Testi Percorso Letteratura Religiosa e Comica

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LA MOLTEPLICITÀ DEI GENERI LETTERARI NELL’ITALIA DEL DUECENTO Cantico di Frate Sole di San Francesco d’Assisi Il Cantico di Frate Sole venne scritto, secondo la tradizione, nel 1224, quando il santo, dopo una notte trascorsa tra il male che lo affliggeva agli occhi e il tormento dei topi, avrebbe avuto una visione divina, che lo faceva certo della sua salvezza terrena. Secondo la stessa tradizione i versetti sul perdono sarebbero stati aggiunti quando Francesco rappacificò tra loro il vescovo e il podestà di Assisi, quelli sulla morte quando sentì approssimarsi la fine (ma queste interpretazioni, con cui si cercò forse di giustificare certe asimmetrie di struttura e l’evidente cambiamento di tono, non sono confermate). Metro: prosa ritmica, suddivisa in gruppi di due, tre, cinque versetti, sull’esempio dei salmi biblici. Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione. Ad te solo, Altissimo, se konfano, et nullu homo ène dignu te mentovare. Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual’è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de te, Altissimo, porta significatione. Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle: in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento. Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore et sostengo infirmitate et tribulatione. 1

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LA MOLTEPLICITÀ DEI GENERI LETTERARI NELL’ITALIA DEL DUECENTO

Cantico di Frate Soledi San Francesco d’Assisi

Il Cantico di Frate Sole venne scritto, secondo la tradizione, nel 1224, quando il santo, dopo una notte trascorsa tra il male che lo affliggeva agli occhi e il tormento dei topi, avrebbe avuto una visione divina, che lo faceva certo della sua salvezza terrena. Secondo la stessa tradizione i versetti sul perdono sarebbero stati aggiunti quando Francesco rappacificò tra loro il vescovo e il podestà di Assisi, quelli sulla morte quando sentì approssimarsi la fine (ma queste interpretazioni, con cui si cercò forse di giustificare certe asimmetrie di struttura e l’evidente cambiamento di tono, non sono confermate).

Metro: prosa ritmica, suddivisa in gruppi di due, tre, cinque versetti, sull’esempio dei salmi biblici.

Altissimu, onnipotente, bon Signore,tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad te solo, Altissimo, se konfano,et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,spetialmente messor lo frate sole,lo qual’è iorno, et allumini noi per lui.

Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:de te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate ventoet per aere et nubilo et sereno et onne tempo,per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,per lo quale ennallumini la nocte:ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,la quale ne sustenta et governa,et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amoreet sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke ’l sosterrano in pace,ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,da la quale nullu homo vivente pò skappare:guai a·cquelli ke morrano ne le peccata mortali;beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,ka la morte secunda no ’l farrà male.

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Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiatee serviateli cum grande humilitate.

LA MOLTEPLICITÀ DEI GENERI LETTERARI NELL’ITALIA DEL DUECENTODonna de Paradiso (XIII secolo) di Jacopone da Todi Lauda drammatica in cui la Madonna, Cristo, il popolo ed il Nunzio dialogano tra loro sul Calvario, dinnanzi alla croce sulla quale è deposto Cristo. Metro: ballata di settenari; schema delle rime: aaax e mmmx per la ripresa.

N.«Donna de Paradiso,lo tuo figliolo è presoIesù Cristo beato.

Accurre, donna e videche la gente l’allide;credo che lo s’occide,tanto l’ò flagellato».

M.«Como essere porria,che non fece follia,Cristo, la spene mia,om l’avesse pigliato? ».

N.«Madonna, ello è traduto,Iuda sì ll’à venduto;trenta denar’ n’à auto,fatto n’à gran mercato».

M.«Soccurri, Madalena,ionta m’è adosso piena!Cristo figlio se mena,como è annunziato».

N.«Soccurre, donna, adiuta,cà ’l tuo figlio se sputae la gente lo muta;òlo dato a Pilato».

M.«O Pilato, non fareel figlio meo tormentare,ch’eo te pòzzo mustrarecomo a ttorto è accusato».

P.«Crucifige, crucifige!Omo che se fa rege,secondo nostra legecontradice al senato».

M. «Prego che mm’entennate,nel meo dolor pensate!Forsa mo vo mutatede que avete pensato».

P.«Traiàn for li latruni,che sian soi compagnuni;de spine s’encoroni,ché rege ss’è clamato!».

M.«O figlio, figlio, figlio,figlio, amoroso giglio!Figlio, chi dà consiglio

al cor me’ angustiato?

Figlio occhi iocundi,figlio, co’ non respundi?Figlio, perché t’ascundial petto o’ sì lattato?».

N.«Madonna, ecco la croce,che la gente l’aduce,ove la vera lucedéi essere levato».

M.«O croce, e que farai?El figlio meo torrai?E que ci aponerai,che no n’à en sé peccato?».

N.«Soccurri, plena de doglia,cà ’l tuo figliol se spoglia;la gente par che vogliache sia martirizzato».

M.«Se i tollit’el vestire,lassatelme vedere,com’en crudel firiretutto l’ò ensanguenato».

N.«Donna, la man li è presa,ennella croc’è stesa;con un bollon l’ò fesa,tanto lo ‘n cci ò ficcato.

L’altra mano se prende,ennella croce se stendee lo dolor s’accende,ch’è plu multiplicato.

Donna, li pè se prènnoe clavellanse al lenno;onne iontur’aprenno,tutto l’ò sdenodato».

M.«Et eo comenzo el corrotto;figlio, lo meo deporto,figlio, chi me tt’à morto,figlio meo dilicato?

Meglio aviriano fattoch’el cor m’avesser tratto,ch’ennella croce è tratto,stace descilïato!».

C.«O mamma, o’ n’èi venuta?

Mortal me dà’ feruta,cà ’l tuo plagner me stuta,ché ’l veio sì afferato».

M.«Figlio, ch’eo m’ aio anvito,figlio, pat’e mmarito!Figlio, chi tt’à firito?Figlio, chi tt’à spogliato?».C.«Mamma, perché te lagni?Voglio che tu remagni,che serve mei compagni,ch’êl mondo aio aquistato».

M.«Figlio, questo non dire!Voglio teco morire,non me voglio partirefin che mo ’n m’esc’ el fiato.

C’una aiàn sepultura,figlio de mamma scura,trovarse en afranturamat’e figlio affocato!».

C.«Mamma col core afflitto,entro ’n le man’ te mettode Ioanni, meo eletto;sia to figlio appellato.

Ioanni, èsto mea mate:tollila en caritate,àginne pietate,cà ‘l core sì à furato».

M.«Figlio, l’alma t’è ’scita,figlio de la smarrita,figlio de la sparita,figlio attossecato!

Figlio bianco e vermiglio,figlio senza simiglio,figlio, e a ccui m’apiglio?Figlio, pur m’ài lassato!

Figlio bianco e biondo,figlio volto iocondo,figlio, perché t’à el mondo,figlio, cusì sprezzato?

Figlio dolc’e placente,figlio de la dolente,figlio àte la gentemala mente trattato.

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Ioanni, figlio novello,morto s’è ’l tuo fratello.Ora sento ’l coltello

che fo profitizzato.

Che moga figlio e mate

d’una morte afferrate,trovarse abraccecatemat’e figlio impiccato!».

LA MOLTEPLICITÀ DEI GENERI LETTERARI NELL’ITALIA DEL DUECENTO

Tre cose solamente mi so ’n grado di Cecco Angiolieri

Metro: sonetto; schema delle rime: Tre cose solamente mi so ’n grado,le quali posso non ben men fornire:ciò è la donna, la taverna e ’l dado;queste mi fanno ’l cuor lieto sentire.

Ma sì me le conven usar di rado,ché la mie borsa mi mett’al mentire;e quando mi sovvien, tutto mi sbrado,ch’i’ perdo per moneta ’l mie disire.

E dico: – Dato li sia d’una lancia! –Ciò a mi’ padre, che mi tien sì magro,che tornare’ senza logro di Francia.

Trarl’un denai’ di man serìa più agro,la man di pasqua che si dà la mancia,che far pigliar la gru ad un bozzagro.

S’i’ fosse foco, arderei ’l mondodi Cecco Angiolieri

Metro: sonetto; schema delle rime:

S’i’ fosse foco, arderei ’l mondos’ i’ fosse vento, lo tempesterei;s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;

s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo,ché tutti cristïani imbrigherei;s’i’ fosse ’mperator, sa’ che farei?A tutti mozzarei lo capo a tondo.

S’i fosse morte, andarei da mio padre;s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:similemente farìa da mi’ madre.

S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,torrei le donne giovani e leggiadre:e vecchie e laide lasserei altrui.

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Al cor gentil rempaira sempre amoreDi Guido Guinizzelli

Al cor gentil rempaira sempre amorecome l’ausello in selva a la verdura;  né fe’ amor anti che gentil core,né gentil core anti ch’amor, natura:5  ch’adesso con’ fu ’l sole,sì tosto lo splendore fu lucente,né fu davanti ’l sole;e prende amore in gentilezza lococosì propïamente10come calore in clarità di foco.

Foco d’amore in gentil cor s’aprendecome vertute in petra prezïosa,  che da la stella valor no i discendeanti che ’l sol la faccia gentil cosa;15  poi che n’ha tratto fòreper sua forza lo sol ciò che li è vile,stella li dà valore:così lo cor ch’è fatto da naturaasletto, pur, gentile,20donna a guisa di stella lo ’nnamora.

Amor per tal ragion sta ’n cor gentileper qual lo foco in cima del doplero:  splendeli al su’ diletto, clar, sottile;no li stari’ altra guisa, tant’è fero.25  Così prava naturarecontra amor come fa l’aigua il fococaldo, per la freddura.Amore in gentil cor prende riveraper suo consimel loco30com’ adamàs del ferro in la minera.

Fere lo sol lo fango tutto ’l giorno:vile reman, né ’l sol perde calore;  dis’omo alter: «Gentil per sclatta torno»;lui semblo al fango, al sol gentil valore:35  ché non dé dar om féche gentilezza sia fòr di coraggioin degnità d’ere’sed a vertute non ha gentil core,com’aigua porta raggio40e ’l ciel riten le stelle e lo splendore.

Splende ’n la ’ntelligenzïa del cieloDeo crïator più che [’n] nostr’occhi ’l sole:

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  ella intende suo fattor oltra ’l cielo,e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole;45  e con’ segue, al primero,del giusto Deo beato compimento,così dar dovria, al vero,la bella donna, poi che [’n] gli occhi splendedel suo gentil, talento50che mai di lei obedir non si disprende.

Donna, Deo mi dirà: «Che presomisti?»,sïando l’alma mia a lui davanti.  «Lo ciel passasti e ’nfin a Me venistie desti in vano amor Me per semblanti:55  ch’a Me conven le laudee a la reina del regname degno,per cui cessa onne fraude».Dir Li porò: «Tenne d’angel sembianzache fosse del Tuo regno;60non me fu fallo, s’in lei posi amanza».

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