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Tesi per l’esame di istruttore L’etichetta Giapponese Il saho e il rispetto dei compagni LIVIO ANTENUCCI

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Tesi per l’esame di istruttore

L’etichetta Giapponese

Il saho e il rispetto dei compagni

LIVIO ANTENUCCI

2 L’etichetta giapponese

Il saho e il rispetto dei compagni

Tesi per l’esame di istruttore Livio Antenucci Gennaio 2010

Presentazione

Ho deciso di affrontare quest’argomento cercando di affrontare tutto da un punto di vista molto ampio, considerando il SAHO, quindi, non solo da un punto di vista meramente formale, e perciò ho voluto affrontare anche l’argomento da un punto di vista pratico, cioè visitando i vari spazi occupati da ogni personaggio presente nel dojo, analizzando a volte i diritti ma soprattutto i doveri di ognuno. Il dojo è un posto frequentato da molte persone, e relazionarsi con gli altri può talvolta essere complicato soprattutto nei grandi gruppi se non vi sono delle regole valide per tutti e soprattutto qualcuno che ci aiuta a rispettarle, di modo che un giorno potremo essere noi ad indirizzare nuovi allievi. Naturalmente nell’importanza delle regole di convivenza in un dojo ho deciso di affrontare anche l’ordine nel vestiario poiché considero importante che il gi venga indossato correttamente da tutti, andando ad affrontare anche la sua storia insieme a quella dell’obi. Questo argomento ha stimolato la mia curiosità e la mia voglia di approfondire poiché penso che il rispetto e la riconoscenza nei confronti di chi ci ha insegnato qualcosa sia molto importante e che sul piatto della bilancia con una tecnica fatta in maniera impeccabile vincerà sempre il rispetto,

naturalmente è altrettanto importante guadagnarsi il rispetto, poiché una volta perso il rispetto è molto difficile ritrovarlo, e il modo migliore è senz’altro quello di dare il buon esempio: non potrò mai chiedere al mio kohai di seguire determinate regole se poi sarò io il primo a non rispettarle,

dando il buon esempio.

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Saho

Il saho è la cosiddetta etichetta che in Giappone viene usata, ancor oggi nella vita di tutti i giorni; questo si ripercuote in maniera ancora più accentuata nelle arti marziali. L’espressione più evidente del saho, che potremmo definire anche come rispetto, è senz’altro il saluto (REI).

REI

Comincerei col dire che ci sono due forme differenti per il saluto, ritsu rei e za rei.

Ritsu rei (saluto in posizione eretta)

Viene eseguito in posizione musubi-dachi, piegando il busto in avanti di 30° circa la testa segue il movimento, le mani sono aperte ed appoggiate lungo le cosce appena al di sopra del ginocchio, lo sguardo è rivolto in avanti. Un ulteriore segno di rispetto è la pronuncia della parola HAI che poi andremo ad approfondire nel suo significato.

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Za rei (saluto in ginocchio) Si parte sempre dalla posizione musubi-dachi con le mani lungo le cosce, questa volta però anziché l’inchino procederemo nel seguente modo: Portiamo indietro il piede sinistro e appoggiamo questo ginocchio a terra scendere quindi con il ginocchio destro restando in ginocchio ma senza appoggiarsi ai talloni girare ora i piedi di modo che appoggi a terra il collo del piede e sedersi sui talloni; per rialzarsi eseguire il movimento a ritroso.

Una volta a terra le mani vanno ad appoggiarsi sulle cosce, con la punta delle dita rivolte verso l’interno, le donne terranno le gambe meno divaricate rispetto agli uomini.

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Eseguire il saluto appoggiando la mano sinistra e successivamente quella destra a terra davanti a noi con le dita rivolte all’interno, piegarsi quindi in avanti, senza alzare le anche o appoggiare la fronte a terra. E’ molto importante ricordare che l’allievo non deve mai vedere il proprio maestro inchinato, quindi l’allievo dovrà attendere qualche istante prima di raddrizzare la schiena per dare modo al proprio maestro di rialzarsi prima di lui.

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Come ci si dispone nel Dojo per il saluto

EST

Muro d'onore

Shomen o Kamiza/Shinzen Riservato al Maestro, con l'immagine del Fondatore, una calligrafia o un simbolo sacro.

NORD

Sede

inferiore

Shimoseki A partire da questo lato si dispongono i principianti ed i praticanti più giovani.

SUD

Sede

superiore

Joseki Riservata agli ospiti d'onore o agli istruttori assistenti.

OVEST

Muro inferiore

Shimoza Lato di entrata lungo cui si dispongono gli allievi in ordine di anzianità.

In caso di presenza del Caposcuola, sul lato del joseki si posizioneranno solo i maestri.

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Come scrisse tanti anni fa in uno dei suoi precetti il Maestro Funakoshi ritenuto il fondatore del karate moderno: Il karate inizia e finisce con il saluto. Andrò ora quindi a descrivere come si svolge il cerimoniale del saluto. I karateka si posizionano sul lato shimoseki al bordo del tatami di fronte al maestro che si posiziona al centro del tatami di fronte al lato d’onore chiamato Kamiza, solitamente su questo lato si trovano appese le foto dei grandi maestri o delle divinità che si vogliono onorare. Il senpai, allievo più anziano con grado più alto si sistemerà sull’estremità destra del dojo, seguito in ordine gerarchico dagli altri allievi. Ognuno deve accertarsi che il proprio karate-gi e l’obi siano ordinati. Spetta inoltre al senpai verificare che tutti siano ordinati correttamente. Gli istruttori formeranno una fila a lato del senpai sul lato chiamato joseki, sempre in ordine gerarchico. Una volta disposta la fila ed essersi posizionati in musubi-dachi come detto in precedenza,il maestro si girerà verso il kamiza e posizionato in za rei, e gli istruttori anche loro in ordine progressivo avranno svolto la stessa cosa posizionandosi a loro volta in za rei a 45° gradi verso il kamiza, il senpai darà l’ordina seiza (inginocchiarsi), si procederà come già descritto ed inginocchiandosi in ordine gerarchico partendo dal senpai ed arrivando all’allievo con meno anzianità chiamato kohai. Il senpai pronuncerà quindi il dojokun, le cinque regole del karate, che sono state scritte dal maestro Funakoshi e alle quali non ha voluto dare un ordine di importanza,ma le ha volute posizionare tutte al primo posto, tant’è che cominciano tutte e cinque con hitotsu che in giapponese sta a significare primo. Appena terminato il dojokun verrà dato il comando mokuso, fase di concentrazione che viene svolta ad occhi chiusi nel quale bisogna cercare di svuotare la mente da pensieri e preoccupazioni. Al termine del mokuso con il comando shomeni rei si inizierà il saluto inchinandosi; a questo punto una volta tornati con la schiena dritta, il maestro si girerà verso gli allievi e gli istruttori si gireranno orizzontalmente verrà dato il comando sensei ni rei, verrà ripetuto il saluto esclamando HAI! col diaframma; il senpai darà quindi il comando o tagai ni rei, questa volta però il saluto sarà svolto solo dalla fila del senpai pronunciando sempre l’esclamazione HAI!questo saluto ha il significato principale di ringraziamento degli allievi nei confronti del maestro e degli istruttorie anche il significato di aiutarsi. A questo punto la fila degli istruttori o dei maestri, si girerà verso il sensei al centro del tatami ed eseguirà, questa volta senza nessun comando, l’inchino reciprocamente dicendo il saluto Hai, questo saluto sta a significare una reciproca cortesia tra maestri istruttori e il sensei o caposcuola. Quando il maestro si sarà quindi alzato, darà l’ordine alla fila degli istruttori o maestri kiritsu (alzarsi), i quali alzandosi si metteranno nella posizione iniziale di musubi dachi. A questo punto il maestro darà l’ordine per poter incominciare la lezione. Al termine dell’allenamento la procedura sarà pressoché identica, con però alcune piccole differenze.

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Il senpai non pronuncerà più il dojokun ma verrà eseguito comunque il mokuso che questa volta servirà per riprendere le energie perse durante l’allenamento, ovviamente la respirazione e la postura corretta hanno un importanza fondamentale. Nel caso della presenza di un maestro ospite, la fila degli istruttori quando si sarà rivolta verso il maestro centrale ed eseguendo il saluto pronuncerà la frase : ” domo arigato gozai maste”. Tante palestre utilizzano l’esclamazione OSS al posto di Hai, pur non essendo un termine errato, non è sempre corretto in quanto la differenza fra OSS e HAI è formale, mentre il primo è più un saluto amichevole e potrebbe andar bene fra nuovi allievi, il secondo è una forma più rispettosa di saluto e quindi più corretto verso le persone di grado più elevato, insegnanti e agli ospiti presenti nel dojo. Quando dico "HAI" é come se stessi pensando "Sì é così, accetto e rispetto la tua persona o la tua spiegazione che cercherò di mettere in pratica". In oriente, si usa spesso cercare di rappresentare il significato di un concetto con una sola parola o ideogramma. Come abbiamo detto in precedenza esistono due modi di fare il saluto, za rei e ritsu rei, ora andremo a vedere quando si usa uno e quando l’altro. Come abbiamo appena visto il saluto za rei viene usato solo all’inizio e alla fine della lezione, mentre ritsu rei viene usato in tante altre occasioni che ora andremo ad analizzare. Il primo saluto che si fa è quello fatto prima di salire sul tatami (ritsu rei), sistemati gli zoori (ciabatte) si effettua nuovamente il saluto sul bordo del tatami prima di posizionarsi in fila per effettuare za rei, ricordandosi di accedere al tatami con il piede sinistro. Il saluto ha due significati: il primo è quello di rispetto verso il luogo della pratica, il secondo è una sorta di preparazione spirituale, di concentrazione, è un abbandonare ogni idea estranea al karate fuori dal tatami. Si effettua il saluto anche prima di eseguire qualsiasi esercizio a coppie, che sia allenamento o kumite in gara, nel caso della gara naturalmente si rivolgerà il saluto agli arbitri e poi al compagno di kumite, il saluto tra due praticanti, (tori e uke) prima di esercitarsi, non è una cosa da prendere con leggerezza, in quanto ha l’importante significato di dimostrare che tra i due non c’è nessuna avversità ma il sentimento, che era molto importante per Jigoro Kano grande maestro e fondatore del judo, jita kyoei (insieme per progredire). Altra occasione in cui si effettua il saluto è quando entra nel dojo (luogo in cui si pratica) una cintura superiore, questo non vuol dire sottomettersi, ma è un segno di rispetto della fatica e del traguardo raggiunto da chi ha cominciato prima di noi. Altra circostanza di saluto è quando si entra o si esce dal tatami durante la pratica, il comportamento di un singolo, infatti, influenza quello di tutti, per cui effettuando il saluto si cerca di non spezzare la giusta tensione mentale che si è venuta a creare fra i partecipanti alla lezione. L’etichetta vuole anche che dopo ogni spiegazione o correzione del maestro si effettui ancora ritsu rei esclamando HAI! Nelle regole del bushido (codice d’onore dei samurai), ogni gesto doveva essere eseguito in modo da consentire, nella frazione di secondo che segue, un attacco a sorpresa, o di utilizzare la risposta più efficace. Ad esempio, l’etichetta vuole che un uomo riceva un oggetto solo con la mano sinistra, affinché la destra sia libera di sguainare la spada. Una vecchia massima insegna ai praticanti di arti marziali che” chi è realmente pronto non sembra affatto pronto”. Egli sarà capace di passare in un istante dal gesto banale che sta compiendo alla risposta decisiva, senza passare da uno stadio

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preparatorio; a questo scopo lo spirito non deve mai addormentarsi. Queste precauzioni si ritrovano persino nel saluto, probabilmente è proprio per questo motivo che ad esempio nel saluto in za rei è prima la mano sinistra a scendere, lasciando la destra ancora pronta per poter sguainare la spada, e successivamente la destra è la prima a risalire per essere nuovamente pronta. Alcune scuole il saluto in ritsu rei viene eseguito con i pugni chiusi e lo sguardo dritto davanti a sé. Senza arrivare fino a questi segni visibili di sospetto, poco in armonia con il rispetto dell’avversario, si può salutare degnamente pur rimanendo pronti a tutto.

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Un’altra figura molto importante all’interno del dojo è il senpai, termine molto usato in Giappone anche in ambito scolastico dove sta ad indicare gli studenti più anziani, generalmente viene utilizzato come termine di rispetto per indicare una persona più anziana o di grado superiore. Il contrario di senpai è kohai, che indica gli studenti più giovani.

Le parole giapponesi:

Senpai Kohai

Sono costituite dai kanji:

Sen che significa prima o davanti

Ko che significa dopo o dietro

Hai che significa collega o compagno

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Letteralmente, il significato sarà quindi:

Senpai anziano, superiore

Kohai giovane, inferiore

Il senpai, quindi è colui che guida altri che percorrono la stessa strada che lui ha già percorso. Non c’è bisogno di dire:<< rispettami perché sono il tuo senpai>>, il kohai deve avere il desiderio naturale di rispettare il proprio senpai e non essere obbligato. Probabilmente è questa semplicità con cui i giapponesi attuano queste per loro comuni regole di comportamento con naturalezza con questa sorta di ordine gerarchico che si ripercuote in ogni loro attività quotidiana anche al di fuori del dojo, nella scuola, sul lavoro, in famiglia, per noi atipica che ostacola la nostra capacità di capire, ma in fondo cosa c’è da capire, basta accettare, fa parte del Budo. Ecco come dovrebbe funzionare il rapporto tra senpai e kohai: Quando un allievo inizia a praticare il dojo, coloro che già praticano sono i suoi senpai, quelli che verranno dopo di lui saranno i suoi kohai, e così rimarrà indipendentemente dal grado, età o esperienza. Prima di far entrare il principiante nel dojo occorre mostrargli come indossare il karategi e l’obi, come comportarsi entrando e uscendo e come salutare l’insegnante e i suoi compagni. Questo servirà anche per fare in modo che il nuovo arrivato si senta subito inserito nel gruppo e non sia spaesato. Sarà compito degli allievi più anziani anche quello di non lasciare mai solo senza un compagno il nuovo praticante. L’anziano ha il dovere verso il Sensei e verso il dojo di far crescere il giovane di livello e accudirlo da fratello maggiore. Il giovane avrà a sua volta un debito nei confronti degli allievi anziani in cambio della loro buona volontà nel trasmettere quello che hanno imparato. Il debito di gratitudine (giri), è un concetto profondamente radicato nella cultura giapponese, ma in compenso quasi del tutto incomprensibile per un occidentale, trova in questo contesto la sua applicazione. Quando si è un allievo di livello avanzato, l’allenamento è solo una parte delle proprie funzioni, i kohai hanno bisogno della tua guida, ed è compito tuo fornire un buon esempio. Per un giapponese che pratica in un dojo, seguire queste norme è facile, non ha che da replicare le comuni regole di comportamento che applica quotidianamente nella vita sociale. Per un occidentale, risulterà invece più difficile, in quanto i nostri rapporti sociali sono molto spesso informali, per questo qualcuno può sentirsi troppo stretto da queste regole di comportamento inusuali nella nostra vita quotidiana.

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Ritroviamo spesso nei nomi delle arti marziali il suffisso “DO” queste due lettere potrebbero sembrare poca cosa, soprattutto per noi occidentali, ma trovano un forte riscontro storicamente radicato all’interno della cultura societaria giapponese. Sono fermamente convinto che il Do sia una parte molto importante nella vita dei giapponesi e conseguentemente nelle arti marziali di questa derivazione geografica, e credo anche che spesso il Do e il saho si intreccino tra di loro. Come disse in una sua celebre frase il maestro Egami grande allievo del maestro Funakoshi: “In un arte marziale prima, pieni d'odio, si cerca di distruggere l'avversario, poi di ucciderlo con una sola tecnica, poi di sconfiggerlo senza ucciderlo, poi di batterlo senza fargli male ed infine, pieni d'amore, di vincerlo senza combattere” Questo è il Do (via) Le arti marziali sono discipline ad alto contenuto spirituale e morale, se il marzialista cerca solo la perfezione della forma, allora non è ancora pronto per conoscere la “Via”. G. Funakoshi aggiungerà al termine karate il suffisso do in un secondo tempo rispetto al cambiamento del nome che originariamente era Tote o Mano Cinese modificato agli inizi degli anni 30 con il montare del nazionalismo. Unendo gli ideogrammi KARA e TE.

Se proviamo ad analizzare i nomi di alcune discipline vedremo infatti che molte sono quelle che contengono il suffissi Do: aikido, judo, reiki-do, jeet kune do,tae kwon do,kobudo, iaido…, questo può aiutarci a capire quanto sia radicata ed importante questa parte forse più filosofica nella vita dei giapponesi. Molteplici sono le traduzioni del suffisso DO, “via” la più comune, filosofia ,sentiero, principio, dottrina….. possiamo cominciare a capire questo anche leggendo i precetti che il maestro Funakoshi ha voluto tramandarci affinché il suo pensiero giungesse a tutti noi. Scrisse ad esempio: ” Chi studia il karate non deve ricercare solamente la perfezione tecnica”questo come detto prima sta a significare che la tecnica è si importante ma è solo parte di una disciplina, anche se nei tempi moderni questa parte si sta perdendo per rendere il karate più adatto alle gare, tant’è che molti kata sono stati modificati per risultare più “belli” visivamente in gara perdendo il loro significato

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con il quale erano stati creati. Il fondatore del karate cosiddetto moderno ci scrisse anche :” Senza cortesia l’essenza del karate è persa .La cortesia va praticata non solo durante l’allenamento, ma in ogni momento della vita quotidiana”. Anche questo ci lascia intendere come già detto all’inizio, che per i giapponesi le regole del dojo si riportano spesso alla vita sociale quotidiana. L’ideogramma del DO viene letteralmente tradotto come via o mezzo per raggiungere un obiettivo, ma il suo significato è molto più profondo e lo si riscontra nel fatto che, lo stesso ideogramma, che nella lingua giapponese viene pronunciato come “DO”, in quella cinese, da cui ha origine, come “TAO” termine forse più conosciuto, ma il cui significato, il cui senso, risulta essere lo stesso.

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Altro argomento interessante, sicuramente importante sia per quanto riguarda il punto di vista del Saho che rispetto al Do, credo che sia ciò che ci porta a rispettare le regole del saho perché siamo convinti che sia giusto farlo, e non perché ci sentiamo obbligati, ma questo naturalmente può essere molto complicato per un novizio, ma crescerà in maniera spontanea nell’allievo più anziano, proprio per questo è importante che il senpai e il sensei diano un buon esempio agli allievi più giovani di modo che a loro volta sentiranno crescere dentro di loro il desiderio di seguire la “Via”. Parlerei ora quindi del Dojokun, menzionato all’inizio nella descrizione del saluto in za rei. Il dojokun tradotto letteralmente significa: le regole del luogo dove si segue la Via. E’ sinonimo della ricerca del perfezionamento, attraverso lo studio del karate ed è composto da cinque principi che concorrono allo sviluppo fisico e spirituale del praticante. Avvia all'esercitazione della giusta condotta da tenersi e crea il nesso tra lo studio filosofico dell'arte marziale e lo studio pratico della tecnica: le conoscenze della Via (dō) non devono restare dei principi vuoti ma piuttosto forgiare il comportamento del praticante. Il dōjō kun è perno di un'esercitazione spirituale incentrata sullo studio dell'arte marziale (Budo), la sua comprensione ha importanza quanto l'affinamento delle tecniche: prima, dopo l'allenamento, durante la cerimonia del saluto, vengono pronunciate le regole del dōjō kun; l'allievo più anziano di grado enuncia le frasi, ripetute da tutti gli allievi nella posizione del saluto. L'origine del dōjō kun riporta agli albori dell'arte marziale, si dice che il primo dōjō kun sia stato codificato dal monaco buddhista Bodhidharma, nel monastero di Shaolin. Nel karate fu stabilito dal maestro Sakugawa di Okinawa e giunge sino a noi, fondamento dello stile tradizionale.

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Dojo kun HITOSU JINKAKU KANSEI-NI TSUTOMURU KOTO

HITOSU MAKOTO NO MICHI O MAMORU KOTO

HITOSU DORYOKU SEISHIN O YASHINAU KOTO

HITOSU REIGI O OMONZURU KOTO

HITOSU KEKKI NO YU O IMASHIMURU KOTO

Come abbiamo detto all’inizio durante la spiegazione del saluto, possiamo qui sopra notare che ogni frase comincia con Hitosu, anche se poi non la ritroviamo riportata nella traduzione, chi ha scritto queste frasi, ha voluto dare la stessa importanza ad ognuna di queste regole, perché la traduzione letterale è primo, volendo lasciar intendere che ogni regola ha lo stesso valore!

(traduzione del dojo kun)

1 cerca di perfezionare il tuo carattere

il karate e' mezzo per migliorare il carattere

dobbiamo cercare un costante perfezionamento interiore

2 cerca di fare le cose giuste al servizio del bene

il karate e' via di sincerità

dobbiamo agire secondo giustizia e con rettitudine

3 cerca di allenarti con grande costanza

il karate e' mezzo per rafforzare la costanza della spirito

dobbiamo impegnarci con assidua costanza

4 cerca di comportarti cavallerescamente

il karate e' via per imparare il rispetto universale

dobbiamo agire con il massimo rispetto degli altri

5 cerca di non reagire anche se sei provocato

il karate e' via per acquistare l'autocontrollo

dobbiamo riuscire a controllare i nostri istinti

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Andiamo ora ad analizzare il testo in ogni sua singola parola:

ITOTSU "per primo", "innanzitutto", sottolinea l'importanza del seguito JINKAKU il carattere dell'uomo (jin) KANSEI perfezione, miglioramento NI è una congiunzione TSUTOMURU impegnarsi, tendere a. KOTO è un rafforzativo imperativo del verbo MAKOTO sincerità NO è una congiunzione MICHI stesso ideogramma di "DO" significa la via da percorrere O aggettivo accrescitivo MAMURU seguire KOTO è un rafforzativo imperativo del verbo DORYOKU fatica, sforzo NO è una congiunzione SEISHIN anima, spirito, mente O aggettivo accrescitivo YASHINAU allevare, innalzare KOTO è un rafforzativo imperativo del verbo REIGI etichetta, rispetto, buone maniere (da REI = rispetto e GI = abito) O aggettivo accrescitivo OMONZURU onorare, esaltare KOTO rafforzativo imperativo del verbo KEKKI spirito bestiale, sangue caldo NO è una congiunzione YU coraggio, temerarietà O aggettivo accrescitivo IMASHIMERU ammonire, controllare, reprimere, mettere in guardia KOTO rafforzativo imperativo del verbo. La parola chiave di ogni frase è una, ovvero: JINKAKU - MAKOTO - DORYOKU - REIGI - KEKKI Carattere - Sincerità - Costanza - Rispetto – Autocontrollo

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Il Gi e l’Obi Altra cosa importante per quanto riguarda il rispetto è essere ordinati, sia nel vestiario, che naturalmente nella pulizia personale, i piedi devono essere ben lavati prima di entrare sul tatami, e le unghie di mani e piedi vanno tenute corte e pulite, sempre per rispettare i nostri compagni che potrebbero venire a contatto con queste parti. Per quanto riguarda l’ordine del vestiario, andiamo ora ad esaminare il karategi, ossia l’abito che tutti noi utilizziamo ogni qualvolta entriamo in un dojo. Comincerei dagli inizi del karategi, narrando la sua curiosa storia…. Nel 1921, il Principe Imperiale venne in visita ad Okinawa, e per lui fu organizzata una dimostrazione di karate che lo colpì molto. Ci fu quindi un invito a tenere una dimostrazione in Giappone, e fu scelto Funakoshi che fece una dimostrazione a Kyoto e poi al Budokan di Tokio su invito personale del maestro Kano, creatore del Judo. Durante queste dimostrazioni fu introdotto il Gi (pronuncia ghi) dal maestro Funakoshi, che ne confezionò personalmente la notte prima della dimostrazione due, uno per lui e uno per l’allievo che lo accompagnava, prendendo ispirazione dal judogi, ma utilizzando una stoffa molto più leggera e comoda, in quanto ad Okinawa non vi era un abito particolare da utilizzare per la pratica del karate; il colore bianco è quello naturale del cotone non tinto, essendo un abito semplice e sta ad indicare la purezza. Il karategi è composto da una giacca (uwagi), da un paio di pantaloni (zubon) e da una cintura (obi) il cui colore rappresenta il grado del praticante, i colori delle cinture sono state riprese dal judo e quindi seguono la stessa colorazione: bianca, gialla, arancione, verde, blu e marrone, questi gradi sono chiamati Kyu, ed il superamento è legato al passaggio di un esame, successivamente viene la cintura nera divisa in Dan, i dan sono 10 e vengono assegnati dal 1° al 5° per esami, e solitamente dal 6° al 9° per merito, il 10° dan è solitamente riservato al maestro caposcuola di ogni stile.

Ecco come andrebbero indossati correttamente il gi e l’obi

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Spesso viene data poco importanza al modo di indossare l’obi soprattutto dai kohai, è proprio in queste occasioni che il senpai deve intervenire, facendo sì che il nuovo arrivato impari ad indossare in maniera corretta l’abito che lo accompagnerà durante la “Via”.

Ecco come si presenta l’ordine dei gradi nel karate

Spesso erroneamente, il gi viene anche chiamato kimono, ma il kimono è il tradizionale abito portato dalle donne giapponesi.

Kimono Hakama

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Le cinture obi vengono indossate anche sotto le hakama, un tipo di pantaloni molto larghi che sembrano una gonna, tradizionalmente indossati dagli uomini e occasionalmente anche dalle donne. Gli uomini indossano un normale obi come per il kimono sotto l’hakama, legato con uno speciale nodo che fornisce un supporto adeguato per il retro rigido dei pantaloni. In molte uniformi per le arti marziali è previsto l'obi. Sono tipicamente abbastanza spesse e di cotone, larghe circa cinque centimetri. Il loro colore indica il grado raggiunto da chi la indossa nell'arte marziale in questione; di solito il grado più basso è il bianco e quello più alto il nero. In alcuni stili di arti marziali, per i gradi più alti sono previste delle obi color oro o a strisce bianche e rosse. Vengono avvolte una o più volte alla vita e assicurate con un nodo davanti o dietro.

Altro aspetto importante del saho che vorrei analizzare è il rapporto Maestro – Allievo – Maestro, e cito volentieri una frase semplice ma molto importante, di uno dei più grandi e noti maestri di arti marziali, il maestro Jigoro Kano, fondatore del Judo.

"L'educazione è ciò che di più grande ed esaltante vi è nella vita. E' un grande onore dedicarsi ad essa. Educando si possono influenzare migliaia di esseri umani e questa azione perdurerà per generazioni".

Questa frase, lascia molto riflettere, perché un buon maestro produrrà certamente dei buoni allievi, ma un “cattivo” maestro potrebbe influenzare negativamente molte persone, anche nella vita quotidiana.

Nella tradizione delle arti marziali, per capire il rapporto che s’instaura tra allievo e maestro è richiesta un’elevata sensibilità e una spiccata attitudine a gestire gli aspetti della pratica legati alla percezione. Kimuchi esprime il massimo livello della trasposizione di sentimenti positivi tra maestro e allievo, dove le sensazioni prendono il posto delle parole. Arrivare a sentire e provare kimuchi è un traguardo per pochi. L’allievo, quando s’iscrive ad un corso di karate, non sa niente della pratica, di quello che sarà il rapporto con il maestro. Se nel suo DNA esiste la possibilità di arrivare a kimuchi, non immagina quanto diventerà importante per lui il maestro. All’inizio dell’insegnamento col nuovo adepto, il maestro non sa se con lui arriverà a kimuchi. Solo con il trascorrere delle lezioni il maestro si renderà conto se s’instaurerà questa situazione positiva. E’ una prova difficile per l’insegnante ma anche per l’allievo. Vediamo quali sono gli elementi che concorrono ad ottenere un traguardo così importante. Il maestro serio, segue tutti allo stesso modo, ed è sempre pronto oltre che a trasfondere la disciplina a capire, assistere ed aiutare anche fuori dal dojo. Per l’allievo il maestro diventa una figura determinante, rappresenta una sicurezza, la soluzione ad ogni problema. Il maestro che fa capire di avere un grande amore per la disciplina e dimostra continuamente che i suoi allievi sono importanti, nella maggior parte dei casi

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crea questo rapporto senza rendersene conto. Per molti allievi diventa un punto di riferimento anche fuori dal dojo. Spesso al maestro sono confidate cose strettamente personali, vengono chiesti consigli sulle scelte da fare, e questo solo per il fatto che l’allievo ripone in lui una fiducia incondizionata, e sente che è la persona di cui si può fidare. Per i più piccoli diventa una figura paterna, per i più grandi un fratello, nel massimo rispetto anche un amico che è sempre pronto ad aiutarti. Tutto questo colloca il maestro in una situazione molto delicata e di grande responsabilità. Gli allievi si affidano a lui non solo tecnicamente ma anche umanamente e questo il maestro lo sente. Una volta raggiunto questo livello, per non alterare ciò che di bello è stato costruito, il maestro deve lavorare sempre di più e con attenzione in questo senso per non deludere i propri allievi. Per questo, deve riuscire ad instaurare col gruppo un rapporto sano sotto ogni aspetto. Deve continuamente migliorare la capacità di guidare i suoi allievi in un insieme di gentilezza ma anche di fermezza sulle situazioni importanti della pratica. Deve essere dolce ma implacabile e trasmettere anche nel momento più duro il dispiacere per essere arrivato a dover rimproverare uno o più allievi. Se serve, il maestro deve essere pronto a non intervenire, anche se è difficile, in situazioni scomode e delicate che si possono verificare nel gruppo ed affrontarle in un secondo momento. Deve essere preparato a tutti i cambiamenti che si presentano durante l’insegnamento legati alle aspettative che hanno alcuni allievi. Le situazioni della vita cambiano, qualcuno a volte cambia nei confronti del maestro. Ma questo accade solo quando il rapporto non è mai arrivato a kimuchi. C’è una grande differenza tra essere vicino al maestro, e affidarsi completamente a lui. Ad ogni modo, il maestro che ha cercato di svolgere il suo ruolo nella massima onestà non si preoccupa di questi cambiamenti nei suoi riguardi. Anche situazioni come queste fanno parte del rapporto con gli allievi e si collocano con una certa assonanza nelle vicende di vita anche fuori dall’ambito del karate. Durante le lezioni, l’instaurarsi di kimuchi, trasmette al maestro una carica enorme e il suo insegnamento arriva ai più alti livelli perché sono gli allievi stessi a chiederglielo senza parlare. Il linguaggio del corpo si sostituisce alle parole. S’instaura un meccanismo paragonabile ad una reazione chimica a doppia freccia: il maestro va verso gli allievi e loro verso di lui. Tutto questo crea un legame sempre più forte (kimuchi) che in alcuni casi è impossibile spezzare. Il rapporto tra allievo è maestro è molto intricato e complesso, è grazie al maestro che si potrà imparare una parvenza di karate, oppure non apprendere assolutamente nulla, oppure ancora scoprire la vera essenza del karate. Il risultato dipende al contempo da voi e da lui. Il maestro invece può ottenere la fiducia e la stima dell’allievo solo se fornisce le prove di una profonda conoscenza e, ancor più se possiede una forte personalità. Approfondiamo ora l’argomento Bushido letteralmente “la via del guerriero”, è un codice di condotta e un modo di vita, analogo al concetto europeo di Cavalleria, adottato dai guerrieri giapponesi. In esso sono raccolte le norme di disciplina, militari e morali. Ispirato ai principi del buddhismo e del confucianesimo adattati alla casta dei guerrieri, il Bushido esigeva il rispetto dei valori di onestà, lealtà, giustizia, pietà, dovere e onore che dovevano essere perseguiti fino alla morte. Il venir meno a questi principi causava il disonore del guerriero, che espiava commettendo il seppuku, il suicidio rituale. il Bushido ebbe come punto fondante il rispetto assoluto dell'autorità dell'imperatore e divenne uno dei capisaldi del nazionalismo giapponese. Uno dei principi del Bushido, l'assoluto disprezzo

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per il nemico che si arrende, fu la causa dei trattamenti brutali e denigranti a cui i giapponesi sottoposero i prigionieri nel corso della seconda guerra mondiale, mentre la ricerca della morte onorevole in battaglia, fu la molla che spinse molti kamikaze al sacrificio.

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I sette principi del Bushido

義, Gi: Onestà e Giustizia

Sii scrupolosamente onesto nei rapporti con gli altri, credi nella giustizia che proviene non dalle altre persone ma da te stesso. Il vero Samurai non ha incertezze sulla questione dell'onestà e della giustizia. Vi è solo ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

勇, Yu: Eroico Coraggio

Elevati al di sopra delle masse che hanno paura di agire, nascondersi come una tartaruga nel guscio non è vivere. Un Samurai deve possedere un eroico coraggio, ciò è assolutamente rischioso e pericoloso, ciò significa vivere in modo completo, pieno, meraviglioso. L'eroico coraggio non è cieco ma intelligente e forte.

仁, Jin: Compassione

L'intenso addestramento rende il samurai svelto e forte. È diverso dagli altri, egli acquisisce un potere che deve essere utilizzato per il bene comune. Possiede compassione, coglie ogni opportunità di essere d'aiuto ai propri simili e se l'opportunità non si presenta egli fa di tutto per trovarne una.

礼, Rei: Gentile Cortesia

I Samurai non hanno motivi per comportarsi in maniera crudele, non hanno bisogno di mostrare la propria forza. Un Samurai è gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale. Il Samurai è rispettato non solo per la sua forza in battaglia ma anche per come interagisce con gli altri uomini.

誠, Makoto o 信, Shin: Completa Sincerità

Quando un Samurai esprime l'intenzione di compiere un'azione, questa è praticamente già compiuta, nulla gli impedirà di portare a termine l'intenzione espressa. Egli non ha bisogno né di "dare la parola" né di promettere. Parlare e agire sono la medesima cosa.

名誉, Meiyo: Onore

Vi è un solo giudice dell'onore del Samurai: lui stesso. Le decisioni che prendi e le azioni che ne conseguono sono un riflesso di ciò che sei in realtà. Non puoi nasconderti da te stesso.

忠義, Chugi: Dovere e Lealtà

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Per il Samurai compiere un'azione o esprimere qualcosa equivale a diventarne proprietario. Egli ne assume la piena responsabilità, anche per ciò che ne consegue. Il Samurai è immensamente leale verso coloro di cui si prende cura. Egli resta fieramente fedele a coloro di cui è responsabile.

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Il buddhismo fu introdotto in Giappone dalla Cina nel VI secolo ed ebbe una grande influenza nella cultura giapponese. Alla fine del XII secolo una setta buddhista chiamata Zen si formò in Giappone. Mentre altre sette buddhiste influirono maggiormente l'aspetto religioso della vita quotidiana, lo Zen contribuì in modo decisivo nel creare il carattere giapponese. Le attività che furono maggiormente influenzate dallo Zen includono la cerimonia del the (sado), composizione floreale (kado o ikebana), haiku e calligrafia (shodo). Inoltre lo Zen ebbe grande impatto sul bushido. Siccome il buddhismo Zen impone disciplina, autocontrollo e meditazione, la setta si prestava bene alla classe guerriera dei samurai. Questi ultimi credevano che gli insegnamenti Zen potessero dare dei poteri supernaturali. La meta dei praticanti Zen è di raggiungere l'illuminazione (satori) tramite la sperimentazione della natura del buddha. L’illuminazione è vista come la liberazione dalla natura intellettuale dell'uomo, dall'insieme di idee fisse e sentimenti riferiti alla realtà. Stando a questo pensiero, la natura del buddha risiede in tutte le cose. Si dice che sperimentare l'illuminazione significa essere consci dell'inconscio. Questo è il segreto delle arti marziali nel creare una forte mentalità. Questo stato di "non-pensiero" (mushin) unisce il corpo allo spirito. Molti samurai si allenarono intensivamente tramite lo zen per raggiungere questo risultato e ciò li liberava dalla paura della morte. Gli elementi spirituali del bushido derivano dal buddhismo Zen e pratiche religiose Zen furono usate dai samurai per allenarsi mentalmente e fisicamente. Acquistarono cosi abilità nelle arti militari nel mantenere una mente calma, qualunque cosa accada. Il samurai Yamamoto affermava che Bushido significa "determinazione nella volontà di morire" (Bushido towa shinu koto to mitsuketari). Ciò implica che tutti i samurai devono vivere in modo ammirevole e con onore in modo da non avere rimorsi al momento della loro morte poiché tale possibilità si presentava ogni giorno. Comportarsi in modo pregevole significava seguire un rigido codice morale che comprendeva, tra l'altro, giustizia ed educazione. La vita economica dei samurai nel periodo Kamakura dipendeva da tasse e il feudatario garantiva ai suoi servi territori e dava loro nuovi domini a seconda dei meriti in battaglia. Ci furono anche concetti antietici riflessi nell'ideologia etica dei samurai nel periodo Kamakura. Da una parte si afferma che la relazione tra i vassalli e i loro feudatari si basava su assoluta sottomissione e sacrificio. Erano legati da sentimenti; il lord dava terreni ai suoi vassalli e questi sacrificavano se stessi liberamente per il loro lord. Dall'altra parte si afferma che i samurai servivano il loro lord in cambio di rimunerazioni. Quando lo scambio non era bilanciato il lord applicava delle sanzioni oppure il samurai richiedeva semplicemente maggiori riconoscimenti. Onore faceva parte nella relazione tra feudatario e vassallo e il samurai si trovava spesso nella scelta tra autonomia e fedeltà al suo lord per guadagnarsi quest’onore. Di fatto invece le relazioni tra lords e samurai cambiavano in modo sostanziale a seconda del dominio di appartenenza. Il samurai valutava onore in un modo estremo e rigido (meglio morire che mettersi in disgrazia). I samurai che incontravano la morte in battaglia valorizzavano l'onore e la loro fama da guerriero e desideravano che questa fama si tramandasse da generazione a generazione. Cercavano di essere tra i primi a trascinare i loro uomini in battaglia e gridavano il loro nome al nemico per dimostrare la loro audacia. L'onore era veramente molto importante per i samurai e riuscire ad

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avere una morte onorevole significava assicurare ai propri discendenti di essere trattati bene e remunerati dal loro superiore. Da esempio prendiamo un episodio del 1582 quando le truppe di Uesugi Kagekatsu stavano combattendo contro le forze di Oda Nobunaga. In una situazione critica e mentre uno dei loro castelli stava per essere assediato dalle forze di Oda, i samurai che difendevano tale castello presero la decisione di compiere seppuku (o harakiri - suicidio) perché si riteneva deplorevole essere catturati dal nemico vivi per poi essere messi in disgrazia. Decisero di compiere seppuku e di lasciare i propri nomi ai posteri. Non solo morirono ma ognuno scrisse il proprio nome su una tavoletta di legno e la legarono ad un orecchio tramite un foro da loro stessi fatto. Fecero ciò per far sapere chi fosse chi. I loro nomi furono registrati e i loro famigliari furono remunerati da Uesugi. Come ci dice questo episodio, il seppuku era la più onorevole delle morti per un samurai. L'addome era visto come il luogo in cui l'anima e gli affetti s’incontravano e il samurai dimostrava la sua integrità in questo modo. I samurai dimostravano così anche il loro coraggio e avevano una sensazione di soddisfazione nel poter dimostrare totale fede al loro signore in questo gesto, un gesto compiuto con la loro spada, l’oggetto di maggior valore e di assoluta maggior importanza. Lo spirito bushido come essenza giapponese difficilmente esiste al giorno d'oggi; ma alcune caratteristiche del bushido possono ancora essere viste nelle arti marziali ed estetiche che seguono certe forme (kata) e sono ripetute finché i praticanti non sappiano seguirle in modo impeccabile ed entrano in uno stato inconscio. Anche il modo di comportarsi ha una grande importanza e gli allievi devono avere un forte senso di lealtà e rispetto nei confronti del loro maestro. Sfortunatamente la lealtà Bushido ha portato i giapponesi all'eccessivo lavoro che talvolta è risultato nella morte da superlavoro (karoshi) fin quando la gente tende a voler dimostrare quanto lavorano duro per l'azienda di fronte al proprio capo e colleghi. Inoltre vi sono casi di suicidio quando si vuole cercare di evitare una cattiva reputazione o scusarsi per i propri peccati o sbagli. I giapponesi tendono ad accettare e addirittura glorificare questi casi di suicidio provando simpatia per le vittime. Ciò ha un'influenza negativa sulla gente, specialmente i giovani, perché questi possono pensare che il suicidio è la via più facile per essere liberati da ogni male e/o dolore. Rimane il fatto che il bushido ha contribuito in modo essenziale alla formazione del carattere giapponese. Lo spirito bushido domina ancora la società giapponese in certi versi ma è anche vero che talvolta è difficile trovarlo tra i giovani, molti dei quali non hanno alcun rispetto per i propri insegnanti e dimostrano alcuna educazione in luoghi pubblici.

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Conclusioni

Sin dai miei esordi sono sempre stato affascinato dalle regole del karate, e più in generale dal mondo delle arti marziali, mi è sempre piaciuto poter approfondire queste cose, ogni tanto faccio domande o curiosità ai miei sempai, in certe occasioni magari particolari,come ad esempio la presenza di un maestro importante mi piace chiedere prima se ci sono rituali particolari da seguire, e su questo i miei sempai sono stati sempre disponibili. Naturalmente ho sempre cercato di rispettare tutte le regole imposte dalla disciplina delle arti marziali, e proprio per questo mio interesse ho sempre cercato di passare tutte le informazioni possibili e preteso il rispetto delle regole anche dai miei kohai, penso che sia il modo migliore per far si che una volta raggiunto un certo livello di maturazione all’interno del mondo delle arti marziali, l’aver ricevuto tanto faccia si che anche loro abbiano voglia di donare tanto. Credo inoltre che un buon insegnante sia colui che sappia tramandarti non solo la tecnica, ma anche le regole di vita che ti aiuteranno ad essere una persona migliore.

Questo è il cammino che intendo seguire nel mio futuro di insegnante.

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Ringraziamenti

Vorrei ringraziare tutti gli insegnanti e miei senpai che in questi diciotto anni di pratica mi hanno saputo indicare la Via nel modo migliore, sapendomi accompagnare nei momenti più difficili del mio cammino senza farmi sentire mai solo, anche chi ho conosciuto solo negli ultimi anni, dopo che ho ripreso la pratica da una sosta forzata e mi ha accolto subito con grande sentimento di amicizia e fratellanza come se fossimo sempre stati compagni nel nostro cammino e con i quali ho instaurato

un rapporto di profonda amicizia.

Sperando di non dimenticare nessuno vorrei dedicare quindi questo mio piccolo scritto a:

Maestro Francesco Palandri, il mio Sensei, al quale devo quello che sto diventando.

Maestro Davide Baracchi, , Maestro Marco Malandrino, Maestro Davide Girelli, Maestro Samantha Vitanza, Maestro Pasquale Napolitano, Istruttore Valentina Bossi, Istruttore Alessandro Mazzocchi, Istruttore Mario Amodio, a lui un ringraziamento particolare perché è stato il mio primo insegnante che ha saputo farmi scoprire nel modo migliore una passione che poi tutti gli altri hanno saputo coltivare, Istruttore Camillo Petrocelli, Istruttore Vincenzo Vessio

A tutti voi GRAZIE!!!!

Livio Antenucci

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Indice

Presentazione .................................................................................................................................................... 2

Saho ......................................................................................................................................................................... 3

Ritsu rei (saluto in posizione eretta) ........................................................................................................... 3

Za rei (saluto in ginocchio) ............................................................................................................................. 4

Come ci si dispone nel Dojo per il saluto ..................................................................................................... 6

Le parole giapponesi: ...................................................................................................................................... 10

Senpai ................................................................................................................................................................ 10

Dojo kun ................................................................................................................................................................ 16

Il Gi e l’Obi ........................................................................................................................................................... 18

I sette principi del Bushido ............................................................................................................................. 24

Conclusioni ........................................................................................................................................................ 28

Ringraziamenti................................................................................................................................................. 29