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LA POPOLAZIONE UMANA VARIA NEL TEMPO Classe III media Tempi di lavoro: 6 ore FINALITÀ Sviluppare negli alunni la capacità di comprendere i continui mutamenti che coinvolgono la popolazione umana, facendo loro notare lo stretto legame tra le risorse naturali offerte dall’ambiente in cui gli uomini si trovano a vivere e lo sviluppo storico, sociale, economico di un popolo e di uno stato. MOTIVAZIONE Il percorso potrà essere sviluppato dall’osservazione diretta delle dinamiche demografiche che coinvolgono la popolazione italiana sul territorio nazionale. Partendo da questa osservazione, si condurranno i ragazzi ad una riflessione su come i mutamenti della popolazione di uno stato, come l’Italia, si inseriscano in un panorama decisamente più ampio che è quello mondiale. Inoltre si farà constatare ai ragazzi come la posizione geografica e lo sviluppo economico di uno stato siano fattori importanti nell’attirare grandi flussi migratori provenienti da altri paesi. PREREQUISITI Concetto di demografia; 1

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LA POPOLAZIONE UMANA VARIA NEL TEMPO

Classe III media

Tempi di lavoro: 6 ore

FINALITÀ

Sviluppare negli alunni la capacità di comprendere i continui mutamenti che coinvolgono la

popolazione umana, facendo loro notare lo stretto legame tra le risorse naturali offerte dall’ambiente

in cui gli uomini si trovano a vivere e lo sviluppo storico, sociale, economico di un popolo e di uno

stato.

MOTIVAZIONE

Il percorso potrà essere sviluppato dall’osservazione diretta delle dinamiche demografiche che

coinvolgono la popolazione italiana sul territorio nazionale. Partendo da questa osservazione, si

condurranno i ragazzi ad una riflessione su come i mutamenti della popolazione di uno stato, come

l’Italia, si inseriscano in un panorama decisamente più ampio che è quello mondiale. Inoltre si farà

constatare ai ragazzi come la posizione geografica e lo sviluppo economico di uno stato siano fattori

importanti nell’attirare grandi flussi migratori provenienti da altri paesi.

PREREQUISITI

Concetto di demografia;

Concetto di popolazione;

Concetto di migrazione;

Concetto di straniero: immigrati comunitari ed extracomunitari.

OBIETTIVI COGNITIVI

Conoscere la popolazione italiana e mondiale dal punto di vista:

demografico;

migratorio.

Conoscere la distribuzione della popolazione sul territorio italiano;

Conoscere l’attuale distribuzione della popolazione mondiale;

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Apprendere i concetti di:

popolazione residente;

popolazione presente;

densità di popolazione;

indice di natalità;

indice di mortalità,

vita media.

OBIETTIVI OPERATIVI

Saper leggere carte tematiche sulla distribuzione della popolazione;

Saper costruire un grafico a istogramma relativo alla distribuzione degli abitanti sul territorio

OBIETTIVI FORMATIVI

Assumere la consapevolezza delle trasformazioni storiche, sociali ed economiche che

avvengono nel corso del tempo e saperle rapportare alle diverse situazioni del mondo

contemporaneo.

CONTENUTI

La popolazione italiana;

movimento naturale della popolazione italiana;

movimenti migratori in Italia;

distribuzione della popolazione italiana sul territorio;

distribuzione della popolazione mondiale;

dinamiche demografiche nella popolazione mondiale;

migrazioni nel mondo.

METODOLOGIA

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Dopo aver valutato il possesso dei prerequisiti, il percorso didattico sarà sviluppato attraverso il

coinvolgimento diretto dei ragazzi, i quali con opportune domande rivolte dall’insegnante, nel

contesto di una lezione dialogata, saranno indotti a riflettere e a riferire su ciò che solitamente si

mostra ai loro occhi relativamente alla popolazione delle nostre città, anche attraverso i telegiornali.

Si rifletterà, dunque sulla popolosità delle città italiane, per lo meno quelle in cui vivono gli

studenti, sulla composizione della popolazione italiana, deducibile anche dalla eterogeneità delle

attuali classi scolastiche, sul continuo arrivo di immigrati da diversi paesi del mondo. L’emersione

di interrogativi ed ipotesi costituiranno il principale materiale su cui lavorare. L’insegnante svolgerà

il ruolo di guida del gruppo classe, avvalendosi all’occorrenza della lezione frontale.

STRUMENTI

Manuale scolastico, atlante geografico, fotografie e documenti (ricercati dagli stessi studenti), carte

tematiche.

COLLEGAMENTI INTERDISCIPLINARI

Storia, educazione civica.

Il percorso consta di due unità didattiche che potrebbero inserirsi in un modulo su

Popolazione e città, da proporre come introduzione allo studio del mondo.

Unità didattica 1

Lezione dialogata/ Lezione frontale

L’insegnante pone alla classe delle domande, e in base alle riflessioni che via via emergono,

imposta l’argomentazione. Si faranno notare agli studenti i diversi fattori che influenzano le

dinamiche demografiche e l’importanza delle risorse economiche e della collocazione

geografica di un territorio in relazione alla distribuzione della popolazione.

INTRODUZIONE

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La popolazione è l’insieme delle persone che vivono in un determinato territorio (città, regione,

nazione ecc.).

Con il passare degli anni la popolazione di un territorio cambia: può aumentare o diminuire. Questi

cambiamenti nella consistenza della popolazione avvengono per due ragioni differenti:

perché le persone nascono e muoiono: questo è un movimento naturale legato agli aspetti

biologici della vita umana;

perché alcuni emigrano o tornano a risiedere nella località d’origine. Questo è un movimento

di carattere sociale.

Le nascite e le immigrazioni tendono a far aumentare la popolazione;

i decessi e le emigrazioni tendono a farla diminuire.

Lo studio della popolazione è affidato alla demografia, che ha il compito di misurarne le

dimensioni, la composizione e la distribuzione sul territorio, di indagare sui motivi della sua crescita

o diminuzione e di elaborare i modelli demografici (basati su tre fattori: nascite, morti e

migrazioni).

La raccolta dei dati demografici avviene attraverso censimenti, riscontri nei registri anagrafici,

sondaggi e inchieste su campioni nazionali rappresentativi. I censimenti raccolgono informazioni su

specifiche caratteristiche socio-economiche della popolazione residente in una data area in un dato

momento, mentre nei registri anagrafici comunali vengono riportate informazioni relative alle

nascite, morti, migrazioni, matrimoni e divorzi.

I rilevamenti, i sondaggi e le inchieste possono essere realizzati da istituti sia pubblici sia privati e

possono essere molto vari; in Italia il più importante istituto per la raccolta e l'analisi dei dati

statistici è l'Istituto italiano di statistica (ISTAT).

Analizzando statisticamente i dati demografici è possibile ottenere informazioni che sintetizzano gli

andamenti della popolazione come:

il tasso di natalità (numero delle nascite, in un anno, ogni mille abitanti);

il tasso di mortalità (numero dei decessi, in un anno, ogni mille abitanti);

la speranza di vita (durata media della vita umana).

Nonostante l'attuale rigore dei metodi di raccolta delle informazioni, i dati statistici non sono del

tutto attendibili e ciò non vale soltanto per i dati raccolti nei paesi meno sviluppati, ma anche per

quelli raccolti nei paesi industrializzati. Infatti una parte della popolazione (quella costituita dalle

fasce più marginali: immigrati clandestini, nomadi, vagabondi ecc.) sfugge anche ai rilevamenti più

rigorosi.

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Cerchiamo di capire i fenomeni demografici che riguardano la popolazione italiana….

Dall'unità a oggi la popolazione italiana è più che raddoppiata, passando dai 26 milioni di abitanti

del 1861 ai 57,5 del 1994. L'incremento della popolazione ha avuto tuttavia tassi diversi a seconda

dei vari periodi della storia italiana, segnata da due guerre mondiali e costellata da massicci

fenomeni migratori. Radicali cambiamenti hanno caratterizzato anche il fenomeno della fecondità:

come in molti altri paesi occidentali, anche in Italia il numero delle nascite è fortemente diminuito

e, agli inizi degli anni Novanta, l'Italia era il paese con il tasso di fecondità (numero di figli per

donna) più basso al mondo. Persino la regione italiana in cui avvengono più nascite, la Campania,

ha un tasso di fecondità totale di 1,8 figli per donna, più basso cioè di quello della Svezia.

Nel 1995 il saldo naturale (cioè la differenza tra il numero dei nati e quello dei morti) è stato pari a

zero. Il nuovo fenomeno migratorio che tra gli anni Ottanta e Novanta ha coinvolto anche l'Italia sta

però lentamente riportando il paese a un tasso di crescita superiore allo zero.

Da alcuni anni l’aumento della popolazione italiana è poco rilevante: si assiste ad un aumento del

numero degli anziani rispetto a quello dei giovani (invecchiamento della popolazione) per

l’innalzamento della vita media, dovuto ai progressi della medicina e alle migliori condizioni di

vita.

Nei paesi industrializzati, gli anziani costituivano nel 2000 il 20% circa della popolazione; secondo

le stime, essi raggiungeranno il 30% nel 2050.

Invecchiamento della popolazioneTra gli aspetti che hanno caratterizzato gli ultimi decenni della storia dei paesi industrializzati, l’aumento della vita media e il calo delle nascite hanno determinato una significativa crescita della quota rappresentata dalle persone

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anziane sul totale della popolazione. Nei paesi industrializzati, gli anziani costituivano nel 2000 il 20% circa della popolazione; secondo le stime, essi raggiungeranno il 30% nel 2050. L'invecchiamento della popolazione, se da un lato riflette il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie e, in generale, del tenore di vita, pone anche la società di

fronte a nuovi problemi sociali, sanitari, economici ecc. Microsoft® Encarta® Enciclopedia Plus 2002.

Il calo delle nascite è legato al modo di vivere che negli ultimi cinquant’anni si è affermato in quasi

tutti i Paesi più ricchi, dove non è più necessario avere un gran numero di figli per assicurare la

sopravvivenza della famiglia. Infatti, in passato, il numero dei componenti delle famiglie era

decisamente maggiore e anche il numero dei figli più elevato rispetto a quello di oggi.

Oggi le famiglie numerose sono quasi scomparse; al contrario la maggior parte di esse è costituita

da un solo nucleo (genitori e figli) e sono chiamate famiglie nucleari, perché molte mamme

lavorano e risulta sempre più difficile conciliare le esigenze del lavoro con l’impegno verso i figli.

La popolazione aumenta per l’immigrazione.

Nonostante il forte calo delle nascite, dagli anni ottanta alla fine del Novecento si è verificato un

lieve aumento della popolazione italiana per il massiccio arrivo di persone dall’estero.

Tra questi immigrati ci sono quelli provenienti dagli altri Paesi industrializzati (tedeschi, inglesi,

statunitensi etc.), che in genere sono dirigenti di aziende, insegnanti, sportivi. Si tratta, in questi

casi, di un’immigrazione che di solito ha un carattere temporaneo, a cui segue il rientro nei paesi

d’origine.

Ma la maggior parte degli immigrati è costituita da coloro che fuggono dai loro paesi in cerca di

lavoro e di migliori possibilità di sopravvivenza: sono i cosiddetti extracomunitari. Spesso questi

immigrati riescono a trovare una sistemazione decente, ma in molti casi, soprattutto quando

arrivano come clandestini, finiscono nelle mani di organizzazioni criminali.

Gli immigrati extracomunitari provengono soprattutto dall’Africa settentrionale e centrale

(Marocco, Tunisia, Egitto, Senegal), dall’Europa balcanica (Albania, Bosnia, Romania), dall’Asia

(Filippine, Cina, Sri Lanka), ma anche dall’America Meridionale (Perù). Le aree che accolgono più

o meno stabilmente gli immigrati extracomunitari sono in genere quelle urbane del centro-nord

(circa l’80%), ma vi sono numerose comunità anche nel Meridione: dai tunisini impiegati nelle navi

da pesca del Trapanese, agli africani provenienti dal Senegal e da altri paesi centrafricani, che

trovano occupazioni temporanee come addetti alla raccolta degli ortaggi in Campania.

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Il nostro paese che, oggi è prevalentemente un Paese d’immigrazione, in passato è stato anche un

Paese di forte emigrazione. Infatti, dal 1861 al 1971 circa 22 milioni di persone hanno lasciato

l’Italia per andare a lavorare all’estero, cioè sono emigrate. All’inizio degli anni Settanta questi

fenomeni sono diminuiti fino a cessare. Le cause principali dell’emigrazione italiana verso l’estero

erano la disoccupazione e la povertà: gli emigranti abbandonavano soprattutto le regioni

meridionali, quelle nord-orientali e, in genere, le zone di montagna, dove le condizioni di vita erano

difficili perché l’agricoltura non offriva più possibilità di lavoro ai tanti giovani e i guadagni erano

molto scarsi. Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, gli emigranti con le loro

famiglie si diressero verso gli Stati Uniti, verso l’America Meridionale e anche verso l’Australia,

dove andavano a lavorare come minatori, operai, commercianti.

Dopo la seconda guerra mondiale, si diressero invece verso la Germania, il Belgio e la Svizzera, che

avevano una forte richiesta di manodopera nelle miniere e nelle industrie.

Come è distribuita la popolazione sul territorio italiano.

Nel 1997 il 44,5% della popolazione italiana viveva nell’Italia settentrionale, il 19,2% in quella

centrale e il 36,3% in quella meridionale e nelle isole.

La distribuzione degli abitanti non è uniforme: la popolazione, infatti, si distribuisce in relazione al

tipo di territorio e alle risorse che esso offre.

La densità media sul territorio nazionale nel 2001 era di186 persone ogni chilometro quadrato, ma

in alcune regioni quasi il doppio:

Tavola 2 - Popolazione residente per sesso, densità per Kmq e popolazione presente per ripartizione geografica - Censimento 2001

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RIPARTIZIONI GEOGRAFICHE

POPOLAZIONE RESIDENTE Densità per

Kmq

Popolazione

presente MF M F

Italia Nord-Occidentale 14769009 7129314 7639695 254,9 14840827

Italia Nord-Orientale 10568617 5130217 5438400 170,5 10713769

Italia Centrale 10716475 5151709 5564766 183,7 10593302

Italia Meridionale 13785754 6714969 7070785 188,2 13607521

Italia Insulare 6465713 3134744 3330969 129,9 6377620

Italia 56305568 27260953 29044615 186,9 56133039

Popolazione residente: è composta dalle persone (italiani e stranieri) iscritte all’anagrafe dei

comuni.

Popolazione presente: comprende le persone che si trovano sul territorio italiano al momento del

censimento, pur non avendo la residenza.

Densità di popolazione: indica il numero di persone che risiedono su un chilometro quadrato di

territorio.

In generale, le massime densità di abitanti si verificano nelle zone industrializzate dell’Italia

settentrionale, nelle maggiori città e lungo le coste.

Settant’anni fa, molte persone vivevano in campagna; solo città come Roma e Milano superavano

un milione di persone e pochissime città raggiungevano i 100 000 abitanti.

Oggi quasi il 67% della popolazione italiana vive in centri urbani; e nei capoluoghi di provincia,

cioè le città più grandi, vive poco più di un terzo degli italiani.

La spiegazione di questo profondo mutamento è che in tutto il territorio nazionale, tra il 1950 e il

1970, grazie a intense migrazioni verso le città (urbanizzazione) e quelle interregionali, metà della

popolazione italiana ha cambiato residenza. Gli spostamenti interregionali si sono verificati

soprattutto dalle regioni meridionali verso le regioni industriali del Nord, che a partire dagli anni

Cinquanta è stato interessato da un periodo di grande sviluppo. Le migrazioni interregionali si sono

quasi fermate nel corso degli anni Settanta, quando le industrie del Nord hanno attraversato un

periodo di crisi, per poi riprendere alla fine degli anni Ottanta con una media di 300 000/400 000

persone all’anno.

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Oggi, rispetto al passato, queste migrazioni si sono quasi arrestate, però sono aumentati altri tipi di

spostamenti che riguardano soprattutto le regioni del Nord: le migrazioni periodiche dei turisti, dalle

aree urbane a quelle marine e di montagna, e quelle degli anziani che, una volta smesso di lavorare,

se possono permetterselo, vanno ad abitare in località dal clima migliore, soprattutto lungo la costa

del Tirreno.

Unità didattica 2

Estendiamo il nostro sguardo alla dinamiche che interessano la popolazione del mondo….

In questa unità didattica, l’insegnante si avvarrà prevalentemente della lezione frontale. Si

farà ricorso di tanto in tanto alla lezione dialogata, per invitare gli studenti a leggere e

interpretare grafici e carte tematiche (che costituiranno un valido supporto per la

spiegazione) e per richiamare il confronto con la situazione italiana.

La crescita della popolazione mondiale

Tassi medi di natalità e di mortalità, 1990-95I demografi utilizzano i tassi di natalità e di mortalità per determinare la crescita di una popolazione. I tassi di natalità e di mortalità indicano il numero delle nascite e dei decessi che si sono verificati in un anno ogni 1000

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persone. Il diagramma mostra i tassi medi di natalità e di mortalità (mondiale e per ciascun continente) relativi al periodo 1990-95.Microsoft ® Encarta ® Enciclopedia Plus 2002.

Crescita della popolazione mondiale

La popolazione mondiale, che nel 1996 (anno in cui si verificò una leggera flessione della crescita) ammontava a 5,77 miliardi di persone, nel 2000 ha raggiunto il numero di 6 miliardi. Secondo gli studiosi, nel 2075 gli abitanti della Terra saranno 10 miliardi.Microsoft ® Encarta ® Enciclopedia Plus 2002.

La crescita della popolazione mondiale ha subito una prima forte accelerazione a partire dal XVII

secolo, quando le scoperte della medicina (ad esempio i vaccini) da una parte, e lo sviluppo

dell'agricoltura e dell'industria dall'altra, migliorarono sensibilmente le condizioni generali di vita e

contribuirono a ridurre drasticamente le epidemie, le infezioni e i contagi.

Tale incremento fu considerato in modo critico da alcuni studiosi, che ne analizzarono le

conseguenze: Thomas Robert Malthus, in particolare, sostenne che la popolazione tendeva a

crescere più rapidamente di quanto aumentassero i mezzi di sussistenza e che ciò, nel lungo

periodo, avrebbe provocato nuove carestie, guerre e malattie.

Lo sviluppo della popolazione nei paesi occidentali ebbe tuttavia un andamento assai diverso da

quello previsto da Malthus: nel XIX secolo, e nei primi decenni del XX, si assistette a un vero e

proprio declino demografico. Nel secondo dopoguerra le tendenze demografiche mutarono

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nuovamente e nei paesi industrializzati la speranza di vita salì da 35-40 anni nel 1950 a 61 anni nel

1990. vita media

Secondo stime dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), la popolazione mondiale nel 2000

ha raggiunto i 6 miliardi di persone, mentre si ritiene che nel 2025 si raggiungeranno i circa 8

miliardi di persone. Le previsioni catastrofiche di Malthus tornano dunque ad essere attuali,

soprattutto nei paesi del Terzo Mondo.

La distribuzione della popolazione mondiale

Gli uomini non sono distribuiti in modo uniforme su tutta la superficie della terra: vi sono aree a

bassissima densità di popolazione, se non completamente spopolate, quali l’Antartide, ed aree in cui

vi è una fortissima concentrazione di abitanti, in particolare l’Europa centro-occidentale e l’Asia

orientale. In generale sono più densamente popolate quelle regioni in cui le condizioni ambientali,

storiche ed economiche sono più favorevoli alla vita umana. L’insieme di questi diversi fattori

spiega alcune caratteristiche dell’attuale distribuzione della popolazione, che va sempre più

confermando la disparità numerica esistente fra la popolazione che abita i paesi industrializzati e

quella invece distribuita nei paesi in via di sviluppo (rispettivamente 1/5 e 4/5 del totale

complessivo).

Da un punto di vista geografico, metà circa della popolazione mondiale è localizzata nell'Asia

meridionale e orientale: la sola Cina ha oggi quasi 1,2 miliardi di abitanti e l'India 910 milioni.

L'Europa e i paesi dell'ex Unione Sovietica accolgono circa il 15% della popolazione mondiale. In

Europa occidentale il paese più popoloso è la Germania con 81 milioni di abitanti, mentre l'Italia ne

ha 57. Le Americhe (settentrionale, centrale e meridionale) accolgono il 14% della popolazione

mondiale, con punte di 260 milioni negli Stati Uniti d'America e 91 nel Messico; l'Africa ne

accoglie il 12% con 107 milioni nella sola Nigeria.

Le stime statistiche prevedono che la popolazione dell'Africa sarà più che raddoppiata entro il 2025,

quella dell'Asia meridionale e dell'America latina rimarrà pressoché identica, mentre in Asia

orientale subirà un declino.

Nei paesi industrializzati, che nel 1990 accoglievano il 23% della popolazione mondiale, si stima

che nel 2025 la percentuale scenderà al 17%; si tratta ovviamente di stime che non possono

prevedere l'incidenza di eventi futuri imprevisti (come guerre, carestie, migrazioni ecc.) o il

successo delle politiche di contraccezione e controllo delle nascite che vengono attuate in diversi

paesi.

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Nella distribuzione territoriale hanno influito in modo significativo i processi migratori dalle

campagne alle città (urbanizzazione): tra il 1950 e il 2000 la popolazione mondiale che viveva nei

centri urbani è salita dal 29% a circa il 50% del totale.

Secondo l’Annuario 1999, si stima che nei 25 paesi più popolati abiti circa il 75% della popolazione

mondiale.

Possiamo seguire la distribuzione in base alla dimensione della popolazione, ai più recenti

tassi totali di fertilità e di aspettativa di vita, alla nascita, per uomini e donne, nel grafico che

segue:

 

 Posizione

 

Paese

 

Popolazione

(in migliaia)

Tasso totale

di fertilità

Aspettativa

di vita

Maschi

Aspettativa di

vita

Femmine

1 Cina 1.266.838 1,8 68,7 73,0

2 India 986.611 3,1 62,3 62,9

3 Stati Uniti 273.131 2,0 73,6 79,2

4 Indonesia 207.437 2,6 63,3 67,0

5 Brasile 165.371 2,3 64,7 70,9

6 Fed. Russa 145.559 1,3 58,3 71,7

7 Pakistan 134.510 5,0 62,9 65,1

8 Bangladesh 126.947 3,1 58,1 58,2

9 Giappone 126.505 1,4 77,2 84,0

10 Nigeria 108.945 5,2 48,7 51,5

11Messico 97.365 2,8 69,5 75,5

12 Germania 82.087 1,4 73,3 79,7

13 Vietnam 78.705 2.6 64,9 69,6

14 Filippine 74.746 6,6 66,5 70,2

15 Egitto 67.226 3,7 65,2 69,0

16 Turchia 64.385 2,4 66,5 71,7

17 Iran 62.746 2,8 68,5 70,0

18 Tailandia 61.806 1,7 65,8 72,0

19 Etiopia 61.672 6,3 42,4 44,3

20 Francia 59.099 1,7 74,2 82,0

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21 Regno Unito 58.744 1,7 74,7 79,6

22 Italia 57.343 1,2 74,6 81,0

23 Rep. Dem. Congo 50.335 6,4 49,2 52,3

24 Ucraina 50.106 1,2 62,7 73,5

25 Rep. di Corea 46.858 1,7 68,8 76,0

 

Anche riguardo alla densità demografica , cioè al rapporto tra popolazione e superficie territoriale,

esistono forti squilibri tra regioni e stati del mondo. I continenti che hanno una densità superiore

alla media mondiale sono l’Europa e l’Asia, mentre il meno popolato è l’Oceania. Vi sono poi

situazioni abbastanza particolari: piccoli stati come la Corea del Sud e Portorico, che hanno una

densità di popolazione molto alta, e grandi stati debolmente abitati, che registrano densità molto

basse, come l’Australia e il Canada.

Le previsioni per il futuro

Le stime dell'Organizzazione delle Nazioni Unite riguardanti la crescita della popolazione mondiale

possono subire variazioni, tuttavia mostrano come la tendenza prevista per la prima metà del terzo

millennio sia quella di una forte crescita demografica.

L’attuale esplosione demografica della popolazione mondiale è provocata dalla crescente eccedenza

di nati rispetto ai morti. Infatti l’indice di accrescimento di una popolazione, o tasso di incremento

naturale, dipende dalla differenza tra l’indice di natalità, cioè il numero dei nati vivi ogni mille

abitanti, e l’indice di mortalità, cioè il numero dei morti ogni mille abitanti.

L’indice di natalità è in diminuzione nei Paesi più sviluppati, dove si tende, con metodi

contraccettivi, a ridurre le nascite, tanto che tale indice in alcuni casi è sceso al 10%o.

I più alti livelli di natalità vengono raggiunti dai popoli più poveri: questi infatti considerano i figli

un bene prezioso, in quanto rappresentano braccia per lavorare e, quindi, un maggior aiuto

economico. È inoltre statisticamente accertato che, presso i popoli che osservano rigidamente i

precetti della loro religione, l’indice di natalità è molto alto: infatti i popoli musulmani,

profondamente condizionati dalla religione islamica che esalta la procreazione, registrano i massimi

indici di natalità.

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Anche le direttive politiche possono influenzare l’andamento dell’indice di natalità: in alcuni paesi

con una crescita troppo elevata, i governi incoraggiano l’uso dei contraccettivi, oppure tassano di

più le famiglie con più figli, come accade in Cina.

In altri Paesi, con basso indice di natalità, invece, i governi premiano le famiglie con più figli, come

accade in Francia e in Germania.

L’indice di mortalità, invece, è tanto più basso quanto più elevate sono le condizioni di vita e

quanto più efficace è la lotta contro le malattie: il più elevato tasso di mortalità si registra

attualmente in alcuni paesi poveri dell’Africa Nera; il tasso di mortalità più basso, invece, si ha nei

Paesi più ricchi e più evoluti, come il Canada, Israele e il Giappone, dove si aggira intorno al 7-8

per mille.

Diverse fasi di sviluppo demografico

Durante gli ultimi due secoli, l’industrializzazione e l’urbanizzazione hanno provocato un

mutamento delle modalità di incremento della popolazione. Questo mutamento nelle tendenze

demografiche, denominato transizione demografica, si manifesta con una caratteristica sequenza

di cambiamenti di tassi demografici.

Prendendo in considerazione l’indice di accrescimento naturale della popolazione, gli Stati del

mondo si possono suddividere in quattro gruppi, che corrispondono a quattro fasi storiche dello

sviluppo demografico dei popoli:

Fase primitiva. Nella prima fase, a un’alta natalità corrisponde ancora un’alta mortalità,

soprattutto infantile, per le carenze alimentari, le pessime condizioni igieniche e la scarsa assistenza

medica. In questi casi perciò l’incremento naturale è modesto e la vita media è molto breve. Fanno

parte di questo gruppo le regioni più povere della terra, come gli stati subsahariani dell’Africa.

Fase di forte sviluppo. In questa fase la natalità si mantiene molto alta, perché gran parte della

popolazione è giovane e in età feconda, mentre il tasso di mortalità è molto basso perché la moderna

medicina, introdotta dai Paesi più evoluti, ha sconfitto molte malattie: di conseguenza l’incremento

demografico è molto alto e la popolazione cresce rapidamente. In questa condizione si trovano

circa i tre quarti dell’umanità, in particolare l’America tropicale, la maggior parte dell’Africa Nera,

il mondo islamico e l’Asia meridionale.

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Fase di equilibrio. La natalità è talmente ridotta che supera di poco la mortalità giunta al suo

possibile limite inferiore. L’incremento demografico è lento, la durata media della vita è molto

lunga e gli anziani sono numerosi. Fanno parte di questo gruppo molti Stati dell’Europa e

dell’America.

Fase di crisi demografica. Quest’ultima fase è caratterizzata da un crollo della natalità che

diventa addirittura inferiore al tasso di mortalità. Di conseguenza la popolazione non cresce più,

anzi tende a diminuire. Si trovano in questa fase, caratterizzata da un invecchiamento progressivo

della popolazione, alcuni Stati europei, come l’Italia, che è diventata il paese del mondo a più basso

numero di figli per coppia.

Le migrazioni

Le migrazioni costituiscono un altro importante fattore di mutamento demografico, in grado di

determinare cambiamenti nella consistenza della popolazione di una regione o di uno stato.

Le migrazioni sono movimenti di individui o di gruppi umani che si spostano da un luogo ad un

altro per risiedervi permanentemente o soltanto temporaneamente.

Il continuo spostamento di individui singoli, di famiglie, di intere comunità ha motivazioni molto

complesse, che sono inerenti sia alla necessità di “fuga”, dovuta ad esempio a siccità, carestie,

disoccupazione, mancanza di libertà religiose e politiche, oppure, molto più spesso, all'esplosione di

guerre e conflitti di vario tipo, oltre che all' “attrazione” che alcuni paesi e culture esercitano sulle

popolazioni di altri paesi, attraverso i mezzi di comunicazione di massa.

Le migrazioni sono un fenomeno imponente, che riguarda la totalità dei Paesi e dei popoli del

mondo e hanno segnato la vicenda umana anche in epoca storica.

Basti pensare alla grande corrente migratoria che, a partire dal XVII secolo, ha portato con la forza

sette milioni di neri dall’Africa in America.

Ma i flussi migratori più imponenti sono avvenuti nel corso del XIX secolo e hanno riguardato

ambiti culturali diversi. Un esempio di flusso migratorio che ha coinvolto culture eterogenee è stato

quello che ha portato milioni di cinesi in Malaysia, dove attualmente rappresentano quasi la metà

della popolazione residente e controllano l’economia di quel Paese attraverso le attività industriali e

commerciali, mentre la popolazione autoctona, che detiene il potere politico, vive ed opera

soprattutto in campagna.

Invece, un esempio di flusso migratorio all’interno di un medesimo universo culturale si è

verificato nel periodo compreso fra la metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, quando 50

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milioni di europei si trasferirono nel Nord America, ma anche nell’America latina e in Australia.

Questo enorme movimento migratorio iniziò in Irlanda, dove una terribile carestia causata dalla

Peronospora, un fungo parassita della patata, che distrusse la principale fonte di nutrimento di quel

Paese, fra il 1845 e il 1847, lasciò senza cibo e senza lavoro milioni di Irlandesi. Come conseguenza

di questa grave epidemia, 250.000 residenti morirono di fame e un milione fu costretto ad emigrare.

Al gruppo etnico irlandese seguì quello germanico e poi le popolazioni dell’Europa meridionale,

anch’esse costrette a lottare con un’agricoltura in crisi.

Questa massiccia migrazione di contadini e operai scarsamente qualificati comportò molti traumi e

incomprensioni, ma si concluse in modo positivo con la urbanizzazione e l’industrializzazione del

nuovo continente, in cui si verificò la più profonda trasformazione culturale mai avvenuta sul

pianeta, con la creazione di una società multietnica e multiculturale che persiste tuttora.

Anche l’Europa, in questi ultimi anni, è stato oggetto di un cambiamento radicale: in breve tempo si

è trasformata da grande fonte a grande attrattore dei flussi migratori. Si calcola che attualmente

siano presenti, nei soli Paesi dell’Unione Europea, dai 25 ai 30 milioni di stranieri, in gran parte

extracomunitari e clandestini provenienti soprattutto dall’Est Europa e dall’Africa. Si tratta di un

numero consistente (fra l’altro in continua crescita) che ormai ha superato quello di USA, Canada e

Australia messi insieme.

In totale gli extracomunitari dovrebbero essere da 15 a 20 milioni, suddivisi, ma non in modo

omogeneo, nei 15 Paesi della Comunità europea. La Germania è meta prevalente di persone che

arrivano dalla ex Jugoslavia, dai Paesi dell’Est (non solo europeo) e soprattutto dalla Turchia. In

Gran Bretagna gli immigrati sono per lo più asiatici (India, Pakistan, Bangladesh). In Francia, in

Spagna e negli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo i flussi migratori provengono in gran

parte dall’Africa (Marocco, Algeria e Tunisia).

La migrazione verso il vecchio continente ha sorpreso molti governi europei. Il fenomeno,

repentino quanto inaspettato, ha trovato assolutamente impreparati Portogallo, Spagna, Italia e

Grecia, che fino a pochi anni prima avevano a che fare con il problema opposto: quello

dell’emigrazione. Questi Paesi, all’inizio, non sono stati capaci di far fronte al fenomeno e di

controllarlo in modo efficace, non hanno indicato con chiare e precise regole i diritti e i doveri degli

immigrati, oscillando fra posizioni di permissivismo e rigide limitazioni sulla base di normative

velleitarie. Questo atteggiamento incerto ha consentito l’insediamento illegale di gruppi sempre più

numerosi di disperati in cerca di un’occupazione qualsiasi e di disadattati, scatenando, nel Paese

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ospitante, sentimenti xenofobi (= paura dello straniero) e razzisti (= disprezzo per le altre razze),

che i governi cercano di frenare promettendo nuove soluzioni contro l’immigrazione clandestina.

Nel secondo dopoguerra, il processo di ricostruzione e il successivo sviluppo industriale aveva

attirato milioni di persone dai Paesi del Sud Europa verso le nazioni del Centro e del Nord

(soprattutto Germania, Belgio, Svizzera e Francia). A partire dagli anni Settanta del Novecento,

questi spostamenti cessarono e Paesi come Portogallo, Spagna, Italia e Grecia, che per decenni

furono esportatori di manodopera, videro non solo il ritorno di molti loro connazionali, ma

constatarono anche l’esaurirsi del fenomeno. Terminata la migrazione “interna”, grazie allo

sviluppo economico raggiunto anche dagli Stati del Sud europeo, iniziò, dapprima timidamente, poi

sempre più massicciamente, l’emigrazione verso i Paesi dell’Europa occidentale, di moltitudini di

disperati, provenienti dall’Africa, dall’Asia e dagli Stati dell’Est europeo. Oggi si calcola che vi

siano circa 150 milioni di persone che vivono stabilmente all’estero, cioè in Paesi diversi da quello

d’origine. Di questi, quasi 30 milioni sono profughi o perseguitati politici; gli altri sono emigranti,

ossia persone che hanno lasciato, più o meno liberamente, il loro Paese di origine per andare in

cerca di condizioni migliori. Il numero degli emigrati è enorme e rappresenta il 2,5% della

popolazione mondiale. Una piccola parte, ma non irrilevante, di questi si trova nei Paesi

dell’Unione Europea.

La povertà non è la sola causa delle migrazioni…

In passato i flussi migratori hanno interessato piccoli gruppi o anche intere popolazioni, che da

regioni della Terra povere di risorse, ma ricche di abitanti, si spostavano verso regioni ricche di

risorse, ma poco abitate. In genere questi uomini trovavano nel Paese ospite vasta disponibilità di

spazi entro i quali poter organizzare le proprie attività senza interferire con le culture locali e senza

entrare in competizione con esse.

Oggi le cose sono profondamente cambiate e, per quanto ciò possa apparire paradossale, una buona

parte dei flussi migratori dai Paesi in via di sviluppo è diretta non verso i ricchi Paesi

industrializzati del Nord del mondo, ma verso altri Paesi in via di sviluppo o tutt’al più verso Paesi

di recente industrializzazione. Si tratta di flussi migratori da lavoro, la cui composizione è molto

articolata e non comprende solo manodopera poco qualificata, ma anche intellettuali e tecnici

specializzati. Negli ultimi anni, ad esempio, a migrare verso gli Stati Uniti sono stati per lo più

tecnici e specialisti ad alta qualificazione. Il fenomeno è tutt’altro che irrilevante e coinvolge anche

i Paesi dell’Unione Europea. Si tratta di un depauperamento intellettuale che impoverisce i Paesi

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d’origine e molte volte non arricchisce i Paesi ospitanti, perché gli immigrati vengono spesso

sottoutilizzati.

Un altro tipo di migrazione, svincolata dal mercato del lavoro, riguarda quelle persone, in genere

anziane e ricche, che tendono a trasferirsi dai Paesi freddi del settentrione del pianeta a quelli caldi

del meridione per passarvi alcuni mesi dell’anno, ma a volte anche per stabilirvisi definitivamente.

Il fenomeno è diffuso in America dove molti Canadesi e Statunitensi si spostano sulle calde spiagge

dei Caraibi o del Brasile, e in Europa, dove si assiste a spostamenti di Tedeschi e Scandinavi

soprattutto verso la Costa del Sol e le isole Canarie in Spagna, la regione dell’Algarve in Portogallo

o la costa romagnola e la Toscana in Italia.

Vi è infine un’immigrazione clandestina che nella maggior parte dei casi si indirizza verso attività

illegali e molto remunerative come la prostituzione, lo spaccio della droga, furti, etc. perchè le

organizzazioni malavitose reclutano più agevolmente la loro manovalanza fra quanti risiedono

illegalmente in un Paese straniero e si trovano in condizioni disagiate. Questo tipo di migrazione

pone seri problemi di sicurezza nel paese accogliente. In passato i flussi migratori non hanno mai

costituito di per sé una minaccia alla sicurezza e alla pace. Spesso, gli immigrati venivano in un

certo senso invitati dal Paese ospitante, che li utilizzava in lavori che i locali non erano in grado di

fare o non erano disposti a svolgere. Si pensi, ad esempio, alle coltivazioni di cotone del sud degli

Stati Uniti dove i bianchi, poco resistenti alla fatica e alle temperature molto elevate, avevano

difficoltà ad operare in quelle terre, mentre i neri prelevati con la forza dall’Africa si dimostrarono

adatti e quindi indispensabili per quel tipo di lavoro. Anche la Germania e gran parte del centro

Europa ha avuto bisogno, fino alla metà del Novecento, di manodopera straniera che importava

prevalentemente dai Paesi del sud del continente europeo (Spagna, Italia, Grecia e Turchia).

L’ingresso di forza lavoro straniera porta indubbiamente molti vantaggi al Paese ospite, ma causa

anche problemi legati agli aspetti negativi del fenomeno, che possono essere preponderanti rispetto

a quelli positivi. Ad esempio, se il flusso migratorio è eccessivo, questo invece che vantaggi

provoca turbative del mercato del lavoro perché, alimentando il mercato nero e lo sfruttamento,

genera conflitti con i lavoratori locali. Ma un flusso migratorio eccessivamente forte danneggia

anche il Paese di origine di queste popolazioni.

Normalmente, dall’emigrazione il Paese di origine trae vantaggi sia attraverso le rimesse di danaro

che i lavoratori spediscono in patria, sia attraverso l’acquisizione di competenze professionali che

poi il migrante può far valere una volta tornato nella sua terra di origine. Ma se il flusso migratorio

è esagerato, il Paese di provenienza è privato della forza lavoro migliore e di conseguenza esso

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registra un peggioramento delle condizioni di sottosviluppo in cui già si trovava. E’ il caso di

quanto si è verificato per esempio in Italia negli anni ’50 e ’60, quando dal Sud sono partite migliaia

di persone fra le più qualificate, forti e giovani, per recarsi a lavorare nelle città del Nord: il loro

esodo determinò un peggioramento delle condizioni già precarie in cui versava la loro terra

d'origine.

A questo punto, perché lo studio della geografia non rimanga fine a se stesso, ma si inserisca in un quadro più ampio di formazione trasversale e “personale” degli studenti, l’insegnante sulla base dei vari aspetti affrontati, metterà in evidenza innanzitutto che le dinamiche demografiche sono strettamente connesse non solo con mutamenti economici, ma soprattutto con profondi cambiamenti culturali, che l’incontro con l’ “altro” porta inevitabilmente con sé. Di conseguenza si cercherà di guidare la riflessione della classe su interrogativi, oggi, di grande attualità in una società multuculturale come la nostra, in cui l’educazione alla tolleranza è un dovere morale, che vede coinvolta in primis la scuola stessa. Affrontare in classe queste problematiche in una prospettiva lontana dagli stereotipi manualistici e da spiegazioni univoche e semplificanti, ma tesa a coglierne la complessità in un costante riferimento alla società in cui viviamo, può fornire spunti di riflessione sulla nostra identità nazionale e occasione di educazione interculturale, di riflessione sulla percezione dell’alterità e sul riconoscimento dell’ “altro”.

Gli immigrati sono anche una risorsa e uno stimolo per l’evoluzione culturale del paese che li

accoglie ….

Si calcola che in Italia siano presenti circa un milione e mezzo di immigrati regolari, la

maggioranza dei quali extracomunitari, e che i clandestini siano più del doppio. Si tratta in genere di

gente giovane, che in una certa misura riequilibra l’età della popolazione residente. Sulla base di

parametri prevalentemente economici, si è calcolato che l’Europa Comunitaria sarebbe in grado di

assorbire una determinata quota di stranieri, un numero che per l’Italia corrisponderebbe circa a

50.000 immigrati all’anno. Se la quota di immigrazione si mantenesse sui valori stimati, compatibili

con il nostro sviluppo industriale, si tratterebbe di una quota scarsamente influente sulla struttura

della popolazione italiana. Naturalmente non è possibile aprire le porte del nostro territorio senza un

controllo adeguato dell’immigrazione, ma sarebbe altrettanto sbagliato prospettare visioni

catastrofiche della situazione. È chiaro che la presenza di immigrati comporti dei problemi di non

facile soluzione per il paese accogliente, come quello dell’integrazione. L’integrazione economica è

la più facile da ottenere, perché è quella che porta grossi vantaggi al Paese ospitante e della quale,

spesso, approfittano imprenditori che sfruttano gli immigrati occupandoli in lavori faticosi e spesso

illegali. Ma il problema più difficile è quello dell’integrazione socioculturale, perché spesso gli

immigrati, pur scegliendo di vivere in una determinata nazione, vogliono conservare le proprie

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tradizioni e la propria cultura. Purtroppo però, non è facile conciliare la loro esigenza di identità

culturale con il nostro sistema etico, lì dove vengono messi in discussione aspetti che coinvolgono

da vicino la nostra sensibilità.

Ad esempio, la richiesta delle ragazze islamiche di indossare il chador a scuola, non crea alcun

problema in Italia, ma ne crea in Francia perché nelle scuole di quel Paese è proibito esibire

elementi di appartenenza ad una determinata religione (anche i preti cattolici non possono entrare

nelle aule scolastiche indossando l’abito talare). E finchè si tratta di un velo, l’ostacolo è minimo;

ma ben altri sono i conflitti politici, culturali ed etici che si scatenano riguardo ad altri aspetti, come

ad esempio la poligamia che non è contemplata dal nostro sistema, o come l’infibulazione, (la

pratica della mutilazione degli organi genitali femminili), che fra i musulmani è molto diffusa e

accettata, mentre per noi è un grave reato.

Tuttavia è opportuno domandarsi se l’arrivo di decine e centinaia di migliaia di immigrati, che si

insediano nei paesi accoglienti, rompendo equilibri già ben consolidati, rappresentino solo un fatto

negativo. In realtà non è così.

Infatti, il Paese ospite subisce, per l’arrivo di immigrati stranieri, nell’immediato, un certo

incremento demografico dovuto non solo alla presenza dei nuovi arrivati, ma anche all’alto indice

di natività che li caratterizza.

Da un punto di vista economico, la migrazione reca un beneficio alla crescita del Paese ospitante,

in quanto gli stranieri si adattano a ricoprire posti di lavoro che in genere gli abitanti del luogo

rifiutano perché poco graditi o sottopagati. In Italia, ad esempio, dove pure la disoccupazione è

elevata, soprattutto nel Sud, non si trovano più ragazze che vogliano fare le domestiche, o persone

disposte a lavorare nei campi alla raccolta dei pomodori, o nelle stalle ad accudire gli animali.

Altro aspetto notevole è la forte incidenza dell’immigrazione anche sull’incremento della

popolazione scolastica e la conseguente necessità di assumere nuovo personale insegnante. È

indubbio, quindi, che gli immigrati determinino anche un considerevole impulso allo sviluppo di

alcuni settori economici e lavorativi.

Da un punto di vista antropologico, invece, la diversità culturale, se ben utilizzata, può essere un

valido strumento di evoluzione: la variabilità è un vantaggio rispetto alla omogeneità, di cui la

nostra società si è senz’altro avvantaggiata.

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Spunti di riflessione

È giusto dare ospitalità a tutti gli immigrati che bussano ai nostri confini?

Gli immigrati comportano solo problemi per lo stato che li ospita, o rappresentano anche

un’importante risorsa. Per quali ragioni?

Oggi quale accoglienza viene riservata agli immigrati dalla nostra società?

Quali atteggiamenti prevalgono tra la gente, di tolleranza o di non accettazione?

E qual è la posizione dei giovani verso i compagni stranieri che incontrano a scuola?

Dibattito sull’integrazione socioculturale degli immigrati.    

 Verifica 

Durante il percorso didattico saranno effettuate verifiche in itinere tese a valutare la

partecipazione della classe al lavoro svolto dall’insegnante, e naturalmente la comprensione

dei concetti fondamentali. A conclusione del percorso sarà somministrata una prova di

verifica sommativa semistrutturata.

1) Spiega il significato dei seguenti termini.

Densità demografica: ……………

Indice di natalità: ………………..

Indice di mortalità: ………………………

Tasso di incremento naturale: ……………

2) Osserva la carta mondiale della densità demografica e indica le regioni più densamente

popolate e quelle meno popolate, quindi individua alcuni fattori che spieghino queste

differenze.inserire cartina pag.160 bulgarini

3) Completa le seguenti frasi:

La popolazione mondiale è oggi di ………….

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La popolazione mondiale ha avuto una crescita molto forte a partire

…………………

Per il 2075 gli esperti prevedono una popolazione mondiale di

……………………….

Gli Stati più popolosi sono ……………………………….

I continenti con la densità demografica più alta sono ……………………………….

4) Sintetizza nella seguente tabella le principali caratteristiche delle quattro fasi demografiche

nelle quali si trovano oggi gli Stati del mondo.

Stati Caratteristiche

demografiche Problemi

Prima fase ……………. ……………….. ………………

Seconda fase ……………. ………………… ……………………

Terza fase ……………… …………………. …………………….

Quarta fase ……………… …………………. ……………………..

5) Spiega in breve quali ragioni possono determinare le migrazioni.

6) Le migrazioni comportano cambiamenti nella consistenza della popolazione di una regione

o di uno stato. Parlane.

7) La presenza di immigrati rappresenta un importante fattore di evoluzione culturale. Parlane.

8) Completa la tabella

Paesi ricchi Paesi poveri

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Alimentazione

Assistenza sanitaria

Mortalità

Speranza di vita

Saldo naturale

Composizione

della popolazione

9) La popolazione mondiale, che nel 1996 a 5,77 miliardi di persone; nel 2000 ha raggiunto

il numero di 6 miliardi. Secondo gli studiosi, nel 2075 gli abitanti della Terra saranno 10

miliardi. Con i dati sopraindicati costruisci un istogramma relativo all’aumento della

popolazione mondiale.

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Riferimenti bibliografici

Manuali scolastici per la scuola media:

Bacchi G., Londrillo A., Valli F., Attraverso i territori 3, Editore Bulgarini Firenze.

Bersenzio L., I territori dell’uomo, De Agostini.

Neri R., Il mestiere del geografo, La Nuova Italia.

Encarta Enciclopedia Plus 2002.

Rete Internet.

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