ti ride negli occhi la stranezza di un cielo che non è il tuo

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PAGINA UNO OTTOBRE 2015 I Le immagini sono di Vivian Maier, a cui è dedicata la mostra: “Vivian Maier Street Photographer “, al Museo MAN di Nuoro, fino al 18 ottobre 2015. © Vivian MaierMaloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York (vedi tracce.it). Appunti dagli interventi di Davide Prosperi e Julián Carrón alla Giornata d’inizio anno degli adulti e degli studenti universitari di CL. Mediolanum Forum, Assago (Milano), 26 settembre 2015 «TI RIDE NEGLI OCCHI LA STRANEZZA DI UN CIELO CHE NON È IL TUO»

Transcript of ti ride negli occhi la stranezza di un cielo che non è il tuo

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OTTOBRE 2015 ILe immagini sono di Vivian Maier, a cui è dedicata la mostra: “Vivian Maier Street Photographer “, al Museo MAN di Nuoro, fino al 18 ottobre 2015. © Vivian MaierMaloof Collection, Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York (vedi tracce.it).

Appunti dagli interventi di Davide Prosperi e Julián Carrónalla Giornata d’inizio anno degli adulti e degli studenti universitari di CL.

Mediolanum Forum, Assago (Milano), 26 settembre 2015

«TI RIDE NEGLI OCCHILA STRANEZZA DI UN CIELO

CHE NON È IL TUO»

JULIÁN CARRÓNDomandiamo allo Spirito di ridestare in noi una tale af-

fezione a Cristo, un tale attaccamento a Lui che possiamotestimoniarLo in tutte le pieghe del nostro vivere.

Discendi Santo Spirito

La mente tornaI wonder as I wander

DAVIDE PROSPERIBenvenuti a questo gesto con cui iniziamo un nuovo

anno insieme. Saluto anche tutti gli amici che in variecittà in Italia e all’estero sono collegati per vivere insiemequesto gesto.

«La giornata più bella della settimana è il lunedì, perchéil lunedì si riinizia, si riinizia il cammino, il disegno, siriinizia l’attuazione della bellezza, della affe-zione» (L. Giussani, Dal temperamento unmetodo, Bur, Milano 2002, p. 31). Questafrase di don Giussani dice il motivo per cuinon ci stanchiamo mai di ricominciare,perché a questa bellezza siamo attaccati piùdi qualsiasi altro interesse, e quindi chiediamoalla nostra grande compagnia che ci aiuti anon perderci d’animo, affinché cresca giornodopo giorno, anno dopo anno, la nostra af-fezione alla sorgente della bellezza.

Agli Esercizi del 1964 a Varigotti, donGiussani diceva: «Noi dobbiamo lottare perla bellezza, perché senza la bellezza non sivive. E questa lotta deve investire ogni parti-colare, altrimenti come faremo un giorno ariempire Piazza San Pietro?» (il riferimentoè in L. Amicone, «Il 25 aprile di Rimini»,Tempi, n. 18/2004, p. 20). Lo scorso 7 marzol’abbiamo riempita, quella Piazza. Abbiamo chiesto un in-contro al Papa per domandare come mantenere quella fre-schezza dell’inizio che è decisiva perché il nostro movimentocontinui a essere utile alla Chiesa e al mondo. Chiunque dinoi penso sia qui perché ritiene che questa esperienza siavalida per la propria vita. Ma come si può essere semprepiù utili alla Chiesa e così servire la gloria di Cristo nelmondo? Il Papa ci ha risposto affidandoci un compito,come ben ricordiamo: «Centrati in Cristo e nel Vangelo,voi potete essere braccia, mani, piedi, mente e cuore di unaChiesa “in uscita”» (Francesco, Discorso al movimento diComunione e Liberazione, 7 marzo 2015).

E Carrón lo ha ripreso agli Esercizi della Fraternità: «Dache cosa possiamo riconoscere questa presenza? Dal fattoche essa ci decentra dalle nostre riduzioni, dalle nostre di-strazioni per riportarci al centro, Cristo. (...) Il cristianesimoè sempre un avvenimento» (Una presenza nello sguardo,suppl. Tracce, n. 5/2015, pp. 33-34). Dobbiamo renderciconto che questo indica una direzione, cioè che occorre ri-centrarsi sul primato dell’avvenimento, riaprirsi sempre dinuovo a Cristo come avvenimento che è accaduto nellastoria passata, e che accade nel presente secondo modalitàsempre nuove, che noi siamo chiamati a seguire. Lo abbiamovisto all’ultimo Meeting. Il metodo che Dio usa per entrarenella storia è quello di una libera scelta: la scelta di unuomo, Abramo. In mezzo alla moltitudine degli uominiche tentano di dare un nome al Mistero, un uomo soloviene scelto e viene chiamato per nome dal Mistero, «Abra-mo...», perché possa dargli del Tu, come un figlio dà del tu

a suo padre. Questo stesso metodo descrivela nostra storia.

Infatti una delle cose che mi colpisce delmovimento è come tutto ha avuto inizio. Losi può leggere nel libro di Savorana (Vita didon Giussani, Bur, Milano 2014). Tanti annifa un ragazzino ha cominciato a sentire unostruggimento che la sua vita non fosse inutile.Non sapeva, non immaginava come avrebbepotuto essere utile, ma l’unica cosa che sapevaper certo è che non avrebbe voluto vivereinutilmente, che qualsiasi cosa il Signore gliavesse chiesto, avrebbe offerto tutto di séperché la sua vita potesse essere utile almondo, utile al Suo disegno. E io dico: miriconosco - mi riconosco -, anch’io ho questostruggimento! Ma questa cosa che abbiamodentro tutti, il più delle volte non è presa sulserio fino al punto di dire: «Spendo la vita,

tutta la mia vita per questo». Invece noi siamo qui oggiperché questo ragazzino è diventato un uomo e poi èdiventato vecchio, ed è rimasto tutta la vita fedele a questostruggimento, anzi, fedele a Chi gli ha segnato la strada percompiere questo suo desiderio. Il carisma che ha presoquest’uomo e ha generato un popolo dentro la vita dellaChiesa, lo ha preso per il mondo; e noi che siamo statipreferiti, perché non ci era dovuto di incontrare quello cheabbiamo incontrato e che tanti non conoscono, noi cheabbiamo visto, noi che siamo stati scelti, che abbiamo, percosì dire, visto i tratti inconfondibili del volto di Cristo at-traverso la testimonianza così persuasiva di una compagnia

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Appunti dagli interventi di Davide Prosperi e Julián Carrónalla Giornata d’inizio anno degli adulti e degli studenti universitari di CL.

Mediolanum Forum, Assago (Milano), 26 settembre 2015

Noi che siamo statipreferiti, perché

non ci era dovuto diincontrare quello cheabbiamo incontrato e che tanti non

conoscono, noi a cuiè stato dato di fareesperienza di Cristocome un’attrattiva

invincibile, noi siamostati scelti per il mondo

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umanamente decisiva e pacificante per la vita, noi a cui èstato dato di fare esperienza di Cristo come un’attrattivainvincibile, noi siamo stati scelti per il mondo. A noi è statadata questa esperienza di conoscenza, perché ne comuni-chiamo la bellezza a tutti. Se no, che senso avrebbe la prefe-renza? Sarebbe un’ingiustizia.

Il cieco nato mi produce sempre la stessa commozione.Questo disgraziato guardava se stesso come lo guardavanotutti: lui era “il suo” male. Una vita senza speranza. E comelui ce n’erano molti e tutti quelli come lui si guardavanonello stesso modo, secondo una certa visione diffusa nelgiudaismo di allora: puniti nel fisico perché cattivi, impuridentro, peccatori! Ma quell’uomo lo scelse quel giorno e ilcieco acquistò la vista; e interrogato dai maestri e daisapienti, rispose: «Io so solo che prima non ci vedevo e oraci vedo, vedo la realtà, non solo quella fisica, ma vedo laverità di me, di quello che sono io. Io non sono quello chedite voi, io sono quello che ho visto risplendere nellosguardo di quell’uomo che mi fissava, guardava propriome, il niente che sono, mi guardava con amicizia. Quelgiorno fu scelto proprio lui perché, attraverso il suo cam-biamento, potesse risplendere la gloria di Cristo, perchéanche gli altri come lui conoscessero la verità di sé e delmondo, di tutto, e così fossero liberati. Da Abramo in poiDio ha sempre usato questo metodo e noi siamo di quelceppo lì. Per cui la nostra vita diventa utile se è vissuta perlo scopo per cui siamo stati scelti, come ha detto un padre

al funerale del suo bambino di tre anni, morto di tumore:«Per l’immaginetta abbiamo scelto questa frase che bene lodescrive: “L’importante nella vita non è fare qualcosa, manascere e lasciarsi amare”».

Ripensando un po’ all’anno passato, a partire dal giudiziosull’Europa e sul crollo delle evidenze - lo ricordiamobene -, la nostra iniziativa nasce da quella stessa domandadi Giussani: nella situazione in cui ci troviamo, è possibileancora comunicare Cristo con quel fascino, con quellapersuasività di ragione e di affezione che ha investito noi?

Al Meeting, abbiamo avuto moltissimi incontri con te-stimoni della fede, così come altri incontri sorprendenti,magari inattesi, come trovate ben documentato nel Traccedi settembre.

Io mi sono chiesto: che cosa colpisce chi incontra unacosa così? Perché uno è colpito? Perché si può dire, comeha fatto per esempio Pietro Modiano, che «solo [per] ilfatto che esista un luogo (...) in cui si possano porrequestioni del genere», cioè domande vere, «venendo dalontano non mi sento più lontano» (Tracce, n. 8/2015, p.12)? Questo dice del fondamento di uno stupore.

Quello che uno incontra è un soggetto diverso, un popoloricco di identità e di storia, e quindi incontra una proposta.Può piacere o non piacere a chi ci incontra, ma il fascino diuna presenza originale è nella proposta di quell’esperienzaviva che tenta di misurarsi con tutti gli aspetti e gli interessidell’umano. Lo abbiamo visto, ad esempio, quando ab- »

biamo diffuso il volantino sulle elezioni “Ripartire dalbasso”, proponendo, rispetto alla crisi di ideali che caratterizzail nostro Paese, la riscoperta che l’altro è un bene, e non unostacolo da superare, per la pienezza del nostro io, tanto inpolitica quanto nei rapporti umani e sociali.

E allora si capisce che l’apertura senza limite, checaratterizza il dialogo in senso cristiano, porta con sé unaimplicazione irrinunciabile: non può essere vero dialogo,se non in quanto io porto coscienza della mia identità.Questo è il metodo con cui entriamo nel paragone contutto. Il dialogo vero implica la mia maturità nella coscienzadi me stesso. Ne Il rischio educativo don Giussani dice chesenza questa maturazione nella coscienza di me, «io restobloccato dall’influsso dell’altro, oppure l’altro che respingoprovoca un irrigidimento irrazionale nella mia posizione.Quindi, è vero che il dialogo implica un’apertura versol’altro, (...) ma (...) implica anche una maturitàdi me, una coscienza critica di quello chesono» (Il rischio educativo, Rizzoli, Milano2005, pp. 121-122). Perciò in molte occasioniin questi anni siamo tornati su due preoccu-pazioni fondamentali proprio per la costru-zione di una società nuova, come ipotesiofferta a tutti: 1) la comunità cristiana, inquanto guidata, è il luogo in cui si scopre apoco a poco come Cristo risponde alle do-mande del vivere, facendo crescere la confi-denza con la verità, alla quale oggi parrebbequasi impossibile aspirare; 2) questa confidenzacerta nella verità che si è incontrata rende,nel tempo, capaci di un impegno vitale nellasocietà, e anche di un’apertura totale, di unalibertà che ci consente di esprimere la novitàdi vita data dall’esperienza cristiana in modopersuasivo e anche affascinante, libero daschemi “immutabili”, che non sempre rispondono alle ne-cessità del nostro tempo. L’ho potuto constatare chiaramentetre settimane fa, partecipando a un incontro con cinquecentoragazzi e insegnanti di GS: quello che ci aiuta a rendercicerti, saldi nella consapevolezza della nostra identità cristianaè ciò che ci fa crescere nel cammino verso il destino. Co-munque su queste cose avremo modo di tornare quest’anno,leggendo il libro di Carrón appena pubblicato, La bellezzadisarmata.

In tutto questo, lasciatemi dire, riconosciamo l’ironia diDio. All’invadenza del potere, che avanza apparentementeincontrastabile, Cristo non oppone un altro potere, mauna scalcagnata compagnia umana, «una compagnia diuomini» scelti da Lui, perché la Sua presenza non vengamai a mancare nel tempo e nello spazio, e con essa, comedisse una volta Giussani con un’immagine stupenda, «con-

tende palmo a palmo il terreno alla notte» (L. Giussani,Tutta la terra desidera il Tuo volto, San Paolo, Cinisello Bal-samo-Mi 2015, p. 116). Ne abbiamo avute molte di testi-monianze, prima tra tutte quella di padre Ibrahim, parrocodella comunità latina di Aleppo, che insieme alla famigliadi Myriam e ad altri come loro sono la speranza di unpopolo che fa fatica a darsi una ragione per continuare asperare. Loro continuano una storia, cominciata all’iniziodella Chiesa, della cristianità, e sono consapevoli che perquesto il Signore li vuole lì in Medioriente, per esserefruttuosi lì. E noi dobbiamo sostenere i nostri fratellicristiani in questo compito, perché sono un seme; e il semeva difeso.

Oppure quando vedo alcuni dei nostri ragazzi che si vo-gliono bene come non si crede più possibile oggi, in unmodo così puro, intenso e insieme trasparente, spalancato

a tutti, vedo in loro la risposta più convincentee contagiosa ai problemi che riempiono lediscussioni sulla morale del nostro tempo.Concedetemi di leggervi quello che scriveun nostro ragazzo di 24 anni a un amico:«Io la amo. Ed amo Cristo, sì finalmenteposso dire che Lo amo! Lo amo e vogliodargli tutto... voglio dare tutto per il SuoRegno, voglio spendere il resto della miavita per il Suo Regno, perché sono felice,perché sono grato. Lui mi ha conquistato.(...) E questo attraverso di lei. Amo Lui at-traverso di lei e amo lei così tanto, perchécapisco che me l’ha data Lui. Il mondo ècambiato per me, io sono cambiato. Tutto èsimile a prima eppure tutto è nuovo. (...) Tulo sai, ho vissuto così tanto tempo tormentatodal desiderio di vederLo Presente nella carne,una carne che potessi vedere e toccare... e

poi un fiore è spuntato. All’improvviso. E l’Amore delPadre ha sfolgorato nel mio cuore e nella mia vita. Oraamo la vita, l’amo così tanto, ed amo persino tutto quel cheho sofferto, si lo amo, amo la mia sofferenza perché era sof-ferenza degna di essere vissuta: la mia sofferenza era il tor-mento del desiderio di vedere l’Incarnazione, di vedereCristo incarnarsi nella mia vita... Questo è vivere. Questo èVita».

La bellezza di una compagnia sacramentale come lanostra, la grandezza del movimento, è che rende possibilevoler bene così, perché un ragazzo non potrebbe parlaredel suo amore per la ragazza in questo modo senza Cristo,senza l’esperienza dell’umano che nasce nella nostra com-pagnia: realmente Cristo «compie l’umano». La risposta diDio alla «crisi» dei tempi non è un discorso, ma l’avvenimentodi una bellezza, una bellezza disarmata, appunto. Quale

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All’invadenza del potere, Cristo non oppone

un altro potere, ma una scalcagnatacompagnia umana,«una compagnia di uomini» scelti

da Lui perché la Suapresenza non vengamai a mancare nel tempo

e nello spazio

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bellezza? Il fatto che l’Infinito, il Divino, possa entraredentro la carne del rapporto tra un uomo e una donna incarne ed ossa, trasfigurandolo e potenziandone la capacitàaffettiva al punto tale da renderlo un’immagine di Sé,gloria Sua. Dentro e attraverso il segno, il Mistero si renderealmente già ora sperimentabile, al punto che attraversol’amore reciproco tra un uomo e una donna, così comenell’amicizia vera, nella comunione cristiana, è realmentel’Infinito che si rende presente. Insomma, questa Bellezza èincontrabile in un segno, in una realtà umana, fragile e“scalcagnata” quanto si vuole, eppure in cui brilla unaPresenza che non è di questo mondo. Questo segno è laChiesa che il movimento ci ha insegnato ad amare. Chivive del rapporto con questa Presenza tende a riempiretutta la realtà di positività e di speranza.

Per questo ti chiediamo: come la testimonianza cristianapuò rispondere oggi al vuoto e alla paura che rischiano difar perdere il gusto del vivere?

CARRÓN1. LE CIRCOSTANZE E LA FORMA DELLA TESTI-MONIANZA

«Le circostanze per cui Dio ci fa passare»,diceva don Giussani, «sono fattore essenzialee non secondario della nostra vocazione,della missione a cui ci chiama. Se il cristia-nesimo è annuncio del fatto che il Mistero siè incarnato in un uomo, la circostanza in cuiuno prende posizione su questo, di fronte atutto il mondo, è importante per il definirsistesso della testimonianza» (L’uomo e il suodestino, Marietti, Genova 1999, p. 63).

Mi sembra che, dopo il percorso che ab-biamo fatto nell’ultimo anno, come dicevaora Davide, possiamo capire di più questeparole di don Giussani. Quanto più uno vuol vivere la fedenel reale tanto più gli interessa capire qual è il contesto incui si trova. Non per un semplice interesse sociologico, maproprio per comprendere la natura della testimonianzache siamo chiamati a dare.

Per cogliere quale portata hanno le circostanze nell’iden-tificare la forma della testimonianza a cui siamo chiamati,forse ci può aiutare rileggere il racconto del clown e del vil-laggio in fiamme citato dal cardinale Ratzinger all’iniziodel suo libro Introduzione al cristianesimo, pubblicato nel1968: «Chi oggi tenti di parlare della fede cristiana (...)avvertirà ben presto quanto sia ostica e sconcertante taleimpresa. Avrà probabilmente subito la sensazione che lasua posizione sia descritta per filo e per segno nel notoapologo del clown e del villaggio in fiamme narrato daKierkegaard. (...) La storiella narra di un circo viaggiante in

Danimarca, colpito da un incendio. Il direttore mandòsubito il clown, già abbigliato per la recita, a chiamare aiutonel villaggio vicino, oltretutto perché c’era pericolo che ilfuoco, propagandosi attraverso i campi da poco mietuti equindi secchi, s’appiccasse anche al villaggio. Il clown corseaffannato al villaggio, supplicando gli abitanti ad accorrereal circo in fiamme, per dare una mano a spegnere l’incendio.Ma essi presero le grida del pagliaccio unicamente per unastutissimo trucco del mestiere, tendente ad attirare ilmaggior numero possibile di persone alla rappresentazione;per cui lo applaudivano, ridendo sino alle lacrime. Il poveroclown aveva più voglia di piangere che di ridere e tentavainutilmente di scongiurare gli uomini ad andare, spiegandoloro che non si trattava affatto d’una finzione, d’un trucco,bensì di una amara realtà, giacché il circo stava bruciandoper davvero. Il suo pianto non faceva altro che intensificarele risate: si trovava che egli recitava la sua parte in maniera

stupenda... La commedia continuò cosìfinché il fuoco s’appiccò realmente al villaggioe ogni aiuto giunse troppo tardi: villaggio ecirco finirono entrambi distrutti dalle fiamme.(...) Chi tenta di diffondere la fede in mezzoagli uomini che si trovano a vivere e apensare nell’oggi può realmente avere l’im-pressione di essere un pagliaccio, (...) che sipresenta al mondo odierno avvolto nellevesti e nel pensiero degli antichi, e pertantonell’impossibilità di comprendere gli uominidell’epoca nostra e di essere compreso daloro» (Introduzione al cristianesimo, Queri-niana, Brescia 2005, pp. 31-33).

Per questo certe forme di comunicazionedella fede oggi appaiono così strane da nonessere prese in considerazione, anzi, da su-scitare risate.

Possiamo adesso comprendere meglio lapreoccupazione che don Giussani ha avuto dall’inizio dellanostra storia, fin da quando ha cominciato: quando nessunopoteva immaginare che cosa sarebbe successo, quando lechiese erano ancora strapiene e la fede sembrava andareper la maggiore, quando tutte le associazioni cattolicheavevano tantissimi iscritti, don Giussani aveva identificato- come un profeta - il problema. E per non apparire anchelui come un clown, da subito aveva cercato di mostrare lapertinenza della fede alle esigenze della vita. Non è chenegli anni Cinquanta non si predicasse la fede - la Chiesacontinuava a farlo -, ma tanti già allora non la percepivanopiù come pertinente alle esigenze della vita. Proprio perquesto molti studenti che don Giussani incontrava alBerchet, malgrado provenissero da famiglie cristiane,avevano abbandonato la fede. Don Giussani ha sperimentatosulla propria pelle l’importanza delle circostanze storiche »

Quanto più uno vuol vivere la fede nel reale, tanto più gli interessa capirequal è il contesto in cui si trova.

Non per un sempliceinteresse sociologico,ma per comprendere

la natura della testimonianza

che siamo chiamati a dare

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per il definirsi della sua testimonianza. Lui, checonosceva molto bene la dottrina cattolica, si è dovutointerrogare sulla modalità più adeguata per comunicarela verità, la verità di sempre, in un contesto che stavacambiando rapidamente.

Il mondo in cui siamo chiamati a vivere la fede ètotalmente diverso da quello del passato anche recente. Èun mondo dove la secolarizzazione progredisce, il crollodelle evidenze è davanti a tutti. A questo si uniscono, comeconseguenza, una passività, un torpore e una noia chesembrano invincibili e che offuscano gravemente il rico-noscimento del reale. Questa situazione è la sfida piùgrande che ha davanti a sé, oggi, la fede, l’annuncio cristiano.È una sfida che riguarda noi per primi. Se la fede finisce peressere intesa anche da noi come una pagliacciata, se noi perprimi non riusciamo a percepirla come pertinente alla vita,comincerà a venire meno anche in noi l’interesse per essa.Immaginate gli altri!

Ciascuno di noi è costretto a rispondere aquesta situazione che gli viene incontroprovocandolo. Infatti, diceva don Giussani,«l’esperienza è l’impatto di un soggetto conla realtà, la realtà che come presenza loinvita e lo interroga (“lo problematizza”). Ildramma umano sta nella risposta a questaproblematizzazione (“responsabilità”), e larisposta è generata evidentemente nel sog-getto. La forza di un soggetto sta nellaintensità della sua autocoscienza, cioè dellapercezione che ha dei valori che definisconola sua personalità [di ciò che ha di più caro].Ora, questi valori fluiscono nell’io dallastoria vissuta cui l’io stesso appartiene. (...)La genialità radicale di un soggetto sta nellaforza della coscienza di appartenenza. Perquesto il popolo di Dio diventa un orizzonteculturale nuovo per ogni soggetto che vi appartenga» (Ilsenso di Dio e l’uomo moderno, Bur, Milano 2010, pp. 131-132). Perciò da come rispondiamo alle sfide del presente,«si capisce se e quanto viviamo l’appartenenza, che èradice profonda di tutta l’espressione culturale» (L. Giussani,L’uomo e il suo destino, op. cit., p. 63).

Don Giussani identifica due modalità di vivere l’appar-tenenza, da cui scaturiscono due facce culturali con cui ilcristianesimo si pone nel mondo: la fede e l’etica, l’avveni-mento della fede e i valori etici. La Chiesa - diceva nel 1997- in tante occasioni «si pone (...) davanti al mondo, nondico dimenticando, ma dando come per supposto e perovvio (...) il contenuto dogmatico del cristianesimo», cioè«l’avvenimento della fede» (ibidem, pp. 63-64), che vieneridotto «a un a priori astratto che è ospitato e alberga nellatesta dell’uomo» (ibidem, p. 67), arroccandosi sull’etica, sui

valori. È come se dicessimo: «Che cos’è la fede già lo so,adesso devo preoccuparmi di che cosa fare». Così, quasi in-consapevolmente, dando per ovvio il contenuto della fede,ci spostiamo sull’etica. Il volto culturale del cristianesimonon è più, allora, l’avvenimento della fede, ma i valori.

Nel rispondere alle sfide del vivere, nessuno di noi puòevitare di dire cosa ha di più caro, qual è il contenutosintetico della sua autocoscienza: se l’avvenimento dellafede o i valori morali.

Mi stupisce quanto questo atteggiamento, che tante voltesorprendiamo in noi, cioè quello di dare per scontato l’av-venimento della fede, non risponda, anzi sia in contrastocon l’esperienza elementare del vivere, che costantementeci documentano, per esempio, certi canti come quello diMina che abbiamo appena ascoltato, La mente torna (paroleG. Mogol, musica L. Battisti). Che cosa dice? Che quandotu arrivi, quando arriva il tu, «la mente torna»; che quando

«mi parli tu», io sono io. Ricordate quandoabbiamo citato Guccini? «Non sono quandonon ci sei» (Vorrei, parole e musica F. Guccini).Solo quando tu ci sei mi strappi dai pensierimiei. Cioè, il «tu» dell’altro fa talmente partedella definizione dell’io da destare l’autoco-scienza con cui un io affronta tutto. È dunqueil rapporto con un certo «tu» che rende pos-sibile un modo di stare nel reale tutto diverso,più vero, determinato dalla autocoscienzanuova che esso suscita in noi. Perciò, l’ap-partenenza a questo «tu» definisce la posizioneculturale. Chiunque ascolta il canto capisceimmediatamente che cosa ha di più caro lapersona che lo ha composto: il tu che rendel’io veramente io, finalmente io.

L’esperienza elementare del vivere mostraquanto bisogno ho di un tu per essere mestesso, per essere io. Il Signore che ci ha fatti

sa bene quanto il suo Tu sia indispensabile per il nostro io.Nel suo tentativo di farsi conoscere dall’uomo, il Mistero siè “piegato” a questa esperienza elementare. Infatti, perentrare in relazione con noi si è reso sperimentabile secondola forma d’esperienza che ci caratterizza, quella del rapportocon un tu, affinché attraverso di lui ogni uomo capisse laportata del Tu del Mistero per sé, per la propria vita.Piegandosi al modo umano di rapportarsi, Dio è entratonel reale chiamando Abramo, per generare un io tutto in-tessuto della Sua presenza, una presenza che i mesopotamicicontemporanei di Abramo non potevano neanche imma-ginare - come ha detto al Meeting il nostro amico eprofessore Giorgio Buccellati -: essi non potevano dare deltu al fato, al destino.

Che cosa vuol dire tutto questo? Che la scelta di Abramoha introdotto nella storia una novità, per cui la fede non è

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Questo Dio, questo Tu,non può guardarcisenza questacompassione. In questo modo

ha fatto conoscereall’uomo che cosa èl’uomo, perché nientepuò ridestare l’iocome il vedere

un Tu che ha questacommozione

per il suo destino

OTTOBRE 2015 VII

semplicemente qualcosa di accessorio, un rito o una praticadevozionale, ma è costitutiva del nostro io, del nostro starenel reale. La ragione per cui tutto è cominciato con Abramoè il desiderio di Dio: «Facciamo sì che un uomo viva l’espe-rienza di Noi nelle viscere del proprio io, perché possavedere che cos’è l’io che Io ho creato. Ma se l’esperienza diquesta mia Presenza non vibra dentro le viscere di unuomo come Abramo, l’uomo non potrà capire chi è lui enon potrà capire chi sono Io». Immaginate quale esperienzadeve avere fatto il profeta Osea di questa Presenza per dire:«Il mio cuore si commuove dentro di me, / il mio intimofreme di compassione» (Os 11,8). Questo Dio, questo Tu,ha una intensità di vita tale che non può guardarci,rapportarsi a noi, senza questa commozione, senza questavibrazione, senza questa compassione per il nostro destino.In questo modo ha fatto conoscere all’uomo che cosa èl’uomo, perché niente può ridestare l’io come il vedere unTu che ha questa commozione per il suo destino. Nonstupisce allora che chi è ridestato da questo Tu possa dire,come il profeta Isaia: «Al tuo nome e al tuo ricordo / sivolge tutto il nostro desiderio» (Is 26,8). Ciò significa nonlasciare fuori della percezione di se stessi il contenuto del-l’esperienza della fede. Se noi lo lasciamo fuori dallamodalità con cui diciamo: «Io», la nostra appartenenzasarà a tutto, ma non al Mistero che è entrato nella nostravita. E perciò daremo testimonianza solo di quello che noiriusciremo a fare, di quello che noi saremo in grado di im-

maginare, dei nostri tentativi, ma non potremo far trasparirela nostra appartenenza al Mistero, come invece è accadutoa una persona che, arrivata al lavoro, si è trovata davanti uncollega che le ha detto: «Ma che cosa ti è capitato? Perchéhai questa faccia?». Non aveva ancora fatto niente, ma eraapparsa agli occhi del collega una diversità.

È per questo che, dandoci come domanda per le vacanze:«Quando abbiamo sorpreso e riconosciuto nella nostraesperienza una presenza nello sguardo?», non stavamo po-nendo una questione per visionari, per persone a caccia dinon so quale esperienza mistica, ma chiamando in giocochi si è sorpreso a guardare il reale con una novità dentro,coloro per i quali il contenuto dell’esperienza della fedenon è scontato. Senza questa novità, senza questa incidenzanel nostro sguardo, la fede, in fondo, si riduce a qualcosa didevozionale che non definisce il modo di stare nel reale,non definisce la vita.

Per raggiungere il Suo scopo, ci spiega Giussani, «Dionon (...) interviene dall’esterno come clausola soffocante,come sbarre di leggi, prigione in cui essere ingabbiati, maemerge dal di dentro, sorgente, compagnia profondasenza della quale non potremmo fare nulla. Emerge daldi dentro della nostra esistenza, perché ci costituisce ebisogna portarlo dentro le cose di cui la vita è fatta,perché altrimenti [la vita] non sarebbe vita. Bisognascoprirlo e seguirlo dentro le realtà dell’esistenza, perchéEgli è il Dio dei vivi, e le realtà dell’esistenza sarebbero »

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parvenze di cose, schematiche e formali, senza di Lui.In questo modo siamo chiamati a sperimentare quale siail senso dell’umano che la modalità del Suo svelarsi, laSua presenza dentro l’esistenza storica ricorda e produce»(Alla ricerca del volto umano, Bur, Milano 2007, p. 31).

Rileggendo la storia del popolo di Israele, comerileggendo la storia della Chiesa, erede di quel popolo,don Giussani ci mette costantemente davanti due possibilità.Ciascuno di noi, allora come adesso, è posto di fronte aun’alternativa chiara: «Sbarre di leggi» oppure «presenzadentro l’esistenza».

Ma se l’avvenimento della fede, il suo contenuto dogmatico,è dato per ovvio, e tutto si riduce solo a spiegazioni o a dia-lettica o a etica, quale interesse potrà ancora destare in noi?Non riuscirà a prenderci neanche un minuto. Perchénessuno dei nostri tentativi può produrre la novità umanaattraverso cui Cristo ci affascina e ci fa interessare a Lui.Abramo non avrebbe mai potuto produrre un io come ilsuo, se il Mistero non avesse preso iniziativa attirandoloverso di Sé. Allo stesso modo, Giovanni e Andrea nonavrebbero potuto produrre quella novità umana che si èinsediata nelle loro vite per l’incontro con Cristo. Oggisempre di più, ogni uomo, ciascuno di noi e coloro che in-contriamo, tutti ci troviamo davanti alla stessa vertigine: inquesto nichilismo che ci circonda, in questa situazione divuoto dilagante dove tutto è uguale a tutto, c’è qualcosache riesce a prenderci, ad attrarci fino al punto di determinaretutto il nostro io?

La domanda l’ha identificata papa Francesco nel suomessaggio al Meeting: di fronte alla strana anestesia, «difronte al torpore della vita, come risvegliare la coscienza?»(Francesco, Messaggio per la XXXVI edizione del Meeting

per l’amicizia fra i popoli, 17 agosto 2015).Questa è la domanda decisiva. Con essa tutte le visioni,

tutte le proposte devono misurarsi, anche le nostre. Ciascunodi noi, infatti, in ogni sua mossa, prende comunqueposizione davanti a questa sfida radicale. Ognuno risponde,implicitamente o esplicitamente, a questa questione nelmodo di alzarsi al mattino, di andare a lavorare, di guardarei figli eccetera. Che cosa, dunque, potrà ridestarci daltorpore della vita?

2. L’ATTRATTIVA DELLA BELLEZZA

Come abbiamo detto, l’esperienza elementare dell’uomoha bisogno di una provocazione adeguata per risvegliarsi;allo stesso modo, l’uomo ne ha bisogno per uscire dal suotorpore. Come sottolinea don Giussani, l’«esperienza umanaoriginaria», ossia il senso religioso, quel complesso dievidenze e di esigenze per cui io sono uomo, «non esiste at-tivamente, se non dentro la forma di una provocazione.[...] Vale a dire dentro una modalità in cui è sollecitata»(Dall’utopia alla presenza.1975-1978, Bur, Milano 2006, p.193). Quindi, il problema veramente radicale è che vi sia,che si comunichi una provocazione adeguata che possa fa-vorire il reale riscatto di una percezione di se stessi. Sonocerti incontri, infatti, per la provocazione che rappresentano,che mettono compiutamente in azione la coscienza originariadi noi stessi, che fanno emergere il nostro «io» dalle ceneridella nostra dimenticanza, delle nostre riduzioni.

È questo che fa capire perché, di fronte a chi si scoraggiaper la situazione attuale, il Papa ha scritto ancora al Meeting:«Per la Chiesa si apre una strada affascinante, come fuall’inizio del cristianesimo». Proprio questa situazione perlui è un’occasione «affascinante».

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OTTOBRE 2015 IX

Che cosa ha persuaso Zaccheo, Matteo, la Samaritana,l’adultera? Un elenco di leggi, imposte dall’esterno, oppurela Sua diversità? Lo scopriamo dalle loro reazioni. Dicevanoinfatti: «Non abbiamo mai visto niente di simile» (Mc2,12). Oppure: «Nessuno ha mai parlato come quest’uomo»(cfr. Gv 7,46). Li trascinava l’esperienza che vivevano conCristo - «il contenuto dogmatico del cristianesimo, la suaontologia», per usare l’espressione di Giussani -, che co-municava il mistero della Sua persona, non i valori, che ne-anche i suoi discepoli riuscivano a capire: «Se questa è la si-tuazione dell’uomo rispetto alla donna», dicevano davantialla sua proposta dell’indissolubilità del matrimonio, «nonconviene sposarsi» (cfr. Mt 19,10). Perché gli andavanodietro ancora? E perché la stranezza di Gesù non venivapercepita da loro come quella di un clown? Basterebbeleggere il Vangelo con questa domanda per riscoprirlotutto di nuovo.

Non è forse, come dice Giussani, l’averedato per scontato l’avvenimento della fede el’essersi spostati sull’etica la ragione per cui icristiani sono percepiti dagli altri come deiclown? Possiamo difendere la dottrina giustae gridarla davanti a tutti senza che l’altro sisenta minimamente colpito, senza che cambiminimamente il suo modo di guardarci.Possiamo gridare tutte le nostre sacrosanteragioni, possiamo richiamare valori etici purgiusti, senza riuscire a spostare gli altri neanchedi un millimetro: anzi, essi ci vedono comedei clown. Un cristianesimo ridotto a insiemedi valori o a leggi da rispettare sembra lorouna pagliacciata e noi cristiani dei clown,parte del circo.

C’è qualcosa che può scardinare questa si-tuazione? C’è qualcosa in grado di afferrarcie di afferrare gli altri nel profondo, di prenderlifino nel midollo, a tal punto che essi smettano di considerareil cristianesimo come una pagliacciata? Sì, c’è. E alloraanche oggi, come ai tempi di Gesù, il cristiano smette diessere identificato con un clown e “costringe” chi lo incontraa iniziare un processo che non si sa dove lo porterà. Mi rac-contava un amico sacerdote che vive in Inghilterra: «Unamamma che vedo all’uscita della messa con un bambinopiccolo, di un anno e mezzo, mi dice: “Vorrei parlarle delBattesimo”. Non l’avevo mai vista prima. Un paio disettimane dopo vado a casa sua e cominciamo a chiacchierare.Come succede molto spesso in Inghilterra, i genitori nonerano sposati. Il bambino era stato concepito in vitro;vengo anche a sapere che hanno un altro embrione congelato[questa è la situazione: un figlio in freezer!]. Io mi dicevo: aquesta coppia non posso certo fare la lista della spesa ditutte le cose giuste che non ha fatto, eppure la donna è

venuta a cercarmi per un filo di interesse, evidentemente.Allora le domando: “Tu perché sei venuta?”. E lei: “In realtàsono stata battezzata da bambina, avevo vissuto da cristiana,era bello: la scuola, la chiesa, ma poi ho lasciato perdere.Eppure vorrei questa cosa per i miei figli”. Stavo già per an-darmene, quando mi sono fermato e le ho detto: “Iocapisco che tuo marito è stato malato, che avete avuto tantiproblemi, ma una cosa volevo dirti: guarda che Dio, inrealtà, non vi ha mai perso d’occhio, non è che si siasbagliato, si sia dimenticato e non abbia guardato verso divoi; come succede a te con il tuo bambino: tante volte noncapisce le tue mosse, le cose che tu permetti, però in realtàtu vedi un bene dentro di lui; anche Dio ti ha guardatosempre, ti ha ben presente e vuole fare qualcosa di grandenella tua vita e nella vita della tua famiglia attraverso idolori e le cose che ti sono successe”. Quella donna si èmessa a piangere e poi ha cominciato a venire in chiesa

tutte le domeniche. Io ho capito che nonpotevo guardare semplicemente alla lista diquestioni etiche che non aveva rispettato,perché il punto era che lei potesse trovareuna possibilità per la propria vita, come èaccaduto; e il resto, pian piano, si risolverà».

Mi sembra un esempio di una partenza,nel rapporto con l’altro, dal contenuto dellafede e non dall’etica.

L’amico sacerdote raccontava poi un altroepisodio: «Una signora mi ha scritto unaemail dicendo: “Vorrei appartenere alla par-rocchia”. Vado a trovarla e le dico: “Perchévuoi appartenere alla parrocchia?”. “Perchéio voglio questa cosa per me e per i mieifigli”. “E cosa vuol dire che vuoi appartenerealla parrocchia? Tu sei cattolica?”. “No”. “Seianglicana?”. “No, in realtà non sono neanchebattezzata”. “Ah, va bene, allora [come capita

spesso] tuo marito sarà cristiano e tu ti stai avvicinandoalla fede tramite lui”. “No no, mio marito non è cattolico,non è anglicano, non è battezzato neppure lui”. “Allora losono i vostri genitori? Ci sarà qualche aggancio con laChiesa. Insomma, perché vuoi venire?” [pieno di curiosità].“Ti dico la verità. Io sono babysitter di professione e anchemia mamma lo è, tutti giorni noi mettiamo insieme otto,dieci bambini a casa di mia mamma, che è grande, e ce neoccupiamo mentre i genitori sono al lavoro. In questi annidi lavoro ho visto che i bambini della tua scuola e della tuaparrocchia sonodiversi, e anche i loro genitori sono diversi;e allora io voglio questa cosa per me. Che cosa devo fare?”.Le ho detto: “Ti faccio conoscere un po’ di mamme, se poivuoi venire alla Scuola di comunità, ci sono anche personeche si stanno preparando al Battesimo, così vediamo unpo’. Puoi venire anche a messa, se vuoi”. “In realtà io »

Se lasciamo fuori il contenuto della

esperienza della fededalla modalità concui diciamo: «Io», lanostra appartenenzasarà a tutto, ma non al Mistero che

è entrato nella nostravita. Daremo

testimonianza solo di quello che

riusciremo a fare

«TI RIDE NEGLI OCCHI LA STRANEZZA DI UN CIELO CHE NON È IL TUO» PAGINAUNO

X OTTOBRE 2015

pensavo di non potere andare a messa, che fosse vietatoperché non sono cattolica; ma, per la verità, di nascosto cisono andata due volte”. “E cosa è successo?”. “La settimanaera diversa perché quei canti, quelle cose... tante cose non lecapisco, ma magari una cosa la capisco e mi alimenta pertutta la settimana”. Io posso ammettere che ci sia gente chesta tornando alla fede perché non ha più il pregiudizio e lafede non è più scontata, ma qui è diverso, perché questepersone che incontro non possono nemmeno darla perscontata, semplicemente perché non sanno che cosa sia equindi non possono neanche avere un pregiudizio».

Quando questa vita diversa è intercettata suscita stupore,come abbiamo appena visto; o come ci raccontava padreIbrahim: un musulmano va al pozzo del convento francescanodi Aleppo e dice a padre Ibrahim: «Padre, a guardare comela gente viene ad attingere l’acqua, con il sorriso, con unagrande pace nel cuore, senza litigi, senza alzare la voce... Io,che ho girato tutta Aleppo e vedo che si ammazzano perattingere ai pozzi, mi meraviglio: voi siete pieni di pace, digioia (...), voi siete diversi» («Il profumo di Cristo tra lebombe», Tracce, n. 8/2015, p. 26).

Lo stesso stupore ci è testimoniato da un amico chevive in California e che racconta: «Lavoro con gente cheha disabilità dalla nascita e con reduci cui la guerra hacausato forti drammi; tutti i giorni mi scontro con illimite dell’uomo, il limite fisico e anche mentale. Unadonna quarantenne, una vita nell’esercito, ha subitoanche violenze fisiche, per cui negli ultimi quindici anni

ha definito la sua vita come anestetizzata. A causa diquesti traumi è stato impossibile per lei vivere un rapportopositivo con la realtà: impossibile andare a fare la spesaal supermercato, perché quando è in mezzo alle corsiedel supermercato ha paura che qualcuno la aggredisca;non ha potuto mantenere un lavoro; si svegliava alle tredel mattino sentendo gli uccelli cinguettare: “Impazzivo,li avrei ammazzati tutti! È insopportabile”. Un mese fa,dopo un anno che stiamo insieme a questa donna, lavo-rando con lei (nel senso di insegnarle un lavoro) evivendo la vita con lei, ci ha detto: “Mi sveglio allamattina alle tre; ancora non riesco a dormire, ma ora in-comincio a voler bene, a guardare con amore anche gliuccelli che cantano. E questo perché? Perché c’è statouno sguardo su di me che ha risvegliato tutta l’attesa delmio cuore”». L’amico della California aggiunge: «Questadonna non è del movimento, ma ha usato queste parole:“Il mio cuore ora è vivo”. Perché? “Perché ho vistoqualcuno e qualcosa che ha ridestato in me tutta la pos-sibilità di essere me stessa”. La bellezza di questo anno,soprattutto l’incontro col Papa, mi ha fatto capire chel’unica responsabilità che ho è vivere la vita dentro quel-l’attrattiva che mi ha raggiunto, il resto lo fa Lui, perchéè Lui che cambia la vita dell’altro. Qualche settimana fahanno invitato a una conferenza me e una mia collegaper parlare della nostra attività. Normalmente, al momentodella presentazione, dicono quello che hai fatto, quelloche fai e i titoli che hai. Quindi la persona inizia a

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OTTOBRE 2015 XI

descrivere chi siamo, la compagnia per cui lavoriamo,ma a un certo punto si ferma e dice: “Comunque, quelloche Guido e Nancy sono è il cuore di quello che noi fac-ciamo”. Questo mi ha commosso, nel senso di mosso: ioho semplicemente vissuto - e questo è impressionante -,senza fare discorsi, e uno che non sapeva niente di me hapotuto dire: “Io guardo a te per il cuore che esprimi, cheè la radice di quello che anche noi facciamo”. Che,vedendo te, uno dica: “Io mi identifico col cuore che tuesprimi”, penso che sia la più grande testimonianza chesi possa dare e che nasce dal vivere dentro l’attrattivadell’incontro con Cristo».

Che cosa ha cambiato questa donna, condannata avivere in modo distorto il suo rapporto con la realtà? Lanovità che è entrata nella storia con Abramo, che èarrivata fino a noi e si comunica attraverso di noi, quasisenza fare niente di particolare. Noi gliela doniamosemplicemente convivendo con lei. L’esitoè semplice: «Comincio a voler bene perfinoagli uccelli», gli stessi che prima volevauccidere. Questo vuol dire che la Presenzache passa attraverso di noi è in grado dicambiare la vita: è così cruciale che, senzadi essa, come dice un’altra canzone diMina, tutto è perduto: «E se domani (...)all’improvviso perdessi te / avrei perdutoil mondo intero, non solo te» (E se domani,parole G. Calabrese, musica C.A. Rossi).

Senza questo Tu l’io perde il mondo in-tero. Perde tutto. Ma noi, dice don Giussani,pensiamo che tutto questo sia come unafiaba! «Quando uno si alza al mattino,quando ha difficoltà o delusioni, ansie ocontrattempi, l’immagine di un Altro cheaccompagna [la vita] (...), che scende finoa lui [così com’è] per restituirlo a se stesso,è come un sogno» (L. Giussani, Alla ricerca del voltoumano, op. cit., p. 27). Perciò in ogni momento ciascunodi noi fa il test: il gesto che compie rivela se per lui ilcontenuto dogmatico della fede è un fatto reale, oppureuna fiaba, un sogno. Questo definisce a che cosa appar-teniamo. Possiamo anche essere distratti, possiamo ri-manere con tutti i nostri limiti, ma il Fatto passaattraverso di noi, se siamo definiti dal contenuto dellafede. Lo portiamo in noi a tal punto che esso ridestanegli altri un’affezione al reale.

Allora, quando noi non viviamo un rapporto pieno diaffezione per il reale, quando ci complichiamo la vita esentiamo il rapporto con la realtà come una violenza, nonè perché gli uccelli siano brutti o le circostanze sianocontro di noi, non è per la malattia o perché il capo o chiper esso non ci comprenda, o perché tutto sia sbagliato o

cattivo. No, no! Il problema è che manca il Tu, quel Tu cherende possibile che tutto - tutto! - diventi amico, perfinogli uccelli, che quella donna prima voleva cancellare.

Che cosa documentano queste testimonianze? Che cosanon ha fatto percepire alle persone incontrate il cristianesimocome una pagliacciata e i cristiani come dei clown? Lanovità di vita che esse hanno intercettato, dal di dentrodella loro esistenza. Nel circo del mondo, con tutti i suoiattori, con tutti i suoi clown, con tutte le interpretazioniin voga, in questo mondo in cui tutto è «liquido» - comedice Baumann -, in cui una cosa vale l’altra, che cosadunque è così potentemente reale, così attraente daprenderci totalmente, da non volerla perdere?

«L’uomo riconosce la verita� di sé�», sottolineava donGiussani, «attraverso l’esperienza di bellezza, attraversol’esperienza di gusto, attraverso l’esperienza di corrispon-denza, attraverso l’esperienza di attrattiva che essa suscita,

una attrattiva e una corrispondenza totale,non totale quantitativamente, totale quali-tativamente! (...) La bellezza della verità� èciò� che mi fa dire: “È� la verità!”» (Certi dialcune grandi cose. 1979-1981, Bur, Milano2007, pp. 219-220). Attrattiva significa: «Titraggo a», cioè tu sei tratto fuori da te versoun altro.

Per questo diceva che «l’uomo di oggi,dotato di possibilità operative come mainella storia, stenta grandemente a percepireCristo come risposta chiara e certa al signi-ficato della sua stessa ingegnosità. Le istituzionispesso non offrono vitalmente tale risposta.Ciò che manca non è tanto la ripetizioneverbale o culturale dell’annuncio [non bastauna dottrina, pur ribadita accanitamente,come non basta un elenco di cose da fare].L’uomo di oggi attende forse inconsapevol-

mente l’esperienza dell’incontro con persone per le qualiil fatto di Cristo è realtà così presente che la vita loro ècambiata. [Quello che fa saltare il circo dei clown è larealtà di Cristo, una realtà così presente da cambiare lavita di uomini che si incontrano sul proprio cammino] Èun impatto umano che può scuotere l’uomo di oggi: unavvenimento che sia eco dell’avvenimento iniziale, quandoGesù alzò gli occhi e disse: “Zaccheo scendi subito, vengoa casa tua”» (L. Giussani, Intervento al Sinodo, 1987; inId., L’avvenimento cristiano, Bur, Milano 2003, pp. 23-24).

Dove si può trovare questa bellezza che mi attira risve-gliando me stesso? Come l’io, disperso nella noia e neltorpore, può ritrovarsi? Ce lo ha detto in maniera definitivadon Giussani: «La persona ritrova se stessa in un incontrovivo, vale a dire in una presenza in cui si imbatte e chesprigiona un’attrattiva, in una presenza, cioè, che è »

Che cosa ha persuasoZaccheo, Matteo, la Samaritana,

l’adultera? Un elencodi leggi, imposte

dall’esterno, oppurela Sua diversità? Li trascinava

l’esperienza chevivevano con Cristo,che comunicava

il mistero della Sua persona

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XII OTTOBRE 2015

provocazione a sé. Sprigiona un’attrattiva, vale a direprovoca al fatto che il cuore nostro, con quello di cui ècostituito, con [tutte] le esigenze che lo costituiscono, c’è,esiste. Quella presenza ti dice: “Esiste quello di cui è fattoil tuo cuore; vedi, per esempio, in me esiste”. L’attrattiva ela provocazione al fondo di noi stessi sono date solo daquesto» (L’io rinasce in un incontro. 1986-1987, Bur, Milano2010, p. 182).

L’incontro con questa presenza sprigiona un’attrattiva,fa scattare la scintilla.

3. LA SCINTILLA

«La verità», dice ancora Giussani, «è come la faccia diuna bella donna, non puoi non dire che è bella, non riesci![si impone] Ma, a parte il paragone, la verità è una cosa chesi impone inevitabilmente. Uno ha una frazione di istanteper cui il cuore si commuove. È quello che chiamavoscintilla. (...) Quella scintilla, quella intuizioneche fosse vero per sé, magari filiforme, magaritutta annebbiata, confusa - ma è sbagliatodire confusa [si corregge]; non è stata confusa;almeno per un briciolo, era una scintilla,perciò non confusa -, ha suscitato, magari“pulviscolarmente”, una emozione o com-mozione nella quale, anche incoscientemente,“ci siamo trovati grati e stupefatti per l’acca-duto”, come avete detto. Vale a dire, quellascintilla ha fatto come emergere una povertàdi spirito, magari un brandello, un brandellino,come un granellino di polvere, di povertàdello spirito. Quella scintilla è come se fossestata un fuoco, un tizzone di fuoco che è an-dato fino all’osso, ha messo a nudo il nostroosso, cioè il nostro cuore, ha attraversato lacarne e ha generato un istante, un’esperienza,di povertà di spirito, di semplicità del cuore(“grati e stupefatti per l’accaduto”)». Conclude don Giussani:«La scintilla, questa scintilla, è lo scattare di una coscienzanuova dell’origine di sé» (Certi di alcune grandi cose. 1979-1981, op. cit., pp. 207-208, 215).

Quando qualcuno intercetta questa scintilla in noi, smettedi considerarci dei clown.

Scrive un universitario di Architettura: «Eravamo a pre-parare la mostra sul Duomo di Firenze. L’architetto chel’aveva progettata e avrebbe lavorato con noi durante lasettimana del pre-Meeting, arrivati in Fiera nel nostrostand, ci accoglie così: “Ciao, ragazzi, io non sono del mo-vimento di CL, sono stato incaricato di fare questa mostrae sono qui a lavorare con voi”. Appena finito di dire questafrase, si mette i pantaloncini e comincia a lavorare insiemea noi: dipinge, sposta i pesi, stucca... La sera stessa viene amangiare con noi, dove si ritrovano tutti i volontari. Lavora

con noi, mangia con noi, e continua così per cinque giorni.Ne nasce un bel rapporto. La domenica annuncia chesarebbe dovuto tornare a Firenze per lavorare e non sarebbepiù tornato. Ma, con nostra grande meraviglia, martedìmattina è in Fiera, pronto per lavorare, felice. “Ragazzi,sono tornato perché avevo troppa nostalgia! Non ho maivisto gente lavorare così. Voi avete qualcosa che gli altri nonhanno. Avevo molti pregiudizi su CL prima di venire qui,ma mi concentravo su un punto senza guardare tutto ilresto”».

Un’altra persona racconta: «In quei sette giorni di vacanzaciascuno ha avuto modo di confrontarsi con il fatto cheun’altra misura si è fatta spazio tra di noi, e quando accadeè impossibile non accorgersene. Se ne sono accorti anchetre amici cinesi che sono da noi in università per unoscambio culturale di due anni e che abbiamo conosciutoalcuni mesi fa. Sono rimasti colpiti da tutto ciò che è

accaduto. In primisdal fatto che fosse possibileuna familiarità così vera tra persone geogra-ficamente così lontane. Non era mai capitatoloro di essere accolti e abbracciati come losono stati. Hanno visto all’opera “una caritàche li ha commossi”. Matteo ha detto che,per quello che ha visto, la differenza tra lareligione cattolica e il buddhismo è che lareligione cattolica è una vita, non una seriedi riti da compiere, e che lui è molto più at-tratto da questa vita che ha visto in atto».

Un’amica universitaria ha trascorso tuttal’estate insieme ad altri compagni, coinvoltadal suo professore in un progetto. Un giornopropone ai suoi amici: «Ragazzi, c’è unacosa bellissima che voi dovete assolutamentevedere». Era il Meeting di Rimini. Ecco checosa è accaduto: «Per il frutto di tutta l’amiciziache era nata, loro sono venuti ed erano

stupiti; stupiti anche di vedere che io stessa, che pureconosco il Meeting, ero stupita, perché lo guardavo attraversoi loro occhi. È stata una giornata incredibile, piena diincontri. Loro erano contentissimi. Quando eravamo inmacchina, al ritorno, la ragazza greca mi guarda e mi dice:“Ma che cos’hanno quelle persone?”. Io le rispondo: “Nonlo so, che cos’hanno? Dimmelo tu”. E lei: “Sono libere.Sono felici”. E poi: “Quelli che mi hai presentato hannocome un gioco negli occhi. Hanno un gioco negli occhi esono liberi come piccoli bambini”. E continuava a insistereche io le spiegassi che cos’era quel gioco negli occhi che leivedeva. Allora le ho detto che era la stessa domanda che miero fatta io quando li avevo conosciuti: che cos’è questogioco? E così le ho raccontato di quello che è successo a me,di come mi sono convertita, le ho detto che quella genteera cattolica. Lei è rimasta di sasso. E ha aggiunto: “Ma

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Quando cicomplichiamo la vitae sentiamo il rapportocon la realtà come

una violenza, non è perché tutto siasbagliato o cattivo.No, no! Il problema è che manca il Tu,quel Tu che rende

possibile che tutto - tutto! - diventi amico

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allora il cristianesimo è un incontro! Perché a me nonpiacciono le regole, però quello che dici tu è un incontro eio quel gioco negli occhi lì lo seguirei in capo al mondo,perché lo voglio”».

Se la nostra giovane amica non avesse accettato l’imprevistodi una estate diversa dal solito, non avrebbe potuto vederequello che ha visto. E che cosa ha visto? Quale contraccolpoavviene in una persona quasi sconosciuta davanti a uominiliberi e felici, che hanno un gioco negli occhi. La scintilla laportano negli occhi. «Da dove nasce questo gioco negliocchi?», si domandava. Dal fatto che siano bravi? Nei loroocchi ride un cielo che non è loro. Loro «sono comebambini piccoli». Sono stupiti da quel cielo. Che cosa devecapitare per rendere così “bambino” un adulto? Quellaragazza non sapeva niente del cristianesimo, ma dice: «Quelgioco negli occhi lì lo seguirei in capo al mondo». Altro chepagliacciata! Altro che clown! Questo accade adesso, esat-tamente come duemila anni fa.

Commentando la vocazione di san Matteo, durante ilviaggio a Cuba dei giorni scorsi, papa Francesco ha detto:«Egli stesso, nel suo Vangelo, ci racconta come è statol’incontro che ha segnato la sua vita, ci introduce in un

“gioco di sguardi” che è in grado di trasformare la storia.[La storia! Non solo quell’uomo] Un giorno come qualunquealtro, mentre era seduto al banco della riscossione delleimposte, Gesù passò e lo vide, si avvicinò e gli disse:“Seguimi”. Ed egli si alzò, lo seguì. Gesù lo guardò. Cheforza di amore ha avuto lo sguardo di Gesù per smuovereMatteo come ha fatto! Che forza devono avere avuto quegliocchi per farlo alzare! Sappiamo che Matteo era un pubbli-cano, cioè riscuoteva le tasse dagli ebrei per darle ai romani.I pubblicani erano malvisti, considerati anche peccatori, eper questo vivevano isolati e disprezzati dagli altri. Conloro non si poteva mangiare, né parlare e né pregare. Per ilpopolo erano dei traditori, che prendevano dalla loro genteper dare ad altri. I pubblicani appartenevano a questacategoria sociale. E Gesù si fermò, non passò oltre frettolo-samente, lo guardò senza fretta, lo guardò in pace. Loguardò con occhi di misericordia; lo guardò come nessunolo aveva guardato prima. E quello sguardo aprì il suo cuore,lo rese libero, lo guarì, gli diede una speranza, una nuovavita, come a Zaccheo, a Bartimeo, a Maria Maddalena, aPietro e anche a ciascuno di noi» (Francesco, Omelia, Plazade la Revolución, Holguín, Cuba, 21 settembre 2015). »

OTTOBRE 2015 XIII

XIV OTTOBRE 2015

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Oggi come allora ci sono dei fatti, dei modi di vivere ilcristianesimo, che non sono percepiti dagli altri come unapagliacciata, ma come la cosa più affascinante. In questi fattiil contenuto e il metodo coincidono. Sono fatti che nonhanno bisogno di alcun tipo di potere aggiunto per imporsi:basta l’attrattiva di quel «gioco negli occhi», di quel «giocodi sguardi». Nessuna medicina, nessuna droga, nessun guru,nessun potere, nessun successo, nessuna strategia è in gradodi produrre questo gioco negli occhi.

Questo fa scattare la decisione. «La decisione è generatasoltanto dalla scoperta che il proprio io è attratto da unAltro, che la sostanza del mio io, la sostanza del mio essere,il mio cuore, è identica a “essere attratto da un Altro” (...).È questo Altro il senso della dinamica del mio io, di questomio vivere, di questa dinamica che è il mio vivere. Quandodico: “Io”, dico una dinamica tesa ad altro, a un Altro. UnAltro è ciò che costituisce la mia vita, perché l’Altro miattira e io sono questo “essere attirato”, sonocostituito da questa attrattiva (...) [“Quelgioco negli occhi lì lo seguirei in capo almondo”]. La decisione, dunque, è generatalà dove uno scopre questa natura sua, di“essere attratto”, per cui, come dice sanPaolo (sempre citato): “Vivo, non io, ma èun’altra cosa che vive in me”. L’attrattiva èinfatti: un’altra cosa che vive in me e che mifa vivere. La decisione viene generata quandoscatta questo accorgersi, questa coscienzadi un uomo nuovo, di questa novità nellapercezione di sé, nel sentimento di sé. Ed èun momento in cui realmente uno concepiscesé - come un uomo e una donna concepi-scono il bambino, e lo concepiscono perun’attrattiva -. L’esempio non corre concento piedi, ma è il più profondo per analogiache si possa fare. È realmente una concezionedi sé che viene da questo abbraccio profondo del mio iocon l’Altro, di cui scopro, accetto e riconosco l’attrattiva.Senza semplicità di cuore, senza purità di cuore, senzapovertà di spirito, questo non avviene, perché, là dove nonc’è povertà di spirito, questa attrattiva si subisce, ma non siriconosce totalmente: c’è una riserva, e allora non c’è la“concezione”» (L. Giussani, Certi di alcune grandi cose.1979-1981, op. cit., pp. 216-218).

È questa dinamica che può farci capire il significato delseguire. Lo dico per rispondere a una persona che mi do-manda: «Che cosa vuol dire seguire?». Seguire, così comedecidere, è facile: «Quel gioco negli occhi lì lo seguirei incapo al mondo». Perché seguire è facile? Perché è assecondarel’attrattiva che mi ha preso. Il problema è che tante volte,per noi, seguire non è assecondare l’evento che ci ha preso,con tutta la consapevolezza di quello che accade. Per noi

seguire diventa una sorta di volontarismo, un adeguarci acerte norme, a una dottrina, a un insieme di valori da di-fendere. Mentre don Giussani ci mostra che la sequela èuna mossa, una decisione, provocata dall’attrattiva, perchéil problema della libertà è se trova qualcosa che sia così af-fascinante da fare venire la voglia di aderire ad esso! Perquesto è come se in ogni parola, in ogni sfida davanti a cuici troviamo, dovessimo imparare costantemente la naturadella fede, la natura del cristianesimo, la sua ontologia.Perché altrimenti le stesse parole cristiane diventano comesassi che non ci dicono più niente. Invece, per capirle ba-sterebbe lasciarsi sorprendere da quei momenti in cuil’avvenimento, la bellezza accade, come abbiamo vistocapitare in modo clamoroso al Meeting, durante l’incontrosu Abramo e le sfide del presente, quando, appena terminatol’ascolto del violino, il professore Weiler ha reagito al mi-crofono con un respiro profondo. E subito dopo ha

aggiunto: «Ci vuole un minuto per recupe-rare...» («La scelta di Abramo e le sfide delpresente», Tracce, n. 8/2015, p. X). È questo!È questo il momento in cui si riparte. Daqui si ricomincia. La sequela nasce da qui:l’attrattiva del violino ha fatto scattare quelrespiro profondo. È facile! Anche il seguire,come l’incontro iniziale, è un avvenimento,a cui dobbiamo acconsentire.

Ma perché, allora, ci sembra tanto difficile,se è così facile?

Il problema è che noi spesso resistiamo aquesto metodo, che è il metodo di Dio. Equesto è veramente triste: malgrado capitinocose come quelle che abbiamo appena ascol-tato, e altre che ci raccontiamo ogni voltache ci troviamo, noi resistiamo e non im-pariamo da esse. Questo significa la non se-quela. Non la non sequela a me - che interesse

avrebbe? -, ma la non sequela a quello che Lui fa e che ioper primo voglio seguire. Questo è il nostro problema conla sequela: che noi, malgrado vediamo in continuazioneche l’avvenimento, l’incontro è l’unico metodo in gradodi mettere in moto l’io - è quello che ha fatto Dio conAbramo e con Giovanni e Andrea -, noi continuiamo apensare che ci sia un’altra modalità, un altro metodo piùincidente per attrarre l’io. Invece è facilissimo: basta seguirequello che Cristo fa.

«L’altra sera parlavamo con i miei compagni di corsosulla famiglia e una ragazza non riusciva a capire. Lei ècambiata quando io le ho detto cos’era successo nella miafamiglia. Io sono scappato più volte di casa, ho alzato lemani su mio papà e per due anni non ho parlato con lui.Quello che ha cambiato la mia famiglia non sono statedelle leggi o una rivoluzione, ma è stato l’incontro che ho

Quando rispondiamoalle sfide della realtà, noi lasciamo

sempre trasparire la nostra

appartenenza, cioè quello che per noi è più caro, e questo diventa

la nostra posizione culturale

nel mondo

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fatto quattro anni fa con i miei amici del movimento.Vivendo dentro questo rapporto, dove tutto il mio maleera perdonato, vivendo una bellezza e un gusto della vitanuovi, la mia famiglia è rifiorita. Quel rapporto cambiame e cambia quelli che ho intorno senza che io me ne pre-occupi. Le ho raccontato di una mia cugina: lei e la sua fa-miglia vivono in un’altra città e ogni anno vengono a farele vacanze da noi. L’anno scorso sono venuti a Natale, ab-biamo semplicemente mangiato e aperto i regali insieme.Dopo il pranzo, mia cugina viene da me e mi dice: “Io hol’impressione che i miei genitori stiano insieme per me,non perché si amano, invece vedo che la tua famiglia èunita, vorrei la stessa cosa”. Quando me lo diceva pensavo:ma cos’è che ha visto? Fino a pochi anni fa la mia famigliaera tutt’altro che unita; io neanche mangiavo con la miafamiglia, prima di venire a Milano. Lei era rimasta colpitada come mangiavamo. Poi mi ha detto: “Quando noi era-vamo bambini giocavamo, poi tu sei diventatouna bestia, ma adesso vedo che i tuoi occhisono tornati come quelli di un bambino”.Questa cosa mi aveva colpito, allora io sem-plicemente l’ho invitata a fare caritativa coni miei amici, abbiamo portato il pacco ali-mentare alle persone dei quartieri più poveri.E lei mi ha raccontato di quel pomeriggiocome del più bello della sua vita. Il giornodopo che è tornata a casa, mi ha chiamatopiangendo: “Mi sento una mancanza addossoche non avevo mai sentito”. All’inizio misembrava un po’ sentimentale, però subitodopo mi ha detto: “Stamattina alle sette misono svegliata, sono andata in centro paese,in città, sono andata al Comune, all’ufficiogiovani, e ho chiesto agli sportelli dove sitrovassero quelli di Comunione e Libera-zione”».

Ma noi pensiamo di avere un metodo più potente, piùincidente storicamente per convincere le persone! Alloraio vi domando: qualcuno può pensare davvero che ilmetodo immaginato da noi possa essere più incidente diquello scelto da Dio? Noi non possiamo pretendere di re-cuperare con il nostro fare ciò che abbiamo perso nellavita. Questa, dunque, è la nostra responsabilità: nonresistere al metodo di Dio.

Ancora una volta don Giussani ci illumina, identificandola ragione ultima di questa resistenza, che non è, come po-tremmo immaginare, l’incoerenza, ma l’aridità affettiva.«La nostra mancanza radicale, ciò� che ci lascia questa in-decisione di fondo è� una incapacità� , una acerbità totale, algusto della bellezza, al gusto estetico, ed è quindi unaresistenza impressionante all’essere pervasi dalla gioia,dalla letizia, perciò� dalla vivezza - dalla vivezza! -. Perché

solo ciò che è bello, che ti appare bello, che ti fa vivo, cioècatalizza l’energia della tua vita, è la tua vita. È questacarenza atroce che si nota in voi, come giovani di oggi,questa carenza tremenda di stupore di fronte alla bellezza,di capacità� recettiva della bellezza. L’esito che invece vicolpisce è� quello che provoca una pura reattività. L’esitocon cui le cose vi raggiungono è� quello di una reattività� : viprovocano una reattività� e vi bloccano in voi stessi, cosìche ogni cosa che vi viene davanti è� da usare per voi stessi,strumentalizzare. Lo stupore, il ricevere la bellezza èl’inverso: gli occhi (...) spalancati ad ascoltare, a guardare,a ricevere. (...) La vostra [diceva nel 1980 agli universitari](...) è una incapacità di affezione», causata da una ottusità.La scintilla di cui abbiamo parlato, continua Giussani, «èqualcosa che accade e che è recepito nella misura dellanostra capacità affettiva, vale a dire della nostra capacitàestetica, di gusto estetico, di senso estetico, cioè della nostra

capacità recettiva del bello. Mentre la povertàdel cuore, o la semplicità del cuore, è l’at-teggiamento etico che permette lo sviluppoestetico. Osservate come guarda le cose unbambino: con gli occhi sbarrati! La bellezzae la vibrazione della realtà entrano a fiottiin lui; invece, noi che siamo lì vicini, siamoottusi» (Certi di alcune grandi cose. 1979-1981, op. cit., pp. 220, 223). Questa ottusitàè ciò che fa sentire la stranezza di cui parlaPavese: «Ti ride negli occhi / la stranezza diun cielo che non è il tuo» (C. Pavese, «Not-turno», da Lavorare stanca, 1936-1943 (Lepoesie aggiunte), in Le poesie, Einaudi, Torino1998, p. 82). Don Giussani commentavacosì questi versi: «Ti ride negli occhi: seifatto del cielo, per il cielo, da un Altro; equesto ti ride, perché il cuore è sete di felicitàe di bellezza. Un cielo che non è tuo, però:

non lo vuoi» (Si può vivere così. Esercizi della Fraternità diComunione e Liberazione. Appunti dalle meditazioni diLuigi Giussani, suppl. Tracce n. 6/1995, p. 25).

Quando rispondiamo alle sfide della realtà, noi lasciamosempre trasparire la nostra appartenenza, cioè quello cheper noi è più caro, e questo diventa la nostra posizioneculturale nel mondo. Sono rimasto sbalordito da come donGiussani, pochi giorni dopo la sconfitta al referendum sul-l’aborto del 1981, parlando a un raduno di responsabili delmovimento, aveva identificato il contenuto sintetico del-l’autocoscienza di quanti si erano mossi, ciò che avevano dipiù caro, da cui scaturiva la posizione culturale: «Il puntoper la conduzione del movimento che scaturisce da questavicenda referendaria è la tristezza, è la tristezza nel constatareche l’avvenimento di Cristo non ha giocato e non giocacome il valore della vita». Quello che era accaduto

OTTOBRE 2015 XV

Qualcuno pensadavvero che il metodoimmaginato da noi sia

più incidente diquello scelto da Dio?

Non possiamorecuperare con il fareciò che abbiamoperso nella vita.

Questa, dunque, è lanostra responsabilità:

non resistere al metodo di Dio

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«TI RIDE NEGLI OCCHI LA STRANEZZA DI UN CIELO CHE NON È IL TUO» PAGINAUNO

XVI OTTOBRE 2015

durante il referendum era, dice, l’espressione di quelloche capitava nella vita ordinaria delle comunità: «Nellavita normale della nostra comunità e della conduzione delmovimento questa trasparenza del valore della fede in noinon c’è. Insomma, è Gesù Cristo che non c’entra con lanostra gente».

E ci indicava con precisione anche la strada da seguire.Vale la pena ascoltarlo, se non vogliamo perdere di nuovoil treno: «Gesù Cristo deve avere una evidenza in sé per lanostra gente! La direzione è questa. “Io non conosco altroche Cristo” e questo Cristo storico che, come esito, è statoeliminato. Agli altri Cristo diventa presenza, se diventapresenza per me! Sono io la presenza di Cristo: passa at-traverso questa comunicazione l’avvenimento della Suapersona, il mistero della Sua persona [come documentanotutte le testimonianze che abbiamo letto]. C’è un corollarioa questo punto: capite che il movimento sarà salvato daquesta minoranza! Il pezzo portante del fu-turo è la testimonianza reale» di coloro cheaderiscono a Lui. E aggiungeva: «È estre-mamente difficile, difficile nel senso statisticodel termine, trovare della gente che viva ve-ramente, che si metta in compagnia per lasantità, cioè per la fede, in Cristo, perimparare la fede, per vivere e testimoniarela fede. E questa difficoltà è aggravata dalfatto che sarà ben difficile statisticamenteche i nostri adulti trovino delle guide inquesto senso, dei suscitatori in questo senso.Il movimento sarà portato [avanti] da quelliche non sentiranno la minoranza [comeera capitato con l’esito del referendum, peril fatto che i contrari all’aborto si eranofermati al 32%] minimamente come mi-norazione, perché avranno dilatato il lorocuore dal valore. E il valore è uno solo, uno!Perché anche la vita non è valore, se non ci fosse Cristo!L’avvenimento di Cristo. Il movimento sarà portato avantida chi ha fatto questo incontro, e il segno che avrannofatto questo incontro è la capacità di fraternità, di compa-gnia». Il movimento sarà portato avanti da coloro che nonhanno potuto, come Giovanni e Andrea, cancellare l’espe-rienza che hanno vissuto con Cristo, il contenuto dogmaticodella fede, e stanno insieme per questo. Perciò don Giussaniinsisteva: «Il futuro del movimento si chiama la testimonianzadell’adulto», aggiungendo una frase delle sue: «Questo èun momento in cui sarebbe bello essere in dodici in tuttoil mondo» (FRATERNITÀ DI COMUNIONE E LIBERAZIONE, Do-cumentazione audiovisiva, Consiglio nazionale di CL,Milano, 30-31 maggio 1981).

In che cosa consiste, allora, la testimonianza? «Esserepresenza in una situazione vuol dire esserci in modo da

perturbarla, così che, se tu non ci fossi, tutti se ne accorge-rebbero. Dove ci sarai, gli altri si arrabbieranno o ti ammi-reranno, oppure sembreranno essere indifferenti, ma nonpotranno non riconoscere la tua “diversità”».

Di quale natura è questa testimonianza? «Il vero annunciolo facciamo attraverso quello che Cristo ha perturbatonella nostra vita, avviene attraverso la perturbazione cheCristo realizza in noi: noi rendiamo presente Cristo attraversoil cambiamento che Egli opera in noi. È il concetto di testi-monianza» (L. Giussani, 19 marzo 1979; «1954. Cronacadi una nascita», Appunti da una conversazione con ungruppo di giovani, in Un avvenimento di vita, cioè unastoria, EDIT-Il Sabato, Roma 1993, p. 346).

Come abbiamo visto, questa testimonianza, lungidall’essere irrilevante e dal fare apparire il cristianesimocome una pagliacciata e i cristiani come clown, desta unacuriosità, un interesse tale da aprire un dialogo totalmente

inaspettato, anche con persone apparente-mente lontane. È così che possiamo rispon-dere all’invito fatto in questi giorni da papaFrancesco ai Vescovi americani, che hosentito come rivolto a me, a noi: «So beneche numerose sono le vostre sfide, e chespesso è ostile il campo nel quale seminate,e non poche sono le tentazioni di chiudersinel recinto delle paure, a leccarsi le ferite,rimpiangendo un tempo che non torna epreparando risposte dure alle già aspre resi-stenze. E, tuttavia, siamo fautori della culturadell’incontro. Siamo sacramenti viventi del-l’abbraccio tra la ricchezza divina e la nostrapovertà. Siamo testimoni dell’abbassamentoe della condiscendenza di Dio che precedenell’amore anche la nostra primigenia ri-sposta. Il dialogo è il nostro metodo, nonper astuta strategia, ma per fedeltà a Colui

che non si stanca mai di passare e ripassare nelle piazzedegli uomini fino all’undicesima ora per proporre il suoinvito d’amore (Mt 20,1-16). (...) Non abbiate paura dicompiere l’esodo necessario ad ogni autentico dialogo.Altrimenti non è possibile comprendere le ragioni dell’altroné capire fino in fondo che il fratello da raggiungere e ri-scattare, con la forza e la prossimità dell’amore, conta piùdi quanto contano le posizioni che giudichiamo lontanedalle nostre pur autentiche certezze. Il linguaggio aspro ebellicoso della divisione non si addice alle labbra delPastore, non ha diritto di cittadinanza nel suo cuore e,benché sembri per un momento assicurare un’apparenteegemonia, solo il fascino durevole della bontà e dell’amoreresta veramente convincente» (Discorso all’incontro con iVescovi degli Stati Uniti d’America, Cattedrale di SanMatteo, Washington, D.C., 23 settembre 2015).

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Di quale natura è questatestimonianza? «Il vero annuncio

lo facciamoattraverso

la perturbazione cheCristo realizza in noi:

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attraverso ilcambiamento cheEgli opera in noi»