THALIA - liceibelluno.gov.it di... · astratta della realtà. La vita è dolore, angoscia,...

8
THALIA Laboratorio di filosofia per le classi prima, seconda e terza Sezione Liceo Classico Terza A Martina Pontello Seconda A Federica Tancon Seconda A Lisa Casagrande Prima A Gaia De Zordo Seconda A Andrea Soppelsa Umanesimo in giallo La filosofia presocratica Filosofia e modernità La rivoluzione dello sguardo Nietzsche e la crisi del moderno Istuto dIstruzione Superiore Galilei-Tiziano - Belluno PRESENTAZIONE Con il termine Charis , i greci amavano indicare la pienezza di quel che cresce, che spicca e che fa luce. Il conceo di bellezza che il contenuto di tale termine esprime si può comprendere pertanto soltanto a parre dalla funzione che esso svolge nel coniugare e mantenere uni i tre aspe fondamentali di cui si nutre e a cui deve la sua stessa ragion dessere: Eufrosine, la gioia; Talia, la fioritura; Aglae, lo splendore di tuo ciò che luccica. Il tolo aribuito a questa nuova esperienza laboratoriale rimanda alla speranza che questa iniziava possa contribuire a creare un clima didaco favorevole per la formazione e la fioritura dei nostri studen. Con laugurio che possano sperimentare e scoprire un nuovo ideale di umana e civile bellezza. Per la cura delle competenze e la valorizzazione delle eccellenze - anno scolasco 2017-2018 Anno I numero I

Transcript of THALIA - liceibelluno.gov.it di... · astratta della realtà. La vita è dolore, angoscia,...

Page 1: THALIA - liceibelluno.gov.it di... · astratta della realtà. La vita è dolore, angoscia, alienazione: questo è quanto affermano i “maestri ... legata all’ambito della corporeità

THALIA

Laboratorio di filosofia per le classi prima, seconda e terza Sezione Liceo Classico

Terza A

Martina Pontello

Seconda A

Federica Tancon

Seconda A

Lisa Casagrande

Prima A

Gaia De Zordo

Seconda A

Andrea Soppelsa Umanesimo in giallo

La filosofia presocratica

Filosofia e modernità

La rivoluzione dello sguardo

Nietzsche e la crisi del moderno

Istituto d’Istruzione Superiore Galilei-Tiziano - Belluno

PRESENTAZIONE

Con il termine Charis , i greci amavano indicare la pienezza di quel che cresce, che spicca e che

fa luce. Il concetto di bellezza che il contenuto di tale termine esprime si può comprendere

pertanto soltanto a partire dalla funzione che esso svolge nel coniugare e mantenere uniti i

tre aspetti fondamentali di cui si nutre e a cui deve la sua stessa ragion d’essere: Eufrosine, la

gioia; Talia, la fioritura; Aglae, lo splendore di tutto ciò che luccica. Il titolo attribuito a questa

nuova esperienza laboratoriale rimanda alla speranza che questa iniziativa possa contribuire a

creare un clima didattico favorevole per la formazione e la fioritura dei nostri studenti. Con

l’augurio che possano sperimentare e scoprire un nuovo ideale di umana e civile bellezza.

Per la cura delle competenze e la valorizzazione delle eccellenze - anno scolastico 2017-2018 Anno I numero I

Page 2: THALIA - liceibelluno.gov.it di... · astratta della realtà. La vita è dolore, angoscia, alienazione: questo è quanto affermano i “maestri ... legata all’ambito della corporeità

do efficace, il prodotto o i servi-

zi.

Crisi, collisione, dinamite. Sono rabbiose ed energi-

che le parole che Nietzsche scrive nell’opera “Ecce

homo” del 1888, parole che evidenziano la volontà

di un radicale cambiamento rispetto al passato. Un

allontanamento dagli schemi tradizionali di pen-

siero, un distacco dalle regole di una società ormai

non più adatta a rappresentare le nuove forze,

culturali e sociali, che in quell’epoca si stavano

affermando. Che mondo era quello? In quale

realtà vivevano gli uomini generalmente borghesi,

ottimisti, privi di preoccupazione riguardo un

futuro che sembrava delinearsi splendido e lumi-

noso? Certamente non un’età del tutto felice, dal

momento che un numero sempre maggiore di

intellettuali nello stesso periodo si stava occupan-

do di svelare la reale crisi che la società - inconsa-

pevolmente - stava vivendo, sotto la possente ma-

schera del progresso e dell’industrializzazione.

Crisi, collisione, dinamite. Un soggetto che non è

più lo stesso, privo delle certezze e delle definizioni

che da sempre lo avevano caratterizzato, nudo di

fronte all’indagine non più in chiave metafisica e

astratta della realtà. La vita è dolore, angoscia,

alienazione: questo è quanto affermano i “maestri

del sospetto”, Nietzsche, Freud e Marx, anticipati

dalle teorie di Schopenhauer e Kierkegaard. Temati-

che certamente non nuove per la poesia e la lettera-

tura europea, che sulla scia del Romanticismo erano

negli stessi anni influenzate da autori come Leopar-

di, fautori del pessimismo cosmico e consapevoli

dell’inesausta tensione dell’uomo verso un irrag-

giungibile infinito. Il desiderio e la consapevolezza

sono le due facce della stessa medaglia che rappre-

senta l’Ottocento europeo, ancora una volta attra-

versato da un dualismo e una lacerazione che di-

ventano sempre più profondi. Con Schopenhauer

l’uomo, “animale metafisico”, si rende conto che il

fulcro della lotta eterna tra ragione e illusione si

sposta all’interno della stessa coscienza umana,

origine di quelle rappresentazioni che alterano in

maniera ontologica la vera realtà del mondo. Nella

ricerca di nuove vie per accedere a questa struttura

profonda del reale, non potendo più contare sull’ap-

parato conoscitivo basato su un fondamento razio-

nale, ecco che comincia quel processo che porta a

una rivalutazione della concretezza del vivere,

legata all’ambito della corporeità e della materiali-

tà. L’esistenza concreta diventa fondamentale per

l’omonima corrente dell’esistenzialismo, secondo la

quale il pensiero deve incarnarsi in un’entità reale,

senza rimanere mera possibilità e indeterminatezza;

ecco che viene meno la definizione idealistica di

soggetto - dal momento che egli ora deve muoversi

nel mondo, e vivere. Una vita che, sotto le apparen-

ze del progresso, risulta essere intrisa di angoscia e

disperazione, e per Schopenhauer come per Kierke-

gaard i tentativi di liberazione dal dolore attraverso

l’arte e la vita morale falliscono, lasciando una vaga

e controversa idea di fede come unica via per conci-

liare necessità e libertà, dipendenza da Dio e auto-

sufficienza. Crisi, collisione, dinamite. Come in una

sorta di neo-umanesimo l’uomo viene posto al

centro e studiato nella sua totalità, e Nietzsche porta

all’estremo questa figura trasformandola in oltre-

uomo, ovvero colui che intraprende il cammino di

cambiamento che lo porta a distaccarsi definitiva-

mente dalla tradizione occidentale, e a relazionarsi

in modo nuovo con la realtà superando la perdita di

tutte le precedenti certezze. Si deve a quest’autore

l’impiego del termine “nichilismo”, che contiene in

sé la parola latina nihil, nulla, per indicare l’esito

dell’evoluzione del pensiero occidentale, che pro-

duce ancora oggi indifferenza, assenza di valori, un

approccio non più entusiastico e attivo alla vita

stessa. Nietzsche aveva profetizza-

to una profonda crisi, in cui noi siamo ancora

immersi: basta pensare semplicemente al modo in

cui l’età adolescenziale viene giudicata dal resto

della società, per accorgersi che le critiche di

svogliatezza, isolamento e passività corrispondo-

no agli effetti preannunciati dal filosofo. Acco-

gliere tutti gli aspetti della vita e non reprimerli:

questo è l’insegnamento di Nietzsche, che presup-

pone anche l’accettazione dello spirito dionisiaco

dell’esistenza, ovvero gli istinti più profondi

dell’uomo, l’eccesso e l’eliminazione di ogni

forma di repressione che inevitabilmente conduce

la società al nichilismo. In questo contesto di

profonda lacerazione si può comprendere come

anche artisti e letterati successivi, specialmente

dopo l’esperienza delle due guerre mondiali, abbia-

no espresso con forza questa divisione del soggetto

in profonda contrapposizione con il mondo esterno.

La frenetica ricerca di un scopo e di un significato,

la metaforica corsa affannosa dell’esistenza, viene

placata temporaneamente dagli oggetti materiali, e

nemmeno l’arte e la letteratura attraverso l’immagi-

nazione sono più in grado di offrire una via di usci-

ta all’uomo, istruito ad essere niente. La continuità

problematica che unisce le diverse fasi della filoso-

fia è evidente: da Socrate e Platone, i primi a pensa-

re l’uomo in relazione alla coscienza interna e al

mondo sovrasensibile delle idee, passando per i

pensatori della Rivoluzione scientifica seicentesca,

i quali comprendono che la realtà non è ciò che ci

appare, e attraverso l’alterazione compiuta dalla

struttura umana nel suo contatto con il mondo ester-

no, teorizzata da Hume, la rigida architettura di

pensiero di Kant e l’onnicomprensivo sistema ela-

borato da Hegel vengono messi in discussione e

superati. Il risultato ottenuto? La scomposizione

dell’individuo, riflesso delle contraddizioni e della

complessità di una nuova epoca, testimoniate non

solo dalla filosofia, ma anche dall’arte, la musica e

la letteratura.

NIETZSCHE E LA CRISI

DEL MODERNO

MARTINA PONTELLO

Page 3: THALIA - liceibelluno.gov.it di... · astratta della realtà. La vita è dolore, angoscia, alienazione: questo è quanto affermano i “maestri ... legata all’ambito della corporeità

Durante il suo cammino nel sentiero del progresso l’uomo

esce dalla caverna platonica per addentrarsi nel mondo reale,

per viverlo ed esplorarlo. L’antichità viene riscoperta, purifica-

ta e riutilizzata in un mondo che è sempre più moderno, sempre

più immanente, sempre più proteso verso il futuro e l’innova-

zione.

L’uomo moderno perde la certezza, la sicurezza, le solide basi

che l’avevano da sempre sostenuto e, in questa perdita, ricono-

sce la sua finitezza, il suo limite. Soltanto però in questo modo,

con tale consapevolezza, può aprirsi alla ricerca, alla vera co-

noscenza.

L’ipse dixit che aveva caratterizzato in modi diversi tutta la

gnoseologia antica fa spazio ad una verità che è “filia tempo-

ris”, portando a nuove scoperte e ad una nuova concezione del

reale.

È l’uomo moderno il vero antico, è l’uomo moderno colui che,

attraverso lo studio e il rapporto con l’antichità, ha fatto espe-

rienza di più aspetti e può sintetizzarli per approdare a nuove

conoscenze.

Un uomo che ha perso ogni certezza è un uomo in continuo

movimento, un uomo in cammino nel mondo, che continua

però a sentire il legame con il trascendente, con Dio.

Non si pensa più ad un’idea suprema di cui la realtà è mera

copia, non più ad un’imperfezione terrena che tende unicamen-

te al “poi”, ma ad una dimensione immanente in cui il presente,

la vita, l’oraziano “hic et nunc”, hanno valore; hanno valore

perché in continuo rapporto con l’infinito, con Dio, alterità

assoluta; l’anello di congiunzione di questo rapporto siamo noi:

è l’anima umana che sola può avvicinare il macroscopico al

microscopico.

Proprio in questo, per la prima volta, l’uomo vive il suo dram-

ma, nel privilegio che Dio gli ha dato, nel libero arbitrio che lo

rende tanto diverso e lontano da tutti gli altri esseri viventi. La

sua libertà, il suo essere “artifex”, “faber suae quisque fortu-

nae”, Il suo essere al centro dell’universo, “né celeste, né terre-

no, né mortale, né immortale”, come scriveva Pico Della Mi-

randola, il suo essere indeterminato, costringe l’uomo a cercare

una sua determinazione, ma in questa ricerca, in questa scelta, è

insita una rinuncia a tutte le altre possibilità. Soltanto così però

può superare l’idea di conoscenza certa per arrivare, con Cusa-

no, ad affermare la propria “dotta ignoranza”, la consapevolez-

za di non poter giungere alla verità assoluta con la permanenza

dell’incessante desiderio di avvicinarsi ad essa sempre di più,

in questa tensione costante verso l’infinito. L’uomo moderno

sente dunque il peso dei suoi limiti, ma sono proprio questi che

gli permettono di aprirsi verso una conoscenza diretta della

realtà. Realtà che acquista sempre più valore e diventa sempre

più autonoma, realtà come ordine, esplicitato non più attraverso

un linguaggio simbolico e religioso, un linguaggio di essenze e

categorie aristoteliche, ma attraverso un linguaggio fatto di

numeri, matematico e razionale. Ecco che la conoscenza si fa

proporzione, non più soltanto relazione, e l’uomo di scienza

indaga la natura secondo i suoi iuxta propria principia, come

scriveva Telesio.

Non vediamo più un filosofo che, passeggiando, contempla ciò

che lo circonda, bensì un uomo attivo, che forza la natura e le

fa parlare la sua lingua. Un filosofo e scienziato che ricrea le

condizioni ideali per verificare ciò che lui pensa, che lui teoriz-

za, considerando che il mondo e la sua mente, la mente umana,

sono intrisi e impregnati della stessa razionalità di fondo. In

questo modo Bacone e Galilei cominciano a elaborare un nuo-

vo metodo, basato sull’esperienza purificata da ogni interferen-

za, sull’esperimento. È l’inizio del moderno metodo scientifico,

attraverso cui si supera anche la stessa concezione di realtà di

cui si fa esperienza e tutto diviene soggettivo e modificato,

forzato dall’uomo, ma, alla fine, ogni cosa deve combaciare, e

le teorie fisiche vanno davvero a spiegare ciò che la realtà da

sempre aveva cercato di dire, ma che nessuno era mai riuscito a

capire prima. Perché la realtà, che sia antica o moderna, ha

sempre detto e mostrato le stesse cose, era l’uomo a non essere

pronto per comprenderle.

La Terra ha sempre girato intorno al sole, ma c’è voluto Coper-

nico per mostrarlo. Ed è proprio questo nuovo sguardo verso il

cielo, verso l’infinito, verso le stelle a mettere in crisi ogni cer-

tezza, a mettere in crisi la concezione stessa di universo perfet-

tamente immobile e completo in se stesso in cui la Terra (e

quindi l’uomo) è al centro; e dopo questa crisi tutto diviene

relativo.

E allora “maledetto sia Copernico!” scriveva Pirandello, male-

detto sia Galilei, maledetti siano tutti gli altri che, guardandosi

intorno con occhi diversi, hanno fatto crollare ogni certezza,

permettendo però definitivamente all’uomo di uscire dalla buia

caverna di verità rivelate, facendolo entrare nella luce della

ragione.

FEDERICA TANCON

LA RIVOLUZIONE DELLO SGUARDO

Page 4: THALIA - liceibelluno.gov.it di... · astratta della realtà. La vita è dolore, angoscia, alienazione: questo è quanto affermano i “maestri ... legata all’ambito della corporeità

Umanesimo in giallo

ANDREA SOPPELSA

“ Ricordo ancora vividamente il giorno in cui parte-

cipai al mio primo grande caso: attendevo sonnac-

chiosamente ad una lezione d’anatomia del mio

maestro, Guido, presso la sua abitazione, allorché

un uomo, per conto di Piero de’ Medici, venne a

chiamarci, essendosi improvvisamente aggravate le

condizioni di salute del Magnifico. Tanto grande

era, nella città dell’Alighieri, la fama di cerusico del

mio precettore . Dunque, ci recammo ad Artimino,

ove, poche ore prima, Lorenzo era stato trasporta-

to. Tuttavia, per quanto avessimo spronato i nostri

destrieri, quando giungemmo alla villa Medicea di

Careggi, non trovammo l’uomo, ma solo un corpo

esanime, attorniato dai lamenti funebri delle donne

e dal ricordo delle gesta compiute in vita.

Era il tramonto dell’8 aprile 1492 e, colui che gover-

na la morte, Θάνατος , conduceva con sé il più

grande esemplare che la stirpe umana avesse

generato nel secolo decimo quinto. Era il tramonto

di un’epoca per l’Italia: privata del suo “Ago”,

diventò ben presto terreno di conquista per le

grandi potenze straniere. Ma, in quel momento,

eravamo lontani dal meditare tutto ciò.

Tra gli affranti presso la proda del letto del defunto,

riconobbi in prima parte colui il quale in quel tempo

vagheggiava l’ideale della pax philosophica : messer

Pico della Mirandola. L’autore dell’ “ Oratio de

hominis dignitate” ,nel quale egli affermava che

l’uomo è un’opera di natura indefinita (come mi

aveva istruito il mio precettore), sedeva accanto a

un misero fraticello, completamente assorto nelle

sue preghiere. Se egli non si fosse vòlto verso di

me, non avrei sicuramente riconosciuto in lui il

vólto di quel folle predicatore, Girolamo

Savonarola, sebbene fossi presente la mattina del

27 aprile dell’anno precedente, quando, durante

una cerimonia religiosa, all’improvviso, salì sul

pulpito e fece una terrifica predicatio , atterrendo la

folla presente. Oggi, rispetto ad allora, appariva

macilento e smunto, quasi fosse consunto da una

grave colpa interiore. < Maledetto frate!> proruppe

subitaneamente il segretario del Magnifico, appena

pervenuto nell’alcova funebre,< Voi, coll’anatema

che gli avete scagliato e con le vostre nefaste

predizioni , voi siete la causa del decesso del nostro

signore !> . Savonarola arretrò, ed ora si

appoggiava ad un religioso, mentre il suo viso era

stato inondato da un pallore diffuso, come coloro

che percepiscono avvicinarsi inesorabilmente la

loro ultima ora . Il Poliziano proseguì con le sue

invettive:< frate del demonio, simoniaco, stregone,

vedrete che presto i vostri patti siglati col diavolo

chiederanno in cambio l’anima dannata di Girolamo

Savonarola! >. A quel punto, un frate dello stesso

convento del ferrarese lo invitò ad abbandonare il

luogo e la calma fu ristabilita.

La salma venne trasferita in un’oscura stanza delle

cantine, nella quale il mio maestro aveva allestito

un gabinetto di anatomia, con i mezzi necessari a

un esame post-mortem. < Vedi, mio fedele

discente, oggi eseguiremo una autopsia con tecnica

autoptica. Sai, forse, in quale occasione venne

eseguito per la prima volta questo tipo di esame ?>.

< Non ne ho idea, maestro> risposi. < Bene.

Cominceremo, quindi, con alcune nozioni storiche;

prendi nota nel tuo taccuino: come ci informa

Svetonio, il primo esame autoptico fu eseguito dal

medico Antistio sulla salma di Giulio Cesare dopo la

sua uccisione da parte dei congiurati alle idi di

marzo del 44 a.C. In seguito non venne più svolto,

fino a quando Federico II istituì la prima cattedra di

anatomia presso la Scuola Medica Salernitana-

luogo in cui, come ben sai, io stesso ho studiato- e

questa tecnica venne riscoperta.> Fece una pausa,

poi proseguì:< Ora ti illustrerò i mezzi utilizzati:

questa è un enterotomo> sollevò delle grandi

forbici < grazie a questo pallino metallico è

possibile salvaguardare la mucosa dell’intestino

durante l’apertura del medesimo. Questa sorta di

pinza, invece è un forcipe, utile per sollevare i

tessuti. Con la sega, invece, si tagliano le ossa e ,

dulcis in fundo, il frangicoste > mi mostrò un

utensile simile a delle cesoie < Esso è lo strumento

che consente l'asportazione del piastrone sternale

per l'esplorazione della cavità toracica, mediante

vari tagli che vengono effettuati sulle costole lungo

il margine cartilagineo, dove il taglio risulta essere

più netto e preciso, mentre se fatto direttamente

sull'osso è probabile che si formino delle schegge,

che possono essere dannose per le mani che

andranno poi a esplorare la cavità toracica. Hai

capito ?> «Credo di sì» risposi. “Molto bene !

Comunque, ago e filo è l’essenziale per compiere

un’autopsia, ricordalo, dato che, se intraprenderai

quest’arte, potresti trovarti a svolgere autopsie in

condizioni difficili, privo degli arnesi che ti ho

esposto in precedenza>. < Me ne ricorderò> lo

rassicurai. < Non manca nulla, ergo, possiamo

iniziare. Avvicina il lume>.

L’esame si protrasse per tutta la durata della notte.

< Ebbene, cosa avete scoperto?> domandai io.< I

miei peggiori timori erano fondati: Lorenzo

de’Medici non è deceduto per la gotta, ma è stato

avvelenato!> rabbrividii< Ne siete certo?> chiesi io

< Purtroppo sì. Vedi, l’epitelio enterico distaccato e

la formazione di vescicole al di sotto della mucosa

sono un chiaro sintomo di avvelenamento da

arsenico; prendi nota, l’arsenico elementare venne

isolato per la prima volta da Alberto Magno nel

1250.> <In che modo può essergli stato

somministrato l’arsenico senza che egli ne avesse

cognizione ?> di fronte a questo quesito, il mio

precettore tacque per qualche secondo, poi

sentenziò:< Domanda acuta. Sfortunatamente, in

questo momento non sono in grado di risponderti…

solitamente l’arsenico viene ingerito per via orale,

essendo insapore, inodore e incolore; dunque,

teoricamente, l’assassino, o gli assassini, avrebbero

potuto diluirlo nell’acqua, non destando alcun

dubbio né in Lorenzo né in coloro che gli stavano

accanto. Sarà il caso d’informare Piero de’Medici

del risultato dell’autopsia. Andiamo!>.

Fummo accolti in uno studiolo; una grande tela di

Luca della Robbia raffigurante la flagellazione di

Cristo attirò la mia attenzione, non appena varcata

la soglia. Invece, alzati gli occhi, fui sorpreso dalla

maestosità del soffitto in legno intarsiato. Un

gradevole aroma di rosa selvatica proveniva dalle

finestre aperte che davano sul giardino. Era la

primavera e con essa, la natura si apprestava a

compiere l’eterno ed incessante miracolo della

rinascita. Così, al pari dei gigli che, rifiorendo,

schiudono il loro bocciolo, le bestie che, durante

l’inverno vanno in letargo per fuggire il gelo e la

penuria di cibo, disserrano i loro occhi. Piero de

‘Medici ci ricevette intento a redigere una lettera.

La sua mano, impugnante una penna d’oca, si

muoveva alacremente, seminando inchiostro sul

foglio bianco. < Ebbene, messer Guido, di quale

delle plurime malattie di cui soffriva è morto mio

padre? Di gotta, forse, oppure a causa dell’ulcera

che lo opprimeva da qualche tempo? > domandò, <

Vedete Piero, il vostro illustre genitore non è

deceduto per nessuno dei mali che avete elencato,

Page 5: THALIA - liceibelluno.gov.it di... · astratta della realtà. La vita è dolore, angoscia, alienazione: questo è quanto affermano i “maestri ... legata all’ambito della corporeità

ma…> s’interruppe un istante, come per raccogliere

le forze necessarie per riferirgli la nostra scoperta,

< …Ma per aver ingerito una dose letale di

Arsenico>. Piero trasalì. Una macchia d’inchiostro

cadde sull’epistola. < Ne siete certo ?> chiese il

nuovo signore di Firenze. < È così, purtroppo !>

rispose rammaricato il mio maestro. Seguì un

silenzio assordante rotto solamente dalla pispilloria

cagionata da uno stormo di passeri che avevano il

loro nido in uno dei cipressi del giardino. Piero

chiuse le finestre. < Mio padre è stato assassinato !

> realizzò, < Ma chi può essere il suo carnefice ?

Egli aveva molti amici in Firenze, ma, anche, molti

nemici. Credetemi, Guido, se vi dico che mi è

davvero difficile ipotizzare chi sia l’omicida>. <Lo

posso immaginare, tuttavia, dato che i primi

sintomi di avvelenamento da arsenico si

manifestano una manciata d’ore dopo essere stato

assunto, è sufficiente che mi aiutiate a ricostruire le

ultime ore di vita di Lorenzo, dalla sera del 7 aprile

> rispose il mio precettore. < Dunque, quella sera

eravamo proprio qui, alla villa di Careggi; messer

Pico della Mirandola aveva indetto un banchetto in

onore dell’anniversario della fondazione

dell’Accademia neoplatonica. Oltre a mio padre e a

me, vi parteciparono Marsilio Ficino, lo stesso Pico,

il segretario di Lorenzo, Angelo Poliziano e il

Savonarola. Dopo questo, siamo ritornati in città, a

palazzo Medici, e lì ha svolto le sue normali

faccende, trai suoi doveri e le donne> concluse il

figlio del Magnifico. < Secondo voi, chi, tra i

presenti alla cena, aveva una ragione per

ucciderlo ?> lo interrogò il mio maestro. < Senza

dubbio, nell’ultimo anno, egli era entrato spesso in

conflitto col Savonarola, il quale in più occasioni gli

aveva predetto la morte; per quanto riguarda gli

altri, che io sappia, non vi erano che dei

normalissimi screzi, nulla di rilevante>. Il mio

precettore rifletté un momento, quindi sentenziò

così:< Credo che, per qualche tempo, sia opportuno

mantenere il massimo riserbo circa la causa della

morte di Lorenzo; diremo che è perito per

un’ulcera malcurata. In questo modo potrò

condurre delle indagini senza che l’omicida si

allarmi e occulti eventuali prove della sua

colpevolezza. Siete d’accordo?>, < Da parte mia

non c’è alcuna obiezione> confermò Piero,< Ma

siete certo che costui (indicò me), del quale ignoro

il nome, mantenga la dovuta discrezione ?>. <

Senza ombra di dubbio, messere> ribatté Guido, <

Questo giovane si chiama Giulio Lami ed è il mio

discepolo prediletto. Credo proprio che mi sarà di

grande aiuto nelle indagini che mi appresto a

svolgere>. Ci congedammo.

Mentre ritornavamo presso l’abitazione-scuola

riconoscibile per i mattoni in opus spicatum, le

ipotesi e i dubbi occupavano i nostri dialoghi:<

Credete che quel predicatore ferrarese sia stato

capace di tanto ?> domandai, < Ne dubito; in primo

luogo, perché sarebbe stato un gesto sciocco e

avventato, dal momento che tutti sono a

conoscenza del fatto che gli aveva predetto la

morte; in secondo luogo, per il semplice motivo che

il quinto comandamento della sua religione gli

impone di non uccidere. Ciò non toglie che, nel

meriggio, ho intenzione di andare a fargli visita al

convento di San Marco>. E così fu. Suonata la

campana all’entrata, si affacciò all’uscio un frate al

quale chiedemmo di essere ricevuti dal priore,

Savonarola appunto. Ottenemmo una risposta

positiva, anche se ci chiese un certo tatto, dal

momento che, come asseriva lui stesso “ il nostro

fratello Girolamo è molto scosso dalla morte di

messer Lorenzo, poiché in un certo qual modo, si

sente colpevole per avergliela predetta”.

Savonarola stava pregando nel chiostro di San

Domenico. < Fratello, permette che vi rivolga una

domanda ?> disse Guido, < Se avete anima di

parlare con un peccatore della mia risma, si>

rispose.< Siete stato voi ad uccidere Lorenzo de’

Medici ?>. < Ebbene si, sono stato io ad ucciderlo, e

solo Iddio sa quanto me ne penta>. Io e il mio

precettore ci guardammo stupefatti, poi Guido: <

Davvero, siete stato voi ad avvelenarlo ?>.

<Avvelenarlo?> negli occhi del Savonarola si

leggeva la sorpresa< come avvelenarlo? Io mi

riferivo al fatto di non avergli concesso il conforto

della mia benedizione, non certo ad una simile

barbarie; sapete bene che, se anche avessi voluto,

il credo cristiano me lo impedisce…ma, forse è

stato quel bestemmiatore contro natura di Pico,

oppure quel maledetto di Poliziano, che inveisce

contro di me per scagionarsi>.

Lasciammo il convento per ritornare alla magione.

L’indomani ci recammo nuovamente alla villa

medicea di Careggi; in giardino incontrammo

Marsilio Ficino, il traduttore in latino di tutte le

opere platoniche e uomo stimato dal Magnifico. Ci

trattenemmo a lungo a parlare con lui, venendo a

conoscenza di dettagli interessanti circa il

banchetto di quella sera e riguardo i rapporti del

Poliziano e di Pico della Mirandola con Lorenzo de’

Medici. In particolare, quest’ultimo, a detta di

Ficino, in tempi recenti aveva avuto numerosi

alterchi col signore di Firenze.

<È la verità ! Negli ultimi tempi ho avuto numerose

e frequenti liti con Lorenzo> in questo modo,

messer Pico rispose alla domanda del mio

maestro,< ma sicuramente non avrei mai fatto del

male all’ uomo che ritenevo alla stregua di un

fratello>.< Posso chiedere la causa delle vostre

discordie?> chiese Guido.< È una questione molto

delicata, ne va della mia vita. Ve ne parlerò a patto

che giuriate di mantenere la massima discrezione>.

<Lo giuriamo !> esclamammo all’unisono. < Bene,

da qualche tempo in città si è sparsa una diceria

secondo cui io ho una concubina segreta; ebbene,

questa voce non è vera, o, per meglio dire, non è

del tutto vera. Infatti, lo ammetto davanti a voi e

siete i primi a cui lo dico apertamente, ho un

rapporto amoroso con l’umanista Girolamo

Benivieni ; Lorenzo l’aveva compreso leggendo

alcuni scritti, tra cui sonetti, che quello mi aveva

dedicato. Inutile dire che il Magnifico non era per

niente d’accordo. Il banchetto dell’altra sera fu

un’occasione di riconciliazione e di questo me ne

rallegro, poiché la morte lo accolto quando

eravamo in pace fra di noi. < E dei suoi rapporti col

segretario cosa mi dite ?> disse Guido. < I rapporti

di Lorenzo con Angelo Poliziano sono sempre stati

ottimi. Egli è un uomo stimato da tutti, me

compreso. Forse è eccessivamente orgoglioso,

superbo ed arrogante nei dibattiti tra studiosi. Ma è

un grande intellettuale, oltreché un grande uomo.

Inoltre non ricava nessun guadagno dalla morte del

nostro signore. L’incontro stava volgendo al

termine e io, nella impudenza dei vent’anni, gli

chiesi se davvero era capace di ripetere i canti della

Commedia al contrario, partendo dall’ultimo verso,

come si raccontava.

Lo fece.

Le esequie funebri si tennero presso il convento di

San Marco, gremito dal popolo che veniva per

rendere omaggio all’uomo che più di tutti diede

lustro al nome di Firenze. Lorenzo aveva disposto

che il rito fosse privo di pompa e che il suo corpo

fosse deposto nella Sagrestia Vecchia della Basilica

di San Lorenzo, la chiesa di famiglia. Guido ed io

partecipammo al funerale, ma il nostro pensiero

era completamente rivolto a scorgere l’assassino. A

quel punto era chiaro che avevamo fatto un buco

nell’acqua: l’omicida non era uno dei partecipanti

al banchetto, di conseguenza l’arsenico non era

stato occultato tra gli alimenti. Dinanzi a noi si

aprivano infinite strade e, per questo, sembrava

quasi giunta l’ora di dichiarare il fallimento

dell’indagine. Strutti da queste elucubrazioni,

rincasammo. Proprio per allontanare il pensiero

dell’ insuccesso, Guido mi chiese di prendere

l’Eneide , la cui lettura lo avrebbe consolato.

Nell’atto di prendere quel testo urtai

accidentalmente contro un altro volume che si

riversò a terra, sfaldandosi. Il mio maestrò si chinò

per raccogliere i vari fogli e, a un tratto, il suo

sguardò si fissò su uno di essi. Sentii che lesse: < Dà

mi basia mille, deinde centum, dein mille altera,

dein secunda centum…> una vampa attraversò i

suoi occhi; esclamò:<Ho capito! Il nostro errore è

stato quello di pensare che l’assassino fosse uno

dei commensali, invece non è affatto così. Giulio

ricordi quello che Piero ci disse riguardo a ciò che

fecero quella sera dopo il banchetto?>. < Mi

sembra che siano ritornati a Palazzo Medici, poi

Lorenzo fece quello che faceva di solito: sbrigava

degli uffici e vedeva delle donne> risposi. < Esatto !

E io, sciocco, non diedi peso a questo; ma è propria

allora che Lorenzo è stato avvelenato, e sai da chi?

> mi interrogò,< Non ne ho la più pallida idea,

maestro !>. < Da una donna ! Leggendo il V carme

catulliano, mi sono ricordato di aver sentito parlare

di alcuni uomini che sono morti per aver baciato

donne con arsenico sulle labbra, spesso prostitute.

Non ci resta che scoprire chi sia quella donna,

prepara i cavalli ! >.

<Ricordate il nome delle donne che frequentava

vostro padre ?> domandò il mio precettore a Piero

de’ Medici. <Mi chiedete un grande sforzo

mnemonico, Guido, considerando che, da quando è

morta mia madre, Lorenzo ha avuto in favore molte

donne, la maggior parte meretrici>. <Lo

immaginavo. Nell’ultimo periodo, non ce n’era

nemmeno una in particolare ?> ribatté. Piero

meditò a lungo, poi:< Pensandoci bene, all’incirca

Page 6: THALIA - liceibelluno.gov.it di... · astratta della realtà. La vita è dolore, angoscia, alienazione: questo è quanto affermano i “maestri ... legata all’ambito della corporeità

nell’ultimo mese, egli vedeva sovente una certa donna che si chiama…si

chiama Beatrice Ardighelli>. <L’ha vista la sera prima della morte ?> incalzò il

mio maestro.< Credo di sì… ne sono quasi certo>. < Dove posso trovarla?>,

<Presso il lupanare del lungarno>. La trovammo lì, in un ambiente squallido. <

Sappiamo che siete stata voi ad avvelenare Lorenzo de’ Medici. Vogliamo

sapere chi sono i mandanti dell’omicidio> esordì Guido. <Non c’è nessun

mandante, ho fatto tutto di mia sponte >rispose. Rimanemmo esterrefatti. <

Solo per il piacere di uccidere Lorenzo il Magnifico ?> chiesi. < No, non per

quello, ma per vendetta… Lorenzo de’ Medici era mio padre !> . La sorpresa

aumentò.< Non guardatemi come una pazza, quello che ho detto corrisponde

al vero. Mia madre, Lucrezia, figlia di Manno Donati e Caterina Bardi, era una

gentildonna appartenente ad una famiglia nobile decaduta e l'ultima figlia

della coppia. Sin dall'età di circa sedici anni fu amata da Lorenzo il Magnifico,

anche se egli dovette poi sposare, per questioni di stato, la nobile romana

Clarice Orsini. La abbandonò con me in grembo. Per questo, subito dopo,

sposò il mio patrigno, Niccolò Ardighelli, il quale, non considerandomi mai

davvero sua figlia, non mi lasciò alcuna sostanza. Per questo, mi trovo nelle

condizioni di una meretrice. Quando Lorenzo mi avvicinò, intravidi la

possibilità di riscatto e, nella mia follia, s’insinuò la speranza che mia

accogliesse come una figlia. Così, una sera, gli rivelai la verità, mostrandogli il

prezioso pugio che anni prima aveva regalato a mia madre. Anziché ricevermi

come una figlia ritrovata, inveì contro di me, dicendomi che oramai non ero

altro che una meretrice e mi costrinse a giacere con lui, pur sapendo di

essere mio padre. L’istinto mi avrebbe portato a freddarlo con lo stiletto che

aveva donato a mia madre, però non ne ebbi il coraggio. Da allora iniziai ad

escogitare un piano per vendicarmi e…sapete bene, com’è finita>. Mentre

proferiva queste parole, rigirava tra le mani il pugio di cui ci aveva detto. I

suoi occhi rilucevano, osservando la lama.< Non è uno splendido pugnale ?>

disse. <Sì, è davvero molto ben conservato; ma, forse è il caso che lo diate a

me > rispose Guido. <Era un’arma secondaria rispetto al gladius, ma gli

imperatori romani la portavano come simbolo di vita e di morte >. Dicendo

ciò, si trafisse, senza che noi riuscissimo a salvarla.La vicenda rimase

nascosta. Si preferì far credere che Lorenzo il Magnifico fosse morto a causa

di un’ulcera, anziché per mano di una meretrice. Figlia sua , per giunta.

La strada del mio maestro, poco dopo queste vicende, si separò dalla mia.

Lui viaggiò per il mondo, perché -come sosteneva Sant’Agostino- “Il mondo è

come un libro e chi non viaggia ne conosce una pagina soltanto.” Io, invece,

andai a Parigi, per studiare alla Sorbona, università in cui insegnò anche san

Tommaso d’Aquino e luogo dove ho avuto modo di incontrare uomini

straordinari.

Già dai primi filosofi del VI secolo a.C., uno dei principali problemi

su cui si sofferma la loro attenzione è quello relativo al concetto di natura, intesa sia come fondo primordiale da cui tutto deriva, sia co-

me manifestazione di ciò. Natura deriva dalla radice latina gna- più il

suffisso del participio futuro, andando così ad indicare “qualcosa che

sta sempre per nascere” o in questo caso “generare”. La natura indica

quindi qualcosa in continuo movimento, in azione, al lavoro. Questo

movimento è dato da quella che viene definita energia, ossia la capa-

cità di compiere quel movimento che permette alle cose di manifestar-

si. Questo quesito nasce da una presa d’atto da parte di questi uomini

del divenire delle cose. Osservando il Mondo attorno a sé, si scorge

quel movimento di ciclo continuo che caratterizza le cose e che per-

mette a loro di nascere, vivere, morire. Questo loro passaggio effime-

ro all’interno del mondo non ci permette però di dare un significato

all’esistenza. Per questo il quesito fondamentale che questi uomini si

pongono è: “esiste un elemento comune a tutte le cose?” Ossia, dietro

a questa manifestazione effimera dev’esserci qualcosa, un principio

da cui tutto parte e a cui tutto ritorna attraverso lo stesso movimento.

Questo principio in cui tutte le cose sono contenute viene denominato

archè. I primi filosofi si pongono quindi il problema dell’ontologia:

arrivare a conoscere in modo razionale il fondamento, senza far uso di

finalità o elementi estranei alla ragione. Questa, dopotutto, è la parti-

colarità che caratterizza la filosofia. Ad esempio la religione ha come

scopo lo studio del fondamento (Dio) per giungere ad una salvezza,

attraverso la fede, non certo attraverso la ragione. Il primo ad aver

provato a dare una spiegazione logica a questo archè fu Talete, il

quale pone come principio l’elemento acqua, andando a conferirle

delle precise caratteristiche: ingenerata, imperitura ed eterna; in quan-

to, se fosse l’opposto, sarebbe anch’essa inserita nel divenire. Ecco

che l’acqua, attraverso l’umidità, è in grado di dare vita, energia alle

cose. Dal principio acqua gli enti del divenire si creano attraverso il

movimento, la separazione è dunque la creazione d’identità che rico-

nosciamo nella molteplicità del divenire. Questo concetto di togliersi,

staccarsi dall’unità, dall’armonia dell’archè manifestandosi nella mol-

teplicità, che è caos, lo elabora Anassimandro con l’apeiron. All’in-

terno di questo, le identità delle cose non sono ancora realizzate, ma si

manifestano attraverso il movimento, concetto questo con il quale gli

antichi tentavano di fondare razionalmente la cosmologia. In realtà,

questo concetto lo ritroviamo anche nella fisica moderna. Possiamo

infatti dire che le cose in natura sono il frutto di un lavoro di trasfor-

mazione dell’energia per mezzo di un movimento vorticoso. Anassi-

mandro non aveva tenuto conto di dove dovesse essere posto il movi-

mento, poiché la sua collocazione sia all’esterno che all’interno

dell’apeiron rappresenterebbe una contraddizione, elaborata nel pen-

siero di Anassimene. L’archè di quest’ultimo contiene dentro sé il

principio del movimento, diventa quasi una sua proprietà intrinseca.

Questa rielaborazione verrà ripresa con Eraclito e Democrito.

GAIA DE ZORDO — LA FILOSOFIA PRESOCRATICA

Page 7: THALIA - liceibelluno.gov.it di... · astratta della realtà. La vita è dolore, angoscia, alienazione: questo è quanto affermano i “maestri ... legata all’ambito della corporeità

Eraclito è considerato il filosofo del divenire, collegato quindi al

Mondo Sensibile più che al Mondo Logico come sarà Parmenide. Il

suo archè è il logos, principio di razionalità che ordina il Mondo;

sua immagine è il fuoco, alimento composto da movimento, in netto

contrasto con il principio unico e immutabile che Parmenide ricono-

sce nell’essere. Il divenire funge d luogo in cui questa razionalità va

a manifestarsi. È quindi ordinato, armonico, più sulla visione di

Pitagora che su quella di Anassimandro. D’altra parte, Democrito

introduce il concetto di materia=movimento. Anche lui pone la

causa motrice della manifestazione delle cose nel divenire all’inter-

no dell’archè, che per lui, come per tutti i fisici pluralisti, è inteso in

termini di pluralità; sono gli atomi, particelle elementari e ultime dal

quale movimento si genera la materia, che diventa quindi il primo

lavoro finito. Questa è infatti una trasformazione in massa di

quell’energia o movimento che scaturisce direttamente dall’archè.

Gli atomi si muovono volteggiando e cozzando vanno a creare un

vorticoso movimento che dà forma alle cose nel divenire. La tesi di

Parmenide, per cui il divenire è una forma illusoria dell’essere, non

è quindi sbagliata, in quanto noi, attraverso i sensi, conosciamo il

lavoro finito degli elementi primordiali, non l’archè stesso. Il pro-

blema di ricercare un principio comune a tutte le cose, ossia ricerca-

re una verità assoluta, eterna, infinita, immutabile, viene meno nel V

secolo a.C. con l’avvento dei sofisti. Analizzando le teorie ontologi-

che dei precedenti filosofi, erano giunti alla conclusione che non

esiste una verità assoluta, poiché, pure ricercandola razionalmente,

come lo impone la filosofia, si può giungere a delle ipotesi comple-

tamente diverse. Casi esemplari quelli di Eraclito e Parmenide. L’ar-

chè di uno, composto da movimento tanto che il divenire, la molte-

plicità si crea all’interno di questo; l’archè dell’altro, immutabile e

unico ed è solo questo l’aspetto che ci fa arrivare a concepire la

verità, l’archè in quanto archè, l’essere in quanto essere. Con i sofi-

sti, dunque, manca l’idea di una verità assoluta; per questo questa

diventa relativa, relativa all’uomo. L’uomo è il metro, dice Protago-

ra, ossia esistono molte verità in base alla concezione, alla relazione

dell’uomo con la realtà a livello di individuo, facente parte di una

comunità o di una specie. L’attenzione si sposta dunque dal proble-

ma sulla natura all’uomo, che diviene oggetto di studio. Dato che

questa corrente filosofica è di orientamento empirico-pratica e non

aristocratico-sacerdotale, ritiene che ogni uomo, in quanto animale

ragionevole, è in grado di argomentare la propria verità ed è per

questo motivo che questi filosofi si propongono come maestri del

saper argomentare, dell’arte dell’eloquenza o retorica. Lo sguardo di

Atene è rivolto ad una realtà più democratica.

Nel VI sec. a.C. nelle città ioniche e in particolare a Mileto l'atmo-sfera dinamica e intraprendente che si sviluppa nelle diverse poleis favorisce la nascita e lo sviluppo di un nuovo modello di sapere che si affianca a quello religioso: la filosofia. Essa nasce nel momento in cui l'uomo, guardando la realtà circostante, s’interroga su quale sia l'elemento comune a tutte le cose e le risposte cui egli giunge nel corso del tempo sono molteplici e diverse. Tuttavia, durante l'età classica si possono individuare degli elementi che accomunano le ricerche dei diversi filosofi; il processo di conoscenza avviene sem-pre in stretto rapporto con l'elemento metafisico, la natura e l'uomo vengono indagati come creature derivate dal dio secondo quelli che sono gli aspetti qualitativi della realtà: la forma, la materia, il fine per cui una cosa esiste e la sua causa, il luogo in cui giacciono, ecc.. Lo studio della natura conduce sempre all'individuazione di una realtà altra, ultraterrena, come si evince dal pensiero di Parmenide, Platone o Aristotele. Nell'ambito della società urbano-borghese, invece, si verificano determinate condizioni sociali e mentali atte a favorire la nascita di una nuova cultura: la cultura umanistico-rinascimentale, che riflette a livello teorico il mutato atteggiamento dell'uomo rispetto al mondo e alla vita. L'uomo rinascimentale fu assolutamente poliedrico: la laicizzazione della cultura, il ruolo centrale del soggetto e della ragione nel pro-cesso di conoscenza e il nuovo rapporto uomo-Dio sono aspetti centrali della filosofia del tempo. Si pensi ad esempio all'ambito politico, dove si sintì il bisogno di individuare uno stato di stampo laico. Le risposte tuttavia furono differenti: da una parte vi fu il realismo politico proposto da Machiavelli, che concentrò l'attenzio-ne sulla "verità effettuale della cosa" sulla base della quale definì un modello statale libero dalla morale e dalla religione; dall'altra si inserì, invece, la riflessione di Tommaso Campanella, il quale nell'o-pera Città del Sole teorizza uno stato ideale in cui la pace, lo spirito di fratellanza, la tolleranza, la giustizia sociale e un rapporto armo-nico con la natura sono sovrani. Nell'ambito del Rinascimento vennero ampiamente riprese le due principali filosofie classiche: l'aristotelismo e il platonismo. In parti-colare quest' ultima ebbe grande successo grazie all' Accademia fiorentina di Marsilio Ficino, il quale per rinnovare la saldatura fra

religione e filosofia fece ricorso proprio al pensiero platonico. Nella sfera dei filosofi neoplatonici è individuabile anche la figura di Niccolò Cusano, che introdusse due concetti fondamentali i quali influenzarono notevolmente tutta la filosofia successiva: la dotta ignoranza e la coincidentia oppositorum. Riguardo al primo, ritenen-do egli che la conoscenza si determini soltanto dove vi è proporzio-nalità tra ciò che il soggetto conosce e ciò che si deve conoscere, affermò che l'essenza di Dio non si rivelerà mai interamente agli uomini poiché egli si manifesta ad essi con le sue opere, ma al con-tempo si ritrae celando la sua intima sostanza. Sulla base di questo aspetto molto affine alla teologia negativa, l'uomo non giungerà mai alla conoscenza di Dio proprio perché non esiste proporzione fra Dio e la ragione umana. L'atteggiamento corretto che l'uomo deve tenere è pertanto assumere in sé la consapevolezza di non poter cogliere Dio in tutta la sua magnificenza e tuttavia questa ignoranza, definita dotta poiché cosciente di sé, spinge l'uomo a una continua tensione ed elevazione verso la conoscenza divina che se pur non verrà mai raggiunta dall'uomo, lo spingerà a migliorare e ampliare in continuazione il proprio sapere, così come un poligono inscritto in una circonferenza aumentando illimitatamente i propri lati non si sovrapporrà mai ad essa. Altro aspetto fondamentale della filosofia rinascimentale è l' idea comune a tutti i filosofi di un' unica rivelazione eterna: Giordano Bruno e Ficino considerano la nascita di un determinato sapere reli-gioso nato con Mosè, trasmesso da Platone e giunto fino ai giorni loro che si costituisce come un vero e proprio sincretismo tra filoso-fia e religione. Anche la natura acquista un nuovo valore in età rinascimentale: viene indagata tsecondo i suoi iuxta propria principia di cui parla Telesio. L'indagine naturale si sviluppa attraverso la trasformazione e re-impostazione metodologica della magia e della filosofia natura-le, entrambe basate sulla convinzione che nella natura siano inscritte leggi affini a quelle della mente umana. L' Umanesimo e il Rinascimento si costituiscono pertanto come la base e lo sfondo teoretico della rivoluzione scientifica nata con Gali-lei e Bacone, individuatori di un metodo oggettivo alla base della filosofia moderna sempre più orientata verso la matematizzazione e soggettivizzazione del reale.

LISA CASAGRANDE

FILOSOFIA E MODERNITA’

Page 8: THALIA - liceibelluno.gov.it di... · astratta della realtà. La vita è dolore, angoscia, alienazione: questo è quanto affermano i “maestri ... legata all’ambito della corporeità

Lisacasagrande Gaiadezordo Eleonoragalliani Martinapontello

Andreasoppelsa Federicatancon Chiaraumattino

Hanno collaborato:

CONSIGLIATE

LETTURE

AGAMBEN Giorgio, L’ aperto. L’uomo e l’animale, Milano 2002

AGAMBEN Giorgio, Quel che resta di Auschwitz, Milano 1998

BODEI Remo, Scomposizioni. Forme dell’individuo moderno, Einaudi 1987

BODEI Remo, Destini personali. L’età delle colonizzazioni delle coscienze, Feltrinelli 2009

CASSIRER Ernst, Storia della filosofia moderna. Dall’Umanesimo alla scuola cartesiana, vol. I, tomo I, Torino 1978

FACKENHEIM Emil, Olocausto, Brescia 2011

GALIMBERTI Umberto, Gli equivoci dell’anima, Feltrinelli 1987

GARIN Eugenio, L’Umanesimo italiano. Filosofia e vita civile nel Rinascimento, Laterza 1993

GARIN Eugenio, La cultura del Rinascimento, Milano 2006

HORKHEIMER Max, Gli inizi della filosofia borghese della storia, Torino 1978

MANCUSO Vito, L’anima e il suo destino, Cortina 2007

PELLEGRINI Marco, Umanesimo. Il lato incompiuto della modernità, Brescia 2015

SEVERINO Emanuele, Istituzioni di filosofia, Brescia 2010

ZAMBRANO Maria, Filosofia e poesia, Bologna 2010