allestimmo eventi speciali e – al Teatro di Arcidos-so – un vero teatro dei pupi, con i drappi alle pareti. Ad accompa-gnarlo, oltre al fi glioletto, c’era Marcello d’Agostino, tecnico luci straordinario che dieci anni dopo sarebbe diventato colui che fi rma le luci di tutti i nostri spettacoli.

Ma ci sono anche due altri fat-ti importanti legati a quell’anno, uno molto personale e l’altro artistico. Il primo: siccome non c’erano soldi e non ci potevamo permettere personale, facemmo tutto da soli, io e Letizia France-schelli che in quegli anni accom-pagnava l’Accademia Amiata con un lavoro prezioso di segreteria e amministrazione. Io quindi ero continuamente fuori, nei palchi, a dare assistenza tecnica alle com-pagnie; ma avevo mia fi glia Nina, che all’epoca aveva sei anni, e la portavo sempre con me. Mi ricor-derò per sempre le emozioni di quell’estate, fu il primo momento in cui mi resi conto che mia fi glia poteva essere indipendente, con una propria personalità autonoma nel mondo. Mentre allestivamo lo spettacolo di Roccalbegna mi ac-corsi improvvisamente che non

era più accanto a me, e comin-ciai a cercarla. Dopo un po’ vidi da lontano una processione che arrivava, e in testa c’erano il prete e mia fi glia che teneva uno sten-dardo! Chiesi spiegazioni e lui mi disse che era arrivata in chie-sa mentre suonava le campane, aveva voluto provare anche lei, e da allora aveva seguito il prete in tutti i preparativi della processio-ne. A Castel del Piano invece le attrici di Teatrombria mi chiesero il permesso di usarla durante lo spettacolo, e io acconsentii; me la vidi alla sera in giochi sperico-lati, accanto a teli con ombre che poi prendevano fuoco e lei che passava nei varchi… avevano provato insieme tutto il giorno ed era riuscita a fare cose incredibili!

Il secondo fatto: visto che non c’erano più soldi, durante la pri-mavera riunimmo più volte il no-stro gruppo. Oltre a Claudio An-gelini, Thomas Fortmann e Bruno Gaudieri si era allargato a Lucio Pari, Lorenzo Pallini e Michela Eremita. Arrivammo ad una con-clusione: continuare. Ma come? Visto che non potevamo più per-metterci di ospitare nessuno, e che dovevamo anche recuperare dei debiti, che perlomeno faces-simo solo quello che veramente ci interessava. Se ci si doveva av-valere di artisti collaboratori, ciò doveva avvenire nell’esclusivo in-teresse dell’arte e del progetto e senza compenso. Lo chiamammo Laboratorio Utopia, e ci demmo appuntamento all’autunno suc-cessivo per scambiarci i progetti che ognuno promise di elaborare.

Dalla libertà creativa che il Labo-ratorio Utopia aprì dentro ognuno di noi sarebbero nati i progetti importanti di musica e arti visive degli anni futuri: “Oltre il paesag-gio” con Michela, il “Laborato-

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rio internazionale di forgia” con Lucio e, con Lorenzo, “Odissea nelle bande”, “Pow wow”, “Ban-dando”, “Vox Populi”. E dentro di me fece risorgere un seme che in quegli anni tenevo sempre nasco-sto: quello di dedicarmi di nuovo al teatro attivo, riprendere in pri-ma persona il percorso di regista che avevo interrotto. Nell’autunno decisi che avrei ripreso partendo dal teatro che più avevo senti-to vicino in quegli anni, quello di Antonio Neiwiller, e chiamai a raccolta su quel progetto la sua attrice Vincenza Modica e Mim-mo D’Iorio, che aveva collaborato tecnicamente alla realizzazione di “Titanic” ad Acerra.

Il manifesto

Mario fece tutto da solo; sapeva dell’anno “nero” e mi restituì per l’appunto un manifesto in bianco e nero bellissimo, una sorpresa che mi lasciò stupito: era un col-lage di immagini, ognuna col pro-prio posto signifi cativo all’interno del rettangolo, come un mandala in cui era ricreata la storia del fe-stival. Ogni dettaglio aveva il suo senso e valore. Questa sua azio-ne mi rivelò defi nitivamente non solo una sensibilità, che avevo imparato a conoscere, ma una sorta di chiaroveggenza.

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l festival riparte cercando di disegnare i nuovi percorsi che si erano aperti col La-boratorio Utopia, e comin-cia a fare i conti in maniera più consapevole col proget-

to d’area. Anzi, il progetto addirit-tura si allarga, perché riusciamo a vincere la gara d’appalto istituita dal Comune di Abbadia San Sal-vatore per prendere in mano le re-dini del decaduto Amiata Festival. La notizia mi arriva mentre muore mio babbo, e forse è per questo che penso così intensamente a lui quando sono in quelle strade, lungo le diritture di Quaranta.

Ma è tardi per organizzare un vero festival ad Abbadia, e d’accordo con l’amministrazione decidiamo di fare pochi spettacoli nell’esta-te, per cui propongo la nuova location di un palco sullo sfon-do del paesaggio minerario, e di investire nella creazione di una nuova manifestazione in inverno, nei giorni di Santa Barbara ai pri-mi di dicembre.

Ma al Cinema Roma di Abbadia tentammo comunque quell’esta-te un’operazione produttiva am-biziosa: detti credito ad Antonel-la Cirigliano, che aveva fondato un nuovo gruppo dopo l’espe-rienza con Vargas, e creò un suo percorso di teatro sensoriale che trasformò interamente quello spazio, con una risposta sor-prendente del pubblico, e fon-

dò così il suo nuovo gruppo che ebbe un discreto successo negli anni a venire.

Nel frattempo con i Comuni del versante grossetano raccogliamo i cocci e proviamo a ripartire. Con la Banda Osiris ad Arcidosso, con un bel lavoro su San Francesco di Mario Spallino a Roccalbegna, rifondando insieme a Lorenzo Pallini la sezione musicale del fe-stival, a partire dalle radici tradi-zionali del canto locale incarnate dai Cardellini del Fontanino con “Vox Populi”; e con Michela Ere-mita, complice Niso Cini che mise a disposizione il Parco Faunistico, cominciarono ad arrivare grandi talenti delle arti visive, per il nuo-vo progetto “Oltre il paesaggio”.

Finito il festival ci apprestiamo alla “coda” invernale ad Abbadia; chiamiamo la manifestazione pro-prio “Santa Barbara”. Lavoriamo col nostro stile, fatto di produzioni ed eventi speciali. Prima di tutto mi chiudo con Vincenza Modica e Mimmo D’Iorio per un mese nel minuscolo Teatro Servadio, dove creo il primo spettacolo della mia nuova vita artistica, “Rosso cinabro”. Poi, nel grande Teatro Amiata, una personale della com-pagnia di Pippo Delbono, non an-cora così famosa, con “Barboni” e “Guerra”; infi ne, nalla piazza fratelli Cervi, una grande tettoia sotto la quale si sistemano una dozzina di fabbri maestri di forgia provenienti da tutta Europa, lavo-rando ad una stele dedicata alla montagna e al cinabro/mercurio.Un evento commovente fu “la corna” che risuona. Avevamo inserito nel programma questo vero e proprio accadimento per la vita del paese, organizzato dal nascente Museo Minerario. La corna era la sirena che suonava l’avvio e la fi ne del lavoro di mi-

niera, e quindi regolava la vita di tutti. Erano vent’anni che taceva. Tutto il paese si radunò al parco minerario alle 5 del pomeriggio. Non appena la corna risuonò co-minciò a fi occare lenta la neve, insieme alle lacrime di tutti i pre-senti, anche le mie che non ave-vo mai sentito prima quel suono d’altri tempi.Questa sezione invernale del fe-stival ebbe un successo inaspet-tato; grazie anche alla pubblicità con cui invademmo Firenze arrivò molta gente da fuori, soggiornan-do per tutta la durata della mani-festazione. Ma l’amministrazione non ne volle sapere più nulla, ed insistette solo sulla ripresa del fe-stival estivo.

Il manifesto

Gli andirivieni, i saliscendi, le alter-ne fortune del festival ricordarono a me e Mario il Gioco dell’Oca. “Avanza”, “Stai fermo un giro”, “Arretra di due giri”… era così che ci sentivamo all’inizio di quell’an-no. E Gioco dell’Oca fu. L’idea di Mario fu di riprenderne uno tale e quale in modo che, volendo, ci si potesse anche giocare coi dadi e le pedine. Fu il manifesto più co-lorato e gioioso di tutta la storia del festival, e sicuramente quello con più successo di pubblico. Ce lo chiedevano continuamente, e per non lasciare nessuno delu-so ordinammo addirittura una ri-stampa. Ancora oggi capita che qualcuno chieda: “Ma quel mani-festo, ce l’avete ancora?”.

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i inizia a progettare un unico festival che comprende 12 Co-muni di due Province. Ma i due versanti non ci stanno ad unifi care

il nome, allora procediamo con nomi diversi, e con materiali pro-mozionali diversi, ma con lo stes-so stile, la stessa identità artisti-ca, lo stesso staff organizzativo.

Mi ero messo a lavoro di buona lena. Virgilio Sieni si stava dedi-cando alla fi aba, l’intuizione gli era venuta proprio l’anno prima in un bosco di Seggiano. Gli pro-posi di ambientare i suoi lavori in quello che per me era il luogo di eccellenza dove coesistevano sia la natura che il lavoro dell’uomo: il bosco di castagni, quando è ben curato. Scegliemmo il luogo incantato delle Piane di Arcidos-so, dove Virgilio creò l’indimenti-cabile “L’entrare nella porta senza nome”, immortalato da un bellis-simo video di Andreas Pichler. Il pubblico era portato, solo con la luce delle torce, ad addentrar-si nel bosco che si popolava via via di cappuccetti rossi e sensuali lupi cattivi, soldatini di piombo, conigliette e Hansel e Gretel. Fu un successo che varcò i confi ni dell’Amiata e fu richiesto e ripro-posto in tanti luoghi, ma in nes-suno si ripeté la magia di quelle sere.

Michela Eremita continuava con entusiasmo il suo lavoro su “Oltre

il paesaggio”, e con Pallini arriva-rono, oltre a “Vox Populi”, un nuo-vo progetto sulla contaminazione di grandi artisti, provenienti so-prattutto dal jazz, con le bande di paese. Da un suo viaggio in Ma-cedonia era arrivato con la sco-perta della Stip Bleh Orchestra, che, dopo mille peripezie per ot-tenere i visti, deliziò tanti paesi coi suoi concerti ricchi di ritmo e di vita. Ma soprattutto ci inventam-mo “Pow wow” a Castell’Azzara, un raduno notturno nello stile dei nativi d’America, presenti in carne ed ossa con una loro rappresen-tanza e con le loro danze, unendo tutti i musicisti e i teatranti del fe-stival. Fu indimenticabile l’arrivo notturno della banda macedone nel piccolo spazio antistante al bar del Parco Piscina, un suono che stordiva e tutti che, secondo l’usanza macedone, infi lavano fo-gli di mille lire nei cappelli o nel giacchetto dei musicisti, per farli continuare a suonare.

Ma la vera rivelazione di quell’an-no, e per me l’emozione più gran-de e duratura, fu l’arrivo di Ellen Stewart, la leggendaria MaMa del teatro off-off newyorchese. El-len era un mio mito, avevo letto tutto su di lei; conservavo gelo-samente il numero monografi co di The Drama Review, la rivista di Schechner, che avevo trovato in una libreria di New York anni prima. Avevo saputo che aveva fondato un suo centro a Spole-to, e che là aveva una casa. Era da un po’ di tempo che chiedevo a Claudio Meldolesi, ma soprat-tutto a sua moglie Laura Maria-ni, spoletina di origine, di darmi un’occasione per incontrarla. Ero a Milano alla mia scrivania, verso le dieci di una sera di marzo, e mi arrivò una telefonata di Laura: “Guarda che ho appena parlato con Ellen Stewart, è a Spoleto in

questo momento, se la chiamo subito la trovi”. E mi dette il nu-mero. Chiamai immediatamente, col mio inglese stentato, e lei mi disse che sì, era lì, e che sareb-be stata contenta di incontrarmi, ma che la mattina dopo alle 10 aveva un aereo a Fiumicino che l’avrebbe riportata a New York, e sarebbe tornata solo ad estate inoltrata. Trattenni il fi ato un atti-mo e le dissi subito: “Bene, do-mattina ti accompagno io all’ae-roporto, a che ora vuoi partire?”, “Verso le 7, massimo 7 e mezzo” rispose. Ci sarò. Controllai l’ora-rio dei treni, il primo treno partiva per Firenze dopo una mezz’ora da Stazione Garibaldi, vicinissi-ma a casa mia. Cercai sull’elenco del telefono le agenzie di noleg-gio auto di Firenze e ne trovai una che mi faceva trovare una mac-china alle 4.30. Prenotai e partii. Tutto funzionò, e alle 6.30 ero a Santa Maria Maggiona, il centro di Ellen vicino a Spoleto, pronto per accompagnarla. Mi si pre-sentò questa donnona nera coi capelli crespi tutti bianchi e un sorriso smagliante lustro di ros-setto appena messo, gentilissima e concretissima, quasi rude. Mi fece visitare in dieci minuti quel luogo, dove sarei tornato tante volte, e a cui ancora oggi mi lega una collaborazione. Poi via verso l’aeroporto, e nel tragitto in mac-china, e nell’attesa dopo il check-in, venne disegnandosi il nostro progetto. Lei avrebbe ospitato in Umbria, nel luglio successivo, tutta l’equipe artistica del mitico spettacolo “Frammenti di una trilogia greca” di Andrei Serban ed Elisabeth Swados, che dove-va fare una tournée europea. Ma dovevano restare per una set-timana là, inattivi, e soprattutto dovevano ricostruire in Europa le scenografi e dello spettacolo, che non potevano essere trasportate

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in aereo. Allora: avremmo ospita-to noi il gruppo in quei giorni, e comprato i legnami che occor-revano per la scenografi a, che avremmo ricostruito ad Abbadia col suo scenografo coreano. In cambio, una serata del loro spet-tacolo. Fissammo i termini di un sopralluogo estivo per scegliere il luogo. Dopo quel giorno pensai a tutti i luoghi possibili, e scelsi il Parco della Miniera. Il giorno del sopralluogo lo feci vedere ad El-len, che accettò, ma storcendo il naso. Mentre tornavamo verso il paese sbirciò da un lato, passa-vamo vicino allo stadio, e mi chie-se: “E quello cosa è?”. Gli dissi che era lo Stadio di calcio, e lo volle vedere. “Questo è il posto” sentenziò. Sarebbe stato il luogo di uno degli eventi più straordina-ri dell’intera storia del festival, e da quell’anno Ellen mi dette mol-te altre lezioni di vita e di teatro; avremmo lavorato insieme anche l’anno successivo, intrecciato re-lazioni con tutto il suo gruppo, e ancora oggi la ricordo con grande amore.

Il manifesto

A quel tempo si stava riscoprendo l’arte dei Nasini, pittori-illustratori settecenteschi nativi di Castel del Piano, che lasciarono le tracce più importanti proprio ad Abba-dia, negli affreschi dell’Abbazia. Nacque così l’idea; siccome gli amministratori vogliono due festi-val diversi con nomi diversi, fac-ciamo pure due manifesti, ma in modo che se si mettono accan-to ne formano uno unico. Venne fuori così un manifesto 140 x 100 che facemmo affi ggere sia tutto intero, sia nelle due parti separate che rappresentavano i due “di-versi” festival.

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Regione Toscana, Province di Grosseto e di Siena, Comunità Montane Amiata Grossetana e Senese, A.P.T. AmiataComuni di Abbadia San Salvatore, Arcidosso, Castel del Piano, Castell’Azzara, Castiglione d’Orcia, Cinigiano,

Piancastagnaio, Radicofani, Roccalbegna, Santa Fiora, Seggiano, Semproniano

Informazioni: Accademia Amiata, 58031 Arcidosso (GR), tel. 0564 968205, fax 0564 968206, www.accademiaamiata.it • [email protected] turistiche: A.P. T. Amiata, Via Adua, 25, 53021 Abbadia San Salvatore (SI), tel. 0577 775811, fax 0577 775877 • [email protected]

MONTE AMIATA22 LUGLIO 27 AGOSTO 2000

T O S C A N A D E L L E C U L T U R E

A M I A T A F E S T I V A LLaboratorio Internazionale di Teatro, Musica e Arti Visive

Diretto da Giorgio Zorcù

REGIONE

TOSCANA

Z I BA L D

O N E

9- 13 A G O

S T O

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l festival del Giubileo fu la vetta mai più raggiunta da tanti punti di vista: del pre-stigio artistico internaziona-le, dell’estensione territo-riale, delle economie. Non

lo fu purtroppo localmente, anzi determinò una serie di litigi ed in-soddisfazioni.

La parte dolce della memoria è sintetizzata da un pomeriggio di sole, mentre tornavo in auto da un sopralluogo a Siena – dove avrem-mo fatto una serata – e ascoltavo Hollywood Party su Rai3; mi ave-vano intervistato qualche giorno addietro, ma tutta la prima parte di quel servizio mi stupì: diceva-no che quel progetto sull’Amiata aveva raccolto lo spirito migliore delle origini della Biennale di Ve-nezia, con un programma di pro-duzioni, ospitalità e ardite speri-mentazioni del meglio del teatro e del cinema mondiale, e con un programma musicale di tutto rispetto. Oddio!! In effetti avevo voluto che – sempre continuando con le idee del Laboratorio Uto-pia – le sezioni musica e arti visi-ve continuassero una loro strada autonoma e fortemente creativa, sotto le direzioni di Lorenzo Pal-lini e Michela Eremita, e avevo aggiunto una sezione Cinema af-fi data a Rossella Ragazzi, che a suo tempo aveva magistralmente ripreso l’ultimo spettacolo di An-tonio Neiwiller ad Arcidosso e che nel ’94 aveva realizzato per il fe-stival lo splendido laboratorio su

Jean-Luc Godard “Fino al punto che si può raggiungere” (che anni dopo avrei ripreso come titolo del primo spettacolo fatto con Sara). E Lorenzo, Michela e Rossella avevano risposto egregiamente all’appello. Lorenzo continuando a tessere i suoi rapporti tra mu-sica colta e musica popolare con i progetti Vox Populi e Odissea nelle Bande. Michela con due azioni: ampliando il progetto Ol-tre al Paesaggio sia al Parco Fau-nistico che al Parco Minerario di Abbadia, chiamando artisti come Bernardo Giorgi, Eva Marisaldi e Dominique Papi; poi istituendo il nuovo progetto “Oltre i confi ni: Kurdistan” con cui si esportavano clandestinamente cortometraggi di cineasti kurdi e si assegnava loro un premio (era la prima vol-ta che si vedevano in Occidente quelle immagini). Rossella co-struendo due progetti con la re-sidenza di due grandissimi cine-asti: l’armeno Artavazd Peleshjan ad Abbadia, con i suoi splendidi fi lm proiettati in strade e piazze, e il georgiano Otar Ioseliani nelle campagne di Cinigiano, con pro-iezioni a Castel Porrona e con la ricostruzione, a Colle Massari per la festa di Santa Marta, del cast del suo “Un piccolo monastero in Toscana” con i Cardellini del Fon-tanino e i monaci di Sant’Antimo col loro canto gregoriano.

La costruzione del budget fu mol-to lunga e faticosa, ma anche appassionante. Prima di tutto dal progetto Porto Franco: ero nel gruppo di programmazione re-gionale, e quell’anno fu deciso di fare una serie di Campus tematici in varie parti della Toscana; tutti i gruppi dei vari Campus sarebbero poi confl uiti nella festa fi nale “Zi-baldone di Porto Franco” proprio sull’Amiata, dove sarebbero stati accolti da una serie di spettacoli

internazionali e da una cerimonia fi nale a Merigar.

Poi dalla nostra inclusione nel progetto nazionale di Mario Mar-tone “Per antiche vie”, fi nanziato e gestito dall’Ente Teatrale Italia-no e dal Teatro di Roma, con varie collaborazioni lungo tutta la Via Francigena.

Complessivamente, unendo que-sti fi nanziamenti straordinari a quelli istituzionali, riuscimmo a raggiungere una cifra complessi-va di circa 500 milioni di lire, per progettare l’intero festival. Ma se il progetto fu bellissimo, e la ri-sonanza fuori dell’Amiata molto forte, non si può dire altrettanto dell’esito sul territorio. Feci infatti un errore fondamentale: invece di gestire quei fondi straordinari in modo autonomo, come progetto speciale della direzione artistica, misi quei fondi a disposizione dei Comuni. L’obiettivo di quella de-cisione era quello di consolidare l’area vasta che si era creata, e si partì con un tavolo di concer-tazione alla presenza delle due Province di Grosseto e di Siena, delle due Comunità Montane e di tutti i Comuni. Era il nuovo “tavolo politico” che avrebbe dovuto dare le gambe istituzionali al futuro del festival dell’Amiata e delle politi-che culturali di tutta l’area; a par-tire da lì si sarebbe costruito un grande accordo di programma, in linea con i nuovi regolamen-ti regionali che favorivano quel tipo di concertazione territoriale. In ballo c’era il fatto di diventare uno dei nuovi Centri Regionali per lo Spettacolo, istituiti dalla nuova legge, e uno dei dieci festival che sarebbero stati riconosciuti e fi -nanziati.

Ma tutte le migliori intenzioni naufragano davanti all’impon-

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derabile; i Comuni cominciarono a litigare tra loro per le quote di rispettiva spettanza, fi no ad ar-rivare ad una sorta di “manuale Cencelli” proporzionalistico che impediva qualsiasi progettazio-ne; la Regione, nella primavera successiva, avrebbe sconfessato se stessa approvando il fi nanzia-mento ad una miriade di situazio-ni; lo sforzo di due amministra-zioni provinciali, due Comunità montane e 12 Comuni di arrivare ad un accordo di programma plu-riennale fu addirittura penalizzato, riducendo i fi nanziamenti storici.

Paradossalmente, quindi, mi tro-vai in una pessima condizione per progettare, ma continuai imper-territo, preso dall’ideale e molto meno dal buon senso, costruen-do una distribuzione degli eventi sul territorio che mi avrebbe dato molti problemi.

Ad Arcidosso a grande richiesta si realizzò per il secondo anno consecutivo “L’entrare nella por-ta senza nome” di Virglio Sieni nel bosco di castagni delle Pia-ne. Ma soprattutto, grazie a Porto Franco, si riuscì a portare Ellen Stewart e una decina di attori e musicisti newyorkesi per un labo-ratorio con i giovani del paese e la produzione sul posto dell’opera “Il monaco e la fi glia del boia”. Il gruppo soggiornò per un mese, creando incontri e scambi che resteranno impressi nella memo-ria dei singoli e della comunità. Lo spettacolo andò in scena nel grande giardino di una villa nei pressi del paese, di pomeriggio.

Ma Ellen aveva portato con sé anche altri artisti dalla sua ama-ta Corea, il gruppo di balli tradi-zionali che si esibì allo stadio di Abbadia; sempre ad Abbadia, in un parco pubblico, ebbe un cla-

moroso successo il piccolissimo circo dei francesi Petite Theatre Baraque con il loro bellissimo “Coude a coude”.

Il manifesto

Finalmente un manifesto unico per i due versanti dell’Amiata. Ci fu un compromesso sul titolo: vennero mantenuti tutti e due, con più rilevanza grafi ca ad Amia-ta Festival.Michela Eremita aveva chiama-to la fotografa-artista Dominique Papi a sostare sull’Amiata per creare le sue opere; il tema prin-cipale sarebbe stato il cinabro/mercurio. Dominique, maestra nell’arte di unire più fotogram-mi creando immagini di assoluta poesia, restituì una serie di ope-re, tra cui quella raffi gurata nel manifesto di quell’anno: la vedu-ta “classica” del Monte Amiata, quella da Pienza, contaminata dal rosso del cinabro. Quest’anno arrivò al suo massi-mo l’impresa editoriale che ogni anno affi ancavamo al festival, e cioè la pubblicazione di un li-bretto-catalogo. Decidemmo di farlo diventare un’espressione non solo del nostro festival, ma di tutto quello che il territorio offriva di importante, dal punto di vista artistico e paesaggistico. Tutto tradotto in inglese. Fu uno sforzo enorme e un risultato bellissimo, ma purtroppo pochissimi se ne accorsero.

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a linea dell’unione strutturale dei due versanti dell’Ami-ta sul festival e sulla politica teatrale era ormai stata distrutta.

I malumori dell’anno preceden-te, e la sconfi tta dell’accordo di programma, aveva ormai dato voce ai detrattori del festival in ogni giunta e consiglio comuna-le. Nel 2001 si continuò quindi più per inerzia che per convinzione; sarebbe stato comunque l’ulti-mo anno di un grande festival in comune, già lo si sapeva. Para-dossalmente, proprio per questo, nessuno si oppose quando pro-posi come unico titolo Toscana delle Culture.

Per ironia della sorte – sempre buffo, il mondo – mentre se ne andava quel lembo estremo della provincia di Siena, ci chiamò per un nuovo progetto teatrale pro-prio la città di Siena. Insieme al sindaco Piccinni e all’assessore Marina Romiti nacque SienaTea-tri, con la mia direzione, e i primi appuntamenti ebbero luogo tra maggio e giugno tra il Teatro dei Rozzi, l’Università e la Corte dei Miracoli.

L’estate amiatina fu comunque piena di eventi. Continuavano i progetti sul Paesaggio e sul Kur-distan di Michela Eremita, e quelli sulle bande e sulla voce popolare di Lorenzo Pallini; come ricca era

l’offerta di personaggi del teatro italiano, da Marco Paolini a Pa-olo Rossi fi no al comico Gabrie-le Cirilli, quell’anno sulla cresta dell’onda. Ma si respirava un’aria di fi ne, di conclusione di una fase, e le antenne erano già per l’aria a capire da dove poteva arrivare il nuovo, con fi nanziamenti molto ridotti.

Il nuovo arrivava dalle origini. Sempre, in ogni momento di crisi, è stato il pensiero delle origini a ridare vita al progetto del festival. L’essere un luogo di incontro e di laboratorio creativo, prima di tut-to per gli artisti, e da qui per tut-to il resto del pubblico, sia quello locale, che quello giovanile, che quello degli addetti ai lavori più smaliziati. Nel mutare dei tempi, delle persone e delle relazioni vi-tali, quella era la cifra identitaria profonda, la forza a cui tornare. In fondo anche “l’antidoto alla vanità”, che sempre ti prende e ti acceca quando hai un qualche successo.

In effetti emotivamente quell’anno è legato all’arrivo di Jurij Alschitz, a quello di Thomas Richards e Mario Biagini col loro Workcenter di Jerzy Grotowski, alle bellissime esperienze artistiche che Virgilio Sieni continuava a regalare ogni estate all’Amiata.

Con Jurij Alschitz ci conosceva-mo da ormai dieci anni, quando nel 1990 arrivò a VolterraTeatro al seguito di Anatolij Vasilev. Poi l’avevo invitato alla Scuola Paolo Grassi di Milano e insieme aveva-mo creato a Pavia il primo Metho-dika, un incontro internazionale sui metodi teatrali. Mi chiese di diventare partner del progetto europeo “The face of XX century woman”, sull’identità femminile attraverso personaggi teatrali del

secolo scorso, con un gruppo di attrici provenienti da tutta Euro-pa. Vincemmo, e come promesso Jurij arrivò con tutto il gruppo dei suoi assistenti e delle attrici e oc-cupò il Castello Aldobrandesco di Arcidosso – che tornava a rivivere con un progetto internazionale - per due settimane. In mezzo alla concitazione organizzativa di un festival la presenza di quel lavoro, delle lezioni e delle dimostrazioni, i colloqui coi maestri, mi davano il senso vero di appartenenza al teatro, che mi sfuggiva altrove. Poi avvenne anche l’incontro che avrebbe cambiato la mia vita, per-ché tra quelle attrici c’era Sara.

Un ritmo di lavoro comune an-che all’altra importante presen-za laboratoriale, quella del Wor-kcenter, che da tempo inseguivo. Avevo assistito diverse volte alle conferenze di Grotowski, visti i video dei suoi vecchi spettaco-li teatrali, letto libri e articoli. Dal suo libro “Per un teatro povero”, come per tanti della mia genera-zione, era partita la mia vocazione teatrale. Una volta mi era capitata la ventura di dividere con lui una serata; dovevo infatti accompa-gnarlo nottetempo da Santarcan-gelo e Pontedera: mangiammo in un ristorante cinese e via per le strade di notte, parlottando ogni tanto con l’aiuto di Carla Polla-strelli, che traduceva. Poi, dopo la sua morte, ero stato invitato ad assistere ad “Action”, e ne ero rimasto molto colpito. Avevo avu-to un rapporto di simpatia imme-diata con Mario Biagini, e fu con lui che cominciai a parlare della possibilità di una loro presenza sull’Amiata. Loro cercavano un luogo dove continuare un’attività appena iniziata a Roma, e cioè l’incontro con un gruppo di giova-ni intellettuali, studiosi e critici. Ci mettemmo d’accordo e quell’in-

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contro si fece per tre giorni al Convento dei Cappuccini di San Lorenzo, col titolo “L’arte come veicolo: la ricerca attiva e i testi-moni”.

Infi ne Sieni: gli sarò sempre gra-to per la generosità con cui ha affrontato le sfi de che ogni anno gli lanciavo dall’Amiata, con eco-nomie quasi inesistenti; era di-ventato per lui un appuntamento di fi ne stagione, in cui rinfrancarsi e sperimentare in libertà prima della pausa estiva, e per noi fonte continua di meraviglie. Ricorderò sempre, di quell’anno, la grazia con cui seppe coinvolgere l’in-tero paese di Piancastagnaio, a partire dalla ricerca di Apetti con guidatore che dovevano essere il tessuto coreografi co dell’azione “Pinocchius Novus – Una Festa”, con cui invase la piazza centra-le del paese. E la sapienza lieve dei suoi danzatori, saltellanti dai cassoni degli Apetti alle varie postazioni disseminate un po’ ovunque, e quella del suo assolo sul palco principale: piccoli movi-menti del volto che raccontavano in modo struggente la trasforma-zione di Pinocchio. La bellissima serata, anche questo un evento che si andava ad incuneare nella memoria collettiva di quel paese, faceva parte del più vasto proget-to “Tiepidarium dell’abbandono”, che invadeva luoghi diversi del paese, dentro e fuori le mura.

Il manifesto

Ancora un manifesto unico, il fe-stival ormai è diventato uno solo, anche se per l’ultima volta. Era da tanto tempo che pensavamo a come usare la bella immagine del pavimento del Teatro Serva-dio di Abbadia per l’allestimento del mio spettacolo “Rosso cina-bro”: l’albero della vita di Atana-sius Kircher, che scoprivo e por-tavo alla luce durante l’azione scenica come attore. Questa era l’occasione, dato che poteva rap-presentare i due versanti; e lo fa-cemmo diventare il manifesto del festival. A partire da quest’anno si sarebbe purtroppo interrotta la bella tradizione dei libretti-catalo-go che ogni anno accompagna-vano il festival, troppo pesante lo sforzo editoriale, e troppo limitate le risorse per quel piccolo masto-donte di festival per 12 comuni.

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Teatri, Musiche e Poesie dell’AmiataCastell’Azzara, Centro Storico

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Accademia Amiata TeatroSogni e Visioni - ‘48, ‘68Roccalbegna, Porta di Maremma12>14 luglio ore 21.30 *

Bruscello Storico di Castelnuovo BerardengaDavid lazzarettiArcidosso, Piazza Cavallotti7 luglio ore 21.30

Compagnia Virgilio Sieni DanzaMessaggero MutoArcidosso, Piazza Cavallotti3 - 4 agosto ore 21.30 *

Virgilio Sieni: presentazione del libroAnatomia della FiabaArcidosso, Piazza Cavallotti4 agosto ore 18

Banda Funk-Offe Filarmonica “R. Francisci” di Cinigiano

Cinigiano, 10 agosto dalle ore 21.30

Ascanio CelestiniVita Morte e MiracoliMonticello Amiata, Piazza della Chiesa12 agosto ore 21.30 *

Rasenna e Coro dei bambini di MonticelloLa Memoria della CasaMonticello Amiata, Centro Storico13 agosto ore 18

Ascanio CelestiniMiniera Amiata - Il tempo del lavoro

Santa Fiora, Piazza del Borgo16 agosto ore 21.30 *

di Toscana delle CultureArcidosso, Castello Aldobrandesco15 agosto dalle ore 21.30

Giorgio Rossi e Sandro BertiCasi

Giardino di Daniel Spoerri18 agosto dalle ore 20 **

Amiata in MostraStorie, canti e musiche in stradaCastel del Piano21>25 agosto

BandandoStazione Monte Amiata27 luglio dalle ore 19

FiatorkestraSeggiano, Centro Storico

6 agosto ore 18

Fantomatik Orchestra Acustic BandCellena, Centro Storico

25 agosto dalle ore 21

Ascanio CelestiniI racconti di CecafumoArcidosso, Giardino Biblioteca Comunale 14 agosto ore 21.30

Informazioni e prenotazioni:Accademia Amiata - 58031 Arcidosso (GR)Tel. 0564 968205 - www.accademiaamiata.it DIREZIONE ARTISTICA GIORGIO ZORCÙ

* Ingresso € 5, si consiglia la prenotazione - ** Ingresso € 15 (buffet e spettacolo), prenotazione obbligatoria

L a b o r a t o r i o I n t e r n a z i o n a l e d i T e a t r o , M u s i c a e A r t i V i s i v e

SOTTO IL VULCANO: RADICI E FUTURO DELLA CIVILTÀ CONTADINA

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i nuovo una ripar-tenza, senza più l’Amiata senese, che da allora si av-viterà in una serie di progetti estivi di-

versi senza direzione precisa, che le faranno perdere nel tempo il prestigio che aveva acquistato lo storico Amiata Festival e il nostro successivo Toscana delle Culture.

Nel frattempo avevo iniziato insie-me ad Anita Fornaciari un proget-to triennale su David Lazzaretti, “Il Santo della montagna”, e realiz-zato in gennaio il primo spettaco-lo “Sogni e Visioni”. Ricordo sem-pre la felicità in platea di Turpino Chiappini, ottavo ed ultimo Som-mo Sacerdote giurisdavidico, e i suoi abbracci a fi ne serata.

Continuava SienaTeatri, con cui creai lo spettacolo “Ribelli” insie-me agli altri cinque registi toscani con cui avevamo appena fondato Toscana dei Teatri; uno degli epi-sodi più importanti della mia vita teatrale fu il bellissimo incontro fi nale di una settimana delle sei compagnie alla Corte dei Mira-coli. Lo spettacolo sarebbe sta-to ripreso nell’estate a Firenze, e nell’autunno nell’enorme teatro Baltiskij Dom di San Pietroburgo.

Quindi quella perdita di una “fet-ta” di Amiata e dei relativi fi nan-ziamenti, avveniva di pari passo ad un maggiore riconoscimento artistico delle nostre produzioni,

che avrebbero acquistato sempre più importanza all’interno del fe-stival, come cifra distintiva. Inoltre - sempre per vedere il bicchiere mezzo pieno - in questa dimen-sione ridotta ci guadagnavamo in tranquillità, rispetto alla macchina organizzativa che era diventato il festival negli ultimi tre anni. E con la tranquillità ci rimettemmo a ri-fl ettere sul futuro, e lanciammo la proposta: cerchiamo di defi nire dei progetti-base del festival, e di portarli avanti negli anni. Le scel-te artistiche sarebbero avvenute all’interno di questo quadro di ri-ferimento, dedicandoci meno alla spettacolarità immediata e più ad un’attività che poteva espandersi anche in altri momenti dell’anno.

Nacquero così, accanto agli or-mai storici “Vox populi” e “Odis-sea nelle bande”, i nuovi progetti “Miniera Amiata”, “Il sogno di David”, “Popoli e fi abe”, e a Ca-stell’Azzara, sull’onda dei bei ri-cordi di “Pow wow” del 1999, il progetto “Magma”, uno dei suc-cessi più popolari della storia del festival. E sarà proprio con una edizione speciale di Magma che si inaugurerà la ventesima edizio-ne.

Invitai quindi Ascanio Celestini per una Residenza artistica di die-ci giorni, chiedendogli di scavare – come lui sapeva fare, attraverso interviste e personali reinterpreta-zioni – nella memoria della minie-ra, facendo centro su Santa Fiora. Lo accompagnai sempre in quelle interviste, e fui io stesso sorpre-so di come riuscì a restituire quel lungo lavoro in una magica sera di spettacolo nella piazzetta del ghetto di Santa Fiora, stracolma di gente.

Per il progetto su David, insieme a “Sogni e Visioni” in un allesti-

mento speciale a Porta di Marem-ma a Roccalbegna, invitammo lo spettacolo di popolo che avevano fatto a Castelnuovo Berardenga, con la tradizione rinnovata del Bruscello ideata da Luca Bone-chi con l’aiuto di Matteo Marsan e Pippo Scuto.

Ma è la genesi e poi il successo di “Magma”, l’evento che più ri-mane nel cuore di quell’anno. Si-nibaldo Ruffaldi, pastore e gran-de poeta, aveva partecipato due anni prima alla notte del Pow wow facendo il fuoco. Ricordo la mia sorpresa per la maestria con cui prima sistemò la buca in terra, poi le pietre intorno, poi la legna e infi ne il fuoco. Io mi avvicinai, e gli chiesi di fare la buca un po’ più grande, perché volevo un fuoco più grande. Lui mi rispose molto semplicemente: “No, questa è la sua dimensione”. Punto. Quel fuoco ebbe bisogno di pochissi-ma cura e arse tutta la notte, e fu il vero centro di tutta la festa. Vo-levamo di nuovo un incontro del genere e venne l’idea: dedicare ogni anno l’ultimo sabato di luglio ad un incontro tra artisti profes-sionisti e artisti popolari, chieden-do ad ognuno dei frammenti del loro lavoro, dei work-in-progress, anche brevi, da ripetere nell’arco della serata. Alla fi ne, una cena per tutti gli artisti preparata dalla Compagnia del Topone. Di stabi-lirsi ogni anno in un luogo diverso, alternandosi tra Castell’Azzara e Selvena. La folla riempì le stra-de di Castell’Azzara per la prima edizione, piena di sorpresa e di emozione per le tante suggestio-ni diverse. Il nostro obiettivo era raggiunto, e si può sintetizzare ancora nelle parole di Sinibaldo: “Il colto guarda l’incolto, e l’in-colto guarda il colto”. Era questo l’incontro che volevamo.

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Il manifesto

In un anno poverissimo si decise di creare un manifesto usando solo due colori, il blu e il nero, e lavorare ad una sorta di giorna-le da muro. Fu un risultato sor-prendente quella mappa di titoli e parole blu, che senza bisogno di nessuna immagine disegnavano perfettamente l’intento che - tra mille contraddizioni - avrebbe guidato gli anni futuri: quello di dedicarsi a diversi progetti con una loro precisa identità.

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Compagnia Virgilio Sieni DanzaMessaggero MutoArcidosso, Piazza Cavallotti3 - 4 agosto ore 21.30 *

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Ascanio CelestiniVita Morte e MiracoliMonticello Amiata, Piazza della Chiesa12 agosto ore 21.30 *

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Cinigiano, 10 agosto dalle ore 21.30

Rasenna e Coro dei bambini di MonticelloLa Memoria della CasaMonticello Amiata, Centro Storico13 agosto ore 18

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Ascanio CelestiniI racconti di CecafumArcidosso, Giardino Biblioteca Co14 agosto ore 21.30

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Toscana delle Culture26 lug l io > 24 agosto

2 0 0 3XI edizione

A m i a t a S u m m e r A c a d e m yL’Accademia estiva di Teatro e Musica 15 luglio > 3 agosto

Teatro, Musica e Festa popolareMagma 26 luglioMusiche in cantina 10 agostoLa festa del villaggio 13 agostoMusiche in strada 22 - 24 agostoCanti e sonate di trasmissione orale 24 agosto

Paesaggi teatraliNascosto 3 - 4 agostoLa casa di Bernarda Alba 14 agosto

Teatro, Musica e MemoriaRapsodia per Monte Labbro 18 - 19 - 20 agosto125° della morte di David Lazzaretti

Fare Teatro a ScuolaIdee a fuoco 8 agosto

Musiche d’ascoltoConcerto d’arpe 1 agostoConcerto di pianoforte 2 agostoSaxophone Colours 9 - 11 agosto

Vox PopuliI Cardellini del Fontanino: un volo lungo 50 anni23 - 24 agosto

Life support for civilian war victimsAssociazione umanitaria italiana per la cura e la riabilitazione

delle vittime delle guerre e delle mine antiuomo

Dedicato a

R E G I O N ET O S C A N A

Laboratorio Internazionale di Teatro, Musica e Arti Visive

Diretto

da Giorgi

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Comuni di:

Arcidosso, Castel del Piano, Castell’Azzara, Cinigiano,

Roccalbegna, Santa Fiora,Seggiano, Semproniano

Informazioni e prenotazioni:

Accademia Amiatatel. 0564 968205 fax 0564 [email protected] www.accademiaamiata.it

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l 2002 aveva tracciato le linee artistiche; i bilanci si erano ormai consolida-ti al punto più basso: circa 50.000 euro (al netto dell’iva) sarebbe stata la cifra che da

allora il festival avrebbe avuto a disposizione. Eravamo lontani dai 500 milioni di lire del 2000, ma erano pur sempre una sicurezza, e siccome viviamo in un territorio povero dovevamo solo ringrazia-re e non disprezzare.

Continuammo con Magma in una seconda edizione a Poggio La Vecchia di Selvena, con la partecipazione sorprendente di una scatenata Pro Loco che rese quella serata magica e indimen-ticabile; sorsero nuove scalette e sentieri per girare per il borgo e nei campi intorno, una cucina sempre accesa sotto un albero che sfornava continuamente dei succulenti gnocchi di patate, e le musiche, i suoni diffusi dei vari gruppi di artisti, le piccole pièce teatrali, i canti sapienti di Leon-carlo Settimelli. Ad Arcidosso stavamo in quei giorni facendo un laboratorio di arpa, curato da Lisetta Rossi, che accettò con noi di vivere l’avventura, traspor-tare tutte le arpe in una terrazza sul terreno ai confi ni di Poggio La Vecchia, lassù in alto. Era davve-ro spassoso sostare lì, e vedere le facce degli ignari spettatori che arrivavano, pensando che il percorso fosse fi nito, e invece venivano presi dalla visione stra-

ordinaria – e dalla musica - di otto arpiste ai limiti del bosco!

Il risultato di un’azione artistica vera si deposita in una “memo-ria dinamica” del singolo e della collettività, che sta lì sopita ed esce di nuovo quando meno te lo aspetti, e magari fa scattare un’il-luminazione e mette in connes-sione improvvisamente cose tra loro diverse. Questo è quello che io chiamo fare cultura, e questo è uno dei risultati massimi che mi aspetto quando creo i miei spet-tacoli o quando curo un progetto. Perché la “memoria dinamica” si mette in moto solo quando si toc-ca qualcosa di molto profondo, e ci vuole molto lavoro e molta sa-pienza, e anche un po’ di fortuna, per arrivare a quel risultato.

Ma c’è anche una forma più con-creta in cui misuro l’effi cacia di un lavoro culturale, ed è quando restituisci alle persone un altro sguardo sul luogo in cui vivono, o quando addirittura, come capitò a Roccalbegna quell’anno, grazie all’arte riesci a far rivivere un luo-go della memoria antica di quella comunità.Il vecchio mulino di Roccalbegna era un luogo bello, misterioso e irraggiungibile. Ne parlammo col sindaco, e mi assicurò che se ci avessimo fatto qualcosa avrebbe trovato il modo di farci arrivare il pubblico. Ci portai allora Virgilio Sieni per un sopralluogo, e fu un colpo di fulmine: gli antichi muri diroccati, massi enormi in cui scorreva un torrente limpidissimo e tempestoso. Un luogo mitico, insomma. Decidemmo di rica-vare un’arena nell’unico spiazzo pianeggiante esistente, e di fare uno spettacolo su più sere per permettere l’affl usso di un nume-ro suffi ciente di spettatori. Da lì partì un’avventura senza uguali,

che vide fi anco a fi anco gli artisti, gli operai del comune, il sindaco e gli organizzatori del festival. Alla fi ne, oltre ad aver ricavato tra le rocce e gli arbusti un sentiero per l’ultima parte del cammino, la più diffi coltosa, il lungo stradone di arrivo poteva godere di una nuo-vissima illuminazione pubblica fatta di lampadine su alti pali di legno.

Continuava nel frattempo la mia esplorazione dell’universo davi-diano con “Rapsodia per Monte Labbro”, un tessuto di parole e musica presentato nel bellissimo giardino dei Corsini a Castel del Piano.

Al Castello di Arcidosso invece tentammo di riprendere le idee sorte nel 2001 con Jurij Alschitz e realizzare insieme il primo espe-rimento di Summer Academy teatrale. Fu un bel successo di partecipazione, e ci incoraggiò a continuare e a progettare per l’anno futuro la prima vera Amiata Summer Theatre Academy, ben strutturata.

Il manifesto

Per onorare la nuova scoperta del mulino di Roccalbegna gli si volle dedicare il manifesto e, in-sieme a Mario e mia fi glia Nina, si partì per un sopralluogo, muniti di macchina fotografi ca, cercando un’idea. Dopo aver viaggiato me-ravigliati tra quelle rovine, ci col-pì una grande macina da mulino in pietra, ancora appoggiata ad una parete, possente ed elegan-te. Così, semplicemente, diventò quello il simbolo del festival.

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occalbegna si confer-mava uno dei centri profondi e vitali del nuovo festival. Dopo il vecchio mulino fu la volta del podere

di Andrej Tarkovskij. Scoprimmo che il grande regista russo pas-sò gli ultimi tre anni della sua vita quasi sempre a Roccalbegna, cercando di ristrutturare un po-dere dei dintorni. In omaggio a quella scoperta chiamai il fi glio e gli proposi di dedicare una serata al padre. Mi immaginavo questa serata come un raduno di pochi spettatori smaliziati; invece per “Offerta immaginaria”, serata di musica e immagini dai grandi fi lm di Tarkovskij, arrivò un pubbli-co inaspettato, spuntato da ogni dove al richiamo della poesia. Sorpresa e grande soddisfazione.

Mentre a Castell’Azzara con una stanca edizione di Magma si esauriva quel progetto, nella piazza di Arcidosso il grande chi-tarrista brasiliano Irio De Paula incantò gli appassionati di musi-ca. Sieni si cimentò di nuovo con spazi vasti, allestendo al Giardino di Spoerri uno spettacolo itine-rante fatto di “campi lunghi” e di grandi suggestioni.

Al Teatro Amiatino di Castel del Piano nasceva e prendeva corpo la nostra nuova formazione ar-tistica: con Sara allestimmo uno studio scenico del nostro primo spettacolo, “fi no al punto che si

può raggiungere”, che avrebbe debuttato nella sua forma defi ni-tiva al CRT di Milano nel febbraio 2005.

Un bellissimo risultato arrivò dall’Amiata Summer Theatre Aca-demy; era frutto di un lungo lavo-ro comune, e Jurij aveva com-posto un programma didattico molto complesso: corsi per attori professionisti, per giovani attori, per registi e per pedagoghi, tenuti da maestri internazionali ricono-sciuti, soprattutto di scuola rus-sa, insieme ad attori e pedagoghi italiani. Arrivarono 24 persone da tutto il mondo, dall’Islanda agli Stati Uniti, pagando ognuno quo-te di partecipazione dai 700 ai 900 euro, oltre a farsi carico del viaggio e del soggiorno. Era la di-mostrazione che si poteva com-piere un’azione culturale anche in piena autonomia, chiedendo alle istituzioni solo quell’appoggio lo-gistico che per noi era il Castello, ma restituendo la permanenza per tre settimane nel territorio di tutte quelle persone, tra allievi, maestri e amici.

Il manifesto

Tra le carte del fi glio di Tarkov-skij spuntò un disegno a tratto sul paesaggio di Roccalbegna, schizzato su un foglio. Adagiato su una foglia d’oro e contornato di rosso divenne quello il nostro manifesto.

Page 48: Toscana delle Culture 1993-2012 - 20 anni di manifesti

C o m u n i d i :ArcidossoCastel del PianoCastell’Azzara CinigianoRoccalbegnaSanta FioraSeggianoSemproniano

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TOSCANA CULTURE

Il gioco dei destiniincrociatiOmaggio a Italo Calvino

La favola della donna avvelenataArcidosso 22 luglio, Castel Porrona 23,Castell’Azzara 24, Santa Fiora 29,Castel del Piano 30, Roccalbegna 31Con Sara Donzelli, Federico Bertozzi, Carlo Gambaro, Barbara Masi,Andrea Omezzolli, Claudia PastoriniDrammaturgia Federico Bertozzi

Regia Giorgio Zorcù

Il treno rampanteSeggiano 8 agosto,Arcidosso 9,Montenero 10Con Ferruccio Filippazzi

Racconti fantasticiRocchette di Fazio 14agosto, Seggiano 20Con Giorgio Zorcù

Fiabe italianeArcidosso 17 agosto,Semproniano 18,Seggiano 19Con Sara Donzelli

Bustric:un’autobiografia teatralePierino e il lupoSanta Fiora 5 agosto

Escamot o La meravigliosa arte dell’ingannoArcidosso 6 agosto

NuvoloArcidosso 12 agosto

I Re MaghiGalà Magico di vera MagiaCastel del Piano 13 agostoCon Bustric, Mirco Menegatti e i Van Denon

Conferenza, mostra fotografica, ciclo di film, spettacoli di stradaArcidosso, Castell’Azzara, Roccalbegna 6-13 agosto

Re, Regine, Maghi e Fanti

Comunità MontanaAmiata Grossetano

XIII edizione

22 luglio 20 agosto 2005

Laboratorio

Internazionale

d i T e a t r o

Musica e

Arti VisiveDiretto da

Giorgio Zorcù

TOSCANA CULTURE

Ingresso 7 EuroIl treno rampante, Racconti fantastici, Fiabe italiane 5 Euro

Spettacoli di strada ingresso gratuito

Santa Fiora in Musica ha collaborato per Pierino e il lupo

La Città del Teatro di Cascina ha collaborato per La favola della donna avvelenata

La Compagnia Bustric ha collaborato per l’Autobiografia

Info

Accademia Amiata

tel 0564 968205 fax 0564 968206

info@accademiaamiata .it

www.accademiaamiata.it

Direzione artistica Giorgio ZorcùConsulenza progettuale e organizzativa Emilio Vita (Associazione Argante) Direzione organizzativa Associazione ArganteOrganizzazione e promozione Francesca Simonetti

Page 49: Toscana delle Culture 1993-2012 - 20 anni di manifesti

20 05D

edicammo quell’in-verno molto tem-po a progettare la seconda edizione dell’Amiata Summer Theatre Academy,

dopo il successo della prima; era-vamo pieni di spirito vitale, perché una Università americana ci ave-va chiesto di fare una sessione nel mese di aprile, e ci sembrava una buona possibilità di lavoro e un’opportunità per il paese. Con l’idea della Summer vincemmo un bando europeo. Ma all’improvvi-so arrivò la doccia fredda: il Co-mune ci negò l’uso del Castello.

Di nuovo spiravano venti di crisi, evidentemente questa volta una crisi tutta interna alla vecchia Ac-cademia Amiata, e ai rapporti col Comune di Arcidosso.

La cosa più preziosa che sen-tivo di avere in quel momento erano gli spettacoli che stava-no nascendo dal sodalizio arti-stico con Sara, e decisi di far nascere una nuova formazio-ne, la compagnia Accademia Amiata Mutamenti, per preser-vare quel patrimonio: continua-re a produrre il nostro teatro, e a distribuirlo sul territorio na-zionale, in piena indipenden-za. Chiedemmo al Comune di Castel del Piano, l’uso del Te-atro Amiatino come sala prove e sede dei nostri laboratori, e quindi nuovo luogo della nostra Residenza artistica, un concet-

to che si sarebbe molto svilup-pato negli anni a venire. Il Co-mune ce lo concesse.

Cambiavano insomma nuova-mente gli assetti, su più fronti. Per quello che riguardava il fe-stival eravamo di nuovo di fronte alla necessità di ridisegnare i suoi orizzonti e il suo futuro. Mi sen-tivo stremato e senza più idee, e chiesi aiuto: chiamai una vecchia conoscenza, Emilio Vita, grande organizzatore teatrale diventato l’anima del Ravenna Festival, e lui rispose all’appello.

Misi Emilio, senza infi ngimenti, davanti alla nuova situazione in tutta la sua complessità, e insie-me a lui ritornò l’energia di pro-gettare, avendo a cuore la nuova vocazione produttiva della com-pagnia appena nata. Decidem-mo innanzitutto di fare un festival con un tema e un titolo intorno a cui progettare. Quell’anno ri-correvano i venti anni dalla mor-te di Calvino, avvenuta vicino a noi, a Castiglione della Pescaia. Da sempre avevo amato il suo lavoro, fi no alle ultime “Lezioni americane”, ma mai avevo ap-profondito a suffi cienza. Mi aveva sempre attratto il suo romanzo “Se una notte d’inverno un viag-giatore”, e proposi a Federico Bertozzi, mio ex allievo attore alla Paolo Grassi diventato un giova-ne drammaturgo di successo, di fare insieme una trasposizione teatrale, che avremmo messo in scena durante l’estate con un gruppo di attori in una sorta di creazione-laboratorio, secondo lo stile del festival riportato alle esigenze della nuova compagnia. Su consiglio di Emilio chiedemmo una coproduzione a Sandro Gar-zella e Sipario Aperto di Casci-na. Ne discutemmo a lungo con Sandro in un viaggio a Barcellona

per vedere il nuovo spettacolo di Vargas, nella sua nuova sede del Polvorin sulla montagna del Tibi-tabo. Era una vera coincidenza, e un felice reincontro con Enrique, che lui avrebbe ospitato nell’au-tunno successivo. Ne nacque “Favola della donna avvelenata”, che dopo il debutto a Castel del Piano girò in tutte le piazze del festival. Fu una genesi – e una gestione - piuttosto faticosa, ma l’esito fu per noi felice, e soprat-tutto cementò l’amicizia artistica con Federico, insieme a cui l’an-no successivo sarebbe nato uno dei nostri spettacoli più fortunati, “La Regina dei banditi”.Intorno a quella produzione prin-cipale un’altra costellazione di piccole opere nuove, sempre de-dicate a Calvino “Fiabe italiane”, che avrebbe poi girato per anni in tutta Italia, e “Racconti fantasti-ci”, che invece si fermò lì. Fui pre-so per un lungo tempo dalla tra-sposizione teatrale delle “Lezioni americane”, compreso un collo-quio con Alberto Asor Rosa, ma poi il tentativo si arenò. A quella nostra sezione si dette come tito-lo “Il gioco dei destini incrociati”.

Ma dall’immaginario calviniano emerse anche un titolo per l’in-tero festival: “Re, Regine, Maghi e Fanti”, e l’idea per l’altra parte, che doveva essere più popolare e legata ad un artista famoso. Mi ricordai di un progetto che face-vamo a Santarcangelo, “Autobio-grafi e teatrali”, chiamando ogni anno un artista a portare non solo i suoi spettacoli, ma anche le sue vicinanze artistiche, i materiali da cui traeva ispirazione, insomma il proprio mondo. Chiedemmo a Bustric di essere della partita, e lui accettò con grande entu-siasmo e generosità. “Bustric: un’autobiografi a teatrale” era di-ventata l’altra parte del festival, e

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arrivarono gli spettacoli “Escamot o la meravigliosa arte dell’ingan-no” e il nuovissimo “Nuvolo”, la serata di magie “I Re Maghi” nella piazza del Comune a Castel del Piano, con prestigiatori e gioco-lieri, ma anche teatro di strada, una mostra, una conferenza con Stefano de Matteis e una rasse-gna dei fi lm di formazione di Ser-gio Bini “Bustric”: i cortometraggi fantastici del pioniere del cinema Meliés e il meraviglioso “Les en-fants du paradis” di Carné, che vide il tutto esaurito nella sala della Biblioteca di Arcidosso. Un nuovo ciclo era cominciato.

Il manifesto

Si cambia ancora prospettiva: il festival si dà un titolo e un tema, che la compagnia residente e gli artisti invitati svilupperanno con le loro opere. Come anni prima le giravolte del destino erano state rappresentate dal Gioco dell’Oca, quest’anno ci sembrò adatto il Gioco delle Carte, an-che perché il titolo “Re, Regine, Maghi e Fanti” ben si addiceva alla Donna di cuori che campeg-giava nel manifesto, sopra a un Re di quadri e a un Fante di fi ori.

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Tos can ade l l e

cu l t u re

L ’O d ore de l l ’ I n d i a

28 Luglio 14 Agosto 2006XIV EDIZIONE

L a b o rato r i o I n t e r n a z i o n a l e d i T e at ro , M us i ca e A rt i V i s i v e

d i r e t t o d a G i o r g i o Z o r c ù

Comuni di Arcidosso, Castel del Piano, Castell’Azzara, Cinigiano, Roccalbegna, Santa Fiora, Seggiano, Semproniano

Provincia di Grosseto, Regione Toscana

p r i m a p a r t e

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ravamo immersi nell’India. Da mesi, insieme a Federico Bertozzi, lavoravamo intorno alla vita leg-gendaria di Phoolan

Devi, “La Regina dei banditi”, e questo stava diventando il no-stro nuovo spettacolo. Il tema del festival non poteva essere altro: “L’odore dell’India” fu il suo tito-lo. Del resto Arcidosso si stava popolando di indianini del Bangla Desh, e l’intercultura era uno dei temi di fondo su cui stavamo la-vorando tutto l’anno sul territorio. Debuttammo con un’anteprima dello spettacolo “La Regina dei banditi” al festival di Bassano del Grappa, e si programmarono re-pliche a Castel del Piano e Santa Fiora. L’emozione più bella av-venne a Castel del Piano: all’usci-ta del teatro dopo lo spettacolo Sara fu accolta da uno stormo di donne indiane vestite di bianco: erano le suore che accudivano gli anziani all’ospizio di Arcidosso, e tutte erano accorse al richiamo di Phoolan Devi, un vero mito in ter-ra d’India.

Ma insieme al nostro spettacolo “L’odore dell’India” pervase tutta l’Amiata con concerti, racconti e danze sorprendenti. Molti ammi-nistratori, un po’ stupiti di quella proposta, si chiesero il perché, e “cosa aveva a che fare col territo-rio”, ma se fossero stati presenti agli spettacoli quella domanda avrebbe avuto immediata rispo-

sta. Da allora, ogni tanto, cullo l’idea di ospitare in questa terra, ogni anno, una delle grandi cul-ture teatrali del mondo in tutte le loro espressioni, da quelle più po-polari a quelle più raffi nate.

Come non soccombere alla me-raviglia delle danze Kathakali, ri-proposte nella loro vera essenza dagli attori del Teatro Tascabile di Bergamo, guidati dal grande ma-estro Kalamandalam K. M. John? La cerimonia, perché di questo si tratta, ebbe luogo al Giardino di Daniel Spoerri, e iniziò col trucco degli attori, che prendeva oltre un’ora, tanta era la raffi natezza di quell’arte antica. Oppure alla Peschiera di Santa Fiora con le magiche danze Orissi nella strug-gente interpretazione di Luigia Calcaterra?

Michele Nanni, che in quegli anni programmava una sua rassegna di cinema d’essai spesso integra-ta al festival, ci regalò le proiezio-ni dei fi lm del più grande cineasta indiano, Satyajit Ray, e noi com-pletammo questo ciclo orientale portando negli angoli più nasco-sti di diversi paesi il nostro spet-tacolo per bambini “Il segreto di Shahrazàd”, che aveva appena debuttato a Siena: racconti trat-ti da “Le mille e una notte”, che proprio in India aveva le sue ori-gini.

Il manifesto

Feci vedere a Mario il massic-cio portale indiano che usavamo come elemento scenico per “La Regina dei banditi”, e ne restò affascinato. Quella sarebbe stata l’immagine. L’imprevisto accad-de al Teatro di Castel del Piano, durante il servizio fotografi co che Mario stesso fece. Cerca-

vamo varie posizioni e sfondi su cui ritrarre il portale, e io cambia-vo continuamente le stoffe che dovevano dare lo sfondo. Mario fece uno scatto mentre sbattevo un telo nero dietro al portale, e il risultato nella camera digitale fu – senza nessun accorgimento né modifi ca tecnica – una fi amma al centro.

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SIMETAMORFO

20

07

MeTA

MORFeTOSCANA DELLE CULTURELABORATORIO INTERNAZIONALE DI TEATRO, MUSICA E ARTI VIS IVE

15a

ED

IZIO

NE

20 - 29 LUGLIOCANTIERI TEATRALI KOREJACASTEL DEL PIANO, PIAZZA BELLAVISTAVENERDÌ 20 dal le 19.30 al le 21.30 IL PASTO DELLA TARANTOLA degustazione teatral izzata di prodott i t ipic i salentini21 .30 SU’ D’EST Suoni e r isuoni popolar i dal Salento - concertoSABATO 21 CANA, PIAZZA DELLA CISTERNA21.30 VIA! teatro

MUTAMENTI COMPAGNIA LABORATORIOTENUTA CORTEVECCHIA (SEMPRONIANO)DOMENICA 22 21.30 LA REGINA DEI BANDITI teatroLUNEDÌ 23 21.30 CONCERTO ANGELO COMISSO piano solo - concertoMARTEDÌ 24 21.30 SERATA BARBABLÙ teatro

PONTEDERA TEATROCASTEL DEL PIANO, PIAZZA DEL COMUNE MERCOLEDÌ 25 21.30 I DON’T KNOW danza GIOVEDÌ 26 21.30 ELSINOR ARES TAVOLAZZI − STEFANO ONORATI concertoVENERDÌ 27 PIAZZA BELLAVISTA e TEATRO AMIATINO21.30 UNA VIA DI SCAMPO teatro 22.30 RACCONTO teatroSABATO 28 PALAZZO NERUCCI17.00 TEATRO, CULTURA E COMUNITÀ tavola rotonda con Roberto Bacci

BANDÃOROCCALBEGNA, CENTRO STORICO E PIAZZA GARIBALDISABATO 28 21.30 FESTA-CONCERTO: 30 percussionist i per le vie del paese

PAOLO HENDELGIARDINO DI DANIEL SPOERRI (SEGGIANO)DOMENICA 29 21.30 IL B IPEDE BARCOLLANTE teatro

BIGLIETTIPOSTO UNICO: 3 EURO. 20 E 28 LUGLIO INGRESSO LIBERO. 29 LUGLIO: 10 EURO. PER I RESIDENTI NELLA COMUNITÀ MONTANA DELL’AMIATA GROSSETANO (DIETRO PRESENTAZIONE DOCUMENTO D’ IDENTITÀ): INGRESSO GRATUITO, 29 LUGLIO: 3 EURO

INFOUFFICIO FESTIVAL ACCADEMIA AMIATA / MUTAMENTI CASTEL DEL PIANO, VIA MARCONI 9b (A F IANCO DEL COMUNE)TEL. 0564 973536 – CELL. 392 1021000 – [email protected] – WWW.ACCADEMIAAMIATA.IT

d i retto da Giorgio Zorcù

LA MAREMMA DEI FESTIVAL SISTEMA REGIONALE DELLO SPETTACOLO

REGIONE TOSCANAPROVINCIA DI GROSSETOCOMUNITÀ MONTANA AMIATA GROSSETANO

COMUNI DI: ARCIDOSSO, CASTEL DEL PIANOCASTELL’AZZARA, CINIGIANOROCCALBEGNA, SANTA FIORASEGGIANO, SEMPRONIANO

APT AMIATA

ACCADEMIA AMIATAMUTAMENTI COMPAGNIA LABORATORIO

SI RINGRAZIANO PER LA COLLABORAZIONE:

FONDAZIONE PONTEDERA TEATRO

FONDAZIONE FABBRICA EUROPA FIRENZE

ASSOCIAZIONE ARGANTE RAVENNA

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gni tanto mi chiedo se sono davvero paz-zo a sollecita-re sempre tutti questi cambia-

menti. O forse sta qui la formula della longevità di questo festival. Sta di fatto che – fi n dalla sua nascita – la formula del progetto d’area aveva causato problemi e incomprensioni, ed è così ancora oggi: ogni anno cerco di forzare le cose per cercare di risponde-re sia alle esigenze dell’arte che a quelle del pubblico. Ma quello che stava venendo a mancare era il tratto distintivo ed originale del nostro festival, che era quello per cui era riconosciuto, apprezzato e fi nanziato: la produzione originale. Un’altra questione frustrante era il periodo scelto: quando si andava-no a determinare le date del festi-val in ogni paese le trovavamo già occupate dalle manifestazioni più disparate, che i Comuni si affret-tavano a programmare anzitempo. La sensazione, insomma, era che ormai il festival era di tutti e di nes-suno, e che ogni Comune – come del resto stava avvenendo anche su altri fronti – si preoccupava più del proprio particolare che dell’in-teresse generale di un territorio più vasto. Cioè, in sintesi: quelle che erano state le premesse, cultura-li e politiche, del progetto d’area, non esistevano più.

Per ridare vigore ad una proget-tualità che contemplasse di nuo-

vo al suo interno la produzione feci la proposta di alternare: ogni anno solo 4 degli 8 Comuni avreb-bero avuto il festival, e gli altri 4 nell’anno successivo. Ma ognuno doveva dare annualmente il pro-prio contributo. Ottenevamo così un piccolo incremento di budget e il dimezzamento dei luoghi su cui lavorare, e questo avrebbe con-sentito di creare 4 “eventi” con una loro maggiore forza. Le idee che esposi convinsero gli ammi-nistratori: un evento al Castello di Triana per Roccalbegna, uno alla Tenuta di Cortevecchia per Sem-proniano, uno al Giardino di Spo-erri per Seggiano ed infi ne il centro storico per Castel del Piano. Altro dato caratterizzante di quell’anno sarebbe stato il drastico sposta-mento di date: il momento scelto fu il solstizio d’estate, intorno al 21 giugno. La sfi da che il festival si accollava era quella di attrarre un pubblico in un momento tradizio-nalmente spento, facendosi forza dei 4 eventi. Naturalmente tutto avveniva con livelli di fi nanziamen-to assolutamente insignifi canti, ri-spetto a tutte le altre manifestazio-ni del genere, ma era sempre stato così, e la sfi da ormai era partita.

L’imprevisto arrivò però con una impuntatura polemica dell’allora assessore alla cultura della Co-munità Montana, che sosteneva che gli eventi dovevano essere 5 e non 4. Di fronte a quello che con-sideravo un abuso non mi resta-va che una strada: le dimissioni. Sembra che nessuno ci credette per davvero, tant’è che dopo un lungo silenzio mi fu chiesto a che punto era il nuovo programma. Si chiarirono le cose ma fui costretto a rivedere totalmente il progetto, e collocarlo di nuovo nelle sue date classiche: dalla fi ne di luglio alla prima settimana di agosto.Insieme al vecchio progetto del

festival se ne andò polemicamen-te anche lo staff organizzativo degli ultimi due anni, che si era ritagliato solo lo spazio di tempo del solstizio estivo e non poteva più occuparsene con le nuove date. Chiesi aiuto a Luca Dini di Pontedera Teatro, e lì avvenne l’incontro fortunato che avrebbe accompagnato tutte le succes-sive edizioni, fi no ad oggi, quello con Massimo Carotti.

Il nuovo festival cambiò an-che sede organizzativa, che da quell’anno fu a Castel del Piano. I nuovi quattro eventi avevano ognuno un protagonista: Ponte-dera Teatro fece un suo program-ma per Castel del Piano, fi tto di incontri, studi scenici, concerti e spettacoli; un’altra parte la fece il Teatro Koreja di Lecce, diviso tra Castel del Piano e Cana; al Giar-dino di Spoerri si mantenne l’idea di un’ospitalità eccellente, quella del comico Paolo Hendel, che concluse quell’edizione in una serata stracolma di pubblico.Il quarto evento fu alla Tenuta Cortevecchia di Semproniano, curato dalla nostra compagnia, e a quello sono legati i ricordi più intensi di quell’anno. Lo decidem-mo insieme al proprietario Vittorio Montanari, illustre imprenditore e collezionista d’arte: ricordo il primo sopralluogo insieme a lui, quando ci aprì il caveau della te-nuta e rimasi abbagliato da quei tesori: piccole teste in vetro di Picasso, opere di Manzù e Max Ernst, assolutamente improbabi-li in quella campagna. Sull’onda di quelle suggestioni facemmo diventare la vecchia stalla, ora sala ristorante, un vero e proprio “teatrino off” aperto ai contadini dei dintorni e agli ospiti venuti da lontano. Questo fu il pubblico caloroso che accolse entusia-sta le nostre proposte: la riedi-

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zione di “La Regina dei banditi”, un concerto di Angelo Comisso, talentuoso pianista friulano che da quell’anno ci avrebbe sempre accompagnato, il primo studio scenico del nostro nuovo spetta-colo “La camera di sangue”, che avrebbe completato il suo percor-so nell’inverno successivo al PiM di Milano e nella primavera 2008 al Teatro degli Industri di Gros-seto. Nel frattempo, purtroppo, il vecchio Montanari se n’era anda-to e non poté assistere a quelle serate magiche; il più bel ricono-scimento ci venne dalla vedova, che a conclusione della prima serata, felice, fece portare su per noi e per l’esterrefatto pubblico molte bottiglie di prosecco ben freddo con cui brindare.

Il manifesto

Durante l’inverno di questa enne-sima trasformazione del festival lessi le “Metamorfosi” di Ovidio, cercando spunti e materiale per i futuri spettacoli della compa-gnia. Da quel punto di vista non nacque molto, ma la parola Meta-morfosi continuava a ronzarmi in testa di fronte alla nuova impresa del festival. Il resto lo fece Mario, dall’idea di sottolineare a gran-di lettere il titolo a quella dell’in-clusione delle due faccette nelle “O”: due immagini classiche, una statua greca e un volto di Francis Bacon.

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utti gli eventi del 2008 ruotarono in-torno all’anniversario dell’uccisione di Da-vid Lazzaretti, avve-nuta 130 anni prima

alle porte di Arcidosso. E proprio in questo paese si svolsero la gran parte delle manifestazioni; “Sogni e Visioni” fu il titolo del festival. Al centro una serata in cui gli artisti che avevano creato opere teatrali sul Profeta dell’Amiata si riuniro-no per offrire un omaggio fatto da frammenti di opere e canti. Ide-ammo la serata insieme a Leon-carlo Settimelli, autore del grande spettacolo in musica del Canzo-niere Internazionale “Vita profezie e morte di David Lazzaretti detto il nuovo Messia” con cui si cele-brò il centenario trent’anni prima; Leoncarlo conduceva, e cantò col suo magnetismo inconfondi-bile alcune arie delle musiche da lui composte all’epoca; poi Luca Bonechi e Matteo Marsan, che a Castelnuovo Berardenga aveva-no creato un Bruscello su David; poi frammenti dei nostri lavori e, come intermezzo, le belle stornel-late di Mauro Chechi. In una se-rata successiva creammo invece, insieme a Sara Donzelli e al pia-nista Angelo Comisso, il nostro “Paradiso XXXIII”, concerto in parole e musica sull’ultimo canto della Divina Commedia, ancora oggi nel nostro repertorio.A Santa Fiora invece si produs-se un altro evento, insieme alla Banda Improvvisa di Orio Odo-

ri, Giampiero e Arlo Bigazzi: “La terra del tramonto”, sempre de-dicata a David riprendendo però l’opera ultima di Ernesto Balducci e i testi di tanti “nuovi profeti” del mondo d’oggi. Una serata alla Peschiera che rimase nel cuore di molti, con la voce di Sara Donzel-li in mezzo ai 50 musicanti e alla musica possente della Banda Im-provvisa.

A Monticello Amiata invece riuscii fi nalmente a invitare per una Re-sidenza artistica di diversi giorni il gruppo amico del Teatro Tascabi-le di Bergamo, che invase il pic-colo paese con la poesia dei suoi spettacoli di strada, dallo storico “Albatri”, a frammenti di “Valse” a operine composte appositamen-te per l’occasione sfruttando fi -nestre e piazzette: una meraviglia data soprattutto dall’antica mae-stria degli attori.

Il manifesto

Siccome tutto il festival era dedi-cato a Lazzaretti con nuove crea-zioni, decidemmo che anche per il manifesto avremmo usato una nuova creazione, da commissio-nare a un pittore o illustratore, ri-prendendo l’esperienza del 1996 con Dioscorides Peres. La scelta cadde su Giancarlo Zucconelli di Castell’Azzara, ora residente a Verona, buon amico di Mario; conoscevo i suoi dipinti e le il-lustrazioni per la frequentazione della casa di Sinibaldo Ruffaldi. Zuc, questo il suo nome d’arte, accettò e ci restituì il volto sereno che campeggia sul manifesto di quell’anno.

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asta anche con la for-mula del 4+4, con mio enorme dispiacere, perché lo ritenevo un compromesso giusto e fortunato; ma i Co-

muni non ci stavano più, le righe si stavano rompendo, Roccal-begna abbandonava il campo, e allora decisero di tornare all’an-tico, programmando una serata in ogni luogo. Cominciai a cullare l’idea di ripristinare il festival delle origini in un solo paese, stanco di questi andirivieni e di dover fare i conti con troppi interlocutori tutti insieme. Per le nostre forze era stremante dedicarsi a creare tanti allestimenti in posti così distanti. Nell’esperienza degli eventi, inol-tre, avevamo riassaporato quanto è produttivo creare e proporre più opere in uno stesso posto, allar-gando sempre più il cerchio del pubblico, giorno dopo giorno, anche col semplice passavoce, e ristabilire la tradizione di un punto di incontro di fi ne serata tra artisti, organizzatori e pubblico. Non è solo un vezzo, perché lì nascono le nuove idee e nuove relazioni. Ma ben presto l’ipotesi si rive-lò impraticabile. Tornai allora sui miei passi e ricominciai a proget-tare per tanti Comuni, cercando come sempre di creare il meglio dalla situazione data.

L’idea fi ssa di quell’anno era il coinvolgimento dei giovani, che ancora è al centro dei nostri pen-sieri. Dedicai a loro il progetto, e

alla rabbia: “Angry Years”. Lo di-visi a metà: da una parte l’invito a nuovi gruppi emergenti, dall’al-tra nuove produzioni nostre o di artisti vicini. Invitai come ospiti gli Omini ad Arcidosso, la com-pagnia Astorri Tintinelli con il loro folle spettacolo “Amurdur” a Cinigiano, Babilonia Teatri col duro “Made in Italy” a Castel del Piano. A quest’ultimo spettacolo sono legate le polemiche pub-bliche che si scatenarono, per il linguaggio forte e per la presunta offesa nei confronti degli extraco-munitari; del resto l’intento della compagnia, che aveva raccolto quel testo da discorsi uditi nei bar notturni di Verona, era proprio di restituire “chi siamo” attraverso quella volgarità. Ma le condizioni in cui spesso si è costretti a pre-sentare gli spettacoli non facilita-no la comprensione e la comuni-cazione, prima tra tutte la terribile decisione – presa pochi anni ad-dietro dalle amministrazioni – di non far pagare il biglietto, gettan-do così le opere nelle piazze in pasto anche ai passanti occasio-nali che ne ascoltano solo pochi frammenti, impedendo spesso l’ascolto ai veri interessati.

La prima delle tre produzioni pre-viste fu “Luz”, con cui il disegna-tore di luci Marcello d’Agostino e la danzatrice Serena Gatti invi-tavano il pubblico ad un poetico cammino nelle strade di Seg-giano, ridisegnate e surreali. Poi l’investimento più grande, nel nuovo spazio del Parco Pubblico di Semproniano che ci reinven-tammo, con la sorpresa di tutti gli abitanti. Quell’anno sia noi che la compagnia Astorri Tintinelli ci era-vamo dedicati allo studio di alcu-ne pièce di Beckett; loro avevano lavorato su “Aspettando Godot”, noi su “Passi” e “Non io”. Decisi quindi di unire le forze, invitando

anche altri artisti come il pianista Comisso, il clown Dadde Visconti e il marionettista Francesco Trec-ci, per creare un unico grande evento spettacolare dedicato al grande drammaturgo irlandese: “Notte Beckett”. La lavorazione e la presentazione di quest’ope-ra fu la più grande emozione di quell’anno, e ancora oggi quel ri-cordo lega in un vincolo di stima e di affetto tutti gli artisti che par-teciparono.

L’evento fi nale del festival fu un’idea del poeta – e grande uomo di teatro - Giuliano Scabia: una salita verso la vetta dell’Amia-ta, di notte, preceduti dal suono di trombe e corni, con diverse soste in cui ci si scambiavano poesie nell’oscurità, illuminati dalle tor-ce. Un manipolo di trenta uomini e donne si incamminò per quel viaggio così breve e così inusita-to, e ne tornò trasformato.

Il manifesto

Avevo assistito quell’anno ad una bellissima mostra su Burri alla Triennale di Milano, e mi era rima-sta impressa nella mente. Avevo comprato il catalogo, e continua-mente lo sfogliavo, tanto quel-le immagini mi avevano colpito. Avevo conosciuto qualcosa della sua opera, avevo visitato il bian-co cretto di Gibellina, ma veder-melo così, tutto insieme, aveva dello straordinario. Ma Burri era un vecchio amore anche per Ma-rio, e così da una delle opere in lamina d’oro su nero riprendem-mo il segno che diede origine al manifesto, in cui decidemmo di inserire, per la prima volta, tutti gli spettacoli con una loro immagine.

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DELLELaboratorio Internazionale di Teatro, Musica e Arti Visive

DIRETTO DA GIORGIO ZORCÙ

31 LUGLIO 7 AGOSTO 2010

Accademia Amiata MutamentiPiazza Colonna 1, 58033 Castel del Piano (Gr)

T. 0564 973017 www.accademiaamiata.it

INFO

Comuni di: Arcidosso

Castel del Piano Castell’Azzara

Santa Fiora Seggiano

Semproniano

31 LUG CASTEL DEL PIANOAKADEMIA RUCHU (Polonia)

SUCCHI DIVERSI E IL MOMENTO DELLA CONOSCENZA

Azione teatrale urbana

2 AGO ARCIDOSSOALABASTRO EUFORICO

Concerto spettacolo

3 AGO CASTELL’AZZARAATIR TEATRO

CLEOPATRAS

4 AGO SANTA FIORAACCADEMIA AMIATA MUTAMENTIDANTE A SANTA FIORA

6 AGO SEMPRONIANOARMAMAXA ORLANDO

7 AGO SEGGIANO LAMINARIESTORIA SENZA NOME Fiaba per il Giardino di Daniel Spoerri INGRESSO GRATUITO

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na delle più belle esperienza artisti-che dei tempi del Festival di Santar-cangelo la feci con Wojcieck Krukovski

e il suo gruppo Akademia Ruchu. Polacchi di Varsavia, sono per me i più importanti artisti che lavora-no sullo spazio urbano, i più inno-vativi e poetici. Prima osteggiati dal regime, dopo la primavera po-lacca Wojcieck fu nominato diret-tore della Galleria Nazionale d’Ar-te Contemporanea di Varsavia, e lo è rimasto fi no al 2009, conti-nuando contemporaneamente a lavorare col gruppo teatrale. Nel 1994 avevo già chiesto a Wojciek un progetto per la piazza del Tea-tro ad Arcidosso. Ne parlammo a lungo, e l’idea era bellissima. Era legata al cinema, tutta la piazza diventava bianca, sul castello e i palazzi grandi teli bianchi. Sul pa-vimento carta bianca, incollata a terra. Da diversi proiettori 35 mm immagini di fi lm che riempivano gli schermi verticali, il pubblico sotto, tutto intorno, su gradinate, e al centro l’azione degli attori. Alla fi ne il pavimento brucia con una lieve fi amma. Ma troppo era il rischio di non farcela quell’anno, il progetto legato a un fi nanziamen-to europeo che non sapevamo se sarebbe arrivato e il gruppo che doveva decidere molto anzitem-po il calendario. Rimandammo. Sarebbero passati 16 anni, ma quella promessa l’avevo sempre nel cuore. Seppi che l’anno pre-

cedente Akademia Ruchu aveva realizzato un’azione alle cave di marmo di Carrara. Scoprii poi che la committente era stata Teresa Telara, un’attrice amica, e che il direttore organizzativo era stato addirittura Massimo Carotti, con cui stavo lavorando, e che si era innamorato anche lui dei “ragazzi” polacchi. Il passo fu breve; soste-nuto da Massimo mi sentii più for-te dal punto di vista organizzati-vo, perché con Wojcieck bisogna essere sempre molto preparati, e partì l’invito per un’azione da far-si nel centro di Castel del Piano. Lo accolsi emozionato al primo sopralluogo, alla fi ne di maggio; il nostro ultimo incontro era stato nel 1985, a Santarcangelo, erano passati 25 anni!

Come al solito Wojcieck sconvol-se i miei piani e mi propose – ma con lui è meglio usare la parola “obbligò” – a fare un’azione iti-nerante, che partisse da Piazza Garibaldi, facesse una sosta a Piazza Madonna e si concludes-se a Piazza del Comune. A nulla valsero le mie proteste, preoc-cupato per la grande massa di pubblico che l’azione si sarebbe portata dietro, col rischio della vi-sibilità. Accettammo il rischio e si cominciò a progettare quello che sarebbe stato l’evento centrale di quell’anno: “Succhi diversi e il segreto della conoscenza”. Stra-ordinario. Lavorare con loro mi riconnetteva alla pura poesia. Di-visero il pubblico in due: chi lo ri-fi utò perché “non si capiva” e chi non si è più dimenticato la forza di quelle immagini. Il gruppo stet-te in paese per una settimana, per realizzare quella serata.

Il resto del festival di quell’anno trascorse in relativa tranquillità, con belle serate affi date a bravis-simi attori: dalla nostra Sara con

cui allestimmo una soirée dante-sca alla Peschiera di Santa Fio-ra, con l’inseparabile pianoforte di Angelo Comisso al pianoforte, al Testori portato in scena dalla milanese Arianna Scommegna fi no alla sorprendente bravura dell’attore pugliese Enrico Mes-sina, che ammaliò il pubblico di Semproniano con un bellissimo “Orlando”. Il festival si concluse in nome del pubblico bambino, con un percorso artistico studia-to per loro dal gruppo bolognese Laminarie al Giardino di Daniel Spoerri.

Il manifesto

Quell’anno avevo rinunciato ad un titolo, e non avevo nessuna idea sulla grafi ca, non sapevo neppure minimamente cosa sug-gerire. Allora, siccome era nata una bella fi ducia con Stefano Cherubini, giovane collaboratore di Mario, decisi di lasciare a lui l’intero campo d’azione. Sono molto felice di quella decisione, perché Stefano restituì un mani-festo di rara bellezza, e così an-che per il pieghevole. L’unica mia intromissione fu una tartarughina; ne ricercavo un’immagine perché avevo una mancanza, ne avevo trovata una sulla porta di casa, la volevo tenere per Sara – che le adora – ma me la feci sfuggire. Quella tartarughina, che occhieg-gia nel manifesto e si prende un bellissimo spazio nel pieghevole, ancora oggi appare e scompare dalle nostre immagini, e una vera tartarughina d’acqua è comparsa nel nostro uffi cio.

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C&P ADVER > M

ARIO PAPALINI - Design > STEFANO CHERUBINI

TOSCANA DELLE CULTURELaboratorio Internazionale di Teatro, Musica e Arti Visive

Diretto da GIORGIO ZORCÙ

STORIe D’ITALIA

29 LUGLIO

>6 AGOSTO

EDIZIONE

30/31 LUGLIO1 AGOSTO

Castell’AzzaraSala Comunale

Teatro delle ArietteMATRIMONIO D’INVERNO

Teatro Prenotazione obbligatoria 29 LUGLIO

Castel del PianoLoc. Campo Grande

Accademia Amiata MutamentiSOCIALISMO A PASSO DI VALZER

Teatro e musica

3 AGOSTOArcidosso

Piazza CavallottiViolini di Santa Vittoria,

RICCARDO TESI e CLAUDIO CARBONI

L’OSTERIA DEL FOJONCOConcerto

4 AGOSTO Santa FioraParco Peschiera

ArmamaxaORLANDO

Teatro

6 AGOSTOCinigiano

Castel PorronaENZA PAGLIARA, Voce solista del

Festival La notte della TarantaFRUNTE DE LUNA

Concerto

31 LUGLIOSemproniano

Parco PubblicoCada Die Teatro

MAREA, LA VITA IN OGNI RESPIROTeatro e musica

2011

INGRESSO

GRATUITO

INIZIO SP

ETTAC

OLI ORE 2

1.30

Accad

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INFO

Comuni di: Arcidosso Castel del Piano Castell’Azzara CinigianoSanta Fiora Seggiano Semproniano

5 AGOSTOSeggiano

Piazza Umberto ILISCIO LA MUSICA D’EUROPA

Suoni per una nuova cittadinanzaConcerto/Sfi da musicale

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20 11U

na volta avevo sentito dire a Giu-seppe Di Leva, drammaturgo e librettista, fonda-tore del Corso di

Drammaturgia alla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Mi-lano, che gli anniversari sono oc-casioni commerciali per “saltare” sopra un’opportunità. Ma anche, se presi con la dovuta serietà, un’occasione di approfondimento di un tema o di un autore, ad anni di distanza.Così, quando partirono le trombe per annunciare i progetti sul 150° dell’Unità d’Italia, io e Sara comin-ciammo a pensare a cosa fare, e cominciammo ad immergerci in fi lm, libri e documenti vari sul no-stro ottocento. Mai occasione fu più fertile; più andavamo avanti e più prendevamo passione nella ri-scoperta delle origini della nostra realtà contemporanea, nei confl it-ti ancora vivi che avevano origine in quell’epoca, nelle forme artisti-che affascinanti che allora ebbero il loro splendore, prima tra tutte il melodramma. Fu così che ci venne in mente una storia che ci aveva narrato il nostro amico reg-giano Andrea Bonacini, quella dei violinisti braccianti di Santa Vit-toria, il paesino della bassa dove nacquero contemporaneamente il ballo liscio e le prime coopera-tive di braccianti. Decidemmo di metterci all’opera e farlo diventa-re uno spettacolo, chiedendo di unirsi a noi proprio a Giuseppe

Di Leva, col compito di scrivere il testo di partenza. Sapevamo che ci doveva essere anche la musi-ca in scena, e anche il ballo, ma non sapevamo ancora come. Ma cominciammo a spargere la voce che quello sarebbe stato il nostro prossimo lavoro.

L’idea piacque molto a Mario Martone, direttore artistico del Teatro Stabile di Torino, e allo sto-rico Giovanni De Luna, che stava-no preparando la rassegna “Fare gli italiani”, che sarebbe durata per tutto il 2011 facendo centro soprattutto alla Cavallerizza Re-ale. Ci invitarono a partecipare. Insieme ci fu l’offerta della Corte Ospitale di Rubiera, luogo presti-gioso di Residenze artistiche nel reggiano, a soggiornare presso di loro per preparare lo spettacolo. Così, mentre andavamo accumu-lando materiali, relazioni artistiche e nuove conoscenze, proponem-mo di dedicare il festival 2011 all’Unità e di intitolarlo “Storie d’Italia”, proponendo frammenti di teatri e di musiche dalle nostre culture. La proposta fu accolta da tutti con entusiasmo.

Le Storie d’Italia si aprirono con un allestimento speciale del no-stro “Socialismo a passo di Val-zer”, fresco di debutto a Torino, a Castel del Piano. Intorno a questo perno centrale si dipanarono altre proposte che avevano a che fare col liscio: ad Arcidosso il con-certo dei Violini di Santa Vittoria, insieme al grande organettista Riccardo Tesi e al sax di Luca Carboni, a Seggiano la divertente disfi da in musica tra liscio italiano e polacco. E mentre la conclusio-ne fu dedicata sempre al ballo, festeggiando il rientro di Cinigia-no con la scatenata – e bravissi-ma – cantante Enza Pagliara, star della Notte della Taranta del Sa-

lento, a Castell’Azzara sostarono per qualche giorno gli amici del Teatro delle Ariette, che porta-vano gli spettatori intorno a una tavola che via via si imbandiva raccontando storie quotidiane, ma sempre fantastiche, di vita di campagna.

Il manifesto

Stefanino si riscatena sull’Uni-tà d’Italia. Ogni tanto porto a lui e a Mario degli opuscoli che mi colpiscono per l’audacia grafi ca, quasi sempre francesi. Quell’an-no portai a Stefano una cartolina che sapevo l’avrebbe colpito, era dell’Onda – l’agenzia nazionale dello spettacolo in Francia – e non c’era nessun’altra cosa se non dei cerchi di varia grandezza, in rosa brillante sovrastampato su un rosa più pallido. Quello fu lo stimolo da cui Stefano partì, per restituire un’altra sua bellissima opera di un’Italia fatta di cerchi e cerchietti tricolori.

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20 12È

stato un parto piutto-sto lungo il progetto del festival del ven-tennale. Alimentato all’inizio dalla speran-za di qualche soldino

in più per l’occasione, svanita piuttosto alla svelta. La prima de-dica che mi sono sentito di fare è quella ai nostri morti: i gran-di artisti e intellettuali che, chi in maniera più sfuggente chi più lungamente, sono stati con noi al festival, e che se ne sono andati. Questa dedica è servita prima di tutto a me, per ritrovare il calore e la sapienza che alcuni di quei ma-estri mi hanno trasmesso, primi tra tutti Leo de Berardinis, Ellen Stewart, Claudio Meldolesi, Anto-nio Neiwiller e Steve Lacy. A tutti loro devo molto. Ma sin dall’inizio ho pensato che il modo migliore di celebrare quel passato era rin-novare la sfi da per il futuro, per i giovani di domani, dopo che – ne sono convinto – la nascita di To-scana delle Culture ha fatto così tanto per i giovani di ieri e di oggi, con tutto quello che si è portato appresso.

Ho coniugato così l’idea di festi-val ad un’idea più generale che da una paio di anni stavo covan-do, quella dell’allargamento della compagnia come strategia di rin-novamento e di superamento in avanti della crisi. Approfondire la propria posizione artistica e nello stesso tempo aprirsi, offrendosi per quello che si è: niente di più

e niente di meno. Aprirsi ai giova-ni artisti come opportunità di ap-prendimento e di lavoro comune; aprirsi agli altri edifi ci teatrali della provincia per uscire tutti insieme dall’isolamento in cui ci stan-no stringendo e mostrarsi come opportunità piuttosto che come debolezza; aprirsi all’Europa e al mondo con nuove relazioni.

A tutto questo abbiamo dato il nome di Factory, una parola un po’ abusata ma non ne ho trovata una migliore, per descrivere l’at-mosfera creativa e la relazione tra artisti diversi che si vogliono su-scitare; inoltre, anche se in ingle-se vuol dire Fabbrica, assomiglia molto a Fattoria, ed ha a che ve-dere con la nostra cultura agrico-la. Per questo abbiamo adottato il logo storico del nostro progetto di Residenza artistica, che è stato elaborato a partire dall’immagine delle pompe Vivarelli.

Factory per fare cosa? Per fare diverse cose: rinnovare progetti creativi importanti come Magma, invitando soprattutto i più giovani a partecipare; rinnovare l’idea di un festival come luogo di produ-zione, e tutte le serate meno una sono nuove produzioni; far vedere agli artisti più giovani che “si può fare”: tanto ai talentuosi musicisti che si sono riuniti intorno a Mirco Mariottini che ai giovani attori del Teatro di Malaffare. Ma anche ai due giovani, Marco e AnnaMaria, che insieme ad Alessandro, Erio e Nicola hanno allargato la nostra compagnia nell’ultimo anno.

I risultati si sapranno, perché al momento di scrivere il festival non è ancora “andato in scena”. E tra qualche anno si saprà se la sfi da lanciata venti anni fa ha sa-puto rinnovarsi, o se si è impan-tanata in qualche secca o palude

(anzi, padule). Ma non credo, per-ché fi nora la vitalità non è anco-ra mancata, anche solo quella di strattonarsi dalle prese più nefa-ste. E i nostri mille mutamenti for-se sono il risultato di un vecchio insegnamento di Roberto Bacci: “Per rimanere se stessi, bisogna cambiare!”.

Il manifesto

Da qualche anno Francesca Biz-zarri segue la nostra Scuola di Teatro, e dall’anno scorso ha co-minciato, oltre a fare l’attrice, a di-segnare le maschere e le scene di alcuni spettacoli. Così ho comin-ciato a seguire volentieri le sue attività, e mi hanno colpito i suoi lavori con i bambini. Mentre Sara le chiedeva di accompagnarla in alcuni dei laboratori teatrali inver-nali – a Sasso d’Ombrone e Val-lerona – io le ho chiesto di poter usare quelle immagini per il ma-nifesto, siccome “Immaginando i prossimi venti anni” era il sottoti-tolo che avevo scelto per il festi-val e mi piaceva pensare che fos-sero proprio quei volti fantastici di bimbi i futuri spettatori e i futuri attori. Ho messo a disposizione di Mario e Stefano quelle immagini, scegliendo la principale, e da qui, non senza una certa fatica e molti tentativi, è nata infi ne un’immagi-ne felice.

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Dedicato a chi è stato con noi in questi vent’anni, e ora ci guarda da lassù:

SILVIO BERNARDINI

LEO DE BERARDINIS

IVAN DELLA MEA

FRANCO DI FRANCESCANTONIO

NICO GARRONE

MARIELLA GENNAI

STEVE LACY

GIULIANO MAURI

CLAUDIO MELDOLESI

ANTONIO NEIWILLER

RAUL RUIZ

LEONCARLO SETTIMELLI

ELLEN STEWART

Toscana delle Culture 1993 - 2012

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Direzione artistica GIORGIO ZORCÙ

Consulenza SARA DONZELLI

Direzione organizzativa MASSIMO CAROTTI

Organizzazione GIADA BRUSCHI, MARCO CASTAGNOLI

Promozione LUIGI FRENI

Collaborazione organizzazione INES DE BLASI

Aiuto promozione GIULIA QUAGLIARELLA

Tecniche MARCO FACCENDA, LUANA SEGRETO

Fonica MATTEO SARDI

Design STEFANO CHERUBINI

Studio Grafi co C&P Adver > MARIO PAPALINI

Toscana delle Culture

STAFF 2012

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Finito di stamparenel mese di luglio 2012

per conto di

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Venti anni di storie e venti manifesti:

una testimonianza dedicata ai giovani artisti,

amministratori pubblici e operatori culturali, ai cittadini

che sanno cogliere e interpretare le voci.

QUADERNI 6

[20 ANNI DI MANIFESTI ]

[20 A

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TI]

MARIO PAPALINI | GIORGIO ZORCÙ

€ 10.00