Testimonianze dell'arte romanica in Puglia e Umbria

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LICEO SCIENTIFICO STATALE “G.GALILEI” MANFREDONIA PROGETTO TESTIMONIANZE DELL’ARTE ROMANICA, IN PUGLIA E IN UMBRIA ANALOGIE E DIFFERENZE Classi II: B - D - E - F Anno scolastico: 2011 - 2012

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Arte romanica in Puglia e Umbria

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LICEO SCIENTIFICO STATALE “G.GALILEI”MANFREDONIA

PROGETTO

TESTIMONIANZE DELL’ARTEROMANICA, IN PUGLIA E

IN UMBRIA

ANALOGIE E DIFFERENZE

Classi II: B - D - E - FAnno scolastico: 2011 - 2012

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Trani Trani è una città di 53.950 abitanti. E’ una città d’arte nota per le sue bellezze architettoniche che richiamano ad un glorioso passato. Sorge su una piccola insenatura naturale della costa adriatica. Il suo territorio è prevalentemente pianeggiante. Ci sono due versioni sull’origine del suo nome: potrebbe essere la forma ridotta di “Traiano” o derivare dal termine medievale “Trana” (o “Traina”), che indicava un’insenatura adatta alla pesca. L'origine della città resta ancora oscura, ma sul suo territorio sono state rinvenute tracce di insediamenti preistorici dell'età del Bronzo. In epoca romana viene indicata come Turenum. Fu nel Medioevo uno dei più importanti porti della Puglia, crocevia di popoli e culture del Mediterraneo e “porta” dell’Oriente. Qui nell' 813 fu trasferita la sede vescovile, fino ad allora situata a Canosa, la quale era stata appena distrutta dai Saraceni. Già durante il periodo di appartenenza all’Impero bizantino la città godeva di un certo grado di prestigio e d’autonomia, come punto d’incontro tra Oriente e Occidente. Di grande importanza era il suo porto, punto di partenza e di ritorno di diverse Crociate. Era anche sede di un “ospitale” dei cavalieri Templari con annesso imbarcadero e la magnifica chiesa di Ognissanti. Fu nel periodo corrispondente alla prima Crociata, precisamente nel 1099, che nella città si iniziano i lavori per la costruzione della cattedrale in onore del santo patrono S. Nicola pellegrino. Dopo il dominio bizantino e quello normanno, nel XII secolo, la città appartenne agli Svevi: l’imperatore Federico II fortificò la città con una cinta muraria molto più ampia e, nell’anno 1233, fece costruire il Castello. La città era ormai diventata uno dei maggiori porti dell’Adriatico, il secondo dopo Venezia. Vi era il maggior insediamento ebraico dell'Italia meridionale e di esso si sono conservate due della quattro sinagoghe (la Sinagoga Grande, oggi Chiesa di S. Anna e museo e quella di Scola Nova). La crisi iniziò sotto la dominazione degli Angioini e poi degli Aragonesi (XV-XVI secolo), ma la ripresa non tardò ad arrivare nei secoli successivi, tanto che nel 1586 fu ufficialmente insediata nel Castello svevo la Sacra Regia Udienza (equivalente ad un’attuale Prefettura) che diede nuove prospettive di sviluppo sociale ed economico alla città portandola a divenire, in seguito, capoluogo della Terra di Bari, primato che detenne per oltre duecento anni.

La cattedrale di Trani La cattedrale è la costruzione più prestigiosa della città pugliese. Si tratta di un esempio di architettura romanica pugliese. Fu edificata in onore di san Nicola Pellegrino, un ragazzo greco di

18 anni morto a Trani in odore di santità il 2 Giugno del 1094. Fu costruita usando la pietra di Trani, un materiale da costruzione tipico della zona: si tratta di un tufo calcareo, estratto dalle cave della città, caratterizzato da un colore roseo chiarissimo, quasi bianco. La chiesa si distingue per il suo vistoso transetto e per l'uso dell'arco a sesto acuto nel passaggio situato sotto il campanile, fenomeno non molto diffuso nell'architettura romanica. Tramite la doppia rampa si accede a un ballatoio posto davanti alla facciata, dove al centro di archeggiature cieche si trova un portale romanico accuratamente ornato di bassorilievi. La porta centrale di bronzo è opera di Barisano da Trani e fu realizzata nel 1175, oggi custodita all’interno della cattedrale. Le tre monofore e un piccolo

rosone sul prospetto principale decorano la facciata.Queste aperture sono ornate da figure

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zoomorfe, che le conferiscono una certa plasticità. Come suggerisce l’aspetto della facciata, la struttura segue lo schema architettonico della basilica a tre navate. Inoltre, il fatto che l'entrata sia rialzata suggerisce l'idea della presenza di una cripta di una certa importanza. Una visita all'interno

rivelerà che si tratta effettivamente di una chiesa a doppio livello. È questo senz'altro uno dei maggiori elementi di originalità della chiesa. Dalla parte posteriore, l'edificio è invece delimitato da un massiccio transetto rivolto verso il mare e dotato di tre absidi. Anche questa parte della costruzione è decorata da archeggiature cieche in stile romanico. Al di sopra di questa, le facciate laterali sono decorate da due bifore e da un rosone ciascuna. L'elegante torre campanaria accanto alla facciata fu eretta soltanto in seguito, tra il 1230 e il 1239, ma il completamento, con la costruzione dei piani superiori al secondo, si ebbe poco dopo la metà del Trecento sotto il vescovo Giacomo Tura Scottini. Tipicamente romanico è l'alleggerirsi della massa procedendo verso l'alto, ottenuto con l'accorgimento architettonico delle aperture che diventano sempre più ampie salendo in alto. Sotto il campanile, un ampio arco a sesto acuto crea un effetto architettonico piuttosto insolito, dato che smaterializza sensibilmente la base su cui si scarica la massa sovrastante della torre. Lo slancio verticale del campanile è contenuto dalle finestre e dai marcapiani;la parte terminale è chiusa

con una guglia a base poligonale che gli conferisce eleganza ed equilibrio. Il portale della cattedrale di Trani consta di due elementi ornamentali, uno interno e uno esterno. La parte esterna è costituita da due colonnine poggianti su gruppi di figure umane (cariatidi) e sormontate da due capitelli corinzi che sorreggono l’archivolto, degno di ammirazione per la sua

bellissima fascia di elementi vegetali alternati con figure di animali o mostri geometricamente disposti ed intrecciati. La parte interna del portale poggia su due gruppi scultorei: a destra un leone avvinghia tra le sue zampe un uomo che si dibatte ; a sinistra un leone è in lotta con due serpenti. Nella parte frontale gli stipiti e l’archivolto presentano i soliti arabeschi ricchi di minuti particolari. Si accede alla porta centrale per due rampe di gradini simmetriche, che conducono ad un spazio quadrangolare, comunicante a sua volta con un ballatoio rettangolare. L'edificazione della cattedrale iniziò nel 1099 e venne portata a termine nel 1143 senza l'ardito campanile. Fu costruita a pianta a croce latina e divisa in tre navate da colonne binate, caratteristica che la distingue dalle cattedrali romaniche di tutta la regione; sulla navata centrale si affacciano i matronei attraverso artistiche

trifore. I capitelli del colonnato sono quasi “illeggibili”si riesce a comprendere con difficoltà lo stile corinzio - composito a seguito dei lavori eseguiti nell'Ottocento, Tutto l'insieme ispira un senso di maestosità e di grandezza, accentuate dall'arco trionfale che sovrasta l'accesso al transetto ed alle altissime absidi; nella zona presbiterale sono presenti resti di un mosaico appartenenti al XII secolo, facente parte forse della prima pavimentazione musiva, firmato dal prete Pantaleone. Attraverso due scalette si scende nella cripta di San Nicola. La cripta trasversale è stata progettata nel XII secolo e ultimata nel 1142. E' costituita da 42 crociere sostenute da 28 colonne in marmo greco, sormontate da capitelli realizzati con la stessa pietra. Un tempo l'accesso alla cripta era indipendente, testimoniato da due porte presenti ai lati delle absidi minori.

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Dalla cripta di San Nicola si passa a quella di Santa Maria. Essa occupa l'intero transetto della vecchia chiesa ed è formata da tre navate scandite da 22 colonne sormontate da capitelli di semplice fattura. Le volte sono a crociera sostenute da colonne con capitelli corinzio- composito. All'interno della chiesa vi è il sepolcro di Passasepe Lambertini, realizzato all'inizio del XIV secolo, raffigurante l'Agnus Dei e i due stemmi della Famiglia. Sul muro della navata secondaria di sinistra si intravedono le tracce di affreschi realizzati tra il XIV e il XV secolo. Dalla cripta o chiesa di Santa Maria si accede mediante una piccola scala all'ipogeo di San Leucio (primo vescovo di Brindisi) .La struttura dell'ipogeo si presenta in forma quadrangolare e circondata da un corridoio dove un tempo erano ospitate le spoglie del santo. Il pavimento dell'ipogeo è costituito da lastre in pietra e sulle pareti sono visibili resti di affreschi conservati in condizioni ottimali. Oggi la cattedrale e uno dei luoghi artistici e di culto più conosciuto della Puglia e raffigura lo splendore artistico del periodo romanico pugliese.

Le porte bronzee L’artefice delle porte, un indiscusso capolavoro di scultura bronzea, è lo scultore Barisano da Trani (sec XII).Il grandissimo merito dell’artista sta nel fatto che egli fu il primo a fondere in bronzo delle porte ornamentali in Italia. L’artista ha decorato la porta con figure appena incise, perché i suoi

soggetti sono modellati a sbalzo, come bassorilievi. Non è documentata la datazione della porta di Trani, ma sussiste l’ipotesi che sia opera matura e posteriore ad altre da lui fuse come quelle per Ravello e Monreale.Questa di Trani ha forma arcuata , con un’altezza di 5 metri e una larghezza di 3 metri. I pannelli bronzei rivestono due battenti in legno duro, pesando complessivamente 2468 kg. I pannelli sono ornati da 32 formelle incorniciate e separate da fasce arabescate. Ma , quali che fossero stati i modelli iconografici confluiti nell’esperienza del Barisano, è evidente che egli li utilizzò con estro e maestria atti a conferire alle sue immagini una più originale vivacità. Fra i modelli che sembrano attinti alla tradizione delle immagini bizantine, notiamo soprattutto uno che ritrae un soggetto molto diffuso, ma realizzato dal Barisano con più efficace vivacità e originalità: la Deposizione. Ma vi sono anche dei soggetti, di cui è piuttosto difficile trovare un riscontro con l’iconografia bizantina. Fra questi vi è San Nicola Pellegrino dall’aspetto giovanile, con la croce nella

sinistra e con la destra rivolta al cielo. Un atteggiamento nuovo rispetto al tempo in cui fu eseguito mostra il pannello raffigurante la Vergine col Bambino. L’intensità espressiva dello sguardo della Madonna e l’ampio modellato delle forme anatomiche rappresentano una sorprendente anticipazione dell’arte nuova.

La Basilica di San Leonardo in Lama volara

La basilica fa parte dell’antico monastero di San Leonardo risalente al XII secolo. Esso costituiva un importante centro di preghiera per i pellegrini che andavano a visitare il Santuario di S. Michele Arcangelo sul Monte Gargano. Presenta,infatti,locali adiacenti che servivano da foresteria (luogo per ospitare i pellegrini). Percorrendo la statale 89,che da Manfredonia porta a Foggia, dopo circa cinque chilometri si incontra sulla sinistra la basilica con tutti i locali annessi. La facciata rivolta a nord che affaccia sulla S.S 89, antica via del pellegrino, è arricchita da uno splendido portale, tra i più belli del romanico pugliese. Molto probabilmente esso è stato costruito in un secondo momento, forse in epoca sveva.

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Le decorazioni di questo portale richiamano quelle di S. Maria di Pulsano, altro antico monastero garganico. Nella parte anteriore, vi è un protiro aggettante sorretto da due leoni stilofori (sul cui

dorso,cioè,poggiano due colonne). Il leone alla destra di chi si accinge ad accedere all'abbazia maciulla una figura umana nuda(il peccatore). Il simbolismo è qui molto evidente nell'invito ad essere sobri e vigilanti. Il leone di sinistra, mutilato, sembra addentare un serpente oppure un pesce (ICHTUS, monogramma greco che significa Gesù Cristo,Figlio di Dio Salvatore): il cristiano,cibandosi di Cristo (il Pane Eucaristico) diventa forte come un leone,terribile per il demonio, ispiratore del male. I leoni

reggono, a loro volta, due animali alati che sostengono l'archivolto. Gli stipiti e le cornici del portale, dell'arco e della lunetta sono scolpiti con ornamenti vegetali, figure zoomorfe ed antropomorfe. Nella lunetta è raffigurato Gesù benedicente in mandorla tenuto da due angeli. Nella fascia superiore della lunetta, un'aquila simboleggia San Giovanni, mentre, dal lato opposto, a destra, una figura umana alata con il libro in mano rappresenta l'evangelista Matteo. Al di sotto, il toro alato simboleggia Luca e il leone rappresenta Marco. Corrono ancora, lungo tutta la fascia, un centauro con la cetra che raffigura Davide e, sul lato opposto (destro), un mostro con le corna (simbolo dell'anticristo), con le spalle rivolte a Cristo. Più sopra ancora, si scorge una cerva(l'anima anelante a Dio) e il dragone (il demonio). Anche la fascia che dalla base va fino al capitello contiene, da entrambi i lati, molti simboli: il centauro saettante, il drago ucciso da un guerriero, la lepre, la volpe che mangia l'uva, l'aquila, la cerva, due leoni addossati terminanti con una sola testa (che si sovrappongono ad una figura scimmiesca) ed infine il ragazzo che raccoglie i frutti della vite. I due capitelli interni sono costituiti da due blocchi a forma di pulvini con sculture aneddotiche. Quello di sinistra rappresenta, dall'interno verso l'esterno, l'Arcangelo Michele che, con una lancia, trafigge un drago, un pellegrino a cavalcioni su di un'asina, la quale, alla vista dell'angelo con la spada, china il capo. Il capitello di destra raffigura i tre Re Magi che vanno verso la Vergine con il Bambin Gesù e San Giuseppe. Nel frontone, tra il portale ed il baldacchino, si trovano due figure maschili con aureola, scolpite a mezzo rilievo. Quella di sinistra, per alcuni, rappresenta S. Agostino, per altri è S. Giacomo, ma potrebbe trattarsi di un personaggio laico: un sovrano o un pellegrino, perchè intorno alla testa non vi è aureola. Quella di destra, con cappuccio sulla testa , un libro in mano ed una catena, raffigura S. Leonardo. Tra i due santi molto probabilmente stava una Vergine con Bambino. Più sopra, nello stesso ordine, la cerva, simbolo dell’anima anelante a Dio, al quale fa riscontro il dragone ossia il demonio.

La stessa fascia che dalla base va fino al capitello, da entrambi i lati, contiene molti simboli. Il centauro saettante, il drago ucciso da un guerriero, la lepre, la volpe che mangia l’uva, l'aquila e la cerva, sono tutte espressioni simboliche, non esclusa la più mostruosa di due leoni addossati, terminanti con una sola testa che si sovrappongono ad una figura scimmiesca e il ragazzo che

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raccoglie i frutti della vite. Non sono da trascurarsi i due capitelli raffiguranti il personaggio con l’asina, interpretato erroneamente come il Pellegrino al Gargano, che è invece un chiaro riferimento all’episodio biblico dell’asina di Balaam, e per la presenza dell’Angelo del Signore con la spada sguainata davanti a cui l’asina s’inchina e per la scena dell’adorazione dei magi presentata sul capitello a destra. Il primo gruppo rispecchia alla lettera il testo biblico: L’ira di Jahvè s’infiammò poiché egli stava andando e l’angelo di Jahvè si appostò sul cammino per ostacolarlo…. L’asina, visto l’angelo di Jahvè appostato sul cammino, con la spada sguainata in mano deviò dal cammino… Nella seconda scena appare la stella che ha guidato i Magi: l’oracolo di Balaam parla appunto della nascita del Messia. L’Arcangelo Michele è presentato nell’atto di trafiggere il drago che gli si attorce ai piedi, secondo la formula iconografica propria al San Michele del Monte Gargano. Nel vuoto, in alto, ci sarebbe stata un'altra immagine della Vergine con il Bambino, fra San Leonardo di Limoges, discepolo di San Remigio, evangelizzatore dei Franchi, (perciò si rappresenta col Vangelo in una mano e con le catene nell’altra, simbolo della salvezza eterna, che ottiene l’anima sciolta dai vincoli del peccato di un pellegrino. Il tutto, nell’insieme, sia per l’arte sia per lo spirito religioso, ancora profondo e radicato, ci fa assegnare questa scultura alla fine del secolo XII, quando la chiesa era ancora ufficiata dai Canonici Regolari di Sant’Agostino. Tale allegoria riporta, alla mente del visitatore episodi e citazioni riportate nell'antico testamento e nel libro dell'Apocalisse. La chiesa è divisa in tre navate, la centrale coperta da una volta a botte e sormontata da due cupole, mentre le laterali da volte a semibotte, che si scaricano su pilastri e semipilastri cruciformi. Entrando dal lato settentrionale della chiesa, si nota il vuoto per la mancanza degli altari di stile barocco costruiti nel XVII secolo e rimossi durante le varie restaurazioni. Alzando lo sguardo verso la parte alta della chiesa, specialmente dell’abside, notiamo tracce di affreschi e scudi crociati

deteriorati dal tempo che ci riportano alla metà del XII secolo, quando vi giunsero i frati dell’ordine teutonico di Santa Maria di Prussia. Inizialmente la chiesa era a pianta centrale. In un secondo momento è stata costruita la navata destra, illuminata da bifore, sulla quale è presente l’antico matroneo, oggi utilizzato come coretto. Quest’ultima è separata dalla navata centrale in parte da resti di muratura della vecchia chiesa, in parte da resti di archi romani sorretti da pilastri e semipilastri. Nel complesso la struttura è sorretta da quattro pilastri compositi, con capitelli decorati sia con foglie d’acanto, caratteristiche dell’ordine

corinzio, che con volute, proprie dello stile ionico. Al centro della volta principale, è presente un piccolo rosone che il 21 giugno di ogni anno, da circa dieci secoli, scandisce attraverso gli undici petali il solstizio d’ estate. All’interno, sulla parte centrale, vi è una lapide che ricorda la data di apertura al culto (1950), dopo più di un secolo di totale abbandono. Un’opera pregevolissima presente nella chiesa è il grande crocifisso ligneo del XII secolo restaurato per interessamento della Soprintendenza ai monumenti e alle Gallerie della Puglia e custodito nella cattedrale di Manfredonia.

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Solstizio d’estate Fin d'agli inizi della civiltà c'è stata la consuetudine d'inserire nelle costruzioni a carattere religioso elementi architettonici ispirati da modelli matematici e astronomici per arricchire di elementi

simbolici il fabbricato. Essendo il tempio o il monastero al centro del microcosmo locale, l'inserimento in essi di elementi costanti nel tempo (perenni), come i fenomeni astronomici, li rendeva più vicini a Dio. Anche a San Leonardo di Siponto ritroviamo un preziosismo architettonico del genere. Ad ogni solstizio d'estate, il 21 giugno, al mezzogiorno astronomico, il sole è perfettamente sulla direttrice, penetra con un solo raggio all'interno della Chiesa attraverso un piccolo rosone posto in una cupola e va a cadere sul pavimento al centro di due pilastri che sorreggono la navata centrale in prossimità del portale laterale. Il fenomeno è stato concepito con molta precisione, abbinando calcoli astronomici a quelli architettonici al momento della costruzione dell'Abbazia. Simili artifizi si possono osservare in altre Chiese, come ad

esempio nella Cattedrale di Chartres in Francia, dove la luce passa attraverso un foro praticato in una vetrata. Il disegno spiega l'artifizio architettonico che permette, nel giorno del solstizio d'estate, di vedere la luce solare proiettata su di un punto ben preciso del pavimento.

Crocifisso ligneo di San Leonardo in Lama Volara

Il Crocifisso ligneo di San Leonardo partiva nel Settembre del 1956 per un restauro in Roma e, dopo molte peripezie, rientrava dal suo lungo esilio, in Manfredonia, solo il 24 Aprile del 1985. Nel 1958, a restauro avvenuto, era stato esposto all’Expo di Bruxelles e per circa vent’otto anni era stato

il fiore all’occhiello della Pinacoteca prov.di Bari.

Prima del 1956, dominava sull’altare, a destra dell’ingresso principale, proprio in San Leonardo. Vero capolavoro d’arte del XII-XIII sec., il Crocifisso ha dimensioni di 2,44 m di altezza per 2,20 di larghezza. Il suo volto non esprime sofferenza, ma calma, serenità e pace. Un Cristo risorto con gli occhi aperti, i piedi staccati e le braccia distese. Ci troviamo di fronte, evidentemente, ad una concezione che, nella Croce, vede uno strumento di speranza, quasi un trono per questo corpo del Cristo trasfigurato che, con le braccia spalancate, abbraccia il mondo.

Le sculture lignee del periodo federiciano e angioino costituiscono un grosso problema per il raro numero di

esemplari e pertanto è difficile dare una collocazione culturale precisa anche al Crocifisso sipontino. La corrente nordica, portata prima dai Normanni e dagli Svevi ed in seguito dagli Angioini, ha trovato alimento e linfa in Puglia e nel Gargano. In particolare, nel Gargano, la presenza di parecchi monasteri e luoghi di culto, sorti intorno al rinomato santuario di S. Michele, ha favorito le espressioni artistiche. Purtroppo la sfortunata sorte di questi monasteri, sfruttati ed abbandonati in

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seguito alla loro decadenza, non ci permette un confronto su larga scala ma solo in riferimento a pochi superstiti esemplari. Sia la D’Elia sia il Petrucci attribuiscono quest’opera ad uno scultore dauno e la datano al 1220-1230, quando cioè il monastero di San Leonardo era ancora ricco e potente. L’opera scultorea, quindi, lo avvicina al mondo della scultura d’Oltralpe, ma proprio il restauro ha permesso di rinvenire su di esso tracce di colore azzurro e rosso, elementi pittorici che convalidano l’appartenenza al mondo bizantino, dove il colore aveva un senso simbolico. Il Crocifisso, dunque, rappresenterebbe l’incontro di due mondi artistico - culturali: quello bizantino delle icone e quello scultoreo della cultura europea. Solo in Puglia e in particolare nel Gargano, che la storia circoscrive come sorgente del romanico - pugliese e luogo di incontri di nuovi popoli che si imponevano sul vecchio impero bizantino, ha forse potuto aver origine un’ opera di tale portata e di così vasto pluralismo culturale.

Orvieto La zona di Orvieto, situata al confine fra Toscana, Umbria e Lazio, su un altopiano vulcanico che domina la valle della Paglia, affluente del Tevere, fu abitata fin dai tempi più remoti da genti villanoviane e nel IX - VIII secolo a. C. divenne un potente insediamento etrusco, chiamato Velzna. Già nel VI secolo a. C., la città si distinse per la sua floridezza economica, basata sulla produzione di ceramiche e sulla lavorazione del bronzo. Velzna, insieme ad altre 12 città, si oppose all'espansione romana, finché fu rasa al suolo e a ciò seguirono secoli di decadenza. Caduto l' Impero Romano, Orvieto fece parte del regno di Alarico, di Odoacre, di Teodorico e dei suoi successori; Vitige ne sfruttò la forte posizione naturale per farne un caposaldo difensivo nella guerra contro i Bizantini, ma la città fu ugualmente conquistata, dopo un aspro assedio, da Belisario. Nel 606 fu conquistata dai Longobardi di Agilulfo e, con l'avvento di Carlo Magno, fu inglobata nell'immenso Sacro Romano Impero. Circa cinque secoli dopo, riconosciuta comune dalla Chiesa, nella florida Orvieto si manifestarono le prime lotte interne fra Guelfi e Ghibellini. Orvieto tuttavia continuò la sua politica espansionistica e strinse alleanze con due città toscane, prima con Siena e poi con la ghibellina Firenze contro Siena (1229), guerra da cui uscì sconfitta definitivamente con la battaglia di Montaperti (1260) contemporaneamente alla fuoriuscita dei Ghibellini da Firenze. Dopo lotte con alterni successi tra Guelfi e Ghillellini, nel 1354 il cardinale Egidio Albornoz, riconquistò Orvieto in nome della Chiesa e ne venne eletto Signore generale. Con il ritorno del papato si risvegliarono i litigi tra le fazioni (il governo dei Muffati contro i Mercorini, schierati con il papa) fino all'intervento diretto di Bonifacio IX, il quale riuscì a conciliare le parti avversarie e il 13 novembre del 1390 fu conclusa la pace di Benano. A metà del '400, Orvieto divenne una delle province più importanti, meta prediletta di papi e cardinali, retta pacificamente da governatori designati dalla Chiesa. finchè l'invasione napoleonica del 1798 sciolse la città da una dipendenza dalla Chiesa durata quattro secoli e mezzo. Con l'unione dell'Italia entrò a far parte della nuova Nazione per plebiscito e fu annessa alla provincia di Perugia. Nel 1927 Orvieto entrò definitivamente a far parte dell' allora istituita provincia di Terni.

Duomo di Orvieto

Il Duomo di Orvieto è la cattedrale della diocesi di Orvieto-Todi, capolavoro dell'architettura gotica dell'Italia Centrale. La costruzione della chiesa fu avviata nel 1290 per volontà di papa Niccolò IV, allo scopo di dare degna collocazione al Corporale del Miracolo di Bolsena. In principio, la direzione dei lavori fu affidata a fra' Brevignate da Perugia, a cui succedette Giovanni di Uguccione, che introdusse le prime forme gotiche. Nei primi anni del 1300 Lorenzo Maitani assunse il ruolo di capomastro

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dell'opera e ampliò in forme gotiche l'abside e il transetto (navata trasversale) e determinò l'aspetto della facciata. Il Duomo è da sempre dedicato alla Madonna Assunta. Oltre venti artisti nel corso dei secoli lavorarono alla facciata, che fu terminata alla fine del XVI secolo. Essa si presenta armoniosa, equilibrata ed uniforme nello stile. E' divisa in tre settori da quattro pilastri polistili. Il rosone, opera

di Andrea di Cione detto l'Orcagna, è racchiuso da una doppia cornice quadrata. I bassorilievi che decorano i quattro piloni della parte inferiore della facciata sono uno degli esempi più mirabili di scultura gotica in Italia. Essi descrivono il destino dell'uomo, dalla Creazione al Giudizio Finale. Sui quattro piloni abbiamo, da sinistra a destra: Storie del Vecchio Testamento, con particolare riferimento alla Genesi; Storie del Vecchio Testamento, con particolare riferimento agli Eventi Messianici; Storie del Nuovo Testamento; Giudizio Finale. Dopo la morte di Lorenzo Maitani, che realizzò il primo e l'ultimo bassorilievo, i lavori della facciata proseguirono grazie all'intervento di numerosi artisti. Questi lavorarono comunque prevalentemente alle parti comprese tra la cornice che delimita in alto i bassorilievi e la loggia ad archi trilobati. Tra questi ricordiamo Nino Pisano e Andrea Pisano. I mosaici negli spicchi del rosone sono di Piero di Puccio e raffigurano

Sant'Agostino, San Gregorio Magno, San Girolamo e Sant'Ambrogio. Le dodici edicole ai fianchi del rosone sono di Petruccio di Benedetto da Orvieto. La parte superiore delle dodici edicole del Federighi si deve a Michele Sanmicheli, che realizzò la cuspide (elemento triangolare posto a coronamento di un edificio) centrale e le due guglie ai fianchi della cuspide. La cuspide centrale fu terminata da un artista non identificato. Antonio da Sangallo il Giovane terminò la guglia centrale destra, mentre Ippolito Scalza terminò quella centrale sinistra e realizzò anche le due laterali. Alla fine del XVI secolo la facciata era finalmente terminata. I mosaici della facciata, nel corso dei secoli, sono stati pesantemente compromessi dagli eventi atmosferici e di seguito restaurati e rifatti. Nelle ghimberghe (frontone triangolare sormontante la chiusura ad arco dei portali e delle finestre) sopra i portali troviamo, da sinistra verso destra: il Battesimo di Cristo, L'Assunzione di Maria in gloria, La Natività di Maria. Negli spicchi ai lati delle ghimberghe troviamo: l'Annunciazione, gli apostoli in estasi per l'assunzione della Madonna, Gioacchino ed Anna. Nelle cuspidi in alto vediamo: lo Sposalizio della Vergine, l'Incoronazione della Madonna, la Presentazione di Maria al Tempio. Le quattro statue sulla cornice dei piloni che fiancheggiano i portali sono di Lorenzo Maitani e del figlio Vitale. Essi raffigurano i simboli dei 4 Evangelisti. Il portale principale, inquadrato come i due laterali da un profondo strombo (allargamento laterale di un vano), è rivestito con lastre bronzee dello scultore moderno Emilio Greco, che narrano opere di misericordia. L'interno risale al XIII e XIV secolo ed è a pianta basilicale.

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Il corpo longitudinale consta di tre navate ampie e luminose, coperte da un soffitto a capriate lignee. Lo spazio è articolato in sei campate da dieci grossi e alti pilastri circolari o ottagonali e da archi a tutto sesto. Nel complesso il corpo longitudinale è armonioso e permette di vederne da ogni punto

tutte le parti. Il transetto consta di tre sole campate coperte da volte a crociera e non è sporgente. La pianta è terminata da un presbiterio quadrangolare. Le pareti della navata centrale e i suoi pilastri sono caratterizzati dall'alternanza di fasce di basalto e travertino di matrice senese, che ripete la decorazione laterale esterna. Le pareti esterne delle navate laterali sono dipinte con fasce bianche e verdi scuro che riproducono i motivi della navata centrale. La decorazione pittorica fu avviata nel 1447 dal Beato Angelico con l'aiuto di Benozzo Gozzoli, cui si deve la decorazione di due delle otto vele delle due volte a crociera, raffiguranti il Cristo Giudice tra Angeli e il Coro del Profeti. I lavori furono terminati nel 1504 da Luca Signorelli che

dipinse le sei vele rimaste vuote con il Coro degli Apostoli, i Simboli della Passione e l'Annuncio del Giudizio tra angeli, il Coro dei Dottori della Chiesa, il Coro dei Martiri, il Coro delle Vergini e il Coro dei Patriarchi. Dipinse anche le scene apocalittiche dedicate alla Venuta dell'Anticristo, alla Fine del mondo, alla Resurrezione della carne e al Giudizio universale. La zoccolatura (motivo che corre lungo la base di una parete con funzione protettiva e decorativa) delle pareti contiene un programma iconografico di Luca Signorelli dedicato ai grandi poeti dell'antichità: a ognuno di essi è dedicato un ritratto, contornato da tondi che riproducono episodi tratti dalla sua opera. Al centro della cappella si trova la famosa Madonna di San Brizio, da cui l'intera cappella prese nome. Il dipinto è un'opera anonima di fine Duecento. Sul transetto destro si apre la Cappella del Corporale, realizzata tra il 1350 e il 1356 per conservare la preziosa reliquia per cui il Duomo di Orvieto era nato, il lino insanguinato o Corporale, utilizzato nella miracolosa Messa di Bolsena e macchiatosi di sangue sprizzante dall'Ostia al momento della celebrazione eucaristica da parte del sacerdote boemo Pietro da Praga. Il Corporale è conservato oggi dentro un tabernacolo realizzato tra il 1356 e 1363 da Nicola da Siena e dall'Orcagna. Lo stesso tema, viene trattato da Raffaello nel cinquecento negli affreschi alle stanze vaticane. La cappella fu interamente affrescata negli anni 1357-1364 da Ugolino di Prete Ilario e altri collaboratori che comunque si pensa abbiano svolto un ruolo secondario visto che Ugolino è l'unico ad aver firmato il ciclo. Il programma iconografico del ciclo ha come oggetto non solo gli episodi della Messa di Bolsena, ma in generale il mistero della Transustanziazione (reale presenza del Corpo di Cristo nell'ostia consacrata). Infatti, oltre al miracolo di Bolsena, sono raffigurati diversi altri prodigi che dimostrerebbero la reale presenza del corpo di Cristo. La decorazione è completata dalla Passione di Cristo e in particolare dalla raffigurazione dell'Ultima Cena. Il vero gioiello della Cappella è il Reliquiario del Corporale, capolavoro di arte gotica italiana ed europea, realizzato da Ugolino di Vieri. Il reliquiario riproduce la sagoma tripartita della facciata del Duomo con raffinate scene della Vita di Cristo e del Miracolo di Bolsena realizzate in argento, oro e smalto traslucido. Ugolino di Prete Ilario affrescò anche la Cappella Maggiore della chiesa. Gli affreschi raffigurano Storie della Vita della Madonna. Gli affreschi dell'Annunciazione e della Visitazione di Maria sono rifacimenti della fine del Quattrocento di Antonio del Massaro. Nella cappella si apre una grande finestra quadrifora caratterizzata da una vetrata istoriata, opera di Giovanni di Bonino. La vetrata è dedicata alle Storie di Maria e di Cristo. Il Crocifisso ligneo che è collocato al centro della cappella

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è opera di Lorenzo Maitani. Nel transetto destro, sopra un'alta cantoria, si trova l'organo monumentale, iniziato da Domenico Palmieri e portato a termine da Vincenzo Fulgenzi. Lo strumento fu ampliato nel 1911 dall'organaro Carlo Vegezzi Bossi.

Il pozzo di San Patrizio Il pozzo di San Patrizio venne costruito ai piedi dalla Rocca Albornoz, sul lato nord del massiccio tufaceo di Orvieto, dopo il 1527 per volere di Papa Clemente VII de'Medici, che si era rifugiato nella città di Orvieto in seguito al terribile sacco di Roma. Durante quel periodo, il Pontefice ordinò la costruzione di pozzi e cisterne per assicurare alla città autonomia idrica in caso d'invasione. Il progetto fu affidato ad Antonio da Sangallo il Giovane (architetto di fiducia del Papa) il quale, individuato il sito adatto, vicino alla rocca, ideò una struttura a doppia elica per far discendere e risalire bestie da soma senza che s'incontrassero. Il pozzo di San Patrizio esternamente si presenta come una bassa costruzione circolare avente due portoni diametralmente opposti che danno accesso

alle due scale, una per la discesa e l'altra per la risalita, indipendenti e non comunicanti tra loro. Nel lato est dell'edifico si trova la significativa scritta: “Quod natura munimento inviderat industria adiecit” ovvero: “Ciò che la natura aveva negato allo scopo di difesa lo aggiunse l'attività dell'uomo”. La doppia scala a chiocciola del Pozzo di San Patrizio è composta da 248 scalini a rampa e si sviluppa intorno ad una forma cilindrica profonda circa 53 metri; il doppio percorso a spirale è areato e illuminato dall'alto attraverso 72 finestroni, affacciandosi ai quali si scorge un abisso in cui l'occhio si perde. All'estremità inferiore della rampa di discesa, è posto un ponte

in legno che permette di attraversare il pozzo e di attingere l'acqua per poi riprendere la rampa di salita che conduce all'uscita. Sul fondo, il livello dell'acqua, alimentato da una sorgente naturale, si mantiene basso e costante grazie ad un emissario che fa defluire l'eventuale eccesso. Papa Clemente VII, che commissionò la costruzione del pozzo, morì nel 1534 e non vide mai realizzata l'opera che fu portata a termine da Simone Mosca nel 1543, sotto il pontificato di Paolo III Farnese. Il nome attuale, che è posteriore a quello originario, di Pozzo della Rocca, è ispirato ad una leggendaria caverna irlandese dove era solito pregare San Patrizio.

Assisi A parte le leggende che riguardano il suo più lontano passato e più precisamente le sue origini, si sa con certezza che Assisi fu un centro degli antichi Umbri, più volte in lotta con le confinanti località etrusche e poi ad esse alleata quando si trattò di fronteggiare l’avanzata di Roma. Fu quindi municipio romano col nome di Asisium. Con la fine dell’impero romano la città subì diverse traversie fino a che venne inglobata nel ducato longobardo di Spoleto. Agli albori del 1000 Assisi divenne libero comune: le lotte più aspre le sostenne con la vicina Perugia, comune guelfo, con la quale infine pattuì una lunga pace. Nel XII secolo fu dominio dei duchi di Spoleto, e registrò un notevole sviluppo economico e urbanistico: ne sono ancora oggi testimonianza il bellissimo tempio di Minerva, tutt’ora conservato in buone condizioni, sebbene trasformato in chiesa alla fine del primo I secolo a.C., le rovine dell’anfiteatro, del teatro e di una cisterna romana. Fu anche patria del poeta Properzio. Risale al 1182 la nascita di Giovanni di Bernardone (San Francesco) che tanto influirà sulla vita della stessa città non soltanto dal punto di vista strettamente religioso, ma anche dal punto di vista culturale e artistico.Basti pensare non solo alle chiese e a tutti gli edifici religiosi che sorgeranno, prima fra tutti la basilica di San Francesco, ma anche a tutti quegli artisti (Giotto soprattutto) che abbelliranno la chiesa con i loro capolavori pittorici e che caratterizzeranno gran

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parte dell’arte del tempo. Se tanti edifici e chiese sorgono in questo periodo sotto la spinta del rinnovamento culturale del francescanesimo, altrettanti sono quelli che vengono restaurati, trasformati e ampliati: oltre alla basilica di San Francesco, sorge quella di Santa Chiara; si rinnovano e si abbelliscono le chiese di San Rufino e di San Pietro. S’innalzano i palazzi del capitano del popolo e del monte frumentario ed anche alcune porte. Nella pittura operano, oltre a Cimabue e Giotto, Giunta Pisano e Pietro Lorenzetti. Dopo un certo periodo di tranquillità seguente alla pace con Perugia, Assisi, durante il Risorgimento, fu governata da diverse signorie, il cui dominio fu caratterizzato da cruenti lotte con le città vicine, a seguito delle quali subì diversi e terribili saccheggi e devastazioni. La città fu prima sotto l’impero e poi sotto il papato. Successivamente fu la volta delle signorie come quella di Gian Galeazzo Visconti, della famiglia dei Montefeltro, di Braccio, di Fortebraccio e di Francesco Sforza, fino alla metà del XVI secolo, quando l’Umbria fu conquistata dal papa Paolo III che costruì la famosa ‘’Rocca Paolina’’ a Perugia e ristabilì il controllo papale sulla città. Più tardi, nel XIX secolo, la città divenne parte del nascente stato italiano insieme alle altre città dell’Umbria.

Basilica di San Francesco D'Assisi La Basilica di San Francesco d'Assisi è composta da una parte inferiore e una superiore. La Basilica superiore è adibita alle funzioni liturgiche di carattere ufficiale, come testimonia la

presenza del trono papale nell'abside. Essa fu modello e ispirazione per le chiese francescane, per la basilica di Santa Chiara, sempre a Assisi, per le chiese di San Francesco a Arezzo e a Cortona, per la basilica di San Lorenzo Maggiore a Napoli. Fuori dall'Italia si riscontrano somiglianze per esempio nella Cattedrale di Angers in Francia. Sorge, oggi, là dove il Santo aveva scelto di essere sepolto, nella zona di Assisi che nel Medioevo era nota come "colle dell'Inferno", ribattezzato in questa occasione “colle Paradiso” ovvero il luogo che in

quell'epoca era destinato alle esecuzioni pubbliche. Il cantiere della Basilica fu aperto nel 1228 per volontà di Papa Gregorio IX. Furono sufficienti solo due anni per terminare la struttura architettonica della Basilica inferiore e solo altri sei per inaugurare la Basilica superiore. L'aspetto attuale della basilica di San Francesco è tuttavia il frutto di vari interventi, fra cui è bene ricordare la realizzazione del campanile con cuspidi (1239), la costruzione di un portico antistante la Basilica inferiore ('400) e di un atrio in pietra ancora per il portale della Basilica inferiore (1445), l'eliminazione delle cuspidi dal campanile (1518). La fabbrica è composta da due chiese sovrapposte. L'ingresso della Basilica inferiore di San Francesco d'Assisi è collocato sul lato sinistro della navata, attraverso un elegante portale del Duecento sormontato da un rosone e preceduto da un atrio rinascimentale, opera di Francesco di Bartolomeo da Pietrasanta. L'interno della Basilica inferiore ha una pianta a forma di Tau, simbolo caro a Francesco.

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Alla fine del XIII secolo venne modificata l'iniziale struttura romanica e vennero aggiunte le cappelle lungo le pareti laterali e l'atrio d'ingresso. Sulle pareti della navata sono dipinti alcuni brani di affreschi raffiguranti storie della vita di San Francesco e storie della passione di Cristo. Lungo la navata si aprono le cappelle: a sinistra si trova la Cappella di San Sebastiano e accanto ad essa c'è la Madonna della Salute, opera di Ottaviano Nelli. Attraverso una porta nella Cappella di Sant'Antonio si passa al chiostro del Cimitero; il pavimento e le pareti del portico sono rivestite di lastre tombali, la più antica delle quali risale al 1295. Di fronte all'ingresso si trova la Cappella di Santa Caterina in cui venne sepolto il cardinale Egidio Albornoz. La prima cappella del lato sinistro della navata è la Cappella di San Martino. Fu costruita per il cardinale Gentile Partino da Montefiore e affrescata tra il 1313 ed il 1318 da Simone Martini con storie della vita del Santo.

Proseguendo lungo la navata, sul lato destro, si trovano la Cappella di Santo Stefano (affrescata nel 1570 da Dono Doni), la Cappella di Sant'Antonio da Padova (dipinta da Cesare Sermei nel 1610) e la Cappella della Maddalena, affrescata da Giotto dal 1296 al 1329. A sinistra della terza campata si trova la Tribuna di San Stanislao, proclamato Santo ad Assisi nel 1253 da papa Innocenzo IV. Percorrendo la navata si giunge al presbiterio, che ha al centro il solenne altare papale in stile gotico, situato proprio in corrispondenza della tomba di Francesco. In alto, al centro del presbiterio, sono rappresentati Francesco d'Assisi in gloria e l'Allegoria dei tre voti: obbedienza, povertà, castità. Le pareti del presbiterio sono ricoperte da dipinti di Cimabue, Giotto, Simone Martini, Pietro Lorenzetti: la Crocifissione è attribuita a Giotto; la Vergine in Maestà, con Bambino, quattro angeli e san Francesco a Cimabue; le Storie dell'infanzia e della Passione di

Cristo a Pietro Lorenzetti. Dal transetto destro della Basilica inferiore si giunge alla Cappella delle Reliquie, realizzata nella Sala capitolare del primo convento dei frati. Nella sala sono custodite le reliquie di san Francesco. A metà della navata centrale, attraverso due rampe, si scende alla cripta in cui è custodito il corpo di san Francesco. Questo luogo, il più spoglio e povero di arte, è il cuore della basilica. In seguito alla scoperta della tomba del Santo (dicembre 1818), è stata scavata la cripta realizzata in stile neo-romanico. All'ingresso della cripta si trova la tomba della beata Jacopa de' Settesoli. Sopra l'altare è situato il sarcofago in pietra nel quale riposa la salma di Francesco. Intorno ad essa sono tumulati i resti mortali di quattro suoi compagni: Rufino, Angelo, Masseo e Leone. Inoltre, a illuminare la tomba di Francesco c'è una lampada votiva alimentata dall’olio che donato, a rotazione, dalle venti Regioni d'Italia in occasione del 4 ottobre. L'interno ad una sola navata con transetto ospita gli straordinari "affreschi allegorici" di Giotto, la "Madonna Angeli e San Francesco" e i "Cinque Santi" di Simone Martini, gli "Episodi della vita e della

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passione di Cristo", la "Madonna e Santi" e le "Stigmate" di Lorenzetti. Ancora opere di Simone Martini e Giotto sono rispettivamente: nella prima cappella destra la "Vita di San Martino" e nella terza "Santi e storie della Madonna". Nel 1818, in seguito agli scavi sotto l'altare, furono riportate alla luce e, dopo attento esame ufficialmente riconosciute, le spoglie del Santo. Solo due anni più tardi, per volontà di Papa Pio IX, fu avviata la costruzione della cripta in stile neoclassico nella Basilica inferiore. L'aspetto attuale è tuttavia il frutto di un'opera di semplificazione avvenuta intorno al 1920. La chiesa superiore, nella facciata richiama la tradizionale forma monofastigiata romanica divisa in tre settori orizzontali da una cornice leggermente aggettante. In quello inferiore è presente un portale gotico binato che dà accesso alla basilica, in quello intermedio un raffinato rosone, quello terminale ha forma di timpano e una finestra ad oculo. Sui prospetti laterali, sono presenti dei contrafforti e degli archi rampanti o “pilastri volanti”. L’interno è ad una sola navata, coperta con volte a crociera gotiche costolonate, sostenute da pilastri polistili, con abside e raffinate vetrate del 1200.E’ affrescata con il ciclo "La vita del Santo" di Giotto realizzato fra il 1296 e il 1300, con le "Storie del Vecchio e Nuovo Testamento" della scuola di Cimabue e nel transetto, nella crociera e nell’abside con affreschi dello stesso Cimabue risalenti al 1277, oltre ad opere di altri maestri quali Cavallini e Torriti. Giotto, invece, affrescò i ventotto pannelli sui muri perimetrali interni. A titolo semplificativo illustriamo: la rinuncia dei beni terreni e il dono del mantello.

San Francesco di Assisi

San Francesco (al secolo Giovanni Francesco Bernardone) nacque ad Assisi nel 1182. Figlio di un ricco mercante di stoffe, condusse da giovane vita spensierata e mondana e mostrò propensione per il mestiere delle armi. Nel 1204 cadde prigioniero nella guerra tra Assisi e Perugia e visse in tale

condizione per più di un anno, durante il quale patì per una grave malattia. Da Spoleto, allora, dovette tornare ad Assisi. Iniziò, a questo punto, quel travaglio interiore che lo portò a modificare radicalmente le sue abitudini di vita. Si dedicò ad opere di carità, facendo anche cospicue offerte, e visse tra i lebbrosi, oltre ad impegnarsi nel restauro di edifici di culto in rovina. Nel 1207 il padre lo accusò di fronte al vescovo, per indurlo a rinunciare ai suoi propositi. Francesco si spogliò degli abiti che indossava e glieli restituì, dichiarando di riconoscere per padre solo “ Colui che è nei cieli”. Il padre lo diseredò e Francesco rinunciò a tutti i suoi beni. L’episodio ha un valore emblematico, in quanto segna un rovesciamento e un rifiuto dei valori della società borghese del tempo, sostituiti dalla scelta della povertà, della cura degli altri e dell’amore per il prossimo. Nel 1208, durante una messa, nella cappella di Santa Maria degli Angeli, ricevette da Dio l’invito a uscire nel mondo e ad iniziare la predicazione. Intorno a lui si

riunirono dodici seguaci e, nel 1209, venne fondato l’Ordine francescano, che scelse la sua prima sede nella chiesetta della Porziuncola. Nel 1212 anche Chiara d’Assisi prese l’abito monastico, istituendo l’Ordine francescano delle Clarisse. Animato dal desiderio di diffondere il Vangelo anche tra gli infedeli, nel 1219, San Francesco raggiunse l’Egitto, dove venne trattato con benevolenza dal Sultano, che gli consentì di recarsi in Terrasanta. La sua spinta riformatrice venne ricondotta nell’ambito dell’ortodossia, cioè della dottrina approvata dalla Chiesa, quando, nel 1223, il Papa Onorio III approvò ufficialmente la Regola dell’Ordine. Nel settembre del 1224, il Santo si ritirò sul monte della Verna, dove ricevette le stimmate, i segni della crocifissione, dopo quaranta giorni di

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digiuno e sofferenza affrontati con gioia. Rimase per anni segnato dalla sofferenza fisica e da una cecità quasi totale, che non indebolì l’amore per Dio e per la creazione, che intanto esprimeva nel “ Cantico di frate Sole”. Composto probabilmente nel 1224, dopo una notte trascorsa fra il male che lo affliggeva agli occhi e il tormento dei topi, il Cantico è un inno di lode e ringraziamento al Signore per la bellezza e l’utilità del Sole, della natura e di tutte le creature che egli vede riunite in un unico fraterno abbraccio. Prima di morire, nella notte tra il 3 e il 4 ottobre del 1226, si congedò dai suoi seguaci con un Testamento, che integrava la Regola, esortando i frati ad una vita di povertà, di amore e di sofferenza gioiosamente accettata. Venne canonizzato nel 1228 da Papa Gregorio IX e proclamato “ Patrono d’Italia”.

La rinuncia ai beni terreni

La rinuncia ai beni terreni è la quinta delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle storie di San Francesco della Basilica superiore di Assisi, attribuiti a Giotto. La scena è organizzata secondo uno

schema molto efficace di due fasce verticali intervallate dallo sfondo neutro: a sinistra Pietro Bernardone, il padre di Francesco, infuriato, dalla notevole espressività, viene trattenuto da un uomo; dietro di lui si dispiegano i cittadini borghesi; dall'altra parte San Francesco spogliato che prega asceticamente verso la mano di Dio benedicente che appare tra le nuvole, chiaro elemento medioevale; il vescovo copre la sua nudità e altri religiosi, caratterizzati dalle vesti, lo seguono. La netta spaccatura della scena è efficacemente simbolica delle posizioni inconciliabili dei due schieramenti, che sono il passato e il presente di Francesco. Nella casualità quotidiana della folla non è tralasciata nemmeno la raffigurazione di due bambini. Notevolissima è poi la resa anatomica del corpo di Francesco, con chiare zone che definiscono il volume della muscolatura di

sorprendente modernità. Le scenografie architettoniche sono particolarmente sviluppate in altezza e creano complessi volumi con vuoti e pieni. In questi edifici non sono mantenuti rapporti dimensionali coerenti con le figure presenti, ma sono solo dei semplici sfondi alla scena che esprimono drammaticità e pongono in evidenza i protagonisti ovvero San Francesco e il padre, sottolineandone il ruolo.

Il dono del mantello

Francesco che dona il mantello a un povero è un'altra delle ventotto scene del ciclo delle storie di San Francesco. Fu dipinta tra il 1290 e il 1295 ed illustra il passo della Legenda Maior in cui si

racconta che Francesco, non ancora frate, incontra un cavaliere, nobile ma povero e mal vestito. Mosso a pietà, il santo lo riveste col suo mantello. In questo affresco è possibile riconoscere la personalità e lo stile di Giotto attraverso l’essenzialità e la chiarezza compositiva delle linee. Infatti la composizione si basa sull’incrocio delle diagonali, ogni forma è ridotta all’essenziale e si avvicina alla forma geometrica. Le figure tendono a volumi semplici e nello sfondo le rocce sono squadrate. Si può osservare come la testa del santo coincida con l’incontro delle diagonali dove il triangolo azzurro del cielo si incastra con i triangoli

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dei monti e come si sviluppi un movimento esteso a tutto lo spazio. Altro elemento giottesco è il riferimento alla realtà storica e alla vita quotidiana. I personaggi indossano i costumi del tempo e anche la figura stessa del santo non è divinizzata, ma ha un aspetto umano, ad eccezione dell’aureola. Anche lo sfondo si riferisce alla realtà: la città murata che si vede a sinistra è Assisi, il monastero a destra è quello di San Benedetto, sul monte Subasio. Infine vediamo la naturalezza di gesti e atteggiamenti come il cavallo che bruca l’erba, i gesti spontanei dei personaggi, ai quali si aggiunge il grande senso di umanità espresso dalla sua pittura.

Tecnica dell’affresco L’affresco è un’antichissima tecnica pittorica, oggi eseguita da pochissimi professionisti, mentre nei secoli scorsi conobbe grande diffusione. Abbiamo i primi esempi di affresco già nell’epoca della civiltà minoica. Principalmente si compone di tre elementi: supporto, intonaco e colore. • Il supporto, di pietra o di mattoni, deve essere secco e senza dislivelli. Prima della stesura dell’intonaco viene preparata una malta composta da calce spenta, sabbia di fiume setacciata e acqua piovana, che, applicata alla parete, si chiama “arriccio”. • L’intonaco è l’elemento portante dell’intero affresco. È composto da sabbia di fiume fine, polvere di marmo o pozzolana setacciata, calce ed acqua piovana. • Il colore è di natura minerale, poiché deve resistere all’alcalinità della calce. Con il Rinascimento, venne introdotto l’uso del cartone preparatorio: l’intero affresco veniva riportato a grandezza naturale sul cartone e le linee che componevano le figure erano poi perforate. Una volta appoggiato il cartone sull’intonaco fresco, era spolverato con finissima polvere di carbone; in tal modo la polvere, passando attraverso i piccoli fori, lasciava la traccia da seguire per la stesura a pennello. Questa tecnica è chiamata “ spolvero”, ma con il tempo venne impiegata esclusivamente per le parti del dipinto che necessitavano di maggiore precisione nell’esecuzione dei dettagli (come le mani, i volti o alcuni particolari delle vesti). Già all’inizio del Rinascimento si comincia ad impiegare una nuova tecnica: l’incisione indiretta. In questo caso la carta impiegata per riportare il disegno era molto più spessa di quella usata per lo spolvero. Si procedeva facendo aderire il cartone all’intonaco ancora fresco, ripassando successivamente le linee del disegno con uno stilo ligneo o di metallo con la punta arrotondata. La pressione dello strumento rilasciava una leggera incisione nella malta che serviva come linea guida o di contorno per la stesura definitiva del colore.

La chiesa di Santa Maria degli Angeli e la Porziuncola

La Porziuncola è una piccola chiesa nella piana di Santa Maria degli Angeli presso Assisi. Essa rappresentò sempre un punto di riferimento nella vita del santo, che, vicino alla morte, vi volle essere trasportato per spirarvi in preghiera. La P., che ora è compresa quasi inalterata nella Basilica di S.Maria degli Angeli, è nota soprattutto per l’ Indulgenza, detta anche Perdono di Assisi. La chiesa di S. M. degli A. sorse proprio in funzione della conservazione di questo ambiente che fu il luogo ove S. Francesco soggiornò a lungo e fondò il suo Ordine. Con certezza si sa che la chiesa appartenne all’Ordine benedettino finchè S. Francesco non la scelse per la povertà e la solitudine che il posto ispirava. Anche la vita di S.

Chiara è legata a questi luoghi poiché venne qui facendo voto di povertà, castità e obbedienza.

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La parte frontale della Porziuncola è oggi decorata da una facciata goticheggiante sormontata da un tabernacolo. All'interno appare più evidente l’estrema povertà e umiltà dell’ambiente.Oggi ancora più suggestivo, è illuminato da lampade pensili e da una tavola trecentesca che segue l’andamento ogivale della parete di fondo: si tratta di una “Annunciazione” contornata da Storie della vita del Santo, di Ilario da Viterbo. Anche le fiancate ed il retro della parete presentano resti di affreschi ed una terracotta raffigurante S. Francesco. Qui si trova anche la tomba di un confratello, il Beato Pietro di Catanio. Sul retro della parete sulla destra, vi è la Cappella del Transito ove, nella massima povertà, sulla nuda terra, morì S.Francesco. Esternamente oggi presenta un affresco rappresentante la Morte del Santo. All’interno ci sono altri affreschi ed una bella statua in terracotta smaltata di Andrea della Robbia, raffigurante il Santo. Quindi, nella nuova cripta, che è stata recentemente edificata, troviamo lo stupendo polittico in terracotta di Andrea della Robbia che, su smagliante fondo azzurro, rappresenta storie della Madonna e di S. Francesco. Nella sagrestia sul braccio destro si ammirano arredi seicenteschi molto elaborati. Dopo un porticato, sorge un’altra statua del Santo con una pecorella. Si giunge quindi al roseto che accoglie piante di rose senza spine. Una tradizione racconta che i fiori si privarono delle loro spine per non far del male a Francesco sul momento in cui vi si gettò in mezzo nudo per resistere alle tentazioni e mortificare il proprio corpo.

Spoleto

Situata su un’altura (m 396 s.l.m.) alle pendici del Monteluco, è uno dei centri d’arte più rinomati della regione e di tutta italia. Fondata dai Pelasgi intorno al X sec.a.C e poi dominata dagli Umbri, fu etrusca e, successivamente, fu assoggettata da Roma durante le guerre sannitiche, dopo la battaglia del Sentino (295 a.C.). Fu trasformata in colonia romana con il nome di Spoletium. Si dimostrò alleata di Roma soprattutto in occasione dell’incursione in Italia di Annibale, il quale, dopo aver sconfitto le guarnigioni romane presso il Trasimeno, fu fermato nella rapida avanzata verso Roma proprio dalla strenua resistenza opposta da Spoleto. Le ingenti perdite riportate indussero Annibale a deviare verso il Piceno e la Puglia. Trasformata in municipio romano, Spoleto divenne ben presto luogo di villeggiatura per la ricca borghesia romana, che edificò nell’area numerose ville (a quest’epoca appartengono importanti testimonianze architettoniche: Arco di Druso e Germanico( 23 d.C ), casa della madre di Vespasiano, teatro ed anfiteatro ( I e II sec.d.C). La città seguì le vicissitudini dell’ Impero: cristiana fin dal IV sec., divenne sede episcopale. Invasa e devastata dai Goti, nel 537 fu conquistata da Belisario e poi da Totila e Narsete. Occupata dai Longobardi nel 572, fu eletta capitale del Ducato che da essa prese il nome e che si ampliò e prosperò fino al 774, anno in cui i Franchi sconfissero definitivamente i Longobardi, decretando la fine del loro Regno. Perse così notevolmente in autonomia e fu dominata dagli imperatori germanici attraverso vari vassalli. Quando l’Impero carolingio fu smembrato, i duchi di Spoleto tentarono di conquistare la corona imperiale, ma Federico Barbarossa non lo permise. Spoleto era uno dei più importanti comuni autonomi del Centro Italia e l’imperatore, sceso in Italia per incontrare il Papa, la distrusse nel 1155. Fu proprio questa perdita di vitalità politica ed economica a favorire una progressiva sottomissione allo Stato della Chiesa. Gregorio IX ottenne da Federico II il definitivo riconoscimento della sovranità della Chiesa su Spoleto nel 1231 e il Ducato fu soppresso nel 1247. Nel periodo delle lotte tra Guelfi e Ghibellini, il cardinale Albornoz, che l’aveva scelta come caposaldo per la riconquista allo Stato pontificio, occupò la città, determinando anche la fine degli eccidi. Nel 1375, essa passò alla famiglia degli Orsini e, in seguito, ai Borgia, rimanendo poi sempre legata alla Chiesa ed iniziando una lunga decadenza. Occupata dai Francesi nel 1799, dopo la sconfitta di Napoleone fu annessa nuovamente allo Stato della Chiesa. Nel 1860 passò al Regno d’Italia.

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Il duomo Situata nella parte alta, sotto la Rocca Albornoz, la Cattedrale di Santa Maria Assunta è il Duomo della città di Spoleto. La sua è una storia molto varia : sorse sulle rovine di un’antica Chiesa dedicata a Sant’ Elia (o di due Chiese: S. Maria del Vescovato e S. Primiano) dell’VIII sec., dopo la distruzione del 1115 dovuta al Barbarossa. Fu eretta, in stile romanico-lombardo, verso la fine del XII sec., consacrata da Papa Innocenzo III nel 1198 e terminata nel 1216-1217. Ha subito interventi successivi, con l’aggiunta di un portico di stile rinascimentale, tra il 1491 e il1504, e con l’infelice rifacimento degli interni nel ‘600, ad opera del Bernini, che cancellò molto della parte antica. La facciata è romanica ed è di splendida bellezza. E’ stata ritoccata più volte, fino ad assumere la

conformazione attuale di facciata a “capanna”. Essa è divisa orizzontalmente in tre parti. La parte sottostante è costituita da un elegante portico, di gusto rinascimentale, opera di Antonio Barocci da Milano, che ha sostituito il semplice portico (endonartece) romanico con tetto a falde inclinate. Si sviluppa in cinque arcate pausate da semicolonne, coronate da un fregio scolpito ed un’elegante balaustra marmorea. Come completamento, ai lati, ci sono colonne binate ( insieme di due colonne) che inquadrano i due pergami, sorta di piccoli pulpiti, creando un elemento di chiusura architettonica perfetto del portico. Nella parte mediana, si vede uno splendido rosone e quattro rosoncini. Il rosone centrale è circondato dai simboli dei Quattro Evangelisti. Nella parte superiore, sono tre rosoncini ad archi intrecciati su colonnine e tre arcate ogivali profilate, la mediana con grande mosaico di sapore bizantino (1207), raffigurante il Redentore tra la Madonna e San Giovanni, opera di Solsterno.

A sinistra del portico, si eleva l’imponente campanile, costruito nell’ XI-XII sec. e rialzato nel XV sec. con materiali di recupero romano-paleocristiani e medievali del XII sec. La torre campanaria, formata da blocchi di travertino, è del ‘400, mentre la guglia è del 1500.L’interno del Duomo è totalmente diverso dal suo aspetto originario. Dell’impianto romanico restano solo il pavimento musivo della navata centrale e l’abside centrale. Dell’antica Chiesa (quella dell’VIII sec.) si è conservata la Cripta ( di San Primiano ?) sotto l’attuale Cappella delle Reliquie. Semplice ma essenziale, l’interno, dunque, è di stampo tardo-rinascimentale, a croce latina con tre navate e grande abside. Fu ricostruito nel ‘600, per volontà del vescovo Maffeo Barberini, che divenne poi Papa con il nome di Urbano VIII (interessante il suo busto bronzeo presso il portale mediano d’ingresso, opera del Bernini). Le colonne romaniche furono sostituite da enormi pilastri di sostegno, i quali fecero diventare la Chiesa un complesso a sei campate. Come copertura delle navate laterali si adottò il sistema delle volte a crociera. Furono aggiunti due vestiboli, ai lati dell’altare maggiore e furono allungati i transetti per aggiungere due altari di testata. L’intera Cattedrale fu coperta con volte a botte e completata, finalmente, verso la fine del XVIII secolo, quando a Giuseppe Valadier fu dato l’incarico di progettare le edicole presenti nelle navatelle, gli altari di testata dei transetti e l’altare maggiore. Il dipinto presente nel catino absidale è di Filippo Lippi, famoso pittore fiorentino cui furono commissionati gli affreschi con storie della Vergine.

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La cattedrale conserva importantissime opere d’arte: sul portale mediano il già citato busto bronzeo di Urbano VIII, affreschi del Pinturicchio nella Cappella del Sacro Cuore e nella Cappella Eroli (navata destra), oltre agli affreschi di Filippo Lippi, che morì proprio a Spoleto nel 1469 e lì fu sepolto. Il figlio, Filippino, disegnò il sepolcro in marmo con busto e Angelo Poliziano scrisse l’epitaffio.

Basilica di San Salvatore

La Basilica di San Salvatore è una delle principali testimonianze architettoniche della Langobardia minor e fa parte del sito “ Longobardi in Italia: i luoghi del potere”, comprendente sette luoghi

dell’arte longobarda, inscritti nella Lista dei patrimoni dell’Umanità dall’Unesco, dal giu.2011. L’edificio sorge isolato, su di un colle, nei pressi del cimitero. E’ la più antica chiesa di Spoleto e, secondo gli studiosi, il maggior monumento spoletino dell’antichità, una fondazione paleocristiana che ha rivestito una notevole importanza nell’evoluzione dell’architettura umbra medievale. Fu costruita nel IV-V sec.,e dedicata inizialmente a San Concordio. Fu restaurata in età longobarda ( VIII sec.d.C.) e prese il nome di S. Salvatore, per l’immagine del Cristo sopra l’altare maggiore. Il restauro condotto dai Longobardi raggiunse una coerenza classicheggiante eccezionale sia nella struttura architettonica scandita dalle

colonne di navata e presbiterio, sia nella ripresa dei modelli decorativi romani. Deturpata nel 1700, la Chiesa fu restaurata nei secoli successivi. L’aspetto attuale deriva dai restauri del XX sec., che hanno eliminato varie alterazioni precedenti. Dell’edificio originario restano la facciata e il presbiterio con abside semicircolare. La facciata è a doppio saliente, con la parte centrale che si innalza con sensibile verticalismo sino a un coronamento piatto. Nella parte alta, si aprono tre monofore dalla ricca decorazione marmorea. Nella parte inferiore, originariamente preceduta da un portico, si trovano tre portali rettangolari, ricoperti da ricche decorazioni classiche. Il portale centrale è racchiuso da un elemento murario aggettante, sul quale si riconoscono tutti gli elementi decorativi classici: dall’alto si susseguono palmette, perline/ fusarole, modiglioni a voluta intercalati da cassette a fioroni, ovoli, dentelli, raggi a cuori e staffe. Sull’architrave sottostante si distende, a partire da una croce centrale, un doppio fregio a girali dai grandi fioroni. Uno stretto fregio a palmette e dentelli separa l’architrave dalla cornice del portale, decorata da doppie serie a raggi e perline (o fusarole). Due volute ad “S” aggettanti sporgono ai lati dell’architrave. I portali laterali riprendono la struttura e lo schema decorativo di quello centrale. L’interno, a pianta basilicale, è a tre navate, divise da due file di nove colonne corinzie con trabeazione dorica, forse appartenenti ad un preesistente tempio

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romano. Oggi le colonne sono purtroppo legate da muri, posti intorno all’VIII sec., quando si resero necessari in seguito ad un incendio o ad un crollo nella Basilica. Davanti all’abside si apre il presbiterio, inquadrato da un arco trionfale e delimitato da colonne scanalate coronate da eleganti capitelli corinzi. Esso è chiuso da una cupola ad otto spicchi che poggia su quattro alte colonne angolari. L’absidiola della navata destra è impreziosita da affreschi del ‘400 (allievo di Benozzo Gozzoli), da una croce monogrammata e gemmata del IX sec. e da una cinquecentesca Crocifissione di scuola dello Spagna.

Il teatro romano di Spoleto Il Teatro romano risale al I secolo a.C. Subì danni per una frana, forse a seguito di un terremoto, e fu restaurato già nell’antichità. In seguito fu riutilizzato come cava di pietra e, nel XII sec., venne costruita, su parte della scena, la chiesa di Sant'Agata, affiancata nel XIII e XIV secolo dalle case della famiglia Corvi. Nel complesso, si insediò, alla fine del XIV sec., il monastero di suore benedettine di Sant'Agata e nel XVI secolo vi venne realizzato un chiostro su pilastri ottagonali. Nel 1870 il monastero venne adibito a carcere. Le rovine del teatro, ancora visibili nel Cinquecento, erano state disegnate da Baldassarre Peruzzi, ma il sito venne identificato solo nel 1891 e, dal 1938, furono condotti scavi sistematici. . Il monastero di Sant'Agata ospita oggi il Museo nazionale archeologico di Spoleto e il teatro viene utilizzato per concerti e spettacoli, in particolare nell'ambito del Festival dei Due Mondi ( rassegna internazionale di lirica, danza, concerti, mostre e film, istituita dal compositore Giancarlo Menotti nel 1958, con lo scopo di creare un momento d’incontro e scambio tra la cultura italiana, americana ed europea in generale). Il teatro romano si trova all'interno delle mura cittadine e conserva una cavea di 70 m di diametro, in parte poggiata su un ambulacro a pianta semicircolare, coperto da volta a botte, dal quale si poteva accedere tramite tre accessi (vomitoria) ai posti a sedere. Dalle estremità della cavea si accedeva invece ai posti riservati ai magistrati e ai cittadini eminenti. L'orchestra conserva la pavimentazione in lastre di marmo colorato e, sul proscenio, sono visibili i fori per i pali del sipario. La facciata esterna era costituita da arcate inquadrate da semicolonne di ordine tuscanico. Schema di un teatro Romano A - Cavea 1 - muri di sostegno 2 - divisioni laterali delle gradinate 3 - divisioni tra i settori 4 - scale B - Scena 5 - parte di fondo della scena 6 - parte anteriore della scena 7 - tavole dipinte con gli sfondi della scena 8 - parte della scena C - Orchestra 9 - accessi all'orchestra 10 - sedili dei sacerdoti e dei maggiorenti 11 - alta