Torino Aimez-vous Brahms? - MITO SettembreMusica · pervenute cadenze per il primo movimento e per...

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Settembre Musica Torino Milano Festival Internazionale della Musica 04 _ 21 settembre 2014 Ottava edizione Aimez-vous Brahms? Orchestra I Pomeriggi Musicali Sergio Alapont direttore Sunao Goko violino Beethoven Brahms Torino Teatro Regio Venerdì 05.IX.2014 ore 21

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SettembreMusica

Torino MilanoFestival Internazionaledella Musica

04_21 settembre 2014Ottava edizione

Aimez-vous Brahms?

Orchestra I Pomeriggi MusicaliSergio Alapont direttoreSunao Goko violino

BeethovenBrahms

TorinoTeatro Regio

Venerdì 05.IX.2014ore 21

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Ludwig van Beethoven(1770-1827)

Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 61Allegro ma non troppoLarghettoRondò. Allegro

Johannes Brahms(1833-1897)

Serenata n. 2 in la maggiore per piccola orchestra op. 16Allegro moderato Scherzo. Vivace Adagio non troppo Quasi Menuetto Rondò. Allegro

Tre Danze ungheresi WoO 1n. 1 in sol minore – Allegro molton. 3 in fa maggiore – Allegretton. 10 in fa maggiore – Presto

Orchestra I Pomeriggi MusicaliSergio Alapont, direttoreSunao Goko, violino

In collaborazione con I Pomeriggi Musicali

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In un mondo di apollinea armonia formale, che esercitò un poten-te fascino su Brahms, ci conduce il Concerto per violino in re maggiore di Beethoven. L’autore aveva incominciato a comporre un’opera di tal genere, della quale rimane un frammento, già negli anni di Bonn (1790-1792). Ma solo nel 1806 riprese l’idea di dedi-care al violino un concerto, l’op. 61 appunto, dopo la composizione del grande Concerto per pianoforte op. 58 e della Quarta Sinfonia. Nel frattempo si era cimentato nelle due Romanze per violino e orchestra op. 40 e op. 50 (1802), del cui melodismo il Concerto è certamente memore, e successivamente nei capolavori delle Sonate per violino e pianoforte op. 30 e op. 47 (la celebre Sonata “a Kreutzer”). Il Concerto op. 61 venne dedicato a Franz Clement, primo violino e direttore dell’orchestra del Theater An der Wien, con un curioso gioco di parole polilinguistico (“Concerto par Clemenza pour Clement”), che certo doveva attagliarsi al modo di suonare bizzarro e capriccioso del violinista, al quale venne lasciata libertà nell’introduzione di cadenze di bravura. Eseguito il 23 dicembre 1806, il Concerto venne accolto con qualche riser-va della critica ufficiale per “una mancanza di continuità”, e fu considerato opera essenziale nel repertorio violinistico soprattutto dalla metà dell’Ottocento, per merito principalmente del violinista Joseph Joachim. Pubblicato nel 1808 con una dedica all’amico di giovinezza di Beethoven, Stephan von Breuning, il Concertoop. 61 venne anche trascritto per pianoforte, con dedica alla moglie di Stephan, Julie, ed è per questa versione che ci sono pervenute cadenze per il primo movimento e per il Finale.Beethoven fa in quest’opera una concessione alquanto moderata al virtuosismo, tanto in voga all’epoca, per dare sfogo invece a un’ampia cantabilità, a un effusivo lirismo, improntato a una gaiezza venata di malinconia e di pathos. Da qui un libero vagare di spunti tematici, che stempera la percezione del rigore formale: questo sembra a tratti scomparire sotto i trepidi ma non ancora tragici trasalimenti di un protoromantico Wanderer goethiano (il “viandante” che diverrà figura emblematica della nuova sensibilità ottocentesca). Domina su tutto il Concerto il primo movimento, Allegro ma non troppo: l’inciso iniziale a note ribattute del timpano, ovattato e misterioso, dal quale scaturi-sce il primo tema enunciato dall’oboe in un idillico contorno di clarinetti e fagotti, farà da sfondo, vagamente inquietante, a buona parte del brano, affiorando qua e là fra gli strumenti, come un’ombra che smorzi di volta in volta il chiarore di uno scenario pastorale. Sono ancora i legni a presentare una seconda idea che, ripresa dai violini, giocherà con arcana ambivalenza sul contrasto maggiore-minore, per poi condurre a una distesa melodia dei violini: una catartica epifania che scioglie i dubbi e le latenti tensioni delle pagine precedenti. Il solo entra con una formula cadenzante, a variare e fiorire con le sue volute il

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primo tema, a creare con i suoi trilli immagini naturalistiche, per abbandonarsi, nella sezione di “sviluppo”, a un tema nuovo, in cui traluce quello che sarà il sentimento dominante nell’inci-piente Romanticismo, la Sehnsucht, la nostalgia. Nel Larghetto, un tema sommesso in stile di corale viene esposto dagli archi in sordina, e poi fiorito dal solo, al quale, nella seconda parte, viene affidata ancora un’idea nuova, cantata nei toni caldi della terza e della quarta corda, prima di perdersi nel mondo iperuranio dei registri acuti. Una breve cadenza conduce al Rondò finale. Aperta da un motivo accattivante del violino principale, questa pagina mostra un accendersi del virtuosismo, benché, all’interno, al solo venga anche assegnata una melodia cantabile in sol minore. Verso la conclusione, il violino trascina tutta l’orchestra in un’ul-tima panoramica su un quadro pastorale, e come avverrà nella Sesta Sinfonia, che di Pastorale avrà anche il nome, la chiusa, a cui conduce un ultimo arabesco del violino, sembra giungere perché bisogna comunque calare il sipario; ma la musica dà l’im-pressione di avere implicito in sé qualcosa di non concluso, come se suggerisse sommessamente “und so weiter…”, e così via… in una contemplazione infinita in cui forse, leopardianamente, potrebbe essere dolce naufragare.

Fedele ai modelli formali dei classici “viennesi” e consapevole del peso dell’eredità beethoveniana, Brahms concepì alcune sue opere strumentali in parte come una sorta di preparazione alla forma più dotta e monumentale della Sinfonia. Le due Serenate per piccola orchestra composte fra il 1857 e il 1860 costituiscono una prima tappa significativa su questa strada. Il compositore amburghese era allora al servizio della corte di Detmold: un soggiorno tranquillo e idillico, che gli consentì di approfondire con agio la conoscenza di Serenate e Divertimenti di Haydn e di Mozart: piacevoli forme d’intrattenimento che anche per quegli autori erano state spesso un laboratorio per giungere a più mature forme sinfoniche. Se la Serenata n. 1 in re maggiore ottenne, con la sua gradevolezza, diffusi consensi, più difficile fu il cammino della Serenata n. 2 in la maggiore. Un più arduo connubio fra forme consolidate e un idioma alquanto moderno sul piano melodico-armonico, tanto da indurre qualche critico a scorgervi un accostamento a quella “musica dell’avvenire” che Wagner andava elaborando in quegli anni (e che Brahms ammirò, pur mostrandosi alieno dall’accettarla), resero l’opera meno imme-diatamente comprensibile, e il fatto che essa fosse concepita per un ensemble classico, misto di archi e di fiati, ma senza violini, all’insegna di un’austera sobrietà, ne ostacolò la penetrazione nello stesso ambiente musicale.La Serenata sembra essere legata alla figura di Clara Schumann, alla quale Brahms inviò in dono i singoli movimenti, ottenendone

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commossi commenti, soprattutto sull’Adagio, nel quale la grande pianista scorgeva un’ispirazione religiosa (“potrebbe essere un Eleison”). L’opera vide la sua prima esecuzione il 10 febbraio 1860, nel corso di un concerto tenuto dalla Filarmonica di Amburgo, nel quale il violinista Joseph Joachim, grande amico di Brahms, eseguì poi il Concerto per violino di Beethoven. Una seconda esecuzio-ne con l’orchestra del Gewandhaus di Lipsia suscitò una critica sfavorevole del giornale «Signale für die musikalische Welt», per la complessità dell’opera e il suo sfoggio di dottrina polifonica, e un’esecuzione viennese nel 1863 destò qualche perplessità nello stesso Eduard Hanslick, il critico destinato a divenire fervente brahmsiano. Soprattutto il colore “oscuro” della Serenata e le difficoltà tecniche non ne favorirono il successo, e soltanto lenta-mente, e dopo una revisione dell’autore effettuata fra il 1873 e il 1875, essa s’impose sulla scena concertistica. Ma in occasione della “prima” della versione riveduta, diretta nel 1875 da Bernhard Scholz, Brahms dovette cedere al gusto corrente e consentire che il solo di oboe nel Trio del Minuetto fosse eseguito da un violino.Ideata in cinque movimenti, la Serenata in la maggiore è tutt’al-tra cosa dalle badineries notturne settecentesche, delle quali è estrema derivazione. Le dimensioni, la scrittura ricercata, l’au-dacia dei trapassi armonici concorrono a conferire all’opera un peso inusitato. Il primo Allegro, in forma-sonata, presenta un tema d’esordio di clarinetti e fagotti che rivela una reminiscen-za di quello impiegato da Beethoven nella Fuga della Sonata per pianoforte op. 110: un monumento al razionalismo e al suo valore etico. Basterebbe questo a definire la cifra espressiva e la nobiltà della Serenata (e forse non è un caso che verso la fine del secolo una sfumata ma pregnante eco dello spunto risuoni commossa e grandiosa nella nona delle Enigma variations di Elgar, nella quale l’autore evocava conversazioni e riflessioni sui tempi lenti beethoveniani: simbolo di una perenne attualità del tematismo “classico”). Il pizzicato di violoncello e contrabbasso che nel brano brahmsiano s’insinua quasi subito sotto le figura-zioni melodiche, ne esalta il profilo, e uno spunto successivo in ritmi puntati dei clarinetti, poi esteso a flauti, oboi e fagotti, con movenze pastorali, non giunge però ad infirmare la solennità di fondo di tutta la pagina. Lo Scherzo deve la sua bizzarria al contrasto fra le figurazioni binarie e il metro ternario in cui esse sono inserite: segno di una vitalità ritmica ulteriormente riba-dita dalle pulsazioni di viola e violoncello nel Trio. Cuore della Serenata, l’Adagio non troppo esordisce con un cupo ostinato degli archi in ritmo di 12/8, sul quale si staglia una melodia avviata da flauto e clarinetto. Il motivo “ostinato”, con l’iniziale intervallo di quarta ascendente, rammenta il primo movimento, ma ricorda anche il tema degli ottoni nel quarto movimento della Sinfonia Renana di Schumann (1850), ispirato a una cerimonia

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religiosa svoltasi nel Duomo di Colonia. Tutto l’Adagio, in forma ternaria con ripresa variata, è percorso da suggestioni arcaiche d’impronta organistica; l’afflato religioso che lo pervade lo avvi-cina all’accorata austerità del Requiem tedesco (1857-1868), e la densità della scrittura e le eleganti poliritmie fra gli strumenti nella sezione centrale evocano gli intrecci dell’antica musica medievale franco-fiamminga e il loro risvolto nell’arte figurativa: le sculture gotiche improntate a ieratica e pur decorativa maestà.Quasi Menuetto intitola Brahms il quarto movimento, e se la vivacità ritmica alleggerisce l’atmosfera, le movenze di danza sono un pallido fantasma, richiamate e respinte a un tempo da quell’ambiguo “quasi”, di cui l’autore si serve per esprimere una forma di distacco dall’incipriata frivolezza del ballo settecente-sco. Finalmente liberatorio e sbrigliato il Rondò finale, in cui i clarinetti e poi di seguito gli oboi danno vita a un tema popola-reggiante, più oltre impreziosito dai giubilanti trilli dell’ottavino: una pagina in cui sorride il Brahms più amabile e bonario, che amava le melodie zigane e i valzer di Strauss, che si lasciava commuovere dalle filastrocche del Corno magico del fanciullo, la raccolta di canti popolari tedeschi compilata dai poeti Arnim e Brentano, dalla quale fu attratto non meno dei wagneriani, e certo con minore disincanto. Forme antiche e musica popolare sono entrambe sentite da Brahms come patrimonio culturale irri-nunciabile, come parte di un sistema di valori di cui egli si erge a strenua difesa, non con impettito accademismo, bensì con uno spirito di mediazione fra tradizione e modernità, che il suo stesso “rivale” Wagner (ma fu vera rivalità?) celebrò nel personaggio di Hans Sachs nei Maestri cantori di Norimberga.

All’universo sonoro popolare appartengono le Danze ungheresi, che Brahms scrisse per pianoforte a quattro mani e pubblicò in due serie, nel 1869 e nel 1880. Benché abbia in alcuni casi fatto ricorso a melodie folkloriche, Brahms non le utilizza con la fedel-tà che sarà propria più tardi dei compositori etnomusicologi quali Bartók o Kodály, bensì ne offre una versione stilizzata e nobilitata da una scrittura colta. Pur essendo perfettamente adatte a uno strumento brillante come il pianoforte, le Danze suggeriscono di per sé effetti orchestrali e varietà timbriche. Vari compositori ne fornirono pertanto versioni orchestrate, e lo stesso Brahms provvide alla strumentazione di tre Danze della prima serie, nelle quali prevale uno spirito focoso, che s’impone rispetto agli episodi più malinconici: se la n. 1 in sol minore è percorsa da un’oscura agitazione, la n. 3 è scherzosamente ammiccante, con una sorta di dialogo fra due temi, uno piccante all’acuto e uno al grave, quasi fossero due personaggi; e la danza n. 10 è un pirotecnico gioco di accentuazioni tipicamente zigane.

Giulia Giachin

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Il 27 novembre 1945 al Teatro Nuovo di Milano debutta l’Orche-stra I Pomeriggi Musicali: in programma Mozart e Beethoven accostati a Stravinskij e Prokof’ev. Nell’immediato dopoguerra, nel fervore della ricostruzione, l’impresario Remigio Paone e il critico Ferdinando Ballo lanciano la nuova formazione con un progetto di straordinaria attualità: dare alla città un’orchestra da camera con un solido repertorio classico e una specifica vocazione alla contemporaneità. Il successo è immediato e l’Or-chestra contribuisce notevolmente alla divulgazione popolare in Italia della musica dei grandi del Novecento censurati durante la dittatura fascista: Stravinskij, Hindemith, Webern, Berg, Poulenc, Honegger, Copland, Ives, Françaix. I Pomeriggi Musicali avviano, inoltre, una tenace attività di commissioni musicali: per loro compongono, infatti, Casella, Dallapiccola, Ghedini, Malipiero, Pizzetti, Respighi. Questa scelta programmatica si consolida nel rapporto con i compositori delle generazioni successive: Berio, Bussotti, Luciano Chailly, Clementi, Donatoni, Hazon, Maderna, Mannino, Manzoni, Margola, Pennisi, Testi, Tutino, Panni, Fedele, Francesconi, Vacchi.Compositori come Honegger, Hindemith, Pizzetti, Dallapiccola, Petrassi e Penderecki hanno diretto la loro musica sul podio dei Pomeriggi Musicali, che per molti giovani artisti è diventato un trampolino verso la celebrità. È il caso di Claudio Abbado, Leonard Bernstein, Rudolf Buchbinder, Pierre Boulez, Michele Campanella, Aldo Ceccato, Riccardo Chailly, Daniele Gatti, Gianandrea Gavazzeni, Carlo Maria Giulini, Vittorio Gui, Natalia Gutman, Angela Hewitt, Leonidas Kavakos, Alexander Lonquich, Igor Markevitch, Zubin Mehta, Riccardo Muti, Thomas Schippers, Christian Thielemann, Salvatore Accardo, Antonio Ballista, Arturo Benedetti Michelangeli, Bruno Canino, Franco Gulli, Massimo Quarta, Maurizio Pollini, Corrado Rovaris e Uto Ughi. Tra i direttori stabili dell’Orchestra ricordiamo Nino Sanzogno, Gianluigi Gelmetti, Giampiero Taverna e Othmar Mága, per arrivare ai milanesi Daniele Gatti, Aldo Ceccato e Antonello Manacorda. L’Orchestra I Pomeriggi Musicali svolge la sua atti-vità principalmente a Milano e nelle città lombarde, mentre in autunno contribuisce alle stagioni liriche dei Teatri di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Mantova, Pavia, e alla stagione di balletto del Teatro alla Scala. Invitata nelle principali stagioni sinfoniche italiane, l’Orchestra è ospite anche delle maggiori sale da concerto europee.I Pomeriggi Musicali, la cui sede è il Teatro Dal Verme, sono una fondazione costituita dalla Regione Lombardia, dal Comune di Milano, dalla Provincia di Milano e da enti privati, riconosciuta dallo Stato come istituzione concertistico-orchestrale e dalla Regione Lombardia come ente primario di produzione musicale.

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Vincitore del Concorso Internazionale per direttori d’orchestra di Granada, Sergio Alapont è direttore artistico e direttore principale dell’Orchestra Manuel de Falla e direttore artistico del Benicassím Opera Festival. Ha collaborato con le più importan-ti orchestre europee e internazionali come Kiev Philharmonic Orchestra, Macedonian National Opera, Poznan Opera, Gächinger Kantorei, Bach Collegium-Stuttgart, Monterey Symphony Orchestra, Orquesta de Cámara de Bellas Artes (Messico), Teatro Principal de Alicante, Santanyí Opera, Festival de Pollença, Skopje National Theater, Orchestra Sinfonica Rossini, Orchestra di Padova e del Veneto, Orchestra Città di Ferrara, Teatro San Carlo di Napoli, Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, Danish National Symphony Orchestra, Royal Scottish National Orchestra, Scottish Opera, Orchestre National de l’Île de France.In campo operistico ha diretto Il cappello di paglia di Firenze al Maggio Musicale Fiorentino e al Wexford Opera Festival, Il barbie-re di Siviglia alla Norske Opera di Oslo, Una cosa rara al Palau de Les Arts di Valencia e al Teatro Calderón di Valladolid, Le nozze di Figaro a Catania, Il barbiere di Siviglia, Norma e Roméo et Juliette a Sassari, La Cenerentola a Treviso e Ferrara, Rigoletto al Teatro Principal di Alicante. È stato assistente di Marco Armiliato in numerose produzioni del Metropolitan, fra le quali Madama Butterfly, La bohème e Sly. Nel 2008 ha debutatto nella Großer Saal del Musikverein di Vienna. Tra i suoi impegni ricordiamo i concerti con l’Orquesta Nacional de España, un gala operistico con Maria Guleghina, Daniela Dessì, Barbara Frittoli e Ainhoa Arteta alla Madrid Arena, Werther al Teatro Calderón di Valladolid, Don Giovanni per il Tenerife Opera Festival e Don Bucefalo di Antonio Cagnoni per il Wexford Opera Festival.

Sunao Goko, nato nel 1992 in Giappone, all’età di 5 anni ha iniziato a studiare violino sotto la guida di Mami Teshigawara. A 10 anni ha vinto il primo premio assoluto al Concorso All Japan riservato agli studenti e nello stesso anno ha debuttato al Festival di Praga. All’età di 13 anni ha ottenuto il primo premio all’undi-cesima edizione dell’International Yehudi Menuhin Competition per giovani violinisti. Nel 2013 ha vinto il primo premio assoluto alla prima edizione del Concorso Internazionale Tibor Varga a Sion Valais in Svizzera, vincendo anche il premio del pubblico e il premio per la migliore interpretazione del brano contemporaneo del compositore cinese Guo Wenjing. Questo concorso ha unito il Tibor Varga Violin Competition, che è stato fondato nel 1967, e il Concorso Internazionale di Violino Sion Valais fondato nel 2002.

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Alla sua giovane età vanta già prestigiose collaborazioni con orchestre come la New Japan Philharmonic Orchestra, la Tokyo Metropolitan Symphony Orchestra, la Yomiuri Nippon Symphony Orchestra, l’Orchestre National de Lille, l’Orchestra Sinfonica Nazionale di Santa Cecilia.Ha studiato con Gerhard Bosse, Jean-Jacques Kantorow, Ana Chumachenco e Akiko Tatsumi; attualmente si perfeziona presso il Konservatorium Wien Privatuniversität con Pavel Vernikov.

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