Toro,Frattali e Fasce Di Van Hallen

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Toro (geometria) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Questa voce o sezione sull'argomento geometria non cita alcuna fonte o le fonti presenti sono insufficienti. Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti . Segui i suggerimenti del progetto di riferimento . In geometria il toro o toroide è una superficie a forma di ciambella. Può essere ottenuta come superficie di rivoluzione , facendo ruotare una circonferenza , la generatrice, intorno ad un asse di rotazione appartenente allo stesso piano della generatrice, ma disgiunto da questa. Il termine deriva dal latino torus che indicava, fra le altre cose, un tipo di cuscino a forma di ciambella. Indice [nascondi ] 1 Il toro nella geometria euclidea o 1.1 Rappresentazione mediante equazioni parametriche o 1.2 Proprietà metriche 2 Topologia del toro o 2.1 Costruzione o 2.2 Proprietà topologiche 3 Il toro solido

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In geometria il toro o toroide è una superficie a forma di ciambella. Può essere ottenuta come superficie di rivoluzione, facendo ruotare una circonferenza, la generatrice, intorno ad un asse di rotazione appartenente allo stesso piano della generatrice, ma disgiunto da questa.

Il termine deriva dal latino torus che indicava, fra le altre cose, un tipo di cuscino a forma di ciambella.

Indice

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1 Il toro nella geometria euclidea o 1.1 Rappresentazione mediante equazioni parametriche o 1.2 Proprietà metriche

2 Topologia del toro o 2.1 Costruzione o 2.2 Proprietà topologiche

3 Il toro solido 4 Voci correlate 5 Altri progetti 6 Collegamenti esterni

Il toro nella geometria euclidea[modifica | modifica sorgente]

Rappresentazione mediante equazioni parametriche[modifica | modifica sorgente]

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Una rappresentazione parametrica del toro, nell'usuale spazio euclideo tridimensionale, è data da:

dove variano tra 0 e , è la distanza dal centro del tubo al centro del toro e è il raggio del tubo.

L'equazione in coordinate cartesiane, che individua un toro il cui asse di simmetria coincide con l'asse z, è data da:

Proprietà metriche[modifica | modifica sorgente]

L'area esterna ed il volume del toro sono dati rispettivamente da:

,

Topologia del toro[modifica | modifica sorgente]

Costruzione[modifica | modifica sorgente]

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Un toro topologico è uno spazio topologico omeomorfo ad un toro nello spazio euclideo. Esso può essere definito come il prodotto di due circonferenze S1 × S1. Le equazioni parametriche che abbiamo dato per il toro in R3 individuano un omeomorfismo con l'insieme S1 × S1.

Un modo equivalente per costruire un toro topologico è quello di considerare un quadrato e "incollare" i lati opposti. Questo corrisponde a definire sul quadrato

Q = [0,1] × [0,1] ⊆ R2

la relazione di equivalenza tale che se e solo se è un unico punto interno oppure e sono su due lati opposti ed hanno una coordinata uguale. Con questa relazione di equivalenza si può

definire lo spazio quoziente che è appunto un toro topologico.

Un ulteriore modo per definire il toro topologico è quello di costruire lo spazio quoziente del R2 rispetto al sottogruppo Z2.

Proprietà topologiche[modifica | modifica sorgente]

Il toro è una superficie, quindi una varietà differenziabile di dimensione 2.

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Il toro è compatto, connesso, ma non semplicemente connesso. Infatti il suo gruppo fondamentale è .

Il rivestimento universale del toro è omeomorfo a . Quindi i gruppi di omotopia di grado maggiore di 1 del toro sono tutti banali.

La caratteristica di Eulero del toro è zero. Il genere del toro è 1.

Suddivisione del toro che richiede 7 colori

Sul toro non valgono molti teoremi della geometria piana. Ad esempio, non vale il teorema dei quattro colori. Nel disegno a fianco il toro è stato diviso in sette regioni, a due a due tutte confinanti: quindi sono necessari sette colori diversi affinché due regioni confinanti non abbiano lo stesso colore. È stata dimostrata una generalizzazione del Teorema dei quattro colori da cui consegue che sette colori sono sufficienti per colorare qualsiasi suddivisione del toro.

Il toro, a meno di diffeomorfismi, è l'unica superficie compatta connessa orientabile su cui è possibile definire un campo vettoriale continuo senza punti critici (v. Varietà pettinabili).

Il toro solido[modifica | modifica sorgente]

Il toro solido è l'oggetto tridimensionale delimitato dal toro (toro incluso). Si tratta cioè della porzione di spazio contenuta all'interno del toro inclusa la parte di spazio che la delimita. Topologicamente, si

tratta di uno spazio omeomorfo al prodotto del disco bidimensionale

con la circonferenza . Si tratta di una 3-varietà con bordo; il bordo consiste appunto nel toro. Il suo gruppo fondamentale è . Si tratta infine del corpo con manici avente genere uno.

Il toro solido è un oggetto importante nello studio delle 3-varietà e più in generale nella topologia della dimensione bassa.

Fasce di van AllenDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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Le fasce di van Allen

La fascia di van Allen è un toro di particelle cariche (plasma) trattenute dal campo magnetico terrestre per effetto della forza di Lorentz. Quando la fascia è eccitata, alcune particelle colpiscono l'alta atmosfera e danno luogo a una fluorescenza nota come aurora polare. La presenza della fascia di van Allen era già stata teorizzata prima dell'era spaziale, ma ottenne una conferma sperimentale solo con il lancio delle missioni Explorer 1 (31 gennaio 1958) ed Explorer 3, sotto la supervisione del prof. James van Allen. I primi studi sistematici della fascia di radiazioni furono eseguiti grazie alle sonde Explorer 4 e Pioneer 3.

Dal punto di vista qualitativo, è utile notare come la fascia di van Allen consista in realtà di due fasce che circondano il nostro pianeta, una interna ed una più esterna. Le particelle cariche sono distribuite in maniera tale che la fascia interna consiste principalmente di protoni, mentre quella esterna consiste principalmente di elettroni. Tale suddivisione è giustificata dalla velocità maggiore degli elettroni che quindi si stabiliscono su un'orbita più alta.[senza fonte]

Sebbene il termine fasce di van Allen si riferisca esplicitamente alle cinture che circondano la Terra, simili strutture sono state osservate attorno ad altri pianeti per effetto dei rispettivi campi magnetici planetari. Il Sole, al contrario, pur avendo un campo magnetico proprio non possiede fasce di radiazioni durevoli nel tempo.

L'atmosfera terrestre limita inferiormente l'estensione delle fasce ad un'altitudine di 200-1000 km; il loro confine superiore non arriva oltre i 40.000 km (che corrispondono a circa 7 raggi terrestri) di distanza dalla superficie della Terra. Le fasce si trovano in un'area che si estende per circa 65 gradi a Nord e a Sud dell'equatore celeste.

Indice

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1 La fascia esterna 2 La fascia di van Allen e il volo spaziale 3 Le origini della fascia 4 Voci correlate

La fascia esterna[modifica | modifica sorgente]

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Rappresentazione della fascia di van Allen e delle linee di forza che la percorrono

La fascia di van Allen esterna si estende ad un'altitudine di circa 10.000–65.000 km ed è particolarmente intensa tra i 14.500 km e i 19.000 km. Si ritiene che essa consista di plasma intrappolato dalla magnetosfera della Terra. Il satellite sovietico Luna 1 ha registrato la presenza di pochissime particelle altamente cariche all'interno di questa fascia. Qui gli elettroni mostrano un flusso particolarmente intenso, e quelli con un'energia cinetica E > 40 keV possono disperdersi nello spazio interplanetario. Questa continua perdita di particelle cariche è un effetto del vento solare.

La fascia esterna contiene diversi tipi di particelle, fra cui elettroni e numerosi ioni. La maggior parte degli ioni compare sotto forma di protoni energetici, ma vi è anche una certa percentuale di particelle alfa e di ioni di ossigeno O+, simili a quelli presenti nell'atmosfera ma assai più energetici. La presenza di diverse categorie di particelle suggerisce che la fascia sia generata dalla concomitanza di diversi fenomeni.

Rispetto alla fascia interna, quella esterna è più estesa ed è circondata da una regione a bassa intensità nota come ring current. Essa contiene inoltre una maggiore varietà di particelle ed è caratterizzata da un livello di energia minore (meno di 1 MeV), che aumenta significativamente solo quando una tempesta magnetica provoca la risalita di nuove particelle dalla magnetosfera.

Il merito della scoperta della fascia esterna è conteso fra gli Stati Uniti (con l'Explorer 4) e l'Unione Sovietica (con gli Sputnik II/III).

La fascia di van Allen e il volo spaziale[modifica | modifica sorgente]

I pannelli fotovoltaici, i circuiti integrati e i sensori possono rimanere danneggiati da intensi livelli di radiazione. Nel 1962 un'esplosione nucleare ad alta quota (la cosiddetta prova Starfish Prime) provocò un temporaneo aumento di energia nella regione, causando malfunzionamenti in numerosi satelliti. Per tale motivo il posizionamento dell'orbita di un satellite artificiale tenta il più possibile di evitare la presenza delle fasce di Van Allen. Può anche accadere che le componenti elettroniche delle sonde risultino danneggiate da forti tempeste magnetiche. La miniaturizzazione e la digitalizzazione dei circuiti logici ed elettronici hanno reso i satelliti più vulnerabili all'influsso delle radiazioni, giacché la

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carica degli ioni impattanti può essere addirittura maggiore di quella contenuta nel circuito. Oggigiorno i sistemi elettronici dei satelliti vengono resi più resistenti alle radiazioni per durare più a lungo. I sensori del telescopio spaziale Hubble, ad esempio, vengono sovente spenti quando l'apparecchio attraversa regioni di radiazione intensa come l'Anomalia del Sud Atlantico.

Le origini della fascia[modifica | modifica sorgente]

Si ritiene comunemente che le fasce di van Allen siano il risultato della collisione del vento solare con il campo magnetico terrestre. La radiazione solare viene quindi intrappolata dalla magnetosfera per effetto della forza di Lorentz.[non chiaro] Le particelle elettrocariche vengono respinte dalle regioni dove il campo magnetico è più intenso, ovvero quelle polari, e continuano a rimbalzare in direzione nord-sud nelle zone tropicali ed equatoriali.

La separazione fra la fascia interna e quella esterna è causata dalla presenza di onde radio a bassa frequenza che respingono le eventuali particelle che potrebbero venirsi a trovare in tale regione. Tempeste magnetiche particolarmente intense possono spingere delle particelle cariche in questa zona, ma entro pochi giorni l'equilibrio viene ristabilito. Si pensava inizialmente che queste onde radio fossero generate da turbolenze presenti nelle fasce stesse, ma un recente studio ad opera di James Green, del Goddard Space Flight Center della NASA, ha evidenziato un legame con le misurazioni dell'intensità e della distribuzione dei fulmini effettuate dal satellite Micro Lab 1.

In passato l'Unione Sovietica accusò gli Stati Uniti di aver dato origine alla fascia di van Allen interna a seguito di test nucleari effettuati nel Nevada; allo stesso modo, l'URSS stessa è stata accusata dagli statunitensi di aver generato la fascia esterna. Non è chiaro come gli effetti degli esperimenti nucleari avrebbero potuto superare l'atmosfera e raggiungere l'altitudine che caratterizza le fasce di radiazioni; certamente non è stata osservata alcuna diminuzione apprezzabile della loro intensità da quando i test nucleari nell'atmosfera sono stati banditi per trattato.

FrattaleDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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Frattale di Mandelbrot

Un frattale è un oggetto geometrico dotato di omotetia interna: si ripete nella sua forma allo stesso modo su scale diverse, ovvero non cambia aspetto anche se visto con una lente d'ingrandimento. Questa caratteristica è spesso chiamata auto similarità oppure autosomiglianza. Il termine frattale venne coniato nel 1975 da Benoît Mandelbrot nel libro Les Objects Fractals: Forme, Hazard et Dimension per descrivere alcuni comportamenti matematici che sembravano avere un comportamento "caotico" , e deriva dal latino fractus (rotto, spezzato), così come il termine frazione; infatti le immagini frattali sono considerate dalla matematica oggetti di dimensione anche non intera. Ad esempio, la curva di Koch ha dimensione log 4/log 3 ≈ 1.26186.

I frattali compaiono spesso nello studio dei sistemi dinamici, nella definizione di curve o insiemi e nella teoria del caos, e sono spesso descritti in modo ricorsivo da algoritmi o equazioni molto semplici, scritte con l'ausilio dei numeri complessi. Ad esempio l'equazione che descrive l'insieme di Mandelbrot è la seguente:

dove e sono numeri complessi.

Indice

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1 Frattali e natura o 1.1 Auto-similitudine e definizione ricorsiva

2 Caratteristiche o 2.1 Dimensione frattale o 2.2 Il caso

3 Famiglie di frattali o 3.1 Frattali lineari o 3.2 Frattali non lineari o 3.3 Frattali aleatori

4 Insieme di Mandelbrot o 4.1 Il metodo di Mandelbrot: frattali per iterazione di potenze di Z

5 Bibliografia

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6 Voci correlate 7 Altri progetti 8 Collegamenti esterni

Frattali e natura[modifica | modifica sorgente]

Forma frattale di una montagna

La natura produce molti esempi di forme molto simili ai frattali. Ad esempio in un albero (soprattutto nell'abete) ogni ramo è approssimativamente simile all'intero albero e ogni rametto è a sua volta simile al proprio ramo, e così via; è anche possibile notare fenomeni di auto-similarità nella forma di una costa: con immagini riprese da satellite man mano sempre più grandi si può notare che la struttura generale di golfi più o meno dentellati mostra molte componenti che, se non identiche all'originale, gli assomigliano comunque molto. Frattali sono presenti anche nel profilo geomorfologico delle montagne, nelle nubi, nei cristalli di ghiaccio, in alcune foglie e fiori. Secondo Mandelbrot, le relazioni fra frattali e natura sono più profonde di quanto si creda.

« Si ritiene che in qualche modo i frattali abbiano delle corrispondenze con la struttura della mente umana, è per questo che la gente li trova così familiari. Questa familiarità è ancora un mistero e più si approfondisce l'argomento più il mistero aumenta »

(Benoit Mandelbrot)

Auto-similitudine e definizione ricorsiva[modifica | modifica sorgente]

La forma frattale di un broccolo romanesco

A qualunque scala si osservi, l'oggetto presenta sempre gli stessi caratteri globali.

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Una sostanziale differenza tra un oggetto geometrico euclideo ed un frattale è il modo in cui si costruisce. Una curva piana, infatti, si costruisce generalmente sul piano cartesiano, utilizzando una funzione del tipo:

che descrive la posizione del punto sulla curva al variare del tempo .

La costruzione dei frattali, invece, non si basa su di un'equazione, ma su un algoritmo. Ciò significa che si è in presenza di un metodo, non necessariamente numerico, che deve essere utilizzato per disegnare la curva. Inoltre, l'algoritmo non è mai applicato una volta sola, ma la procedura è iterata un numero di volte teoricamente infinito: ad ogni iterazione, la curva si avvicina sempre più al risultato finale (per approssimazione), e, dopo un certo numero di iterazioni, l'occhio umano non è più in grado di distinguere le modifiche (oppure l'hardware del computer non è più in grado di consentire ulteriori miglioramenti). Pertanto, quando si disegna concretamente un frattale, ci si può fermare dopo un congruo numero di iterazioni.

Alla base dell’auto-similarità sta una particolare trasformazione geometrica chiamata omotetia che permette di ingrandire o ridurre una figura lasciandone inalterata la forma. Un frattale è un ente geometrico che mantiene la stessa forma se ingrandito con una omotetia opportuna, detta omotetia interna.

Caratteristiche[modifica | modifica sorgente]

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L'insieme di Mandelbrot visto con una lente di ingrandimento sempre più potente ha sempre lo stesso aspetto.

Dimensione frattale[modifica | modifica sorgente]

Per approfondire, vedi dimensione di Hausdorff.

La dimensione frattale (o dimensione di Hausdorff) è un parametro molto importante che determina il "grado di irregolarità" dell'oggetto frattale preso in esame.

Mandelbrot nel suo libro intitolato “Gli oggetti frattali” pubblicato nel 1975 afferma l’esistenza di differenti metodi per misurare la dimensione di un frattale, introdotti quando il matematico si cimentò con la determinazione della lunghezza delle coste della Gran Bretagna. Tra questi, il seguente:

Si fa avanzare, lungo la costa un compasso di apertura prescritta e ogni passo comincia dove finisce il precedente. Il valore dell’apertura h moltiplicato per il numero di passi mi fornirà la lunghezza

approssimativa della costa; tuttavia rendendo l’apertura del compasso sempre più piccola i numeri di passi aumenteranno, l'apertura tenderà a zero e la lunghezza tenderà all’infinito.

Il caso[modifica | modifica sorgente]

Mandelbrot afferma che la costa è stata modellata nel corso del tempo da molteplici influenze. La situazione si presenta così complicata perché in geomorfologia non si conoscono le leggi che governano queste influenze. Possiamo quindi affermare che il caso occupa un ruolo rilevante e tuttora l’unico strumento capace di fornire una soluzione al problema è la statistica.

Il caso può generare irregolarità ed è capace di generare un’irregolarità talmente intensa come quella delle coste, anzi in molte situazioni è difficile impedire al caso di andare al di là delle nostre aspettative.

Il caso non deve essere sottovalutato nello studio degli oggetti frattali in quanto l’omotetia interna fa sì che il caso abbia precisamente la stessa importanza a qualsiasi scala. Per tanto gli oggetti frattali sono inseriti nel contesto dei sistemi dinamici caotici.

Nel corso della storia molti matematici sono arrivati alle loro scoperte inaspettatamente. Lo stesso Mandelbrot afferma di essere arrivato alle sue scoperte per puro caso. Un giorno egli si trovò nella

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biblioteca dell’IBM dove molti libri che nessuno aveva mai letto stavano per essere spediti al macero. Benoit aprì una rivista a caso e lesse il nome del meteorologo Richarson. Questo nome era già noto al matematico polacco per gli studi che stava effettuando sulla teoria della turbolenza. Richarson era uno studioso bizzarro ed eccentrico che era solito porsi domande che nessuno altro avrebbe mai formulato. Queste sue stramberie risultarono nell'anticipare scoperte che alcuni studiosi realizzarono nei decenni successivi. Nel libro Richarson si preoccupò di misurare la lunghezza delle linee costiere su scale differenti. Mandelbrot fotocopiò il disegno che descriveva queste misure e lasciò il libro dove si trovava per riprenderlo il giorno seguente, ma il libro sparì. Il disegno servì al matematico per formulare la teoria dei frattali perché faceva riferimento a qualcosa che noi tutti conosciamo, le coste. Mandelbrot si rese così conto che tutti gli studi effettuati da lui stesso avevano qualcosa in comune per quanto spaziassero tra discipline completamente differenti. Il modello di partenza era lo stesso: Mandelbrot si preoccupò di definire l’apparente caos insito in essi.

Famiglie di frattali[modifica | modifica sorgente]

La curva di Von Koch, un tipo di frattale

Esistono diverse famiglie di frattali, suddivise in base al grado dei termini dell'equazione generatrice contenuti nell’algoritmo:

Frattali lineari Frattali non lineari Frattali aleatori

Frattali lineari[modifica | modifica sorgente]

I frattali lineari sono quelli la cui equazione generatrice contiene solo termini del primo ordine, e quindi si ha un algoritmo di tipo lineare.Questi frattali possono essere studiati con l'ausilio di un immaginario duplicatore di figure: la fotocopiatrice a riduzioni, una macchina metaforica ideata da John E. Hutchinson, un matematico della Australian National University a Canberra.

Questa macchina funziona più o meno come una normale fotocopiatrice con variatore di riduzione, ma ne differisce per il fatto di avere più lenti di riduzione, ciascuna delle quali può copiare l'originale collocato sulla macchina.

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Le lenti possono essere predisposte secondo diversi fattori di riduzione e le immagini ridotte possono essere collocate in qualsiasi posizione. La figura può quindi essere spostata, allungata, accorciata, riflessa, ruotata o trasformata in tutti i modi, purché le varie trasformazioni risultino essere delle omotetie e i segmenti di retta dell'originale rimangano dunque segmenti di retta.

Il modo in cui l'immagine viene spostata e ridotta è determinato dall'algoritmo. Mediante un meccanismo di feedback l'immagine è elaborata ripetutamente, e tende via via a una forma frattale.

Frattali non lineari[modifica | modifica sorgente]

Esistono diversi tipi di frattali non lineari, la cui equazione generatrice è di ordine superiore a 1.Uno di questi si basa sulla trasformazione quadratica ed è stato oggetto di attenzione particolare, poiché produce una grande ricchezza di forme geometriche a partire da un algoritmo piuttosto semplice ed è strettamente collegato all'odierna teoria del caos.

La teoria su cui si basa questo frattale quadratico fu descritta per la prima volta nel 1918 dal matematico francese Gaston Julia, che si trovava allora in un ospedale militare, convalescente delle ferite riportate durante la prima guerra mondiale. Tanto le sue ricerche quanto quelle contemporanee

del suo accanito rivale Pierre Fatou, e basate sul comportamento della trasformazione , furono presto dimenticate fino alla rielaborazione da parte di Benoît Mandelbrot.

L'impresa intellettuale di Julia e Fatou è particolarmente notevole perché, non esistendo a quel tempo calcolatori elettronici, essi potevano contare solamente sulle proprie capacità di astrazione.

Frattali aleatori[modifica | modifica sorgente]

I frattali finora esaminati possono essere considerati deterministici. Benché i processi aleatori, come per esempio il lancio di un dado, possano aiutarci a produrre immagini frattali, essi non hanno alcun effetto sulla forma frattale finale. La situazione è ben diversa per un'altra classe di frattali, i cosiddetti frattali aleatori. Per generare un frattale di questo tipo si può cominciare con un triangolo giacente su un piano arbitrario.

I punti medi di ciascun lato del triangolo sono collegati tra loro e il triangolo è così diviso in quattro triangoli più piccoli. Ciascun punto medio è poi alzato o abbassato di una quantità scelta a caso. Lo stesso procedimento è applicato a ciascuno dei triangoli più piccoli e il processo è ripetuto all’infinito. All’aumentare del numero delle iterazioni, comincia a formarsi una superficie sempre più ricca di particolari. In questo «metodo dello spostamento dei punti medi», l’entità aleatoria dello spostamento dei punti medi è retta da una legge di distribuzione che può essere modificata fino a ottenere una buona approssimazione della superficie di cui si vuol costruire il modello.

Per un modello di una superficie relativamente liscia, le trasformazioni usate dovrebbero prevedere una regola per cui gli spostamenti dei punti medi diventino piccolissimi già dopo poche iterazioni. Una regola del genere aggiunge solo piccole prominenze sullo sviluppo complessivo.

Per rappresentare invece una superficie accidentata, come ad esempio la topografia di una catena montuosa, è meglio far diminuire di poco l’entità degli spostamenti a ogni iterazione.

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Questo metodo per costruire superfici ha molte applicazioni. È stato impiegato per ottenere modelli dell’erosione del suolo e per analizzare le registrazioni sismiche al fine di capire i cambiamenti nelle zone di faglia. Questo concetto è stato usato da Richard E. Voss, collega di Mandelbrot al Thomas J. Watson Research Center, per generare immagini molto realistiche di pianeti, satelliti, nubi e montagne.

Insieme di Mandelbrot[modifica | modifica sorgente]

Per approfondire, vedi Insieme di Mandelbrot.

L'Insieme di Mandelbrot è il frattale più famoso

L’insieme di Mandelbrot è l'insieme dei c ∈ C tali che, posto , la successione

è convergente.

Il lavoro di gran lunga più riuscito in questo campo è quello sul cosiddetto potenziale elettrostatico dell’insieme di Mandelbrot.Si immagini che l’insieme sia dotato di carica elettrica. Si potrebbe misurare il potenziale elettrico collocando una carica puntiforme all’esterno dell’insieme e misurando la forza elettrostatica agente su

quel punto. Risulta che il calcolo del potenziale è strettamente legato alla successione 0, , ,

, ..., usata per stabilire se un c appartiene o no all’insieme di Mandelbrot.

La proprietà forse più affascinante dell’insieme di Mandelbrot è che esso può essere considerato un «deposito» di immagini di efficienza infinita: oltre a suddividere gli insiemi di Julia in connessi e non connessi, l’insieme di Mandelbrot funge anche da indice diretto e grafico di un numero infinito di insieme di Julia.

Ingrandendo l’insieme di Mandelbrot intorno a un punto c situato sulla sua frontiera, appaiono forme che sono anche gli elementi costitutivi dell’insieme di Julia corrispondente al punto c. Questa scoperta, tuttavia, non è stata ancora rivestita di tutto il necessario rigore matematico.

Tan Lei, ricercatore dell’Università di Lione, ha dimostrato che l’insieme di Mandelbrot si comporta in questo modo per la maggior parte dei valori del parametro c situati esattamente sulla frontiera dell’insieme.

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Il metodo di Mandelbrot: frattali per iterazione di potenze di Z[modifica | modifica sorgente]

Di seguito una serie di frattali iterate diverse potenze Z = Zm + C, con il metodo Mandelbrot. Tutti i punti del piano complesso C = (Cx, Cy) vengono scorse aggiungendo la funzione corrispondente. Tutte le iterazioni iniziano punti x = 0 e y = 0. Quando l'iterazione converge è colorata di giallo pallido. Divergenza all'infinito è colorato con un modello di colore dal nero al blu. Questo Z = Z2 + C è chiamato Mandelbrot SET.

Esempi dei frattali di tipo Mandelbrot: Z = Zm + C

Z = Z2 + C

Mandelbrot SET

Z = Z3 + C

Z = Z4 + C

Z = Z5 + C

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Z = Z11 + C

Z = Z12 + C

Esempi dei frattali di tipo Mandelbrot: Z = Zm + 1/C,dove ogni punto del piano complesso C viene trasformato a 1 / C, prima di entrare nella iterazione della potenza di ZZo = (0,0i)

Z = Z2 + 1/C

Z = Z3 + 1/C

Z = Z4 + 1/C

Z = Z5 + 1/C

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Z=Z2 + C2 / (C4 - 0.25)Zo = (0,0i)

Z = SinH(Z / C )Zo = (0,1i)

Z = Exp[Z2 / ( C5 + C )]Zo = (0,0i)

QuantoDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

In meccanica quantistica si chiama quanto (dal latino quantum che significa quantità) una quantità discreta ed indivisibile di una certa grandezza. Per estensione il termine è a volte utilizzato come sinonimo di "particella".

Indice

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1 Etimologia 2 Meccanica quantistica

o 2.1 Storia 3 Bibliografia 4 Voci correlate 5 Collegamenti esterni

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Etimologia[modifica | modifica sorgente]

Quanto è una forma latina corrispondente a ciò che designa in fisica una quantità indivisibile (quanta al plurale);

Quantus, aggettivo significa « quanto » nelle frasi interrogative ed esclamative (quanta al femminile singolare o al neutro plurale).

Di seguito alcune parole derivanti da « quanta » :

quantificazione quantico (logica, teoria, numero, formalismo, particella, probabilità) quantificare quantificatore

Meccanica quantistica[modifica | modifica sorgente]

Per approfondire, vedi Quantizzazione (fisica) e Meccanica quantistica.

Mentre nella meccanica classica e nell'elettromagnetismo tutte le grandezze possono assumere un insieme di valori continuo la meccanica quantistica prevede che, in alcuni casi, queste grandezze possano assumere solo un insieme discreto di valori multipli di un valore fondamentale non ulteriormente scomponibile detto quanto. Uno dei primi esempi studiati (che ha le sue origini nel modello atomico di Bohr) è la quantizzazione dell'energia ovvero il fatto che gli elettroni di un atomo possono trovarsi solo in certi livelli energetici.

Nella teoria quantistica dei campi il concetto di quanto viene generalizzato e le particelle vengono viste come quanti di un campo di forze (ad esempio i fotoni sono i quanti del campo elettromagnetico secondo l'elettrodinamica quantistica).

Storia[modifica | modifica sorgente]

L'atomo era visto dagli antichi greci come un'unità indivisibile. In effetti, la parola proviene dal greco ἄτομος (àtomos), «che non si può dividere» - la «a» indica la negazione e «tomê-» la divisione. Potremmo dedurne che l'atomo di allora corrisponde al quanto di oggi. Nonostante questo, tale teoria fu smentita dalle esperienze compiute da Ernest Rutherford alla fine del XIX secolo, le quali dimostrano che l'atomo era composto da particelle cariche:

il protone (+) l'elettrone (-)

John Rayleigh enunciò che il flusso raggiante di un corpo caldo è proporzionale alla sua temperatura assoluta ed inversamente proporzionale al quadrato della lunghezza d'onda del colore riflesso. Ciononostante delle misure hanno dimostrato che questa teoria non era esatta, salvo che per le lunghezze d'onda che vanno dall'infrarosso al verde. A partire dal blu, l'esperienza è in contraddizione con i valori teorici. Paul Ehrenfest chiamò questo errore la «catastrofe ultravioletta». Max Planck, nel 1900, propose che le vibrazioni provocate dal calore di un corpo si ripartissero seguendo una legge

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determinata, retta dalla costante h che porta il suo cognome. Egli fu, al pari degli altri fisici, destabilizzato dalla sua teoria. Provò a lungo a conservare il suo risultato sopprimendo i quanti, per poi finalmente rinunciare ed ammetterlo. La teoria dei quanti era nata. Essa fu il punto di partenza della meccanica quantistica, una delle due grandi teorie fisiche del XX secolo.

La meccanica quantistica, che fa notoriamente richiamo alla funzione d'onda, fu iniziata da Bose, de Broglie, Dirac, Einstein, Fermi, Feynman, Heisenberg, Pauli e Schrödinger. De Broglie legherà il quanto alla lunghezza d'onda nella meccanica ondulatoria, dove una particella possiede la doppia caratteristica corpuscolare ed ondulatoria. Una parte importante delle ricerche della fine del XIX secolo e dell'inizio del XX secolo saranno consacrate allo stabilire questa dualità.

Richard Feynman e Julian Schwinger hanno sviluppato in seguito l'elettrodinamica quantistica relativistica, teoria che considera che l'interazione elettromagnetica tra le particelle cariche si crea attraverso lo scambio di fotoni; per estensione, l'interazione gravitazionale si creerà per lo scambio di gravitoni e le interazioni deboli e forti per l'intermediario dei bosoni. Per descrivere il comportamento delle particelle elementari, è occorso sviluppare un'altra teoria che porta il nome di teoria quantistica dei campi.

Meccanica quantisticaDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Il fisico tedesco Max Planck (1858-1947) fu il primo a introdurre il concetto di "quanto" nel suo lavoro del 1900 "Ueber die Elementarquanta der Materie und der Elektrizität" (Sui quanti elementari della materia e dell'elettricità)[1]

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La meccanica quantistica è una teoria della fisica moderna che descrive il comportamento della materia, della radiazione e le reciproche interazioni, con particolare riguardo ai fenomeni tipici delle scale di lunghezze o di energie atomiche e subatomiche.[2]

L'inconsistenza e l'impossibilità della meccanica classica di rappresentare la realtà sperimentale, in particolare della luce e dell'elettrone, furono le motivazioni principali che portarono allo sviluppo della meccanica quantistica nella prima metà del XX secolo. Il nome "teoria dei quanti", introdotto da Max Planck agli inizi del Novecento,[1] si basa sul fatto che alcune quantità o grandezze di certi sistemi fisici a livello microscopico, come l'energia o il momento angolare, possono variare soltanto di valori discreti e non continui, detti anche "quanti".

Come caratteristica fondamentale, la meccanica quantistica descrive la radiazione[3] e la materia[4] sia come un fenomeno ondulatorio che allo stesso tempo come entità particellari, al contrario della meccanica classica dove per esempio la luce è descritta solo come un'onda o l'elettrone solo come una particella. Questa inaspettata e contro intuitiva proprietà, chiamata dualismo onda-particella,[5] è la principale ragione del fallimento di tutte le teorie classiche sviluppate fino al XIX secolo. La relazione fra la natura ondulatoria e quella corpuscolare delle particelle è formulata nel principio di indeterminazione di Heisenberg [6] e dichiarata all'interno del principio di complementarità.

Indice

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1 Storia o 1.1 Necessità di una nuova teoria o 1.2 I fotoni e la quantizzazione del campo elettromagnetico o 1.3 Sviluppo della meccanica quantistica

2 Meccanica classica e meccanica quantistica o 2.1 Il concetto di "Misura" o 2.2 Il dualismo onda-particella o 2.3 Il principio di indeterminazione di Heisenberg o 2.4 L'esperimento delle due fenditure

3 L'equazione di Schrödinger 4 La funzione d'onda 5 Formulazioni della meccanica quantistica

o 5.1 Formulazione Hamiltoniana della meccanica quantistica 5.1.1 Il problema della quantizzazione

o 5.2 Formulazione Lagrangiana della meccanica quantistica 6 Il limite classico della meccanica quantistica 7 Applicazioni

o 7.1 Elettronica o 7.2 Crittografia quantistica

8 Interpretazioni della meccanica quantistica 9 Dibattito fisico - filosofico

o 9.1 "Realtà" della funzione d'onda 10 Estensioni della meccanica quantistica 11 Cronologia essenziale

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12 Note 13 Bibliografia 14 Voci correlate 15 Altri progetti 16 Collegamenti esterni

Storia[modifica | modifica sorgente]

La meccanica quantistica è sorta unendo ed elaborando un insieme di teorie fisiche, formulate a cavallo del XIX e del XX secolo, di carattere spesso empirico volte ad esprimere le leggi del mondo microscopico. La meccanica classica si dimostrò presto incapace di descrivere il comportamento della materia e della radiazione elettromagnetica a livello microscopico, a scale di lunghezza inferiori o dell'ordine di quelle dell'atomo o ad energie nella scala delle interazioni interatomiche.

Necessità di una nuova teoria[modifica | modifica sorgente]

L'atomo, nel modello formulato da Rutheford, è composto da un nucleo positivo con gli elettroni negativi che gli orbitano attorno come i pianeti fanno attorno al Sole.

Gli atomi furono "immaginati" dagli antichi Greci e riconosciuti da John Dalton nel 1803 come i costituenti fondamentali delle molecole e di tutta la materia[7]. Nel 1869 la tavola periodica degli elementi permise di raggruppare gli atomi secondo le loro proprietà chimiche e questo permise di scoprire leggi di carattere periodico, come la regola dell'ottetto, la cui origine era ignota.[8] Gli studi di Avogadro, Dumas e Gauden dimostrarono che gli atomi si compongono fra loro a formare le molecole, strutturandosi e combinandosi secondo leggi di carattere geometrico. Tutte queste nuove scoperte lasciavano non chiariti i motivi per cui gli elementi e le molecole si formassero secondo queste leggi regolari e periodiche. La base della struttura interna dell'atomo venne invece posta con le scoperte dell'elettrone nel 1874 da parte di George Stoney, e del nucleo da parte di Rutherford. In base al modello di Rutherford in un atomo un nucleo centrale di carica positiva agisce sugli elettroni negativi in modo analogo a quello con cui il Sole agisce sui pianeti del sistema solare. Tuttavia, le emissioni radiattive previste dalla teoria elettromagnetica di Maxwell per cariche in moto accelerato, avrebbero avuto una grande intensità portando l'atomo a collassare in pochi istanti, in opposizione alla stabilità di tutta la materia osservata[9].

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Un corpo nero, oggetto in grado di assorbire tutta la radiazione incidente, può essere realizzato mediante una cavità nera con un piccolo foro. Secondo la previsione classica, questo corpo avrebbe dovuto emettere una intensità infinita di radiazione elettromagnetica ad alta frequenza.

La radiazione elettromagnetica era stata prevista teoricamente da James Clerk Maxwell nel 1850 e rilevata sperimentalmente da Heinrich Hertz nel 1886.[10] Tuttavia, Wien scoprì che secondo la teoria classica disponibile all'epoca, un corpo nero, in grado di assorbire tutta la radiazione incidente, dovrebbe emettere onde elettromagnetiche con intensità infinita a corta lunghezza d'onda. Questo devastante paradosso fu ritenuto di grande importanza e fu chiamato nel 1911 "catastrofe ultravioletta".

Nel 1887 Heinrich Hertz scoprì che le scariche elettriche fra due corpi conduttori carichi sono molto più intense se questi sono esposti a radiazione ultravioletta.[11] Questo fenomeno, dovuto all'interazione fra la radiazione elettromagnetica e la materia, fu chiamato effetto fotoelettrico. Si scoprì che questo fenomeno inspiegabilmente scompariva del tutto per frequenze della radiazione incidente più basse di un valore di soglia, indipendentemente dall'intensità totale di questa. Inoltre, se si verificava l'effetto fotoelettrico, l'energia degli elettroni emessi dalle piastre conduttrici risultava direttamente proporzionale alla frequenza della radiazione elettromagnetica. Tali evidenze sperimentali non si potevano spiegare con la classica teoria ondulatoria di Maxwell. Per la spiegazione teorica di queste proprietà contro intuitive della luce, ad Einstein fu assegnato il premio nobel per la fisica nel 1921.[12]

La meccanica quantistica, sviluppandosi con i contributi di numerosi fisici nell'arco di oltre mezzo secolo fu in grado di fornire una spiegazione soddisfacente a tutte queste regole empiriche e contraddizioni.

I fotoni e la quantizzazione del campo elettromagnetico[modifica | modifica sorgente]

Per approfondire, vedi Fotone.

Max Planck comprese nel 1900 che se i possibili valori dell'energia delle onde elettromagnetiche fossero discreti, allora il problema del corpo nero potrebbe essere risolto in accordo con i risultati degli esperimenti.[1][13] Il fisico tedesco introdusse una costante , chiamata poi in suo onore costante di

Planck e con le dimensioni fisiche di energia per tempo , che lega il valore dell'energia dell'onda elettromagnetica con la sua frequenza attraverso la formula:

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apparsa esplicitamente per la prima volta nel 1905 in uno scritto di Albert Einstein.[3][14] Questa formula fu utilizzata per spiegare l'effetto fotoelettrico da Einstein stesso, che mostrò come i campi elettromagnetici siano costituiti da particelle o quanti elementari, chiamati nel 1926 fotoni. Quando un fotone viene assorbito da un elettrone, questo acquista tutta la sua energia e se questa è abbastanza grande può anche sfuggire all'attrazione dell'atomo a cui è legato. Se l'energia del fotone dipende linearmente dalla sua frequenza e vale , a frequenze troppo basse l'energia è insufficiente affinché questo processo sia possibile. L'effetto fotoelettrico quindi sparisce del tutto, indipendentemente dal numero di fotoni incidenti (che determinano solo l'ampiezza dell'onda classica). L'interazione fra radiazione e materia viene quindi spiegata in termini di processi puntuali che coinvolgono particelle elementari, concetto fondamentale delle moderne teorie di campo.

Sviluppo della meccanica quantistica[modifica | modifica sorgente]

Per approfondire, vedi Modello atomico di Bohr.

Nel modello di Bohr dell'atomo di idrogeno, un elettrone può percorrere solamente alcune determinate traiettorie classiche. Queste traiettorie sono stabili e discrete, indicate con un numero intero progressivo

. Ogni qual volta l'elettrone scende ad una orbita inferiore emette radiazione elettromagnetica, sotto forma di un fotone, di energia corrispondente all'energia persa.

Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr propose un modello empirico per tentare di riunire le evidenze attorno alla stabilità dell'atomo di idrogeno e al suo spettro di emissione, come l'equazione di Rydberg. Max Planck, Albert Einstein, Peter Debye e Arnold Sommerfeld contribuirono allo sviluppo e alla generalizzazione dell'insieme delle regole formali proposte da Bohr, indicato con l'espressione vecchia teoria dei quanti (in inglese old quantum theory)[15]. In questo modello il moto dell'elettrone nell'atomo di idrogeno è consentito solo lungo un insieme discreto di orbite chiuse stazionarie stabili di tipo circolare od ellittico.[16][17] La radiazione elettromagnetica viene emessa o assorbita solo quando un elettrone passa da un'orbita più piccola a una più grande. In questo modo Bohr fu in grado di calcolare i livelli energetici dell'atomo di idrogeno, dimostrando che in questo sistema un elettrone non può assumere qualsiasi valore di energia. L'elettrone al contrario può avere solo alcuni precisi e discreti valori di energia determinati solo dal numero intero :

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in buono accordo con gli esperimenti e con una energia minima diversa da zero eV raggiunta quando . Restava tuttavia da chiarire come mai l'elettrone potesse percorrere solo alcune specifiche traiettorie chiuse.

Il fisico francese Louis de Broglie vinse il premio nobel per la fisica nel 1929 per aver scoperto nel 1924 che l'elettrone ha anche un comportamento ondulatorio.

Nel 1924 fisico francese Louis de Broglie scoprì che l'elettrone, oltre ad essere un corpuscolo, ha anche un comportamento ondulatorio che si può manifestare ad esempio in fenomeni di interferenza. La lunghezza d'onda dell'elettrone vale:

dove è la costante di Planck e la quantità di moto. In questo modo la legge di quantizzazione imposta da Bohr poteva essere interpretata semplicemente come la condizione di onde stazionarie, equivalenti alle onde che si sviluppano su una corda vibrante di un violino. Sulla base di questi risultati, nel 1925-1926, Werner Heisenberg e Erwin Schrödinger svilupparono rispettivamente la meccanica delle matrici e la meccanica ondulatoria, due formulazioni differenti della meccanica quantistica. L'equazione di Schrödinger in particolare è simile a quella delle onde e le sue soluzioni stazionarie rappresentano i possibili stati delle particelle e quindi anche degli elettroni nell'atomo di idrogeno. La natura di queste onde fu immediato oggetto di grande dibattito, un dibattito che si protrae in una certa misura fino ai giorni nostri. Nella seconda metà degli anni venti, la teoria fu formalizzata, con l'adozione di postulati fondamentali, da Paul Adrien Maurice Dirac, John Von Neumann e Hermann Weyl.

Una rappresentazione ancora differente, ma compatibile con le precedenti, nota con il nome di integrale sui cammini fu sviluppata nel 1948 da Richard Feynman. In questa formulazione una particella quantistica percorre tutte le possibili traiettorie lungo il suo moto. I vari contributi forniti da tutti i

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cammini, possono interferire fra di loro e generare quindi un comportamento analogo a quello ondulatorio.

Meccanica classica e meccanica quantistica[modifica | modifica sorgente]

Agli inizi del Novecento si comprese che i nuovi fenomeni scoperti a scale atomiche rendevano necessaria la nascita di una nuova fisica del tutto differente rispetto a quella classica sviluppata fino ad allora.[18]

Il concetto di "Misura"[modifica | modifica sorgente]

La meccanica quantistica si è differenziata dalla fisica classica sviluppata fin dai primi lavori di Galileo e di Isaac Newton in primo luogo ridefinendo il concetto di misura. La novità rispetto alle precedenti teorie riguarda l'impossibilità di conoscere lo stato di una particella senza perturbarlo in maniera irreparabile. Al contrario della meccanica classica dove è sempre possibile concepire uno spettatore passivo in grado di conoscere ogni dettaglio di un dato sistema, secondo la meccanica quantistica è perfino privo di senso assegnare un valore ad una qualsiasi proprietà di un dato sistema senza che questa sia stata attivamente misurata da un osservatore.[19] Le leggi quantistiche stabiliscono che il processo di misura non è descrivibile come la semplice evoluzione temporale del sistema, dell'osservatore e degli apparati sperimentali considerati assieme.

Questo ha come conseguenza il fatto che in generale una volta misurata e determinata con precisione una quantità di un sistema non si può in alcun modo determinare quale fosse il suo valore prima della misurazione. Per esempio secondo la meccanica classica la conoscenza della posizione e della velocità di una particella in un dato istante permette di determinarne automaticamente la sua traiettoria passata e futura con certezza. In meccanica quantistica viceversa, la conoscenza della velocità di una particella ad un dato istante non è in generale sufficiente a stabilire quale fosse il suo valore nel passato. Inoltre acquisire la stessa conoscenza della velocità della particella distrugge ogni altra informazione sulla posizione rendendo anche impossibile il calcolo della traiettoria futura.[20]

Il dualismo onda-particella[modifica | modifica sorgente]

Per approfondire, vedi Dualismo onda-particella e principio di complementarità.

La fisica classica fino al XIX secolo era divisa in due corpi di leggi, quelle di Newton, che descrivono i moti e la dinamica dei corpi meccanici, e quelle di Maxwell che descrivono l'andamento e i vincoli a cui sono soggetti i campi elettromagnetici come la luce e le onde radio. A lungo si era dibattuto sulla natura della luce e alcune evidenze sperimentali, come l'esperimento di Young, portavano a pensare che la luce dovesse essere considerata come un'onda.

Alcuni tentativi furono fatti per cercare di riunire tutte le leggi della fisica in una forma unitaria e per risolvere alcune inconsistenze presenti nelle due formulazioni. In questo modo nacque la teoria della relatività e la scoperta anche di una natura corpuscolare della luce. Nella natura corpuscolare, avanzata da Einstein e Max Planck, la luce era considerata come composta da fotoni che trasportano quantità discrete dell'energia totale dell'onda elettromagnetica. In modo analogo de Broglie scoprì che anche

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l'elettrone ha comportamenti ondulatori, come la diffrazione osservata nell'esperimento di Clinton Joseph Davisson e Laster Germer nei cristalli di nichel nel 1926.[21]

Sulla base di questi risultati, Bohr comprese che la natura della materia e della radiazione non doveva essere ricondotta solo in termini esclusivi o di un'onda o di una particella, ma sia l'elettrone che il fotone sono al tempo stesso sia un corpuscolo sia un'onda. Questo concetto, formulato dal fisico danese nel 1928 e noto come principio di complementarità,[22] si basa sul fatto che la descrizione completa dei fenomeni che avvengono alle scale atomiche richiede proprietà che appartengono sia alle onde che alle particelle.

Il principio di indeterminazione di Heisenberg[modifica | modifica sorgente]

Per approfondire, vedi principio di indeterminazione di Heisenberg.

L'esperimento mentale di Heisenberg per la localizzazione di un elettrone. Per conoscere la posizione dell'elettrone questo deve essere illuminato da un fotone, che tuttavia tanto meglio risolve la posizione tanto di più perturba la velocità. Il fascio incidente è indicato in verde, quello deviato in rosso, mentre in blu è rappresentato l'elettrone.

Nella meccanica classica è possibile conoscere con precisione arbitraria e limitata solo dagli apparati sperimentali la posizione e la velocità di una particella, che ad ogni istante determinano un punto nella traiettoria percorsa. Inoltre, quando si misura la posizione della particella, non si modifica in alcun modo la sua velocità. Inoltre due misure immediatamente successive della posizione permettono di determinare approssimativamente la velocità della particella.

Heisenberg nel 1927 mostrò che questa misura classica non è possibile.[23] Nella meccanica quantistica, alcune coppie di quantità fisiche, come velocità e posizione, non possono essere misurate nello stesso momento entrambe con precisione arbitraria. Tanto migliore è la precisione della misura di una delle due grandezze, tanto peggiora la precisione ottenibile nella misura dell'altra.[24] In altri termini, misurare la posizione di una particella provoca una perturbazione impossibile da prevedere della sua velocità e viceversa. In formule:

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dove è l'incertezza sulla misura della posizione e è quella sulla quantità di moto . Il limite inferiore del prodotto delle incertezze è quindi proporzionale alla costante di Planck .

Heisenberg osservò che per conoscere la posizione di un elettrone, questo dovrà essere illuminato da un fotone. Più bassa sarà la lunghezza d'onda del fotone, maggiore sarà la precisione con cui la posizione dell'elettrone viene misurata.[25] Infatti, anche le comuni onde marine non sono affette nella propagazione dalla presenza di piccoli oggetti. Al contrario, oggetti grandi almeno quanto lunghezza d'onda disturbano e spezzano i fronti dell'onda, disturbi che permettono da soli di individuare la presenza dell'ostacolo che le ha generate. In ambito quantistico tuttavia, a basse lunghezze d'onda il fotone trasporterà un'energia sempre maggiore, che assorbita dall'elettrone ne perturba sempre di più la sua velocità rendendo impossibile stabilire in contemporanea quale sia il suo valore. Al contrario, un fotone ad alta lunghezza d'onda perturberà poco la velocità dell'elettrone ma sarà in grado di determinare con poca precisione la sua posizione.

L'esperimento delle due fenditure[modifica | modifica sorgente]

Per approfondire, vedi Esperimento della doppia fenditura.

Nell'esperimento delle due fenditure, gli elettroni che sono inviati da una sorgente attraverso due fori creano sullo schermo figure di interferenza. Secondo la meccanica classica, delle particelle dovrebbero invece creare due sole bande in corrispondenza delle due fenditure, non una sequenza alterna di varia intensità. La figura di interferenza è tuttavia distrutta quando un rivelatore del passaggio dell'elettrone viene posto nelle fenditure.

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Esperimento della doppia fenditura effettuato con elettroni. Le immagini sono prese dopo l'invio di 10 (a), 200 (b), 6000 (c), 40000 (d), 140000 (e) elettroni e mostrano una concentrazione della presenza di elettroni lungo una serie di bande, similmente a quanto accade nell'interferenza luminosa, che diviene evidente all'aumentare degli elettroni rilevati.

L'esperimento delle due fenditure fu ideato originariamente da Thomas Young nel 1803 e Augustin Fresnel agli inizi del XIX secolo per mostrare la natura ondulatoria della luce.[26] Una sorgente di luce viene diretta verso due sottili fenditure e produce su di uno schermo una figura di interferenza, già osservata nel medesimo esperimento condotto con onde sulla superficie dell'acqua. Questa figura consiste in una sequenza di bande più luminose intervallate da regioni più oscure prive di luce. Questo permise di concludere che la luce ha sicuramente una natura ondulatoria, con particelle classiche infatti si formerebbero solamente due bande in corrispondenza dei due fori delle fenditure.

Lo stesso esperimento è stato condotto nel XX secolo con particelle subatomiche, come gli elettroni.[27] In questo caso una sorgente emette un singolo elettrone per volta di fronte alle due fenditure e uno schermo dietro di queste segnala con un punto la posizione finale raggiunta. Dopo molti elettroni emessi è possibile osservare la distribuzione dei punti sullo schermo, distribuzione che si presenta analoga a quella di interferenza, con sequenze di bande ricche di punti intervallate da regioni in cui questi sono assenti.[28][2] In questo caso tuttavia, trattandosi del passaggio di singoli elettroni si deve concludere che in qualche modo l'elettrone stesso auto-interferisce, come se passasse allo stesso tempo

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per le due fenditure in contemporanea come un'onda. L'onda in questo caso ha natura probabilistica in quanto per poter essere messa in evidenza richiede la ripetizione dello stesso processo fisico, il passaggio di un singolo elettrone fra le due fenditure, un numero di volte grande riproducendo esattamente la natura ondulatoria nel limite in cui è infinito.

 

Animazione dell'esperimento delle due fenditure.

Questo risultato lascia tuttavia aperta la questione di come sia possibile che un singolo elettrone si propaghi nello stesso momento attraverso due distinte fenditure. Si può quindi tentare di osservare l'elettrone fisicamente attraversare le due fenditure illuminando queste ultime con della luce. I fotoni che costituiscono la luce colpiranno l'elettrone e permetteranno di capire se un elettrone è passato attraverso una fenditura. In questo esperimento tuttavia si trova che l'elettrone viene rilevato passare solo attraverso una singola fenditura alla volta, ma nello stesso momento non si osserva più la figura di interferenza nello schermo ma solo le due bande previste dalla meccanica classica.[29] La misura stessa della posizione e del passaggio dell'elettrone disturba quindi drasticamente il suo stato originario, sulla base del principio di indeterminazione. Non vi è alcun modo di stabilire come si comporti l'elettrone nei pressi delle fenditure che non distrugga al tempo stesso l'interferenza ondulatoria.[30] Come scrisse Feynman illustrando questo esperimento, in qualche modo è come se il principio di indeterminazione protegga la meccanica quantistica e la natura dal mostrare nello stesso momento l'elettrone in un comportamento ondulatorio e uno classico corpuscolare:

(EN) « [Heisenberg] proposed, as a general principle, his uncertainty principle, which we can state in terms of our experiment as follows: "It is impossible to design an apparatus to determine which hole the electron passes through, that will not at the same time disturb the electron enough to destroy the interference pattern" »

(IT) « [Heisenberg] propose, come principio generale, il suo principio di indeterminazione, che noi possiamo formulare in termini del nostro esperimento come segue: "È impossibile progettare un apparato per determinare attraverso quale fenditura l'elettrone passa attraverso, che non disturberà allo stesso tempo l'elettrone abbastanza da distruggere la figura di interferenza." »

(Richard Feynman [2] )

In questo modo deve essere interpretato il principio di complementarità, entrambe le descrizioni sono necessarie in una descrizione del mondo quantistico, ma nessuna delle due può essere evidenziata nello stesso momento, non vi è quindi modo di studiare allo stesso tempo l'elettrone come corpuscolo e come onda. Inoltre, fatto essenziale evidenziato da Bohr, la natura corpuscolare o ondulatoria mostrata di volta in volta è determinata strettamente dall'apparato sperimentale e non direttamente dal sistema fisico oggetto di sperimentazione.

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L'equazione di Schrödinger[modifica | modifica sorgente]

Schrödinger scrisse nel 1926 una serie di quattro articoli intitolati "Quantizzazione come problema agli autovalori" in cui mostrò che una meccanica ondulatoria possa spiegare l'emergere di numeri interi e dei quanti, gli insiemi di valori discreti anziché continui permessi per alcune quantità fisiche di certi sistemi (come l'energia degli elettroni nell'atomo di idrogeno). In particolare, basandosi sui lavori di De Broglie, osservò che le onde stazionarie soddisfano vincoli simili a quelli imposti dalle condizioni di quantizzazione di Bohr:

(DE) « [...] die übliche Quantisierungsvorschrift sich durch eine andere Forderung ersetzen läßt, in der kein Wort von „ganzen Zahlen“ mehr vorkommt. Vielmehr ergibt sich die Ganzzahligkeit auf dieselbe natürliche Art, wie etwa die Ganzzahligkeit der Knotenzahl einer schwingenden Saite. Die neue Auffassung ist verallgemeinerungsfähig und rührt, wie ich glaube, sehr tief an das wahre Wesen der Quantenvorschriften. »

(IT) « [...] si può sostituire la regola di quantizzazione usuale con un altro requisito dove non appare più la parola "numeri interi". Piuttosto, gli stessi numeri interi si rivelano naturalmente dello stesso tipo dei numeri interi associati al numero di nodi di una stringa vibrante. Il nuovo punto di vista è generalizzabile e tocca, come credo, molto profondamente la vera natura delle regole quantistiche. »

(Erwin Schrödinger [31] )

In un'onda stazionaria, i nodi sono punti che non sono coinvolti dall'oscillazione, in rosso nella figura. Il numero di nodi è quindi sempre intero.

Il numero di nodi in una normale stringa vibrante stazionaria è intero, se questi sono associati alle quantità fisiche come l'energia e il momento angolare allora ne consegue che anche queste devono essere multipli interi di una grandezza fondamentale. Affinché questa equivalenza sia possibile, lo stato fisico deve essere associato ad un'onda che vibra e si evolve secondo le condizioni di stazionarietà.

In questa onda stazionaria circolare, la circonferenza ondeggia esattamente in otto lunghezze d'onda. Un'onda stazionaria come questa può avere 0, 1, 2 o qualsiasi numero intero di lunghezze d'onda

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attorno al cerchio, ma non un numero razionale come 4.7. Con un meccanismo simile, il momento angolare di un elettrone in un atomo di idrogeno, classicamente proporzionale alla velocità angolare, può assumere solo valori discreti quantizzati.

Come Schrödinger stesso osservò,[32] condizioni di tipo ondulatorio sono presenti ed erano già state scoperte anche per la meccanica classica di tipo newtoniano. Nell'ottica geometrica, il limite delle leggi dell'ottica in cui la lunghezza d'onda della luce tende a zero, i raggi di luce si propagano seguendo percorsi che minimizzano il cammino ottico, come stabilito dal principio di Fermat. Allo stesso modo, secondo il principio di Hamilton, le traiettorie classiche sono soluzioni stazionarie o di minimo dell'azione, che per una particella libera è semplicemente legata all'energia cinetica lungo la curva.

Tuttavia l'ottica geometrica non considera gli effetti che si hanno quando la lunghezza d'onda della luce non è trascurabile, come l'interferenza e la diffrazione. Guidato da questa analogia ottico-meccanica, Schrödinger suppose che le leggi della meccanica classica di Newton siano solamente una approssimazione delle leggi seguite dalle particelle, una approssimazione valida per grandi energie e grandi scale come per le leggi dell'ottica geometrica, ma non in grado di catturare tutta la realtà fisica, in particolare a piccole lunghezze, dove come per la luce, fenomeni come l'interferenza e la diffrazione

diventano dominanti. Schrödinger postulò quindi una equazione di stazionarietà per un'onda del tipo:[33]

dove è il potenziale classico ed è un parametro reale corrispondente all'energia. Per alcuni sistemi fisici, questa equazione non ammette soluzioni per arbitrario, ma solo per alcuni suoi valori discreti. In questo modo Schrödinger riuscì a spiegare la natura delle condizioni di quantizzazione di Bohr. Se si considera anche la dinamica delle soluzioni d'onda, cioè si considera la dipendenza temporale della funzione d'onda:

si può ottenere l'equazione di Schrödinger dipendente dal tempo:

supponendo che l'energia sia proporzionale alla derivata temporale della funzione d'onda:

Questa equivalenza fra la derivata temporale e energia della funzione d'onda fu il primo esempio di come nella meccanica quantistica alle osservabili classiche possano corrispondere operatori differenziali.

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La funzione d'onda[modifica | modifica sorgente]

In meccanica classica, lo stato di una particella viene definito attraverso il valore esatto delle due quantità osservabili posizione e impulso (variabili canoniche); in meccanica quantistica, invece, lo stato di una particella è descritto (nella rappresentazione di Schroedinger) da una funzione d'onda. Essa non ha un proprio significato fisico, mentre lo ha il suo modulo quadro, che fornisce la distribuzione di probabilità della osservabile posizione: per ogni punto dello spazio, assegna la probabilità di trovare la particella in quel punto, quando si misura la sua posizione. Il significato di questa probabilità può essere interpretato come segue: avendo a disposizione infiniti sistemi identici, effettuando la stessa misura su tutti i sistemi contemporaneamente, la distribuzione dei valori ottenuti è proprio il modulo quadro della funzione d'onda. Similmente, il modulo quadro della trasformata di Fourier della funzione d'onda fornisce la distribuzione di probabilità dell'impulso della particella stessa.

In generale, la teoria quantistica dà informazioni sulle probabilità di ottenere un dato valore quando si misura una quantità osservabile (a volte, si può ottenere un preciso valore con la probabilità del 100%). Per le proprietà della trasformata di Fourier, tanto più la distribuzione di probabilità della posizione di una particella è concentrata (la particella quantistica è ben localizzata), tanto più la distribuzione degli impulsi si allarga, e viceversa. Si tratta di una manifestazione del principio di indeterminazione di Heisenberg: è impossibile costruire una funzione d'onda arbitrariamente ben localizzata sia in posizione che in impulso.

La funzione d'onda che descrive lo stato del sistema può cambiare al passare del tempo. Ad esempio, una particella che si muove in uno spazio vuoto è descritta da una funzione d'onda costituita da un pacchetto d'onda centrato in una posizione media. Al passare del tempo il centro del pacchetto d'onda cambia, in modo che la particella può successivamente essere localizzata in una posizione differente. L'evoluzione temporale della funzione d'onda è descritta dall'equazione di Schrödinger.

Alcune funzioni d'onda descrivono distribuzioni di probabilità che sono costanti nel tempo. Molti sistemi trattati in meccanica classica possono essere descritti da queste onde stazionarie. Ad esempio, un elettrone in un atomo non eccitato è descritto classicamente come una particella che ruota attorno al nucleo dell'atomo, mentre in Meccanica quantistica essa è descritta da un'onda stazionaria che presenta una determinata funzione di distribuzione dotata di simmetria sferica rispetto al nucleo. Questa intuizione è alla base del modello atomico di Bohr.

Benché la presenza di una funzione d'onda non permetta di prevedere a priori il risultato, ogni misura porta comunque ad ottenere un valore definito (e non per esempio ad un valore medio). Questo problema, che viene spesso chiamato problema della misura, ha dato vita ad uno dei più profondi e complessi dibattiti intellettuali della storia della scienza. Qui ci limiteremo a citare l'approccio standard relativo a questo problema, chiamato interpretazione di Copenaghen.

Secondo questa interpretazione, quando viene effettuata una misura di un'osservabile, la parte di funzione d'onda pertinente a quell'osservabile "collassa", (vedi collasso della funzione d'onda), portando ad una funzione d'onda che fornisce la massima probabilità (evento certo) al valore ottenuto in quella misura, che viene chiamata autofunzione dell'osservabile misurato. Questo è interpretato come evidenza del fatto che la misura perturba il sistema: una volta effettuata, il sistema si troverà certamente nello stato in cui l'ha lasciato lo strumento di misura (evoluzioni temporali a parte). Tale stato è chiamato anche autostato dell'osservabile misurata, in sintonia terminologica col fatto che nella

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formulazione assiomatica di Dirac-Von Neumann questo stato è rappresentato da un autovettore dell'operatore lineare autoaggiunto (sullo spazio di Hilbert dei vettori di stato) che si associa all'osservabile in questione (vedi più avanti).

Ad esempio consideriamo una particella che si muove liberamente nello spazio, con certe distribuzioni di probabilità per posizione e velocità e supponiamo di misurare la sua posizione, ottenendo un certo valore x. Allora, si può prevedere che una successiva misura di posizione (abbastanza vicina nel tempo) porterà certamente allo stesso risultato appena ottenuto: la funzione d'onda è collassata in un punto, fornendo a quel punto la probabilità certa.

Il collasso della funzione d'onda all'atto della misura non è descritto dall'equazione di Schrödinger, che stabilisce solo l'andamento dell'evoluzione temporale. Questa è, infatti, strettamente deterministica, in quanto è possibile prevedere la forma della funzione d'onda ad un qualsiasi istante successivo. La natura probabilistica della meccanica quantistica si manifesta, invece, all'atto della misura.

Il principio di indeterminazione di Heisenberg porta inoltre al concetto di osservabili incompatibili: si tratta di coppie di osservabili in cui la conoscenza completa di una delle due porta alla completa mancanza di conoscenza sull'altra. Nel caso precedente, una misura di posizione porta alla completa ignoranza sulla velocità. Allo stesso modo sono incompatibili l'energia e l'intervallo di tempo nel quale tale energia è scambiata. Detto in altre parole, il collasso della funzione d'onda associata ad un'osservabile, porta ad una funzione di distribuzione uniforme, su tutto il dominio di definizione, per l'osservabile ad essa coniugata.

Formulazioni della meccanica quantistica[modifica | modifica sorgente]

Per approfondire, vedi postulati della meccanica quantistica.

La meccanica quantistica ammette numerose formulazioni che utilizzano basi matematiche talvolta molto diverse fra di loro. Tuttavia, sebbene queste descrizioni delle teoria siano differenti, non cambiano le previsioni che fanno in merito al risultato degli esperimenti.[34] Si può preferire una formulazione rispetto ad un'altra se in questa il problema da descrivere risulta più semplice. Ogni differente formulazione ha permesso inoltre una maggiore conoscenza in merito alle fondazioni stesse della meccanica quantistica. Le formulazioni che sono più frequentemente utilizzate sono quella lagrangiana e quella hamiltoniana.

Formulazione Hamiltoniana della meccanica quantistica[modifica | modifica sorgente]

La formulazione hamiltoniana della meccanica quantistica si basa principalmente sui lavori dei fisici Paul Dirac, Hermann Weyl e John von Neumann. Il suo nome è dovuto al fatto che l'evoluzione temporale degli stati è formulata in funzione dell'Hamiltoniana del sistema, descritto con le variabili canoniche coniugate di posizione e impulso.

Questa formulazione, nel quadro dell'interpretazione di Copenhagen, si basa su quattro postulati, detti anche principi, la cui validità deve essere verificata direttamente in base al confronto delle previsioni con gli esperimenti:[35][36][37][38]

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1. Lo stato fisico di un sistema è rappresentato da un raggio vettore unitario di uno spazio di

Hilbert . Nella notazione di Dirac un vettore è indicato con un ket, ad esempio come ,

mentre il prodotto scalare fra due vettori e è indicato con . In questo modo, uno

stato è definito a meno di una fase complessa inosservabile in modo che:

2. Per ogni osservabile fisica riferita al sistema esiste un operatore hermitiano lineare che agisce sui vettori che rappresentano .

3. Gli autovalori associati all'autovettore dell'operatore , che soddisfano quindi:

,

corrispondono ai possibili risultati della misura dell'osservabile fisica . La probabilità

che la misura di sul sistema nello stato dia come risultato un qualsiasi autovalore vale:

Questa legge sulla probabilità è nota come regola di Born. I vettori sono scelti in modo tale da formare una base ortonormale dello spazio di Hilbert, cioè soddisfano:

4. Se non è effettuata alcuna misura sul sistema rappresentato da ad un dato istante , allora evolve ad un altro istante in maniera deterministica in base all'equazione lineare di Schrödinger:

dove è l'operatore hamiltoniano che corrisponde all'osservabile energia. Se invece è effettuata una misura di una osservabile sul sistema , allora questo collassa in modo casuale

nell'autovettore corrispondente all'autovalore osservato. La probabilità che a seguito di

una misura lo stato collassi in è data sempre dalla regola di Born.

L'interpretazione di Copenaghen descrive il processo di misura in termini probabilistici. Questo significa che il risultato di una misura in generale non può essere previsto con certezza nemmeno se si dispone di una completa conoscenza dello stato che viene misurato.

L'evoluzione degli stati nella meccanica quantistica obbedisce a leggi di tipo deterministico finché non sono effettuate misure. Al contrario in generale la misura di una qualsiasi proprietà di un sistema è descritta da un processo casuale. Il collasso della funzione d'onda non permette di stabilire in modo

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univoco lo stato del sistema antecedente alla misura. Questa differenza profonda di comportamenti dei sistemi, quando sono sotto osservazione rispetto a quando non lo sono, è stata spesso oggetto di ampi dibattiti anche di carattere filosofico ed è chiamata come "Problema della Misura".[39]

Il problema della quantizzazione[modifica | modifica sorgente]

Per approfondire, vedi Quantizzazione (fisica).

I postulati della meccanica quantistica stabiliscono che ogni stato è rappresentato da un vettore dello spazio di Hilbert, ma fra tutti i possibili spazi di Hilbert non indicano quale bisogna scegliere. Inoltre non viene stabilita una precisa mappa che ad ogni osservabile associ un rispettivo operatore che agisca sullo spazio Hilbert degli stati, i postulati si limitano semplicemente ad affermare che questa mappa esiste. Fissare lo spazio di Hilbert degli stati e stabilire la corrispondenza osservabile-operatore determina il "problema della quantizzazione", che ammette diverse possibili soluzioni. Alcune di queste sono completamente equivalenti dal punto di vista fisico e sono legate fra loro solo attraverso trasformazioni dello spazio di Hilbert. Per scegliere una quantizzazione, oltre a considerare il sistema fisico da descrivere, si possono imporre condizioni di compatibilità aggiuntive fra le strutture algebriche della meccanica classica e quelle quantistiche.[40] Nella quantizzazione canonica ad esempio tutti gli stati sono funzioni quadrato sommabili delle coordinate:

All'osservabile momento può essere associato l'operatore:

che a meno di costanti dimensionali deriva la funzione d'onda, mentre all'osservabile posizione:

che moltiplica la funzione d'onda per la coordinata . Ogni altra osservabile delle coordinate e degli

impulsi sarà ottenuta mediante sostituzione e simmetrizzazione.

Formulazione Lagrangiana della meccanica quantistica[modifica | modifica sorgente]

Per approfondire, vedi Integrale sui cammini.

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Questi sono solamente tre degli infiniti cammini che contribuiscono all'ampiezza quantistica di una particella che si muove dal punto A al tempo t0 fino al punto B al tempo t1. Nessuna particolare richiesta viene fatta in merito alle proprietà dei cammini fatta salvo la continuità: una curva possibile potrebbe anche essere non differenziabile.

La formulazione lagrangiana della meccanica quantistica è dovuta principalmente sui lavori di Feynman, che la introdusse negli anni quaranta e che ne dimostrò l'equivalenza con la formulazione Hamiltoniana. Le variabili posizione e velocità sono usate in questa formulazione per la descrizione dello stato e l'evoluzione temporale è legata invece alla lagrangiana del sistema.

L'idea fondamentale che ebbe Feynman fu di interpretare la natura probabilistica della meccanica quantistica come la somma pesata dei contributi di tutte le evoluzioni possibili per un sistema, indipendentemente da quelle indicate dalla meccanica classica. In questo modo una particella quantistica puntiforme si propaga fra due punti A e B dello spazio seguendo tutti i cammini possibili. Ad ogni singolo cammino è associato un peso, proporzionale all'esponenziale immaginario dell'azione classica. La probabilità di raggiungere B è proporzionale quindi al modulo quadro della somma dei contributi dei singoli cammini.

L'intera formulazione è basata su tre postulati:[41]

1. Esiste un funzione complessa , chiamata propagatore, il cui modulo quadro è

proporzionale alla probabilità che una particella localizzata al punto x all'istante si trovi localizzata al punto y all'istante :

In questo modo, lo stato descritto dalla funzione d'onda all'istante si evolverà

all'istante fino allo stato definito da:

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2. Il propagatore può essere scritto come una somma di contributi definiti lungo tutti i percorsi continui , detti cammini, che congiungono il punto x con il punto y:

3. Il contributo di un singolo cammino vale:

dove la costante C è definita in modo che la somma su tutti i cammini del propagatore converga

nel limite .[42] indica invece l'azione classica associata alla curva .

Le curve che contribuiscono al propagatore sono determinate unicamente dagli estremi e e dalla sola condizione di continuità, una possibile curva potrebbe anche essere non differenziabile. Questo tipo di formulazione rende particolarmente agevole uno sviluppo semiclassico della meccanica quantistica, uno sviluppo asintotico in serie rispetto alla variabile .[43]

Con la formulazione lagrangiana introdotta da Feynman è stato possibile evidenziare un'equivalenza fra il moto browniano e la particella quantistica.[43]

Il limite classico della meccanica quantistica[modifica | modifica sorgente]

Le leggi di Newton della meccanica classica e le leggi di Maxwell per i campi elettromagnetici sono in grado di descrivere correttamente la fisica dei fenomeni che occorrono per oggetti macroscopici e velocità non troppo elevate. Solamente quando si considerano i fenomeni che avvengono alle scale atomiche si scopre una incompatibilità irresolubile, per questo motivo è interessante chiedersi se esista un opportuno limite in cui le leggi quantistiche si riducono a quelle classiche.

La relatività ristretta mostra discrepanze rispetto alla fisica classica quando le velocità dei corpi macroscopici si avvicinano a quelle della luce. Per basse velocità tuttavia, le equazioni si riducono alle leggi del moto di Newton. Ragionando diversamente, è possibile affrontare una espansione in serie delle equazioni di Einstein rispetto alla velocità della luce , considerata come parametro variabile. Quando la velocità della luce è infinita le equazioni di Einstein sono formalmente ed esattamente uguali a quelle classiche.

Nella meccanica quantistica il ruolo di è preso dalla costante di Planck . Considerando quest'ultima come variabile, nel limite in cui tende a zero , fra tutte i possibili cammini che contribuiscono al propagatore di Feynman solamente le soluzioni classiche del moto sopravvivono, mentre le altre traiettorie si elidono vicendevolmente diventando sempre meno rilevanti. Dal punto di vista matematico questo approccio si basa su di uno sviluppo asintotico rispetto alla variabile , metodo che tuttavia non permette di identificare formalmente le soluzioni quantistiche con quelle delle equazioni differenziali classiche.

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Dal punto di vista sostanziale restano tuttavia profonde differenze fra la meccanica classica e quella quantistica, anche considerando la realtà quotidiana. Lo stato di un oggetto macroscopico secondo l'interpretazione di Copenaghen resta comunque non determinato finché non viene osservato, indipendentemente dalle sue dimensioni. Questo fatto pone al centro l'osservatore e domande che quasi rientrano in un dibattito filosofico. Per queste ragioni, nel tentativo di risolvere alcuni punti ritenuti paradossali, sono nate altre interpretazioni della meccanica quantistica, nessuna delle quali tuttavia, permette una completa riunione fra mondo classico e quantistico.

Applicazioni[modifica | modifica sorgente]

Una buona parte delle tecnologie moderne sono basate, per il loro funzionamento, sulla meccanica quantistica. Ad esempio il laser, il microscopio elettronico e la risonanza magnetica nucleare. Inoltre, molti calcoli di chimica computazionale si basano su questa teoria.

Elettronica[modifica | modifica sorgente]

Per approfondire, vedi Fisica dei semiconduttori.

Una CPU Intel core I7 contiene oltre 700 milioni di transistor.

Livelli energetici consentiti ad un elettrone in un semiconduttore. La zona blu, chiamata banda di valenza, è occupata interamente dagli elettroni, mentre la zona gialla, chiamata banda di conduzione, è libera e può essere percorsa da elettroni liberi (i punti neri)

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Molti dei fenomeni studiati in fisica dello stato solido sono di natura quanto-meccanica. Lo studio dei livelli energetici degli elettroni nelle molecole ha permesso lo sviluppo di numerose tecnologie di centrale importanza nel XX secolo. I semiconduttori, come il silicio, presentano alternanza di bande di energia permessa e proibita, cioè insiemi continui di valori energetici permessi o proibiti agli elettroni. L'ultima banda di un semiconduttore, detta banda di conduzione, è parzialmente occupata da elettroni. Per questo motivo, se ad un semiconduttore vengono aggiunte delle impurità costituite da atomi in grado di cedere o accettare elettroni, si potranno avere cariche negative o positive libere in grado di ricombinarsi.[44] Componendo fra loro strati di semiconduttori con queste opposte impurità si può ottenere un dispositivo in grado di far passare la corrente solo in una direzione, come il diodo, oppure un amplificatore di un segnale, come il transistor.[45] Entrambi elementi indispensabili per l'elettronica moderna, grazie a questo tipo di tecnologie possono essere realizzati in dimensioni estremamente compatte, una moderna CPU in pochi millimetri può contenere miliardi di transistor.[46] L'uso di questi tipi di semiconduttori è alla base del funzionamento anche dei pannelli fotovoltaici.

Crittografia quantistica[modifica | modifica sorgente]

Le ricerche più innovative sono, attualmente, quelle che studiano metodi per manipolare direttamente gli stati quantistici. Molti sforzi sono stati fatti per sviluppare una crittografia quantistica, che garantirebbe una trasmissione sicurissima dell'informazione in quanto l'informazione non potrebbe essere intercettata senza essere modificata. Un'altra meta che si cerca di raggiungere, anche se con più difficoltà, è lo sviluppo di computer quantistici, basati sul calcolo quantistico che li porterebbe ad eseguire operazioni computazionali con molta più efficienza dei computer classici. Inoltre, nel 2001 è stato realizzato un nottolino quantistico funzionante, versione quantistica del nottolino browniano.

Interpretazioni della meccanica quantistica[modifica | modifica sorgente]

Per approfondire, vedi Interpretazione della meccanica quantistica.

Il paradosso del gatto di Schrödinger illustrato con il gatto in sovrapposizione tra gli stati "vivo" e "morto". Secondo l'interpretazione di Copenhagen il gatto è allo stesso tempo sia vivo sia morto, la realtà di un gatto vivo o morto si determina solo nel momento in cui il gatto stesso viene osservato.

Una interpretazione della meccanica quantistica è l'insieme degli enunciati volti a stabilire un ponte fra il formalismo matematico su cui è stata basata la teoria e la realtà fisica che questa astrazione matematica dovrebbe rappresentare. Inoltre, come caratteristica peculiare della meccanica quantistica,

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una interpretazione è focalizzata anche a determinare il comportamento di tutto ciò che non è osservato in un esperimento.[47]

L'importanza di stabilire in che modo si comporta un dato sistema fisico anche quando non osservato dipende dal fatto che il processo di misura interagisce in maniera irreversibile con il sistema stesso, in modo tale che non è possibile ricostruirne completamente lo stato originario. Secondo alcuni fisici questo rappresenta una limitazione insuperabile della nostra conoscenza del mondo fisico, che sancisce una divisione fra quello che è possibile stabilire in merito al risultato di un esperimento e la realtà oggetto dell'osservazione. Come disse Bohr:

(EN) « There is no quantum world. There is only an abstract physical description. It is wrong to think that the task of physics is to find out how nature is. Physics concerns what we can say about nature... »

(IT) « Non esiste alcun mondo quantistico. C'è solo una astratta descrizione fisica. È sbagliato pensare che il compito della fisica sia di scoprire come è la natura. La fisica riguarda quello che noi possiamo dire a riguardo della natura... »

(Niels Bohr [48] )

Sulla base di questa posizione, Niels Bohr stesso in collaborazione con altri fisici, come Heisenberg, Max Born, Pascual Jordan e Wolfgang Pauli, formulò l'interpretazione di Copenaghen, una delle più conosciute e famose interpretazioni della meccanica quantistica, i cui enunciati sono inclusi anche in alcune versioni dei postulati della meccanica quantistica.[49] Il nome deriva dal fatto che molti dei fisici che vi hanno contribuito sono collegati, per diversi motivi, alla città di Copenaghen.

L'interpretazione di Copenaghen non è stata mai enunciata, nella forma odierna, da nessuno di questi fisici, anche se le loro speculazioni hanno diversi tratti in comune con essa. In particolare, la visione di Bohr è molto più elaborata dell'interpretazione di Copenaghen, e potrebbe anche essere considerata separatamente come interpretazione della complementarità in meccanica quantistica.

Secondo l'interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica, nel paradosso del gatto di Schrödinger quando si apre la scatola si creano due mondi paralleli, uno in cui il gatto è vivo e un altro in cui il gatto è morto.

Esistono tuttavia molte altre interpretazioni della meccanica quantistica. L'interpretazione a "molti mondi" sostiene ad esempio che ad ogni atto di misurazione il nostro universo si scinde in un insieme di universi paralleli, uno per ogni possibile risultato del processo di misurazione. Questa

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interpretazione nasce da un articolo del 1956 scritto da Hugh Everett III, tuttavia le sue caratteristiche fondamentali non sono mai state delineate in maniera unitaria. La più nota versione di questa interpretazione si deve ai lavori di De Witt e Graham negli anni settanta.

Ciascuna di queste interpretazioni si differenzia in particolare per l'interpretazione del significato della funzione d'onda, secondo una possibilità questa rappresenterebbe un oggetto reale che esiste sempre e indipendentemente dall'osservatore. Secondo altre interpretazioni, come quella di Bohr, la funzione d'onda rappresenta invece semplicemente una informazione soggettiva del sistema fisico rispetto e strettamente relativa ad un osservatore. Fra queste due alternative visioni è ancora presente un dibattito nella comunità fisica.[50]

Dibattito fisico - filosofico[modifica | modifica sorgente]

Sin dai primi sviluppi della meccanica quantistica le leggi formulate in base alle evidenze sperimentali sul mondo atomico hanno dato vita a complessi dibattiti di carattere fisico e filosofico. Una delle maggiori difficoltà riscontrate dal mondo scientifico di allora riguardava l'abbandono della descrizione dello stato fisico di un sistema in termini di tutte le sue variabili contemporaneamente note con precisione arbitraria. Secondo l'interpretazione di Copenhagen la limitata conoscenza dello stato fisico di un sistema è una proprietà intrinseca della natura e non limite degli strumenti di analisi sperimentali utilizzati o in ultimo dei nostri stessi sensi. Questa posizione non fu accolta positivamente da tutto il mondo scientifico e ancora oggi è oggetto di dibattito. Per esempio Einstein mosse le sue critiche a questi sviluppi della meccanica quantistica, sostenendo:

(EN) « I incline to the opinion that the wave function does not (completely) describe what is real, but only a (to us) empirically accessible maximal knowledge regarding that which really exists [...] This is what I mean when I advance the view that quantum mechanics gives an incomplete description of the real state of affairs. »

(IT) « Io propendo per l'opinione che la funzione d'onda non descrive (completamente) cosa è reale, ma solo una massima conoscenza empiricamente accessibile (a noi) per quanto riguarda ciò che realmente esiste [...] Questo è quello che intendo quando io sostengo il punto di vista secondo cui la meccanica quantistica fornisce una descrizione incompleta dello stato reale degli affari. »

(Albert Einstein, Letter to P. S. Epstein, 10 November 1945,)

Le resistenze di Einstein nei confronti dell'interpretazione di Copenhagen e dei suoi paradossi, furono superate grazie alla grande potenza predittiva che le formulazioni della meccanica quantistica hanno dimostrato negli esperimenti condotti il secolo scorso. Queste conferme sperimentali spinsero ad accettare i principi e i postulati della meccanica quantistica, sebbene la questione di quale sia la realtà al di fuori degli esperimenti resta ancora aperta. In ultima analisi, la risposta alla domanda su quale possa essere la realtà dovrebbe essere fornita e rimandata ad una teoria del tutto, ovvero da una teoria che sia in grado di descrivere coerentemente tutti i fenomeni osservati in natura, che includa anche la forza di gravita' e non solo le interazioni nucleari e subnucleari.

Un altro punto particolarmente oggetto di aspre critiche riguarda il ruolo della funzione d'onda e l'interpretazione secondo cui un sistema fisico può trovarsi contemporaneamente in una sovrapposizione di stati differenti. Albert Einstein, Podolsky e Rosen, nel 1935, idearono un paradosso che avrebbe dovuto dimostrare come questa assunzione sia errata. Le leggi di conservazione

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dell'energia, della quantità di moto e del momento angolare, impongono che tutte queste variabili non possano variare in un sistema isolato.

Esistono diverse "interpretazioni" della meccanica quantistica che cercano, in modi diversi, di gettare un ponte tra il modo in cui il formalismo della teoria sembra descrivere il mondo fisico e il comportamento "classico" che esso esibisce a livello macroscopico. Che questo sopra enunciato sia, effettivamente, un problema (concettuale e formale), venne messo in luce già nel 1935 quando Erwin Schrödinger ideò l'omonimo paradosso del gatto. Molto si è discusso, inoltre, su una peculiarità molto affascinante della teoria: la meccanica quantistica sembrerebbe essere non-locale. Questa caratteristica è stata messa in luce a partire da un altro famoso "paradosso", quello ideato da Albert Einstein, Podolsky e Rosen, sempre nel 1935, e che prende nome di paradosso EPR dalle iniziali dei tre fisici.

Albert Einstein, pur avendo contribuito alla nascita della meccanica quantistica, criticò sempre la teoria dal punto di vista concettuale. Per Einstein era inconcepibile che una teoria fisica potesse essere valida e completa pur descrivendo una realtà in cui esistono delle mere probabilità di osservare alcuni eventi e in cui queste probabilità non sono statistiche ma ontologiche. Le critiche di Einstein si riferiscono alla meccanica quantistica nella "interpretazione" di Bohr e della scuola di Copenaghen (all'epoca non c'erano altre interpretazioni altrettanto apprezzate), ed è in questo contesto che va "letto" il suo "paradosso EPR".

Einstein non accettava inoltre l'assunto della teoria in base al quale qualcosa esiste solo se viene osservato. Einstein sosteneva che la realtà (fatta di materia, radiazione, ecc.) sia un elemento oggettivo, che esiste indipendentemente dalla presenza o meno di un osservatore e indipendentemente dalle interazioni che può avere con altra materia o radiazione. Bohr, al contrario, sosteneva che la realtà (dal punto di vista del fisico, chiaramente) esiste o si manifesta solo nel momento in cui viene osservata anche perché, faceva notare, non esiste neanche in linea di principio un metodo atto a stabilire se qualcosa esiste mentre non viene osservato. È rimasta famosa, tra i lunghi e accesi dibattiti che videro protagonisti proprio Einstein e Bohr, la domanda di Einstein rivolta proprio a Bohr "Allora lei sostiene che la Luna non esiste quando nessuno la osserva?". Bohr rispose che la domanda non poteva essere posta perché concettualmente priva di risposta.

"Realtà" della funzione d'onda[modifica | modifica sorgente]

Un grande dibattito filosofico si è concentrato attorno a quale "realtà" abbia la funzione d'onda, e quindi l'intero formalismo della meccanica quantistica, rispetto alla natura che si vuole descrivere e all'osservatore che effettua la misurazione.[51] Un possibile punto di vista prevede che la funzione d'onda sia una realtà oggettiva, che esiste indipendentemente dall'osservatore, e che rappresenti o sia equivalente all'intero sistema fisico descritto. All'opposto, la funzione d'onda potrebbe rappresentare, secondo un altro punto di vista, solo la massima conoscenza che un preciso osservatore è in grado di avere di un dato sistema fisico. Bohr durante questo tipo di dibattiti sembrò propendere per questa seconda possibilità.

La risposta a questo tipo di interrogativi non è semplice per il fatto che una teoria dell'intero universo come la meccanica quantistica dovrebbe anche descrivere il comportamento degli osservatori che vi sono dentro, spostando quindi il problema della realtà della funzione d'onda al problema della realtà degli osservatori stessi. In termini generali, si può osservare che esiste una differenza fra le previsioni della meccanica quantistica fornite dalla funzione d'onda e le previsioni probabilistiche che è possibile

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avere ad esempio per il meteo. Nel secondo caso, due previsioni del tempo indipendenti potrebbero dare risultati differenti, in base al fatto che potrebbero avere una diversa accuratezza nella conoscenza dello stato attuale della temperatura e della pressione dell'atmosfera. Nel caso della meccanica quantistica tuttavia, il carattere probabilistico è intrinseco ed è indipendente dal tipo di misurazioni che vengono effettuate. In questo senso, la funzione d'onda assume un significato oggettivo di realtà e non semplicemente uno soggettivo di ciò che è probabile che la natura manifesti.

Estensioni della meccanica quantistica[modifica | modifica sorgente]

La meccanica quantistica è stata in grado di spiegare la struttura atomica, (3) e (4), come pure di descrivere qualitativamente le proprietà macroscopiche della materia, (1) e (2). Le estensioni con la relatività ristretta hanno permesso infine di avere un modello coerente della struttura nucleare e subatomica (5). Alcune teorie, come quella delle stringhe, dovrebbero essere in grado di includere la gravità e descrivere il mondo fino alla scala di Planck, (6).

Nonostante i suoi numerosi successi, la meccanica quantistica sviluppata agli inizi del XX secolo non può essere considerata una teoria definitiva capace di descrivere tutti i fenomeni fisici. Un primo limite fondamentale della teoria, già ben presente agli stessi scienziati che la formularono, è la sua incompatibilità con i postulati della relatività di Einstein ristretta e generale. Inoltre la formulazione originaria è inadatta a rappresentare sistemi dove il numero di particelle presenti vari nel tempo.

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L'equazione di Schrödinger è simmetrica rispetto al gruppo di trasformazioni di Galileo e ha come corrispettivo classico le leggi della meccanica di Newton.[52] L'evoluzione temporale degli stati fisici non è quindi compatibile con la teoria della relatività ristretta di Einstein. Tuttavia i principi della meccanica quantistica possono essere generalizzati in modo da essere in accordo con il quadro della relatività ristretta, ottenendo la teoria quantistica dei campi. Gli effetti associati all'invarianza per trasformazioni di Lorentz proprie richiesta dalla relatività ristretta hanno come conseguenza la non conservazione del numero di particelle. In base alla relazione fra massa e energia infatti, un quanto energetico può essere assorbito da una particella oppure viceversa.[53] La descrizione completa dell'interazione elettromagnetica fra i fotoni e le particelle cariche è fornita dall'elettrodinamica quantistica, teoria quantistica di campo capace di spiegare l'interazione tra radiazione e materia e, in linea di principio, anche le interazioni chimiche interatomiche.[54]

La cromodinamica quantistica è una teoria che descrive la struttura nucleare in termini di interazioni fra quark e gluoni. Il neutrone ad esempio è costituito da due quark di valenza down e uno up che interagiscono scambiando gluoni.

Nella seconda metà del XX secolo la teoria di campo quantistica è stata estesa alla descrizione delle interazioni forti che avvengono all'interno del nucleo fra i quark e gluoni, con la cromodinamica quantistica.[55] Ulteriori sviluppi hanno permesso di unificare la forza elettrica con la forza debole, responsabile dei decadimenti nucleari.

Anche la formulazione quantistica delle teorie di campo resta in disaccordo con i principi della teoria della relatività generale, questo rende perciò estremamente complesso formulare una teoria in cui la gravità obbedisce anche ai principi della meccanica quantistica.[56] La cosiddetta teoria quantistica della gravitazione è uno degli obiettivi più importanti per la fisica del XXI secolo. Ovviamente, viste le numerose conferme sperimentali delle due teorie, la teoria unificata dovrà includere le altre due come approssimazioni, quando le condizioni ricadono nell'uno o nell'altro caso. Numerose proposte sono state avanzate in questa direzione, come ad esempio la gravitazione quantistica a loop, in inglese Loop Quantum Gravity (LQG), o la teoria delle stringhe. La teoria delle stringhe per esempio estende la formulazione della meccanica quantistica considerando, al posto di particelle puntiformi, oggetti monodimensionali (le stringhe) come gradi di libertà fondamentali dei costituenti materia.[57]

Cronologia essenziale[modifica | modifica sorgente]

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1900 : Max Planck introduce l'idea che l'emissione e l'assorbimento di energia elettromagnetica siano quantizzate, riuscendo così a giustificare teoricamente la legge empirica che descrive la dipendenza dell'energia della radiazione emessa da un corpo nero dalla frequenza.

1905 : Einstein spiega l'effetto fotoelettrico sulla base dell'ipotesi che l'energia del campo elettromagnetico sia trasportata da quanti di luce (che nel 1926 saranno chiamati fotoni).

1913 : Bohr interpreta le linee spettrali dell'atomo di idrogeno, ricorrendo alla quantizzazione del moto orbitale dell'elettrone.

1915 : Sommerfeld generalizza i precedenti metodi di quantizzazione, introducendo le cosiddette regole di Bohr-Sommerfeld.

I succitati risultati costituiscono la vecchia teoria dei quanti.

1924 : Louis de Broglie elabora una teoria delle onde materiali, secondo la quale ai corpuscoli materiali possono essere associate proprietà ondulatorie. È il primo passo verso la meccanica quantistica vera e propria.

1925 : Heisenberg formula la meccanica delle matrici. 1926 : Schrödinger elabora la meccanica ondulatoria, che egli stesso dimostra equivalente, dal

punto di vista matematico, alla meccanica delle matrici. 1927 : Heisenberg formula il principio di indeterminazione; pochi mesi più tardi prende forma la

cosiddetta interpretazione di Copenaghen. 1927 : Dirac applica alla meccanica quantistica la relatività ristretta; fa un uso diffuso della

teoria degli operatori (nella quale introduce la famosa notazione bra-ket). 1932 : John von Neumann assicura rigorose basi matematiche alla formulazione della teoria

degli operatori. 1940 : Feynman, Dyson, Schwinger e Tomonaga formulano l'elettrodinamica quantistica (QED,

Quantum electrodynamics), che servirà come modello per le successive teorie di campo. 1956 : Everett propone l'interpretazione dei 'molti mondi'. 1960 : comincia la lunga storia della cromodinamica quantistica (QCD, Quantum

chromodynamics). 1975 : Polizter, David Gross and Frank Wilczek formulano la QCD nella forma attualmente

accettata. 1980 : Higgs, Goldstone, Glashow, Weinberg e Salam mostrano, indipendentemente tra loro ma

prendendo spunto da un lavoro di Schwinger, che la forza debole e la QED possono essere unificate nella teoria elettrodebole.

1982 : un gruppo di ricercatori dell'Istituto Ottico di Orsay, diretto da Alain Aspect, conclude con successo una lunga serie di esperimenti che mostrano una violazione della disuguaglianza di Bell, confermando dunque le previsioni teoriche della meccanica quantistica.