Tesi Post-estrattivi Ultimata

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CAPITOLO 1: Premesse 1.1 Introduzione L'uomo, nella sua continua ricerca scientifica, riuscito, in campo medico, a realizzare componenti capaci di sostituire, in maniera pi o meno efficace, parti dell'organismo come articolazioni, arterie ecc.; cos passando attraverso i tessuti e in seno a questi, si sono collocate delle protesi di vario tipo e impiego. Di pari passo con le altre discipline medico-chirurgiche, l'implantologia dentale ha speso molte energie nella ricerca di materiali ideali, sufficientemente facili da lavorare, non soggetti a corrosione, capaci di sopportare le sollecitazioni alle quali vengono sottoposti e che non arrecano disturbi ai tessuti che li ospitano. Dopo anni di ricerca pioneristica l'implantologia dentale ha raggiunto ai giorni nostri, un livello di affidabilit in grado di porre gli odontoiatri nella condizione di realizzare protesi su impianti di grande qualit. L' implantologia orale, che si avvale di impianti osteointegrati utilizzati come supporto per una riabilitazione protesica fissa o rimovibile, universalmente riconosciuta come una metodologia clinica sicura e in grado di garantire risultati duraturi nella riabilitazione orale ( Lazzara et al. 1996; Buser et al. 1997; Brocard et al. 2000; Arvidsonet al.1998; van Steenberghe et al. 1999). Le varie soluzioni implantologiche sono ormai entrate a far parte della routine quotidiana, diventando una branca della protesica dentale in continua evoluzione. Nel tempo e con il miglioramento delle tecniche, grazie agli impianti si arrivati al loro sempre pi utilizzo sia nella realizzazione di singole corone fisse, nel caso di monoedentulie, sia di intere arcate fisse in metallo ceramica nel caso di edentulie totali. Nel caso delle mono-edentulie, l'impianto permette di compensare le mancanze di elementi dentali senza dover presenti. Un ulteriore vantaggio psicologico offrono gli impianti post-estrattivi, i quali permettono la riduzione del piano di trattamento e del numero delle sedute chirurgiche, intervenire su elementi naturali attigui eventualmente

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ma anche il mantenimento dei tessuti duri e molli del sito post-estrattivo che assicura la possibilit di ottenere risultati estetici ottimali ( soprattutto in regione anteriore). L'intento di questa tesi di spiegare come la tecnica riabilitativa con impianti post-estrattivi sia un trattamento serenamente praticabile ma di elezione. La ragione sta nel fatto che l'atto chirurgico in questione presenta un livello di difficolt maggiore rispetto al protocollo tradizionale che si applica in siti gi guariti. Dall'altra parte si pu dire che tale procedura serenamente praticabile in quanto l'esperienza clinica di molti autori suggerisce che la sopravvivenza implantare e quindi la percentuale di successo rimane alta ed sovrapponibile a quella degli impianti in osso nativo. Il posizionamento di un impianto post-estrattivo richiede delle particolari condizioni perch non tutti i pazienti possono essere candidati a tale tecnica chirurgica. Esistono delle controindicazioni assolute, che verrano indicate nei paragrafi successivi, di cui il medico deve tener conto. Si pu dire che deve esistere anche una selezione del paziente attraverso un'accurata anamnesi. Se questa procedura viene gestita in modo opportuno in grado di produrre un risultato implanto-protesico desiderato che garantisce soddisfazione e comfort al paziente.

1.2 Storia dell'implantologia. Nonostante l'implantologia come scienza sia come tempo storico da considerarsi recente, altres vero che essa affonda le proprie origini in epocha remotissima. Il primo reperto a noi giunto di materiale che potrebbe essere considerato biocompatibile risale all'epoca dei Maya, e si tratta del noto frammento mandibolare con tre impianti confezionati con valve di conchiglia che sostituivano tre incisivi mancanti, 2

databile all'incirca all'VII secolo D.C., che l'archeologo Wilson Popenoe trov nel 1931 nel corso di alcuni scavi archeologici compiuti nella Playa de los Muertos, in Honduras. Secondo gli studi effetuati nel 1970, Amedeo Bobbio odontostomatologo brasiliano di origine italiana, dimostr che le tre conchiglie non erano state inserite nei rispettivi alveoli dopo il decesso ma in vita. Difatti, praticando l'esame radiografico al pezzo archeologico, not che intorno alle conchiglie si era formata una vera e propria, diremmo oggi, osteointegrazione, dovuta sicuramente alla notevole quantit di fosfato di calcio, contenuta nel guscio. Nei secoli X e XI importanti contributi ci vengono dalla Scuola Araba, principalmente con Abulcasis(936-1013), uno dei pi grandi chirurghi dell'antichit; nella sua opera, Kitab al Tasrif, interamente dedicata alla chirurgia, dedic ampi capitoli all'odontoiatria chirurgica. In particolare descrisse le modalit di sostituzione dei denti perduti con altri denti, naturali o artificiali prodotti con frammenti ossei di grossi mammiferi, in modo tale che possano essere pi naturali possibili; per mantenerli in sede sosteneva l'utilit di legature con fili d'oro infissi nella gengiva. Nel Medioevo vi furona vari tentativi, o per lo meno descrizioni di essi, di reimpiantare denti umani o artificiali (Guy de Chauliac (1300-1367, 1363). Nel Rinascimento Ambroise Pare', chirurgo militare, fra i pi grandi del suo tempo, propose il reimpianto dentario, avendo ben presente la traumatologia maxillo-facciale da arma da fuoco. Gabriele Fallopia (1523-1562), anatomico prima a Modena poi a Padova, nel trattato Chirurgia sostiene che, in caso di perdita o di caduta di elemento dentale o di sua avulsione a scopo terapeutico, bisognava risanarlo e quindi rimetterlo nella sua sede primitiva, collegandolo con legature in oro o metalliche ai collaterali. Se invece il dente, per un qualsiasi motivo no era pi recuperabile, bisognava costruirne un'altro, rispettando il pi possibile l'anatomia del precedente, e quindi inserirlo nell'alveolo. Il materiale consigliato per questo tipo di operazione era l'avorio, da lui considerato compatibile con il tessuto gengivale. opportuno ricordare che questi appaiono pi come consigli teorici che pratici; non abbiamo infatti riscontri clinici nella letteratura dell'epoca; l'odontoiatria continuava ad essere praticata dagli empirici o dai ciarlatani da piazza con risultati pressoch sempre 3

disastrosi. Intorno alla met del Settecento inizia ad affermarsi l'opera di Pierre Fauchard ( 16781761), considerato il fondatore della moderna concezione odntostomatologica. Sotto la sua spinta di innovazione scientifica l'odontoiatria ebbe, sul finire del settecento, a registrare fra le sue grandi conquiste l'invenzione dei denti artificiali, che grande importanza rivestiranno nello sviluppo futuro dell'Implantologia Vari Autori si occuparono di tale problematica; invero, come gi visto, l'argomento della preparazione e sostituzione del dente umano con dente artificiale, in modo da trovare una soluzione che fosse compatibile con il tessuto gengivale e non provocasse problematiche di vario tipo e spessore, fu oggetto di vari tentativi nel corso dei secoli. Svariate sostanze vennero utilizzate per costruire gli elementi sostitutivi; le ossa e i denti di bue, del cavallo, del montone, del cervo e di altri animali; la madreperla, l'avorio, i denti di ippopotamo, di balena o di tricheco. A tutti i vari chirurghi-dentisti sembrava che tali materiali avessero caratteristiche estetiche, composizione minerale organica che non determinasse particolari ristagni della secrezione salivare, pregi funzionali tali da consentire una normale masticazione degli alimenti e chiarezza nella fonetica, e specialmente quella che noi oggi definiremmo biocompatibilit; tuttavia, con l' andare del tempo, tali presidi terapeutici si mostrarono fallaci; l'osso di bue non soddisfaceva dal punto di vista estetico e mostrava porosit e tendenza ad assumere un colorito giallastro; i denti di bue o di cavallo avevano colore estremamente diverso da quello dei denti umani; l'avorio era sprovvisto di smalto e tendeva e decomporsi; i denti di ippopotamo furono quelli maggiormente preferiti ed utilizzati, cos pure quelli pi rari di balena e di tricheco, sia perch erano provvisti di smalto sia perch potevano facilmente essere adattati, una volta limati, alla morfologia del dente umano. Discorso a parte merita il reimpianto di dente umano. A prescindere dalle problematiche di tipo morale o religioso, che vedevano nell'utilizzo di denti prelevati a cadaveri una profanazione ed uno sfregio alla memoria dell'estinto, non vennero da tutti accettati per le gravi complicanze settiche che potevano dare all' individuo nella cui bocca venivano posti, sia pure dopo opportuni trattamenti e disinfezioni. Tuttavia chiaro come, qualunque tipo di dente proveniente da animale presentasse pi o meno inconvenienti quali la permeabilit, la tendenza a rammollirsi e a decomporsi, il 4

cambiamento repentino di colore, il fetore. Gi nel 1764 Duchateau aveva costruito una dentiera di porcellana, che per risult molto fragile; successivamente De Chemant (1766) perfezion il materiale modificandone la composizione. Tuttavia questi furono tentativi di costruzione di pi elementi contemporaneamente. John Hunter, intorno al 1778, riteneva che fosse possibile estrarre i denti, farli bollire per distruggerne la vitalit, cos che, da morti, non presentassero nocumento alcuno, quindi reimpiantarli in modo che facessero corpo unico colo mascellare. Fu nel 1806 che Giuseppangelo Fonzi ( 1768-1840) invent il dente minerale, scoperta questa che avr grande importanza nel futuro dell' evoluzione implantologica. Il suo grande merito fu quello di realizzare l'idea di poter costruire singoli denti artificiali, da impiantare direttamente nell'alveolo tramite ganci di platino, dotati anche di grandi requisiti estetici e funzionali, oltre che inalterabilit chimica e, specialmente, buona tollerabilit da parte del paziente. Nel solco tracciato da Fonzi, altri tentativi vennero effettuati durante il secolo XIX; nel 1807 Maggiolo illustr il modo di collocare nell'alveolo vuoto una radice artificiale in oro, entro la quale, dopo quattro o cinque settimane, veniva inserito un dente a perno; questo tentativo merita particolare considerazione in quanto comportava il riposo di oltre un mese della radice artificiale infissa nell'alveolo, non assoggettata alla compressione dell'occlusione o peggio della masticazione; di notevole importanza ai giorni nostri appare il fatto che il Maggiolo avesse ben chiari i concetti che regolano la biologia e la fisiopatologia dentaria. Negli Stati Uniti, gi fin dall'ottocento antesignani della odontoiatria scientifica, si ebbero numerosi tentativi ed esperimenti di impianti. Intorno agli anni Quaranta del secolo XIX, Harris e Hayden, fondatori della Scuola dentaria di Baltimora, tentarono impianti endossei utilizzando denti in ferro di loro costruzione. Nel 1870 Rogers cerc di applicare impianti metallici nella mandibola; nel 1881 Lewis costru un impianto a forma di radice dentaria in platino con corona di porcellana e lo impiant, previa presa di impronta della cavit alveolare con materiale gessoso. Nel 1890 Ollier propose viti di platino e di acciaio nichelato come mezzo di osteosintesi; fu tuttavia un esperimento isolato, che serv pi per l'applicazione nelle discipline ortopediche e traumatologiche che in quelle odontoiatriche, che dette per 5

ottimi risultati nel campo della biocompatibilit. Nel 1905 Greenfield costruisce le cosidette radici a gabbia, cio un reticolo, a forma di cestello, in platino-iridio, da inserire in un alveolo artificiale in modo da far rimanere in esso una porzione di tessuto osseo, ma tale soluzione, sulle prime pensata proprio per cercare una buona risposta di compatibilit con i tessuti sottostanti fu presto abbandonata in quanto i metalli usati manifestavano un'attivit galvanica con erosione del metallo stesso e riassorbimento dell'osso adiacente. Intorno agli anni Trenta-Quaranta Stroch, sulla base di ricerche condotte a partire dal 1937 da Venable e collaboratori, i quali erano giunti alla conclusione che alcuni metalli potevano essere ben tollerati dall'organismo umano senza dare problemi di rigetto, progett e costru i primi impianti iuxtaossei, utilizzando il cromo-cobalto o una lega composta da cromo-tungsteno-cobalto-molibdeno, chiamata vitallium, ottenendo un'ottima risposta nell'ambito del concetto di materiale biocompatibile. Nel 1946 Golberg e Gerschoff proposero impianti iuxtaossei in vitallium; essi poggiavano sulla cresta mandibolare ed erano trattenuti da viti; l'indicazione principale era relativa al mascellare inferiore.

Il 1947 una data storica, che segna la nascita della moderna concezione implantologica: il 27 febbraio di quell'anno, in una conferenza tenuta all'AMDI di Milano, l'italiano Manlio Formiggini propose la vite cava spiraliforme in filo d'acciaio inossidabile o in tantalio, materiale di color bianco-argenteo cos chiamato perch il suo utilizzo tecnico poteva costituire un vero e proprio supplizio ( supplizio di tantalio). Il metodo venne chiamato dal suo ideatore infibulazione diretta endoalveolare, e segn il definitivo passaggio alla fase degli impianti endoossei. La vite che ho ideato per le infibulazioni endomascellari viene costruita con un filo metallico inalterabile dello spessore di 10-12 decimi avvolto a spirale intorno ad un asse centrale che stabilizza il 6

sistema. L'asse centrale e' gi fisso nell'apice della spirale, poich ne la continuazione, invece alla base lo si salda alla estremit libera della spirale con la quale si rende solidale permettendo cos l'avvitamento forzato nell'alveolo anatomico o chirurgico. Da ci appare chiara e giustificata la denominazione di vite cava, poich il passo della vite per cosi dire libero e sospeso, per stabilizzato dal perno centrale. Non accettata immediatamente da molti studiosi, che preferivano impianti iuxtaossei, tale metodica con il passare degli anni si afferm progressivamente ma definitivamente suscitando parecchi consensi in molti Autori; vennero avviate ricerche sulle reazioni istologiche dei tessuti sottoposti a terapia implantare ( Pini, Zepponi, Sordo, Gola, Roccia, Marziani et al.). Negli anni Cinquanta Blum fece alcuni tentativi, peraltro infruttuosi, di utilizzo di resina sintetica autopolimerizzante nell'alveolo in cui inserire, prima dell'indurimento, l'impianto; tuttavia tali esperienze vennero presto abbandonate per la citotossicit del composto. Nel 1955, nella Clinica Odontoiatrica dell'Universit di Pavia, venne fondata una Associazione Europea Odontostomatologica per gli Impianti: in questa sede vennero compiute indagini sperimentali di ordine clinico e istologico (Palazzi,Borghesio, Branchini, Piazzini, Continolo). Gli impianti utilizzati erano quelli gi proposti in Vitallium, lega costituita da cobalto(65%), cromo (30%) e molibdeno (5%). Sempre negli anni Cinquanta Flohr speriment impianti con viti in resina rinforzata in acciaio, mentre nel 1961 Stefano Tramonte propose per primo la vite autofilettante in cromo-cobalto-molibdeno modificando quella di Formiggini. L'anno seguente furono presentate da Muratori le viti cave, che costituirono un perfezionamento di quelle del Formiggini nella forma, nella struttura e nella tecnica chirurgica. In Francia, a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta Chercheve modific ulteriormente il disegno della vite di Formiggini, creando la spira a doppia elica; analogo presidio adott in Spagna Perron. Il maggior sviluppo dell'implantologia endossea lo si ebbe per negli anni Settanta, con la proposta di Stefano Tramonte di utilizzare il Titanio in luogo dell' acciaio chirurgico e la successiva creazione degli impianti a lama ( sec. Linkow) o ad ago ( sec. Scialom), in tantalio;

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in Italia alcuni autori proposero varie modifiche: ricordiamo le lame universali su misura, create da Muratori nel 1970 e le lame polimorfe senza moncone (Pasqualini, 1972): nel 1975 Mondani ide il bloccaggio degli aghi con saldatura endorale; nel 1976 Pasqualini propose la vite rapida in Titanio, sommersa, con moncone avvitabile, roothformed e con solchi che ne interrompevano le spire; nel 1981 Garbaccio propose la vite autofilettante bicorticale. Il concetto di osteointegrazione si deve alla scuola svedese. Per-Ingvar Brnemark, chirurgo ortopedico e professore di ricerca, viene considerato come il padre della moderna implantologia dentale.

Nel 1982 a Toronto, Brnemark presant il lavoro che aveva iniziato 15 anni prima a Gteborg. La sua scoperta e l'applicazione dell'osteointegrazione, o la fusione biologica del tessuto osseo ad un materiale estraneo, non ebbe uguali e tale documentazione scientifica di implantologia non era mai stata raccolta prima. La conferenza di Toronto diffuse il riconoscimento ai metodi implantare e dei materiali di Brnemarke. Secondo lo stesso Branemark l'osteointegrazione la 8

congruenza anatomica assoluta fra un osso vivente, rimodellante e sano ed un componente sintetico che trasferisce un carico all'osso stesso. Tale metodica consta nel posizionamento di impianti in titanio puro a forma di vite, dotati di una buona resistenza alle forze di torsione e che garantiscono buona elasticit meccanica. Esse sono dotate di microscanalature con cui possibile ottenere una integrazione con il tessuto osseo, che si modella attorno all'impianto. Il titanio considerato materiale estremamente biocompatibile in quanto si presta ad essere usato in ambiente umido-organico; viene ricavato dal biossido di titanio. Pi o meno contemporaneamente Bernard, utilizzando una lega titanio-cromocobalto riscontr un numero rilevante di fibroblasti sul metallo; successivamente propose il titanio rivestito di idrossiapatite, materiale a base di fosfato calcio, preparato con un processo di fusione ad alte temperature chiamato sinterizzazione, che sembra consentire una osteointegrazione pi rapida. A partire dagli anni Ottanta si sono avuti numerosi studi e ricerche sperimentali e cliniche volte all' utilizzo di materiali con caratteristiche differenti che per presentano sempre maggiore biocompatibilit. Un discorso a parte merita l'utilizzo di materiale biocompatibile nella crescita e nella rigenerazione ossea. importante notare come a partire dagli anni Settanta si cominci a parlare di osteoinduzione e di osteoconduzione, vale a dire di metodiche che inducessero una rigenerazione ossea nella chirurgia odontostomatologica e maxillo facciale. Nella fattispecie l'osteoinduzione la capacit da parte di un determinato biomateriale, impiantato in un tessuto non osteogenetico, di indurre la neoformazione di un tessuto osseo, mentre l'osteoconduzione invece la capacit che ha un determinato biomateriale di stimolare e di indurre l'osteogenesi in un tessuto osseo vitale. E' vero che gi a partire dal 1878 Mcewen aveva impiegato osso autologo per indurre stimolazione osteogenetica, mentre Roux, nel 1881 pubblic una serie di risultati sperimentali sull' osteogenesi e sempre nelle scuole ortopediche francesi, nello stesso periodo si inizi a sperimentare l'uso della Pasta di Parigi (solfato di Calcio). Tali tentativi furono per riconsiderati circa un secolo dopo. Nel 1965 Nabers e O' Leary 9

descrissero l'innesto con frammenti d'osso corticale, ottenuto dall'osteoplastica e dall'osteotomia nella stessa zona di trattamento chirurgico. Tale tecnica venne ripresa e riproposta quattro anni dopo da Robinson con l'utilizzo di frammenti ossei pi piccoli. Nel 1972 Diem ide la metodica del prelievo di un frammento d'osso corticale o midollare e della sua triturazione prima di innestarlo. Mellowin nel 1976 dimostr la capacit dell'osteoconduzione dell'osso demineralizzato in acido cloridrico 0.6 e poi successivamente liofilizzato, tecnica che fu poi ripresa nel 1984 con il prelievo da cadavere e successivo trattamento, secondo i protocolli della U.S. Navy Tissue Bank, la scuola olandese, sempre attorno alla met degli anni '70, introdusse l'uso della Idrossiapatite di Calcio a partire da precedenti studi sul fosfato tricalcico ( Denissen. De Groot). Ulteriori studi su materiali biocompatibili nel campo della chirurgia ossea avanzata sono stati effettuati in un periodo compreso fra il 1980 ed il 1995, evidenziando come vari materiali abbiano ottime capacit osteoriproduttive predicibili nel tempo con precisione; ricordiamo i granulati HA-FIN Idrossiapatite a porosit controllata, i biovetri, il corallo biologico. Negli anni Novanta del secolo XX vari studi clinici e sperimentali (Lungren et al. 1992. Manninen e coll. 1992. Miettinen et al. 1993. Tsckaloff e coll., Winet e Hollinger. 1983 Rehm e coll. 1994) misero in evidenza l'ottima capacit rigenerativa dei polimeri dell'acido lattico, giungendo alla conclusione che tali composti hanno una spiccata tendenza alla rigenerazione tissutale ossea e sono quindi indicati oltre che per la sutura dei tessuti, per la costruzione di dispositivi atti alla riduzione delle fratture ossee ed anche al loro posizionamento per la riparazione dei tessuti molli. Sono inoltre molto ben tollerati e non presentano citotossicit. La ricerca ha portato all'impiego clinico di emoderivati ed ora si giunge alla osteoinduzione attraverso la possibilit di uso clinico delle BMP (Proteine Morfogenetiche Ossee).

CAPITOLO 2:Principi di Biomeccanica

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2.1 Biomeccanica Le metodiche riabilitative implantoprotesiche sono considerate prognosticamente favorevoli quando effetuate a fronte di un corretto procedimento diagnostico ed eseguite secondo protocolli chirurgici e protesici standartizzati. Essendo il protocollo chirurgico da lungo tempo verificato e considerato predicibile, l'interesse negli ultimi anni si rivolto verso le cause che possono determinare il fallimento degli impianti. I fattori maggiormente indagati sono i fallimenti a carattere infettivo (perimplantiti) o da sovraccarico ( overload ). La correlazione tra un' igiene orale inadeguata e la perdita di osso marginale ben documentata a livello sia clinico che sperimentale su animali. Meno chiara la correlazione tra overload e la perdita ossea marginale. In letteratura esistono studi sperimentali su animali che provano la relazione tra i due fattori, per quanto riguarda invece gli studi sull'uomo rimane difficile da dimostrare. Esistono delle teorie patogenetiche a supporto del riassorbimento osseo in funzione del sovraccarico masticatorio. Quando le forze in gioco sono di entit maggiore della capacit di carico dell'osso e/o dell'interfaccia impianto-osso, a tali livelli, si generano delle fratture; in base alla frequenza delle fratture e alla capacit di riparazione di esse da parte dell'organismo, si evidenzier o meno un certo grado di riassorbimento osseo. Esposito e coll. (1997) hanno ipotizzato un meccanismo diverso per quanto riguarda la fase di riparazione, chiamando in causa la stabilit o meno della frattura: nel primo caso si assister ad una riparazione, nel secondo alla proliferazione di tessuto fibroso che ha perso la capacit di differenziarsi in tessuto osseo. In questa fase l'epitelio giunzionale pu proliferare verso l'apice dell'impianto. A oggi osservando i studi che supportano la correlazione overload/perdita ossea marginale ( Lindquist et al.,1988 Jemt et al al.,1989 Ahlquvist et al.,1990 Rosenberg et al., 1991 Sanz et al., 1991 Quirynen et al .,1992 Naert et al., 1992 Rangert et al.,1995), si nota come non sia riportata in letteratura un'evidenza scientifica risolutiva sull'argomento. Questo legato all'impossibilit di quantificare l'intensit e la direzione delle forze masticatorie che si sviluppano nel cavo orale, soprattutto per i pazienti che evidenziano una parafunzione, e di metterle in relazione con le capacit biomeccaniche 11

dell'osso. Per differenziare la perdita ossea causata da overload da quella di natura infettiva, necessario identificare dei parametri in grado di attribuire la natura eziologica del riassorbimento o del fallimento. Esposito et al.,(1998) hanno indicato le caratteristiche cliniche attraverso le quali sarebbe possibile giungere alla causa del fallimento. Caratteristiche del fallimento da overload Presenza di mobilit (non necessariamente negli stadi precoci) In generale presenza di dolore o sensibilit alla pressione In generale, assenza di segni infettivi a carico dei tessuti periimplantari Presenza di radiotrasparenza periimplantare (non necessariamente precoci) Assenza di una perdita ossea marginale significativa e distruzione ossea a cratere Capsula di tessuto di granulazione che circonda l'intero impianto (non necessariamente negli stadi precoci) I macrofagi sono maggiormente rappresentati a livello dell'interfaccia di tessuto fibroso neoformato Scarsa presenza di leucociti polimorfonucleati Crescita epiteliale verso il basso che si verifica dopo la perdita di osteointegrazione Caratteristiche del fallimento a eziologia infettiva Assenza di mobilita' (non necessariamente negli stadi tardivi) In generale, presenza di segni di infezione, quali suppurazione dei tessuti periimplantari Assenza di radiotrasparenza periimplantare (non necessariamente negli stadi tardivi) Perdita ossea marginale progressiva e distruzione ossea periimplantare crateriforme La porzione apicale dell'impianto rimane osteointegrata (non necessariamente negli stadi tardivi) Prevalenza di plasmacellule nel tessuto neoformato Presenza di numerosi leucociti polimorfonucleati 12 negli stadi

Crescita epiteliale verso il basso che si verifica simultaneamente con la perdita ossea

Lo stesso autore (Esposito 1998) evidenzia che in alcuni casi il fallimento dell'impianto possa essere la combinazione di overload e infezione periimplantare; e proprio in tali condizioni sarebbe impossibile individuare quale dei due fattori ha innescato il processo di riassorbimento. Ecco perch appare giustificata la ricerca di una corretta biomeccanica

implantoprotesica in grado di mantenere l'osteointegrazione a livello dell'interfaccia osso-impianto. A tale scopo si rende necessaria la valutazione delle forze che agiscono su tali strutture. Le forze originano a livello occlusale, si distribuiscono alla protesica e da qui, attraverso l'impianto, all'interfaccia osso-impianto e, pi genericamente alla compagine ossea.

Differenza tra impianti e denti naturali Le differenze fondamentali a carico dell'impianto sono dovute alla mancanza del legamento parodontale e sono: una diversa distribuzione dello stress all'osso e la mancanza della sensibilit nocicettiva. Per ci che riguarda la differente distribuzione dello stress, a livello dentale la situazione la seguente: il parodonto trasmette all'osso le forze applicate sul dente lungo tutta la superficie radicolare. In condizioni di salute parodontale questo si verifica in modo ottimale.

La livello

situazione implantare

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differente: quando una protesi supportata da impianti viene sottoposta al carico masticatorio, questa forza si trasmette attraverso l'abutment all'impianto dove rimane localizzata a livello superficiale, entro i primi millimetri della compagine ossea. A conferma di questo vi sono vari studi tra i quali quello effettuato da Stergaroiu e coll. (1998), che illustra come la quasi assoluta immobilit degli impianti determini la concentrazione della gran parte delle forze sul terzo crestale dell'osso, mentre in senso apicale tale carico va diminuendo. Per quanto riguarda le conseguenze dell'assenza della sensibilit nocicettiva, nella protesi implantare viene a mancare la correzione del pattern masticatorio, qualora l'impianto e/o la struttura protesica siano sottoposti a carichi masticatori abnormi. Questo aspetto diviene pi importante quando si fa una protesi implantoprotesica che occluda con una protesi anch'essa supportata da impianti: in tal caso la riabilitazione protesica si sottrae completamente dal controllo a feed-back realizzato dal sistema nocicettivo parodontale. In queste condizioni sono elevate le possibilit che durante la masticazione si sviluppino forze di intensit tale da compromettere la struttura protesica o, nella peggiore delle ipotesi l'integrazione degli impianti. Queste differenze si rendono responsabili di un peggioramento delle caratteristiche biomeccaniche del sistema implantoprotesico con incremento delle forze e concentrazione delle stesse in zone ridotte. Forze intraorali Le forze che si vengono a generare durante la funzione masticatoria (forze dinamiche) e le eventuali parafunzioni (forze statiche) possono essere identificate in base a direzione, intensit e modalit di applicazione. Direzione assiale Le forze assiali si generano quando l'impianto e' sottoposto a una forza con direzione lungo il suo asse maggiore. Queste sono le forze che l'interfaccia ossoimpianto e' in grado di sopportare pi favorevolmente. Le forze assiali si possono suddividere in base al verso di 14

applicazione, in forze tensili e forze compressive: le forze tensili tendono a separare le componenti protesiche mentre le forze compressive tendono a spingerle e ad adattarle tra loro. L'intensit necessaria per causare dei cedimenti delle componenti meccaniche risulta essere minore quando le parti vengono sollecitate in tensione, pertanto le forze da favorire sono quelle compressive. In ambito clinico la realt molto pi complessa, e' improbabile che una forza agisca esclusivamente in direzione assiale. Con un grado di approssimazione si pu dire che le forze generate dalla masticazione sono di due tipi, assiali e trasversali-laterali. Direzione trasversale e laterale Le forze che agiscono in tale direzione possono avvenire a opera di una forza che primariamente possiede tale direzione o di una forza che origina dalla scomposizione di una forza assiale lungo il piano inclinato di una cuspide. Un'altra situazione e' quella in cui una forza assiale venga esercitata da un punto lontano dall'asse dell'impianto. Le forze trasversali presentano degli effetti controproducenti che a livello delle componenti implantoprotesiche si manifestano con lo sviluppo di forze tensili che tendono a separare le stesse. Sull' osso di supporto le forze possono concentrarsi in modo alternato nelle zone coronali e apicali; l'entit dello stress dipende dalla qualit dell'osso e dalla rigidit dell'impianto. Un rimodellamento osseo pu essere la conseguenza di questa concentrazione di stress. Intensit L'intensit delle forze masticatorie a cui sono soggette le protesi implantari, in modo particolare nei settori posteriori della dentatura, merita particolare attenzione e giustifica l'incidenza delle complicanze che si verificano a carico delle componenti protesiche nonch a carico dell'interfaccia osso-impianto. Modalit di applicazione I carichi applicati in modo statico sono considerati pi pericolosi di quelli di tipo dinamico. Questo e' dovuto sia all'intensit delle forze che si sviluppano in un paziente 15

che serra i denti, sia al fatto che, in seguito alla mancanza di un fit passivo tra protesi, si vengono a creare degli stress che possono permanere anche quando il paziente non mastica. Per quanto riguarda le forze dinamiche, devono essere prese in considerazione le fratture da affaticamento: la frattura in questo caso non determinata dall'intensit della forza ma bens dal suo ripetersi in continuo nel tempo. Questo evidente se si considera che una persona compie, in media, all incirca un milione di cicli masticatori all'anno. Stress Questo termine identifica l'effetto di una forza che si distribuisce lungo una superficie. Nel caso degli impianti lo stress meccanico la grandezza fisica che descrive l'azione delle forze sulla superficie implantare: = F/ A dove = stress meccanico (Pascal), F = forza (newton), A = area (metri quadrati). Le due variabili da qui dipende l'intensit dello stress sono l'intensit della forza e l'area sezionale in cui la forza si dissipa. Quindi per evitare le conseguenze dello stress si deve operare su queste due variabili. L'intensit della forza pu essere ridotta agendo sui fattori definiti amplificatori di forza: forze assiali eccentriche, forze trasversali, lunghezza delle corone. La grandezza dell'area sezionale pu essere incrementata aumentando il numero degli impianti e selezionando una geometria implantare che sia disegnata per massimizzare la sua sezione funzionale. L' aumento dell'area della superficie funzionale diminuisce la grandezza dello stress meccanico che grava sulla protesi, sull'impianto e sui tessuti biologici. Occlusione L'obiettivo che il protesista deve perseguire quello di realizzare un manufatto che distribuisca in maniera favorevole i carichi masticatori agli impianti e all'osso circostante. Un concetto importante che le forze intraorali si generano durante la masticazione a livello della superficie occlusale: per cui la morfologia della stessa pu influenzare le caratteristiche delle forze in questione. Un altro fattore che si deve considerare il pattern masticatorio da adottare nelle varie tipologie riabilitative. 16

Morfologia occlusale Nella progettazione si devono creare delle condizioni che favoriscano lo sviluppo delle forze assiali e riducano invece le forze ( o componenti delle forze) che creano dei momenti flettenti. L' applicazione di una forza assiale a un versante cuspidale pu essere paragonata a quella di una forza lungo un piano inclinato. Diversi studi hanno indicato come, riducendo l'inclinazione dei versanti cuspidali, si determini una riduzione della componente trasversale generata dalla scomposizione della forza. Anche il versante palatale dei denti frontali superiori pu essere modificato creando un piano di appoggio per l'antagonista in centrica, evitando cos che il punto di applicazione delle forze sia in un piano inclinato. Il momento flettente si pu ridurre modificando la dimensione, in senso sia bucco-linguale che mesio-distale, del tavolato occlusale e favorendo dei contatti occlusali il pi possibile entro i confini del diametro dell'impianto.

Pattern masticatorio Per quanto riguarda la riabilitazione con protesi fisse a supporto implantare Lundgren e Laurell in una review sull'argomento (1994) sostengono che necessario seguire i principi per una occlusione stabile proposti da Beyron per ponti fissi supportati da denti naturali. I criteri secondo Beyron sono: libert in centrica, la possibilit di ritrovare la massima intercuspidazione in posizione leggermente anteriore rispetto a quella retrusa; occlusione bilateralmente stabile in centrica con contatti simultanei nella posizione pi retrusa, per evitare l'abitudine al bruxismo causata dalla tendenza della mandibola a superare l'ostacolo; assenza di interferenza tra posizione centrica e posizione retrusa; contatti occlusali distribuiti uniformemente in occlusione centrica; morfologia occlusale che guidi le forze in direzione assiale sia anteriormente che posteriormente sfruttando dei contatti a tripode della cuspide nella fossa opposta; 17

guida di gruppo in lateralit con contatti laterotrusivi solo dal lato lavorante e assenza di contatti o contatti molto leggeri sul segmento del lato non lavorante.

Lo scopo e' quello di cercare una stabilit occlusale in cui i contatti occlusali siano bilaterali e antero posteriori soprattutto sulle parti supportate dagli impianti. Questo comporter una distribuzione delle forze adeguata senza sovracarichi sui singoli impianti. La stabilit richieder di ottenere forze che hanno una direzione assiale rispetto all'impianto, in quanto le sole a non essere dannose per l'interfaccia impianto-osso. Questo ottenibile garantendo una libert in centrica e riproduzione delle cuspidi con altezza limitata. Nella riabilitazione di un arcata edentula in occlusione centrica/relazione centrica si avranno contatti simultanei bilanciati dei denti posteriori; durante la lateralit si realizzer una guida canina o una funzione di gruppo; nella protrusiva lo svincolo sar realizzato tramite una guida incisiva che garantir l'assenza di contatti sui denti posteriori. Nel caso di un'arcata parzialmente edentula in occlusione centrica, la protesi su impianti risulter leggermente infraocclusa, nella lateralit se possibile sar opportuno utilizzare una guida canina sugli elementi naturali o una funzione di gruppo a carico degli impianti uniti rigidamente; lo stesso discorso per la guida incisiva nella protrusiva. In letteratura esistono differenti opinioni ma un punto in cui tutti concordano quello di evitare che le protesi vengano sollecitate da forze trasversali. Quest'ultime generano dei momenti flettenti che si rendono responsabili dello sviluppo di stress tensivi e compressivi a carico delle componenti protesiche e a livello dell'interfaccia ossoimpianto. Tale condizione pu essere responsabile di un riassorbimento osseo. Struttura protesica Le forze masticatorie che si sviluppano a livello occlusale vengono trasferite dalla struttura protesica alle componenti protesiche implantari e quindi agli impianti. chiaro che la struttura protesica con le sue caratteristiche strutturali ( il materiale, la precisione di adattamento) pu influenzare il trasferimento delle forze alle strutture sottostanti. 18

Struttura metallica La rigidit una delle propriet principali che caratterizzano la struttura metallica. Tale propriet dipender dal tipo di lega che il tecnico andr a scegliere e dalle caratteristiche dimensionali e morfologiche della struttura metallica. Tipo di lega. Le caratteristiche principali che una lega deve possedere sono: un modulo elastico adeguato, facilit nei processi di fusione, saldatura e rifinitura, compatibilit con il materiale da rivestimento scelto, costo economico contenuto. Esistono diversi tipi di leghe, ma quelle che andrebbero considerate sono le leghe al palladio, le leghe palladio-argento, e le leghe nobili tipo IV. Una certa diffusione hanno trovato anche le leghe di titanio. Alcuni autori tra cui Sirtgaz (1997) indicano come soluzione ottimale l'utilizzo di leghe cromo-cobalto e il rivestimento in ceramica. Ovvio che vanno sempre pi migliorando, attualmente si utilizza molto lo zirconio, su abutment in zirconio, oppure le strutture sinterizzate e/o CAD/CAM in cromo-cobalto. Comunque sono ancora tutte valide. Travata: Forma e dimensioni Due sono i fattori che devono conciliare nella progettazione della struttura metallica: la resistenza strutturale e spazi adeguati per il rivestimento estetico. Per quanto riguarda la resistenza, la letteratura suggerisce valori di 4 mm di base x 6 mm di altezza; altri autori raccomandano un'altezza minima di 6 mm. Il perch dell'utilizzo di dimensioni maggiori in senso apico-coronale legato al fatto che la rigidit della struttura risulta essere proporzionale al cubo dell'altezza, mentre il rapporto con lo spessore lineare. Dagli studi risulta che forma ideale della travata quella con sezione a L, perch a parit di materiale possiede maggiore rigidit. In pi si rende disponibile spazio a livello vestibolare per l'alloggiamento del materiale estetico. Altre tipologie analizzate sono le strutture con sezione a semicerchi, a pseudo-I e a semicerchio cavo.

Estensioni ( cantilevers) Da un punto di vista biomeccanico, l'utilizzo degli elementi o barre in estensione 19

comporta un peggioramento delle caratteristiche del sistema. L'utilizzo per degli cantilevers dettato da fattori anatomici,funzionali ed economici. La maggior parte degli autori ha accettato il loro impiego ma il punto controverso riguarda la lunghezza in senso mesio-distale delle stesse. Non esistono regole assolute sulla lunghezza dell'estensione, perche bisogna tener conto di pi variabili tra cui: quantit e qualit dell'osso, numero e distribuzione degli impianti nell' arcata, rapporti occlusali, dentatura antagonista, presenza di parafunzioni. Comunque per quanto riguarda la valutazione delle protesi fisse a supporto implantare con elementi cantilever, la letteratura riporta una buona prognosi a medio-lungo termine.

Fit passivo necessario che tra la travata metallica e gli impianti ci sia un fit passivo. Questo un fattore critico per il mantenimento a lungo termine dell'osteointegrazione ( Branemark et al., 1983). Una travata non sufficientemente passiva pu causare un fallimento di tipo meccanico (frattura/deformazione dei componenti) della protesi e complicanze biologiche dei tessuti circostanti, quali reazioni tessutali, perdita ossea marginale e perdita dell'osteointegrazione. Le cause che possono determinare un misfit sono molteplici, dal materiale da impronta, al processo di fabbricazione, design e configurazione della travata, nonch al grado di esperienza del clinico e dell' odontotecnico. L'adattamento della struttura protesica agli impianti considerata una delle problematiche principali dell'implantoprotesi. Dando un'occhiata ai valori che negli anni sono comparsi nelle diverse pubblicazioni riguardo al misfit si pu assumere, come criterio generale, che maggiore la lunghezza della struttura, maggiore la presenza di misfit. Impianti (diametro, lunghezza, numero) Il diametro standard degli impianti endossei attorno ai 4 mm; tale diametro stato utilizzato nell'applicazione originale dell' implantoprotesi, la riabilitazione di arcate 20

totalmente edentule. Allo stato attuale dell'impiego degli impianti, per ragioni biomeccaniche ma anche estetiche, si deve confrontare con situazioni cliniche in cui sarebbe desiderabile un impianto di diametro maggiore o minore. L'utilizzo di un diametro maggiore nella riabilitazione dei settori posteriori, a livello teorico porta dei vantaggi. Oltre ad offrire una maggiore superficie per l'osteointegrazione, in certi siti l'impattamento con le corticali buccale e vestibolare consente una maggiore stabilit primaria dell'impianto. Per quanto riguarda la lunghezza dell'impianto, studi longitudinali hanno dimostrato che gli impianti pi corti (