Tesi di laurea

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Università degli Studi della Calabria Facoltà di Economia Corso di Laurea in Scienze Economiche e Sociali Dipartimento di Sociologia TESI DI LAUREA LE LEGGI RAZZIALI DEL 1938: PROPAGANDA E PREGIUDIZIO Relatore Candidata Prof. ssa Anna Rossi-Doria Giovanna Vingelli

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Università degli Studi della Calabria

Facoltà di Economia

Corso di Laurea in Scienze Economiche e Sociali

Dipartimento di Sociologia

TESI DI LAUREA

LE LEGGI RAZZIALI DEL 1938:PROPAGANDA E PREGIUDIZIO

Relatore Candidata

Prof. ssa Anna Rossi-Doria Giovanna Vingelli

________________________________

Anno accademico 1994-95

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2

SOMMARIO

Pagina

INTRODUZIONE..............................................................................2

CAPITOLO 1 

I CONTENUTI DELLA LEGISLAZIONE...........................................................5

CAPITOLO 2 

IL DIBATTITO STORIOGRAFICO SULLE LEGGI...................................19

CAPITOLO 3 

I PRECEDENTI DELL'ANTISEMITISMO IN ITALIA.................................47

CAPITOLO 4 

LA PROPAGANDA ANTIEBRAICA NELLA STAMPA NAZIONALE DAL 1933

AL 1938............................................................................................64

CAPITOLO 5 

LA PROPAGANDA ANTIEBRAICA NELLA STAMPA NAZIONALE DAL

"MANIFESTO" ALLE LEGGI................................................................97

CAPITOLO 6 

UNA POLEMICA COSENTINA SULLE LEGGI RAZZIALI.......................141

APPENDICE A.............................................................................176

APPENDICE B.............................................................................195

BIBLIOGRAFIA............................................................................204

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3

INTRODUZIONE

Le leggi razziali italiane si inseriscono nel contesto più ampio della

persecuzione antiebraica in Europa, ma presentano alcune caratteristiche

tali da accentuare la loro portata e causare effetti particolari.

In primo luogo la svolta del 1938 fu improvvisa e traumatica per la

maggior parte della popolazione ebraica, nonostante l'imponente

campagna di stampa orchestrata dal regime. L'integrazione di cui

godevano gli ebrei nella società italiana ed il contrasto fra la nuova

situazione e le precedenti condizioni di vita resero il trauma ancora più

acuto, accentuando l'umiliazione di chi si sentiva degradato. L'attacco del

fascismo colpiva non solo le condizioni materiali di vita, il lavoro, la

possibilità di ricevere una normale istruzione, i legami familiari ed

affettivi, ma anche la dignità, l'immagine sociale degli ebrei. Il risultato fu

di isolare una minoranza, sottoponendola ad un rigido controllo e

rendendola inerme nei confronti della successiva deportazione. Questo

risultato, è bene ricordarlo, fu ottenuto attraverso il coinvolgimento di un

gran numero di persone che, all'interno della macchina statale, dovevano

far applicare le leggi.

Nonostante molti italiani si siano opposti al razzismo, gli apparati

legislativi del regime hanno potuto lavorare e produrre i risultati che si

erano prefissi. Pochissimi intellettuali hanno levato la voce contro i

provvedimenti razziali, molti anzi hanno apertamente approvato, mentre

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4

la Chiesa si è chiusa nel silenzio, salvo offrire un contributo sotterraneo

durante la persecuzione.

Il 15% degli ebrei residenti in Italia durante la guerra (più di 6800

persone) venne sterminato, nonostante la presenza della Santa Sede, la

mancanza di una forte tradizione antisemita, il ritardo nell'inizio dei

rastrellamenti.

Il ruolo della propaganda nella costruzione e nella riproposizione di

pregiudizi antisemiti è stato fondamentale. Attraverso l'analisi di tre

quotidiani a diffusione nazionale - "Corriere della Sera", "Giornale

d'Italia", "Popolo d'Italia" -, oltre alla rivista "La Difesa della Razza", e

della stampa cosentina negli anni 1933-1938 ho inteso rilevare come la

persecuzione non inizi temporalmente con la legislazione, ma

virtualmente con il processo di condizionamento dell'opinione pubblica.

Nelle campagne di stampa antiebraiche si è voluto insinuare un "cancro"

nella società italiana, sfruttando e riproponendo l'antisemitismo sopito,

con lo scopo di rendere gli italiani "complici" dell'azione persecutoria.

In particolare l'analisi della stampa cosentina mi ha permesso di

individuare le caratteristiche di una campagna propagandistica che

ripropone il paradosso di un "antisemitismo senza ebrei", ma soprattutto

mi ha consentito di analizzare i contenuti e le modalità della polemica che

contrappose una parte del clero cittadino alla Federazione provinciale

fascista.

Questa situazione specifica conferma il dato generale per cui

l'antisemitismo fascista è stato un rifiuto dell'ebraismo ancora prima che

un rifiuto dell'ebreo, e che quindi il razzismo italiano è stato funzionale

alla dottrina fascista in quanto razzismo soprattutto politico. L'elemento

principale della propaganda fascista risulta infatti essere la battaglia

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5

contro una diversa concezione del mondo, quella ebraica, cui si

attribuivano modelli di disgregazione morale e materiale. Il regime

fascista ha utilizzato l'antisemitismo per proporre una nuova organicità

nazionale contro ogni forma di opposizione e per riaffermare la

monoliticità dello Stato e delle istituzioni. Questa volontà di

totalitarizzazione, attraverso la dissoluzione dell'individuo nella comunità,

fa sì che il rifiuto dell'ebraismo si traduca in rifiuto dell'universalismo.

Furono certamente anche ragioni di politica estera a spingere

Mussolini verso la svolta razzista, così come non può essere negata

l'influenza di una antica tradizione di antisemitismo cattolico e di una più

recente di stampo nazionalista. Ma ci fu soprattutto la volontà di

cancellare, limitando la presenza degli ebrei nella società, ogni gruppo

dotato di una certa autonomia culturale o ideologica; l'intenzione di

"mettere in riga" ancora di più la scuola ed il mondo culturale; la

riaffermazione dell'autorità del regime in tutti gli ambiti della vita sociale.

Spesso inoltre la legislazione seguì istanze che provenivano dal basso, da

chi non esitava a speculare sullo spazio lasciato libero dagli ebrei, da

gruppi di pressione che perseguivano interessi personali.

L'antisemitismo non rimase quindi un atteggiamento delle alte sfere

del regime, ma fu una dimensione della realtà italiana che attraversò

orizzontalmente la società e che tutti i gruppi sociali dovettero affrontare

di riflesso. Fra la solidarietà e l'aperta persecuzione si delinea così

un'enorme "zona grigia", il silenzio e l'indifferenza dei più.

Ed è questo forse il punto più dolente e più attuale della storia delle

leggi antiebraiche in Italia.

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6

CAPITOLO  

I CONTENUTI DELLA LEGISLAZIONE

Il 1938 è stato definito un "anno cruciale e terribile per l'ebraismo

europeo"1.

Non solo la Germania aveva una legislazione antiebraica, ma

numerosi paesi europei, alla fine del 1938, accoglievano normative

persecutorie. Avevano approvato leggi antisemite successivamente la

Romania, l'Austria, l'Ungheria e l'Italia, oltre alle regioni che venivano

annesse al Terzo Reich.

La decisione di Mussolini non è quindi svincolata da un processo

generale europeo2.

Le Leggi di Norimberga del 1935 avevano escluso gli ebrei dal

rango di cittadini e quindi dalla vita sociale: gli ebrei non potevano

accedere al pubblico impiego ed alle forze armate, frequentare, se non

con un numero chiuso, le "scuole ariane", era loro limitato l'esercizio

delle libere professioni. Inoltre, durante il 1938, vennero emanate norme

1E. Mendelson, Gli Ebrei dell' Europa Orientale tra le due guerre mondiali, in La legislazione antiebraica in Italia e in Europa. Atti del Convegno nel cinquantenario delle leggi razziali, Roma, 17-18 ottobre 1988, Edizioni della Camera dei Deputati, 1989, pag. 350.2Cfr. M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell'elaborazione delle leggi del 1938, Torino, Silvio Zamorani Editore, 1994, pp. 81-86.

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7

che miravano a rendere gli ebrei un gruppo estremamente riconoscibile,

attraverso l'imposizione di nomi obbligatori, documenti contrassegnati

con lettere distintive, mentre venivano censiti i beni e le imprese per il

successivo esproprio. Sarfatti ha notato che queste ultime norme e quelle

sulla scuola vennero emanate in Germania solo alla fine del 1938, quando

le corrispettive leggi italiane erano già in azione3.

Contemporanee e simili alle leggi italiane sulla scuola appaiono

invece le norme emanate in Austria, mentre in Polonia la legislazione si

occupò soprattutto di regolare la posizione dei residenti all'estero. Le

leggi ungheresi assumono il principio proporzionale, al fine di ridurre la

presenza degli ebrei nella vita della nazione attraverso criteri religiosi e

nazionalisti. Anche la Romania applicò criteri tradizionali-religiosi per

limitare i diritti civili e politici degli ebrei.

Il governo italiano si unì all'ondata di iniziative antisemite con la

dichiarazione del 16 febbraio 1938: l'Informazione diplomatica n. 14

rappresenta la prima posizione ufficiale del nuovo corso fascista, e segue

una campagna di stampa che aveva occupato i giornali a partire dalla

seconda metà del 1936.

Le Informazioni diplomatiche erano note pubblicate in forma

anonima, ma redatte dallo stesso Mussolini o da Ciano, che riguardavano

questioni internazionali su cui il regime fascista prendeva posizione. La

versione definitiva del testo dell'Informazione n. 14 è attribuibile allo

stesso Mussolini, il quale la definì "un capolavoro di propaganda

antisemita"4.

L'Informazione trae spunto proprio dalla campagna di stampa dei

mesi precedenti e sembra negare l'imminenza di provvedimenti

3Cfr. ibid., pag. 84.4G. Ciano, Diario, 1937-38, Bologna, Cappelli, 1948, pag. 113.

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8

antiebraici, ma, se il tono del documento appare conciliante, in realtà esso

nasconde tra le righe l'annuncio del mutato corso del regime 5. In primo

luogo, si attribuisce la responsabilità del clima rovente "al fatto che le

correnti dell'antifascismo mondiale dipendono regolarmente da elementi

ebraici". Inoltre

il governo fascista non pensò mai, né pensa adesso, a prendere misure politiche, economiche, morali, contrarie agli ebrei in quanto tali, salvo, beninteso, nel caso in cui si trattasse di elementi ostili al regime.

Ma soprattutto:

Il Governo fascista si riserva tuttavia di vegliare sull'attività degli ebrei di recente giunti nel nostro paese e di fare in maniera che la parte degli ebrei nella vita d'insieme della Nazione non sia sproporzionata ai meriti intrinseci individuali ed all'importanza numerica della loro comunità.

In quel tuttavia c'è tutta l'imminenza della campagna razziale e

l'annuncio dell'introduzione del criterio di proporzionalità per gli ebrei

italiani.

Con l'Informazione Diplomatica n. 14 il regime in realtà volle

sondare la reazione dell'opinione pubblica e della Santa Sede nei

confronti degli eventuali provvedimenti. Nei mesi successivi infatti non

vennero prese altre posizioni ufficiali, ma attraverso una continua

campagna propagandistica si tentò di far apparire agli occhi dell'opinione

pubblica l'imminente svolta come necessaria e dovuta. Inoltre si attesero

eventuali avvenimenti che potessero giustificare azioni successive, in

modo da limitare le reazioni internazionali e della Chiesa6.

5Cfr. Documento 1 in Appendice B.

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9

Ha notato Guido Fubini che, nei confronti delle confessioni

religiose, il regime fascista è stato il regime dei ritorni7. In effetti il

fascismo cancellò le conquiste liberali dei decenni precedenti,

affermando, dopo l'ineguaglianza dei culti, anche l'ineguaglianza dei

cittadini. Il decreto sulle comunità israelitiche rimanda alla legge Rattazzi

del 1857, la distinzione tra religione di Stato ed altri culti rimanda allo

Statuto albertino, mentre per la legislazione antiebraica possiamo

addirittura risalire al Medio Evo.

Il presupposto di principio della legislazione antiebraica si può

ritrovare nell'articolo 1, libro I, del Nuovo Codice Civile, entrato in vigore

il 1 luglio 1939. Secondo tale articolo: "La capacità giuridica si acquista

dalla nascita. Le limitazioni alla capacità giuridica derivanti

dall'appartenenza a determinate razze sono stabilite da leggi speciali".

L'unica razza interessata da leggi speciali fu quella ebraica, che

venne definita, attraverso la legislazione successiva, in maniere

parzialmente differenti. I due orientamenti della dottrina giuridica

possono essere riassunti in un "orientamento scientifico-biologico",

espresso dal Manifesto del 14 luglio 1938, di cui riparleremo, ed un

"orientamento politico-culturale", definito dalla Carta della Razza del 6

ottobre 1938 e dalla legge del 17 novembre 1938.

Secondo il primo criterio il concetto di razza è puramente biologico.

Gli ebrei non appartengono alla razza italiana in quanto ogni razza

possiede determinate caratteristiche che si trasmettono ereditariamente.

6Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1988, 4a ed., pag. 277.7Cfr. G. Fubini, La legislazione razziale nell' Italia fascista: normativa e giurisprudenza, in La legislazione antiebraica in Italia e in Europa, Ebrei fra antisemitismo e solidarietà. Atti della giornata di studi. Torrazzo, 5 maggio 1989, (a cura di A. Lovatto), Borgosesia, 1992, pag. 17.

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10

Per la legge del 5 settembre 1938 "è' considerato di razza ebraica chi è

nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se professi religione

diversa da quella ebraica".

Il documento noto come Manifesto degli scienziati razzisti venne in

realtà pubblicato con il titolo Il fascismo ed i problemi della razza il 14

luglio 1938 su "Il Giornale d'Italia". Il Manifesto non era firmato; l'unica

nota lo definiva redatto da "un gruppo di studiosi fascisti, docenti delle

Università italiane...sotto l'egida del Ministero della Cultura Popolare". Il

Manifesto, si diceva inoltre, rappresentava "la posizione del fascismo nei

confronti dei problemi della razza".

Secondo Giuseppe Bottai, Galeazzo Ciano e Giorgio Pini, lo stesso

Mussolini avrebbe in realtà redatto il documento, ma questa affermazione

è contestata sia da Renzo De Felice che da Michele Cortellazzo, secondo

i quali il duce in realtà lavorò su di un testo già pronto, non

contribuendovi concettualmente8.

Il tono del Manifesto è generalmente razzista e l'antiebraismo,

individuato dal punto 9, era inquadrato nell'ambito di un razzismo

"differenzialista" che proponeva la separazione, e non di un razzismo

"gerarchico". Il Manifesto, nei suoi 10 paragrafi, sosteneva

sostanzialmente: l'esistenza delle razze umane; l'esistenza di un'ideologia

razzista connaturata al fascismo sin dalle origini; l'esistenza di una "pura

razza italiana", di origine "ariana"; la diversità del ceppo semitico dal

ceppo europeo e quindi l'incompatibilità tra ebrei ed italiani, i caratteri dei

quali non devono essere alterati in alcun modo9.

Il 25 luglio il comunicato del P.N.F. forniva i nomi dei redattori del

Manifesto, che risultavano essere figure di secondo piano del mondo

8Cfr. M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei, cit., pag. 18.9Cfr. Documento 2 in Appendice B.

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universitario. La sola figura di un certo spessore era il docente

universitario Nicola Pende, che in seguito contestò la versione del

Manifesto apparsa 11 giorni prima ritenendola estremamente

rimaneggiata. La sua protesta non ebbe però seguito dopo la minaccia di

ostracismo nei confronti delle sue pubblicazioni ventilata dal Ministero

della Cultura Popolare. Secondo Eucardio Momigliano, Pende non firmò

affatto il Manifesto ed in seguito espresse il suo dissenso10. In realtà non

c'è traccia di una sua smentita nell'articolo che Pende scrisse su "Vita

Universitaria" e che Momigliano cita a suo favore11.

Ma ancora il Manifesto non preannunzia una normativa antiebraica,

nonostante il 19 luglio venisse annunciata la trasformazione dell'Ufficio

Demografico Centrale del Ministero dell'Interno in Direzione Generale

per la Demografia e la Razza (meglio conosciuta come Demorazza).

Solo il 5 agosto una nuova Informazione Diplomatica, la n. 18,

fornisce i primi criteri dell'imminente legislazione12. Anche questo

documento è stato attribuito allo stesso Mussolini per le sue

caratteristiche. L'impressione che si voleva offrire all'opinione pubblica

era quella di una normativa contro gli ebrei necessaria e giusta, perché

rivolta contro i veri fomentatori del razzismo e gli alleati del bolscevismo,

della massoneria e del socialismo. Veniva osservato che "discriminare

non significa perseguitare", perché il governo "non ha alcuno speciale

piano persecutorio contro gli ebrei in quanto tali". La prima scelta del

regime è quindi quella del criterio proporzionale, esplicitato dal

preannunziato "adeguamento" della partecipazione degli ebrei alla vita

dello stato al loro reale numero. La proporzione era di un ebreo ogni mille 10Cfr. E. Momigliano, Pagine ebraiche, Torino, Einaudi, 1987, pag. 55.11Cfr. F. Coen, Italiani ed ebrei: come eravamo. Le leggi razziali del 1938, Genova, Marietti, 1988, pag. 21.12Cfr. Documento 3 in Appendice B.

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abitanti, per cui il motivo dell'"uno per mille" diventò la falsariga della

prima impostazione legislativa.

Al Manifesto fecero seguito i primi provvedimenti che miravano ad

eliminare gli ebrei dalle scuole ed a colpire gli ebrei stranieri. Soprattutto

il Ministero dell'Educazione Nazionale assunse un ruolo di primo piano

nella nuova campagna del regime. Vennero esclusi dalle scuole di ogni

ordine e grado gli insegnanti e gli alunni di razza ebraica, mentre i

membri ebrei di accademie ed istituti di cultura vennero allontanati. I

nuovi orientamenti miravano alla "difesa della razza nella scuola

italiana"13.

Gabriele Turi rileva il ruolo fondamentale di propulsione che questo

intervento ebbe per tutta la campagna razziale 14. Se De Felice aveva

attribuito allo zelo del ministro Bottai l'applicazione puntuale delle

direttive e dei principi razzisti15, Turi critica questo approccio come

limitativo. I provvedimenti nell'ambito scolastico sono i primi in ordine

cronologico e sicuramente quelli più auspicati. Il loro numero indica il

significato politico della campagna razziale, che mirava innanzitutto alla

tematica educativa ed al consenso delle giovani generazioni. Le circolari

di Bottai sottolineano questa impostazione politica, il tentativo di

"educazione dell'italiano" al riparo da minoranze scomode. La

legislazione razziale colma quindi, in un certo senso, il ritardo con cui il

fascismo si apprestava al controllo totale della cultura. Nell'editoriale di

"Critica Fascista" del 15 settembre, Bottai individuava nella conquista

della scuola il primo passo verso "l'unità morale e l'educazione nazionale

che costituisce il motivo culturale del fascismo". I provvedimenti nel 13R. D. L. 5 settembre 1938.14Cfr. G. Turi, Ruolo e destino degli intellettuali nella politica razziale del fascismo, in La legislazione antiebraica in Italia e in Europa, cit., pag. 95.15Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, cit., pag. 282.

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settore della cultura sono quindi il passo decisivo verso la

"totalitarizzazione" del regime16.

In realtà la limitazione della capacità giuridica, anticipata dalle leggi

che eliminavano gli ebrei dalle scuole, venne perseguita capillarmente in

una serie di circolari che, nella loro minuziosità, influirono non poco non

solo sulla qualità della vita degli ebrei, ma sulla stessa possibilità di

vivere per chi venne in seguito improvvisamente escluso dal mercato del

lavoro.

Queste prese di posizione indicano una nuova impostazione della

politica antiebraica di Mussolini. Il carattere non è più quantitativo

(secondo quindi un criterio proporzionale), bensì qualitativo. Gli ebrei

italiani vennero divisi in due categorie: i possessori di "benemerenze", e

coloro che non ebbero la possibilità di essere esclusi dalla persecuzione.

La nuova politica del regime è quindi una politica di separazione fra gli

ebrei con "meriti" e gli ebrei senza. Questa discriminazione favoriva

meriti patriottici, combattentistici o fascisti, ed era riconosciuta

discrezionalmente dal Ministero dell'Interno. Si venne così a creare una

diversità all'interno degli stessi perseguitati, a loro volta diversi perché

non più cittadini, una diversità che si fondava spesso sull'abbandono della

tradizione ebraica. A questo proposito segnala Guido Fubini:

Se ricordiamo quanto scrisse Primo Levi sulle "gerarchie" come elemento essenziale della logica di Auschwitz, e se ricordiamo che la gerarchia riassume tutta la logica del fascismo, dobbiamo riconoscere che la discriminazione stava già nella logica di Auschwitz e che Auschwitz era nella logica del fascismo17.

16Cfr. G. Turi, op. cit., pag. 101.17G. Fubini, op. cit., pag. 24.

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Questa situazione provocò innumerevoli casi di elusione delle leggi

e soprattutto di corruzione, attraverso le commissioni che avevano il

compito di analizzare gli eventuali "meriti" di chi si rivolgeva loro.

Questa politica di separazione fu resa ancora più evidente dalla

Dichiarazione sulla Razza del 6 ottobre, approvata dalla riunione del Gran

Consiglio a Palazzo Venezia.

Come ha notato Antonio Spinosa,

le giustificazioni scientifiche avanzate dal Manifesto non potevano trovare smentita migliore se non nella Carta della Razza. In meno di tre mesi - dal 14 luglio al 6 ottobre 1938 - il fascismo scoprì scioccamente il suo gioco, rivelando che non si trattava di una lotta ad un determinato gruppo razziale..., ma ad un'ideologia politica in contrasto con quella del regime18.

La Carta della Razza19 mette in rilievo che " l'ebraismo mondiale è

stato l'animatore dell'antifascismo in tutti i campi e che l'ebraismo estero

ed italiano fuoriuscito è stato unanimemente ostile al fascismo".

Estensore della Carta è lo stesso Mussolini che nella prima stesura aveva

affermato: "L'ebraismo italiano non può sinceramente accettare (il regime

fascista) perché antitetico a quella che è la psicologia, la politica,

l'internazionalismo di Israele". In questa affermazione Guido Fubini vede

l'anticipazione dei provvedimenti della Repubblica di Salò.

Nella Carta della Razza viene introdotto il criterio "culturale" per la

definizione della razza ebraica. Tale criterio prende in considerazione

anche la religione, definendo di razza ebraica chi, pur nato da matrimonio

misto, professa l'ebraismo.

18A. Spinosa, Le persecuzioni razziali in Italia. IV. La legislazione, in "Il Ponte", 1953, n. 7, pag. 966.19Cfr. Documento 4 in Appendice B.

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La Carta è la migliore illustrazione del progetto legislativo del

fascismo, che può essere sintetizzato nei seguenti punti:

1. La legislazione razziale è resa necessaria dalla conquista

dell'Impero, ed il problema ebraico rientra in questo quadro generale.

2. Sono vietati i matrimoni misti e sottoposti a controlli i matrimoni

con stranieri di razza ariana.

3. E' confermata l'espulsione degli ebrei stranieri.

4. Sono definiti di razza ebraica: gli individui nati da genitori

entrambi ebrei; gli individui nati da padre ebreo e madre ariana; gli

individui nati da matrimoni misti che professino la religione ebraica.

5. Le discriminazioni, che comunque non sono valide per

l'insegnamento, saranno applicate agli ebrei appartenenti a famiglie di:

caduti, volontari o veterani della Prima Guerra Mondiale, o libica,

etiopica o spagnola; caduti e feriti per la causa fascista, iscritti al partito

dal 1919 al 1922 o nel secondo semestre del 1924; ex legionari fiumani;

famiglie con eccezionali benemerenze da accertarsi per mezzo di

un'apposita commissione.

6. Gli altri ebrei non possono: essere iscritti al P.N.F.; possedere o

amministrare aziende con 100 o più dipendenti; possedere più di 50 ettari

di terreno; prestare servizio militare.

7. Come ultimi provvedimenti, è riconosciuto il diritto di pensione

per chi ha dovuto lasciare l'impiego pubblico; è vietato ogni tentativo di

pressione sugli ebrei per ottenere abiure; è mantenuta la legislazione sulle

Comunità ebraiche; sono costituite scuole elementari e medie per gli

studenti ebrei.

I pochi diritti rimasti agli ebrei sono minacciati dal ricatto: "Le

condizioni fatte agli ebrei potranno essere annullate o aggravate a

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seconda dell'atteggiamento che l'ebraismo adotterà nei riguardi dell'Italia

fascista". Gli ebrei, privati anche della possibilità di opposizione, vennero

quindi suddivisi in tre categorie: gli ebrei stranieri, espulsi dal paese;

quelli italiani "meritevoli", esclusi dalla persecuzione; tutti gli altri,

duramente discriminati.

Le decisioni del Gran Consiglio vennero trasformate in legge dai

provvedimenti del novembre 1938 e dalle innumerevoli circolari e

disposizioni burocratiche che contribuirono a peggiorare sempre di più la

vita quotidiana degli ebrei. La capillarità di queste azioni amministrative

favorì non solo l'emarginazione degli ebrei dalla vita sociale, ma

soprattutto la loro esclusione pressoché totale dal mondo del lavoro. Tutta

la successiva legislazione antiebraica era rivolta ad impedire agli ebrei di

guadagnarsi da vivere, privandoli di ogni reddito da capitale o da lavoro.

Fra il 1938 ed il 1942 fu proibito agli ebrei di essere amministratori o

portieri in case ariane; di esercitare il commercio ambulante; di essere

titolari di negozi di preziosi, di fotografia, di tipografie; di vendere oggetti

antichi e d'arte; di vendere libri; di vendere oggetti usati; di essere titolari

di negozi di ottica, di articoli per bambini, di esercizi pubblici, di raccolta

rottami, di cartoleria; di essere titolari di scuole di ballo, di taglio e di

agenzie di viaggio e turismo.

Furono inoltre vietati: il possesso di licenze di caccia o pesca; la

pubblicazione sulla stampa di necrologi o di pubblicità; l'inserimento

negli elenchi telefonici; la detenzione e la vendita di apparecchi radio.

Vennero sostituiti i nomi ebraici di vie e luoghi; rimosse le lapidi

riguardanti ebrei; fu loro vietato di affittare camere agli ariani, di accedere

alle biblioteche pubbliche, di far parte di cooperative e associazioni, di

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pilotare aerei, di avere il porto d'armi, di fare la guida o l'interprete e così

via.

Abbandonata la formula esclusivamente biologica per perseguire

l'affermazione "discriminare non perseguitare", venne introdotta una

nuova figura giuridica, quella dell'"arianizzato"20. A questo proposito una

commissione del Ministero dell'Interno aveva il compito di stabilire

discrezionalmente "la non appartenenza alla razza ebraica anche in

difformità alle risultanze degli atti dello stato civile".

In generale i decreti del novembre 1938 permettono di individuare le

coordinate della discriminazione decisa dal governo fascista. La loro

difficile elaborazione, frutto di contrasti tra Mussolini ed i suoi ministri, è

testimoniata dalle numerose stesure delle leggi. Il RDL 2154/1938

conteneva una norma che discriminava gli ebrei con benemerenze per

l'iscrizione al P.N.F.. Per l'opposizione di Starace la norma

discriminatoria venne stralciata, con il risultato di un partito

completamente privo di ebrei.

Se ricordiamo che l'ebraismo era una realtà profondamente

assimilata nella vita della nazione, comprendiamo come una separazione

netta potesse essere estremamente difficile e fonte di disagio per lo stesso

legislatore. Soprattutto grave era il problema delle famiglie miste, che finì

per provocare il primo scontro con la Chiesa che, in quell'attentato

all'unità della famiglia, vedeva lesi i suoi valori, ma anche i diritti sanciti

dal Concordato.

In generale i decreti successivi accentuarono la scelta di una

normativa più dura e persecutoria. Il mese di novembre segna infatti il

passaggio alla terza e definitiva impostazione della persecuzione. La

20Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, cit., pag. 347.

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persecuzione "parziale" si trasformava in persecuzione tout court; il

criterio qualitativo lasciava ormai il posto al criterio quantitativo.

Vennero successivamente sancite: l'espulsione degli ebrei dalle forze

armate; la limitazione della proprietà; la diminuzione della capacità

giuridica in campo testamentario, in materia di patria potestà, di adozione,

di tutela; l'eliminazione degli ebrei dalla pubblica amministrazione, dagli

enti pubblici e dallo spettacolo.

L'ultimo diritto tolto agli ebrei sarà il diritto alla vita, quando i

provvedimenti della Repubblica Sociale considereranno tutti gli ebrei

come stranieri ed appartenenti ad una nazione nemica, disponendone

l'internamento in campi di concentramento. La Carta di Verona del

novembre 1943 stabilirà infatti al punto 7:

Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica.

In seguito a questa disposizione tutti gli ebrei residenti in territorio

italiano erano inviati in campi di concentramento appositamente creati, ed

i loro beni sottoposti a sequestro. L'internamento degli ebrei italiani

appare quindi una vera e propria programmazione dello sterminio, di cui

Mussolini ed i massimi dirigenti della R.S.I. non potevano non essere a

conoscenza. Come è stato notato, in Italia

la fase «burocratica» della persecuzione era infatti già compiuta l'8 settembre del 1943: il condizionamento in senso antiebraico dell'opinione pubblica, la legislazione stessa, il costante aggiornamento della schedatura degli ebrei, la creazione di un organismo deputato al regolamento e alla esecuzione pratica della politica antiebraica come la Direzione Generale per la Demografia e la Razza del Ministero dell'Interno...Ma in Italia i primi mattoni dell'edificio antisemita furono comunque posti dal fascismo monarchico e non dal nazismo. Anche se fra i due regimi, fascista e nazista, non vi fu coordinamento, né intenzione di continuità, né tantomeno, una dinamica di causa ed effetto, occorre sottolineare con forza che

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19

l'antisemitismo fascista preparò il terreno allo sterminio deciso dalla Germania nazista21.

21L. Picciotto Fargion, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall'Italia (1943-1945), Milano, Mursia, 1991, pag. 810.

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20

CAPITOLO  

IL DIBATTITO STORIOGRAFICO SULLE LEGGI

Nel 1952 Antonio Spinosa spiegava il razzismo italiano come una

necessità della politica estera di Mussolini, vedendolo quindi come

direttamente importato dalla Germania1. Autori successivi hanno

rielaborato questa tesi, approfondendone le implicazioni.

Per Renzo De Felice sono sostanzialmente tre i motivi che spinsero

il fascismo verso la scelta antisemita2. La prima causa, ed anche quella

decisiva, è l'alleanza con la Germania. Mussolini intese eliminare

l'elemento di più grande contrasto fra il fascismo ed il suo alleato,

contrasto che avrebbe potuto minare la credibilità dell'Asse a livello

internazionale e la credibilità del fascismo nell'opinione pubblica tedesca.

De Felice esclude che ci sia stata da parte di Hitler una richiesta esplicita.

Se il peso della Germania fu determinante, da parte tedesca non ci furono

però passi ufficiali in questa direzione. Lo stesso Mussolini sentì come

inevitabile e necessaria questa decisione che doveva rendere finalmente

"totalitario" l'Asse Roma-Berlino. Le pressioni tedesche furono indirette:

gli strumenti di pressione diventarono quei fascisti antisemiti come

1Cfr. A. Spinosa, Le persecuzioni razziali in Italia. La legislazione, cit., pag. 966 e sgg.2Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, cit., pag. 235 e sgg.

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21

Giovanni Preziosi3 o Telesio Interlandi, che si preoccuparono di

diffondere nell'opinione pubblica l'idea dell'attualità del pericolo ebraico.

Il secondo motivo è individuato da De Felice proprio nell'influenza

dell'entourage di Mussolini: se i più stretti collaboratori del duce non

erano decisamente antisemiti, non erano certo immuni da pregiudizi

contro gli ebrei, oppure non ebbero la statura morale ed il coraggio per

opporsi al duce.

Ma soprattutto De Felice sottolinea una terza causa che assume un

valore fondamentale: il mito mussoliniano della "nuova civiltà" e

l'influenza della guerra d'Etiopia. Secondo Mussolini il fascismo aveva il

compito di rinnovare una civiltà europea ormai in crisi, di promuovere

una rivoluzione culturale che avrebbe creato un "uomo nuovo". La crisi

della civiltà europea era il risultato dell'opposizione fra due mentalità,

quindi fra due razze, la razza greco-romana, dal carattere positivo, e la

razza giudaico-cristiana. Questo scontro è la lotta fra i valori dell'eroismo,

della guerra, della creatività, del dolore, dello sviluppo demografico

contro i valori della pace, della giustizia, dell'egoismo individuale. Questa

concezione appare quindi non solo antiebraica, ma anche anticristiana:

infatti, secondo Mussolini, la lotta deve anche essere contro il

cristianesimo come figlio dell'ebraismo, in nome di una nuova Europa

spirituale e guerriera. Questa teoria servì a Mussolini per contrapporre al

razzismo "biologista" nazista il suo personale razzismo "spiritualista",

3Giovanni Preziosi fu sicuramente l'antisemita italiano più coerente del periodo. Egli cercò di motivare con la tesi della congiura ebraica la realtà del dopoguerra, che aveva visto la "vittoria mutilata" e la prevalenza della "plutocrazia" e dell'"imperialismo" sulle nazioni più povere come l'Italia. Attraverso la rivista "La Vita Italiana", Preziosi cercò di dare una giustificazione irrazionale al fallimento politico del dopoguerra, utilizzando per i suoi scopi gli apocrifi Protocolli dei Savi Anziani di Sion, che lui stesso tradusse in italiano nel 1920, usandoli come materiale propagandistico sino al 1945.

Page 22: Tesi di laurea

22

salvaguardando così la sua autonomia dall'alleato. Tuttavia vedremo

come, nella sua attuazione concreta, anche il razzismo fascista fu di tipo

biologico.

Dal primo annuncio dell'imminente campagna razziale fino al varo

legislativo dei provvedimenti, Mussolini si impegnò nell'elaborazione di

parole d'ordine e concetti razzisti che fossero coerenti con le

caratteristiche del fascismo e che ne affermassero l'autonomia e

l'originalità.

Mussolini si rendeva conto di come un razzismo di marca biologica

potesse risultare impopolare in Italia. Una riproposizione del modello

tedesco era inoltre difficile proprio per le caratteristiche di quest'ultimo,

che non teneva in gran conto le razze mediterranee, considerate inferiori.

Afferma De Felice che, quando la scelta razzista diventò obbligata,

Mussolini cercò in tutti i modi di salvaguardare l'originalità della sua

visione ideologica, evitando la mera riproposizione dei concetti e della

legislazione nazista:

La teoria spiritualistica della razza aveva almeno il pregio di non disconoscere del tutto certi valori, di respingere le aberrazioni tedesche ed alla tedesca e di cercare di mantenere il razzismo (che, indubbiamente, da Boulanvilliers a De Gobineau e Renan, da Herder e Kant a Nietzsche, da Fichte a Vacher de Laponge ha avuto un suo pur discutibile e torbido significato culturale ed etico, oltre che politico) sul terreno della problematica culturale degna di questo nome4.

Già nel 1961 Delio Cantimori nella sua Prefazione alla prima

edizione del libro di De Felice aveva criticato questa posizione: gli autori

che cita De Felice possono infatti avere nel loro antisemitismo un limite e

non certo un valore.

4Ibid., pag. 383.

Page 23: Tesi di laurea

23

In questa prospettiva, secondo De Felice, la teoria che permise a

Mussolini di costruire l'ideologia razziale fascista fu quella che venne in

seguito esposta da Julius Evola nella Sintesi di dottrina della razza del

1941. Evola sosteneva, contro la visione biologista del nazismo,

l'esistenza di "razze dello spirito", fra le quali la razza "ario-romana"

sarebbe divenuta egemone.

Il problema di conciliare le concezioni del materialismo biologico e

dell'idealismo spiritualistico era sorto già nel 1937 con la pubblicazione

del libro di Paolo Orano, Gli Ebrei in Italia. Il libro venne scritto, sembra

sotto suggerimento di Mussolini, per saggiare la reazione dell'opinione

pubblica nei confronti dell'imminente campagna razziale. Un razzismo di

tipo "spirituale" non rispondeva solo all'esigenza di affermare l'originalità

della teoria fascista, ma anche alla necessità di inquadrare il problema

ebraico in un ambito più vasto. Accanto ai razzisti "biologisti" quali

Giulio Cogni e Guido Landra, firmatari del Manifesto degli scienziati

razzisti del 1938, si poneva lo "spiritualista" Julius Evola.

Evola cercava giustificazioni ideali al suo "razzismo dell'anima"5 che

individuava, attraverso lo schema hegeliano, tre stadi dell'animo umano,

dal livello superiore dell'uomo ariano a quello inferiore dell'ebreo,

materialista e corrotto. Per Evola non si può parlare di razze pure in senso

biologico, a causa delle frequenti mescolanze dei popoli che si sono

susseguite nei secoli: la divisione razziale si fonda quindi sullo "spirito"

delle varie razze, sulle caratteristiche originali di ognuna. La razza ha

sede nello spirito dell'uomo ed è una forza profonda che si manifesta sia

nel corpo che nell'anima. Le razze dello spirito sono portatrici di diverse

visioni del mondo, di differenti modi di rapportarsi alla realtà, da cui

5Cfr. M. T. Pichetto, L'antisemitismo nella cultura della destra radicale, in "Italia Contemporanea", dic. 1986, pp. 74-76.

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24

derivano diversi comportamenti e diverse scelte. Gli aggettivi "cristiano"

e "semita" indicano quindi non caratteristiche biologiche, ma valori:

valori semitici sono il mercantilismo, la debolezza, la femminilità, la pietà

religiosa, la vigliaccheria; la categoria opposta è quella della razza "aria,

olimpica, settentrionale", la cui crisi ha determinato la crisi della civiltà

moderna, crisi che si esprime nella democrazia e nella libertà. L'uomo

nuovo deve quindi essere l'uomo-guerriero, contrapposto all'uomo-

mercante della tradizione giudaica.

Ancora secondo De Felice, partendo da queste premesse Evola

sostiene che, se anche i Protocolli dei Savi di Sion fossero falsi,

certamente essi sono "veridici", in quanto descrivono il piano messo in

atto dall'ebraismo per distruggere le fondamenta spirituali del mondo6.

Se Mussolini sostenne e si appropriò della teoria evoliana, d'altra

parte però non trascurò le posizioni di razzismo biologico che venivano

divulgate da Preziosi ed Interlandi su "La Vita Italiana" e su "La Difesa

della Razza". Questa contraddizione si rivelò nei primi provvedimenti

legislativi, che consideravano di razza ebraica, come si è già detto,

colui che è nato da genitori di razza ebraica anche se professi religione diversa da quella ebraica7.

In un primo momento, quindi, il razzismo fascista si allinea

sull'ipotesi "biologica", salvo poi costruire un'ideologia spiritualista da

6Il falso dei "Protocolli", culmine della teoria sulla cospirazione ebraica, fu fabbricato negli ambienti della polizia segreta russa ai primi del '900: secondo il testo i saggi anziani di Sion, riuniti periodicamente nel cimitero di Praga, avrebbero discusso del futuro dominio del mondo, che si sarebbero assicurati attraverso la diffusione delle dottrine liberali e socialiste: cfr. G. L. Mosse, Il razzismo in Europa. Dalle origini all'Olocausto, Roma-Bari, Laterza, 1985, pp. 192-193 e N. Cohn, Licenza per un genocidio. I "Protocolli degli Anziani di Sion": storia di un falso, Torino, Einaudi, 1969.7Regio Decreto legge 17 novembre 1938-XVII, n. 1728, Art. 8.

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25

realizzarsi attraverso innumerevoli eccezioni. La ragione di queste

oscillazioni deve essere ricercata nel fatto che gli italiani avrebbero

difficilmente accettato il posto inferiore che il razzismo gerarchico

tedesco attribuiva loro, per cui l'unico riscatto poteva essere cercato nello

spirito.

La volontà di creare un nuovo "uomo fascista" traeva spunto anche

dalle vicende etiopiche, che avevano mostrato l'attitudine degli italiani a

confondersi con le popolazioni locali invece di dominarle. Gli italiani

dovevano invece assumere una "dignità razziale" che li rendesse razza di

conquistatori ed estranei alle tentazioni del meticciato.

Fra le cause minori De Felice, escludendo il motivo economico,

individua le posizioni antifasciste di singoli ebrei durante la guerra

d'Etiopia e di Spagna e le critiche alla politica autarchica da parte di

alcuni industriali ed uomini d'affari ebrei. Alle tre cause principali lo

stesso autore ne ha recentemente aggiunta una quarta: i mutati assetti

internazionali fecero preferire a Mussolini l'alleanza con il mondo arabo

piuttosto che con i sionisti, in funzione antinglese8.

Ha notato lo stesso autore che l'adesione alla campagna contro gli

ebrei fu piuttosto blanda da parte dell'opinione pubblica italiana.

Tuttavia molti uomini di cultura e soprattutto molti burocrati

aderirono, sia per opportunismo che per convinzione, alla svolta

antisemita del regime. Nel mondo della cultura fra i pochi a prendere

duramente posizione contro le leggi razziali furono Marinetti e la

redazione della sua rivista "Artecrazia". Ma se le poche manifestazioni di

opposizione ai provvedimenti non erano riportate ovviamente sui giornali,

pure se ne può avvertire la presenza negli attacchi continui della stampa

8Cfr. R. De Felice, La legislazione razziale del fascismo, in La legislazione antiebraica in Italia e in Europa, cit., pag. 13.

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26

nei confronti dei "pietisti", ed in generale di chi si mostrava benevolo

verso gli ebrei. De Felice rafforza la sua tesi secondo cui le leggi razziali

ruppero il consenso del regime proprio attraverso la notazione che più di

mille iscritti al P.N.F. vennero espulsi per pietismo.

Ha però notato Roberto Finzi che questo dato non è sufficiente, in

quanto potrebbe nascondere altre ragioni, come la realizzazione di

vendette politiche9. Queste contraddizioni non possono certo assolvere la

società e la cultura italiana dall'accusa di sostanziale accettazione dei

disegni del regime. In realtà la vera rottura della popolazione con il

regime si ebbe solo a partire dal 1943, quando, non solo come

conseguenza dell'andamento della guerra e dell'avversione verso

l'occupante tedesco, gli ebrei vennero aiutati e spesso salvati da larghi

strati della popolazione italiana.

In generale gli uomini di cultura non seppero o non vollero opporsi

all'antisemitismo, così come i movimenti giovanili, che anzi vi aderirono

nella quasi totalità, avvertendo nella nuova ideologia razzista la risposta

alla loro ansia di rinnovamento e di ricerca di nuovi valori10.

Secondo De Felice il "Manifesto degli scienziati razzisti",

rappresentò per gli ebrei italiani un vero e proprio "fulmine a ciel

sereno"11. Gli ebrei italiani, soprattutto quelli che nel fascismo avevano

creduto, subirono la svolta antisemita come una ferita morale più che

materiale. Anche per i meno assimilati la scelta conseguente non fu

comunque subito l'antifascismo. Per De Felice non si può parlare di un

antifascismo ebraico prima e dopo il 1938, quanto piuttosto di antifascisti

9Cfr. R. Finzi, Gli Ebrei nella società italiana dall'Unità al fascismo, in "Il Ponte", nov.-dic. 1978, pag. 1407.10Cfr. A. Spinosa, Le persecuzioni razziali in Italia. L'azione della stampa, in "Il Ponte", 1952, n. 11, III; R. De Felice, op. cit., pag. 387.11Cfr. R. De Felice, op. cit., pag. 328.

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27

ebrei12, i quali spesso provenivano culturalmente dall'esperienza sionista.

Questa tesi è contestata fra gli altri da Meir Michaelis, che rileva come la

percentuale di ebrei nelle file dell'antifascismo, anche prima del 1938,

fosse preponderante rispetto alla popolazione generale13. Ma lo stesso

autore nota che anche questa alta percentuale rimase un'eccezione: la

maggioranza degli ebrei aveva considerato gli accenni antisemiti del

regime poco importanti e destinati a rimanere un mero elemento

propagandistico.

Anche per De Felice "l'epilogo tragico del fascismo era nelle sue

premesse" e "nella sua logica, nella sua sostanza antidemocratica e

liberticida, nella sua mancanza di rispetto per i valori più elementari della

personalità umana"14, ma il fascismo italiano è tuttavia al riparo, secondo

il suo giudizio, da ogni accusa di genocidio. Tuttavia le responsabilità di

Mussolini non possono essere considerate solo un'"ingenuità", visto che

dopo il decreto del 30 novembre 1943 gli ebrei italiani furono chiusi in

campi di concentramento e le liste del censimento del 1938 vennero rese

disponibili15.

12Ibid., pag. 433 e sgg.13 Cfr. M. Michaelis, Mussolini e la questione ebraica. Le relazioni italo-tedesche e la politica razziale in Italia, Milano, Edizioni di Comunità, 1982, pag. 13.14R. De Felice, op. cit., pp. 462-3.15Ancora all'inizio della persecuzione era pressoché sconosciuto il numero degli ebrei residenti in Italia. Il censimento annunciato da Mussolini si preoccupò di rispondere a questa domanda, ma nessun dato ufficiale venne alla fine reso noto. Mussolini optò per la cifra arbitraria di settantamila, mentre Preziosi, su "La Difesa della Razza", azzardò le centomila unità. Le cifre del precedente censimento del 1931 suggerivano un numero di poco inferiore alle quarantamila unità, ma il nuovo censimento, nelle intenzioni di Mussolini, avrebbe dovuto seguire criteri razzisti e non religiosi e/o culturali. Gestito dalla Demorazza, il censimento fu estremamente accurato nella sua opera di schedatura poliziesca, e per la prima volta gli ebrei furono presi in considerazione come razza e non come religione. L'intento era di verificare l'esattezza degli elenchi delle Comunità ed eventualmente integrarli; fornire i dati per la discriminazione; svelare l'effettivo peso ebraico nella società. Si può comunque affermare che il numero degli ebrei italiani nel 1938 era di circa quarantasettemila

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28

Nel 1968 lo storico marxista Abram Léon proponeva un'analisi degli

aspetti economico-sociali per spiegare la svolta antisemita del fascismo.

Già Delio Cantimori, nella citata Prefazione al libro di De Felice, aveva

suggerito che "forse non sarebbe stata inutile una maggiore attenzione ai

nessi economico sociali"16.

Secondo Léon, ad esempio, la crisi del '29 aveva favorito la

proletarizzazione di larghi strati della popolazione, che iniziò a

considerare gli ebrei come concorrenti. Il grande capitale tentò di

incanalare questo scontento per indirizzarlo contro il "plutocrate ebreo"17.

Guido Fubini ha utilizzato questo schema per spiegare il carattere

tardivo dell'antisemitismo italiano: il capitalismo italiano sfruttò le guerre

d'Etiopia e di Spagna come valvola di sicurezza per distogliere

l'attenzione del proletariato dai propri interessi di classe. In questa ottica

la politica razziale appare come un ulteriore diversivo per rimandare il

confronto fra capitalismo e proletariato.

Il ritardo del fascismo ha quindi due motivi: l'eredità risorgimentale,

vista come unico patrimonio comune degli italiani, e quindi anche degli

ebrei; la funzione delle guerre etiopica e spagnola, che crearono due

diversivi bellici che servirono da specchietto delle allodole nei confronti

di un popolo italiano insoddisfatto18.

unità, ovvero essi rappresentavano circa l'uno per mille dell'intera popolazione, concentrati in poche città del Nord Italia e a Roma. Secondo la propaganda antisemita questo rapporto nascondeva in realtà un peso schiacciante, in quanto erano gli ebrei a manovrare i centri vitali della società italiana. In realtà, come numerosi studi hanno indicato, gli ebrei in Italia non detenevano affatto le leve del potere economico e politico: cfr. C. Vivanti, Nell'ombra dell'Olocausto, in "Studi Storici", 1988, n. 3-4, pag. 809, R. De Felice, op. cit., e M. Michaelis, op. cit., fra gli altri.16D. Cantimori, Prefazione, in R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino, Einaudi, 1961, 1a ed., pag. XII.17Cfr. A. Léon, Il marxismo e la questione ebraica, Roma, Samonà e Savelli, 1968.18Cfr. G. Fubini, La condizione giuridica dell'ebraismo italiano. Dal periodo napoleonico alla repubblica, Firenze, La Nuova Italia, 1974.

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29

Per Fubini il carattere originale del razzismo fascista è la

connotazione populista e piccolo-borghese. L'antisemitismo italiano

assunse la funzione di sanare una frustrazione collettiva nazionale e

sociale. A questo scopo era indispensabile trovare un nemico che potesse

essere facilmente battuto. Questo nemico si materializzò nell'ebreo, i cui

interessi potevano ben collidere con quelli della piccola borghesia

scontenta, dei commercianti, dei professionisti, degli impiegati.

L'antisemitismo era quindi stato "l'alibi necessario alla piccola borghesia

per ritrovare dignità di fronte a se stessa"19.

Ugo Caffaz individua fra le ragioni dell'antisemitismo fascista sia il

tributo all'alleanza con la Germania, sia il tentativo di creazione di un

capro espiatorio che avrebbe potuto catalizzare il malcontento della gente

contro il complotto "demo-pluto-giudaico-massonico". Un terzo

elemento fu la necessità di dare una scossa alla cultura ed all'ideologia

fascista attraverso la polemica antiborghese. La raffigurazione dell'ebreo

come immagine da denigrare era indispensabile all'autoaffermazione

dell'"uomo nuovo" fascista ed al consolidarsi del regime20.

Se De Felice nega sostanzialmente i legami ideologici tra nazismo e

fascismo, Meir Michaelis afferma viceversa che i due movimenti furono

sostanzialmente affini21. Se ci furono differenze tra i due razzismi, esse

riguardano solo il piano politico, essendo quello italiano più teso alla

discriminazione che alla persecuzione e più legato al mutamento dei

rapporti di forza internazionali. Dunque, un'esclusiva motivazione di

politica estera. La legislazione fascista fu dovuta all'interferenza indiretta

della Germania, quindi imposta dalla situazione internazionale, e non fu il 19Ibid., pag. 22.20U. Caffaz, Introduzione in Assimilazione e persecuzione degli Ebrei nell'Italia fascista, Firenze, Giuntina, 1988, pag. 11.21Cfr. M. Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, cit.

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30

risultato di forze interne al fascismo. Secondo Michaelis non ci furono

pressioni da parte di Hitler, anche se nel 1938 il dittatore tedesco fu

l'esclusivo bersaglio dell'antifascismo, che vedeva nelle leggi razziali la

prova dell'"asservimento" italiano al Terzo Reich. Tale sospetto non è

suffragato da prove concrete. Piuttosto Michaelis nota che Hitler si

astenne dall'interferire nella politica italiana, per cui la decisione di

Mussolini derivò dalla presa di coscienza del mutato quadro

internazionale e dalla necessità di eliminare l'unico contrasto che ormai lo

separava dalla Germania. Lo stesso Hitler aveva in precedenza più volte

rifiutato di condannare apertamente il filosemitismo di Mussolini, ed

aveva impedito ai suoi collaboratori di criticare le scelte del regime

fascista. Hitler comprendeva infatti le difficoltà di Mussolini nell'imporre

il problema ebraico ad una realtà che non lo conosceva. In Germania

l'antisemitismo era invece un movimento di massa già negli anni '20 e la

scelta di Hitler di individuare nell'ebreo il nemico assoluto del Terzo

Reich era stata in questo senso semplice. Per Mussolini si trattava al

contrario di creare quasi dal nulla un capro espiatorio, un oggetto da

denigrare e, come ha notato Hannah Arendt, la propaganda non può

scegliersi arbitrariamente il proprio oggetto22. Se il razzismo fascista non

fu una creazione originale, né una mera imitazione del modello tedesco,

l'influenza della Germania senza dubbio spinse Mussolini a fare

riferimento ad una legislazione straniera che non poteva adattarsi alla

realtà italiana senza opportuni correttivi.

Se pressioni tedesche ci furono, esse si limitarono all'influenza nella

campagna di stampa e ad un incoraggiamento verso gli antisemiti italiani,

cui venne fornito materiale propagandistico. Gli stessi osservatori

22Cfr. H. Arendt, Le origini del totalitarismo. L'antisemitismo, Milano, Edizioni di Comunità, 1967, pp. 5-12.

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31

tedeschi in Italia ricevettero, anche durante la guerra, istruzioni di non

intervento nelle questioni interne italiane. Mussolini decise di ricambiare

questa solidarietà con l'ultimo pegno sull'altare dell'alleanza italo-tedesca:

la persecuzione degli ebrei.

In polemica con De Felice, Michaelis inoltre si propone di

correggere la dicotomia troppo semplicistica fra razzismo tedesco

materialista e razzismo italiano idealista. Egli sposta l'attenzione sulla

peculiarità dell'antisemitismo nazista, notando che il razzismo nazista non

appare esclusivamente biologico. Nel programma ufficiale del partito

nazista possiamo infatti leggere: "L'antisemitismo è, per così dire, la base

emozionale del nostro movimento". Lo stesso Hitler scriveva nel Mein

Kampf: "Noi usiamo il concetto di razza ebraica come termine di

convenienza, ma in realtà, dal punto di vista genetico, non esiste una tale

razza...La razza ebraica è prima di tutto una razza astratta dello spirito" 23.

Secondo le leggi di Norimberga, inoltre, l'appartenenza alla razza ebraica

veniva stabilita in base all'appartenenza religiosa dei nonni e dei genitori,

mentre le leggi fasciste parlavano di razza in termini biologici.

Ricorda ancora Michaelis che nella terminologia nazista spesso il

termine "razza" viene usato in due accezioni. A volte con il termine razza

viene inteso il "popolo", e ne vengono sottolineati i presupposti

eugenetici; altre volte tale termine appare influenzato dalla tradizione

nazionalista. Anche nei confronti degli ebrei la concezione razziale di

Hitler non appare immune da contraddizioni. Per l'antisemitismo tedesco

l'ebraismo non era una religione, ma una razza, la razza più pura del

mondo, per cui l'ebreo per Hitler assumeva quasi i connotati di un

23Cit. in M. Michaelis, La politica razziale fascista vista da Berlino. L'antisemitismo italiano alla luce di documenti inediti tedeschi. (1938-43), in "Storia Contemporanea", 1980, n. 4-6, pag. 1012.

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"superuomo negativo". Tuttavia, per le Leggi di Norimberga,

l'appartenenza alla razza ebraica era stabilita in base alla religione.

Mario Toscano non considera completa e definitiva l'interpretazione

di Michaelis. La politica antisemita del fascismo non può essere

giustificata solo in base all'alleanza con la Germania, in quanto così non

si evidenzierebbero abbastanza le corresponsabilità storiche e morali del

regime, ma anche l'indifferenza di vasti settori dell'opinione pubblica. La

scelta autonoma del fascismo fu determinata in primo luogo dal cinico

opportunismo di Mussolini e dal suo senso tattico. La contemporaneità

della svolta totalitaria sul piano interno e della creazione dell'Asse su

quello internazionale produsse la politica antiebraica del fascismo. I

nuovi obiettivi del regime potevano ora essere soddisfatti dall'alleanza col

nazismo, per cui la carta sionista appariva superata. Michaelis non prende

in considerazione gli equilibri interni al regime fascista che potevano

essere influenzati sia da scelte antisemite che dall'avvicinamento alla

Germania24.

Ancora in polemica con De Felice, Gabriele Turi afferma che la

legislazione antiebraica non fu affatto un "fulmine a ciel sereno", in

quanto era stata preannunziata dalla discriminazione civile e religiosa

applicata dal fascismo negli anni precedenti25. Per Turi la maggioranza

degli italiani accolse con indifferenza le leggi del 1938, un'"indifferenza

maturata nei secoli" che secondo Arnaldo Momigliano, era "l'ultimo

prodotto delle ostilità delle chiese, per cui la conversione è l'unica

soluzione al problema ebraico"26.

24Cfr. M. Toscano, Gli ebrei in Italia dall' emancipazione alla persecuzione, in "Storia Contemporanea", 1986, n. 5.25Cfr. G. Turi, Ruolo e destino degli intellettuali nella politica razziale del fascismo, in Le leggi antiebraiche in Italia e in Europa, cit., pag. 102.26A. Momigliano, op. cit., pag. XXXI.

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33

Proprio l'indifferenza è il momento essenziale che compare nei

colloqui da me avuti con alcuni ebrei romani che hanno vissuto quel

periodo:

Bisogna dire che la massa del popolo italiano si è rivelata quella "zona grigia" di cui parla Primo Levi. Ancora oggi si dice che le leggi razziali però furono una buffonata. Non furono una buffonata. Ci fu gente che moriva di fame, ci furono dolori tremendi, ci furono suicidi.27

Si è voluto far credere in Italia che tutto fosse facile, un fascismo sorridente, una popolazione che non ha sentito. Io devo dire che è vero: la popolazione non ha sentito, e non ha sentito fino all'ultimo momento. E non ha sentito al punto tale che, dopo la guerra, quando sono arrivate le notizie di Auschwitz, quando si sapeva che gli ebrei erano stati venduti per 3000 lire dal portiere, dal vicino di casa, si disse: "Beh, ma adesso è tutto finito, non pensiamoci più, dimentichiamo". Questo non è giusto, perché chi dimentica può commettere le stesse cose28.

Un'indifferenza che può trovare parziali giustificazioni, ma che

procurò senza dubbio sofferenza ed umiliazioni, al di là delle differenti

esperienze personali:

Io per anni sono stata l'unica ebrea della mia classe, nessuno ha mai detto la minima parola offensiva, o pensato che fossi "diversa". Altri hanno agito in modo differente...Riguardo agli atteggiamenti bisogna essere obiettivi: ci fu indifferenza da parte della maggior parte delle persone: si viveva comunque in un regime totalitario, dove potevi essere mandato al confino per un nonnulla. L'indifferenza però c'è stata, è mancata la voglia di ribellarsi per l'assurdità del gesto29.

Alle elementari avevo avuto una maestra fascista che mi diceva "Fuori di classe, brutta ebrea", quindi sapevo benissimo cosa era la "diversità"...Rimane il fatto che nessuna compagna di scuola, né mia, né di mia sorella, si è fatta viva per dire "Come mi dispiace!". Se ne fregavano. Se ne fregavano totalmente: non le interessava, oppure erano imbarazzate, nel migliore dei casi30.

27Intervista alla signora Giacoma Limentani (cfr. Appendice A).28Intervista alla signora Pupa Garriba.29Intervista alla signora Lea Sestieri.30Intervista alla signora Giacoma Limentani.

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34

Poi c'è un fatto. Anni, secoli di educazione a vedere l'ebreo come una persona, magari religiosamente, inferiore o diversa, di cancellazione, di deturpazione della tradizione e della cultura ebraica, questo rende la gente infinitamente più insensibile31.

Mio padre, vice primario al Regina Elena, in 24 ore fu cacciato dall'ospedale. Non volle mai più rimettere piede in una struttura pubblica, perché ricordava sempre come era stato mandato via...Il problema per la mia famiglia non fu di natura economica, ma psicologica. Ci fu un senso di insicurezza, perché si sentivano molto forti a Roma32.

Accanto ad alcune voci isolate, si levò quella di Benedetto Croce,

che attraverso la pubblicazione di due articoli su "La Critica" nel 1938,

prese posizione contro l'antisemitismo33. Si trattò di una condanna

indiretta, attraverso la biografia del patriota e poeta ebreo Tullo

Massarani e la riproposizione dell'umanista Antonio Ferrari, meglio noto

come Galateo, in difesa degli ebrei. Così Croce potè evitare la censura e

fare comunque udire la propria voce.

Fra le altre "pecore matte", come Cavaglion e Romagnani chiamano

coloro che osarono contrapporsi pubblicamente al regime34, vi furono

Ernestina Bittanti Battisti, la vedova di Cesare Battisti, e Gaetano

Salvemini, che dal suo osservatorio statunitense criticò duramente

l'atteggiamento dei governi e dell'opinione pubblica internazionale35.

31Intervista alla signora Pupa Garriba.32Intervista alla signora Anna Blayer.33Cfr. A. Cavaglion-G. P. Romagnani, (a cura di), Le Interdizioni del Duce. A cinquant'anni dalle leggi razziali in Italia. (1938-1988), Torino, Meynier, 1988, pag. 222 e sgg.34 I versi di Dante Uomini siate, e non pecore matte / sì che il Giudeo fra voi di voi non rida furono per anni riportati in copertina da "La Difesa della Razza", con intenzioni evidentemente differenti. 35Cfr. A. Cavaglion - G. P. Romagnani, op., cit., pp. 179-220.

Page 35: Tesi di laurea

35

Un particolare approccio di Michele Sarfatti attribuisce alla

personalità di Mussolini, pragmatica ed opportunista, la preminenza nelle

vicende dell'antisemitismo italiano36. Un articolo anonimo, apparso in un

giornale antifascista pubblicato in Francia, sottolineava nel 1938 questo

ruolo di Mussolini:

Perché poi questa violenza, e questa cecità nella persecuzione antisraelitica? Confessiamo che non riusciamo a comprendere tutti i riposti motivi: ché basterebbe, se si trattasse di puro ossequio all'hitlerismo o di un atto di politica estera, una persecuzione blanda e formale. Quel che è un dato di fatto positivo è che Mussolini è personalmente partito per l'antisemitismo"37.

Secondo Sarfatti il razzismo italiano, più che contrapposto alla

formula tedesca, appare una fusione dei due approcci. Accanto

all'approccio "biologico" vanno collocate le teorie eugenetiche che

proponevano la "bonifica della stirpe" e la rivalutazione del retaggio

nazionale e di un patrimonio spirituale che potessero creare la nuova

Italia di Mussolini. Tuttavia accanto a questo approccio è oggi

impossibile negare una tipologia più chiaramente "razzista" della

legislazione, come è del resto confermato dal recente ritrovamento delle

cosiddette "carte di Merano", consegnate all'Archivio Centrale dello Stato

nel 1994. Questi documenti dimostrano inequivocabilmente

l'elaborazione del concetto di "una razza di appartenenza biologica"

attraverso la costruzione di un "doppio albero genealogico" che

permetteva di stabilire se un individuo fosse ariano o ebreo risalendo a

tutti i suoi ascendenti fino agli 8 bisnonni. Le "carte di Merano" sono

circa 2600 fascicoli della Demorazza, la Direzione Generale per la

36Cfr. M. Sarfatti ( a cura di), 1938. Le leggi contro gli ebrei, cit. 37La persecuzione antiebraica vista da vicino, articolo non firmato in "Giustizia e Libertà", 2 dicembre 1938, cit. in M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei, cit., pag. 5.

Page 36: Tesi di laurea

36

Demografia e la Razza, che si propose il compito di accertare

l'appartenenza alla razza ebraica in termini più "scientifici". Tutte le

pratiche contengono due alberi genealogici che descrivono la situazione

biologica e quella giuridica dell'individuo. Ad iniziare dai nonni, per ogni

componente vi era un circolo da riempire di rosso o di blu, secondo il

"dosaggio" di sangue ebreo o ariano presente. Questo procedimento

burocratico stabilì la sorte di migliaia di individui, confermando la tesi

della "banalità del male" di cui parla Hannah Arendt38.

Sarfatti utilizza questa nuova documentazione archivistica sia per

contestare la classica tesi di De Felice, sulla distinzione fra il razzismo

italiano spiritualista e quello tedesco biologistico, sia per confutare l'idea

che la persecuzione fascista sia stata "varata ma non attuata". Sarfatti ha

infatti notato che da più parti prevale la definizione di antisemitismo

"all'italiana", ovvero blando ed inapplicato, per la legislazione fascista39.

Secondo queste posizioni il fascismo avrebbe emanato le leggi per

compiacenza verso la Germania, ma le avrebbe applicate solo in minima

parte. Questo falso storico è il risultato di quello che Sarfatti definisce "il

peso di Auschwitz", che, prendendo questo campo di concentramento

come simbolo dell'Olocausto, ha imposto lo sterminio operato dai

tedeschi come metro di paragone per le azioni degli altri stati antisemiti.

Tale paragone ha finito per snaturare la specificità italiana e le

responsabilità innegabili del fascismo. Il luogo comune degli "italiani

brava gente" ha negato l'autonomia decisionale del regime fascista e

l'impossibilità da parte degli italiani di agire in qualsiasi modo contro gli

ebrei.38Cfr. H. Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Milano, Feltrinelli, 1964.39Cfr. M. Sarfatti, Le "carte di Merano": la persecuzione antiebraica nell'Italia fascista, in "Passato e Presente", n. 32, 1994, anno XII.

Page 37: Tesi di laurea

37

Eppure è un dato di fatto che nel 1938 l'Italia aveva già un apparato

legislativo durissimo per un paese che non aveva diffusamente conosciuto

l'antisemitismo, apparato che permise soluzioni persecutorie sempre più

aspre, in un crescendo che avrebbe portato all'Olocausto.

Soprattutto David Bidussa ha richiamato l'attenzione sulla

responsabilità collettiva degli italiani in tema di antisemitismo ed

Olocausto. E' prevalsa, secondo Bidussa, la convinzione che in Italia

l'antisemitismo non si sia mai diffuso e che le leggi antiebraiche siano

state una parentesi conclusasi con la loro archiviazione. Non è possibile

concludere, come De Felice, che si trattò esclusivamente di un operazione

politica40. E' stata anche affermata l'irriducibilità del fenomeno italiano a

quello tedesco, e la mancanza in Italia di una "vocazione

sterminazionista"41. Tuttavia la legislazione italiana appare perfino più

dura in un primo momento di quella tedesca, sostituendo al criterio "per

quote" applicato in Germania ed Ungheria, il criterio "per fasce", che

conduceva all'espulsione indiscriminata42. Il razzismo italiano in realtà,

fino alla sua conclusione, si dimostra coerente con le sue premesse43.

Durante gli anni '30, in definitiva, il fascismo mirò a costruire uno

stato totalitario in cui gli italiani assumessero nuova dignità. Si voleva

creare una nuova razza di padroni rispettata e temuta e si pensava che

solo attraverso la liberazione dalla mentalità borghese l'obiettivo potesse

essere raggiunto. In questa battaglia il fascismo aveva bisogno di un forte

40Cfr. R. De Felice, La legislazione razziale del fascismo, in Le leggi antiebraiche in Italia e in Europa, cit., pag. 5.41Cfr. L. Picciotto Fargion, op. cit., pag. 793. 42Cfr. M. Sarfatti, op. cit., pp. 87-89.43Cfr. D. Bidussa, Razzismo e antisemitismo in Italia. Ontologia e fenomenologia del "bravo italiano", in 1938. Le leggi contro gli ebrei, cit., pag. 33 e sgg.

Page 38: Tesi di laurea

38

elemento catalizzatore, che proponesse una nuova immagine degli

italiani. Questo elemento fu trovato nella politica razziale.

Tuttavia molti autori collocano proprio nel 1938 l'inizio

dell'allontanamento delle masse dal fascismo. Federico Chabod per primo

sostenne che la legislazione razziale aveva provocato "la grande frattura

tra Chiesa e Stato, fra l'opinione pubblica ed il Regime fascista" 44. Anche

secondo Roberto Finzi: "La campagna antisemita fu un altro momento di

separazione del regime dalla coscienza popolare"45. Per Michaelis la

decisione di perseguitare gli ebrei si rivelò il sintomo e la spia rivelatrice

del declino di Mussolini46, mentre secondo Susan Zuccotti: "Le leggi

razziali ruppero il grande consenso popolare che Mussolini aveva

guadagnato con la vittoria in Etiopia. Dopo il 1938 la popolarità del Capo

del Governo continuò a declinare"47.

L'accoglienza dell'opinione pubblica nei confronti delle leggi

razziali, che oscillò tra l'incredulità e la diffidenza, fu infatti il primo

segnale per il regime che il consenso di cui aveva fino ad allora goduto

iniziava a vacillare. La campagna di stampa non aveva sortito gli effetti

sperati, e gli italiani continuavano ad apparire tiepidi verso la nuova

svolta del regime. In effetti le leggi razziali ebbero subito una grossa

ripercussione nell'opinione pubblica italiana, ma le reazioni furono

estremamente varie, spaziando dall'accettazione totale delle direttive del

regime ad una presa di coscienza che doveva sfociare in alcuni casi nella

scelta antifascista. Tuttavia, nonostante la maggioranza dell'opinione

pubblica non comprendesse i motivi e le modalità della nuova politica del

regime, non si avvertì mai un sentimento collettivo di forte rifiuto, e 44F. Chabod, L'Italia contemporanea. (1918-1948), Torino, Einaudi, 1961, pag. 96.45R. Finzi, op. cit., pag. 1407.46Cfr. M. Michaelis, op. cit., pag. 383 e sgg.47S. Zuccotti, L'Olocausto in Italia, Milano, Mondadori, 1988, pag. 70.

Page 39: Tesi di laurea

39

dovunque l'isolamento diventò il tratto caratteristico delle comunità

ebraiche, mentre aumentavano l'interesse e lo sfruttamento per le

posizioni che gli ebrei lasciavano libere. In generale mancò in Italia una

solidarietà organizzata, che permettesse agli ebrei di sfuggire

all'isolamento. Se non vi è stato consenso di fronte alle leggi razziste, vi è

stata comunque un'accettazione diffusa da parte di una popolazione che

reagiva sommessamente, perché le leggi colpivano persone che la

propaganda aveva già reso diverse. La visione idilliaca che presenta il

popolo italiano come prima incolpevole della scelta del regime ed in

seguito solidale con gli ebrei perseguitati appare un parziale falso storico.

La stessa giurisprudenza aveva elaborato una "nuova concezione del

diritto", basata sul principio politico-giuridico della razza, per cui tutto

era subordinato all'appartenenza ad una stirpe piuttosto che ad un'altra.

Alessandro Galante Garrone ricorda che quelle leggi furono "a

prescindere da ogni considerazione morale e politica, una lacerazione dei

principi generali dell'ordinamento (che) balzava agli occhi di un qualsiasi

giurista in buona fede non sprovveduto"48.

Inoltre, le leggi razziali e la persecuzione non possono essere

considerati due eventi distinti ed autonomi. Scrive Enzo Collotti: "Già

nella discriminazione operata dai fascisti si pongono le premesse della

soluzione finale"49. Proprio in base alle schede del censimento del 1938

molti ebrei vennero catturati nel 1943, con l'attiva collaborazione di

Questure e Prefetture che consegnarono l'intera documentazione.

Mussolini stesso firmò autorizzazioni per la deportazione nei campi di

concentramento da cui partì la maggior parte dei 6800 ebrei italiani che 48A. Galante Garrone, Ricordi e riflessioni di un magistrato, in 1938. Le leggi razziali contro gli ebrei, pag. 19.49E. Collotti, Prefazione in S. Bon Gherardi, La persecuzione antiebraica a Trieste ('38-'45), Udine, Del Bianco, 1972, pag. 14.

Page 40: Tesi di laurea

40

vennero uccisi nelle camere a gas. Mayda ha dimostrato che gli anni dal

1938 al 1943 non possono essere considerati un fatto accidentale, in

quanto la deportazione nazista si collega direttamente alle leggi razziali

ed alla connivenza delle più alte autorità italiane e di centinaia di fascisti

e delatori50.

Impreparazione e sorpresa furono gli elementi dominanti della

reazione ebraica: ad esse seguì un isolamento pressoché totale. Questo

atteggiamento è ben rappresentato dall'esempio che Fausto Coen porta

citando le prime righe de Le Metamorfosi di Kafka:

Una mattina Gregorio Sansa, destandosi da sogni inquieti, si trovò mutato in un insetto mostruoso51.

Nella varietà di reazioni della popolazione ebraica (dalla

riaffermazione di fedeltà fascista del gruppo de "La Nostra Bandiera" fino

all'alternativa dell'antifascismo attivo), occupano un posto di rilievo due

scelte solo apparentemente contrastanti: il suicidio dell'editore ebreo

Angelo Fortunato Formiggini, che intese con il suo gesto richiamare

l'attenzione sulla drammaticità degli avvenimenti52, e la costituzione delle

scuole ebraiche, che rappresentarono da un lato una coazione, ma

dall'altro un'alternativa importante alla cultura ed ai modelli educativi del

fascismo.

Tanto maggiore fu il trauma degli ebrei italiani in quanto la

posizione della maggioranza degli ebrei italiani, fino al 1938, era stata di

fiducia verso il fascismo. Il processo d'integrazione degli ebrei nella

società italiana fu continuo dall'Unità in poi, probabilmente perché, come

50Cfr. G. Mayda, Ebrei sotto Salò. La persecuzione antisemita. 1943-1945, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 9-21.51cit. in F. Coen, op. cit., pag. 77.52Cfr. A Cavaglion - G. Romagnani, op. cit., pag. 289

Page 41: Tesi di laurea

41

hanno rilevato Antonio Gramsci ed Arnaldo Momigliano, la coscienza

nazionale degli ebrei si era formata parallelamente a quella di tutti gli altri

italiani53.

Secondo Stuart Hughes la rapidità dei processi d'integrazione è

motivata dal fatto che gli ebrei non avevano una lingua diversa da quella

della maggioranza, non erano dispersi per tutto il territorio ed avevano

una collocazione urbana. Inoltre i bambini frequentavano le scuole

pubbliche e dipendevano dalle sinagoghe solo per l'istruzione religiosa.

La cartina di tornasole di questa tendenza all'assimilazione furono

soprattutto i matrimoni misti, che aumentarono dall'Unità in poi in

maniera considerevole54:

Gli ebrei italiani si sentivano profondamente italiani, così come tedeschi si sentivano gli ebrei tedeschi, francesi i francesi...C'era una partecipazione italiana molto importante, e questo arrivava dopo secoli di discriminazione, per cui si credeva di aver trovato un porto sicuro, in cui ognuno aveva una patria con la P maiuscola55.

In casa avevamo un'istruzione ebraica, si respirava l'ebraismo come in qualsiasi altra casa ebraica. Ma non sentivamo molto la differenza, anche perché si era completamente introdotti in qualsiasi tipo di ambiente, sia per la professione di mio padre, che era medico, ma anche per il livello culturale della famiglia. Eravamo, per così dire, i famosi ebrei che erano completamente integrati nella borghesia romana56.

Fu una pugnalata nella schiena. Non un "fulmine a ciel sereno", perché già da qualche parte, da qualche tempo, c'erano delle cose per cui si poteva aspettarlo. L'alleanza con la Germania, per esempio, e con quello che succedeva in Germania era possibile aspettarsi di tutto. Comunque non fu uno scherzo, né una cosa da nulla57.

53Cfr. A. Momigliano, op. cit., pag. 237;A. Gramsci, Quaderni dal Carcere, vol. III, "Il Risorgimento", Torino, 1966, cit. in G. Mayda, cit., pag. 27.54Cfr. H. Stuart Hughes, op. cit., pag. 13.55Intervista alla signora Giacoma Limentani.56Intervista alla signora Anna Blayer.57Intervista alla signora Pupa Garriba.

Page 42: Tesi di laurea

42

Per quanto riguarda il rapporto fra ebraismo e fascismo, Spinosa

ricorda che Mussolini assunse verso gli ebrei le posizioni più disparate,

con toni ora razzisti, ora filosemiti, secondo le diverse opportunità

politiche58. Il giovane Mussolini aveva attaccato duramente le dottrine

razziste di Gobineau e Chamberlain, anche se non aveva disdegnato di

attaccare il bolscevismo come prodotto dell'ebraismo59, per poi negare

disinvoltamente tale tesi60. Nello stesso articolo del 1919 egli afferma che

"l'Italia non ha mai conosciuto l'antisemitismo, e crediamo che non lo

conoscerà mai", ma allo stesso tempo è preciso l'attacco contro il

sionismo: "Speriamo che gli ebrei italiani saranno abbastanza intelligenti

per non suscitare antisemitismo nell'unico paese dove non c'è mai stato".

La sua prima dichiarazione specificamente razziale non riguarda però gli

ebrei: "Per il fascismo la questione razziale ha grande importanza. I

fascisti devono preoccuparsi della salute della razza perché la razza è il

materiale col quale intendiamo costruire anche la storia"61.

L'atteggiamento del fascismo non ebbe una sua continuità e

coerenza, se non quella dell'opportunismo. Subito dopo il 1938 si cercò di

dimostrare che il fascismo era stato razzista sin dalle origini, ma in realtà

lo stesso Mussolini, pur non esente da pregiudizi verso gli ebrei, fino al

1938 parlò di razza solo dal punto di vista eugenetico e di "sanità fisica".

Tuttavia è possibile rilevare nel fascismo venature antiebraiche, ma

non di tipo razzista, fin dall'inizio: veniva sottolineato il legame tra

ebraismo e bolscevismo; si parlava della "questione sionista", per cui si

attribuivano agli ebrei due patrie e la responsabilità dell'indebolimento 58Cfr. A. Spinosa, op. cit., pag. 964 e sgg.59Cfr. "Il Popolo d' Italia", 4 giugno 1919, cit. in G. Mayda, cit., pag. 1260Cfr. "Il Popolo d' Italia", 19 ottobre 1920, ibid.61Cfr. "Il Popolo d' Italia", 9 novembre 1921, ibid.

Page 43: Tesi di laurea

43

della posizione italiana nel Mediterraneo a vantaggio della Gran

Bretagna.

Me se c'era un antagonismo latente fra fascisti ed ebrei, soprattutto

per la diffidenza dei primi verso l'"internazionalismo" dei secondi, non ci

fu una specifica opposizione ebraica, anzi le relazioni fra le due parti

migliorarono notevolmente negli anni '20, soprattutto dopo l'approvazione

della legge sulle Comunità del 1929, accolta con favore in ambito

ebraico. Nel 1934, inoltre, era nato il settimanale "La Nostra Bandiera",

diretto da ebrei fascisti che desideravano prendere le distanze dal

movimento sionista ed "antipatriottico".

Il trasformismo di Mussolini nei confronti degli ebrei è testimoniato

in maniera emblematica dal suo colloquio con il giornalista ebreo Emil

Ludwig del 1932. Il Duce respinge il razzismo tedesco e sottolinea

l'inesistenza di un problema ebraico: "Razza: questo è un sentimento, non

una realtà; il 95% è un sentimento....L'antisemitismo non esiste in

Italia....Gli ebrei italiani si sono sempre comportati bene come cittadini, e

come soldati si sono battuti coraggiosamente"62.

L'atteggiamento di Mussolini assunse presto un carattere più

complesso. Egli aveva deciso di non utilizzare la carta antisemita appena

giunto al potere perché capiva di non avere un'adeguata base nel paese ed

inoltre perché credeva nell'"Internazionale ebraica" e ne temeva

l'opposizione. Se in pubblico si mostrava filosemita, manteneva sempre

alta la soglia d'attenzione al problema attraverso suoi articoli anonimi ed

il quotidiano "Il Tevere" di Telesio Interlandi, che si collocò subito su

posizioni antisemite ed in seguito filonaziste. Il duce avrebbe voluto

presentarsi come "mediatore" fra Hitler e gli ebrei, e non abbandonò

62Cit. in M. Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, cit., pag. 50.

Page 44: Tesi di laurea

44

questa posizione di compromesso neppure quando divenne chiaro che

Hitler non avrebbe svolto il ruolo di "allievo" disciplinato. Sia nel 1934,

nel momento di massimo contrasto fra Italia e Germania, che nel 1937,

quando l'alleanza era ormai una realtà, Mussolini volle assumere il ruolo

di "amico" degli ebrei. Il 6 settembre 1934, visitando la Fiera del Levante,

polemizzò apertamente con il razzismo nazista: "Trenta secoli di storia ci

permettono di guardare con sovrana pietà alcune dottrine di oltre Alpe,

sostenute dalla progenie di gente che ignorava la scrittura con la quale

tramandare i documenti della propria vita, nel tempo in cui Roma aveva

Cesare, Virgilio e Augusto"63. Tuttavia già nel 1934 Camillo Berneri

aveva notato:

Se l'antisemitismo diventasse necessario al fascismo italiano, Mussolini, peggio di Machiavelli, seguirebbe Gobineau, Chamberlain e Woltmann, e parlerebbe, anche lui, di razza pura64.

In ogni caso la prima svolta nella politica fascista coincide con la

guerra d'Etiopia. Il fascismo si trovò per la prima volta ad affrontare la

questione del meticciato e quindi a dover affermare una nuova "coscienza

razziale" per il nuovo ruolo che l'Italia imperiale doveva affrontare a

livello internazionale. Il mito delle razze inferiori si afferma così anche

nel fascismo, che si premura di sancire la proibizione dei matrimoni misti

con le popolazioni africane.

Con il 1936 gli attacchi della stampa contro gli ebrei diventano

generalizzati. Sul "Regime Fascista" Roberto Farinacci rispondeva a chi

ricordava il passato antirazzista e perfino filosemita di Mussolini: "E'

63Cit. in R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, cit., pag. 137.64C. Berneri, Mussolini il "normalizzatore" e il delirio razzista, Pistoia, Ed. Archivio Famiglia Berneri, 1986, pag. 39.

Page 45: Tesi di laurea

45

vero, sì, che il Duce non ha sentito finora il bisogno di fare in Italia

distinzione di razze o di religioni, ma sono proprio alcuni ebrei italiani

che tengono a distinguersi dagli altri italiani..."65.

Nota Michaelis che la "questione razziale" in Italia venne sollevata

solo in seguito all'Asse Roma-Berlino66. Il tentativo fascista di disciplinare

e regolamentare le attività sociali per conformarle ai valori dello stato, e

quindi la volontà di creare un'unità monolitica, poteva essere un segnale

di minaccia per gli ebrei, ma solo dopo l'avvicinamento alla Germania il

pericolo per loro diventa attuale.

Mentre De Felice e Michaelis affermano che il comportamento degli

ebrei verso il fascismo non si differenziò da quello degli altri italiani, una

posizione diversa assume Guido Lodovico Lozzatto. Lozzatto sostiene

che la maggioranza degli ebrei, agli albori del fascismo, era decisamente

contraria ad esso. La decisione di non assumere una posizione netta di

dissenso, che era del resto difficile con la graduale "totalitarizzazione"

dello Stato, sfociò nel "quieto vivere" di cui parla De Felice, per poi

produrre un sentimento di smarrimento e di sorpresa negli anni '37-'38 67.

Lo stesso inserimento delle Comunità sotto il controllo politico dello stato

fascista è il risultato di un processo storico che offriva agli ebrei

possibilità nuove in cambio della rinuncia alla loro autonomia. Le

Comunità venivano infatti sottoposte direttamente alla vigilanza e alla

tutela dello Stato, mentre tutti gli ebrei dovevano obbligatoriamente fare

parte delle Comunità.

65 R. Farinacci, Fascismo ed internazionale ebraica, in "Il Regime Fascista", 24 settembre 1936.66Cfr. M. Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, cit., pag. 111 e sgg.67Cfr. G. L. Lozzatto, La partecipazione all' antifascismo in Italia ed all' estero dal 1918 al 1938, in "Quaderni del Centro di Documentazione Ebraica contemporanea", 1962, n. 2, pag. 32.

Page 46: Tesi di laurea

46

Una posizione particolare e molto criticata riguardo al rapporto fra

istituzioni comunitarie e fascismo è offerta da Robert Katz68. Egli si

richiama alle posizioni di Hannah Arendt, che, nel 1963, aveva accusato

parte della classe dirigente ebraica di essersi resa colpevole di complicità

nella "distruzione del (suo) stesso popolo"69. Anche secondo Katz la

collaborazione offerta dai dirigenti delle Comunità ai nazisti fu

innegabile. Essa fu diretta sicuramente al salvataggio degli ebrei, ma

soprattutto alla preservazione delle istituzioni ebraiche. Per quanto

riguarda l'Italia, l'accusa di Katz è contro quei dirigenti che, sia prima, ma

soprattutto dopo il 1938, avviarono un'instancabile opera di compromesso

al fine di mantenere intatte le loro istituzioni.

In conclusione possiamo dire che molti degli ebrei italiani fino al

1938 nutrivano fiducia per il fascismo. Se segnali preoccupanti di un

mutamento di rotta da parte del regime c'erano stati, si confidava

comunque nell'azione del Re (essendo l'ebraismo filomonarchico per

tradizione), del Papa (che si sarebbe opposto, si pensava, ad ogni

persecuzione) e dell'opinione pubblica in generale, immune nella

maggioranza dall'antisemitismo. Ma proprio queste speranze lasciarono

spazio allo sgomento ed alla sorpresa che furono i sentimenti tipici con

cui gli ebrei accolsero le leggi razziali.

68Cfr. R. Katz, Sabato Nero, Milano, Rizzoli, 1973.69Cfr. H. Arendt, op. cit., pag. 45.

Page 47: Tesi di laurea

47

CAPITOLO  

I PRECEDENTI DELL'ANTISEMITISMO IN ITALIA

Lo scrittore e storico inglese Hilaire Belloc parla di un "ciclo

tragico" delle comunità ebraiche in Europa:

Cordiale accoglienza di una colonia ebraica, quindi disagio, seguito da un'acuta insofferenza, che esplode in persecuzioni, esili, e persino massacri...seguiti da una reazione e dalla ripresa del processo ciclico ricordato1.

Lo stesso autore delinea quattro momenti nella storia ebraica in

Europa: la distruzione, tentazione frequente di masse popolari o despoti;

l'espulsione, come quella drammatica avvenuta in Spagna nel 1492;

l'assorbimento e l'assimilazione, promossa con varie tecniche, dal

battesimo forzato all'offuscamento dell'identità sociale ebraica; la

segregazione.

Per quanto riguarda il caso italiano, ha notato Guido Fubini che il

fascismo "non ha inventato nulla di nuovo"2. Nei secoli precedenti il

Risorgimento, molti stati italiani applicarono una legislazione antiebraica.

Per tutto il Medio Evo gli ebrei furono soggetti ad intolleranza e ad ogni

forma di discriminazione. Le leggi fasciste possono in una certa misura

essere viste come la riproposizione di leggi antiche di secoli. Il divieto di

matrimonio misto era stato introdotto nel 388 con il Codice Teodosiano

ed abolito nello Stato Pontificio solo nel 1870. Il divieto di appartenenza 1H. Belloc, Gli Ebrei, Milano, 1934, cit. in V. Marchi, L' "Italia" e la "questione ebraica" negli anni '30, in "Studi Storici", n.3, 1994.2G. Fubini, La legislazione razziale nell' Italia fascista in Dalle leggi razziali alla deportazione, cit., pag. 12.

Page 48: Tesi di laurea

48

alle forze armate risale al 404, mentre del 425 è il primo divieto di

esercizio della professione di avvocato. Nel 438 fu proibito agli ebrei

l'ingresso nelle pubbliche amministrazioni. La limitazione delle proprietà

fu sancita a Padova nel 1423, a Firenze nel 1437, a Roma nel 1555, in

Piemonte nel 1706 e riconfermata a Torino nel 1814. La non ammissione

degli ebrei nelle scuole si ritrova nella Costituzione del Ducato di

Modena del 1771. Solo la Rivoluzione francese, il '48 e il Risorgimento

avevano sancito la libertà e l'uguaglianza dei diritti per i non cattolici,

mentre a Roma solo nel 1870 veniva chiuso l'ultimo ghetto europeo.

Questi precedenti sono stati utilizzati per sostenere che la svolta

antisemita di Mussolini aveva un importante retroterra storico-culturale e

che l'antisemitismo, nonostante il cammino percorso dai regimi liberali

dell'800, non era completamente estraneo alla tradizione italiana3.

In generale dobbiamo affermare che sono state due le tradizioni che

in Italia hanno favorito la diffusione del pregiudizio antisemita: una certa

tradizione liberale ed il pensiero cattolico. Bisogna tuttavia precisare che

il pensiero liberale non è caratterizzato da un vero e proprio

antisemitismo: l'ebraismo piuttosto è guardato con diffidenza, in vista di

una sua progressiva assimilazione. Nel pensiero liberale risulta evidente

l'intenzione di abolire ogni discriminazione ma, con essa, anche ogni

differenza. Solo attraverso l'assimilazione le minoranze potranno

raggiungere l'emancipazione, ma se il diverso non si uniforma alle regole

ed ai valori della maggioranza rischia di corrodere le basi della società e

dello stato, per cui deve essere allontanato. L'intolleranza liberale verso

gli ebrei è esemplificata dall'affermazione del conte Stanislas de

Clermont-Tonnère all'Assemblea Nazionale francese nel 1789:

3Cfr. U. Caffaz, Introduzione in Assimilazione e persecuzione degli Ebrei nell' Italia fascista, Firenze, Giuntina, 1988, pag. 11 e e sgg.

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49

Ogni cosa deve essere negata agli ebrei come nazione, tutto deve essere loro concesso come individui. Essi sono obbligati a diventare cittadini. Alcuni dicono che essi non lo vogliono essere. Che lo dicano pure essi stessi e li espelleremo. Non possono costituire una nazione entro la nazione4.

Se l'emancipazione offerta dall'Illuminismo e dalla Rivoluzione

francese tendeva a ridurre l'ebraismo ad un problema esclusivamente

religioso, per cui si poteva diventare cittadini solo al prezzo della rinuncia

alla propria identità comunitaria, con l'avvento del fascismo la fedeltà

liberale alla nazione diventa fedeltà al partito ed al dittatore. Solo la

fiducia ed il "buon comportamento" delle minoranze possono evitare la

reazione contro di esse. Quando Mussolini afferma, il 31 dicembre 1936,

sul "Popolo d'Italia" che "l'antisemitismo è inevitabile laddove il

semitismo esagera con la sua esibizione, la sua invadenza e quindi la sua

prepotenza. Il troppo ebreo fa nascere l'antiebreo", intende spiegare

l'assenza fino a quel punto di antisemitismo in Italia con la "non

esibizione" degli ebrei e con il loro buon comportamento, ma la

situazione avrebbe potuto cambiare se il peso economico, sociale, politico

e demografico degli ebrei fosse diventato rilevante all'interno della

nazione.

Un certo pregiudizio intellettuale era ancora vivo nel secondo

dopoguerra, come appare dalla polemica fra Benedetto Croce e Dante

Lattes. Nel 1947 il primo aveva scritto:

Oggi che la persecuzione è finita lo sforzo degli ebrei dovrebbe essere quello di fondersi sempre meglio con gli altri italiani procurando di cancellare quella distinzione e divisione nella quale hanno persistito per secoli, cioè la loro differenza, che, come ha dato occasione e pretesto in passato alle persecuzioni, è da temere che ne dia ancora in avvenire.

4Cit. in M. Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, cit., pag. 10.

Page 50: Tesi di laurea

50

Opportunamente il sionista e studioso di ebraismo Dante Lattes

rispondeva:

Stupisce questo consiglio dato agli ebrei di decidersi a scomparire e a mettere fine, dopo tanti secoli di resistenza e martirio, alla loro esistenza, alla loro idea, alla loro fede e alla loro storia. E' un consiglio che Benedetto Croce non darebbe a nessuna altra religione, a nessun altro gruppo etnico nazionale...Stando al suo ragionamento gli ebrei non sono i martiri, ma i colpevoli delle iniquità commesse contro di loro5.

Nello stesso anno Sartre notava:

Gli ebrei hanno un amico, il democratico, ma è un misero difensore: proclama, è vero, che tutti gli uomini sono uguali nei loro diritti, ma le sue stesse dichiarazioni palesano la debolezza delle sue posizioni. Egli non conosce l'ebreo, né l'arabo, né il borghese, né l'operaio, ma solamente l'uomo in tutti i tempi ed in tutti i luoghi uguale a se stesso, tutte le collettività le risolve in elementi individuali6.

Questo tipo di mentalità rimase tuttavia minoritario e non ebbe

grande peso nella propagabda fascista che invece sfruttò la tradizione

antisemita più consistente in Italia, quella dell'antisemitismo cristiano.Per

renderne brevemente conto, occorre accennare ad una storia di lunga

durata.

Per quanto riguarda i rapporti fra ebraismo e Chiesa Cattolica, si

possono ravvisare negli ultimi due secoli due precise linee di tendenza.

Da una parte si rifiuta il razzismo in quanto contrario ai principi stessi del

cristianesimo, ma d'altra parte si sottolinea la profonda differenza fra

cristianesimo ed ebraismo, quest'ultimo considerato un errore cui si

poteva porre rimedio solo con la conversione. Molti sono i motivi,

5Cit. in A. Rossi-Doria, L'esperienza storica dell' antisemitismo, in AA.VV., Razzisti e solidali. L' immigrazione e le radici sociali dell' intolleranza, Roma, Ediesse, 1993, pag. 112.6J. P. Sartre, L' antisemitismo, Milano, Mondadori, 1990, pag. 54.

Page 51: Tesi di laurea

51

soprattutto teologici, alla base di questa netta distinzione. L'esegesi

biblica di S. Agostino aveva paragonato il rapporto fra cristiani ed ebrei a

quello fra Caino ed Abele. Il figlio primogenito, che si è macchiato di un

delitto verso il minore, è segnato da Dio ed allontanato dalla comunità. Il

secondogenito sarà quindi il figlio amato, ed il primogenito dovrà esserne

dominato. Gli ebrei vivranno quindi fra i cristiani, costituendo però

l'esempio negativo di chi non ha riconosciuto il vero Messia. Tutta la

storia dei rapporti fra ebrei e cristiani è caratterizzata dalle accuse di

"deicidio" e di "perfidia" rivolte ai primi, con l'espressione di pregiudizi

ed accuse che vedevano gli ebrei avvelenatori di pozzi o praticanti

omicidi rituali. L'ebraismo sarebbe stato portatore di un odio

irrinunciabile verso i cristiani, quindi proteso alla loro eliminazione. Per

questo motivo gli ebrei dovevano rimanere tali, ovvero vivere separati dai

loro naturali avversari. L'"Osservatore Romano", alla fine del XIX secolo,

domandava per gli ebrei uno status particolare, a causa della "naturale

ripugnanza che ognuno sente per il popolo deicida"7.

Molte delle posizioni metafisiche riportate dalla propaganda

traggono origine da questo rapporto storico fra giudaismo e cristianesimo.

La polemica antigiudaica della Chiesa individua l'ebreo come forza

demoniaca, fonte di tutto il male del mondo. In questa ottica l'ebreo, per

odio verso i cristiani, tende al dominio del mondo attraverso una

cospirazione universale. Per raggiungere questo scopo si serve di vari

metodi: nell'età medievale avvelenava i pozzi e praticava l'omicidio

rituale, in età contemporanea ha inventato le ideologie sovvertitrici del

capitalismo e del comunismo. Secondo Anna Foa,

7Cit. in A. M. Canepa, Cattolici ed Ebrei nell' età liberale (1870-1915), in "Comunità", aprile 1978, pag. 103.

Page 52: Tesi di laurea

52

il '300 rappresenta una soglia significativa non solo per la storia della presenza ebraica, ma anche per quella della costruzione e del consolidamento del pregiudizio antisemita8.

In questo periodo si diffondono le fantasie dell'assassinio rituale,

della dissacrazione dell'ostia, dello spargimento di epidemie. Queste

accuse sono accomunate dal fatto "che l'ebreo viene definito in base non

più alla sua credenza religiosa, ma alla sua natura fisica" 9. Nel '300 gli

ebrei non sono più posti di fronte alla scelta fra morte e conversione: il

male che essi rappresentavano non poteva essere cancellato neppure dal

battesimo. La loro naturale malvagità diventava turbamento dell'ordine

naturale cristiano, per cui la "contaminazione" non era più provocata dal

loro errore, ma dalla loro natura.

Attraverso questa costruzione di uno stereotipo fisico si consolida un

senso di angoscia irrazionale che vede nel "diverso" il maligno:

Questo simbolismo, questa cornice di significanza di cui l'ebreo è stato rivestito, fu almeno fino all'età moderna...opera della religione cristiana. Così la Chiesa, che pure era stata in grado di elaborare una teoria della presenza ebraica che la garantiva e la rendeva stabile, ha anche fornito gli elementi culturali e simbolici per trasformare questa presenza in un'oscura minaccia, contro cui era necessario scendere in guerra10.

In questo modo l'antisemitismo dell'Europa moderna, pur basandosi

su una visione del mondo reazionaria e antimoderna, affonda le sue radici

nella memoria storica del cristianesimo:

Il cristianesimo delle origini, a causa della comune matrice fra le due religioni, aveva costruito la sua teologia sulla necessità di differenziarsi dall'ebraismo, di

8A. Foa, Ebrei in Europa. Dalla peste nera all'emancipazione, Roma-Bari, Laterza, 1992, pag. 16.9Ibid.10Ibid., pag. 24.

Page 53: Tesi di laurea

53

costituirne il superamento. L'identità cristiana si era definita, di fatto, in alternativa a quella ebraica e il presupposto dell'esistenza della prima si realizzava solo nella costante opposizione alla seconda11.

Nell'immaginario collettivo l'ebreo continua quindi ad essere il

colpevole di ogni male, testimone necessario della sua colpa in posizione

subalterna. La necessità di autoaffermazione e autoriproduzione della

Chiesa cattolica sopravvive oltre la secolarizzazione, anche in assenza di

ebrei, per cui le nuove istituzioni dei vari paesi si appropriano dei

pregiudizi per utilizzarli in modo funzionale ai loro bisogni:

L'antico odio, che si nutriva dell'immagine degli ebrei improduttivi e parassiti, solidali solo fra loro, con una responsabilità diretta nei disastri naturali e nelle crisi economiche, si legò nella seconda metà del secolo scorso oltre che al moralismo borghese, all'emergente nazionalismo, dando vita appunto all'antisemitismo moderno12.

Poiché è impossibile dimostrare le varie accuse, la propaganda è

stata costretta ad inventare fatti e falsificare prove. I Protocolli sono la

dimostrazione di questi espedienti: a causa della loro enorme influenza, e

nonostante la loro provata falsità, essi sono stati definiti

"un'autorizzazione al genocidio"13.

L'irrazionalità della propaganda si esprime in una visione quasi

escatologica in cui due figure si contendono il dominio del mondo:

l'ariano e il semita, il bene e il male, la creatività e la distruttività, la forza

e la debolezza.

Questi pregiudizi teologici hanno senza dubbio contribuito al

rafforzarsi di un antisemitismo di carattere laico, che non solo ne ha 11L. Picciotto Fargion, Per ignota destinazione. Gli ebrei sotto il nazismo, Milano, Mondadori, 1994, pag. 15.12Ibid., pag. 16.13Cfr. N. Cohn, op. cit.

Page 54: Tesi di laurea

54

utilizzato alcuni argomenti, ma ha potuto contare su di un'opinione

pubblica cattolica che non ha opposto resistenza. Per De Felice la cultura

e la forma mentis degli italiani sono state essenzialmente cattoliche o

laiche, orientamenti entrambi avversi al razzismo, ma allo stesso tempo

l'autore sottolinea che l'Italia conobbe un antisemitismo cattolico di

stampo teologico che, soprattutto negli ultimi anni dell'800, prese nuovo

vigore14. In prima linea si schierò "La Civiltà Cattolica", che prese

duramente posizione contro qualsiasi ipotesi di eguaglianza civile per gli

ebrei. "La Civiltà Cattolica" riassumeva la posizione della Chiesa, e fin

dal 1890, aveva promosso l'antisemitismo attraverso una serie di articoli

intitolati Della guida giudaica in Europa. L'argomento principale era

indubbiamente la degenerazione degli ebrei che, nonostante il castigo

divino, aspiravano al dominio universale. Gli ebrei, portatori di odio

verso tutti gli uomini, dovevano quindi essere separati dalla società in cui

vivevano, che essi avrebbero infettato con il loro materialismo.

Nell'articolo La morale giudaica del 1892 compare il netto rifiuto per

l'emancipazione degli ebrei, che avrebbero sfruttato la nuova condizione

di eguaglianza per divenire i padroni del mondo.

Accettare la presenza attiva degli ebrei nella società cristiana

avrebbe significato la corruzione e la secolarizzazione, con il risultato di

distruggere la cristianità. Gli ebrei, per loro scelta nemici della Chiesa,

avrebbero sfruttato le componenti internazionaliste del socialismo, della

massoneria, del liberalismo e del laicismo per sovvertire lo status quo e

raggiungere il pieno dominio del mondo. La minaccia ebraica avrebbe

toccato anche interessi economici, a causa dell'opinione per cui gli ebrei

hanno sempre formato

14Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, cit., pp. 28-31.

Page 55: Tesi di laurea

55

un corpus separato dai cristiani fra cui vivevano, e che quindi ogni aumento di ricchezza per gli ebrei rappresentava un corrispondente impoverimento per i cristiani15.

La tradizionale politica cattolica, oltre ai temi teologico-religiosi già

accennati, si arricchì quindi di nuove argomentazioni, quali la

secolarizzazione della società minacciata dagli ebrei e la crescente

influenza di questi ultimi nella vita politica e sociale.

Il periodo fascista vide il sorgere e l'affermarsi di un diffuso

consenso degli ambienti cattolici verso il regime. Questo consenso fu

particolarmente visibile durante la guerra d'Etiopia, il periodo delle

sanzioni e la "crociata" antibolscevica in Spagna. Contemporaneamente

cresceva però la diffidenza verso il regime nazista e la conseguente

impopolarità dell'alleanza con la Germania.

Nel 1937 la Chiesa Cattolica aveva preso posizione contro il

razzismo tedesco con l'enciclica Mit Brennender Sorge di Pio XI. Ma se

il nazismo in generale aveva un'immagine profondamente negativa nella

Chiesa, tuttavia l'opposizione di quest'ultima al Terzo Reich non fu mai

così insistita come quella verso l'Unione Sovietica ed il comunismo.

Ancora nell'enciclica del '37 si ribadiva la differenza fra nazismo e

fascismo, mentre il consenso nei confronti di quest'ultimo aumentava

sempre di più. Inoltre, se erano combattuti l'anticlericalismo ed il neo-

paganesimo nazista, non veniva condannato con la stessa energia

l'antisemitismo tedesco, se non per le sue espressioni "estremiste" ed

"esagerate". Nessun riferimento esplicito riguardava la discriminazione

civile e la persecuzione cui gli ebrei tedeschi erano sottoposti.

L'atteggiamento della stampa cattolica fu in genere improntato alla 15A. M. Canepa, op. cit., pag. 58.

Page 56: Tesi di laurea

56

cautela, e gli unici attacchi diretti riguardavano il razzismo biologico

come fondamento di amoralità nella vita collettiva, e la condannaverso il

razzismo non mostrava un particolare interesse per la sua specificità

antisemita. Giovanni Miccoli può al riguardo affermare:

Vi è insomma....tutta un'antica storia cristiana di polemica e persecuzione antiebraica che impedisce, sul piano operativo, una contrapposizione frontale che impone, per dir così, ammissioni, distinzioni, riconoscimenti16.

Antonio Spinosa sostiene che Pio XI "diceva solo buone parole, ma

non seppe assumere un atteggiamento deciso contro il razzismo" 17. Non vi

fu una revisione dei luoghi comuni antiebraici, anzi i pregiudizi diffusi

contribuirono a creare un clima di indifferenza, quando non di esplicito

appoggio, verso la legislazione razziale.

In generale la Chiesa Cattolica in Italia sembrava disposta ad

accettare una politica antisemita, purché non fosse fondata su presupposti

biologici, e non ledesse i diritti degli ebrei battezzati e delle famiglie

miste. Questo fu l'atteggiamento della "Civiltà Cattolica", che giustificava

l'antisemitismo perché

gli ebrei...hanno richiamato in ogni tempo, e richiamano tuttora su di sé la giusta avversione dei popoli coi loro soprusi troppo frequenti e con l'odio verso Cristo medesimo, la sua religione e la sua Chiesa18.

La stampa cattolica in generale, pur dedicando ampio spazio alle

vessazioni dei nazisti verso la stampa e le associazioni cattoliche, non

16G. Miccoli, Santa Sede e Chiesa italiana di fronte alle leggi antiebraiche, in "Studi Storici", n. 3, 1988, pag. 826.17A. Spinosa, Le persecuzioni razziali in Italia, cit., L' atteggiamento della Chiesa, (II), n. 8, 1952, pag. 1088.18Cit. in L. Preti, I miti dell' Impero e della razza nell' Italia degli anni 30, Roma, Editoriale Opere Nuove, 1965, pag. 67.

Page 57: Tesi di laurea

57

dedicò mai particolare risalto all'antisemitismo tedesco. Persino numerosi

discorsi di Pio XI, e varie prese di posizione di personalità ecclesiastiche

vennero completamente ignorati dalla stampa italiana, e persino dai

bollettini diocesani, anche se in essi era difficilmente citato il problema

ebraico. Le uniche parole esplicite di Pio XI furono quelle espresse in un

udienza privata ad alcuni pellegrini belgi : "No, non è possibile ai

cristiani partecipare all'antisemitismo...l'antisemitismo è inammissibile;

noi siamo spiritualmente dei semiti". La resistenza del Papa e di una parte

dei cattolici irritò non poco il regime fascista, che ben presto si premurò

di apparire, in materia di ebraismo, il vero interprete della dottrina

cristiana. Nella conferenza "La Chiesa e gli ebrei", dell'8 novembre 1938,

Farinacci precisava:

Cos'è avvenuto che la Chiesa ufficiale si sente oggi non più antisemita, ma filosemita?...Noi non possiamo nel giro di poche settimane rinunciare a quella coscienza antisemita che la Chiesa ci ha formato lungo millenni. Ma supereremo questa nostra tragedia, coscienti della nostra missione politica. Noi ricordiamo che lo spirito cristiano è l'energia più alta che sostiene gli uomini e i popoli europei e li conduce al combattimento per il servizio di Dio19.

Dopo questa presa di posizione le proteste cessarono quasi del tutto,

anche per evitare ritorsioni del governo contro la stampa cattolica e la

stessa autonomia dell'Azione Cattolica. La presenza degli accordi

concordatari e la volontà di non metterli in pericolo contribuirono a

limitare le resistenze in ambito cattolico. Inoltre le posizioni critiche

verso le leggi razziali non intaccavano il merito della questione, bensì

erano rivolte verso il mancato rispetto di alcune norme del Concordato,

quali quelle riguardanti i matrimoni misti e gli ebrei battezzati. Anche

queste proteste ebbero scarso peso, e la resistenza dei cattolici trovò

19Ibid., pag. 70.

Page 58: Tesi di laurea

58

espressione negli atteggiamenti dei singoli. Se non ci fu una netta risposta

dell'opinione pubblica, il silenzio delle alte gerarchie ecclesiastiche non

finì neppure di fronte alla razzia del ghetto di Roma del 16 ottobre 1943.

Dalla parte opposta aumentarono invece le prese di posizione

favorevoli alla legislazione razziale. Oltre all'esplicito antisemitismo dei

gesuiti della "Civiltà cattolica", spesso citati ed elogiati nella rivista "La

Difesa della Razza", nella battaglia antiebraica si schierò anche

l'Università Cattolica attraverso la sua rivista "Vita e Pensiero" e

soprattutto il suo Rettore. Nel 1939 infatti padre Agostino Gemelli

avrebbe affermato:

Tragica, senza dubbio, e dolorosa, la situazione di coloro che non possono far parte, e per il loro sangue, e per la loro religione, di questa magnifica Patria; tragica situazione in cui vediamo, una volta di più, come molte altre nei secoli, attuarsi quella terribile sentenza che il popolo deicida ha chiesto su di sé e per la quale va ramingo per il mondo, incapace di trovare la pace in una Patria, mentre le conseguenze dell'orribile delitto lo perseguitano ovunque e in ogni tempo20.

L'"Osservatore Romano", pur nella sua condanna del razzismo, più

volte giustificò argomenti antisemiti. Pubblicando l'omelia del vescovo di

Cremona, il 6 gennaio 1939, ribadiva il giudizio per cui è "pericolosa la

convivenza degli ebrei, finché rimangono ebrei, alla fede e alla

tranquillità dei popoli cristiani". Tradizionalmente la Chiesa si è prodigata

per "frenare e limitare l'azione e l'influenza degli ebrei in mezzo ai

cristiani...isolando gli ebrei e non permettendo ad essi l'esercizio di quegli

uffici e di quelle professioni per cui potessero dominare e influire sullo

spirito, sull'educazione e sul costume dei cristiani"21.

20Cit. in R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, cit., pag. 325.21Cit. in L. Martini, Chiesa Cattolica ed Ebrei, in "Il Ponte", cit., pp. 1461-2.

Page 59: Tesi di laurea

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Possiamo quindi affermare che in parziale reazione

all'emancipazione ebraica vi furono nel nostro paese non insignificanti

manifestazioni di antisemitismo "laico", ma soprattutto cattolico.

Se la tradizionale polemica cattolica anticipò, soprattutto alla fine

dell'800, alcuni motivi destinati ad entrare "nel bagaglio

dell'antisemitismo dei nazionalisti e dei fascisti"22, i nuovi temi antisemiti

erano strettamente legati alla crescita in Europa dell'antisemitismo

politico, economico e razziale, ed erano diretta conseguenza dell'ingresso

nella vita politica italiana dei cattolici.

In genere i contributi storiografici degli ultimi anni richiamano

soprattutto l'attenzione sulle tentazioni revisionistiche che vedono l'Italia

immune dall'antisemitismo. Nel 1946 Eucardio Momigliano affermava

che l'Italia aveva sempre ignorato l'antisemitismo23. La storia della

campagna razziale scatenata in Italia assumeva a suo parere, per questo

motivo, un carattere di tragedia grottesca per il suo carattere di servile

imitazione del modello tedesco.

Anche secondo Antonio Spinosa, autore nel 1952 del primo studio

organico sulle leggi razziali, l'antisemitismo in Italia era stato sempre

confinato in minuscoli settori, incapaci di promuoverlo ad antisemitismo

di stato24.

Sostenitore dell'assenza di antisemitismo in Italia è anche De Felice,

il quale, fin dalla prima edizione del 1961 della sua Storia degli ebrei

italiani sotto il fascismo, sostiene che la cultura e la società italiana non

22R. De Felice, Storia degli ebrei italiani,. cit., pp. 31-2.23Cfr. E. Momigliano, Storia tragica e grottesca del razzismo fascista, Milano, 1946, pag. 29.24A. Spinosa, Le persecuzioni razziali in Italia. Introduzione in "Il Ponte", 1952, anno VIII, n. 7.

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solo non hanno conosciuto il razzismo, ma "non ne hanno portato in sé

neppure i germi"25.

L'antisemitismo classico, dovuto a motivi religiosi ed economici,

secondo De Felice è stato sempre assente in Italia, sia per il numero

limitato di ebrei sul territorio, sia per la debolezza della loro presenza sul

piano economico. Inoltre il razzismo come fatto culturale è una

conseguenza del nazionalismo, e quindi compare soprattutto nelle zone di

frontiera o dove sono presenti forti minoranze. Per De Felice sia la

tradizione laica che quella cattolica, egemoni in Italia, sono state contrarie

al razzismo26. Le stesse correnti nazionaliste e futuriste, che

rappresentarono l'unica eccezione, non accolsero il razzismo

"biologistico", ma piuttosto una nozione di razza identificabile con la

"nazione", quindi con un valore morale e di tradizione. Tuttavia anche De

Felice deve ammettere che un certo veleno antisemita cominciava a

spargersi in Italia, risultato di "qualcosa...seppure debole (che) già

esisteva in qualche piega della mente"27. Lo stesso De Felice afferma che

"alcune gocce...(di) veleno antisemita non mancarono di spargersi qua e

là"28, e che gli italiani in un certo senso si abituarono inconsciamente alle

argomentazioni antisemite.

D'altronde anche Cantimori affermava l'insostenibilità della tesi per

la quale l'Italia non avrebbe conosciuto l'antisemitismo dall'Unità in poi 29,

pur concordando con l'affermazione di De Felice, per il quale

l'antisemitismo in Italia non diventò mai fenomeno di massa. Cantimori

25R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, cit., pag. 27.26Cfr. ibid., pag. 28.27Ibid., pag. 48.28Ibid., pag. 53.29Cfr. D. Cantimori, Prefazione in R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, cit., 1a ed., pag. XI.

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cita a questo proposito l'esempio del deputato liberale Pasqualigo che nel

1873 si oppose alla nomina di un ministro ebreo alle finanze con la

giustificazione che "gli ebrei servono due patrie".

Anche Vivanti sottolinea le manifestazioni di antisemitismo liberale

e radicale, le cui tradizioni invocano religioni non confessionali ma

nazionali30 e, come Cantimori, evoca le affinità fra le manifestazioni di

razzismo e le dottrine vitalistiche ed irrazionalistiche collegate al

nazionalismo e quindi al fascismo. Il movimento nazionalista confluì a

vario titolo nel fascismo, nonostante De Felice abbia sostenuto la

sostanziale unicità del fascismo italiano, sempre al riparo da connessioni

o analogie con gli altri movimenti di estrema destra europei. Questa

interpretazione riduttiva del fascismo è criticata da Cantimori che

sottolinea le venature irrazionaliste del fascismo delle origini ed il

contributo ad esso dato dal nazionalismo, dal futurismo, dal

dannunzianesimo ed anche da un certo razzismo europeo.

Nonostante tali premesse, anche Michaelis parla di una sostanziale

inesistenza di un problema ebraico in Italia. La spinta all'assimilazione

sembra essere la caratteristica principale della storia dell'ebraismo italiano

nei primi decenni del secolo, ma, come abbiamo accennato,

manifestazioni di intolleranza erano presenti e provenivano sia da parte

liberale che da parte cattolica e nazionalista. In questo senso la

legislazione razziale non si può considerare un "accidente" della storia o

un evento eccezionale, ma il frutto di uno sviluppo storico dello stato

liberale e soprattutto del fascismo, in cui certe venature razziste erano

organiche fin dalle origini.

30Cfr. C. Vivanti, op. cit., pag. 807.

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Gian Paolo Romagnani sostiene che spunti antisemiti erano presenti

nella cultura italiana, e proprio su questi elementi, in parte inconsci, puntò

la campagna propagandistica che precedette l'emanazione delle leggi.

Come abbiamo visto la prima e più importante matrice antiebraica,

si ritrova nella tradizione cattolica. I pregiudizi cattolici sono sfruttati dal

fascismo sin dall'inizio della campagna antisemita. Soprattutto Farinacci

richiamò più volte la Chiesa alle sue responsabilità in materia, ricordando

i trascorsi dei Padri della Chiesa, di numerosi papi, dei gesuiti. La

seconda fonte dell'antisemitismo italiano è nella tradizione nazionalista:

gli ebrei ed i loro principi internazionalisti sono accusati di complotto,

insieme alle principali correnti transnazionali, quali il socialismo e la

massoneria. La propaganda contro i complotti "giudaico-comunista",

"giudaico-massonico" o "giudo-plucratico" appare quindi la cartina di

tornasole di un diffuso antisemitismo. La terza radice dell'antisemitismo

italiano trae origine dal contrasto fra il fascismo e le dottrine liberal-

democratiche, che avevano sostenuto, pur con i limiti che abbiamo visto,

l'emancipazione degli ebrei31. Negli anni successivi alle leggi razziali il

regime si premurò di sottolineare la "storicità" dell'antisemitismo in Italia

attraverso numerose pubblicazioni, fra cui i libri di Orano (Gli Ebrei in

Italia ed Inchiesta sulla razza), ma anche quelli di Giuseppe Maggiore

(Razza e Fascismo), di Telesio Interlandi (Contra Judaeos), di Nicola

Donadio (La Difesa della Razza) e numerosi altri.

I rapporti fra italiani ed ebrei non erano in conclusione così idilliaci

prima del 1938 come certa storiografia ha suggerito, né le leggi razziali

furono "un fulmine a ciel sereno". Se l'antisemitismo in Italia non era

un'ideologia diffusa, non si può sottovalutare l'influenza dell'antiebraismo

31Cfr. G. P. Romagnani, "Il veleno di una fede feroce". L' Italia di fronte alle leggi razziali del 1938 in Dalle leggi razziali alla deportazione, cit., pag. 27.

Page 63: Tesi di laurea

63

cattolico e della polemica "antisionista" dei nazionalisti e dei fascisti, così

come non si possono neppure sottovalutare i limiti della concezione laico-

liberale.

Page 64: Tesi di laurea

64

CAPITOLO  

LA PROPAGANDA ANTIEBRAICA NELLA STAMPA NAZIONALE DAL 1933 AL 1938

Il regime fascista sin dalle origini attribuì grande importanza al ruolo

della propaganda come mezzo per convincere ed indirizzare l'opinione

pubblica.

L'ideologia fascista era comunicata e diffusa dai mass-media

attraverso "slogans" e parole d'ordine semplici e dirette. La

comunicazione del fascismo apparve fin dall'inizio vera e propria

"comunicazione di massa", in quanto si rivolse a tutta la popolazione, non

a determinati settori.

Per le sue campagne propagandistiche il fascismo si servì della

radio, (l'E.I.A.R., l'Ente Italiano Audizioni Radiofoniche, fondato nel

1928 e su cui vigeva uno strettissimo controllo); dell'Istituto Luce, in

ambito cinematografico e dell'Agenzia Stefani, che controllava l'editoria

in generale.

Il ruolo della propaganda nel riprodurre e diffondere il pregiudizio

antisemita fu naturalmente fondamentale. Su essa l'ebreo diventa il

prototipo di ogni aberrazione, anticonformismo, diversità, un'entità

spersonalizzata ed astratta:

Page 65: Tesi di laurea

65

Io non ricordo esattamente quali potessero essere i termini di lettura della propaganda fascista...però ricordo esattamente le illustrazioni di certi giornali. Ecco che avevamo il classico ebreo obeso, rapace, col naso adunco, col piede di pollo, che poi corrisponderebbe ad una natura diabolica, demoniaca. All'ebrea piuttosto puttana, con la quale il rapporto umiliava il maschio1.

L'indottrinamento ideologico, anche attraverso la propaganda, era indispensabile: solo così si poteva procedere alla "disumanizzazione", che è l'autorizzazione alla violenza; le azioni violente diventano routine2.

De Felice individua tre tipologie di azione propagandistica

antisemita sulla stampa: una prima fase che tende ad annunciare

l'imminente svolta legislativa, una seconda che mira ad indirizzare ed

accrescere il pregiudizio razziale, un'ultima fase che si propone di

giustificare l'azione del regime3.

Questa ideologia, tanto capillarmente diffusa attraverso la stampa e

la radio, diede indubbiamente i suoi frutti, soprattutto fra i giovani. Le

raffinate tecniche propagandistiche utilizzate riuscirono ad imporre agli

italiani la "questione ebraica", risvegliando ed ampliando pregiudizi

latenti e creandone di nuovi.

Gordon Allport distingue diversi livelli di pregiudizio secondo la

loro intensità:

· Rifiuto verbale o denigrazione

· Discriminazione e segregazione al fine di evitare il contatto

· Violenza fisica, che può assumere la forma estrema dello

sterminio4.

L'azione del regime sembra aver seguito fedelmente questo schema.

La propaganda utilizzò tecniche persuasorie che miravano all'inconscio

1Intervista alla signora Giacoma Limentani.2Intervista alla signora Pupa Garriba.3Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, cit., pag. 204.4Cfr. G. Allport, La natura del pregiudizio, Firenze, La Nuova Italia, 1974.

Page 66: Tesi di laurea

66

ed all'irrazionale, per la necessità di dover suscitare un sentimento

antisemita diffuso in pochi mesi. Non vennero utilizzati espedienti

provocatori o violenti. L'accusa agli ebrei di pericolosità sociale non

avrebbe potuto funzionare per la loro limitata presenza sul territorio.

L'ebreo doveva essere "psicologicamente" sentito come avversario, ed

assumere il ruolo di "capro espiatorio"5. Anche le pretese "scientifiche"

del Manifesto degli scienziati razzisti non avrebbero potuto essere

accettate senza una preparazione a livello "irrazionale" dell'opinione

pubblica. Lo scopo della propaganda fu quindi quello di creare quei

meccanismi inconsci che garantissero non solo l'accettazione della

legislazione, ma la convinzione della sua assoluta necessità.

Questo doppio obiettivo fu perseguito dalla parallela campagna di

stampa condotta da diversi organi d'informazione. Mussolini decise di

assumere un atteggiamento volutamente opportunistico, affidandosi al suo

organo personale, "Il Popolo d'Italia", per ribadire la sua posizione

ufficiale di sostanziale attesa, e nello stesso tempo caldeggiando gli

attacchi ferocemente antisemiti di organi quali "Il Tevere" di Interlandi.

In questo modo la diffusione di attacchi contro gli ebrei non intaccava

direttamente la sua persona, lasciandolo libero di prendere indirizzi

diversi secondo le diverse opportunità politiche.

Tutti gli organi di stampa parteciparono alla campagna razzista,

inclusi i quotidiani locali e la stampa cattolica. Ben tre riviste vennero

dedicate esclusivamente all'antisemitismo: "La Difesa della Razza", che

nei mesi di agosto e settembre ebbe una tiratura superiore alle centomila

copie; "Il Diritto Razzista" di Stefano M. Cutelli e "Razza e Civiltà", la

5Cfr. Y. Chevalier, L' antisemitismo. L' ebreo come capro espiatorio, Milano, IPL, 1991.

Page 67: Tesi di laurea

67

rivista della Demorazza diretta da Antonio Le Pera, che ospitarono

discussioni più propriamente giuridiche.

Gli argomenti preferiti dalla propaganda possono essere riassunti

come segue:

· la ripresa di motivi dell'antisemitismo cattolico, per evitare

qualsiasi presa di posizione da parte della Chiesa

· l'accusa nei confronti dei "pietisti", e di chi in generale si mostrava

benevolo verso gli ebrei;

· il continuo riferimento alle legislazioni antiebraiche adottate negli

altri paesi;

· i pregiudizi antiebraici tradizionali, quali l'esercizio del prestito ad

usura, il contrabbando, la frode;

· lo sfruttamento di pubblicazioni antisemite estere ed italiane;

· con l'avvento della guerra, le accuse agli ebrei di averla provocata

e comunque di non parteciparvi (le leggi razziali avevano impedito loro

l'accesso all'esercito).

L'antisemitismo fu utilizzato dal fascismo non come fine a se stesso,

ma come copertura ideologica di motivazioni differenti6. La creazione di

una figura da denigrare e da utilizzare come capro espiatorio diventava

fondamentale come proiezione non solo della crisi economica italiana, ma

anche delle difficoltà sociali e soggettive degli italiani. L'antisemitismo

poteva fungere da catalizzatore per la creazione del nuovo uomo fascista

cui ambiva Mussolini, forte, orgoglioso e consapevole di sé.

I temi preferiti della campagna antisemita sfruttarono contenuti di

derivazione sia cattolica che laica.

6Cfr. E. Collotti, Introduzione a S. Bon Gherardi, op. cit., pag. 12.

Page 68: Tesi di laurea

68

L'utilizzo delle categorie dell'antisemitismo cattolico risultava

indispensabile sia per ricordare agli eventuali avversari nella Chiesa la

loro responsabilità, sia perché la tradizione cattolica, come abbiamo visto,

era in Italia l'unica fonte consistente di pubblicistica antisemita. L'ebreo

era il nemico della Chiesa per eccellenza, con la sua negazione del Cristo

ed il suo materialismo. L'antitesi tra mondo ebraico e mondo cattolico

poteva fornire quindi una base di consenso popolare essenziale.

Ma allo stesso tempo il fascismo aveva bisogno di un'autonomia

ideologica, che si esplicò in accuse generiche contro l'ebraismo in

generale ed in accuse più propriamente politiche di "infedeltà" verso il

regime.

Le accuse generiche furono, a più riprese, violentissime: esse

dovevano far apparire l'ebreo il più spregevole possibile, utilizzando le

notizie sempre più frequenti della cronaca nera. Questi attacchi indiretti

venivano poi affiancati, apparentemente senza soluzione di continuità, da

riferimenti polemici che avevano il compito di evidenziare la pericolosità

degli ebrei per tutte le classi sociali.

Ricorda Ugo Caffaz:

Il clima di incertezza e di miseria imperante sotto il regime fascista rischiava di essere uno dei nemici peggiori del regime stesso, nella misura in cui la disperazione popolare poteva (come in parte fu) trasformarsi in protesta di massa e in resistenza organizzata. Ecco che il capro espiatorio doveva, per essere efficace e consistente, avere caratteristiche ben precise, doveva cioè suscitare invidia e timore per la sua innata arte di arrangiarsi..., timore in quanto, dato che non va mai a fondo, ha sempre da guadagnare da qualunque situazione, anche, e soprattutto, da quelle disastrose come la guerra, la carestia, le pestilenze che, in fondo, è sempre lui a provocare. In queste situazioni l'ebreo si salva sempre, lui da solo, quindi è l'unico a trarne vantaggio. E chi altri, se no?7

7U. Caffaz, L' antisemitismo italiano sotto il fascismo, Firenze, La Nuova Italia, 1974, pag. 23.

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69

Ma l'obiettivo principale della propaganda era il complotto

internazionale che vedeva protagonisti, oltre agli ebrei, la massoneria, il

bolscevismo e l'alta finanza. Questo complotto mirava alla distruzione del

regime attraverso le varie concentrazioni antifasciste, cui facevano

riferimento, secondo la propaganda, numerosi ebrei. Il motivo del

complotto trovava le sue ragioni nel tentativo di giustificare la crisi

economica con l'attribuzione di responsabilità ad un'entità potente ed

incontrollabile che agiva nell'ombra. Il malcontento poteva essere quindi

rivolto verso un soggetto diverso dal fascismo, che non era quindi

responsabile del disagio e della crisi.

Il meccanismo psicologico fondamentale che la propaganda si

propose di utilizzare fu quindi quello di stimolare il conflitto e

l'aggressione verso un gruppo ritenuto privilegiato, da parte di chi si

riteneva più svantaggiato e colpito da fenomeni di "proletarizzazione"8.

I primi passi della campagna propagandistica risalgono al 1933,

anno dell'avvento di Hitler al potere. Se Mussolini accoglie con favore la

conquista nazista dello Stato, l'entusiasmo della stampa fascista non si

estende agli aspetti antisemiti del nuovo regime. Le differenze fra

fascismo e nazismo in relazione al problema razziale sono ampiamente

sottolineate, facendo già riferimento al carattere materialista del razzismo

tedesco, inconciliabile con le tradizioni italiane. Il 22 agosto "Il Popolo

d'Italia" dibatteva la questione nell'articolo Fra due civiltà : "Ecco un

altro grande paese che crea lo Stato unitario, autoritario, totalitario, cioè

fascista con talune accentuazioni che il fascismo si è risparmiato,

dovendo agire in un contesto storico diverso".

8 Cfr. T. W. Adorno, M. Horkheimer ed altri, La personalità autoritaria, Milano, Edizioni di Comunità, 1973, I vol., pag. 215, II vol., pag. 678.

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70

Indubbiamente Mussolini si risentì del comportamento degli ebrei

nei confronti della Germania: mentre il fascismo si avvicinava al suo

movimento gemello, gli ebrei italiani ne denunciavano l'atteggiamento

contro i loro correligionari al pari della propaganda antifascista

fuoriuscita. Per Mussolini questa era una prova di "internazionalismo

ebraico" che non poteva essere sopportata. In un primo momento, per

mantenere buoni rapporti con entrambe le parti, il duce si propose come

mediatore. La politica di compromesso si rivelò da una parte nella

pubblica condanna della politica razziale tedesca, dall'altra parte

nell'inizio della prima campagna antisemita su una parte della stampa

fascista. Per De Felice la campagna "prese le mosse...fuori dall'entourage

di Mussolini", fra i fascisti che non approvavano la politica filosemita del

Capo del Governo, mentre Michaelis sostiene che la campagna venne

ispirata dal duce stesso9.

Il portavoce ufficiale della campagna fu Telesio Interlandi, che è

stato erroneamente ritenuto finanziato dai tedeschi. In realtà il suo

giornale, "Il Tevere", era finanziato e sostenuto dallo stesso Mussolini.

Secondo Lyttelton, questo giornale aveva un ruolo essenziale nel sistema

fascista, proponendo quegli argomenti sui quali Mussolini non voleva

compromettersi personalmente10. Sul "Tevere" Mussolini fece accusare gli

ebrei di aver diffuso pretestuosamente storie di atrocità compiute nel

Terzo Reich, mentre Farinacci su "Il Regime Fascista", accusava gli ebrei

di doppia lealtà, chiedendo provvedimenti che riducessero la loro

presenza nella vita italiana. "Il Popolo d'Italia" prese posizione attraverso

uno degli uomini di fiducia di Mussolini, Ottavio Dinale (Farinata), che in 9Cfr. R. De Felice, Storia degli ebrei italiani, 3a ed., cit., pag. 122; M. Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, cit., pag. 467.10Cfr. A. Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Bari, Laterza, 1974, pag. 642.

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71

realtà riassunse la posizione del duce. Nella seconda metà del 1933 una

serie di articoli comparsi su questo giornale deplorava da una parte gli

eccessi antisemiti di Hitler, ma nello stesso tempo sottolineava la

necessità di controllare gli ebrei, anche suggerendo il numero chiuso.

Queste prime prese di posizione non preoccuparono la comunità

ebraica italiana. L'inizio degli anni '30 sembrava infatti rappresentare il

momento di massima vicinanza tra il fascismo e l'ebraismo, né la

propaganda aveva assunto un carattere marcatamente razzista. Alcuni

articoli attribuibili a Mussolini apparsi nel 1932 sul "Popolo d'Italia"

affrontano la questione dell'"alta banca" ebraica, ma sono il frutto di

luoghi comuni piuttosto frequenti in quel periodo a livello internazionale,

e non il sintomo di un antisemitismo già maturo. Anche nel 1934, quando

più dura fu la polemica antisionista, preoccupazione di Mussolini, che

pure era avverso all'internazionalismo ebraico, fu quella di stabilire buone

relazioni con il movimento sionista, soprattutto in funzione antinglese.

Mentre "Il Tevere" attaccava il sionismo, sul "Popolo d'Italia" appariva

un commento positivo sul congresso sionista di Praga, nel corsivo

Saggezza dell'8 settembre: "Il problema degli ebrei non può avere che una

soluzione: lo Stato ebraico in Palestina. Le affermazioni di Praga, nelle

quali si è condannata ogni assimilazione e si è proclamato nettamente che

l'ebraismo non è una religione ma un popolo, spingono sempre più verso

questa soluzione". Già il 17 febbraio sullo stesso giornale era apparso un

articolo, Una soluzione, che caldeggiava la creazione in Palestina di uno

Stato vero e proprio, e non solo di un "focolare", secondo l'espressione

della Dichiarazione di Balfour del 1917.

In definitiva le uniche prese di posizione chiaramente antisemite

provenivano da Preziosi, mentre "Il Tevere" si mostrava sempre più

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72

vicino alla posizioni razziste tedesche. Gli altri organi di stampa si

dibattono fra incertezze e contraddizioni, diretto risultato dell'incerta

situazione politica. Nel fascismo la corrente antisemita prendeva nuovo

vigore grazie al progressivo affermarsi in Europa di motivi antiebraici che

caratterizzavano i fascismi emergenti. Inoltre da più parti si spingeva per

una più stretta alleanza con il regime nazista, che avrebbe potuto essere

pregiudicata da una differenza troppo netta sulla questione ebraica.

Mussolini, come si è detto, cercò di assumere il ruolo di mediatore

imparziale nella controversia tra Hitler e gli ebrei, con l'illusione di poter

assumere un ruolo guida verso il suo antico allievo. Gli articoli del

"Popolo d'Italia" dell'estate 1933 oscillano fra il tentativo di giustificare le

posizioni tedesche, motivandole con la particolare situazione storico-

culturale, e gli attacchi nei confronti degli ebrei tedeschi, accusati di

vittimismo e di colpe innegabili. Sul "Giornale d'Italia" il 7 maggio 1933

appare l'articolo La verità sulla lotta contro gli ebrei, che recensisce la

pubblicazione su "Gerarchia" di notizie di "pretese" atrocità che

sarebbero state commesse contro gli ebrei. Le violenze sarebbero state in

realtà inventate dalle socialdemocrazie europee per poter mettere in

cattiva luce il nuovo corso tedesco. Nei recenti avvenimenti si doveva

vedere non un tentativo di "pogrom", ma una legittima difesa da parte

della Germania.

Il giovane nazismo ed i suoi eccessi avrebbero tuttavia trovato la

giusta misura sotto la guida del maturo fascismo.

I giornali non ufficialmente di partito tennero in generale un

atteggiamento apertamente contrario al razzismo nazista, mentre la

stampa cattolica assunse una vasta gamma di posizioni. Se la condanna

nei confronti del razzismo nazista, dai presupposti anticristiani e pagani,

Page 73: Tesi di laurea

73

fu netta, non altrettanto chiara fu la presa di posizione contro

l'antisemitismo. Soprattutto l'organo dei gesuiti, "La Civiltà Cattolica", si

fece portavoce, come già era accaduto alla fine dell'800, di temi di

propaganda antisemita, che riproponevano le antiche accuse di deicidio,

di omicidio rituale e di immoralità.

Un particolare ruolo assunse ben presto il quotidiano più diffuso in

Italia, "Il Corriere della Sera", che fin dal 1933 si avvalse della

collaborazione di Lidio Cipriani, razzista convinto, che sarà uno dei

firmatari del Manifesto nel 1938. In numerosi articoli Cipriani sostenne

prima l'inferiorità delle popolazioni di colore ed in seguito quella degli

ebrei. Secondo alcuni autori nella campagna antisemita del quotidiano

milanese si distinse soprattutto la pagina di cronaca, controllata dalla

federazione cittadina, mentre le altre pagine del giornale, esclusi gli

articoli di Cipriani, sembrano mantenere un tono prudentemente cauto: la

redazione del "Corriere" avvertì l'impopolarità dei provvedimenti, e riuscì

a non confondersi con i sostenitori più fanatici del razzismo 11. In realtà è

difficile considerare gli articoli di Cipriani un'"eccezione" della linea più

morbida del giornale, sia per il loro numero, sia per il risalto loro

assegnato. La collaborazione di Cipriani favorì al contrario

un'impostazione "biologica" del problema ebraico, mentre sugli altri

giornali questa posizione veniva via via sfumata, contraddetta e

riaffermata.

Nella seconda metà del 1933 i rapporti con la Germania sembrarono

raffreddarsi, in quanto Hitler si era dimostrato meno malleabile del

previsto. Ancora nel novembre il fascismo si illudeva di poter guidare il

suo movimento gemello, come rivela l'articolo Fascismo e fascismi di

11Cfr. Corriere della Sera. (1919-1942), (a cura di P. Melograni), Bologna, Cappelli, 1965, pag. 550.

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74

Nicolò Castellino, apparso sul "Giornale d'Italia" il 2 di quello stesso

mese: "Il sole di Roma è tanto luminoso che può oggi, come sempre,

illuminare senza ombre il cammino di tutti i popoli della terra". L'articolo

oscilla ancora fra la giustificazione verso l'atteggiamento razzista tedesco

e l'affermazione della differenza sostanziale fra i due movimenti sulla

questione razziale:

Hitler ha saputo ridare al popolo la coscienza e la coesione. Per ricostruire la nazione tedesca egli ha cominciato a ricostruire la famiglia tedesca, facendo leva sulle tendenze peculiari della stirpe...La sua appassionata lotta per la "Razza" va interpretata come una lotta per la "grande famiglia" della nazione. Le esagerazioni, gli stridori, i contrasti che le nostre equilibrate menti romane riconoscono in alcune realizzazioni hitleriane non sono che accentuazioni delle caratteristiche fondamentali di quel popolo.

Tuttavia, per il fascismo, il concetto di Stato non è legato al concetto

di razza biologica, essendo compito dello Stato fondere i ceppi diversi.

Compare qui il primo riferimento a quel "razzismo dello spirito" che

Mussolini avrà ben presente al momento di differenziare le sue posizioni

da quelle tedesche:

La razza dello spirito: la STIRPE nel senso più elevato e sicuro della parola, è un termine ben più aderente al concetto di Nazione che non la razza del sangue...Tanto più che le razze pure nella filogenesi non esistono: come la razza latina è sorta dalla fusione di elementi aborigeni con gli etruschi, i sanniti, i romani, così la razza tedesca è un crogiuolo di ceppi vandali, goti e slavi12.

Questo concetto era ribadito dallo stesso Mussolini nel suo discorso

alle Camicie Nere fiorentine del 24 ottobre, ripreso dal "Corriere della

Sera". Oltre alla priorità ed inconfondibilità della dottrina fascista, il duce

ribadisce che la questione della razza deve essere affrontata

12N. Castellino, Fascismo e fascismi, "Giornale d'Italia", 2 novembre 1933.

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assumendo...questa parola non già nel senso strettamente etnico, come si fa in certi Paesi, ma piuttosto in senso storico, come è giusto e scientifico fare. Nessuna razza è più composita dell'italiana per mescolanza di sangue, ma nessuna più omogenea per il complesso di vicende storiche.

Il "Popolo d'Italia", il 3 novembre 1933, muoveva un duro atto

d'accusa al razzismo tedesco, denunciato come scientificamente

insostenibile e politicamente disastroso. Nell'articolo Non una, ma cinque

di Ruggero Zangrandi il principale bersaglio diventa la teoria della

superiorità nordica: se questa teoria fosse corretta, i lapponi, che sono la

razza più settentrionale, dovrebbero anche essere la razza più elevata.

La polemica antiebraica raggiunge il culmine nel marzo 1934,

quando 16 antifascisti, tra i quali 14 ebrei, vengono arrestati a Torino. Il

"Giornale d'Italia" titola in prima pagina 20 propagandisti antifascisti dei

quali diciotto israeliti arrestati a Torino dall'O.V.R.A dopo il sequestro di

un abbondante materiale di propaganda presso il confine con la Svizzera.

I primi fermi risalgono al giorno 11, quando Sion Segre e Mario Levi

vengono trovati in possesso di stampati e libelli antifascisti. Nell'articolo

si pone in particolare risalto la frase che Mario Levi avrebbe pronunciato

fuggendo in territorio svizzero: "cani di italiani vigliacchi". I successivi

arresti sarebbero avvenuti grazie a documenti ed appunti ritrovati in

possesso del Segre. L'occasione venne subito sfruttata per attaccare il

sionismo antitaliano e l'antifascismo degli ebrei, proprio attraverso la

sottolineatura dell'origine ebraica della quasi totalità dei sovversivi. La

polemica sulla stampa, soprattutto sul "Tevere", fu durissima. Soprattutto

il giornale personale di Mussolini riprese un articolo apparso il 31 marzo

sul giornale di Interlandi, L'anno prossimo a Gerusalemme. Quest'anno al

Tribunale Speciale:

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L'ebreo non si assimila, perché nell'assimilazione vede una diminuzione della sua personalità e un tradimento della sua razza;...l'ebreo esige una doppia nazionalità - diciamo pure una doppia patria - per rimanere "elemento produttivo", cioè per fare i suoi affari e avere oltre i confini un centro d'attrazione e di propulsione supernazionale.

Nello stesso tempo, tuttavia, la crisi dell'amicizia italo-tedesca

stimolava la reazione della stampa contro le posizioni razziste tedesche.

L'articolo Germania 1934 apparso sul "Corriere della Sera" del 25

gennaio 1934, con la firma di Cristiano Ridomi, sottolineava la

confusione del nuovo governo tedesco, e la sua arroganza nella questione

razziale. I provvedimenti antisemiti vengono definiti intempestivi ed

eccessivi, una manifestazione di paganesimo nazista inaccettabile.

Il 19 maggio, nell'articolo Il movimento antisemita in Germania e le

sue nuove manifestazioni, apparso sul "Giornale d'Italia", si analizza

l'attività dello "Sturmer" di Streicher, che aveva assunto un ruolo

fondamentale all'interno del movimento antisemita, le cui manifestazioni

prendevano forme sempre più violente.

Mentre la polemica fra Italia e Germania sull'Austria diventava più

aspra, il 26 maggio 1934 sul "Popolo d'Italia" si sottolineava la profonda

differenza tra le due ideologie in materia di razzismo nell'articolo

Teutonica, il cui obiettivo polemico era il pangermanesimo in quanto

razzismo al cento per cento. Contro tutto e contro tutti: ieri contro la civiltà cristiana; oggi contro la civiltà latina; domani, chissà, contro la civiltà di tutto il mondo! Ma una politica di questo genere, una politica che non può essere oscurantista, così come già è esclusivista, sciovinista e imperialista, non può essere politica da ventesimo secolo...questo razzismo nazionalsocialista, così carico di bellicosità appiccicaticce.

Sempre sul "Popolo d'Italia", il 14 luglio veniva sottolineata la

differenza tra cultura e kultur in ambito razziale.

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Sullo stesso giornale, il 14 agosto, l'articolo Fallacia ariana,

anonimo, ma attribuibile a Mussolini, riprendeva la confutazione

scientifica del razzismo tedesco prodotta dall'antropologo inglese Grafton

Elliot Smith, secondo il quale le dottrine naziste sulla "razza pura" erano

in contrasto con gli insegnamenti della scienza antropologica. Un altro

articolo anonimo, Alla fonte, il 29 agosto, ricordava che secondo lo stesso

Hitler la razza non esisteva, non potendo crearsi "un armento di sangue

puro" neppure dopo sei secoli di matrimoni "razzialmente puri". L'8

settembre Mussolini riprendeva la polemica con l'articolo Razza e

razzismo, in cui si attribuiva alla degenerazione razziale in atto in

Germania l'ossessione razzista di Hitler. Traspare, da parte di Mussolini,

il compiacimento per il fatto che le leggi razziali , per ciò che si riferiva

alle sterilizzazioni, erano state accolte con ostilità dal popolo tedesco. Il

duce, in polemica con chi in Italia avrebbe potuto ammirare la

legislazione tedesca, conclude: "E' bene che tutto quanto precede sia

conosciuto in Italia". Il 2 dicembre Mussolini decide di firmare il suo

articolo Stato e Chiesa, in cui denuncia apertamente l'anticristianesimo

della nuova religione tedesca del sangue:

Nel concetto fascista di Stato totalitario, la religione è assolutamente libera e, nel suo ambito, indipendente...Uno Stato che non voglia seminare il turbamento spirituale e creare la divisione fra i suoi cittadini, deve guardarsi da ogni intervento in materia strettamente religiosa.

Gli attacchi antisemiti si ridussero progressivamente nella seconda

metà del 1934, limitandosi a sporadici commenti sull'alta finanza ebraica

e sull'internazionalismo sionista. Tuttavia già in questa prima fase

propagandistica è possibile individuare alcuni temi che saranno ripresi,

con differente intensità, negli anni successivi.

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Le accuse rivolte agli ebrei, per essere il più possibile diffuse,

dovevano essere allo stesso tempo specifiche e generalizzabili, in grado

di accontentare tutti. In questo modo le accuse di avarizia, di prestito ad

usura e di concorrenza sleale potevano interessare il commerciante e

"colpire" la media borghesia, la vigliaccheria e l'internazionalismo i

militari, l'antifascismo i quadri del partito, e così via. E' da notare

comunque che l'Enciclopedia Treccani, diretta interprete delle direttive

del regime, nel 1935 alla parola Razza faceva seguire la spiegazione

Non esiste una razza, ma solo un popolo ed una nazione italiane; non esiste una razza, né una nazione ebrea, ma un popolo ebreo; non esiste - errore più grave di tutti - una razza ariana (o meglio aria), ma esistono solo una civiltà ed una lingua ariane.

Una nuova fase nei rapporti fra ebraismo e fascismo, e quindi una

nuova campagna antiebraica sulla stampa, si aprì nel 1936, in occasione

della guerra d'Etiopia. Le sanzioni imposte dalla comunità internazionale

vennero accolte come una sfida dell'"ebraismo internazionale" da parte di

Preziosi ed altri corifei dell'antisemitismo italiano. La polemica sulle

sanzioni, che, oltre a non essere efficaci, aumentarono la popolarità di

Mussolini in Italia13, assunse subito connotazioni antiebraiche. Durante la

guerra etiopica ed in seguito quella spagnola, l'argomento preferito della

propaganda fu l'equazione bolscevismo-ebraismo. Anche sulla stampa

cattolica si dipinse il giudaismo come sinonimo di comunismo e

socialismo. Gli ebrei avrebbero mirato al dominio del mondo dopo essersi

assicurati l'assoluto dominio economico. Sul "Giornale d'Italia", l'8

gennaio 1936, apparve l'articolo Massoni e comunisti dirigono i fili di

13Cfr. L. Salvatorelli e G. Mira, Storia d' Italia nel periodo fascista, Torino, Einaudi, 1964, pp. 863-8.

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Ginevra, realizzato grazie alle "importanti rivelazioni di un giornalista

tedesco". Nell'articolo si affermava l'identità fra le mire della massoneria

e quelle della politica sanzionistica di Ginevra, sottolineando

l'appartenenza alla "razza ebrea" di Nathan, Gran Maestro della

Massoneria, e di Livtinov, dirigente sovietico.

Nei mesi successivi la stampa ospitò ampi e dettagliati resoconti

della situazione in Palestina, che vedeva la rivolta araba contro il

protettorato inglese e l'immigrazione ebraica. Il 29 maggio il "Giornale

d'Italia" pubblicava un editoriale del direttore Virginio Gayda, in cui si

rifiutava l'affermazione inglese per cui l'Italia avrebbe fomentato i

disordini in Palestina. La causa dei disordini era individuata da Gayda

nella doppiezza inglese, che avrebbe promesso la Palestina agli arabi ed

agli ebrei, rendendosi colpevole di un

progressivo accaparramento terriero...nelle mani ebraiche, di una crescente concorrenza ineguale economica e culturale fra le due razze e di una compressione dei tradizionali diritti arabi...Ma non è soltanto l'entità numerica degli ebrei che pesa sugli arabi. Sono anche le loro risorse economiche e le loro capacità commerciali che creano la concorrenza ineguale e l'urto fatale degli interessi fra le due razze.

I tradizionali luoghi comuni antiebraici vengono qui accompagnati

da una forte polemica antinglese, segnando la scelta di Mussolini per il

mondo arabo, non avendo la carta sionista portato i benefici sperati.

Inoltre il riavvicinamento con la Germania, soprattutto durante la guerra

d'Etiopia, preannunziava una svolta nella politica italiana. Legati alla

guerra d'Etiopia sono i primi accenni razzisti sulla stampa italiana.

Capofila di questo movimento è Lidio Cipriani, che dalle pagine del

"Corriere della Sera" invita ripetutamente alla regolazione dei rapporti fra

italiani ed africani. Nell'articolo L'antropologia in difesa dell'Impero del

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18 giugno Cipriani auspica la salvaguardia delle doti razziali degli

italiani, "ragione prima...del nostro dominio del mondo". Il pericolo degli

incroci deve essere assolutamente evitato dalle razze superiori, pena

l'alterazione irreversibile delle caratteristiche fisiologiche e psichiche

delle razze dominanti. Il potenziamento dell'Impero potrà così avvenire

solo evitando promiscuità, ed il divieto dovrà essere sancito da leggi

adeguate.

L'avvicinamento alle posizioni antisemite tedesche avviene in

occasione del congresso nazista di Norimberga, svoltosi il 10 settembre

1936, che vede le violente requisitorie di Goebbels e Rosenberg contro il

pericolo giudaico-bolscevico. Tutti i giornali italiani danno ampio risalto

alla notizia, anche se nei titoli ancora non compaiono riferimenti

antiebraici. Ma il 12 settembre "Il Regime fascista" di Farinacci,

prendendo spunto dai discorsi dei ministri di Hitler, dava il via alla

seconda campagna antiebraica sulla stampa. Gli attacchi, a differenza di

quelli del 1934, non erano diretti solo contro il sionismo, ma

indistintamente contro tutti gli ebrei, e per la prima volta i rappresentanti

dell'ebraismo italiano decisero di controbattere personalmente le accuse.

L'obiettivo principale era ancora l'internazionale ebraica, con le sue

derivazioni massoniche e bolsceviche, ma per la prima volta si ventilava

l'idea di provvedimenti legislativi contro quegli ebrei che avessero

partecipato attivamente alle campagne sioniste ed alle riunioni del

Congresso ebraico internazionale. I principali giornali italiani non

parteciparono attivamente a questa fiammata antisemita, ma questa

operazione di pressione ebbe il risultato di mantenere viva nell'opinione

pubblica la questione ebraica, ed in molti casi di crearla dal nulla. Nel

frattempo, anche se i provvedimenti legislativi non erano ancora stati

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decisi, Mussolini iniziava un'"epurazione" nel "Popolo d'Italia". In un

primo momento rifiuta la collaborazione del corsivista Adriano Grego,

perché ebreo, in seguito quella dello storico A. Levi. Il 31 dicembre lo

stesso Mussolini si inserisce personalmente nella campagna antisemita, in

un articolo apparso anonimo sul "Popolo d'Italia", Il troppo storpia, cui

abbiamo già accennato:

L'antisemitismo è inevitabile laddove il semitismo esagera con la sua esibizione, la sua invadenza e quindi la sua prepotenza. Il troppo ebreo fa nascere l'antiebreo...L'annunciatore e il giustificatore dell'antisemitismo è sempre e dovunque uno solo: l'ebreo. Quando esagera e lo fa sovente.

In un altro articolo apparso anonimo, Davar, del 19 giugno 1937,

Mussolini avrebbe denunciato gli ebrei come precursori del razzismo:

Facendo coincidere la religione con la razza e la razza con la religione, Israele si è salvato dalla "contaminazione" con gli altri popoli....L'ebreo sta agli altri popoli come l'olio che sta nell'acqua, ma non si confonde con l'acqua. Quello d'Israele è un riuscitissimo esempio di razzismo che dura da millenni, ed è un fenomeno che suscita ammirazione profonda. Gli ebrei, però, non hanno diritto alcuno di lagnarsi quando altri popoli fanno del razzismo.

Nel 1937 gli attacchi divennero sempre più diffusi, e trovarono

spazio anche al di fuori degli ambienti tradizionalmente avversi

all'ebraismo.

Nel frattempo la conquista dell'impero aveva posto il fascismo di

fronte al complesso problema razziale. Nei primi mesi del 1937 sono

infatti approvati i primi provvedimenti miranti a proibire i rapporti

sessuali fra bianchi ed indigeni . Sul "Giornale d'Italia", il 10 gennaio,

Virginio Gayda sottolinea il "dovere nazionale di... proteggere la razza

italiana e le sue tipiche qualità dalle commistioni e dalle corruzioni delle

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82

razze di colore". L'articolo La difesa della razza nei territori dell'Impero,

continua con l'affermazione che il razzismo italiano è la naturale

continuazione della politica demografica voluta da Mussolini, ed ha

l'obiettivo di evitare "infiltrazioni corruttrici di elementi inferiori". Il

razzismo diventa così parte integrante dell'ideologia fascista, mentre,

parallelamente, la campagna antisemita riprende vigore e si arricchisce di

nuovi temi. L'occasione venne data dalla pubblicazione del libro di Paolo

Orano, Gli ebrei in Italia, che per la prima volta attaccava tutti gli ebrei

indistintamente. Oltre ai tradizionali pregiudizi che vedevano gli ebrei

padroni della finanza internazionale, portatori di dottrine sovversive e di

arte "degenerata", il libro conteneva un attacco sia ai sionisti che agli

ebrei fascisti. Secondo Orano non ha senso parlare di ebrei "ottimi

italiani" perché fedeli al regime. Gli ebrei non hanno il diritto alla

separazione, dovrebbero rinunciare alla loro identità comunitaria,

mantenendo esclusivamente la loro individualità religiosa. Tutti i giornali

ripresero e recensirono positivamente il libro di Orano, alcune volte

auspicando provvedimenti legislativi in base alle conclusioni dell'autore.

Il "Giornale d'Italia", il 20 aprile 1937, nell'articolo di Nosari Gli ebrei in

Italia, rinviava al libro di Evola, Il mito del sangue, come portavoce di un

antisemitismo "etico-sociale" che Orano riproponeva:

Assurdo, dunque, è il sionismo da noi; criminoso il legame con l'ebraismo dei paesi liberali, democratici e socialisti; intollerabile è l'attività delle comunità e del giornale "Israel" che mirano a tener vivo il senso della razza e della tradizione ebraica...; deplorevole l'ospitalità che specialmente nel Veneto si dà ad ebrei tedeschi fuoriusciti.

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83

Il "Corriere della Sera", nell'articolo di Radius del 18 maggio, Gli

ebrei in Italia, considerava un errore degli ebrei mettere l'accento sulla

purezza della loro razza, e quindi sulla loro integrità da difendere.

La situazione si rivelò in tutta la sua nuova drammaticità quando

anche il giornale di Mussolini, "Il Popolo d'Italia", recensì positivamente

il libro di Orano. Il 25 maggio 1937, O. Gregorio, nell'articolo Gli ebrei

in Italia, parlava di un "problema nuovo" che si era presentato nell'ultimo

decennio. Si domandava l'autore: "Si considerano, essi, ebrei in Italia

oppure ebrei d'Italia? Si sentono ospiti nel nostro paese, oppure parte

integrante della popolazione?" A questa domanda risposero, nei primi

giorni di giugno, numerose lettere giunte in redazione. Oltre all'autodifesa

degli ebrei, ed ai loro proclami di fedeltà al fascismo, non mancarono

lettere che proponevano la soppressione delle Comunità, lo scioglimento

delle organizzazioni e la soppressione della stampa ebraiche.

Commentando le dichiarazioni di fedeltà di questi ebrei fascisti, l'1

giugno il giornale ribadiva:

Nessuno ha pensato di sottoporre ad inchiesta gli ebrei....E' stato dato soltanto un avvertimento a tutti coloro, soprattutto ai dirigenti, che non hanno compreso come il sionismo non può far rima con fascismo.

Il 5 giugno sul "Corriere della Sera" appariva una dichiarazione del

Comitato degli Italiani di religione ebraica, che, prendendo spunto dalla

recensione apparsa sul "Popolo d'Italia", affermava che

gli italiani di religione ebraica sono e si dichiarano nettamente nemici di qualunque internazionale ebraica o non ebraica, massonica, sovversiva o sovvertitrice e soprattutto antifascista, considerano l'ebraismo come puro fatto religioso, dichiarano di non aver nulla in comune con chiunque professi dottrine sioniste e disconoscono il giornale "Israel", le cui idee e i programmi sono in netto contrasto con le loro convinzioni ed il loro spirito.

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84

Il 10 giugno il "Popolo d'Italia" pubblicava l'elenco degli ebrei che

avevano espresso la loro posizione antisionista sulle pagine del

quotidiano, ma il commento che seguiva sottolineava che

accanto agli israeliti che in questa circostanza si sono pubblicamente dichiarati antisionisti e devoti italiani, resta una notevole massa di ebrei che non si sbilanciano e non escono dal loro chiuso ambito di razza, dalla loro mentalità pericolosissima, più o meno abili negli adattamenti alle varie situazioni, ma sostanzialmente uguali nel tempo, e...meritevoli di attento controllo.

Con il 1938 tutta la stampa si ritrova "in linea" sulla campagna

antisemita. Sono scomparse da tutti i quotidiani le notizie che in qualche

modo potrebbero mettere in buona luce degli ebrei, mentre sono

accentuate le notizie negative relative al sionismo e all'ebraismo.

Vengono riportate sempre più frequentemente notizie sulle leggi

antisemite approvate in altri paesi, quali l'Ungheria e la Romania in primo

luogo. Lo stesso Mussolini ordina che sulla stampa non vengano più

pubblicate dichiarazioni di fedeltà da parte di ebrei fascisti, perché "non è

sul piano politico o religioso che il problema va impostato, ma nettamente

sul piano razziale"14. In aprile vengono date disposizioni perché

scompaiano dalla circolazione articoli e libri di scrittori ebrei. Inoltre, già

dal marzo, le espressioni "ebraismo" ed "antiebraismo" sono sostituite da

"giudaismo" ed "antigiudaismo". Grande rilievo viene dato alle notizie di

cronaca riguardanti reati commessi da ebrei, mentre viene sottolineata la

loro massiccia presenza nelle organizzazioni antifasciste e nelle

formazioni antifranchiste in Spagna. Ma soprattutto la difesa della cultura

italiana diventa l'argomento di numerosi articoli che, con vari toni,

14 G. Pini, Filo diretto con Palazzo Venezia, Bologna, 1950, cit. in M. Michaelis, Mussolini e gli ebrei, cit., pag. 124.

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85

condannano l'invadenza dell'"arte giudaica", espressa dalla musica

moderna, dalla letteratura internazionalista, dalla pittura "degenerata".

Particolare attenzione venne prestata al linguaggio ed alla sua

tecnica di diffusione. Affinché la propaganda risultasse efficace e

condizionante per le coscienze, si sollecitarono interessi materiali, ma

anche situazioni psicologiche di ansia e timore. Come ha notato Romolo

Runcini:

Si trattava di montare un processo senza istruttoria, a carico di individui, cittadini italiani e stranieri, il cui capo d'accusa è fissato al di là di ogni partecipazione personale al delitto. Era la premessa al genocidio. Il delitto, giuridicamente inesistente, viene configurato in astratto come colpa esistenziale, atavica, quella della condizione ebraica15.

Mussolini voleva dare l'impressione che il movimento antisemita

fosse spontaneo, in modo da giustificare eventuali provvedimenti

legislativi. La posizione ufficiale era di far passare la campagna di stampa

come espressione delle opinioni personali dei giornalisti, ma è evidente

che in uno Stato totalitario nessuna macchina propagandistica può essere

messa in moto senza il consenso ed il controllo del governo. Questa

funzione di indirizzo venne assunta dall'Ufficio centrale della stampa, poi

Ministero della Cultura Popolare. Più volte al giorno i direttori dei

giornali ricevevano dall'Ufficio centrale le "Note di Servizio", in cui si

impartivano istruzioni precise sulla collocazione ed il rilievo da dare alle

notizie, spesso stabilendo lo spazio da attribuire ed i caratteri da

utilizzare. Molte volte veniva suggerita la tecnica di impaginazione,

come nel caso della risposta di Mussolini a Pio XI del 30 luglio 1938. La

Nota stabiliva infatti che

15Manuale di educazione fascista, a cura di D. De Masi e R. Runcini, Roma, Savelli, 1977, pag. 279.

Page 86: Tesi di laurea

86

la Stefani da Forlì con le parole del Duce va messa in palchetto, con grande evidenza; titolo su otto colonne e soltanto sulla prima frase: Noi tireremo diritto sulla questione della razza. Non citare nel titolo la seconda frase: Non abbiamo imitato nessuno. Nessun commento16.

La circolare di Alfieri, ministro della Cultura Popolare, alla stampa,

dell'ottobre 1938, riassume l'atteggiamento ufficiale del fascismo in

materia di propaganda, al quale i giornali e gli editori avrebbero dovuto

uniformarsi. Il documento è diviso in 5 punti:

· La propaganda non doveva degenerare in ingiurie;

· era necessario porre l'accento sulla differenza fra persecuzione e

discriminazione;

· si doveva porre in risalto che la minaccia alla purezza della razza

italiana non proveniva solo dagli ebrei;

· si doveva creare una coscienza razziale "romana", poiché gli

italiani sono i diretti discendenti, sia fisici che spirituali, degli antichi

romani;

· nessuna allusione era permessa all'antitesi fra latinità e

germanesimo.

In definitiva la campagna razziale appare la logica conclusione delle

posizioni culturali del fascismo. L'antisemitismo rafforzò infatti l'idea

dell'identità nazionale, il culto della romanità, accentuò la polemica

esterofoba e antiborghese all'interno di una visione "rivoluzionaria".

L'espulsione dell'"altro" diventa quindi riaffermazione di sé, per cui la

"razza italica" avrebbe potuto ritrovare la purezza dei suoi antenati,

eliminando le influenze "non ariane" che avevano provocato la decadenza

di Roma antica. Il regime fascista creò una stretta connessione tra cultura

16F. Flora, Stampa dell' era fascista, Milano, Mondadori, 1945, pp. 8-9.

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e propaganda, al punto da confondere i due fenomeni17. Fra l'altro,

l'annuncio delle leggi razziali innescò la polemica sul confronto fra arte

moderna e tradizionale, fra cultura internazionalista e nazionale. L'attacco

che ne seguì al modernismo, visto come prodotto decadente

dell'ebraismo, ricalcava l'offensiva nazista contro l'arte moderna in

Germania.

Le terze pagine dei giornali diventano gli spazi in cui questa

polemica è più accesa. Guido Piovene sul "Corriere della Sera" del 15

dicembre 1938 avrebbe così riassunto queste posizioni :

Si deve sentire distante, e quasi per l'odore,...quello che c'è di giudaico nella cultura.

L'intenzione di rappresentare gli ebrei in modo così astratto, quasi

definendoli ideologicamente, veniva compensata da una propaganda che

si valeva di elementi concreti su cui porre il confronto e soprattutto lo

scontro. In questa prospettiva gli elementi culturali (la musica, l'arte, la

letteratura) sono oggetto privilegiato. La manomissione della cultura

latina da parte dell'ebraismo è infatti uno degli argomenti preferiti della

propaganda:

Più pernicioso dell'ebreo è l'ebraismo; più dell'ebraismo l'ebraizzazione18.

Attraverso la recensione del libro di Céline, Bagatelle per un

massacro, il 23 giugno 1938 Maria Luisa Astaldi, dalla colonne del

"Giornale d'Italia", chiarisce questa posizione. Nell'articolo Le bagatelle

17Cfr. P.V. Cannistraro, La fabbrica del consenso. Fascismo e mass-media, Bari, Laterza, 1975, pag. 5.18Citazione di un articolo del "Tevere" del 10 settembre 1938, "Corriere della Sera", 11 settembre 1938.

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di Céline, l'autrice, pur esponendo varie riserve sulla posizione dello

scrittore francese, che spesso indulge al mero pettegolezzo, sottolinea che

"il punto più importante...è la denuncia dell'ebraismo come forza

disgregatrice della cultura occidentale" attraverso il cinema, le arti, la

letteratura. In realtà la Astaldi non crede ad una organizzazione

internazionale che agisce nell'ombra, ad un piano prestabilito da millenni;

piuttosto, ciò che muove gli ebrei è "l'istinto, il genio della razza", ancora

più pericoloso perché coinvolge la cultura dei popoli fra i quali essi

vivono.

Sempre in terza pagina sul "Giornale d'Italia", il 31 luglio, Francesco

Santoliquido esorta alla difesa del patrimonio nazionale con l'articolo

Difendiamo l'anima musicale del popolo italiano. Secondo l'autore non vi

è musica al mondo che, come quella italiana, possa esemplificare

chiaramente i caratteri di una razza. Dopo il varo della politica razziale,

secondo l'autore occorre limitare l'infiltrazione, tipicamente di marca

ebraica, che da un ventennio rende "impuro" il clima musicale. I musicisti

ebrei - Schönberg, Ravel, Honegger, Milhaud - hanno delle caratteristiche

comuni, quali il "primitivismo asiatico anti-lirico e anti-romantico". La

musica ebraica è entrata anche in Italia, ma non è conforme alle

caratteristiche della razza italiana. Questa musica "asiatica" avrebbe come

caratteristica principale la povertà melodica e con "i suoi elementi di

violenza e brutalità, con la barbarie dei suoi ritmi, e delle sue dissonanze,

non solo non può definirsi italiana, ma non può considerarsi nemmeno

europea". Il carattere razziale italiano è invece incline alla melodia, per

cui diventa indispensabile la conservazione ed il potenziamento del teatro

lirico nazionale. La sensibilità musicale del popolo italiano, e la sua

sensibilità spirituale, sembrerebbero quindi legate al principio della razza.

Page 89: Tesi di laurea

89

Ed al principio della razza deve uniformarsi anche il cinema italiano.

Nell'articolo del 28 settembre sul "Giornale d'Italia" di Domenico

Paolella, Giudaismo e cinematografia, si esalta il cinema quale arma di

propaganda formidabile, ma anche mezzo di formazione dello spirito. Il

cinema giudaico, proprio per questo motivo, rappresenta un costante

pericolo per lo spirito italiano. Nel dopoguerra gli ebrei tedeschi erano i

padroni incontrastati del mercato cinematografico: lo spirito e la mentalità

degli ebrei erano ben rappresentati dal nuovo genere di produzione

dell'"espressionismo", caratterizzato dalle atmosfere terrificanti, sensuali,

incestuose, agitate da delitti terrificanti. La Germania era mortificata in

questo modo dallo spirito ebraico, che affiancava alle produzioni

espressioniste produzioni "frivole", un genere che "tende, con l'ironia, la

piacevolezza, l'equivoco, le sue storie di adulteri e donne facili, la sua

malsana aria di falso gran mondo, a esaltare la mentalità piccolo-

borghese, a indebolire nello spirito il senso della forza, dell'onestà, della

famiglia, del vivere sano". Dietro le quinte di questo "complotto" si

agitava sempre la figura di Lubitsch. Negli anni 30 gli ebrei hanno rivolto

la loro attenzione all'Italia, utilizzando lo schema applicato con successo

in Germania: "produzione di un genere leggero, piccolo-borghese, falso,

mirante con l'arguzia e l'ironia ad indebolire gli spiriti", allo scopo di

creare un ambiente ed una società inesistenti in Italia. Se l'autarchia ha

migliorato la situazione, l'allontanamento dei giudei contribuirà senza

dubbio a schiarire definitivamente l'orizzonte. Le pellicole italiane, il

connubio di autarchia e razzismo, dovranno infatti contribuire ad esaltare

la forza millenaria della razza.

Anche la letteratura italiana deve trovare il riscatto nei confronti

dell'invadenza ebraica. Il 2 maggio sul "Popolo d'Italia" Ezio Camuncoli

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pubblica un articolo, Romanzo italiano e giudaismo, che è insieme una

smentita ed una dichiarazione di intenti. Sulla rivista "Termini"

dell'Istituto di Cultura fascista di Trieste, nota l'autore, era comparsa una

recensione di un suo libro, L'agenzia Felsner, che si prestava a numerose

contestazioni. Secondo la recensione Camuncoli si sarebbe perfezionato

"alla tecnica del romanzo europeo - vale a dire giudaico - ...ed oggi, per

arrivare al grande romanzo, è quasi impossibile prescindere dagli apporti

culturali ed artistici di queste varie letterature a carattere internazionale".

Questo commento, quasi eretico per i tempi, soprattutto in considerazione

della provenienza, non piace molto a Camuncoli, che rifiuta il paragone

con Moravia e contesta che il grande romanzo debba essere giudaico. Più

in sintonia con il periodo, l'autore considera questa posizione un'offesa

per il genio letterario italiano. Il modello giudaico non può essere

universale, perché espressione dello spirito meno universale che esista:

Mai un italiano potrà scrivere un romanzo giudaico, perché in arte giudaismo significa internazionalismo, anarchismo, razionalismo, ateismo, che sono elementi dissolutori, anticostruttivi, antistorici, antiartistici e quindi antiromani.

I caratteri giudaici sono opposti a quelli italiani: astrattismo,

disfattismo, ateismo, nebulosità, artificio, accanimento psicologico,

egoismo sociale e sessuale, esasperazione filosofica, isterismo estetico,

nichilismo, che si oppongono ad un'arte italiana che è "solida e

trasparente; spirituale e virile;...l'arte italiana è vita: cioè umana,

appassionata e concreta".

Accanto alle volgarizzazioni, ci sono anche tentativi più analitici di

analizzare le manifestazioni letterarie ed intellettuali dell'ebraismo. Il

"Popolo d'Italia" ospita in terza pagina, il 31 agosto, il contributo di

Giacomo Prampolini, che nel suo articolo Ebraismo e romanità non

Page 91: Tesi di laurea

91

utilizza il termine razza, parlando esclusivamente di stirpe. Il risultato non

è comunque molto diverso dai precedenti. Secondo l'autore la produzione

letteraria ebraica è poco compresa perché scritta in lingua difficile per gli

stranieri. Per questo motivo essa si presenta come patrimonio ad uso

interno, frutto di un amore tenace per le proprie tradizioni etnico-

religiose, di stampo quindi nettamente conservatore. Accanto a questa

letteratura si schiera però una folta letteratura di propaganda. Nel campo

letterario infatti gli ebrei "non si distinguono certo per la potenza e

l'originalità creativa e costruttiva; posseggono invece una straordinaria

attitudine all'analisi che fruga e frantuma, alla speculazione che demolisce

e sovverte". Fra gli esempi citati da Prampolini per suffragare questa sua

tesi troviamo la lirica beffarda e ironica di Heine, che non rispetta nulla e

nessuno; le teorie di Freud, che trasformano la personalità in un caos di

impulsi animali, di potenze demoniache e deleterie; la scelta di Joyce di

fare di Ulisse un ebreo, abile trasformista. Ancor meno originale si

dimostra Prampolini nel citare il contributo dato dagli ebrei alle ideologie

rivoluzionarie ed alle società segrete: il loro destino storico li spingerebbe

a disgregare l'ambiente in cui vivono, a trasformare il mondo e

promuovere, con le idee ed il denaro, la riunificazione della loro stirpe.

Anche la filologia deve avere ben presente l'aspetto razziale. Il 2

novembre il "Popolo d'Italia" pubblica l'articolo di Antonino Pagliaro,

Linguaggio e razza, in cui si afferma la fondamentale affinità fra la

nozione di lingua e quella di razza. Ogni lingua ha delle caratteristiche

specifiche, così come ogni popolo ha caratteristiche fisiche e spirituali

uniche. Il linguaggio è profondamente legato alla specificità di un popolo

ed è il risultato delle diverse maniere di organizzazione del pensiero. Vi

sono dei momenti della vita di un popolo in cui esso si accorge della sua

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92

missione storica, e proprio in questo momento le caratteristiche fisiche ed

il patrimonio spirituale vengono ricondotti ai suoi tratti essenziali. La cura

della lingua assume quindi valore fondamentale, in quanto sintesi degli

aspetti fisici e psichici di una razza.

Anche personalità importanti della cultura non restano insensibili al

"fascino" del rinnovamento culturale che la nuova battaglia del fascismo

sembra proporre. Un intellettuale come Guido Piovene non mancherà di

recensire con toni entusiastici il libro di Interlandi Contra Judaeos,

esaltandone le argomentazioni e lo stile narrativo19. Secondo Piovene il

libro di Interlandi ha il pregio di chiarire che

la razza è un dato scientifico, biologico, basato sull'affinità del sangue;...l'inferiorità di alcune razze è perpetua; che negli incroci l'inferiore prevale sul superiore; che la razza italiana deve essere gelosa della sua immunità. La polemica mira contro le correnti che accolgono la parola patria in senso che variamente si definì idealistico o storico e che si traducono in "una affermazione tutta retorica e letteraria di romanità senza radici", in un "imperialismo spirituale" in un rifiuto della parola "razza" per quella meno impegnativa di "stirpe"...Gli ebrei possono essere solo nemici e sopraffattori della nazione che li ospita...Come stranieri, essi tentano di ottenere il trionfo sulla cultura nazionale altrui, portandola a "forme europeistiche", staccandola dalle "radici popolari dell'arte" come è accaduto in Italia.

L'argomento fondamentale della propaganda antiebraica resta

comunque l'attacco all'internazionalismo ed all'antifascismo, secondo i

vecchi canoni del "complotto giudaico" che minaccerebbe il mondo e

l'Italia. Il filone centrale resta l'attribuzione alla razza ebraica di una

preordinazione di movimenti, una segretezza e continuità di azione, che

hanno l'unico scopo della dissoluzione delle società occidentali. La storia

sembra avere una terza dimensione, in cui una potenza sotterranea dirige

gli avvenimenti storici, economici e politici. Parte di questo argomento

19Cfr. G. Piovene, Contra Judaeos, "Corriere della Sera", 1 novembre 1938.

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93

propagandistico sono i riferimenti ai provvedimenti di altri paesi contro

gli ebrei. Ancora prima di ogni accenno ad una possibile legislazione

razziale italiana, grande spazio sui giornali è dato alle prese di posizione

di stati esteri contro gli ebrei. Questo accorgimento favoriva la diffusione

di argomenti antisemiti senza che il regime fascista fosse direttamente

chiamato in causa, e permetteva di valutare le reazioni interne ed

internazionali. Il 18 gennaio è lo stesso direttore del "Giornale d'Italia",

Virginio Gayda, che riferisce su Il momento romeno. Un programma di

lotta: gli ebrei. La crociata del governo romeno contro gli ebrei avrebbe

motivazioni di difesa nazionale, un principio condiviso dalle correnti

nazionaliste di molti paesi. Gli ebrei sono stati un'entità dominante in

molti gangli vitali della vita romena, soprattutto nell'economia, nei

commerci, nelle professioni liberali, nella burocrazia. Questa minoranza

ha agevolmente dominato la maggioranza, anche grazie al notevole

apporto di ebrei provenienti da altri paesi. Ma questo atteggiamento

rischia di rivelarsi un grande errore per gli ebrei, perché è la prova del

loro essere associati "all'internazionalismo della frammassoneria,

all'estremismo delle correnti di sinistra e delle speculazioni che uniscono

gli affari con la politica". La Romania si accinge, attraverso la difesa

economica, alla sua difesa spirituale e politica. Secondo Gayda questo è

l'inizio di "una nuova grande esperienza storica". Virgilio Lilli, sul

"Corriere della Sera" del 3 febbraio, coniuga l'antisemitismo con il

nazionalismo. L'articolo Il nazionalismo romeno come antisemitismo,

primo di una lunga indagine sulla situazione in Romania, propone un

parallelo fra il fascismo ed il movimento nazionalista in Romania,

protagonisti entrambi della battaglia contro il liberalismo, del quale gli

ebrei costituiscono "il lato democratico e massonico, il lato per eccellenza

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dissolvitore". La reazione romena appare perfettamente legittima, perché

diretta contro il monopolio degli ebrei nei settori più importanti della vita

del paese: "Ebrea è in Romania la cosiddetta classe dirigente, la borghesia

che traffica senza produrre, la finanza, il magazzino, l'impiego privato, la

libera professione", per cui "il riacceso antisemitismo romeno d'oggi deve

considerarsi come il primo decisivo passo verso lo Stato totalitario". Se

uno Stato totalitario ha quindi bisogno dell'antisemitismo, uno Stato

cristiano non può certamente accettare la presenza dell'ebraismo, come

suggerisce lo stesso autore nell'intervista al fondatore del Partito nazional-

cristiano romeno20. Secondo il professor Cuza c'è infatti un'identità

perfetta fra antisemitismo e cristianesimo, al punto che "è arrivata l'ora

per tutte le nazioni cristiane di espellere gli ebrei dal loro territorio" ed

abbandonare la Società delle Nazioni, "sinagoga internazionale che tiene

a servizio il liberalismo e il comunismo". Il mese seguente Virgilio Lilli

si dimostrerà accanito sostenitore dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion,

pubblicando un breve racconto di una sua visita personale in un ghetto

romeno in cui scopre che "la lotta antisemita è una diabolica finzione dei

capi ebrei che la dirigono, e la miseria è coltivata come propaganda

bolscevica"21.

Queste opinioni non rimangono isolate: il 17 febbraio Gino Lupi,

sul "Popolo d'Italia", riferisce con grande enfasi sui primi provvedimenti

in Romania. La questione ebraica in Romania si apre con le notizie della

soppressione della stampa ebraica-massonica-bolscevizzata, della

soppressione delle licenze commerciali, della revisione dei permessi per

gli ebrei stranieri. Secondo Lupi la questione ebraica in Romania è

sempre stata di estrema attualità. Nell' '800 gli ebrei si "atteggiarono" a

20V. Lilli, Il signor Cuza l' antisemita, "Corriere della Sera", 19 febbraio 1938.21V. Lilli, Viaggio in Romania, "Corriere della Sera", 19 marzo 1938.

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patrioti e liberali, e per meglio controllare l'opinione pubblica si

impossessarono delle case editrici e dei giornali. I governi liberali, troppo

deboli e condizionabili, non hanno avuto mai la forza di affrontare la

questione di questi elementi disgregatori che "nelle campagne, osti ad un

tempo ed usurai, avvelenarono il corpo e l'anima dei contadini e si

impadronirono delle loro proprietà...nelle città furono commercianti e

professionisti corrotti e corruttori, come pure accaparratori avidi". Il

contributo peggiore è comunque quello della stampa, attraverso la

diffusione di una "letteratura a tendenza pornografica che

doveva...abbattere tutti i valori morali, diffondere il disprezzo per

l'onestà, distruggere col pessimismo e l'ironia ogni entusiasmo ed ogni

fede".

E' facile notare l'analogia fra questi argomenti e quelli che saranno

utilizzati in Italia durante la campagna antisemita, ed impressionante

risulta la somiglianza del linguaggio. L'articolo di Lupi termina infatti

con un attacco a chi compiange la sorte di "questa povera gente", che in

realtà ha sempre osteggiato il regime fascista e sparso calunnie durante la

guerra in Etiopia.

Anche l'Ungheria viene presentata come modello di legislazione

antisemita nell'articolo del 20 maggio pubblicato sul "Giornale d'Italia".

Franco Vellani-Dionisi riferisce della scelta ungherese per il criterio

proporzionale, che avrebbe istituito il numerus clausus per gli ebrei.

Secondo l'autore infatti non è importante il numero complessivo degli

ebrei, ma è necessario limitare il controllo dei punti nevralgici dello Stato

che essi hanno assunto. Questa è una minaccia che non è valida solo per

l'Ungheria, ma per tutta l'Europa: il capitalismo ebraico rappresenta un

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pericolo attuale e concreto perché gli ebrei "vantano diritti anziché offrire

meriti, falsano la storia,...minacciano boicottaggi".

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97

CAPITOLO  

LA PROPAGANDA ANTIEBRAICA NELLA STAMPA NAZIONALE DAL "MANIFESTO" ALLE LEGGI

Il 17 febbraio 1938 il "Giornale d'Italia" pubblica l'Informazione

Diplomatica n. 14 che, nonostante il tono conciliante, presenta per la

prima volta la possibilità in Italia di provvedimenti contro gli ebrei. Il

giorno precedente la sua divulgazione sulla stampa, una Nota di Servizio

del ministro Alfieri, raccomandava: "La notizia dell'Informazione

Diplomatica va pubblicata su una colonna in prima pagina, senza

commenti. Con questa nota, tutte le discussioni sul problema ebraico in

Italia devono cessare"1. Nei giorni seguenti in effetti non ci sono

particolari prese di posizione sui giornali. Questa interruzione della

campagna propagandistica può essere il segnale di una pausa di riflessone

del regime, che non vede ancora maturi i tempi per l'emanazione di

provvedimenti legislativi, oppure la consapevolezza di un'indifferenza

dell'opinione pubblica che doveva ancora essere "preparata". E'

significativo a questo proposito che il battage propagandistico, senza il

quale le leggi non potevano essere varate, raggiunga il suo culmine in

quantità e qualità nell'estate, quando il Manifesto degli scienziati razzisti

era stato appena pubblicato. Solo durante l'estate erano state infatti

1Cit. in M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei, cit., pag. 90.

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98

ultimate delle operazioni preliminari ritenute indispensabili: in primo

luogo, la rilevazione del numero esatto degli ebrei italiani, ottenuto grazie

alla richiesta degli elenchi alle comunità ed al censimento del 22 agosto;

in secondo luogo si era formata una struttura, la Demorazza, che

procedeva all'identificazione degli ebrei su base strettamente "biologica"

ed alla verifica delle "arianizzazioni". Questa burocratizzazione della

persecuzione favorì senza dubbio un sentimento di indifferenza verso i

perseguitati, la cui impersonalità paradossalmente creava la diversità.

Anche dopo febbraio la campagna di propaganda rimane tuttavia

presente sulle pagine dei giornali, attraverso la cronaca puntuale dello

scontro fra ebrei ed arabi in Palestina. Secondo la stampa italiana, il

programma di insediamenti ebraici, utile agli interessi del capitalismo

britannico e della Società delle Nazioni, non salvaguarda però i diritti

degli arabi, ed è un pericolo immediato per la pace mondiale. Gli articoli

sulla situazione palestinese aumenteranno di frequenza e dimensione per

tutto il 1938, con toni sempre più polemici verso gli ebrei. Soprattutto in

luglio si rincorrono le notizie di azioni terroristiche cruente, le cui vittime

sono per la maggior parte arabi. L'Alto Commissariato britannico è

accusato frequentemente di lassismo e permissività verso gli ebrei, unici

colpevoli dei più recenti atti di violenza. La stampa italiana è in prima fila

nel richiedere agli inglesi lo stesso rigore usato nei confronti degli arabi

che si erano macchiati di delitti simili, mentre l'Impero britannico è

considerato il principale responsabile di questa esplosione di odio. La

Gran Bretagna avrebbe infatti permesso la creazione del focolare ebraico

in un territorio abitato dagli arabi per venti secoli, allo scopo di ripagare i

debiti di guerra contratti nei confronti dei gruppi economici ebraici. Il

sionismo avrebbe offeso profondamente la tradizione e la fierezza degli

Page 99: Tesi di laurea

99

arabi, mentre gli insediamenti recenti avrebbero contribuito alla rovina

anche economica dei popoli nativi. D'altra parte numerosi articoli

sottolineano l'odio atavico fra i due popoli, che spingerebbe gli arabi a

disprezzare i "parassiti" ebrei, per motivi religiosi, tradizionali ed anche

di razza. Lo stesso Maometto aveva definito gli ebrei il vero ed unico

nemico dei musulmani, ancora più pericoloso a causa della mentalità

sacrilega, della caratteristica doppiezza e scaltrezza2. Quando mancano le

citazioni "letterarie", la stampa fa riferimento ad episodi di cronaca che

confermino i classici pregiudizi: così gli ebrei palestinesi sfrutterebbero

gli attacchi terroristici per alimentare incendi dolosi ed usufruire

dell'assicurazione. La ben nota furbizia ebraica impedirebbe la scoperta

della colpevolezza e garantirebbe sempre l'impunità.

Anche in Italia, nei mesi precedenti la pubblicazione del Manifesto, i

giornali dedicano ampio spazio alle notizie di cronaca nera riguardanti

ebrei, soprattutto notizie di truffe e furti, oltre che di traffici monetari ed

episodi di usura. Gli stereotipi dominanti sono quelli che il Manifesto

renderà espliciti: l'ebraismo complottatore, disprezzatore degli altri

popoli, internazionalista, antifascista.

Per molti tuttavia la pubblicazione del Manifesto sul "Giornale

d'Italia" risulta una sorpresa. Gli stessi giornali il 15 luglio sembrano

impreparati, dedicando all'avvenimento brevi commenti non firmati.

Questi accenni sono comunque sufficienti a chiarire che il ruolo della

stampa sarà di totale ed entusiastico appoggio alla politica del regime. La

postilla al Manifesto del "Giornale d'Italia" afferma che "questi punti

preannunziano un'azione che è destinata a incidere profondamente sul

costume e a creare una mentalità nel popolo italiano in materia di razza".

2Cfr. F. Bellotti, Maometto e gli ebrei, "Popolo d' Italia", 4 ottobre 1938.

Page 100: Tesi di laurea

100

Particolare importanza viene attribuita alla puntualizzazione di concetti

quali Ariano, Razza Italiana, Indirizzo Nordico. Il termine Ariano o

Indoeuropeo designa un gruppo di genti collegate fra loro da vincoli

razziali, linguistici e culturali. Queste popolazioni sono state creatrici

della moderna civiltà europea, nonostante il contatto con "genti molto

diverse", quali i mongoli, i semiti, i camiti, i negroidi ecc. La Razza

Italiana è stata immune da incroci con genti straniere, per cui "si è venuto

formando nell'ambiente particolare della nostra Penisola, e ancora di più

si formerà nell'avvenire, un tipo razziale con caratteristiche fisiche e

psicologiche, nel loro complesso, inconfondibilmente italiane". Il termine

Nordico non ha significato geografico, ma indica l'Uomo Europeo, che

corrisponde fisicamente agli ideali di bellezza classica degli artisti greci,

latini e italiani, e psicologicamente all'"ideale eroico" dell'uomo3.

Indirizzata in questo modo, la razza italiana dell'era fascista sarebbe

diventata sempre più "inquadrata, solida, silenziosa e potente"4.

Il "Popolo d'Italia" definisce il Manifesto il documento fondamentale

per l'impostazione fascista del problema della razza. Il "carattere italiano"

del documento è inconfondibile, poiché il fascismo ha sempre operato per

il miglioramento fisico della razza e per salvaguardare i caratteri etnici,

soprattutto con le leggi sull'Impero. Ma il regime ha operato anche in

campo spirituale, attraverso l'esaltazione delle virtù morali del popolo

italiano (eroismo, spirito di sacrificio, genio, disciplina). Le

considerazioni espresse dal documento sono inoltre di carattere

3George L. Mosse ha sottolineato l'importanza che l'insistenza sui fattori esteriori ebbe sul razzismo, soprattutto attraverso i concetti della fisiognomica, nata come pseudo-scienza nel secolo XVI; per la fisiognomica l'esteriore rappresenta l'immagine dell'interiore, per cui le specie umane vennero classificate in base ai concetti classici di bellezza, come erano stati tramandati dalla scultura greca; cfr. G.L. Mosse, op. cit., pag. 30 e sgg.4Commento al Manifesto degli scienziati razzisti, "Giornale d'Italia", 15 luglio 1938.

Page 101: Tesi di laurea

101

strettamente biologico e storico, senza riferimenti a teorie filosofiche o

motivi religiosi.

L'affermazione che il razzismo non fosse un problema nuovo per il

fascismo sarà l'argomento principale dell'enorme numero di articoli che,

da luglio in poi, avrebbero trovato spazio sulla stampa. Il "Corriere della

Sera", nell'articolo anonimo del 21 luglio, Razza e razzismo, dichiara che

gli italiani, avendo assunto una funzione mondiale ed imperiale, non

possono più trascurare argomenti che potevano essere in precedenza

lasciati in disparte senza danno. Il fatto che gli ebrei abbiano sempre

rifiutato di assimilarsi è la prova migliore della loro non appartenenza alla

razza italiana. Il comunicato del P.N.F. del 25 luglio, pubblicato il giorno

seguente dal "Popolo d'Italia", ribadisce che

il Fascismo fa da 16 anni praticamente una politica razzista che consiste - attraverso l'azione delle istituzioni del Regime - nel realizzare un continuo miglioramento quantitativo e qualitativo della razza...Anche in questo campo, il Regime ha seguito il suo indirizzo fondamentale: prima l'azione, poi la formulazione dottrinaria, la quale non deve essere considerata accademica, cioè fine a se stessa, ma come determinante una ulteriore precisa azione politica.Colla creazione dell'Impero la razza italiana è venuta in contatto con altre razze: deve quindi guardarsi da ogni ibridismo e contaminazione...Quanto agli ebrei essi si considerano da millenni dovunque e anche in Italia, come una "razza" diversa e superiore alle altre ed è notorio che malgrado la politica tollerante del Regime, gli ebrei hanno in ogni nazione costituito - coi loro uomini e coi loro mezzi - lo stato maggiore dell'antifascismo.

A fianco del comunicato del P.N.F. compare l'articolo anonimo

Scoperta!, scritto in realtà dallo stesso Mussolini, che inizia con una nota

di "costume". Una scrittrice inglese, in soggiorno a Roma, avrebbe

annotato con sorpresa che "i lineamenti delle donne italiane ne

documentano incontestabilmente l'origine ariana". Mussolini afferma che

Page 102: Tesi di laurea

102

questa può essere una sorpresa solo per gli inglesi, dato che gli italiani

sono ben consapevoli della loro appartenenza alla razza ariana:

Dirsi ariani, significa dichiararsi appartenenti a un gruppo storicamente determinato di razze: al gruppo indo-europeo e precisamente a quelle che hanno creato la civiltà mondiale. Senza una chiara, definita, onnipresente coscienza di razza, non si tengono gli Imperi. Ecco perché taluni problemi che erano prima in una zona d'ombra sono diventati dal 3 ottobre del 1935 di bruciante attualità.

Per Mussolini il problema della razza non è solo l'appartenenza ad

una determinata specie, ma piuttosto una meta da raggiungere. Egli

distingue fra storia vissuta e storia da rifare, per cui la razza italiana,

gloriosa in passato, deve oggi essere nuovamente "forgiata per le battaglie

ideali del fascismo"5.Per questo motivo la razza italiana dovrà, anche

fisicamente, essere diversa dalla razza del "cittadino demo-liberale,

ammalato di tutti gli scetticismi, debilitato da tutte le demagogie"6.

Fu soprattutto Virginio Gayda, direttore del "Giornale d'Italia" e

commentatore di punta del regime, che si prodigò nell'identificare la

politica della razza con la politica della nazione. Il 23 luglio, nell'articolo

La difesa dell'Impero, Gayda afferma che la ragione della rivoluzione

fascista è nelle tipiche qualità della razza italiana. Esiste un "tipo italiano"

che si rivela nelle arti, nella scienza e nella storia, ma è anche innegabile

l'esistenza di una razza italiana, perché una razza non si riconosce solo da

criteri biologici, ma "dalle sue attitudini, che sono insieme il diretto

prodotto degli aspetti somatici, funzionali e spirituali dell'individuo e del

popolo". Queste attitudini sono la sanità morale e fisica, la capacità e la

volontà per tutti i lavori, il senso artistico e sobrio della vita, la passione e

5Cornelio Di Marzio, Originalità del pensiero mussoliniano, "Corriere della Sera", 28 agosto 1938.6Ibid.

Page 103: Tesi di laurea

103

l'eroismo. Anche al di là dell'Unità politica queste caratteristiche si sono

mantenute nei secoli. Il problema della difesa della razza è quindi

problema della difesa della conquista fascista e del suo Impero. Secondo

Gayda gli imperi potenti sono infatti quelli capaci di allontanare gli

elementi estranei che corrompono le qualità originali di un popolo.

Queste affermazioni sono riprese dall'articolo pubblicato il giorno

seguente, Politica di razza politica di Nazione, secondo il quale la perdita

delle caratteristiche spirituali di una nazione significa la perdita degli

interessi nazionali e internazionali. Il controllo della Nazione si perde

quando le razze si lasciano dominare dai componenti di un'altra razza che

non partecipano ai suoi "istinti originari, i suoi valori essenziali, le sue

autentiche capacità". E' stato questo il caso della rivoluzione russa,

suscitata dalla minoranza ebraica. Il semitismo ha conquistato il popolo

slavo, primitivo ed ignaro, ed allo stesso modo razze estranee cercano di

infiltrarsi in Europa, soprattutto nel mondo della cultura, creando

corruzioni intellettuali, aberrazioni morali e disfattismo. Questo processo

lento e nascosto può esplodere in brevissimo tempo, sovvertendo il

destino dei popoli. Il fascismo è giunto a porre la questione della razza

perché non vuole trovarsi impreparato verso questa minaccia all'ordine

europeo. La decadenza europea è iniziata con la vittoria dei Fronti

Popolari e della loro mentalità, portatrice di elementi, interessi ed

indirizzi che non rispecchiano quelli autentici delle Nazioni. La principale

responsabilità di questa situazione ricade sull'ebraismo mondiale,

attraverso la coalizione del sovietico Litvinov, del francese Blum e del

britannico Hore Belisha.

Il 27 luglio è ancora Gayda che interviene sulle colonne del suo

giornale con l'articolo Individualità italiana per riaffermare la completa

Page 104: Tesi di laurea

104

autonomia del fascismo nelle sue scelte interne, rispondendo così alla

polemica della stampa estera ed antifascista secondo la quale il Manifesto

era una mera riproposizione dei concetti razziali tedeschi. Secondo la

concezione italiana la razza è un fatto biologico, ma anche mentale. La

razza italiana si è rivelata storicamente nella sua individualità prima

ancora che l'antropologia e la biologia ne definissero i caratteri. La razza

e la mentalità italiane non possono così confondersi con quelle

germaniche, nonostante i numerosi e proficui contatti e le reciproche

influenze dei due popoli. L'unità della razza deve essere preservata per

diffondere le sue conquiste ed affermare la sua forza, per cui l'intento del

fascismo non è disprezzare le altre razze, ma differenziare la razza

italiana da ogni altra, per non inficiarne la qualità e l'originalità. Per

questo motivo il fascismo deve liberare l'Italia dal dominio spirituale di

altre razze che lo hanno sempre combattuto.

Il 31 luglio vede la comparsa sulla stampa della polemica a distanza

fra Santa Sede e Mussolini, il quale risponde alle prudenti critiche del

Vaticano con il perentorio Anche nella questione della razza noi tireremo

diritto. Il 29 luglio l'"Osservatore Romano" aveva infatti pubblicato un

discorso di Pio XI che conteneva la seguente affermazione: "Ci si può

quindi chiedere come mai, disgraziatamente, l'Italia abbia avuto bisogno

di andare ad imitare la Germania". Come indicato dalla "Nota di

Servizio" del Ministero, tutti i quotidiani dedicano alla frase del duce

l'apertura. La difesa dell'autonomia ideologica del fascismo è affidata a

Nicola Pende, che dalle colonne del "Popolo d'Italia" dedica il suo

articolo La purezza della progenie di Roma a quello che sarebbe il

principio direttivo del fascismo: il riconoscimento di un tipo italico come

tipo spirituale su basi biologiche. In maniera piuttosto confusa Pende

Page 105: Tesi di laurea

105

cerca di districarsi fra razzismo biologico e spiritualista, proponendo una

difficile fusione tra i due aspetti: nega il metodo misurativo, quindi

"scientifico puro", ma introduce la biologia politica che "contrappone ai

dettagli della pura morfologia o della pura investigazione psicologica, la

sintesi di tutti i caratteri di un grande aggregato umano - caratteri

morfologici, dinamici, psicologici, nelle loro interrelazioni naturali". Il

tipo italiano sarebbe quindi fisicamente e psicologicamente definibile

come la progenie di Roma, e non avrebbe bisogno di incroci con altre

razze, né per crescere di numero, né per migliorare la sua qualità. In

questa prospettiva il razzismo diventa la più grande delle autarchie,

"l'autarchia dei valori etnici". Il pensiero di Pende sarà poi chiarito

ulteriormente in un'intervista rilasciata al "Corriere della Sera":

Scopo del regime fascista nella battaglia che esso ingaggia su questo fronte interno o internazionale è di rivendicare i nostri diritti storici agli occhi del mondo e di infondere nel popolo italiano d'oggi l'orgoglio del sangue e la sicura coscienza di non avere nulla da invidiare, nulla da copiare dai popoli d'oltre Alpe e d'oltremare.

Ma la battaglia per la difesa della razza deve essere anche

combattuta sul fronte interno

mescolando le popolazioni ultrafeconde del Sud d'Italia, e con una mentalità prevalentemente sintetica ed idealistica, con le popolazioni del Nord, meno feconde ed a mentalità prevalentemente analitica e concreta7.

Un altro firmatario del Manifesto, Lidio Cipriani, nell'articolo Razza

e civiltà, apparso ancora il 31 luglio sul "Corriere della Sera", afferma che

"esistono tra le razze rigide gerarchie fissate da natura e impossibili da

7Intervista a Nicola Pende, "Corriere della Sera", 7 agosto 1938.

Page 106: Tesi di laurea

106

distruggersi". Popoli culturalmente superiori sarebbero quindi tali non per

l'educazione ricevuta, ma per doti di razza.

Lo stesso giorno l'editoriale di Gayda accusa le democrazie di

ipocrisia rispetto alla questione razziale. Anche chi critica il fascismo per

le sue recenti posizioni in materia farebbe in realtà del razzismo da secoli,

ma in maniera più indiretta. La situazione demografica degli stati

totalitari imporrebbe a questi ultimi la ricerca di uno "spazio vitale", in

modo da favorire una più equa distribuzione della ricchezza e delle

colonie.

Il presunto razzismo degli stati democratici sarà uno degli argomenti

polemici preferiti della propaganda nella seconda metà del 1938. Gli Stati

Uniti farebbero del razzismo attraverso la limitazione dell'immigrazione;

la Gran Bretagna attraverso il ripopolamento delle sue colonie con

britannici o comunque di sangue affine; la Francia sarebbe sensibile al

problema razziale in seguito alla caduta demografica ed allo

spopolamento delle campagne; la Svizzera e l'Argentina sarebbero

prossime a legislazioni razziali. Allo stesso tempo però le democrazie

sarebbero dominate da elementi ebrei: la Francia è sotto il controllo

dell'ebreo Blum, mentre una presunta origine ebraica di Roosevelt è

argomento de La dittatura ebraica di Roosevelt di Mario Intagliato del 28

agosto 1938. Pubblicato sul "Giornale d'Italia", l'articolo mira a spiegare

gli atteggiamenti antifascisti del presidente americano, che avrebbe

favorito un clima liberale e massonico per favorire la diffusione del

"morbo ebraico-sovietico". Attraverso la difesa della democrazia in

campo internazionale, Roosevelt non farebbe altro che perpetuare l'odio

della sua razza, avvalendosi di collaboratori ebrei e di legami politici ed

Page 107: Tesi di laurea

107

economici con le famiglie ebree più potenti che gli assicurerebbero la

rielezione.

Anche di fronte alle democrazie quindi l'Italia ha il "diritto" di porre

la questione razziale e le sue conseguenze. L'articolo Prestigio di razza di

Carlo Giglio, pubblicato il primo agosto sul "Popolo d'Italia", riafferma

l'importanza del razzismo per la politica colonizzatrice. Compito del

regime è perfezionare il senso di superiorità ed affermare il prestigio di

razza degli italiani, in modo che questi indossino "l'abito mentale" del

colonizzatore. Sempre sul "Popolo d'Italia" Giorgio Pini pubblica il 3, 4 e

5 agosto tre articoli (Coscienza di razza, Difesa della Razza, Orgoglio di

razza) che riassumono la posizione ufficiale del regime. Si ribadisce che

la razza italiana appartiene al gruppo ariano, e che non si è imbastardita

nei secoli. Gli Imperi che hanno costituito il nucleo di una civiltà sono

infatti sempre formati da un'unica razza. L'azione razzista è stata

impostata proprio perché gli italiani prendano coscienza della propria

missione e si comportino di conseguenza. Le minacce odierne per la

razza italiana, così come lo furono per la cultura romana, sono

l'internazionalismo ed il cosmopolitismo, che la razza ebraica utilizza per

affermare il suo dominio. La cultura è il terreno da cui si deve iniziare

un'opera di bonifica, cancellando tutti gli atteggiamenti "esterofili".

Bisogna quindi cominciare dalla scuola e dall'università, "invase da

professori ebrei".

Un trafiletto in prima pagina del 4 agosto annuncia appunto il primo

provvedimento del governo contro gli ebrei, l'espulsione degli ebrei

stranieri dalle scuole, cui seguirà ben presto l'allontanamento di tutti gli

studenti ed insegnanti ebrei italiani.

Page 108: Tesi di laurea

108

Il 3 agosto ancora Gayda nell'articolo L'universalità e la razza

aveva polemizzato con i critici che avevano rilevato l'antitesi fra il

principio d'universalità, tipico della civiltà romana, ed una politica di

protezione della razza. Secondo Gayda è proprio la forza dell'universalità

che spingerebbe gli italiani ad allargare il proprio dominio spirituale, pur

senza alterare i confini etnici e politici. Per secoli l'Italia ha fatto valere il

suo dominio morale e spirituale anche nell'inesistenza di un'unità politica:

il fondo unitario che ha permesso che questo avvenisse è proprio la

Razza. Gli studi biologici e genetici sulla razza non sono sufficienti: c'è

una personalità più complessa ed una "forma della mente" che risultano

più caratteristiche.

Il 5 agosto Lidio Cipriani, nell'articolo Unità spirituale degli

italiani, afferma che la razza è il fulcro dello Stato, in quanto "della

millenaria commedia recitata al cospetto della storia, ogni generazione è

l'attore del momento, la razza l'attore permanente". Per Mussolini sono gli

uomini che fanno la storia, ma solo in quanto godono di predisposizioni

ereditarie che permettono loro di rendersi vittoriosi. Alterare queste

predisposizioni vuol dire cambiare a proprio danno il corso della storia:

nessun provvedimento è quindi eccessivo se mira ad evitare che questo

avvenga.

In tutti i suoi articoli pubblicati sul "Corriere della Sera", Cipriani si

propone di costruire l'immagine di un ebreo "antieroe", una sorta di

"superuomo negativo" le cui qualità innegabili, e spesso esaltate

dall'autore, sono utilizzate per riproporre e rinforzare il pregiudizio.

Nell'articolo Il problema semitico del 13 agosto, Cipriani rileva che il

gruppo semitico, cui appartengono gli ebrei, ha numerosi motivi di vanto

per quanto riguarda i "prodotti della mente": l'invenzione dell'alfabeto e

Page 109: Tesi di laurea

109

del sistema decimale, le civiltà dei Fenici, degli Assiro-Babilonesi, degli

Egiziani, dei Cartaginesi. I semiti "mostrano un'immaginazione male

equilibrata, ma eccellono nell'astrazione e nelle doti musicali". Tuttavia, a

causa del carattere "essenzialmente mercenario" della civiltà ebraica, non

si può parlare di vero genio, il cui linguaggio può essere solo la passione.

Per Cipriani,

si può vedere in ciò un carattere di razza, benché difficile sia parlare di una razza ebrea: gli ebrei sono una lega religiosa, e quindi nemmeno una Nazione. Il loro vivere separati e la loro endogamia più che millenaria ha però favorito il conservarsi di alcune caratteristiche somatiche riconoscibili...assieme a gesti ed attitudini particolari.

Nel corso dei secoli gli ebrei si sono così specializzati in attività

sedentarie fra cui il commercio, in cui si dimostrano insuperabili:

denotano un tenace spirito di adattamento, l'attitudine ad inserirsi

velocemente in ogni ambiente, il restare uniti indissolubilmente anche di

fronte alle avversità peggiori. La precocità infantile, tipica degli ebrei,

avrebbe prodotto uomini di genio (Spinoza ed Einstein, fra gli altri), ma

confermerebbe l'attitudine semitica a vivere in un mondo di idee. Per

questo motivo la tendenza verso i movimenti sovversivi, caratteristica

giudaica irrinunciabile, non è accompagnata da un eguale coraggio delle

azioni. L'ebreo, infatti, "quando può, schiva il compito che magari lui

stesso, con arti subdole, ha scatenato, e si mantiene armeggiatore

nell'ombra per profittare". All'atavismo, e quindi a puri fattori biologici

più che alla loro stessa cultura e religione, sarebbe da attribuirsi la

millenaria persistenza delle qualità e dei difetti che hanno caratterizzato

gli ebrei in qualunque paese del mondo. Secondo Cipriani non v'è da

sperare che queste caratteristiche si attenuino o si modifichino: esse "tutte

convergono, può dirsi, in un medesimo punto: il denaro".

Page 110: Tesi di laurea

110

Le posizioni del Manifesto vengono quindi confermate. I prodotti

dello spirito dipendono essenzialmente dall'ereditarietà di razza, ed è una

legittima scelta che i popoli si salvaguardino dai contatti con altre razze,

anche se si tratta di "culture elevate". L'influsso degli ebrei in Italia, se

ancora non si avverte nella struttura biologica, è ben presente nel campo

delle arti e della letteratura.

L'Informazione diplomatica n. 18 del 6 agosto aveva nel frattempo

sottolineato come il razzismo italiano fosse nato nel 1919 come base

fondamentale dell'idea fascista e riaffermato l'assoluta continuità del

pensiero di Mussolini in ambito razziale. Caratteristico corollario di

questa pubblicazione, come delle precedenti, era stato lo spazio dedicato

ai commenti della stampa straniera, oscillante fra la puntuale cronaca

degli entusiastici consensi degli alleati ed il sarcasmo nei confronti delle

critiche degli avversari.

Già il Manifesto era stato accolto con entusiasmo dalla stampa

tedesca, ma anche da quella cattolica. Sull'"Avvenire" del 17 luglio 1938

il padre gesuita Brucculeri sottolineava la differenza fra il razzismo

italiano e quello tedesco, distinzione che si era rivelata fin da subito

esclusivamente formale e puro espediente di propaganda. La stampa

nazista non mancò infatti di esaltare la raggiunta solidarietà ideologica fra

i due movimenti, che rendeva di fatto l'Asse sempre più solida. D'altronde

la stessa "Difesa della Razza", da sempre sostenitrice di un modello di

razzismo "biologico", nel 1939 smentirà Brucculeri, riproponendo un

articolo del "Völkischer Beobachter", organo del partito nazista. Il

giornale tedesco affermava a chiare lettere l'uguale orientamento

dell'alleanza italo-tedesca in materia razziale, criticando chi avrebbe

Page 111: Tesi di laurea

111

voluto fare della questione ebraica un momento di disaccordo fra i due

regimi.

La stampa degli stati democratici in genere pone in risalto la

connotazione esclusivamente antisemita del razzismo italiano, ed i

commenti italiani non mancano di denunciare il controllo ebraico della

stampa.

La vasta risonanza all'estero dell'Informazione diplomatica merita il

titolo a 9 colonne del "Giornale d'Italia" del 7 agosto. L'argomento

polemico dell'editoriale di Gayda è ancora una volta la presunta

imitazione italiana del razzismo tedesco. In questo modo, afferma Gayda,

si vuole colpire l'Asse, dimenticando che se ci sono punti di contatto fra

fascismo e nazismo, ciò è dovuto alla coincidenza delle visioni dei due

movimenti "totalitari". La politica di Mussolini, razzista da sempre, si è

sviluppata con gradualità e saggezza. La nuova fase legislativa inizia oggi

perché la situazione interna ed internazionale l'ha resa di stretta attualità.

Le tre cause principali sono state: la creazione dell'Impero, che include il

contatto fra la razza italiana e razze dissimili ed inferiori ed il problema

del meticciato, fenomeno deleterio per la civiltà. Ma soprattutto l'ostilità

degli ebrei nei confronti dell'Italia ha provocato un cambiamento

nell'atteggiamento del fascismo, fino a questo momento tollerante.

L'ingratitudine ebraica ha sollecitato il momento dei bilanci: è colpa degli

ebrei e della loro intransigenza contro il fascismo ed i suoi valori se è in

atto una politica di discriminazione. Il Fascismo e l'Italia hanno il dovere

di difendersi dai movimenti sovversivi, tuttavia "questa difesa non sarà

persecuzione. Ma sarà ferma, continua, totalitaria: insensibile a qualsiasi

protesta o reazione di dentro e di fuori".

Page 112: Tesi di laurea

112

La ricerca di precedenti storici di un antisemitismo italiano risulta

una costante nei giornali del periodo. Gli ebrei sarebbero stati perseguitati

dai Romani, dalla Chiesa, dalle popolazioni dell'intera penisola. I più

grandi artisti e patrioti italiani ne avrebbero denunciato la pericolosità e le

caratteristiche peculiari, mentre le personalità più importanti sono

ricordate mettendo in risalto la loro appartenenza alla razza italiana e la

loro fierezza nel condividerne lo spirito.

L'egittologo Goffredo Coppola, nel suo articolo La clemenza di Tito,

pubblicato il 26 agosto sul "Popolo d'Italia", mette in risalto come gli

ebrei abbiano provocato reazioni antisemite in Egitto e nell'antica Roma,

a causa della loro dominazione economica. Con una prosa contorta

Coppola afferma che gli ebrei hanno sempre tramato contro gli altri

popoli ed

anche allora...si erano rivelati, per ingorda voglia di lucro, sovvertitori dell'ordine e crudelmente ostili agli altri popoli e che appunto perciò avevano fatto condannare Gesù per non aver saputo essi accettare il nuovo precetto dell'amore evangelico, giacché, come dice Leopardi, "lo spirito della legge giudaica non contempla l'amore, ma l'odio verso chiunque non fosse giudeo".

Per l'autore dell'articolo anonimo L'antigiudaismo dell'antica Roma,

apparso sul "Popolo d'Italia" il 7 settembre, i romani avrebbero nutrito per

gli ebrei una vera e propria avversione. Un disprezzo "più che naturale se

si pensa che allora, come oggi, l'ebreo era sinonimo di senza patria...e che

per di più l'ebraismo aveva fatto il suo ingresso a Roma insieme a quella

miriade di culti e superstizioni orientali che tanto contribuirono alla

corruzione dei costumi". La distruzione di Gerusalemme sarebbe stata il

culmine dell'antisemitismo romano, e la prova che, nei rapporti con il

giudaismo, gli italiani non avevano nulla da imparare.

Page 113: Tesi di laurea

113

Durante questo periodo numerosi articoli riportano le cronache di

come nel passato le varie città italiane, soprattutto meridionali, si

sarebbero liberate degli ebrei che le opprimevano con i loro commerci

illeciti, gli inganni e le usure. Il 16 settembre il "Popolo d'Italia" dà

notizia dell'esistenza de Il più antico centro razzista che da 70 anni si

occuperebbe in Italia dei problemi del razzismo. L'autore, Piero

Domenichelli, esalta l'opera dell'Istituto di Antropologia dell'Università di

Firenze e della Società italiana di antropologia ed etnologia fondata da

Paolo Mantegazza nel 1871, che avrebbero avuto lo scopo meritorio di

fornire materiali per illustrare le differenze anatomiche fra le varie razze e

di individuare ante litteram la contrapposizione fra i popoli semiti e quelli

ariani.

Per quanto riguarda il rapporto fra Chiesa ed ebrei, la stampa pone in

rilievo l'atteggiamento dei Padri della Chiesa e di santi come Stefano

d'Ungheria, tollerante verso le minoranze, ma non verso gli ebrei, che non

volle riconoscere come cittadini8. Ricorda inoltre che la Chiesa ha

respinto, nel 1928, il tentativo dell'associazione Amici di Israele di far

eliminare dalla liturgia del Venerdì Santo l'invocazione contro "i perfidi

giudei". Nello stesso anno l'associazione venne sciolta, perché

considerata in contraddizione con lo spirito della Chiesa cattolica 9. Il 17

agosto compare su vari quotidiani un articolo di P. Francesco Capponi

apparso sull'"Osservatore Romano", Gli Ebrei ed il Concilio Vaticano. Il

"Popolo d'Italia" ed il "Corriere della Sera", fra gli altri, pubblicano solo

una parte dell'articolo, cambiando il titolo in Come i papi trattavano gli

ebrei:

8Cfr. I santi della Chiesa e gli ebrei, s.f., "Giornale d' Italia", 21 agosto 1938.9ivi, La Chiesa e gli ebrei, s.f., 24 agosto 1938.

Page 114: Tesi di laurea

114

Gli ebrei (non potevano) abusare dell'ospitalità dei paesi cristiani. A fianco delle ordinanze di protezione, esistevano, a loro riguardo, decreti di restrizioni e di precauzioni. Il Sovrano civile era d'accordo con la Chiesa in questo, perché "l'uno e l'altra...avevano interesse d'impedire che le nazioni fossero invase dall'elemento giudaico rischiando di perdere così la direzione della società". Se si proibiva ai cristiani di forzare gli ebrei ad abbracciare la religione cattolica, di turbare le loro sinagoghe, i loro sabati e le loro feste, si proibiva d'altra parte agli ebrei di coprire ogni pubblica carica, civile e militare, e tale incapacità era estesa anche ai figli di ebrei convertiti. Le precauzioni riguardavano gli esercizi professionali, l'insegnamento e perfino il commercio.

Il 19 agosto l'"Osservatore Romano" protestava per la mutilazione

dell'articolo che ne alterava il contenuto, precisando che le misure

adottate dai Pontefici nel passato "non provenivano da ostracismo di

razza...ma costituivano una difesa della religione e dell'ordine sociale, che

si vedeva minacciato dall'ebraismo". Al di là della debole difesa, che

riproponeva uno dei luoghi comuni più diffusi contro gli ebrei, si deve

sottolineare che quello del 14 agosto rimase l'unico scritto del giornale del

Vaticano interamente dedicato alla questione ebraica.

L'8 novembre è Farinacci a richiamare la Chiesa alle sue

responsabilità, nel suo discorso per il nuovo anno dell'Istituto di cultura

fascista riportato dal "Popolo d'Italia". Per Farinacci "se come cattolici

siamo diventati antisemiti, lo dobbiamo agli insegnamenti che ci

provengono dalla Chiesa". L'atteggiamento della Chiesa verso il razzismo

desta quindi sorpresa, perché in antitesi con tutta la storia del

cattolicesimo. La Santa Sede non può schierarsi con i nemici del

fascismo, perché quest'ultimo è "cattolico e romano", ed allo stesso tempo

dovrebbe stare attenta a "non perdere la sua integrale missione educativa

occupandosi di questioni politiche che spettano al fascismo".

Page 115: Tesi di laurea

115

La posizione dell'Informazione diplomatica, che aveva introdotto il

criterio proporzionale per la discriminazione degli ebrei, aveva nel

frattempo ravvivato la polemica sull'essenza del razzismo italiano.

Accanto alle dure posizioni di Gayda e Pende, trovano spazio sui

giornali anche visioni più "blande", che si ricollegano alla disposizione

"discriminare, non perseguitare". Il 12 agosto compare ad esempio sul

"Giornale d'Italia" l'articolo di Carlo Cecchelli, Valore spirituale dell'idea

di razza, che è immediatamente riconducibile, pur nella sua confusione,

ad una visione di stampo cattolico. Secondo Cecchelli il problema della

razza si pone all'interno delle posizioni antimaterialiste proprie del

fascismo, dimenticando che la legislazione si muoveva sulla strada del

"riconoscimento" biologico. Tuttavia per l'autore dell'articolo non si può

parlare di razze inferiori e superiori (in netto contrasto con Gayda), per

cui l'azione razzista non può essere di sopraffazione, ma di tutela. Il

razzismo sarebbe infatti doveroso quando una razza vuole imporsi su

un'altra, come ha storicamente tentato di fare l'ebraismo. La dottrina

cristiana riconosce la pluralità delle razze, ma ciò non esclude che ogni

nazione non debba affermare la sua individualità etnica, perché solo

attraverso la forza della razza si potrà arrivare ad un elevato "grado"

spirituale. Anche per Leone Franzi, il cui articolo Il mito di Roma è

pubblicato il giorno seguente sul "Popolo d'Italia", non esistono razze

inferiori e superiori, ma semplicemente differenti. La superiorità non si

afferma su postulati, ma si basa sull'altezza della missione che una razza

è portata a compiere "nell'unica grande famiglia umana". L'essenza della

dottrina fascista includerebbe un razzismo di "difesa", che non nutre

disprezzo per chi non appartiene allo steso ceppo, un razzismo che

Page 116: Tesi di laurea

116

non è un imperialismo razziale, ma che è invece un razzismo imperiale, razzismo che ha origine e fine in Roma, in quella Roma che fu sempre vividissima fiamma di luce, fiamma che illuminò, che abbagliò, come ci insegna la storia, senza mai bruciare o distruggere.

L'uso strumentale di questi articoli appare ancora più evidente

quando, il 27 agosto, tutti i giornali annunciano le imminenti misure

legislative. Il 30 agosto "Il Popolo d'Italia" inizia la pubblicazione degli

elenchi dei professionisti ebrei, per denunciarne il soprannumero e la

potenza. L'11 settembre, nell'articolo Direttori di periodici, si sottolinea

che, su 530 periodici e riviste che si pubblicano a Milano, circa 60 sono

sotto la direzione di ebrei:

I giudei non possono sentire la necessità mistica della battaglia autarchica perché stranieri di fatto e di spirito...Vi sono uomini non ariani a capo di riviste per bambini e di varietà; giudei sono molti direttori di periodici medici, e, in genere, scientifici...Occorre, dunque, epurare questo ambiente prima di ogni altro.

Si dichiara altresì necessario epurare le case editrici, dove lavorano

elementi egualmente dannosi.

Nella battaglia contro le categorie professionali si distingue

soprattutto il "Corriere della Sera" nella sua pagina milanese. A partire

dal primo settembre, ogni giorno viene pubblicato un articolo

sull'"invasione giudaica" fra i professori, gli avvocati, i commercialisti,

gli ingegneri, gli agenti di cambio, gli industriali, i commercianti. Si

vuole altresì sfatare il luogo comune dell'intelligenza ebraica, che

permetterebbe la presenza di ebrei nei posti più importanti della vita

nazionale. Gli ebrei in realtà occupano i posti più elevati perché più

utilitaristi e capaci di organizzarsi in società di mutuo soccorso come la

massoneria.

Page 117: Tesi di laurea

117

Ancora il "Corriere della Sera" promuove una delle numerose

inchieste sulla questione ebraica. L'indagine si sviluppa alla fine del mese

di agosto, sulla base delle "rivelazioni" di due giornalisti inglesi sulla

guerra di Spagna. Il libro Arena Spagnola, cui il quotidiano fa

riferimento, ha il "merito" di riproporre e schematizzare gli argomenti

antisemiti più diffusi anche dalla propaganda fascista. Gli autori del libro,

W. Foss e C. Gerhaty, considerati due eroi per le vicissitudini che

avrebbero accompagnato il loro lavoro, attribuiscono tutti i mali del

mondo all'Idra dalle mille teste: gli ebrei10. Forse in onore dei due

giornalisti britannici, l'articolo del "Corriere" è corredato da alcune

fotografie di comunisti inglesi, la cui "appartenenza alla razza giudaica è

evidente" dalle caratteristiche somatiche. Secondo W Foss e C. Gerhaty,

la Spagna è vittima di un complotto comunista, i cui esponenti sono quasi

tutti ebrei:

La razza ebrea è capace di produrre i migliori ed i peggiori tipi umani. Come il denaro, il possesso di eccezionali doti naturali può essere adoperato a fin di bene o a fin di male. La razza ebrea è intelligente, paziente, ambiziosa di conquistarsi buone posizioni sociali, potenza, ricchezza; capace di grandiosi atti di bontà e delle più feroci crudeltà.L'antisemitismo non esiste per se stesso, ma è una naturale reazione che si manifesta dove e quando si sviluppa il semitismo.

Questo procedimento di adulazione è tipico della propaganda

antisemita: l'intelligenza superiore degli ebrei e le loro doti sono

fondamentalmente usati come elementi a loro disfavore, in quanto

mettono in condizione di svantaggio chi si pone in concorrenza con loro e

approfondiscono quindi il disprezzo e il pregiudizio.

10 "Corriere della Sera", 30 agosto 1938.

Page 118: Tesi di laurea

118

Altro procedimento tipico sembra essere l'attribuzione al nemico dei

propri sordidi meccanismi di propaganda. La seconda parte dell'inchiesta,

che riprende il secondo capitolo del libro, riguarda infatti La fabbrica

delle invenzioni, ovvero la stampa giudaica dei paesi democratici.

L'articolo appare il 31 agosto, in contemporanea con l'attacco del "Popolo

d'Italia" ai giornalisti ebrei italiani. Il meccanismo della "fabbrica", che

"lavora in nome delle magiche parole democrazia, libertà, giustizia,"

sembra avere due regole basilari: negare i fatti e mettere in cattiva luce le

cause iniziali e i susseguenti avvenimenti; accusare il nemico di tutti quei

crimini che si vogliono compiere o che si sono compiuti.

Ed ancora:

Per raggiungere i propri scopi i responsabili della tragedia spagnola e i loro satelliti non hanno rinunciato all'unica arma offerta dall'arsenale propagandistico; metodica invenzione di incidenti, condizioni, informazioni; sfruttamento di sentimenti religiosi, imperialistici, politici e di ragioni strategiche; ricatto, corruzione, inganno: tutto è stato usato per obbligare parte della stampa del mondo a far circolare le notizie che si voleva far conoscere.

I passi successivi dell'inchiesta ripropongono l'idea dell'alleanza fra

comunisti, giudei e massoni, in combutta per sovvertire il mondo,

un'"alleanza satanica" che non agisce allo scoperto, ma assume diverse

immagini secondo le circostanze11.

Un'altra inchiesta riportata dal "Corriere della Sera" avrà una

maggiore pretesa di "scientificità", per il suo approccio statistico e per il

fatto di essere stata condotta da un ebreo, il che dovrebbe far assumere un

innegabile carattere di verità. L'indagine è uno studio a carattere europeo

sulle categorie di reati ai quali gli ebrei concorrono in relazione al loro

numero in quote maggiori che i non ebrei. I reati più diffusi risultano

11Comunisti, giudei e massoni, "Corriere della Sera", 1 settembre 1938.

Page 119: Tesi di laurea

119

essere l'usura, la bancarotta e la frode, oltre alla diffusione di letteratura

oscena, oltraggio al pudore, ricatto, renitenza agli obblighi militari, tutte

categorie che rispondono perfettamente ai pregiudizi più diffusi12.

Il 2 settembre il Consiglio dei Ministri approva il provvedimento

sull'espulsione degli ebrei stranieri e Gayda può così sottolineare che la

politica razziale è nel pieno della sua applicazione. Nell'articolo

Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri il direttore del "Giornale

d'Italia" ribadisce che gli ebrei, corpo estraneo all'interno della Nazione,

sono i protagonisti di un'indebita concorrenza economica, per cui le

norme italiane sono improntate alla giustizia ed alla necessità nazionale.

Gli altri paesi hanno da tempo chiuso le porte a nuove immigrazioni

ebraiche, perché si è riconosciuto il risultato negativo delle precedenti. Lo

stesso spirito e la volontà ebraica contribuiscono ad allontanare questa

razza dalle altre, per il costante rifiuto di assimilarsi. Nell'articolo del

giorno successivo, Necessità e diritto, sempre Gayda ribadisce

l'opportunità dei provvedimenti sulla scuola. E' infatti opportuno che si

inizi dalla cultura, perché la razza è realtà non solo biologica, ma anche

spirituale.

Il 3 settembre il "Popolo d'Italia" dedica l'intera prima pagina

all'esclusione dei professori e degli studenti ebrei dalle scuole statali e

private. L'attenzione all'aspetto educativo e culturale sembra confermare

l'intenzione del regime fascista di completare la totalitarizzazione dello

Stato. Con il pretesto di liberare il mondo della cultura da ogni influsso

"giudaico" si vuole infatti dare alla scuola "un carattere ed una funzione

assolutamente e perentoriamente nazionali, epurandola di ogni elemento

equivoco e facendone uno strumento all'esclusivo servizio della patria

12 Cfr. W. Foss, C, Gerhaty, Giudei e moscoviti responsabili della rivoluzione in Spagna, "Corriere della Sera", 3 settembre 1938.

Page 120: Tesi di laurea

120

imperiale". Il "Corriere della Sera" parla di Decisa azione razzista contro

l'invadenza giudaica, riprendendo un articolo del "Tevere" sulla

possibilità eventuale di assimilare gli ebrei. Per gli ebrei la cittadinanza "è

una falsa carta d'identità". Infatti l'ebreo deve dimostrarsi cittadino del

paese che lo ospita, altrimenti è perseguito dal Codice. Ma un ebreo non

può essere italiano perché

la partecipazione dell'ebreo ai fatti della Nazione che lo ospita è sempre occasionale, fortuita e in ogni caso ispirata a motivi che non si identificano mai, ma soltanto coincidono, coi fini che la Nazione persegue13.

Tutti i provvedimenti successivi sono riportati con grande rilievo, e

viene sottolineata allo stesso tempo la continuità della politica eugenetica,

sanitaria e demografica con tutti i provvedimenti in "difesa della razza".

Ma se con l'Informazione Diplomatica n. 18 Mussolini aveva suggerito

un criterio proporzionale nella discriminazione, che adeguasse il rapporto

degli ebrei alla vita globale dello stato con una proporzione dell'uno per

mille, il nuovo progetto, che prenderà corpo con la riunione del Gran

Consiglio del 6 ottobre, prevede una rigida politica di separazione. La

Dichiarazione sulla Razza del 6 ottobre è salutata con entusiasmo da tutta

la stampa italiana. La nuova politica trova naturalmente in Virginio

Gayda uno dei più accesi sostenitori. Nell'articolo Separazione dell'8

ottobre, Gayda sottolinea la decisione e la risolutezza del fascismo, i cui

ultimi provvedimenti sono il logico coronamento di una lunga e tenace

politica demografica. I caratteri generali della legislazione sono

individuati nell'assenza di qualsiasi carattere persecutorio, ma allo stesso

tempo nell'intransigente volontà di preservare la razza italiana dal

13Decisa azione razzista contro l'invadenza giudaica, s.f., "Corriere della Sera", 3 settembre 1938.

Page 121: Tesi di laurea

121

contatto con altre razze. Le misure italiane, "separando nettamente i

rappresentanti della razza ebraica dalle funzioni dello Stato e dal corpo

della vita della Nazione italiana, non importano alcuno spirito offensivo e

alcuna pratica persecutoria". Il commento del "Popolo d'Italia" riassume

la posizione del regime fascista in materia di razza. L'articolo Tavole

fondamentali del razzismo fascista precisa che il problema ebraico non è

che un aspetto di un problema di carattere più generale. La razza ebraica è

l'unica razza non italiana di una certa entità ed influenza presente nella

penisola, a diretto contatto con il popolo italiano. Nonostante l'ebraismo

sia sempre stato l'animatore dell'antifascismo, le decisioni del Gran

Consiglio sarebbero improntate alla massima umanità e giustizia. Il

fascismo avrebbe come unico obiettivo la difesa della razza italiana

dall'influenza deleteria della razza ebraica, la cui concezione politica-

religiosa-sociale contrasta con quella fascista. L'ipocrisia di queste

affermazioni viene rilevata perfino dal Ministero, che, con una nota del

10 ottobre, comunica: "I giornali hanno usato troppo sentimentalismo nei

confronti dei provvedimenti razziali del Gran Consiglio. Riprendere un

tono più sostenuto"14. Merito di questi articoli è comunque quello di

scoprire il vero intento del regime: se la "concezione" di vita ebraica

contrasta con quella fascista, allora la "psicologia" ebraica appare

pericolosa perché diversa da quella dominante:

(Al di là) della concorrenza economica, del disagio...noi ci preoccupiamo innanzitutto del pericolo spirituale e dell'insidia politica che il movimento giudaico rappresenta15.

14F. Flora, op. cit., pag. 103.15Logico sviluppo, s.f., "Corriere della Sera", 3 settembre 1938.

Page 122: Tesi di laurea

122

Per Paolo Orano il pensiero politico ebraico è "una critica erosiva,

una continua negazione, un'intolleranza, a lungo andare, un

rivoluzionarismo che diventa anarchia"16. Secondo Orano l'ebraismo esiste

quindi come contraddizione e negazione, e gli ebrei sono nomadi che

pretendono ed ottengono tutti i diritti degli stati che li ospitano, ma senza

sentirsene parte. L'ebraismo sarebbe un "difetto" di sviluppo della storia,

perché mira ovunque e sempre a distruggere lo Stato, che è invece l'unica

finalità del divenire sociale. Ancora più esplicito è l'articolo Razzismo

fascista, pubblicato dal "Corriere della Sera" l'8 ottobre 1938, per cui

l'antisemitismo del fascismo è esclusivamente politico e non ha nulla a

che fare con una persecuzione religiosa.

In questa prospettiva di contrapposizione politica, più che razziale, i

comportamenti concreti degli ebrei devono essere posti sempre di più in

primo piano dalla propaganda, a giustificare la presa di posizione contro

il pericolo giudaico.

Disposizioni legislative del 1932 avevano stabilito rigide limitazioni

per la cronaca nera, quali il limite di trenta righe ed il titolo su una sola

colonna17. Queste leggi vengono "dimenticate" per accogliere con grande

clamore l'annuncio dell'arresto di Renato Sacerdoti, pubblicato dalla

stampa il 7 ottobre. Sacerdoti, personalità di spicco della capitale, è

accusato di essere a capo di un'organizzazione specializzata nel

contrabbando di valuta. L'amore per il lucro e la propensione alla truffa

degli ebrei sono ovviamente messi in risalto dagli articoli che seguono,

giorno dopo giorno, l'evolvere della vicenda. Oltre alle imprese della

"banda Sacerdoti", ben presto vengono segnalati altri traffici di valuta fra 16P. Orano, Il pensiero politico nell' antica Israele, "Corriere della Sera", 9 settembre 1938.17Cfr. P. Murialdi, La stampa del regime fascista, Roma-Bari, Laterza, 1986, pag. 60 e sgg.

Page 123: Tesi di laurea

123

l'Italia e la Svizzera, "colpi di mano" di commercianti ebrei fuggiti in

Palestina, truffe ai danni di "ingenue signore", costituzioni di società

anonime per aggirare la legge, scoperte di "criminose sedi giudaiche" in

cui si fabbricano passaporti falsi e persino la notizia di un furto di ebrei ai

danni di altri ebrei. Il 17 ottobre viene dato molto rilievo all'arresto di

Eugenio Colorni, definito il "tipico rappresentante dell'ebraismo

internazionalista" dal "Popolo d'Italia". Colorni era colpevole di essere

alla testa di "cellule antifasciste" e di mantenere "rapporti di natura

politica con altri ebrei residenti in Italia e all'Estero". Uno di questi

contatti era individuato nell'ex deputato Dino Philipson, "losca figura" e

complice della "criminosa attività" di Colorni a Trieste. In realtà i due

arresti, avvicinati per dimostrare l'esistenza di un complotto ebraico

antifascista, erano indipendenti fra loro, essendo il primo avvenuto l'8

settembre a causa dell'attività socialista di Colorni. La Nota del Ministero

tuttavia comunicava:

I giornali commentino il comunicato Stefani sull'arresto del prof. Colorni ponendo in rilievo che le attività svolte da lui e dagli altri rimontano ad un periodo antecedente a quello nel quale fu agitato in Italia il problema della razza. Il Colorni e gli altri non meritano quindi alcuna pietà18.

L'indicazione dell'esistenza di un complotto ebraico antitaliano

giustificava a posteriori l'emanazione delle norme previste dalla

Dichiarazione sulla Razza e nello stesso tempo permetteva al "Popolo

d'Italia" di ammonire, lo stesso 17 ottobre, che alcune concessioni fatte

agli ebrei potevano essere "annullate o aggravate a seconda

dell'atteggiamento che l'ebraismo assumerà nei riguardi dell'Italia

fascista".

18Cit. in F. Flora, op. cit., pag. 104.

Page 124: Tesi di laurea

124

L'11 novembre vengono approvate dal Consiglio dei Ministri le

leggi per la difesa della razza che il commento del "Popolo d'Italia"

definisce "massima espressione della legislazione razziale" e tali da

completare "un' opera che la Rivoluzione fascista può consegnare con

orgoglio alla storia e che il Duce, fin dal 1919, avviò con fatidiche parole

al compimento". L'articolo di fondo del "Corriere della Sera", Torniamo

alle origini, ribadiva appunto che Mussolini, fin dal suo articolo del 4

giugno 1919, aveva individuato l'identità fra ebraismo e bolscevismo.

Secondo l' anonimo articolista, nel 1919 era certo difficile vedere il

legame fra il bolscevismo e la congiura internazionale degli affaristi e dei

banchieri:

Solo nel corso degli anni si vide che era realmente così, e che l'apparente contraddizione fra una politica capitalistica e sfruttatrice ed una politica sedicente proletaria e rivoluzionaria si spiegava col duplice contrastante aspetto degli interessi ebraici, che in certi Paesi e in certi momenti tendono a conservare ed accumulare, in altri a demolire e disperdere; sempre per il vantaggio del ghetto e della sua crescente potenza.

Ancora più stupefacente è la considerazione di Mussolini

sull'"eterno odio" degli ebrei per il Cristianesimo, che si è espresso nei

tentativi di diseducazione sociale e di propaganda contro la famiglia,

l'ordine economico, gli ideali nazionali. Questa interpretazione storica è

ora considerata la fonte d'ispirazione del movimento fascista, per cui la

difesa contro questi principi conduce necessariamente al razzismo:

L'azione fascista resta fedele a se stessa. Essa arriva, talora con qualche ritardo, ma arriva sempre.

Page 125: Tesi di laurea

125

La preoccupazione del regime, dopo il completamento dell'apparato

legislativo, è ora quella di sviluppare sempre di più la coscienza razziale

degli italiani. Questo scopo verrà perseguito con attacchi sempre più

personali e volgari. Le riviste, ma anche molti quotidiani, pubblicheranno,

soprattutto durante la guerra, vignette e foto che sottolineano l'aspetto

fisico degli ebrei, con i tipici caratteri loro attribuiti: statura bassa o

media, naso lungo e adunco, carnagione scura, capelli neri e spesso

ondulati, labbra grosse, piedi piatti e tendenza alla pinguedine nelle

donne. Un articolo del "Popolo di Roma" del 1941 è l'esempio lampante

di questa procedura. Secondo il titolo, Più che dalla stella gialla gli ebrei

si riconoscono dalla ferocia dello sguardo: "gote livide, bocche ferine,

occhi di fiamma ossidrica, spinti e perforanti dal sotto in su". Il sindaco di

New York, La Guardia, è un "ratto di fogna", mentre "il più sozzo, il più

ripugnante, il più disumano e nemico" è nientemeno che Charlie Chaplin.

Inoltre i criminali ebraici ed i loro trucchi sono sempre identificati

"attraverso i segni inconfondibili della loro razza"19

Il primato di questa propaganda spetta però alla rivista di Interlandi,

"La Difesa della Razza", che, pubblicizzata come portatrice delle

posizioni "scientifiche" del razzismo italiano, finirà per risultare la

succursale italiana del famigerato "Der Sturmer" di Streicher.

Con un grande lancio pubblicitario, il quindicinale, che nelle

intenzioni dei suoi promotori avrebbe dovuto rappresentare lo strumento

"scientifico" della propaganda razziale, usciva nelle edicole il 5 agosto

1938.

Sin dall'inizio la rivista si propone di dimostrare che "la scienza è

con noi", sottolineando l'interesse per un razzismo "biologico" più che

19I trucchi ebraici, s.f., "Corriere della Sera", 9 ottobre 1938.

Page 126: Tesi di laurea

126

"spirituale". Tuttavia il primo numero si dibatte in una serie di

contraddizioni. La prima preoccupazione è quella di smentire i pretesi

atteggiamenti filosemiti del regime. Il fascismo in realtà seguirebbe una

politica razzista da sedici anni, ma solo la conquista dell'Impero avrebbe

posto in essere la necessità di provvedimenti legislativi che evitassero la

confusione fra la "razza" italiana, appartenente al gruppo degli

indoeuropei, e le altre razze, fra cui gli ebrei. Gli stessi ebrei sono stati da

sempre promotori del razzismo, considerandosi razza diversa e superiore

rispetto a tutte le altre. Malgrado la politica tollerante del regime, essi

hanno costituito lo stato maggiore dell'antifascismo. Proprio questa

accusa è ripresa per giustificare il diverso atteggiamento di Mussolini

rispetto ai suoi colloqui con Ludwig del 1932. In quella occasione il duce

aveva affermato che l'antisemitismo non esisteva in Italia, ma dal 1932

sarebbe sorto il "semitismo" nel mondo, che avrebbe dimostrato in più

occasioni, a partire dall'appoggio alla politica sanzionistica, la sua

avversione per il fascismo ed il nuovo "Impero di Roma". L'Italia fascista

è diversa dall'Italia di ieri, che poteva ignorare l'antisemitismo: secondo

Interlandi bisogna chiarire agli italiani l'"irrevocabile necessità" del

razzismo, contro la minaccia degli ebrei per la società umana.

I primi articoli della rivista sembrano chiaramente abbracciare la tesi

del razzismo biologico. Guido Landra, uno dei firmatari del Manifesto, in

Eredità biologica e razzismo afferma che gli uomini non sono

biologicamente tutti uguali fra di loro, mentre Marcello Ricci scrive che

"l'eredità biologica consiste nella trasmissione dei caratteri morfologici e

fisiologici delle specie degli ascendenti". Citando le leggi di Mendel,

Ricci afferma che tutte le caratteristiche di un individuo sono già presenti

nell'uovo fecondato, e tutti i caratteri umani sono dipendenti

Page 127: Tesi di laurea

127

dall'ereditarietà, per cui l'ambiente può renderle meno evidenti, non

cancellarle20.

Tuttavia nella pagina seguente appare l'articolo di Edoardo

Zavattini, Ambiente naturale e caratteri biopsichici della razza italiana,

in cui fa la sua ricomparsa la visione "spiritualista" del razzismo:

La razza italiana ha caratteristiche biopsichiche che sono esclusivamente sue; caratteristiche che gli (sic) sono state impresse da fattori naturali ambientali. L'ambiente ha modellato la psiche dell'italiano, e poiché questo ambiente è unico...anche la razza che vive in questa nostra terra ha una sua impronta psicologica che le è esclusiva; più ancora dei tratti somatici, più ancora delle strutture morfologiche, la razza italiana ha una sua assoluta individualità psichica e spirituale.

Nell'articolo La borghesia e la razza non manca l'attacco alla classe

borghese, quasi a sottolineare la continuità fra la nuova polemica

antisemita ed uno dei "classici" bersagli polemici del fascismo 21. La

condanna è verso l'identità cosmopolita della borghesia, che è uguale in

tutte le nazioni, così come il denaro che è il suo oggetto. Fin dal 1922 la

borghesia in Italia era governata da ebrei, cui vanno tolte le funzioni di.

comando. Il fascismo deve ora completare l'opera iniziata nel '22 contro

coloro che, attraverso l'indifferenza per i valori della razza, hanno

affermato il proprio razzismo.

Il secondo numero della rivista riprende i temi "scientifici" del

precedente. Ancora Guido Landra, nell'articolo Concetti del razzismo

italiano, propone la distinzione fra popoli ariani/indoeuropei e

camito/semitici. Tale distinzione ha le sue basi in differenze culturali, ma

soprattutto in differenze razziali. Gli Arii avrebbero occupato l'Italia al

primo apparire della civiltà dei metalli, e da allora la composizione

20M. Ricci, Eredità biologica e razzismo, "La Difesa della Razza", anno I, no. 1.21 ivi, La borghesia e la razza, s.f.

Page 128: Tesi di laurea

128

razziale non avrebbe subito grandi mutamenti perché i movimenti

migratori, anch'essi di origine ariana, erano facilmente assimilati. Gli

ebrei hanno caratteristiche ben precise della razza semita: naso, sporgenza

della faccia, occhi a mandorla, capelli scuri e spesso crespi o ricci, statura

mediocre, modo inconfondibile di muoversi e di parlare. Compito del

razzismo fascista, che si propone come differenzialista e non gerarchico,

essendo "contrario alla distinzione fra razze inferiori e superiori", è

reagire contro tutte le forme di alterazione della civiltà italiana. Gli

elementi razziali eterogenei, come gli ebrei, contribuirebbero infatti a

rompere la perfetta armonia di una razza pura.

I caratteri fisici peculiari di ogni razza sono ripresi da varie tabelle,

che si propongono di dimostrare le differenze razziali già presenti nei

primissimi mesi di vita embrionale. Appare chiara l'intenzione di

condizionare anche il razzismo italiano al rispetto delle leggi

dell'ereditarietà.

Nel terzo numero tuttavia si ripropone la sostanziale diversità di

vedute fra il direttore Interlandi e Guido Landra. Interlandi infatti,

dedicando il suo editoriale alle leggi sulla scuola, sottolinea come il

problema razziale sia una necessità biologica ma allo stesso tempo

un'esigenza spirituale. La scuola e la cultura sono stati i tradizionali canali

della conquista ebraica dell'Italia, per cui la "difesa della razza" comincia

dal fronte dello spirito, sul terreno della cultura. La razza italiana ha i suoi

tratti biologici inconfondibili, ma deve anche lottare per riacquistare le

qualità spirituali che gli ebrei le hanno fatto smarrire. Nello stesso

numero Landra continua la sua analisi dei tratti fisici della razza italiana,

attraverso lo studio della capacità cranica ("Naturalmente esiste una

differenza nelle capacità tra l'uomo e la donna, e questo in tutte le razze"),

Page 129: Tesi di laurea

129

e dei tratti somatici, concludendo che il tipo italiano più caratteristico

risulta essere biondo con gli occhi chiari. Giuseppe Lucidi, a sua volta,

propone una "dottrina del sangue" con caratteristiche diverse da quella

evoliana, perché intesa come "affermazione della materia sullo spirito,

rinascita selvaggia dell'oscura voce dell'istinto, ed affermazione di un

nuovo paganesimo". Secondo Lucidi il concetto di razza è puramente

biologico ed è quindi basato "su altre considerazioni che non i concetti di

popolazione e nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche,

linguistiche, religiose".

I mesi successivi vedono "La Difesa della razza" schierarsi in modo

sempre più netto su posizioni pseudo-scientifiche di stampo tedesco.

Attraverso lo studio delle malattie ereditarie, scale metriche e statistiche

si vuole dimostrare che il miglioramento della razza italiana potrebbe

essere inficiato da "incroci ed imbastardimenti", secondo l'affermazione

del Gran Consiglio. Ancora Lucidi afferma, nell'articolo Purezza ed

unità di sangue nella razza italiana, apparso nel numero 6 della rivista,

che il sangue viene ereditato secondo leggi ben determinate: "Il substrato

biologico dell'individuo ha caratteristiche definite individuali e di razza".

L'identità fondamentale del sangue è la legge da cui nascono "le

misteriose affinità elettive che uniscono i singoli in un popolo e fanno

veramente di più individui una nazione".

Appare in queste parole sempre più evidente l'artificiosità della

distinzione tra razzismo dello "spirito" e materialista, e soprattutto la

difficoltà di sostenere una dottrina italiana autonoma in materia di

antisemitismo.

Accanto agli articoli "scientifici", ben presto la rivista utilizzò gli

usuali luoghi comuni antiebraici. Spunti antisemiti vennero ricercati nella

Page 130: Tesi di laurea

130

romanità classica, mentre gli stessi scrittori ed artisti italiani vennero

tacciati di antisemitismo, con evidenti forzature e distorsioni. Accadde

allora che Benedetto Croce venisse definito antisemita perché aveva

rimproverato ad alcuni filosofi ebrei di sostenere l'illuminismo

razionalista del 700 e di non aver compreso lo storicismo; Leopardi, poeta

razzista, in quanto in qualche passo dello "Zibaldone" avrebbe criticato

alcuni aspetti della mentalità ebraica; Leonardo, pittore antisemita, dato

che nell'"Ultima cena" avrebbe attribuito a tutti i visi degli Apostoli i tratti

"ebrei tipici ed inconfondibili".

* * *

Sulla base dello spoglio analitico della stampa fascista che abbiamo

sin qui condotto, cerchiamo ora di trarre qualche conclusione generale

sulle caratteristiche della propaganda antisemita sui giornali fascisti.

Durante la campagna antiebraica, la stampa fascista si riconferma

strumento di un progetto politico funzionale agli interessi dello Stato.

Tutti i giornalisti si sentono impegnati in prima linea nella nuova battaglia

del regime, si considerano militanti di un importante servizio pubblico,

responsabili all'interno di un meccanismo unitario.

Le caratteristiche del giornalismo fascista sembrano essere la

selezione acritica delle notizie e la loro manipolazione essenzialmente

politica, mentre il linguaggio si caratterizza per il carattere rituale, la

ripetitività delle espressioni e la retorica degli slogans. Proprio questa

particolare forma di linguaggio ci consente di analizzare il risultato delle

Page 131: Tesi di laurea

131

propaganda in termini di rapporto fra coazione e consenso. Come ha

infatti sottolineato Mario Isnenghi,

non spiegheremo e non ci daremo ragione del grado di riuscita di questa campagna pedagogica di stato dichiaratamente intesa a fare gli italiani o a rifarli in senso storicamente rinnovato, tenendoci fuori dai parametri che sono loro propri: massificazione, semplificazione, formalizzazione, ritualizzazione, traduzione in linguaggio catechistico e chiesastico22.

Le leggi del 1925-26 sulla stampa avevano stabilito il controllo dello

Stato sulla proprietà dei giornali, la nomina statale dei direttori, il divieto

di creazione di nuovi quotidiani ed instaurato la pratica delle veline del

Ministero della Cultura Popolare. La manipolazione dell'informazione e

dei messaggi diventa così pianificata direttamente dallo Stato, quindi

istituzionalizzata. Lo Stato è l'unico rappresentante di diritto della

nazione, e la centralizzazione e la deformazione dell'informazione fanno

parte di un dichiarato programma di totalitarizzazione. Questa

affermazione di principio è riscontrabile in quello che è il testo ufficiale

sulla cultura fascista, edito nel 1936:

La stampa periodica - nel regime fascista - è un mezzo dello Stato. Non è un potere autonomo, che si può esplicare anche all'infuori dello Stato o contro di esso; è un servizio essenziale della vita moderna che concorre ai fini dello Stato23.

La direzione totalitaria è assunta dal sottosegretariato della Stampa e

poi dal Ministero della Cultura Popolare:

Di qui l'omogeneizzazione globale degli stereotipi e del linguaggio. Dietro le parole e gli slogan a corso forzoso, dietro identiche reazioni a fatti del giorno, dietro a molti articoli apparsi simultaneamente in decine di quotidiani, sta molto

22M. Isnenghi, Intellettuali militanti ed intellettuali funzionari, Torino, Einaudi, 1979, pag. 18.23PNF, La cultura fascista, Roma, La Libreria dello Stato, 1936, pag. 53.

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132

spesso - insieme ad una spontanea solidarietà di classe, di partito, e all'influenza della Stefani, l'agenzia di stampa di stato - l'indicazione prescrittiva di un'unica "velina" giunta da Roma. Siamo di fronte ad un'imponente opera di "riscrittura" e "riformulazione" quotidiana degli avvenimenti, interni e d esteri, nel quadro di una pedagogia di regime e di una concezione del giornalismo come scuola per gli adulti24.

Si assiste alla vera e propria creazione di un "vocabolario di

regime", dal linguaggio iperbolico e stereotipato: compito di una

campagna di stampa come quella antiebraica è dichiaratamente educare il

popolo italiano al comando ed alla consapevolezza di un nuovo ruolo

internazionale. Questa nuova "pedagogia", esplicita nel Secondo libro del

fascista, "catechismo" ad uso nelle scuole medie, punta all'educazione

collettiva di una società massificata e sempre più conformista. Il regime

fascista si propone di occupare ogni spazio, soprattutto attraverso

l'espulsione del "diverso".

Rispetto al giornalismo censurato di guerra, il fascismo dispone di

numerosi e moderni mass-media, attraverso i quali comunica un solo

messaggio in un solo linguaggio, ridondante, iterato e schematizzato.

Questa standardizzazione è particolarmente visibile nella stampa

quotidiana, nella sua necessità assidua di reiterare il proprio messaggio e

il proprio stile. La stampa quotidiana diventa così

l'area dell'univoco: tutto vi è esplicito, caricato ed esibito, e l'universo dell'informazione tende qui a farsi unidimensionale25.

La pubblicistica periodica mantiene invece, pur nei limiti

dell'adesione al regime, una sua relativa autonomia, soprattutto nei

giornali giovanili e nelle riviste letterarie:

24M. Isnenghi, op. cit., pag. 53.25Ibid., pag. 182.

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133

Quanto al rapporto tra quotidiani e riviste si può formulare l'ipotesi che la pubblicistica periodica, folta e dispersa, sia il gran sottobosco che il regime conserva come valvola di sicurezza per le esercitazioni ideologiche, le nostalgie, le istanze, i dibattiti di categorie emarginate dal potere reale, per motivi sociali, politici o di generazione...; mentre ai quotidiani verrebbe richiesta una maggiore compattezza e ufficialità, in vista delle diverse funzioni, che per un quotidiano sono di aggregazione di più larghe masse tramite una forma di educazione collettiva degli adulti. Schematizzando: a) le riviste servono il regime organizzando il dissenso; b) i quotidiani lo servono organizzando il consenso26.

Per quanto riguarda la campagna antisemita, la Addis Saba sostiene

che il mito della razza ebbe scarsa risonanza nei giornali giovanili e che

l'interpretazione del razzismo da parte di questa pubblicistica venne

generalmente trascurata o riprodotta acriticamente27. In realtà sembra che

soprattutto la stampa dei GUF abbia svolto un ruolo essenziale nella

diffusione di stereotipi e pregiudizi antisemiti nella nuova generazione,

spesso utilizzando concetti più estremisti rispetto a quelli mostrati dalla

stampa quotidiana. Esempio di questo atteggiamento è la nascita di una

rivista come Razzismo in una realtà come quella di Catanzaro, di cui

parleremo in seguito, tipico esempio del paradosso di un "antisemitismo

senza ebrei". In questo caso ha sicuramente svolto un ruolo importante il

conformismo verso le direttive del regime, ma non si può tacere quella

che Bauman ha definito

l'incredibile capacità dell'antisemitismo di prestarsi a tutta una serie di preoccupazioni e di scopi...dovuta alla sua universalità, extratemporalità ed extraterritorialità...(L'antisemitismo) si adattava così bene a tante problematiche locali perché non era causalmente connesso con nessuna di esse28.

26Ibid., pag. 190.27Cfr. M. Addis Saba, Gioventù italiana del Littorio. La stampa dei giovani nell'Italia fascista, Milano, Feltrinelli, 1973, pag. 200.28Z. Bauman, Modernità ed Olocausto, Bologna, Il Mulino, 1992, pag. 67.

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134

Nella campagna antiebraica, i giornali a larga diffusione nazionale

che si distinguono di più per il loro zelo sono, come abbiamo visto, "Il

Giornale d'Italia", "Il Popolo d'Italia" e "Il Corriere della Sera". Il primo,

quotidiano romano fondato nel 1901, si distingue per l'esaltazione della

missione della "nuova Italia" e per la costruzione del "mito del Duce". Il

suo direttore, Virginio Gayda, è un esperto di problemi internazionali, ed

è considerato il portavoce ufficioso del Ministero degli Esteri. Non a

caso, quindi, i suoi frequenti interventi sulla questione ebraica sono

accolti come una posizione ufficiale del regime. Il "Popolo d'Italia",

fondato nel 1914 dallo stesso Mussolini, è il giornale ufficiale del duce,

ed è considerato "il supremo organo di orientamento politico" 29. Il

"Corriere della Sera" si uniforma all'atteggiamento di tutti i quotidiani, ma

mantiene un suo pubblico particolare e la tradizione di quotidiano

borghese. Per questo motivo, meglio di altri giornali, permette di studiare

i meccanismi di organizzazione del consenso, gli stereotipi più diffusi,

l'immagine dei protagonisti e delle vittime.

Gli elementi principali della campagna antisemita risultano, in

conclusione, i seguenti:

· la creazione dell'immagine di un "italiano nuovo", in

contrapposizione all'immagine dei perseguitati;

· la costruzione di un nuovo modello di Italia, potenza imperiale

contrapposta ai suoi nemici (soprattutto anglosassoni) e la creazione di

una nuova "epica" della romanità;

· la (auto)legittimazione della superiorità razziale e spirituale;

· la colpevolizzazione del nemico, la costruzione di pregiudizi e la

riproposizione di vecchi stereotipi antisemiti;

29P. Murialdi, op. cit., pag. 25.

Page 135: Tesi di laurea

135

· il culto di Mussolini, precursore e realizzatore della politica

razziale.

Attraverso questo modello l'ebreo poteva essere rappresentato

come incarnazione di tutto ciò che veniva avversato, temuto o disprezzato. Egli risultava un portatore del bolscevismo, ma, abbastanza curiosamente, era nello stesso tempo un difensore dello spirito liberale delle corrotte democrazie occidentali. Sul piano economico era contemporaneamente capitalista e socialista. Veniva accusato di indolente pacifismo ma, per una starna coincidenza, era anche un eterno fomentatore di guerre30.

Queste argomentazioni sono la prova della tipica ambiguità della

propaganda, e delle contraddizioni che segnano l'intera campagna di

stampa fascista. I giornalisti del regime si dibattono infatti fra due

concezioni opposte del razzismo, quella biologista e quella spiritualista,

nel difficile tentativo di trovare precedenti per l'antisemitismo italiano e di

tracciare un impossibile confine fra persecuzione e discriminazione.

Per questi motivi la propaganda fascista non riesce a liberarsi da un

inevitabile procedimento tautologico e da un'irrazionalità di fondo.

Attraverso l'utilizzo di argomenti irrazionali si vuole stimolare l'ansia per

la distruzione delle certezze e la dissoluzione di un equilibrio,

interpretando le difficoltà di un periodo storico come il risultato della

presenza ingombrante e sempre più massiccia degli ebrei. Ma allo stesso

tempo l'antisemitismo fascista sembra assumere una chiara connotazione

politica. Gli ebrei sono le vittime ideali della polemica antiborghese ed

antimodernista del regime. Sono il nemico "interno" ad ogni nazione per

la propaganda nazionalista, fungono da monito per la loro condizione di

"eterni" perseguitati.

30Weinrich, 1945, cit. in Z. Bauman, op. cit., pag. 68.

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136

Lo stereotipo che si diffonde con più facilità è quello della

"cospirazione internazionale" che mira al dominio ebraico mondiale. La

raffigurazione degli ebrei è quella tipica di

un élite sovranazionale, un potere invisibile mimetizzato dietro tutti i poteri visibili, un burattinaio nascosto responsabile di giochi del destino31.

La propaganda costruisce accuratamente la definizione del suo

oggetto, isolando le vittime con l'implicazione della loro "diversità".

L'accresciuta distanza fisica fra le persone implica l'isolamento di chi è

oggetto di pregiudizi, giustificando ogni tipo di "trattamento speciale".

Nella propaganda antisemita il tema dell'"alterità" dell'ebreo è molto

più importante di quello della sua "inferiorità". Spesso anzi si evoca una

superiorità intellettuale che però ha solo la conseguenza di rendere gli

ebrei più pericolosi. Il pericolo non può derivare da chi risulta inferiore,

quanto piuttosto da una potenza superiore, anche se negativa. In questa

ottica gli ebrei non possono essere asserviti, né tantomeno assimilati, ma

solo "discriminati", In questa posizione c'è in nuce la giustificazione del

genocidio. Nel delirio nazista, infatti, l'impossibilità di vedere gli ebrei

come "schiavi" condurrà alla "necessità" dello sterminio. Come E.

Lévinas ha sostenuto,

l'antisemitismo è l'archetipo di qualsiasi tipo di internamento. La stessa oppressione sociale non fa che imitare questo modello. Essa rinchiude gli individui all'interno di una classe, priva dell'espressione e condanna a significanti senza significato, dunque alla violenza a agli scontri32.

31Z. Bauman, op. cit., pag. 117.32E. Lévinas, cit. in P.A. Taguïeff, La forza del pregiudizio, Bologna, Il Mulino, 1994, pag. 110.

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137

Anche nella propaganda fascista gli ebrei non sono considerati

inferiori, bensì veri e propri nemici, con una concezione del mondo e

modi di agire differenti. La posizione spiritualista è quindi altrettanto

pericolosa di quella materialista: se non ci sono nette distinzioni di razza,

la differenza si esprime politicamente, ed il fascismo non poteva certo

accettare paradigmi diversi dal proprio.

L'abilità della propaganda consiste nel presentare le posizioni

razziste non solo come credenze o teorie, ma anche come risposte

pragmatiche a problemi concreti. Le argomentazioni della stampa

pongono in rilievo motivazioni teoriche, ma allo stesso tempo le

rinforzano con le "buone ragioni" di ordine pratico, come risulta dal

rinnovato interesse del regime per la cronaca nera.

I presupposti concettuali dell'antisemitismo fascista includono la

difesa dell'individualità di un popolo attraverso la separazione, la

protezione della razza superiore dagli incroci e dal meticciato, la

valorizzazione dell'omogeneità e della purezza degli ariani, legittimati ad

agire contro ogni possibile ibridazione. Lentamente diventa normale

parlare di separazione sociale, oltre che naturale.

L'ipotesi biologica esclude la possibilità di una volontà personale,

perché il destino umano è legato indissolubilmente all'appartenenza

biologica. Tuttavia, come ha sostenuto E. Balibar, l'antisemitismo è il

prototipo di un razzismo per cui non è più necessario il concetto

pseudobiologico di razza. L'antisemitismo moderno è già un razzismo

"culturalista"33. L'ebreo è visto come "costruzione psicologica", portatore

di una tradizione culturale di disgregazione morale e materiale.

L'elemento principale della propaganda fascista risulta quindi essere la

33Cfr. E. Balibar - I. Wallerstein, Razza nazione classe: le identità ambigue, Roma, Edizioni Associate, 1990, pag. 35.

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138

battaglia contro questa concezione del mondo, inconciliabile con la

propria.

Se H. Arendt ha sostenuto che l'antisemitismo è stato utilizzato

politicamente per combattere lo Stato34, l'analisi della propaganda fascista

sembra al contrario suggerire che sia stato il regime ad usare

l'antisemitismo per rafforzare lo Stato e riaffermare la monoliticità delle

istituzioni. La politica antiebraica avrebbe dovuto difatti svolgere lo

stesso ruolo della guerra d'Etiopia e della battaglia autarchica: riproporre

una solidarietà organica tra i membri della nazione ed eliminare qualsiasi

possibilità di opposizione. In questa ottica l'antisemitismo tradizionale,

cattolico e nazionalista, più che come causa, si presenta come un

necessario supporto all'azione discriminatoria. Certamente l'antisemitismo

fascista ha agito su un terreno preparato dall'antisemitismo cristiano, ma

per le sue caratteristiche non si identifica con esso.

In conclusione, il pregiudizio antisemita, negli intenti del fascismo,

assume una funzione sociale e politica, oltre che psicologica, e legittima

un procedimento attraverso il quale un gruppo specifico viene individuato

ed isolato attraverso l'attribuzione di segni e caratteristiche distintive e i

suoi comportamenti sono generalizzati e valutati negativamente.

Spesso gli stereotipi si autorafforzano e "creano" l'esperienza:

Nel produrre informazioni sui gruppi etnici, la gente non fornisce semplicemente evidenze basate su modelli interpretativi, ma costruisce evidenze a partire da preesistenti attitudini. E' lo stereotipo generale negativo che mi dice che io devo aver avuto solo esperienze negative. Noi troviamo che le opinioni sui gruppi etnici sono elaborate in modo circolare: un'esperienza negativa viene generalizzata fino a diventare un'opinione attitudinale generale, e l'opinione generale, viceversa, garantisce che alla fine si trovino esempi che la convalidano35.

34Cfr. H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit.35T. Van Dijk, cit. in P.A. Taguïeff, op. cit., pag. 27.

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139

Secondo R. Bastide, il pregiudizio appare sempre "come un atto di

difesa" di un gruppo dominante contro un gruppo dominato o di

giustificazione di uno sfruttamento"36. Solo attraverso l'identificazione

precisa del gruppo è quindi possibile astrarre e generalizzare creando

asserzioni razziste. La rigidità del sistema sociale permette in seguito la

costruzione di un modello di "capro espiatorio" attraverso il quale dare

risposta alle crisi individuali e collettive.

Anche alcune accuse della propaganda fascista hanno per oggetto

l'essere degli ebrei, indipendentemente dalle loro azioni concrete. Gli

ebrei sono designati come soggetti su cui riversare l'odio di un gruppo

alla ricerca di un'autolegittimazione. E' questo il modello che già nel 1942

era stato individuato da Jankélévitch:

Probabilmente per la prima volta ci sono uomini che vengono ufficialmente perseguitati non per ciò che fanno, ma per ciò che sono; essi espiano il proprio essere e non il proprio avere: non delle azioni...ma la fatalità di una nascita. Ciò restituisce tutto il senso al mito immemorabile del popolo maledetto, del popolo capro espiatorio, condannato a vagare da una nazione all'altra ed assumere su di sé i peccati di tutti37.

L'antisemitismo fascista ha rappresentato una delle risposte possibili

alla volontà di controllo ed omologazione della vita della nazione, che

passavano attraverso l'intolleranza per le altre identità e le altre culture.

L'ebraismo non era solo un elemento di disturbo sul piano culturale, ma

una comunità il cui organismo dirigente ufficiale non era completamente

fascistizzato.

36Cit., ibid., pag. 312.37Cit., ibid., pag. 33.

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Eppure, come ha notato Bauman, la propaganda non poteva essere

certo sufficiente per "isolare" gli ebrei38. Essa doveva essere sostenuta, per

essere efficace, da un corpus di norme legislative che approfondissero la

separazione fra gli ebrei ed il resto della popolazione, ma che soprattutto

dimostrassero che le misure restrittive colpivano gli Altri, non avendo

nessuna influenza sulla vita quotidiana della maggior parte della

popolazione. Per questo motivo il fascismo si dedicò in modo accurato

alla precisazione di chi fosse realmente ebreo, anche attraverso

contraddizioni e ripensamenti: l'affermazione così netta della "diversità"

consentiva infatti una presa di coscienza per i restanti cittadini italiani,

razzialmente "puri" e con alcune sicurezze morali in più.

In ogni caso la propaganda è stata essenziale per lo sviluppo di un

antisemitismo funzionale alle necessità del regime, soprattutto perché i

suoi meccanismi hanno permesso l'accettazione acritica da parte,

presumibilmente, di larghi strati della popolazione. Per raggiungere

questo risultato la propaganda ha spesso utilizzato processi inconsci ed

emozionali, facendo appello a pregiudizi diffusi e creandone di nuovi. Gli

stereotipi sono generalmente ripetuti e "sacralizzati", mentre il linguaggio

propone immagini contraffatte. In questo modo, per raggiungere un

obiettivo concreto (la totalitarizzazione dello Stato, la dissoluzione

dell'individuo in un'entità collettiva, l'assolutizzazione della comunità

d'appartenenza), il fascismo non esita ad utilizzare concetti irrazionali.

In definitiva il rifiuto degli ebrei si traduce in rifiuto

dell'universalismo.

38Cfr. Z. Bauman, op. cit., pag. 176 e sgg.

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141

CAPITOLO  

UNA POLEMICA COSENTINA SULLE LEGGI RAZZIALI

Nelle pagine che seguono cercherò di dimostrare come la stampa

locale, nel caso specifico quella cosentina, abbia avuto un ruolo

importante nella costruzione e nella diffusione del pregiudizio antisemita.

La prima impressione è che la propaganda locale abbia utilizzato temi

altrettanto rozzi e plateali di quelli della stampa nazionale, quasi ad

alimentare il paradosso di un "antisemitismo senza ebrei" di cui la

storiografia si è ampiamente occupata. Ma un'analisi più accurata

permette di individuare posizioni più sfumate, che culminano in un caso

di opposizione aperta alle posizioni del regime. La stampa cattolica

locale, soprattutto, si distingue in un primo momento per la sua condanna

decisa del razzismo fascista, salvo poi a convertirsi ad una linea di

imbarazzati silenzi e stentate deplorazioni.

Il giornalismo calabrese degli anni '30 non offre un panorama

particolarmente vivace. I quotidiani sono sempre più simili a fogli

d'ordine, e l'assoluta assenza di dialettica caratterizza la stampa locale in

modo ancora più accentuato di quanto non avvenga a livello nazionale.

Tuttavia un primo spoglio dei tre più importanti fogli cosentini del

periodo - "Parola di Vita", "Cronaca di Calabria" e "Calabria fascista" - e

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del "Bollettino Ufficiale dell'Archidiocesi di Cosenza", offre alcuni spunti

interessanti, e soprattutto rivela una polemica accesa fra il primo

periodico, organo della Curia arcivescovile, e la federazione provinciale

del fascio, che ha in "Calabria fascista" la sua diretta espressione.

Bisogna sottolineare inoltre che il GUF di Catanzaro ebbe un ruolo di

primo piano nell'appoggiare la campagna razzista del regime,

riconosciuto dalla stessa stampa nazionale1. Gli universitari di Catanzaro

pubblicarono infatti nel 1940 un quindicinale ciclostilato, dal titolo

perentorio di Razzismo, che fece da supporto a numerose conferenze

organizzate in città e ad una massiccia partecipazione ai Littoriali della

Razza.

"Parola di Vita" ha forti parole di condanna per il razzismo nazista

ed il suo direttore, don Luigi Nicoletti2, pagherà con l'allontanamento dal

1 Cfr. Il GUF di Catanzaro per la Difesa della Razza, "Giornale d' Italia", 16 ottobre 1938.2Luigi Nicoletti nacque nel 1883 a S. Giovanni in Fiore, il maggiore centro della Sila cosentina. Definito il "don Sturzo della Calabria", si impegnò sempre in politica, difendendo l'autonomia e la partecipazione dei sacerdoti nella vita amministrativa. Seguace di Romolo Murri e discepolo di don Carlo De Cardona, fondò insieme a quest'ultimo il Partito Popolare a Cosenza, di cui ricoprì la carica di segretario nel 1920. La sua visione illuministica dei problemi sociali, tuttavia, si scontrò ben presto con quella di De Cardona. Secondo Nicoletti la classe operaia e contadina non avrebbero potuto fare a meno della guida della borghesia illuminata e cattolica, in contrasto con la visione di De Cardona, che voleva affidare la rigenerazione della classe operaia alla sua forza intrinseca. Durante il periodo fascista Nicoletti rimase l'esponente cattolico cosentino di maggior rilievo, dirigendo dal 1936 al 1939 il giornale diocesano "Parola di Vita". Le sue prese di posizione contro le leggi razziali lo condussero al trasferimento nel Ginnasio-liceo di Galatina. Il suo allontanamento dal Liceo Telesio di Cosenza provocò un'insurrezione fra gli studenti, alcuni dei quali maturarono allora la scelta antifascista. Dopo la caduta del fascismo, unico sacerdote in Italia, venne eletto segretario provinciale della DC, carica che mantenne fino al 1952. Venne in seguito eletto consigliere provinciale, ottenendo la carica di assessore all'assistenza. Fino alla sua morte, avvenuta nel 1958, alternò l'impegno giornalistico dalle colonne del giornale "Democrazia Cristiana", da lui fondato nel 1943, a quello letterario: cfr. F. Cassiani, I contadini calabresi di Carlo De Cardona. 1898-1936, Roma, Edizioni Cinque Lune, 1976.

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suo incarico ed il trasferimento in provincia di Lecce la sua presa di

posizione contro l'antisemitismo fascista. Suo antagonista nella polemica

sarà il settimanale "Calabria fascista", l'organo di stampa più direttamente

impegnato nella campagna antiebraica. Nonostante Ruggero Zangrandi

abbia visto in quest'ultimo giornale un'espressione di anticonformismo3,

sembra piuttosto che "Calabria fascista" sia in prima linea nella polemica

antisemita, e che il suo tono pesantemente squadristico ed intimidatorio

abbia seguito l'orientamento della stampa nazionale più radicale.

Il "Bollettino", redatto personalmente dall'Arcivescovo del periodo,

mons. Roberto Nogara, condanna esplicitamente le teorie razziste del

nazionalsocialismo, e la politica del Terzo Reich verso la Chiesa in

Germania. Il mensile pubblicherà integralmente, nel maggio 1937,

l'enciclica Mit Brennender Sorge di Pio XI, sottolineando in questo modo

l'immagine negativa del nazismo negli ambienti ecclesiastici. Ma accanto

a queste posizioni manca, anche sulla stampa cattolica cosentina, ogni

riferimento diretto all'antisemitismo ed alle persecuzioni naziste nei

confronti degli ebrei. La polemica è spesso rivolta verso i fondamenti

biologici del razzismo nazista, mentre la questione ebraica rimane in

secondo piano. Il nazismo veniva attaccato nella sua pretesa di sostituirsi

alla Chiesa cristiana, diventando esso stesso una religione. Tuttavia il

razzismo nazista si manifestò soprattutto come antisemitismo, ma la

Chiesa sembrò non accorgersene. E' in questa prospettiva che risalta la

figura di don Nicoletti, che riserverà a tale questione uno spazio non

marginale, con toni lontani da ogni cautela. L'appoggio personale

dell'Arcivescovo, che aveva affidato a don Nicoletti importanti incarichi

nonostante le sue palesi posizioni antifasciste, sarà inutile proprio in

3Cfr. R. Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, Milano, Feltrinelli, 1962, pag. 485.

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occasione della polemica sulle leggi razziali, ancora a sottolineare

l'importanza che il regime attribuiva a tale svolta politica. Nicoletti

rappresentava un pericolo non solo come direttore di un giornale, la cui

diffusione era comunque limitata, ma soprattutto come tramite fra il clero

ed il laicato, in quanto dirigente dell'Azione Cattolica e soprattutto del

Movimento Laureati, nel quale, come ha notato Pietro Scoppola,

"soprattutto...andò maturando questo nuovo antifascismo di ispirazione

religiosa"4.

"Cronaca di Calabria", fondata nell'800 da Luigi Caputo, ed ormai

completamente fascistizzata, è un bisettimanale scarno, privo di articoli

enfatici, dal taglio molto regionale. Per il suo carattere di foglio storico-

culturale si pone al margine della polemica, ma, pur con tono contenuto,

manifesta la sua adesione alla svolta antiebraica del regime, occupandosi

soprattutto di speculazioni eugenetiche attraverso il suo collaboratore

Enzo Vitalone.

Seguace di Nicola Pende, Vitalone dedica numerose dissertazioni,

con il comune occhiello di "Difesa della Razza", ai problemi fisiologici,

genetici ed eugenetici che sottendono la questione dell'"integrità" della

razza italiana. Gli articoli, che occupano la prima pagina dei numeri di

agosto e settembre del 1938, dedicano particolare attenzione alla scienza

nipiologica, perché solo attraverso la tutela dell'infanzia, secondo l'autore,

si può prevenire il "decadimento" razziale dei popoli. Il primo articolo

della serie, pubblicato il 18 agosto, rivela il consenso di Vitalone per la

politica razziale del regime. La nuova politica fascista è vista come Una

nuova affermazione della scienza italiana e l'adesione di Vitalone è in

realtà l'adesione di tutta la scienza nazionale:

4P. Scoppola, La Chiesa e il fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1973, pag. 284.

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145

Ora che il Duce ha impostato in termini precisi e perentori il problema dell'integrità biologica della razza, si può essere certi che ...anche nel campo razziale, l'Italia darà a tutto il mondo con l'esempio il verace insegnamento di chi vede ed opera il bene di tutta l'umanità; ma aborre, per ben fondate ragioni materiali ed ideali, pratiche e spirituali, da quegli intrugli di razze incrociate che lanciano per il mondo gli ibridi che si chiamano mulatti e meticci, i quali nella razza umana rappresentano una sottospecie che mina alle basi ogni legittimo e necessario orgoglio di supremazia biologica ed etnica della razza che ebbe da Dio la sublime missione del suo eterno progredire.

"Cronaca di Calabria" non pubblica il Manifesto, e le successive

disposizioni legislative sono senza commento, anche se corredate di

occhielli e sottotitoli che esprimono l'adesione del giornale.

Il primo riferimento chiaramente antiebraico è l'articolo di

Domenico Zangari, L'ebraismo nella storia, pubblicato il 27 settembre

1938. Secondo l'autore le disposizioni del regime contro gli ebrei

sarebbero motivate da motivi di "buon governo" e non di odio di razza.

Non tutti infatti hanno presente la storia della migrazione ebraica in Italia

e le sue nefaste conseguenze: al contrario è di drammatica attualità la

lenta penetrazione degli ebrei nelle istituzioni, la loro preponderanza

economica ed il pericolo permanente delle loro organizzazioni. Se gli

ebrei sono stati anticamente il "popolo eletto", dopo il deicidio da loro

commesso essi sono entrati nella seconda fase della loro storia, segnata

dalla dispersione. Le persecuzioni di cui gli ebrei si dolgono non sono

mosse da fanatismo religioso, ma provocate da assassini di fanciulli,

oltraggi, sacrilegi contro la SS. Eucaristia ed altri delitti da loro perpetrati.

Tuttavia per l'autore non è la mescolanza del sangue che bisogna temere,

ma è necessario preservare quell'"ideale" di purezza che nei legami di

famiglia, di religione, di patria, deve guidare l'Italia nella lotta contro la

barbarie".

Page 146: Tesi di laurea

146

Questo elenco dei peggiori luoghi comuni antisemiti è ripreso dallo

stesso Zangari nell'articolo del 20 ottobre, L'ebraismo nella cultura

calabrese, che, fra vari riferimenti bibliografici, accusa il vecchio

liberalismo di avere, con la "tolleranza dei culti, sbattezzato Roma coi

Nathan e il ceto dei numulari", ovvero gli ebrei, detentori ormai

indiscussi del potere finanziario.

La recensione del libro di Paolo Orano, Inchiesta sulla Razza, del 27

dicembre, offre l'occasione anche a "Cronaca di Calabria" di riprendere i

consueti luoghi comuni del razzismo fascista, la cui intransigenza deriva

dalla necessità di combattere il sionismo. L'antisemitismo sarebbe infatti

un'"inevitabile necessità", risultato dell'arroganza del semitismo. Questa

arroganza è rivolta anche verso la vita, la storia, la civiltà di quegli stati in

cui gli ebrei hanno vissuto, profittandone e assicurandosi il predominio

economico, intellettuale, culturale e finanziario.

Il numero del 31 dicembre si apre con l'articolo di Alfio Pisani Il

problema razziale. Secondo l'autore

la Rivoluzione fascista è Rivoluzione spirituale, che ripristina i valori della gente: morali, fisici, etnici e religiosi...In questa palingenesi di un popolo, che ha ritrovato se stesso e si svolge nella coscienza alta, forte e profonda del suo destino, non possono rimanere elementi eterogenei allo spirito, al genio, alla mentalità di esso, elementi cioè che non possono essere assimilabili in questo rinnovamento stesso. E tali sono gli elementi giudaici.

Nello stesso linguaggio approssimativo, Pisani continua affermando

l'irriducibilità fra ariani ed ebrei, essendo i primi iniziatori ed unici

depositari della civiltà. Gli ebrei sono invece, dispersi nel mondo,

parassiti negli organismi altrui. "Tenaci, avidi, scaltri i discendenti dei

giudei", i quali sono costituiti in sette che accentrano ed assorbono la vita

economica di una nazione: il loro idolo continua ad essere il vitello d'oro,

Page 147: Tesi di laurea

147

il dio denaro. Le nobili aspirazioni di un popolo sono così mortificate da

queste forze ostili. Per questo motivo il fascismo ha il dovere di fare del

razzismo:

un razzismo originale negli intenti, nel processo e nei limiti...fenomeno di Romanità contro ogni tentativo di imbastardimento della stirpe. Ne uscirà l'italiano puro, erede di Roma: l'italiano di Mussolini.

Il settimanale "Calabria fascista" in un primo momento non si

allinea alla stampa nazionale, che in diverse ondate, nel 1933-34 e nel

1936, come abbiamo già visto, conduce una campagna propagandistica

antiebraica. L'unico riferimento al problema razziale del 1934 è una

locandina pubblicitaria che, il 5 settembre, segnala l'articolo di Mussolini

sul "Popolo d'Italia", La razza bianca muore? Il giorno seguente

"Calabria fascista" riporta integralmente l'articolo, in cui non si parla però

di pericolo ebraico, ma di "pericolo giallo e nero" per la razza italiana ed

occidentale, minacciate dal decadimento demografico.

Il primo riferimento antiebraico è del 14 agosto 1937, e si inserisce

nel contesto della crociata antibolscevica rappresentata dalla guerra di

Spagna. L'equazione ebraismo/bolscevismo è il filo conduttore

dell'articolo L'ebraismo: pericolo mondiale?, che, attraverso la lezione

dei Protocolli, afferma che

l'ebraismo...prosegue incessante nella sua azione seminatrice di discordie. Una formidabile campagna è stata scatenata in tutto il mondo per mezzo della stampa, del cinema, della radio, contro molti Stati, fra cui la Polonia, la Romania, l'Ungheria, ma soprattutto contro la Germania (dove l'ebraismo sovvertitore fu radicalmente estirpato) che è fatta segno ad una guerra economica senza quartiere tesa a strangolare il nazionalsocialismo.

Page 148: Tesi di laurea

148

Il 20 agosto viene recensito il libro di Evola, Il mito del sangue, che

offre l'occasione per una panoramica sulle teorie razziste in voga al

momento. Il tono è generalmente non estremista e l'autore propone di

distinguere una verità teorica dall'efficienza pratica. Come "mito" l'idea

della razza è vera, in quanto agisce nella storia, ma come "dottrina" è il

risultato di tendenze diverse e di varia solidità, che solo in piccola parte si

possono ricondurre su un terreno scientifico. Nel libro di Evola la storia è

concepita dinamicamente

non come lo sviluppo dell'umanità al singolare, ma come scopo e lotta fra la "verità delle diverse razze umane e soprattutto come una vicenda movimentata, al centro della quale sta il destino della razza "aria" originaria...Il razzismo si trasforma in mito sociale e nazionale.

Un trafiletto nella rubrica Diorama del 28 agosto invita infine a

vigilare contro il pericolo che gli ebrei costituirebbero a livello

internazionale:

Il fronte popolare internazionale è oggi la grande piattaforma che gli ebrei preparano per raggiungere il loro scopo, come quello dei comunisti: la schiavitù delle Nazioni e dei popoli, insieme al dominio internazionale, simbolizzati dalla falce, dal martello e dall'ebraica stella di David.

Il 1938 di "Calabria fascista" si apre invece all'insegna della

polemica antiebraica, in anticipo persino rispetto alla grande stampa

nazionale. Il 10 gennaio 1938 l'annuncio della visita di Hitler in Italia è

accompagnato da un lungo sottotitolo: "L'antifascismo internazionale

dovrà persuadersi che i legami fra l'Italia e la Germania sono il risultato di

una reciproca comprensione, di un'identità di vedute e di un programma

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149

comune da svolgere contro il comunismo e la socialdemocrazia ebraico-

massonica".

Ancora più chiaro e diretto è l'attacco dell'articolo di Orazio

Carratelli, del 17 gennaio, dal titolo Forze occulte. Le forze occulte

sarebbero le protagoniste dei Protocolli dei savi Anziani di Sion,

ripubblicati in Italia in questo periodo, sulla cui veridicità "non c'è ormai

dubbio alcuno" e che vanno considerati di "innegabile e avvincente

interesse" .Secondo Carratelli il contenuto dei Protocolli sarebbe

confermato dalla vittoria in Russia del comunismo, formato al 99% da

ebrei, dalle insurrezioni bolsceviche in tutto il mondo, dalla prepotenza

delle democrazie, dalla recessione economica, dal ritorno dell'ebraismo in

Palestina, dalla creazione del "supergoverno" della Società delle Nazioni,

controllato da ebrei e massoni. Il pericolo dell'ebraismo è definito

"gravissimo" ed il contenuto dei Protocolli "ed il loro carattere davvero

profetico ne fanno lo specchio fedele dell'essenza e della volontà

ebraica". Profeticamente Carratelli conclude:

In Italia l'ebraismo non desta serie preoccupazioni e ciò perché il fascismo fa buona guardia e se domani dovesse accorgersi che i 40000 ebrei residenti nel Regno fossero strumento dell'internazionale ferocemente coalizzata contro di noi, non tarderebbe a spezzarne ogni azione con audacia ed impeto rivoluzionario.

Sul piano internazionale la lotta del fascismo contro l'ebraismo,

sinonimo di comunismo, internazionalismo, massoneria, è già iniziata. In

Italia bisogna vigilare soprattutto in quelle città dove gli ebrei possiedono

il monopolio della cultura, delle libere professioni, delle gerarchie

amministrative, delle banche, della stampa.

Certamente questa non era la situazione di Cosenza, dove non è

documentabile la presenza di ebrei negli anni '30. La propaganda locale

Page 150: Tesi di laurea

150

tuttavia assume subito i toni aspri che caratterizzano la stampa nazionale,

attraverso l'utilizzo di pregiudizi e stereotipi impossibili da "controllare"

per il lettore, ma comunque diffusi.

Il Manifesto è accolto infatti con evidente soddisfazione da

"Calabria fascista", che dedica al suo commento l'intera rubrica Diorama

del 25 luglio. Secondo l'anonimo autore la teoria italiana della razza

trova i suoi fondamenti nella scienza e non contraddice in alcun modo né alla religione, né alla filosofia spiritualistica, perché il suo dato è esclusivamente biologico. Dal momento che esiste una razza italiana, mantenutasi inalterata durante almeno dieci secoli, è evidente che abbiamo il dovere di difenderla e presidiarla e, insieme,...il diritto di andarne orgogliosi.

In contraddizione con l'articolo precedente, che sosteneva il

fondamento biologico del razzismo italiano, F.R. Fabiani, la settimana

seguente, afferma che il problema della razza è essenzialmente storico e

politico. Nell'articolo Razza e democrazia il giornalista rileva che la presa

di posizione del regime non è certo una mera enunciazione filosofica,

quanto una direttiva affinché gli italiani si formino una coscienza razzista.

Una coscienza che evidentemente non c'era, a giudicare dalle parole di

Fabiani:

Per essere sinceri dobbiamo convenire che il nostro popolo non guardava col dovuto interesse alla faccenda, e più ancora l'avrebbe trascurata se non si fosse intervenuti per inculcargli l'amore verso se stesso, verso le sue origini ed il suo progressivo perfezionamento.

Ma questa passività non si addice agli italiani, ed il fascismo non

può far altro che "stroncarla". La legge fondamentale del fascismo deve

diventare quindi la lotta contro ogni infiltrazione ed ibridismo, e

soprattutto contro il "semitismo invadente":

Page 151: Tesi di laurea

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L'ebreo è il più temibile elemento dissolvitore del razzismo altrui: tempista e commerciante, ipocrita ed irriducibile nella difesa delle sue carte...la natura dell'ebreo è tale da poter dare delle fatali conseguenze.

L'8 agosto il titolo del giornale, a piena pagina, è dedicato al

discorso di Mussolini a Trieste: Tireremo diritto. L'editoriale Fatica vana

riprende l'attacco del duce alla stampa antifascista, la quale punta all'amor

proprio degli italiani, accusandoli di imitare altre nazioni. Secondo

l'articolo, la reazione suscitata in quegli ambienti è il segnale più evidente

che il fascismo ha colto nel segno:

Una Rivoluzione, infatti, non sopporta ostacoli sul suo cammino e molte volte i suoi scopi e i suoi bersagli si precisano attraverso la polemica dei suoi avversari.

E la stessa polemica appare comunque strana, perché il documento

degli scienziati non è formulato in modo intransigente, tale è il suo

carattere di obiettività e verità. Gli attacchi alla dottrina della razza sono

quindi attacchi diretti al fascismo, che nel razzismo ha una delle sue

espressioni di principio più importanti.

Il 19 agosto Virginio Casciani cerca comunque di prendere le

distanze dall'antisemitismo tedesco. Nel suo articolo Nel segno leggiamo

infatti che

la concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana, e l'indirizzo ariano nordico. Questo non vuol dire, però, introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono, o affermare che gli Italiani e gli Scandinavi sono la stessa cosa. Ma vuole soltanto additare agli italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extraeuropee; questo vuol dire elevare l'italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.

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Il fascismo avrebbe quindi risolto la questione con il suo tipico

equilibrio fra due condizioni estreme. Da una parte il mito razzista

tedesco, che fa della razza il "massimo valore comune di coesione";

dall'altra gli imperi bolscevizzati, distruttori dei valori nazionali, aperti

nei confronti delle altre razze. Il fascismo quindi respinge ogni posizione

estremista, promuovendo in tal modo il principio spirituale, posto come

fondamento della nazione italiana, contro ogni concezione materialistica.

E' opportuno notare che, paradossalmente, la stessa pagina

dell'articolo ospita in un riquadro la frase "La questione del razzismo in

Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza

intenzioni filosofiche o religiose".

L'intero mese di agosto di "Calabria fascista" è comunque dedicato,

in osservanza alle direttive del Ministero, alla ripresa di discorsi e scritti

di Mussolini sulla questione razziale ed alla promozione de "La Difesa

della Razza". Il conformismo del giornale, e la sua pronta adesione alla

battaglia antisemita, sono premiati dal "compiacimento del Duce",

espresso da un telegramma di Alfieri pubblicato il 28 agosto. "Calabria

fascista", secondo il ministro, "ha dimostrato bene interpretare superiori

direttive circa problema razziale". Le superiori direttive stimolano articoli

sempre più grotteschi in cui il razzismo fascista è visto come necessità di

"legittima difesa" del regime. Si citano infatti brani del Talmud e di

scrittori ebrei che confermerebbero l'odio di Israele verso gli altri popoli,

mentre i minacciati boicottaggi degli ebrei di altri paesi sono l'occasione

per sottolineare che il fascismo "ha avuto ragione"5.

L'antitesi psicologica tra fascismo ed ebraismo è ripresa da Franco

Rocco Fabiani che, nell'articolo Mistica del razzismo del 19 settembre, si

5 Ebraismo Bolscevismo Massoneria, s.f., "Calabria fascista", 5 settembre 1938.

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ispira alle parole di Mussolini: "L'ebraismo mondiale è stato durante 16

anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del

fascismo". L'unità monolitica dello Stato, e la realtà di una completa

totalitarizzazione, sono gli obiettivi che Fabiani individua come

irrinunciabili:

L'Italia fascista si libera degli ultimi miasmi che potevano incrinare il cristallino divenire dei suoi alti destini; si disfà dopo le sue esperienze e gli insegnamenti prodigatele dalla campagna sanzionista, in cui l'internazionale ebraica ha giocato le carte migliori, di un peso che diveniva sempre più pericoloso...Il fascismo è uno col concetto di Patria e coll'espressione del popolo; Patria, Popolo e Fascismo formano cioè delle unità inscindibili. Non è come il bolscevismo che tenta tutte le infiltrazioni e tutti i processi dissolvitori...Ecco perché tra noi e gli ebrei, i quali rappresentano un nucleo precipuo del settarismo sovietico, doveva fatalmente intervenire una resa dei conti.

Nella stessa pagina, con l'articolo Piccola antologia giudaica,

prende posizione Fez Nero, pseudonimo che nasconde una delle penne

più corrosive ed estremiste del giornale. Secondo Fez Nero l'ebraismo ha

dichiarato guerra al fascismo, e questa guerra

l'abbiamo accettata e la condurremo sino in fondo per salvare la nostra purissima razza da ogni forma di pernicioso imbastardimento e liberare l'organismo della Nazione dall'insidiosa penetrazione giudaica. Nessuna compassione da parte nostra. Gli ebrei non sono da compiangere.

Il tema dell'omogeneità della razza italiana è ripreso da Luigi Bruni,

nell'articolo Nazionalità e razza del 26 settembre. Secondo l'autore

per comprendere appieno i provvedimenti fascisti sulla razza, occorre considerare il nostro popolo come qualcosa di psicologicamente sostanziale. Niente scorie. Sono tossine nocive.

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Il riferimento alla "psicologia" di una nazione è quindi nuovamente

presente. Lo stesso direttore Orazio Carratelli, nel suo editoriale dell'8

ottobre, avverte che "il primo pericolo per l'integrità della razza, anche

dal punto di vista politico, era rappresentato dall'ebraismo". L'articolo Gli

ebrei alla resa dei conti è una chiara dimostrazione dell'ipotesi politica

sottesa alla questione razziale. L'elenco degli episodi di opposizione

ebraica al fascismo è un atto di accusa verso una presunta posizione

antifascista: il conflitto etiopico, la politica sanzionista, l'ostilità verso la

politica autarchica, il sostegno economico alla guerra spagnola. Per un

regime che si proponeva come obiettivo l'assoluta identità

fascista/italiano, liberarsi dagli ebrei significava quindi curare una

"malattia sociale" più che una ferita alla purezza della razza.

Ma l'8 ottobre è soprattutto il giorno dell'attacco alle posizioni

antirazziste di "Parola di Vita", impersonate dal direttore Luigi Nicoletti.

La rubrica Faretra ospita un durissimo articolo, che prende spunto dal

mancato rilievo dato dal giornale della Curia agli avvenimenti di Monaco,

ed al ruolo svolto da Mussolini nella Conferenza. L'articolo Mentalità

antifascista è un nuovo attacco politico contro un presunto oppositore del

regime: l'autore rileva, "senza però alcuna meraviglia", che nel numero

del 30 settembre di "Parola di Vita" non si è "sentito il bisogno" di parlare

dell'opera del duce per la salvezza della pace. Il "giornaletto cattolico",

attraverso una "prosa a doppia faccia" e titoli ambigui, "ha voluto tacere

di proposito" dell'opera "geniale" di Mussolini, che al contrario avrebbe

riscosso l'ammirazione dei più alti prelati cattolici. Don Nicoletti avrebbe

relegato in seconda pagina persino il messaggio del Papa ed in fondo ad

una rubrica, dal titolo ambiguo Alla rinfusa, i risultati della conferenza di

Monaco. Secondo "Calabria fascista" in questo modo Nicoletti ha rivelato

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155

lo stesso spirito e gli stessi fini dei compagni bolscevichi. Dimostrando

però più astuzia: mentre comunisti ed ebrei, ancora una volta sconfitti,

sfogano la loro rabbia, il direttore di "Parola di Vita" minimizza la portata

degli eventi e la vittoria di Mussolini con il silenzio. Così prosegue

l'attacco a Nicoletti:

Ma ciò che noi oggi vogliamo rilevare non è soltanto l'ipocrita solidarietà dimostrata dal direttore di "Parola di Vita" coi lividi guerrafondai delle varie internazionali comuniste, giudaiche, massoniche che sperano, attraverso la guerra, di distruggere il Fascismo...ma anche il fatto non trascurabile che alla direzione di un giornale cattolico che si pubblica nel tempo fascista, di un giornale che dovrebbe portare nelle famiglie la parola serena della concordia, della pace, della giustizia, vi sia un uomo a tutti noto per il suo passato di avversario del Fascismo, un uomo che si dimostra contrario alla stessa morale cattolica, un uomo che, sentendosi sicuro sotto la veste di religioso, continua tuttora a svolgere attraverso il giornale che gli è stato affidato dalle autorità ecclesiastiche opera settaria e di denigrazione all'indirizzo di quel Regime che ha posto la religione di Cristo all'apice della vita nazionale e ha fatto del popolo italiano un popolo di credenti e di devoti.

Questa propensione evangelica del fascismo non era stata

sicuramente ben compresa da Nicoletti, il quale aveva fatto di "Parola di

Vita", pur con vari limiti, una voce fuori dal coro nel panorama calabrese.

La posizione del giornale, fin dal 1935, è infatti di aperto attacco al

razzismo nazista. Ogni numero, anche dopo il riavvicinamento fra Italia e

Germania, ospita articoli contro il nazismo ed il comunismo, e soprattutto

contro il neo-paganesimo di Rosenberg. Anche "Parola di Vita" accusa

tuttavia i limiti della grande stampa cattolica nazionale: gli articoli di

critica al razzismo tedesco non fanno riferimento al dramma degli ebrei,

all'antisemitismo dilagante, ma sono prese di posizione soprattutto contro

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gli attacchi e le limitazioni cui la Chiesa Cattolica tedesca era sottoposta

da parte delle autorità, una "vera lotta anticattolica e anticristiana"6.

Il 31 agosto 1935 Carlo Ricci, nell'articolo Feudalesimo razzista,

aveva avuto parole molto dure per una dottrina nazista

ridicola ed anacronistica...(che) ci riporta in pieno mondo pagano, seminando i germi venefici, sterilizzatori di qualsiasi progresso civile, di ogni ascensione spirituale conforme, non solo al pensiero evangelico, cristiano, cattolico, ma alla stessa esigenza di ogni ideale religioso veramente umano, universale.

Lo stesso Ricci, nell'articolo Il Vaticano ed il Terzo Reich del 10

marzo 1936, richiama le parole di S. Paolo ("non v'è più né Giudeo né

Greco, né servo né libero") per affermare che

le distinzioni etniche e nazionali non possono rivestire un carattere assoluto e che è perciò ridicolo parlare di superiorità e di privilegi di razza.

Il comunismo ed il nazismo sono visti come due movimenti simili,

con la differenza che

il comunismo è più brutalmente aperto, il nazismo è sornionamente ipocrita. Resta, moralmente, uno dei più grandi e truci oscuramenti della coscienza umana7.

Articoli contro il nazismo e sulla situazione della Chiesa in

Germania sono presenti anche sul "Bollettino", curati personalmente da

Mons. Nogara. Nei confronti del fascismo l'Arcivescovo di Cosenza

6Fra gli articoli apparsi nel 1935, i più importanti sono sicuramente L' iniqua parabola di F. Sorbaro (1 marzo); Il neo-paganesimo germanico, non firmato (11 marzo); Neo-paganesimo di L. Nicoletti (23 marzo); Apoteosi di forti dello stesso Nicoletti (29 maggio). 7 Comunismo e nazismo, s.f., "Parola di Vita", 29 agosto 1936.

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cercò sempre di approfittare degli spazi aperti e di evitare lo scontro, non rinunciando a dare autonomia a persone notoriamente antifasciste come don Luigi Nicoletti...: la politica del buon vicinato con le autorità, da lui praticata, non diventò mai cedimento, ma soltanto tentativo di evitare contrasti dannosi e inutili8.

L'Arcivescovo dimostrò sempre di approvare quello che Nicoletti

scriveva su "Parola di Vita", prendendo personalmente posizione sul

razzismo nazista attraverso il "Bollettino". Il mensile diocesano, pubblicò

integralmente la lettera enciclica del papa Mit Brennender Sorge, in cui

Pio XI attaccava duramente le teorie razziste:

Dio ha dato i suoi comandamenti in maniera sovrana, comandamenti indipendenti da tempo e spazio, da regione e razza9...Rivelazione in senso cristiano significa la parola di Dio agli uomini. Usare questo stesso termine per suggestioni provenienti dal sangue e dalla razza, per le irradiazioni della storia di un popolo è, in ogni caso, causare disorientamento10.

Nel giugno 1937 appariva sul "Bollettino" il testo del decreto con

cui si inseriva nell'Indice dei libri proibiti Il razzismo di G. Cogni, seguito

dal commento dell'"Osservatore Romano". Una nota dell'Arcivescovo

chiariva che tale commento veniva riportato perché "i nostri Sacerdoti

conoscano sempre meglio l'aberrazione di certe dottrine". L'atteggiamento

di mons. Nogara appare chiaro: non potendosi schierare direttamente

contro il fascismo e la sua politica, manifesta comunque il suo dissenso

attraverso la pubblicazione di articoli dell'"Osservatore Romano" e degli

8L. Intrieri, La crisi delle casse rurali e i rapporti di Mons. Roberto Nogara con don Carlo de Cardona e don Luigi Nicoletti in "Rivista storica calabrese", anno VIII, Gennaio-dicembre 1987, pag. 341.9La situazione della Chiesa Cattolica in Germania, in "Bollettino Ufficiale dell'Archidiocesi di Cosenza", maggio 1937, pag. 129.10Ibid., pag. 137.

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scritti del Papa, autorevoli ed inattaccabili persino dal regime. Questo

accorgimento sarà utilizzato anche nel 1938:

Affinché i nostri sacerdoti conoscano le aberrazioni a cui giunge la nuova teoria germanica della razza e del sangue, riportiamo dall'"Osservatore Romano" il seguente articolo che preghiamo di leggere seriamente11.

L'articolo, pubblicato sul giornale del Vaticano il 29 gennaio,

sottolineava l'incompatibilità fra cristianesimo e razzismo:

Quando il Cristianesimo si oppone a siffatto razzismo, non solo ne contraddice l'essenza materialistica e zoologica, ma le pericolosissime conseguenze che infrangono con la fratellanza dei popoli, l'eguaglianza della loro dignità e quindi la reciproca estimazione12.

Gli attacchi di "Parola di Vita" e del "Bollettino" non cambiano

quindi tono neppure quando l'alleanza fra il fascismo ed il nazismo

diventa più solida.

Il richiamo più frequente è rivolto al pericolo che il cattolicesimo

corre in Germania, a causa delle espressioni sempre più diffuse di

materialismo nella politica culturale nazista, materialismo che richiama

direttamente le riforme bolsceviche13. Lo spazio concesso dal "Bollettino"

e da "Parola di Vita" alla questione ebraica continua a rimanere tuttavia

molto limitato. Non c'è particolare asprezza nei confronti dell'ebraismo: la

divisione fra ebrei e cattolici è anzi sentita come "dolorosa", ma l'unica

soluzione per gli ebrei continua ad essere la conversione 14. Ancora una

volta, se c'è la condanna del razzismo, nei confronti dell'antisemitismo c'è

11Teorie razziste, ivi, maggio 1938, pag. 140.12Ibid., pag. 144.13Cfr. L. Nicoletti, Materialismo nazista, "Parola di Vita", 19 marzo 1938.14Cfr. La conversione del popolo ebreo, s.f., "Parola di Vita", 19 aprile 1938.

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quasi un atteggiamento fatalistico, per cui le pratiche antiebraiche sono

comunque qualcosa di inevitabile. Non potendo condannare Israele, in

quanto primo depositario del messaggio divino, la Chiesa poteva però

accettare le discriminazioni nei confronti degli ebrei. L'atteggiamento nei

loro confronti è condizionato da posizioni teologiche radicate, per cui

l'unica soluzione al problema era una soluzione "cristiana", ovvero la

conversione. Il nazismo è sentito soprattutto come una minaccia in

materia di fede. Il regime tedesco ha infatti chiuso gli istituti religiosi,

limitato la libertà d'espressione dei sacerdoti e dei predicatori in nome di

una presunta superiorità nordica e di un nuovo paganesimo. Il

nazionalsocialismo è definito "un potere tirannico e poliziesco",

pericoloso quanto il bolscevismo15. L'editoriale di Nicoletti del 31 maggio,

Anschluss religioso, è una durissima accusa contro un nazismo che

vorrebbe inglobare anche la religione nella sua sfera di competenza. Ma

il cattolicesimo non può ridursi alla sola liturgia: se è vero che il

cristianesimo non deve confondersi con la politica, è anche vero che

non si può fare della Chiesa un dicastero coreografico dello Stato...Se lo Stato fosse cristiano ed agisse da cristiano, non ci sarebbero conflitti possibili.

Gli attacchi violenti del giornale alla Germania proseguono quindi

anche dopo la visita di Hitler in Italia e la creazione dell'Asse, suscitando

sicuramente allarme nelle autorità locali. E sicuramente sconcerto crea un

articolo apparso anonimo, ma attribuibile a Nicoletti, dal titolo sarcastico

di Neuropatici. Pubblicato il 31 maggio, l'articolo è un'ironica recensione

di un breve saggio apparso su una rivista tedesca, il cui argomento è

l'"utilità dei bombardamenti aerei dal punto di vista della selezione

15Divagazioni razziste, s.f., "Parola di Vita", 10 maggio 1938.

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razzista e dell'igiene sociale". Secondo l'autore del saggio la scienza dei

bombardamenti esige che i quartieri popolari siano i primi ad essere

colpiti, perché abitati da gente povera, diseredata, che "non è riuscita

nella vita". Gli scoppi provocherebbero esplosioni di follia nelle persone

dal sistema nervoso debole, "così i bombardamenti ci aiuteranno a

scoprire i neuropatici e a scartarli dalla vita sociale". Nicoletti

argutamente fa notare che per scoprire i neuropatici non sono necessari i

bombardamenti, basta lasciare loro la possibilità di scrivere e stampare,

come ha fatto la rivista nazista.

Uno dei pochi riferimenti diretti all'antisemitismo è riscontrabile

nella pubblicazione del discorso del vescovo americano Ryan. L'articolo

La situazione internazionale del 7 giugno riporta le parole dell'alto

prelato, per il quale la Chiesa ha il dovere di combattere, come ha sempre

fatto nel passato, le "dottrine dissolvitrici e rivoluzionarie...dello stato

dittatoriale". Un cristiano non può in coscienza accettare la persecuzione

degli ebrei perché

l'antisemitismo è nato dall'odio, dalla gelosia e dall'ignoranza, sentimenti che ciascun cristiano deve condannare, principi che non possono costituire una base razionale per una politica nazionale.

Il 23 giugno "Parola di Vita" pubblica inoltre la lettera inviata dal

Pontefice ai Rettori delle Università Cattoliche e dei Seminari, in cui la

preoccupazione per la situazione della Chiesa in Germania è

accompagnata dallo sgomento per la diffusione di "dottrine

perniciosissime, suffragate da una scienza di falso nome. Le Otto

proposizioni del razzismo segnalate come assurde sono pubblicate lo

stesso mese dal "Bollettino" che esortava a trarre "assiduamente dalla

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biologia, dalla storia, dalla filosofia, dall'apologetica e dalle discipline

giuridiche morali le armi necessarie per confutare validamente e

competentemente"16 tali affermazioni. L'invito della Santa Sede è quello di

contestare le affermazioni per cui le stirpi umane, per loro natura,

differiscono fra loro; la purezza della razza deve essere conservata con

qualsiasi mezzo; le qualità intellettuali dell'uomo sono legate alla purezza

del suo sangue; il fine principale dell'educazione e della cultura è

inculcare l'amore per la razza; la religione deve sottostare alle leggi della

razza e ad esse adattarsi; l'ordine giuridico si basa sulle leggi della razza;

non esiste altro se non l'universo, per cui tutte le cose, compreso l'uomo,

sono tappe dell'evoluzione; gli uomini sono " per lo Stato" e tutto ciò che

è loro concesso deriva dallo Stato.

Anche dopo la pubblicazione del Manifesto non si placa la polemica

di Nicoletti e del suo giornale. Il 30 luglio un trafiletto afferma che la

kultur tedesca

è scesa al ruolo del più disonesto ciarlatanismo, la dottrina del primo popolo del mondo è un'impostura, una specie di stupefacente che stordisce e inebetisce gli spiriti, creando automi.

Il 20 agosto l'articolo Razza e Nazione riporta la recensione apparsa

sull'"Osservatore Romano" del libro di Padre Guglielmo Schmidt sul

razzismo tedesco. L'anonimo autore dell'articolo è consapevole del fatto

che

molti lettori fin qui digiuni della materia e molti altri, obnubilati da certe magniloquenti parafrasi degli spropositi neoteutonici intorno al sangue nordico, all'anima dipendente dal sangue, alla razza pura tedesca, alla superiorità ed inferiorità di queste o quelle razze, possono apprendere e comprendere da questo

16Otto preposizioni del razzismo segnalate come assurde, in "Bollettino Ufficiale dell'Archidiocesi di Cosenza", giugno 1938, pag. 157.

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libro quanto di antiscientifico, di tendenzioso, di assurdo si maschera di scienza e di politica nelle nuove "dottrine nordiche", troppo benevolmente propinate al nostro pubblico dalla stampa quotidiana e anche da autori poco scrupolosi della solidità scientifica e della maturità delle nostre dottrine classiche, mediterranee, cristiane.

L'attacco è sempre molto duro, ma l'impressione è che la critica si

rivolga alla pretesa superiorità del popolo tedesco, e che non entri nel

merito della teoria razzista, né tantomeno di quella antisemita. Il

Manifesto, e quindi la nuova posizione del regime fascista in materia di

razza, non sono analizzati. Semplicemente non esistono. Anche gli

articoli dell'"Osservatore Romano" sul razzismo, tempestivamente

pubblicati sul "Bollettino", si limitano a mettere in evidenza che

l'accettazione del razzismo avrebbe significato l'accettazione da parte

degli italiani di una situazione di inferiorità. Uno dei pochi discorsi di

estrema chiarezza, con riferimenti specifici alla situazione italiana, venne

pronunziato da Pio XI il 29 luglio del 1938 di fronte agli alunni di

Propaganda Fide, in cui il Papa affrontò il tema del razzismo affermando

che il genere umano era "una sola, grande, universale razza umana...Ci si

può quindi chiedere come mai, disgraziatamente l'Italia abbia avuto

bisogno di andare ad imitare la Germania"17. I ministeri dell'Interno e della

Cultura Popolare vietarono la pubblicazione del discorso papale sulla

stampa diocesana18, ma il "Bollettino" lo sottoscrisse, sottolineando anzi

l'importanza dei discorsi del Papa per tutti i credenti:

Contro il disgregamento che si viene perpetrando dalla Società umana colle recenti teorie di Stato totalitario, di nazionalismo e razzismo esagerato...oppone come barriera che non potrà essere distrutta mai le grandi verità rivelate che il Santo Padre con fermezza apostolica ammirabile non cessa dal ripetere e

17La parola del Santo Padre agli alunni del Collegio di Propaganda Fide: la Chiesa Cattolica nella vita e nell'azione, ibid., settembre 1938, pp. 266-7. 18Cfr. G. Miccoli, op. cit., pag. 185.

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richiamare alla nostra attenzione...Non vi è Gentile e Giudeo, circonciso e prepuzio, barbaro e Scita, servo e libero, ma tutto e in tutti Gesù Cristo (Colos. 3,11)19.

L'Arcivescovo ribadiva inoltre le contraddizioni tra dichiarazioni del

duce rilasciate in tempi diversi, riconfermando la tesi che il razzismo

italiano era un imitazione di quello tedesco:

Questa idea della razza, certo, è propria del Duce, ed ha servito in Italia per la "tutela della razza", per farla più sana, più forte di costituzione e di numero. Vi sono dichiarazioni di lui inequivocabili in proposito. Ma tutto questo non si accorda né con alcuni dei principi pubblicati il 14 luglio, né con gli sviluppi politici accennati nelle dichiarazioni del Segretario del Partito e nei commenti dei giornali20.

Ancora non compare un'esplicita condanna dell'antisemitismo

fascista: gli accenni alla persecuzione antiebraica sono pochi e

generalmente ambigui, mentre risalta la preoccupazione di non

confondersi con la propaganda dell'"ebraismo internazionale" 21. Il Papa

avrebbe fatto riferimento all'universalità della missione della Chiesa

per ogni gente della famiglia umana ...Tanto che là ove l'"ebraismo" volesse essere forza di egoismo, di dominio, di persecuzione esso non potrebbe temere più grave monito; là ove l'ebraismo è miseria, è pena, e vittima, a sua volta, di persecuzione, certo non poteva augurarsi migliore tutela22.

Queste sfumature nell'atteggiamento della gerarchia rivelano non

solo la volontà di evitare la polemica diretta, ma anche l'intenzione di fare

distinzioni e la presenza di pregiudizi.

19Sentire cum Ecclesia, in "Bollettino Ufficiale dell'Archidiocesi di Cosenza", settembre 1938, pag. 276.20Circa il discorso del S. Padre sulla Chiesa Cattolica nella vita e nell'azione, ibid., pag. 286.21Cfr. ibid., pag. 287.22Ibid., pp. 287-8.

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Nel novembre 1938, dopo le polemiche sul Concordato, il

commento ad un discorso del Papa rivolto ai maestri cattolici sembra

sottolineare questo mutamento di rotta. Il Santo Padre voleva

raccomandare

di non fare questioni sul razzismo e o non razzismo, perché c'è una facilità enorme a scambiare le parole. Recentemente si è fatto molto parlare il Papa sul razzismo, quando invece, Egli ha parlato soltanto di nazionalismo esagerato...il Santo Padre non ha inteso di fare un discorso sul razzismo: ha voluto soltanto parlare delle varietà umane, lodando quelli che vogliono andare verso di esse per renderle partecipi dei tesori della nostra civiltà, della nostra cristiana, cattolica civiltà, l'unica vera civiltà capace di fare del bene all'uomo23

In generale, quindi, la Santa Sede mantiene un atteggiamento di

prudente riserbo verso il razzismo fascista, e certo "Parola di Vita" non

può discostarsi dalle posizioni della gerarchia. Tuttavia l'articolo di

Nicoletti del 30 settembre, nel suo attacco alle teorie razziste, è ben poco

reticente:

Gli Ariani esistono allo stesso grado di consistenza degli Iperborei, dei Lillipuziani e dei Giganti danteschi: sono, cioè, spiritose invenzioni di poeti e di altri sapienti fantasiosi.

Secondo Nicoletti il termine "ariano" sarebbe una "professorale

invenzione" del filosofo tedesco Max Mueller, il quale teorizzò che le

lingue ariane fossero legate ad una presunta razza ariana. Altri scienziati

si sarebbero affannati nel cercare di definire il "tipo" ariano, non

riuscendovi, perché "l'ariano ha ancora da nascere", tanto che lo stesso

Mueller avrebbe parlato della sua teoria come di un'"idea bislacca, messa

fuori solo a scopo di dissertazione".

23Il Maestro della verità ai maestri Cristiani, ibid., novembre 1938, pp. 360-363.

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E' proprio questo articolo che suscita l'imbarazzo della Federazione

provinciale di Cosenza, che attraverso "Calabria fascista", si scaglia

contro il direttore di "Parola di Vita". L'attacco a Nicoletti non entra nel

merito del suo scritto, né si propone di confutarlo. Piuttosto la nota è

pesantemente ingiuriosa e minacciosa. Il già citato articolo dell'8 ottobre,

Mentalità antifascista, aveva infatti concluso con queste parole:

Quello di "Parola di Vita" è un settore della stampa di provincia sul quale bisogna tener gli occhi bene aperti: un settore da ripulire con spirito cattolico e fascista.

L'operazione di pulizia inizia con il numero successivo di "Calabria

fascista", in cui l'ironia nei confronti di Nicoletti suggerisce l'imminenza

di provvedimenti disciplinari. L'articolo Come prima, meglio di prima del

15 ottobre è il commento alla risposta di Nicoletti apparsa su "Parola di

Vita" dell'11 ottobre. In questa replica il direttore di "Parola di Vita"

aveva definito le accuse a lui rivolte "ingiurie e menzogne". Il mancato

risalto dato all'accordo di Monaco, motivo di censura per "Calabria

fascista", era dovuto al fatto che il giornale era stato già composto: anche

in questo frangente, tuttavia, "Parola di Vita" avrebbe dato prova di

"indiscutibile ortodossia cattolica e fascista". Quasi a confermare queste

parole la prima pagina del giornale era dedicata Al geniale artefice di

quest'opera salvatrice, Benito Mussolini, (al quale) è dovuta la

riconoscenza dell'Italia e del mondo.

Questa autodifesa non è evidentemente sufficiente per l'articolista di

"Calabria fascista", il quale ricorda il passato di Nicoletti e

la sua attività politica ai tempi - non così lontani da essere già dimenticati - di Don Sturzo, di Miglioli, delle leghe bianche e dei segretariati del pipì.

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166

Non solo Nicoletti era stato un importante esponente del Partito

Popolare, ma l'accusa di antifascismo restava valida in quanto il sacerdote

ha continuato e continua a dare prove magnifiche, in tutte le occasioni, della sua inveterata mentalità contraria allo spirito del fascismo.

L'anonimo giornalista prosegue nel criticare la replica di Nicoletti: la

composizione del giornale appare una scusa, in quanto un avvenimento

della portata dell'accordo di Monaco avrebbe comunque dovuto trovare

spazio diverso dal "misero posticino" cui è stato relegato. Mentre tutto il

mondo confidava nel duce ed il popolo italiano aspettava con fermezza e

calma le decisioni di Monaco,

il sacerdote professore Luigi Nicoletti non ha tempo di parlare di pace, ma ne ha a sufficienza per pensare alla guerra, proprio come i giudei, i massoni, i bolscevichi e tutti gli antifascisti e gli stupidi stillipinnivori d'oltralpe e d'oltremare...Che poi il direttore di "Parola di Vita", sotto la data dell'11 ottobre, dopo cioè il nostro giusto e doveroso rilievo, se ne vien fuori con un articolo d'esaltazione dell'opera compiuta da Mussolini in favore della pace e scrive che "è stata l'opera del Santo Pontefice che ha frenato e stroncato l'impeto cieco delle passioni e degli odi" è cosa che ci fa immensamente piacere, ma arriva troppo tardi sia per noi che per i suoi lettori.

Che fosse davvero troppo tardi per Nicoletti si capisce dalla parte

finale dell'articolo, in cui si ricorda al "vecchio e acceso esponente del

Partito Popolare" che gli accordi del 1931 hanno fatto divieto a coloro che

avessero militato in partiti avversi al regime di occupare posti direttivi

nelle organizzazioni cattoliche. In questa prospettiva l'articolista si chiede

se Nicoletti

non ritenga opportuno lasciare la direzione di "Parola di Vita". Per fare della buona propaganda cattolica ci sono tanti bravi sacerdoti, immuni da vincoli coi

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vecchi partiti antifascisti, degli altri sacerdoti che, per la loro indubitabile buona fede, potrebbero lavorare più efficacemente e senza dar luogo a sospetti. Lasci stare la politica il sacerdote professore Luigi Nicoletti. E' un terreno molto pericoloso per lui.

L'articolo preannunzia un "grave provvedimento" nei confronti di

Nicoletti, il che fa credere che, ancor prima delle accuse giornalistiche, vi

fosse stato qualche passo della Federazione dei fasci presso

l'Arcivescovo, per ottenere l'allontanamento di Nicoletti dalla direzione

del giornale. In effetti il 30 novembre Nicoletti lascia "Parola di Vita", la

cui direzione viene assunta dal sacerdote Eugenio Romano24, e trasferito al

Liceo di Galatina, in provincia di Lecce. Da questo momento "Parola di

Vita" assumerà un tono più prudente, in linea con le posizioni del regime.

Un articolo del 31 dicembre, Persecuzione e persecutori, estratto di

un discorso del Rettore dell'Università Cattolica di Washington, giungerà

ad affermare che la condanna dei sistemi di governo che ledono i diritti

24Don Eugenio Romano, che ringrazio per avermi concesso la visione del suo archivio personale, ebbe un significativo scambio epistolare con don Nicoletti. In una lettera del 20 dicembre 1938 don Romano esprime al suo predecessore la sua "viva, profonda, filiale devozione e...forte solidarietà". Nella stessa lettera don Romano sottolinea l'importanza della presenza, anche scomoda, di un giornale come "Parola di Vita", perché, a suo giudizio, "è sempre preferibile - nonostante i tempi e appunto per i tempi che corrono - (che)vi sia una voce che, seppure in sordina, faccia sentire una nota di verità, apra qualche raggio di luce alle coscienze". La risposta di don Nicoletti, datata 21 dicembre 1938, è insieme un'esortazione ed un avvertimento: "L'efficacia della tua opera dipenderà dal motivo che ha determinato la Federazione ad attaccarmi. Se volevano eliminare me per un ripicco personale, tutto andrà bene, se invece miravano all'opera allora bisogna temere che non ti lasceranno far nulla. Spero che la seconda ipotesi sia da eliminare. perché fare un giornale di pura cronaca o di servile propaganda non sarebbe certo un'opera utile". Anche don Eugenio Romano, come il suo predecessore, dovette tuttavia subire gli attacchi di "Calabria fascista" che, in un articolo anonimo del 21 ottobre 1939, lo definisce "un catoncello...dalla prosa velenosa e disfattista", mentre le sue idee sono "inconsistenti insinuazioni di un pover uomo, dotato di un'intelligenza a mezza razione". Don Romano aveva infatti criticato la scuola fascista e la GIL, e nel 1940 sarà schierato contro il conflitto e l'entrata in guerra dell'Italia. Questa sua posizione provocherà la temporanea soppressione di "Parola di Vita"; cfr. Appendice A.

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168

della persona umana è lecita, ma l'opinione pubblica dovrebbe anche

tener conto

delle altre persecuzioni che si fanno per odio antireligioso e dovrebbe condannare anche quelle. Quando si ignorano le persecuzioni contro i cattolici nella Russia, nel Messico e nella Spagna e si esterna invece tanta indignazione contro l'antisemitismo tedesco, si commette non solo un'ingiustizia di palese parzialità, ma si dimostra anche che chi protesta vuole condannare più gli autori del male, che la sostanza del male.

Lo stesso "Bollettino", nel luglio 1939, pubblica un articolo del

"Bollettino dell'Archidiocesi di Firenze", vero compendio di pregiudizi

antiebraici:

Le teorie che riguardano le varie stirpi umane non sono riprovate dalla Chiesa, se rispettano la fede nell'unica divina origine del genere umano e i principi essenziali e fondamentali della morale cattolica.Quanto agli ebrei niuno può dimenticare l'opera esiziale che essi hanno spesso svolto non solamente contro lo spirito della Chiesa, ma anche a danno della convivenza civile. Basti ricordare che l'ebraismo italiano allo scoppiare della guerra mondiale riuscì ad ottenere che alla futura conferenza della pace fosse escluso il Vicario del Principe della Pace, il Sommo Pontefice...Soprattutto però la Chiesa in ogni tempo ha giudicata la convivenza con gli ebrei pericolosa alla fede e alla tranquillità del popolo cristiano. Di qui le leggi emanate dalla Chiesa lungo i secoli per isolare gli ebrei, così che non potessero influire sullo spirito, sull'educazione e sulla fede dei cristiani. Ma la Chiesa non ha mai inteso di perseguitarli e non ha mai perseguitato gli ebrei perché di stirpe ebrea...La Chiesa non ha mutato per nulla la sua disciplina riguardo agli ebrei...La Chiesa da questo lato tratta gli ebrei come gli eretici e gli scismatici di qualunque genere: anche questi vuole che per quanto possibile siano isolati dai cattolici: disapprova che essi contraggano con essi matrimonio, abbiano a coabitare con loro o ad affidare ad essi l'educazione dei loro figli...La Chiesa vietando al possibile i contatti dei suoi figli con gli ebrei, li ha sempre benevolmente accolti, se sinceramente bramosi di convertirsi alla vera fede di Cristo, e, convertiti, sebbene di stirpe ebrea, li ha sempre trattati come tutti gli altri figli, perché anch'essi creature di Dio, membri di Cristo, eredi del Cielo25.

25Direttive e norme di attualità, in "Bollettino Ufficiale dell'Archidiocesi di Cosenza", luglio 1939, pp. 244-246.

GV, 03/01/-0001,
Pagina: 168Corsivo mio.
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169

D'altra parte non si interrompe la campagna propagandistica di

"Calabria fascista" che, nello stesso numero dell'8 ottobre, destina tre

pagine al problema razziale, dedicando un intero articolo ai Delitti degli

ebrei attraverso la storia. Secondo l'anonimo autore tali delitti sono stati

talmente efferati che

i pogrom dei quali i membri della loro razza furono vittime sono sciocchezze in confronto agli spaventosi massacri che essi provocarono: sono semplicemente gesti di legittima difesa da parte di quei popoli che ebbero l'imprudenza di accoglierli.

Gli ebrei hanno sempre scatenato i popoli gli uni contro gli altri,

favorendo i dissidi religiosi e dividendoli per mezzo di dottrine miranti

alla distruzione della civiltà.

Lo stesso giorno l'articolo Neo-pipismo di Fez Nero riprende la

polemica nei confronti di Nicoletti, ma obiettivo dell'attacco è stavolta il

suo articolo Gli Ariani ed il loro inventore. Fez Nero non entra nel merito

delle argomentazioni di Nicoletti, piuttosto riafferma che

sotto il pretesto di una buffissima dissertazione dottrinaria intorno alla parola "ariano", ancora una volta il giornaletto cattolico tenta di sminuire il pensiero e l'azione del Fascismo.

Ma l'azione razziale italiana, non paragonabile a quella degli altri

paesi, perché risale ai primi anni della Rivoluzione, costituisce oggi il

motivo dominante del fascismo, per cui la strada sulla quale Nicoletti si è

incamminato "è molto pericolosa":

Il sistema adottato da "Parola di Vita" è, anche in questa occasione, quello dei circoli massonici, giudaici e bolscevichi, i quali, colpiti in pieno dalla presa di posizione del fascismo relativamente ai problemi della razza, tentano inutilmente,

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di svalutarne l'importanza con le armi della menzogna, dell'insinuazione, della deformazione e della stupidità.

Riguardo alla polemica sulla "professorale invenzione" del termine

"ariano", l'articolista ribadisce come questo termine sia ormai

scientificamente accertato, così come accertata è l'origine ariana degli

italiani:

Che se poi, attraverso un giornaletto cattolico, si voglia fare della critica malevola ed acrimoniosa ai principi del Fascismo, si sappia che il Fascismo non è disposto a tollerare ciò, e tantomeno è disposto a permettere il rifiorire di certi atteggiamenti neo-pipisti, inconciliabili col tempo in cui viviamo.

La più volgare e violenta polemica antisemita ricorre nell'ultimo

articolo dell'8 ottobre di "Calabria fascista", Facciamoli passare nudi.

L'autore, Gianni Zambelli, attacca in questo caso gli ebrei stranieri, che

sarebbero preoccupati di non riuscire ad espatriare con i loro beni. I fatti

di cronaca denuncerebbero infatti tentativi di esportazione di ricchezze

non denunciate:

I giudei tutti, i filogiudei e le persone sospette quando lasciano l'Italia devono portare via i soldi, i vestiti e il loro muso. Ma se i vestiti dovessero servir loro per trafugare anche un soldo, allora spogliamoli nudi e facciamoli passare alla frontiera a suon di calci in tergo.

Il numero del 22 ottobre di "Calabria fascista" ospita la lettera di un

sacerdote, di cui non si fa il nome, che critica il comportamento di

Nicoletti come contrario ai principi del fascismo. Nicoletti non avrebbe

rinunciato al suo passato antifascista e perciò deve essere pronto a subirne

le conseguenze:

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171

Vero è che una sola noce non fa rumore in un sacco. Ma sarebbe sempre bene, ad evitare la cosiddetta proliferazione per germinazione, che tale noce venisse schiacciata...Consigliamo il sacerdote professor Luigi Nicoletti di modificarsi, giacché, persistendo nelle sue sorpassate e decedute teorie, scalfirebbe il granito, e qualche scheggia potrebbe rimbalzargli negli occhi.

Nella rubrica Diorama vengono riportate con grande risalto le

notizie degli arresti di Colorni e della banda Sacerdoti. L'articolo Al muro

sottolinea che

la congiura ebraica che ha abusato ed abusa della generosa ospitalità italiana, agendo freddamente, con deliberato e pacato animo contro la Nazione e contro il Fascismo, non merita e non otterrà pietà. Essa va annichilita senza misericordia checché se ne dica nelle alte sfere cattoliche ove, ancora oggi, si versano lacrime per questi giudei nemici del popolo italiano. Al muro, perdio! Ecco cosa chiedono le camicie nere.

La durezza degli attacchi ed il tono estremista del giornale sono

confermati alcune righe dopo, con il commento Folli disegni alla

fondazione di una lega ebraica di New York, nata per combattere il

fascismo:

A questa banda di gangsters politici rammentiamo solo che la nostra clemenza può avere un limite e che i loro folli disegni potrebbero produrre spiacevoli effetti sulla sorte dei fratelli giudei che vivono in Italia.

Il 5 novembre compaiono sul settimanale altri attacchi, dal tono e

dai contenuti sempre più volgari. L'articolo Conoscerli bene riprende i

concetti dei Protocolli, auspicando misure sempre più drastiche contro gli

ebrei italiani, a partire dall'imposizione di un nome comune che

contraddistingua la loro razza. La polemica è contro quegli ebrei che

"incautamente" hanno italianizzato il proprio nome: un sotterfugio che

non ha sortito effetti per gli ebrei "perché la puzza l'ha rivelato subito".

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Il 12 novembre l'uccisione a Parigi del diplomatico tedesco Van

Rath da parte di un ragazzo ebreo è definito "assassinio rituale":

La cricca giudaica, battuta in pieno dalla politica razziale della Germania e dell'Italia, ricorre alla violenza per sfogare il suo pieno livore. Ancora una volta Israele si pone contro la pace europea.

Il 19 novembre Orazio Carratelli, nell'articolo La piovra giudaica,

riprende le parole di Farinacci sull'attualità del razzismo italiano:

Fin dal 1919 il Duce sapeva che la finanza mondiale era in mano agli ebrei, e se ha tollerato gli ebrei fino a oggi persino nella compagine dello Stato, vuol dire che, in cuor suo, ha dovuto pensare alla possibilità di indurre gli ebrei ad un atteggiamento che tuttavia essi si sono ben guardati dall'assumere, accentuando invece, in ogni tempo ed in ogni evento, la loro avversione al Fascismo ed a tutta l'opera del regime...Noi vogliamo essere padroni in casa nostra. Noi vogliamo evitare ogni confusione di sangue, ogni frammischiamento di nazionalità...Vogliamo mantenere integra la purezza della nostra razza per assicurare alla Nazione la sua potenza avvenire.

Secondo Carratelli la coscienza di razza è ormai profondamente

sentita dal popolo italiano, per cui il regime non avrà esitazioni nel tirare

diritto per ripagare l'avversione giudaica con la creazione di

un nuovo ordine europeo e mondiale in cui non potranno certo trovar posto i fautori del disordine e del caos e quei miserabili ebrei che, battuti in pieno dalla politica razziale dell'Italia e della Germania, ricorrono alla violenza ed al delitto...Chi non l'ha ancora capito lo capirà presto a proprie spese.

La polemica contro la Chiesa cattolica è ripresa nuovamente da

"Calabria fascista" che, il 26 novembre, accoglie un articolo di Fez Nero

dal titolo Religione e razza. Secondo l'autore, la posizione antirazzista e

filosemita è in antitesi con tutta la storia della Chiesa e del cattolicesimo.

In realtà il fascismo, attraverso la difesa della razza, non avrebbe

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compiuto solo un'opera politica, ma allo stesso tempo avrebbe

salvaguardato la Chiesa dal grande pericolo del bolscevismo, che si

identifica con l'Internazionale ebraica. Il fascismo avrebbe così

dimostrato alla Chiesa un'amicizia che nessun altro governo le aveva

concesso. Il razzismo fascista, in conclusione, è una questione politica,

che non ha nulla a che vedere con il sentimento religioso.

Ancora una contraddizione è il filo conduttore di questa posizione.

Mentre le leggi razziali si stanno inasprendo, e la scelta biologica sembra

prevalere, Fez Nero può affermare che

il razzismo fascista, è bene ripeterlo, non ha nulla in comune con le aberrazioni filosofiche e religiose che altrove il mito razzista ha generato. E' soprattutto religione della Patria. Non si riferisce solamente, come si vuol dare a intendere, ai valori biologici, ma anche e soprattutto ai valori spirituali.

Il fascismo avrebbe inoltre condotto un'azione energica, ma

ispirata a criteri di giustizia, di umanità, di magnanimità, un'azione, cioè, che rifugge da ogni forma di violenza o di odio verso gli individui che non sono della nostra razza.

L'allarmismo della stampa e dei circoli cattolici sarebbe quindi

ingiustificato, anzi la Chiesa dovrebbe essere grata al fascismo perché

quest'ultimo ha garantito al cattolicesimo un beneficio indiretto in quanto

per essere veramente e profondamente cattolici occorre soprattutto sanità di mente, quella sanità di mente che è precisamente alla base della politica razziale del Regime.

Non può mancare, anche su "Calabria fascista", la polemica sul

Razzismo in arte. Sempre il 26 novembre un articolo a firma di Elemo

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d'Avila riprende le affermazioni attribuite a Marinetti secondo il quale

non c'è stato contatto fra ebraismo ed ambienti modernisti. In realtà gli

artisti moderni italiani hanno mostrato venature antiebraiche, perché la

loro arte

manifesta quel rispetto per la forma, quella serenità di concezione e quel respiro di poesia che è opposto al culto del disfacimento, allo spappolamento della materia, al tragicismo caricaturale...degli inventori delle più forsennate, epilettiche e lebbrose deformazioni.

Ancora in sintonia con la grande stampa nazionale, anche sul

settimanale calabrese compare la polemica antiborghese che si manifesta

nella condanna del "pietismo". L'articolo del 3 dicembre, firmato con lo

pseudonimo "Uno di noi", ribadisce che

mentre il razzismo è un'espressione di forza, un segno di maturità spirituale e politica, un annuncio di sviluppi e di ulteriore potenza, il pietismo è, invece, segno di debolezza, condizione di estrema povertà di spirito, causa di grandi confusioni.

L'anno di "Calabria fascista" si chiude ancora all'insegna della

polemica con "Parola di Vita". Sempre il 3 dicembre compare nella

rubrica Faretra la notizia dell'allontanamento di don Nicoletti dalla

direzione di "un giornaletto cattolico della nostra città". La minaccia, non

tanto velata, è quindi per il successore. Si scrive infatti in riferimento a

Nicoletti:

Dicono che siamo stati noi a tirargli i piedi. Non vogliamo crederci...Comunque attenti alla successione.

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Il 10 dicembre Faretra ospita l'ultima polemica contro il sacerdote

cosentino attraverso l'articolo Memento agli sturziani, che riprende un

contributo del giornale "Libro e moschetto":

Fare dell'antirazzismo diretto oppure fare delle ibride confusioni tra razzismo fascista e altri razzismi perché, combattendo quelli, si può combattere il primo, significa essere antifascisti. E siccome la Rivoluzione ha liquidato don Sturzo ed i suoi indegni proseliti col manganello e l'olio di ricino, non ci rimane che concludere con un memento a tutti gli sturziani che credevano di poter rinascere nientemeno che nell'anno 17° dell'era fascista.

La virulenza di questi attacchi mostra quanto l'alto livello della

battaglia antirazzista di don Nicoletti disturbasse il fascismo cosentino e,

più in generale, rappresenta un esempio significativo di quel fenomeno

dell'"antisemitismo senza ebrei" che è stato tutt'altro che raro nell'Europa

del Novecento.

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176

APPENDICE

INTRODUZIONE

Le interviste qui riportate, presentate integralmente, sono due

testimonianze dirette del periodo delle leggi razziali, ma

rappresentano anche due esperienze totalmente differenti.

La signora Giacoma Limentani, scrittrice romana, è stata una

vittima delle leggi razziali, in quanto ragazza ebrea. La sua

testimonianza, da me raccolta a Roma il 29 maggio 1995, esprime

soprattutto la sofferenza e la solitudine di una comunità

improvvisamente lacerata che, oltre all'umiliazione delle leggi

antisemite, subisce l'indifferenza e l'incomprensione di una società

che l'aveva vista sino a quel momento parte integrante.

Don Eugenio Romano, invece, è uno spettatore, lontano non

solo per ragioni geografiche, che, giovane sacerdote, sostituisce

don Luigi Nicoletti alla direzione di "Parola di Vita". L'intervista, da

me effettuata a Cosenza il 30 agosto 1995, non affronta

direttamente l'argomento delle leggi razziali, ma è utile per chiarire

la situazione della chiesa cosentina degli anni '30, caratterizzati

dall'impegno antifascista di don Nicoletti, ma anche dalle ambiguità

di una parte del clero e dalla difficoltà di una scelta di resistenza

esplicita al fascismo. Amico personale di don Nicoletti, don Romani

è attualmente in pensione, dopo aver guidato per oltre

cinquant'anni la parrocchia di S. Teresa del Bambin Gesù, nel

cuore di Cosenza.

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INTERVISTA ALLA SIGNORA GIACOMA

LIMENTANI

Posso chiederle quanti anni aveva nel 1938?

Assolutamente si. Io sono nata nell'ottobre '27, quindi nel

1938, il mese che sono uscite le leggi razziali, che è agosto, mi

mancava un mese per fare 11 anni.

Quindi andava già a scuola...

Certamente, ed abitavo già in questa casa. Ero in vacanza,

ricordo, ed al ritorno a Roma non potei più tornare a scuola. Io

avevo fatto il I° ginnasio e quindi avevo solo un anno alle spalle in

quella scuola, ma mia sorella che aveva già 15 anni faceva il IV°.

Devo dire che nessuno dei compagni di scuola si è fatto vivo,

assolutamente nessuno.

Ecco, io vorrei fare una distinzione fra quello che si dice

normalmente e quelli che sono i veri amici, oppure le persone che

già allora avevano una coscienza patriottica, perché ci sono delle

differenze enormi. Noi ebrei ci sentivamo profondamente italiani,

così come tedeschi si sentivano gli ebrei tedeschi, francesi gli ebrei

francesi. Questa idea dell'ebreo apolide è veramente una

giustificazione per chi si diverte a "cacciare" gli ebrei. Figurati, nella

mia famiglia, nonostante non siamo mai stati militaristi, mio padre

aveva delle decorazioni piuttosto notevoli della Prima Guerra

Page 178: Tesi di laurea

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Mondiale, cui ha partecipato mio zio, Grande Invalido. C'era poi

una partecipazione italiana molto importante, e questo arrivava

dopo secoli di discriminazione per cui si credeva di aver trovato un

"porto sicuro", in cui ognuno aveva una Patria con la P maiuscola.

Era molto forte questo sentimento, senza arrivare al nazionalismo

spinto dei fascismi, ma è l'idea di sentirti a casa tua nel paese in cui

stai. E la prova di questo è che in ogni paese l'ebraismo, pur

mantenendo delle basi identiche, dappertutto sviluppa dei propri

costumi.

Per quello che lei può ricordare, in famiglia parlavate di quello che

sarebbe potuto succedere?

In realtà io ero troppo piccola per ricordare, e probabilmente

davanti a me cercavano di non parlarne. Però c'è un fatto: mio

padre era già un perseguitato politico e casa nostra era sempre un

centro di smistamento di persone che scappavano. Quello che

succedeva in Germania ce l'immaginavamo, lo sapevamo

abbastanza bene. L'idea di andarsene, che è venuta a molti, a noi

non veniva perché mio padre era dell'opinione che quando una

nazione perde la ragione e le persone oneste se ne vanno, quella

nazione è finita. Così siamo rimasti per questo. Poi non bisogna

pensare che andarsene fosse tanto facile: dovevi avere dei soldi,

dovevi avere dei mezzi, contatti. Si poteva andare in un altro paese

se lì c'erano persone che garantivano per te, se portavi particolari

capacità. Era finito il periodo delle grandi migrazioni americane per

cui bastava che arrivassero operai e tutti praticamente avevano il

Page 179: Tesi di laurea

179

visto. La cosa non era così facile, e non lo è stata fino alla fine della

guerra. Non sarà poi facile andare in Palestina, niente è mai facile.

La sua esperienza scolastica o quotidiana, prima delle leggi razziali,

l'aveva resa consapevole di una sua presunta "diversità"?

Io ho fatto solo un anno di ginnasio, che corrisponde oggi alla

prima media. Alle elementari ho avuto una maestra fascista che mi

diceva: "fuori di classe, brutta ebrea!", quindi sapevo perfettamente

che cosa era, la cosa, e infatti c'erano state delle storie piuttosto

gravi. Allora poteva anche essere all'interno dei vari individui (la

mia maestra poteva anche essere una fanatica per conto suo,

questo è indubbio). Quindi io ho avuto questa esperienza che non è

stata gradevole. Al primo ginnasio ho avuto una professoressa, tra

l'altro ebrea, intelligente...quindi al primo ginnasio non l'ho sentito.

Rimane il fatto che nessuna compagna di scuola, né mia né di mia

sorella, si è fatta viva per dire "Come ci dispiace!".

Io non ricordo esattamente quali potessero essere i termini di

lettura della propaganda fascista, né quando era cominciata, anche

perché non ho mai avuto la forza di leggerli, né mi pare

interessante. Però ricordo esattamente le illustrazioni di certi

giornali. Ecco che avevamo il classico ebreo obeso, rapace, col

naso adunco, col piede di pollo, che poi corrisponderebbe una

natura diabolica, demoniaca. All'ebrea piuttosto puttana, con la

quale il rapporto umiliava il maschio. Tutto che si ricollega alla parte

veramente più abietta della persecuzione durante i secoli. Faccio

un esempio molto più recente. Dopo la guerra dei Sei giorni ero a

Page 180: Tesi di laurea

180

casa di una conoscente, che tra l'altro è una delle più grandi

scrittrici femministe dell'Italia di oggi, tenuta in grande

considerazione, e vedevamo un filmato di palestinesi profughi, uno

spettacolo tremendo, ed io mi misi a piangere. E lei mi disse: "E tu,

perché piangi adesso?", perché io, in quanto ebrea, dovevo essere

contenta di vedere quelli che scappavano, "E tu perché piangi, che

avete vinto!". Ed io risposi: "Le vittorie si vedono alla fine, tanto per

cominciare, ed in secondo luogo, per la mia tradizione, ho visto

tanti di quei profughi che vederne ancora, chiunque siano, mi fa

male". E lei disse: "Ma quelli erano ebrei!", come se ci fosse una

possibilità di sensibilità diversa. Gli ebrei erano un'altra cosa e

quindi io, in quanto ebrea, vendicativa, avrei dovuto essere

contenta, era sciocco che piangessi...Se dopo la Shoà ci sono

ancora queste reazioni, ed una persona che passa per persona

civilissima fa questi discorsi, ti rendi conto che anche allora c'era

questa pubblicità, questa informazione sicuramente tendenziosa

fatta con questi orribili giornali e queste orribili foto. Naturalmente,

siccome gli ebrei erano molto integrati nella vita italiana, si

sentivano profondamente italiani, soprattutto quelli che

appartenevano alle classi più colte e agiate, anche se con estrema

discrezione, ti invitavano a pranzo, ti parlavano con delicatezza,

come se facessero una delicatezza nei nostri confronti per quello

che era il loro...non imbarazzo...forse non capivano, si rendevano

poco conto della difficoltà in cui si trovava gente che da un giorno

all'altro non aveva una scuola dove mandare i figli. Coloro che , per

esempio, avevano fatto la carriera militare, cosa facevano dopo?

Oppure i medici, i professionisti, gli avvocati, che non potevano più

Page 181: Tesi di laurea

181

esercitare e naturalmente cosa potevano fare? Tornare a fare i

rappresentanti porta a porta! E quindi gli ebrei, assetati di denaro,

sanno fare solo i commercianti, ma cos'altro avrebbero potuto fare?

Mio padre fu denunciato dalla cassiera di un negozio che disse cha

aveva raccontato una barzelletta, una volta, e in quanto ebreo

aveva riso "sconciamente". Con tutti i guai che aveva ci fu anche

questa denuncia, che poteva venire dalla persona più inaspettata,

che lo faceva perché pigliava soldi.

Quando ci fu la politica delle "discriminazioni", quale fu la situazione

della sua famiglia?

Mio padre e mio zio erano automaticamente esonerati,

appunto perché mio padre aveva una medaglia al valore e mio zio

era pazzo, da quando era stato prigioniero di guerra in Germania.

Ma se io dovessi dire che questa discriminazione mi ha dato

vantaggi, non potrei.

Lei dovette comunque abbandonare la scuola...

Certo. Per fortuna un gruppo di persone eccezionali ha

organizzato rapidamente, nel giro di due notti, una scuola ebraica a

Roma, so che nelle altre città più o meno è successo lo stesso e

questa scuola ebraica è stata la mia salvezza, e quella di molti di

noi, perché avevamo il fior fiore dei professori, per forza di cose,

perché ce ne erano a disposizione tanti che non potevano più

insegnare e si sceglievano i migliori. C'era un'atmosfera (siccome

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eravamo tutti piuttosto nevrotizzati, spaventati, angosciati), un clima

di studio molto serio ma anche una strana indisciplina, che poi era

quella che in effetti dava maggiore rendimento. La scuola ebraica è

stata un bel ricordo.

Queste scuole furono, per tutta la Comunità, una presa di coscienza

antifascista?

Anche senza la scuola, per il fatto delle leggi razziali che ti

colpiscono in quel modo, ti fanno diventare antifascista per

reazione. Gli ebrei per percentuale erano fascisti quanto gli italiani.

Per quelli che erano stati fascisti certo è stato un brutto colpo e

vedendosi perseguitati sono pochi quelli rimasti fascisti. Essere

fascisti è una mentalità: forse potevano essere contro quei fascisti,

ma se sei fascista sei fascista, se sei fanatico sei fanatico,

qualunque disciplina adotti. Il fatto che nella scuola di Roma

avevamo dei professori così eccezionali, sono stati loro una lezione

enorme di civiltà sociale e politica. Il Preside della scuola non era

ebreo, ma mandato dal Ministero. Era una persona che ci

spaventava molto, all'inizio, ma è stata una delle persone più belle

che ho incontrato in tutta la mia vita: di una civiltà, di una

comprensione nel fare un lavoro ingrato, perché quando è arrivato

certo non l'amavamo. Lo ha fatto col massimo della dignità.

Quello che c'è stato è che, dall'apertura dei ghetti in poi, c'era

stato un indubbio processo, non solo d'integrazione, ma di

assimilazione, di perdita di conoscenza dei valori ebraici, perdita di

identità. Quando Sartre dice che gli ebrei più infelici sono stati quelli

Page 183: Tesi di laurea

183

costretti a subire la loro identità ebraica, senza conoscerla e senza

saperne niente, dice una grande verità. Nella scuola sono arrivati

ragazzi che sapevano di essere ebrei, perché la famiglia faceva il

digiuno il giorno del digiuno, ma che, per esempio, a Pasqua

potevano mangiare le azzime con il prosciutto. Erano digiuni di

tutto, e c'è stato per forza di cose un ritorno ad un pensiero ebraico,

un porsi delle domande, un porle a questi professori. C'è stata

quindi una presa di coscienza ebraica. Io non ero tra quelli che non

sapevano proprio niente, ma non ero preparata come posso essere

adesso. Il momento speciale ha anche formato delle amicizie che

sono state molto importanti.

Per molti autori le leggi razziali furono il primo momento in cui gli italiani

si allontanarono dal regime, lei cosa ne pensa?

Se a qualcuno è successo, io me lo auguro, buon per lui. Di

quelli che io conoscevo, non me ne sono accorta. Mi sono

sicuramente accorta che quelli che erano amici da prima, che da

prima avevano fiutato quello che poteva essere il fascismo, quella

era una reazione normale e comprensibile. La massa, non so.

Quindi non è vero, come molti hanno scritto, che gli italiani rimasero

sbalorditi di fronte alle leggi razziali.

Io francamente non ricordo grandi sbalordimenti.

Probabilmente bisognerebbe chiederlo a qualcuno che ha qualche

anno più di me e che viveva in un contesto un pò diverso dal mio.

Page 184: Tesi di laurea

184

Se io vivevo in una famiglia di antifascisti gli amici erano quelli. I

conoscenti extra, anche le bambine con cui giocavo ai giardinetti, le

ex compagne di scuola, tali erano e tali le ho ritrovate dopo. Non

hanno capito prima, durante e dopo. Non erano nemmeno

scatenatamente fascisti, erano la "zona grigia"; gli scatenati fascisti,

i fanatici, o sono rimasti fascisti in maniera incongrua, oppure sono

diventati fanatici comunisti, perché il fanatismo è un dato

caratteriale: tu ti aggrappi a quell'ideologia che ti dà modo di essere

fanatico. Non fai il fanatico nel Partito d'Azione, che era un

coacervo di cervelli pensanti, ragionanti, che non contemplavano la

possibilità del fanatismo.

Veniamo al '43...

Mio padre si rese conto che non era più possibile restare a

Roma: Venivano tutti i giorni per sfasciare tutto. Era una cosa

tremenda, era stato tremendo prima...

...con la guerra la situazione peggiorò?

Non fu la guerra. Prima della campagna razziale io ero sempre

stata trattata come una bambina figlia di un grande delinquente, nel

momento in cui è cominciata la campagna razziale, io non ero più

la povera bambina figlia di un pazzo delinquente, ma ero a mia

volta un essere spregevole, del quale si poteva abusare come si

voleva, e ne hanno abusato. Io avevo 15 anni ed erano in 4...Erano

Page 185: Tesi di laurea

185

persone cosiddette perbene, che io ogni domenica vedevo andare

a Messa con la famiglia nella Chiesa qui vicino.

Quindi ad un certo punto ce ne andammo in campagna e

siamo stati lì in relativa tranquillità (molto relativa, io facevo avanti e

indietro per la scuola, mio padre era in grosse difficoltà, era un

periodo di cui riesco a ricordare solo grosse difficoltà, portate anche

con estrema dignità e col sorriso, riuscendo a non demonizzare in

massa il resto degli italiani). Poi naturalmente dl 25 luglio le cose

cominciarono a cambiare. Mio padre non si fidò di quello che

succedeva in giro. Si diceva che con Badoglio le leggi razziali

erano decadute, però...I perseguitati politici uscivano di

galera...però. Non mi risulta sia stato abrogato nulla...non se n'è

parlato più, come succede in Italia. Poi con l'8 settembre le cose si

fecero realmente chiare, e mio padre aiutò molti a scappare. Il 16

ottobre (giorno della razzia al ghetto di Roma) siamo stai accolti da

una signora che noi non conoscevamo affatto, la signora

Ambrosini, che aveva un figlio più o meno della mia stessa età e

che ci ha nascosti a casa sua. Lei però era comunista militante da

anni, quindi aveva già rapporti con certe persone. Fra queste e

quelle che mio padre conosceva si formò una piccola banda

partigiana, nella quale tutti avevamo dei compiti precisi, dai grandi

ai bambini. C'erano sempre difficoltà, la fame, i tedeschi che

rastrellavano. Ci siamo salvati per il rotto della cuffia. Poi siamo

venuti a Roma, sempre nascosti e spostandoci di continuo. Alcuni

amici ci hanno ospitato, ma era una responsabilità nei confronti di

queste persone. Proprio perché erano amici non volevi metterli a

rischio, quindi non volevi restare più di tanto. Quindi estreme

Page 186: Tesi di laurea

186

difficoltà finanziarie, perché è vero che molti conventi hanno aperto

le porte, però si pagava salato.

Quale fu in generale il rapporto con la Chiesa cattolica, prima e dopo le

leggi razziali?

Prima del Concordato, non so. Era lo stesso rapporto che c'era

con gli altri italiani. La gente perbene è gente perbene, i fanatici

sono fanatici. Fra gli ebrei c'erano fascisti scatenati come

antifascisti. Io credo che ad un certo punto fra le persone...c'è una

linea trasversale che collega le anime delle persone, non il loro

credo. Quindi potevi trovare aiuto e comprensione da uno che

magari in buona fede era fascista e che però non capiva perché

dovevano violentare una ragazzina. Si potevano trovare degli

improvvisi sprazzi di luce, con dei gesti di coraggio incredibili, e poi

persone colte che neppure se ne accorgevano. Era sempre una

sorpresa, una sorpresa anche pericolosa.

Indubbiamente la Chiesa ha molto aiutato, ci sono state delle

figure splendide. Ma, forse perché i conventi erano poveri e non

potevamo più pagare, ci hanno mandato via, e sapevano benissimo

dove ci mandavano. E le rette dei conventi, dove si moriva di fame,

erano esorbitanti.

E' l'individuo che conta, e specialmente in condizioni di questo

genere, dove ci vuole una coscienza profonda...E poi c'era sempre

questo fatto: io ti salvo, però tu ti converti. Era rarissimo entrare in

un convento dove non ti chiedessero questa tassa. Ci sono

persone che si sono convertite, se per questo anche subito dopo il

Page 187: Tesi di laurea

187

1938, per "arianizzare" i figli, che poi non serviva. Accampando

cose tremende, che la nonna aveva avuto un figlio con l'autista,

ecc.

Anche l'ultimo rabbino di Roma, nel momento del pericolo, ha

mollato tutto e se n'è andato in Vaticano. Ha lasciato la Comunità a

se stessa in un momento come quello e poi si è saputo che si era

convertito. Che si volesse convertire dopo, affari suoi; ma se il

Cristianesimo è quello che dice di essere, a maggior ragione

doveva essere lì.

Come arrivarono le notizie della razzia del ghetto di Roma?

Fu una cosa che mi colpì molto. Alla radio fu un continuo

martellare sull'abiezione degli ebrei, che andavano denunciati, che

dovevano essere raccolti. Dalla mattina alla sera ininterrottamente,

quindi tu sentivi che non c'era scampo. Per esempio, dall'inizio

della guerra una legge stabiliva che ogni locale pubblico dovesse

avere una radio, che all'ora del giornale radio doveva essere

accesa. Tutti in piedi a sentirlo. Questa notizia martellante

raggiungeva tutti.

Solo quando sono arrivati gli Alleati abbiamo potuto lasciare

l'ultimo convento nel quale ci eravamo rifugiati. Quella mattina ci

siamo recati subito in Sinagoga, per vedere chi era rimasto, per

contarci. Fu un momento tremendo, la gente che non sapeva dove

erano finiti i congiunti. Le notizie di Auschwitz sono arrivate dopo.

Quindi la realtà dei campi di concentramento non era conosciuta...

Page 188: Tesi di laurea

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Io non ricordo che gli stranieri che passavano da casa nostra

lo sapessero. Nemmeno i tedeschi sapevano. Si sapeva che

c'erano orrori, cose tremende, ma la realtà è arrivata solo con gli

Alleati. Per esempio della Risiera di San Sabba non si è saputo

niente fin dopo la guerra.

Quello che tuta la vicenda mi ha lasciato di profondo e di

terribile, è un'assoluta aleatorietà di tutto. La persona che consideri

amica può essere uno che ti denuncia. Il passante che non sa

nemmeno chi sei ti salva. E comunque mai trovarsi senza soldi, ma

pure i soldi sono un pericolo, perché puoi essere denunciato così ti

prendono i soldi. C'è un'unica cosa importante: in mezzo alla folla

cercare di mantenere la propria integrità, spesso non di

ragionamenti.

C'è una fiaba ebraica molto bella che racconta di un re e del

suo primo aiutante. Guardando le stelle questi due avevano visto

che quell'anno la terra avrebbe prodotto delle messi che portavano

la follia. Allora l'aiutante dice al re: cerchiamo di conservare un pò

di farina dell'anno scorso, almeno per noi due, così, se tutti

impazziscono, per lo meno noi due siamo salvi e vediamo cosa

succede. Ma il re risponde di no, perché se in un mondo di pazzi

solo noi due ci comportiamo da savi, la gente pensa che i matti

siamo noi. Quindi l'unica cosa è mangiare come loro, quindi

comportarci come loro. Soltanto metterci un segno di

riconoscimento, per cui quando io guardo te e tu guardi me,

sappiamo entrambi che siamo anche noi due pazzi.

Page 189: Tesi di laurea

189

Questo è il senso: non potevi essere completamente avulso da

ciò che ti circondava, e nello stesso tempo non potevi cedere alla

pazzia che ti circondava. Questa è una sensazione che ti marca in

eterno: il fatto che dai la buonanotte ad una persona e metti conto

che puoi non rivederla l'indomani e che il vicino di casa, che

normalmente ti farebbe le condoglianze, non gliene frega niente,

non s accorge nemmeno che sei vestita a lutto.

Come ha vissuto il "dopo", il reintegrarsi nella Comunità e nella società?

Devo premettere che io stavo molto male. Ho retto molto forte

fino all'arrivo degli Alleati, poi ho avuto un crollo psicologico. Infatti

delle cose non riesco a ricordarle, né a coordinarle. Quello che mi

colpiva e mi offendeva, e continua a colpirmi come in quei giorni,

erano appunto i fanatici fascisti che diventavano fanatici comunisti,

come se non ci fosse una via di mezzo, una possibilità al di là del

capo che ti guida. Questo in un mare magnum grigio di gente che

prima non si era accorta, ora ti diceva: devi dimenticare perché la

vita continua, si deve stare tutti insieme, noi non siamo stati cattivi

come quelli...Poi le immagini, le cose che succedevano...il fatto di

non sapere cosa, all'interno di queste sofferenze inaudite, cosa può

specificamente essere successo, aver sofferto la persona che ti è

cara, alla quale sei legato, che hai amato, ti fa dolere ogni fibra del

corpo. C'è una ferita, nella mente e nell'animo, che ti rende

apprensivo per tutto quello che succede.

Page 190: Tesi di laurea

190

INTERVISTA AL SAC. EUGENIO ROMANO

Ricorda quando sostituì don Luigi Nicoletti alla direzione di "Parola di

Vita"?

Se ricordo bene presi la direzione del giornale nel gennaio

1939. Don Nicoletti venne allontanato nel novembre 1938 ed il

vescovo mi obbligò ad accettare l'incarico. Io non ero molto

contento perché ero amico di don Nicoletti, mi sembrava di

offenderlo prendendo il suo posto, ma il vescovo ha insistito tanto.

Monsignor Nogara teneva molto a "Parola di Vita" ed all'Azione

Cattolica in generale, ammirava anche don Nicoletti, l'aveva

protetto molte volte, anche contro la Federazione fascista.

Non ricordo bene i motivi dell'allontanamento di don Nicoletti,

però lui era sempre stato antifascista, era nel Partito Popolare

prima del '22, è strano che con questi precedenti avesse incarichi

importanti, infatti dirigeva anche il Movimento Laureati, forse

perché, come ti ho detto, era amico del vescovo Nogara, che non

era fascista. Secondo me il clero cosentino non era affatto fascista,

anch'io ho criticato spesso il fascismo sul giornale. Però è stato un

periodo d'ordine, anche se ci furono cose eccessive.

A cosa si riferisce?

Page 191: Tesi di laurea

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Questa cosa degli ebrei è stata una di queste, mi sembra, però

non è stato come in Germania, dove c'è stato un massacro. Poi il

fascismo a Cosenza non era fatto da esaltati, era molto all'acqua di

rose. Non era come a Catanzaro, dove era molto forte. Non ricordo

esattamente come era affrontato il problema delle leggi razziali, a

Cosenza non abbiamo mai sentito il problema. Certo "Calabria

fascista" faceva molto rumore, era un giornale battagliero, lo

conoscevano in tutta Italia. Don Nicoletti si occupò del razzismo,

ma non so se è stato questo il motivo del suo allontanamento. Però

Nicoletti non si piegò mai al fascismo, su "Parola di Vita" le notizie

su Mussolini venivano ignorate. Quando venne trasferito d'ufficio in

Puglia il vescovo gli espresse la sua solidarietà, come tutto il clero.

Ricordo una riunione di Azione Cattolica in cui Nicoletti fu dichiarato

"assente giustificato".

Mi criticarono molto quando assunsi la direzione di "Parola di

Vita", dissero che mancavo di rispetto al mio maestro...però ho

dovuto obbedire al mio vescovo, che mi promise il suo sostegno, e

così fece, anche se si doveva essere cauti, non si poteva

condannare il fascismo chiaramente. Ci fu un certo sostegno

durante la guerra di Spagna, che era contro i comunisti, e poi

soprattutto nella lotta contro la massoneria, che io considero la

rovina della società.

C'erano delle cose del fascismo che io ho criticato molto.

Anch'io ebbi una polemica con "Calabria fascista" per quello che

era la GIL, perché i ragazzi dovevano dedicarsi ai campi ed alle

adunate fasciste anche il sabato e la domenica, invece di dedicarsi

al giorno del Signore. Appena morì Mons. Nogara, nel 1940, ci fu

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l'ordine di chiusura per "Parola di Vita", che restò chiuso un anno,

poi riaprì.

Perché ci fu quest'ordine di chiusura?

C'erano sempre polemiche, la Federazione secondo me non

voleva che ci fosse un giornale d'Azione Cattolica.

Lei riprese la polemica sulle leggi razziali?

Non ricordo, ma poi se ne parlava poco. Secondo me don

Nicoletti fu sostituito perché lo avevano già deciso, perché era stato

con don Sturzo.

Ma perché proprio in quel momento?

Non so...era sempre stato antifascista, tanto che dopo la

guerra fu tra i promotori della DC in Calabria. "Parola di Vita" era

sempre stato contro i comunisti ed i negatori di Dio, lo era anche

don Nicoletti, che fu un grandissimo uomo politico e un grande

oratore. Quando faceva i comizi era talmente bravo che anche tanti

comunisti venivano a sentirlo.

Non ricordo proprio la polemica sul razzismo, ma poi a

Cosenza non c'erano ebrei, ci sono stati nel Medio Evo, infatti

abbiamo il quartiere della Biblioteca Nazionale che si chiama

"Cafarone", dalla città di Cafarnao. Lì c'era il ghetto, gli ebrei erano

tessitori e mercanti di tessuti, ma stiamo parlando di secoli fa, poi

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erano andati via. I ghetti c'erano in altra città d'Italia, però anche

quando furono chiusi gli ebrei continuarono a vivere insieme. Sono

una comunità molto forte anche adesso, molto legati alle loro

tradizioni, e c'erano molti pregiudizi, si sono dette tante cose, non

so quali sono vere e quali sono false, non voglio parlarne. E poi ci

sono tanti luoghi comuni...ma la Chiesa è al di sopra delle parti,

però dalla parte della verità. Secondo me si dovrebbe tornare a

prima del Concilio Vaticano II, oggi si sono persi i veri valori, si è

voluto per forza modernizzare. La Chiesa non era contro gli ebrei,

però bisogna dire le cose come stanno, non c'è dialogo, loro

negano il Messia, non hanno accolto il Salvatore, è un errore

questo, non è vero?

Io sono per il tradizionalismo, oggi la vita è diventata

impossibile, non ci sono più valori. ma tu vuoi parlare di

ebrei...ecco, io non capisco gli ebrei che vivono in Italia. Devi

chiederlo tu che stai studiando queste cose, qual'è il loro paese? Io

non sono contro di loro, però non capisco. L'Italia è un paese

cattolico, ma oggi non mi meraviglia più nulla, hanno tolto pure il

crocefisso dalle scuole, nessuno parla di religione, eppure in Italia

c'è il Vaticano. E ci sono tante religioni, oggi c'è la moda del

buddismo, poi leggevo che a Roma c'è la moschea più grande

d'Europa, proprio a Roma.

Per me gli ebrei sono in errore, ma io non ho mai scritto nulla

contro di loro. Ho fatto tante battaglie con "Parola di Vita",

soprattutto contro il comunismo, vedi ora come è finito. Questo era

l'errore più grande per gli uomini, ora però è finito. Non ricordo altre

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cose molto bene, è passato tanto tempo e tante cose sono

cambiate.

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APPENDICE

Riportiamo qui alcuni documenti citati nel capitolo primo, tutti

estratti dal libro di Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il

fascismo, 4a edizione.

DOCUMENTO 1

INFORMAZIONE DIPLOMATICA NO. 14

Le recenti polemiche giornalistiche poterono suscitare in certi ambienti stranieri l'impressione che il governo fascista stia per inaugurare una politica antisemita.

Negli ambienti responsabili romani si è in grado di affermare che questa impressione è completamente errata e che si considerano le polemiche come dovute soprattutto al fatto che le correnti dell'antifascismo mondiale dipendono regolarmente da elementi ebraici.

Gli ambienti responsabili romani ritengono che il problema ebraico universale può essere risolto in un solo modo: creando in qualche parte del mondo, non in Palestina, uno Stato ebraico, Stato nel pieno significato di questa parola che sia perciò in grado di rappresentare e di proteggere per le normali vie diplomatiche e consolari tutte le masse ebraiche disperse nei vari paesi.

il fatto che in Italia esistano degli ebrei non comporta necessariamente che esista un problema ebraico specificatamente italiano. D'altro canto gli ebrei si contano a milioni mentre in Italia, su una popolazione che raggiunge ormai i 44 milioni di abitanti, la massa degli ebrei oscilla tra le 50 e le 60 mila unità.

Il Governo fascista non pensò mai, né pensa adesso, a prendere misure politiche, economiche, morali, contrarie agli ebrei in quanto tali, salvo, beninteso, nel caso in cui si trattasse di elementi ostili al Regime.

Il Governo fascista è inoltre risolutamente contrario a qualsiasi pressione, diretta o indiretta, per strappare abiure religiose e assimilazioni artificiose. La legge che regola e controlla la vita delle comunità ebraiche ha fatto buona prova e rimarrà invariata.

Il Governo fascista si riserva tuttavia di vegliare sull'attività degli ebrei di recente giunti nel nostro paese e di fare in maniera che la parte degli ebrei nella vita d'insieme della Nazione non sia sproporzionata ai meriti intrinseci individuali ed all'importanza numerica della loro comunità.

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DOCUMENTO 2

MANIFESTO DEGLI SCIENZIATI RAZZISTI

1. Le razze umane esistono. L'esistenza delle razze umane non è già un'astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi. Questa realtà è rappresentata da masse, quasi sempre imponenti, di milioni di uomini, simili per caratteri fisici e psicologici che furono ereditati e che continuano ad ereditarsi. Dire che esistono le razze umane non vuole dire a priori che esistono razze umane superiori e inferiori, ma soltanto che esistono razze umane differenti.

2. Esistono grandi razze e piccole razze. Non bisogna soltanto ammettere che esistano i gruppi sistematici maggiori, che comunemente sono chiamate razze e che sono individualizzati solo da alcuni caratteri, ma bisogna anche ammettere che esistano gruppi sistematici minori (come per es. i nordici, i mediterranei, i dinarici, ecc.) individualizzati da un maggior numero di caratteri comuni. Questi gruppi costituiscono dal punto di vista biologico le vere razze, la esistenza delle quali è una verità evidente.

3. Il concetto di razza è concetto puramente biologico. Esso è quindi basato su altre considerazioni che non i concetti di popolo e di nazione, fondati essenzialmente su considerazioni storiche, linguistiche e religiose. Però alla base delle differenze di popolo e di nazione stanno delle differenze di razza. Se gli italiani sono differenti dai francesi, dai tedeschi, dai turchi, dai greci ecc., non è solo perché essi hanno una lingua diversa e una storia diversa, ma perché la costituzione razziale di questi popoli è diversa. Sono state proporzioni diverse di razze differenti che da tempo molto antico costituiscono i diversi popoli, sia che una razza abbia il dominio assoluto sulle altre, sia che tutte risultino fuse armonicamente, sia, infine, che persistano ancora inassimilate una alle altre le diverse razze.

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4. La popolazione dell'Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana. Questa popolazione di civiltà ariana abita da diversi millenni la nostra Penisola; ben poco è rimasto della civiltà delle genti preariane. L'origine degli italiani attuali parte essenzialmente da elementi di quelle stesse razze che costituiscono e costituirono il tessuto perennemente vivo dell'Europa.

5. E' una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici. Dopo l'invasione dei Longobardi non ci sono state in Italia altri movimenti di popoli capaci di influenzare la fisionomia razziale della Nazione. Da ciò deriva che, mentre per le altre Nazioni europee la composizione razziale è variata notevolmente in tempi anche moderni, per l'Italia, nelle sue grandi linee, la composizione razziale di oggi è la stessa di quella che era mille anni fa: i 44 milioni di italiani di oggi rimontano quindi nell'assoluta maggioranza a famiglie che abitano in Italia da un millennio.

6. Esiste ormai una «pura razza italiana». Questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto biologico di razza con il concetto storico linguistico di popolo e di nazione, ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l'Italia. Questa antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della Nazione Italiana.

7. E' tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l'opera che ha fatto finora il Regime in Italia è in fondo del razzismo. Frequentissimo è stato sempre nei discorsi del Capo il richiamo ai concetti di razza. La questione del razzismo in Italia deve essere trattata da un punto di vista puramente biologico, senza intenzioni filosofiche o religiose. La concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l'indirizzo ariano-nordico. Questo non vuol dire però introdurre in Italia le teorie del razzismo tedesco come sono o affermare che gli italiani e gli scandinavi sono la stessa cosa. ma vuole soltanto additare agli italiani un modello fisico e soprattutto psicologico di razza umana che per i suoi caratteri puramente europei si stacca completamente da tutte le razze extraeuropee. Questo vuol dire elevare l'italiano ad un ideale di superiore coscienza di se stesso e di maggiore responsabilità.

8. E' necessario fare una netta distinzione tra i mediterranei d'Europa (occidentali) da una parte, gli orientali e gli africani dall'altra. Sono perciò da considerarsi pericolose le teorie che sostengono l'origine africana di alcuni europei e comprendono in una comune razza mediterranea anche

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le popolazioni semitiche e camitiche stabilendo relazioni e simpatie ideologiche assolutamente inammissibili.

9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana. Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria nulla in generale è rimasto. Anche l'occupazione araba della Sicilia nulla ha lasciato all'infuori del ricordo di qualche nome; e del resto il processo di assimilazione fu sempre rapidissimo in Italia. Gli ebrei rappresentano l'unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani.

10. I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo. L'unione è ammissibile solo nell'ambito delle razze europee, nel qual caso non si deve parlare di vero e proprio ibridismo, dato che queste razze appartengono ad un corpo comune e differiscono solo per alcuni caratteri, mentre sono uguali per moltissimi altri. Il carattere puramente europeo degli italiani viene alterato dall'incrocio con qualsiasi altra razza extraeuropea e portatrice di una civiltà diversa dalla millenaria civiltà degli ariani.

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DOCUMENTO 3

INFORMAZIONE DIPLOMATICA NO. 18

Negli ambienti responsabili romani si fa notare che molte delle impressioni e deduzioni estere sul razzismo italiano sono dettate da una superficiale cognizione dei fatti e in qualche caso da evidente malafede.

In realtà il razzismo italiano data dal 1919, come potrebbe essere documentato. Mussolini al discorso del Congresso del Partito tenutosi a Roma nel novembre del 1921, ripetiamo, 1921, dichiarò esplicitamente: "Intendo dire che il Fascismo si preoccupi del problema della razza con la quale si fa la storia".

Se il problema rimase per alcuni anni allo stato latente, ciò accadde perché altri problemi urgevano e dovevano essere risolti. Ma la conquista dell'Impero ha posto in primissimo piano i problemi chiamati complessivamente razziali, la cui sconoscenza ha avuto drammatiche, sanguinose ripercussioni sulle quali non è oggi il momento di scendere in particolari. Altri uomini mandano nelle terre dei loro imperi pochi e sceltissimi funzionari; noi manderemo in Libia e AOI, con l'andare del tempo e per assoluta necessità di vita, milioni di uomini. Ora, ad evitare la catastrofica piaga del meticciato, la creazione cioè di una razza bastarda, né europea né africana, che fomenti la disintegrazione e la rivolta, non bastano le leggi severe promulgate e applicate dal Fascismo. Occorre anche un forte sentimento, un forte orgoglio, una chiara onnipresente coscienza di razza.

Discriminare non significa perseguitare. Questo va detto ai troppi ebrei d'Italia e di altri Paesi, i quali ebrei lanciano al cielo inutili lamentazioni, passando con la nota rapidità dalla invadenza e dalla superbia all'abbattimento ed al panico insensato. Come fu detto chiaramente nella nota n. 14 dell'Informazione Diplomatica e come si ripete oggi, il Governo Fascista non ha alcuno speciale piano persecutorio contro gli ebrei in quanto tali. Si tratta di altro. Gli ebrei in Italia nel territorio metropolitano sono 44000, secondo i dati statistici ebraici che dovranno, però, essere controllati da un prossimo speciale censimento; la proporzione sarebbe quindi di un ebreo su mille abitanti.

E' chiaro che, d'ora innanzi, la partecipazione degli ebrei alla vita globale dello Stato dovrà essere, e sarà, adeguata a tale rapporto.

Nessuno vorrà contestare allo Stato fascista questo diritto, e meno di tutti gli ebrei, i quali, come risulta in modo solenne anche dal recente manifesto dei rabbini d'Italia, sono stati sempre e dovunque gli apostoli del

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più integrale, intransigente, feroce, e, sotto un certo punto di vista, ammirevole razzismo. Si sono sempre ritenuti appartenenti ad un altro sangue, ad un'altra razza, si sono autoproclamati "popolo eletto" ed hanno sempre fornito la prova della loro solidarietà razziale al di sopra di ogni frontiera.

E qui non vogliamo parlare dell'equazione storicamente accertata, in questi ultimi vent'anni di vita europea, fra ebraismo, bolscevismo e massoneria.

Nessun dubbio quindi che il clima è maturo per il razzismo italiano.E' meno ancora si può dubitare che esso non diventi - attraverso

l'azione coordinata e risoluta di tutti gli organi del Regime - patrimonio spirituale del nostro popolo, base fondamentale del nostro Stato, elemento di sicurezza per il nostro Impero.

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DOCUMENTO 4

DICHIARAZIONE SULLA RAZZA

Il Gran Consiglio del Fascismo, in seguito alla conquista dell'Impero, dichiara l'attualità urgente dei problemi razziali e la necessità di una coscienza razziale. Ricorda che il Fascismo ha svolto da sedici anni e svolge un'attività positiva, diretta la miglioramento quantitativo e qualitativo della razza italiana, miglioramento che potrebbe essere gravemente compromesso, con conseguenze politiche incalcolabili, da incroci e imbastardimenti.

Il problema ebraico non è che l'aspetto metropolitano di un problema di carattere generale.

Il Gran Consiglio del Fascismo stabilisce:a) il divieto di matrimoni di italiane e italiane con elementi appartenenti

alle razze camita, semita e altre razze non ariane;b) il divieto per i dipendenti dello Stato e da Enti Pubblici - personale

civile e militare - di contrarre il matrimonio con donne straniere di qualsiasi razza;

c) il matrimonio di italiani e italiane con stranieri anche di razze ariane, dovrà avere il preventivo consenso del Ministero dell'Interno;

d) dovranno essere rafforzate le misure contro chi attenta al prestigio della razza nei territori dell'Impero.

Ebrei ed ebraismo.

Il Gran Consiglio del Fascismo ricorda che l'ebraismo mondiale - specie dopo l'abolizione della massoneria - è stato l'animatore dell'antifascismo in tutti i campi e che l'ebraismo estero o italiano fuoriuscito è stato - in taluni periodi culminanti come nel 1924-25 e durante la guerra etiopica - unanimemente ostile al Fascismo.

L'immigrazione di elementi stranieri - accentuatasi fortemente dal 1933 in poi - ha peggiorato lo stato d'animo degli ebrei italiani, nei confronti del Regime, non accettato sinceramente, poiché antitetico a quella che è la psicologia, la politica, l'internazionalismo d'Israele.

Tutte le forze antifasciste fanno capo ad elementi ebrei; l'ebraismo mondiale è, in Spagna, dalla parte dei bolscevichi di Barcellona.

Il divieto d'entrata e l'espulsione degli ebrei stranieri.

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Il Gran Consiglio del Fascismo ritiene che la legge concernente il divieto d'ingresso nel Regno, degli ebrei stranieri, non poteva più oltre essere ritardata, e che l'espulsione degli indesiderabili - secondo il tema messo in voga e applicato dalle grandi democrazie - è indispensabile.

Il Gran Consiglio del Fascismo decide che oltre ai casi singolarmente controversi che saranno sottoposti all'esame dell'apposita commissione del Ministero dell'Interno, non sia applicata l'espulsione nei riguardi degli ebrei stranieri i quali:

a) abbiano un'età superiore agli anni 65;b) abbiano contratto un matrimonio misto italiano prima del I° ottobre

XVI.

Ebrei di cittadinanza italiana.

Il Gran Consiglio del Fascismo, circa l'appartenenza o meno alla razza ebraica, stabilisce quanto segue:

a) è di razza ebraica colui che nasce da genitori entrambi ebrei;b) è considerato di razza ebraica colui che nasce da padre ebreo e da

madre di nazionalità straniera;c) è considerato di razza ebraica colui che, pur essendo nato da un

matrimonio misto, professa la religione ebraica;d) non è considerato di razza ebraica colui che è nato da un matrimonio

misto, qualora professi altra religione all'infuori della ebraica, alla data del I° ottobre XVI.

Discriminazione tra gli ebrei di cittadinanza italiana.

Nessuna discriminazione sarà applicata - escluso in ogni caso l'insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado - nei confronti di ebrei di cittadinanza italiana - quando non abbiano per altri motivi demeritato - i quali appartengano a:

1. famiglie di Caduti nelle quattro guerre sostenute dall'Italia in questo secolo: libica, mondiale, etiopica, spagnola;

2. famiglie dei volontari di guerra nelle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola;

3. famiglie di combattenti di guerra nelle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola, insigniti della croce al merito di guerra;

4. famiglie di Caduti per la Causa fascista;5. famiglie dei mutilati, invalidi, feriti, della Causa fascista;6. famiglie di Fascisti iscritti al Partito negli anni '19-20-21-22 e nel

secondo semestre del '24 e famiglie di legionari fiumani;7. famiglie aventi eccezionali benemerenze che saranno accertate

da apposita commissione.

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Gli altri Ebrei.

I cittadini di razza ebraica, non appartenenti alle suddette categorie, nell'attesa di una nuova legge concernente l'acquisto della cittadinanza italiana, non potranno:

a) essere iscritti al Partito Nazionale Fascista;b) essere possessori o dirigenti di aziende di qualsiasi natura che

impieghino cento o più persone;c) essere possessori di oltre cinquanta ettari di terreno; d) prestare servizio militare in pace e in guerra.L'esercizio delle professioni sarà soggetto di ulteriori provvedimenti.Il Gran Consiglio del Fascismo decide inoltre:1. che agli ebrei allontanati dagli impieghi pubblici sia riconosciuto il

normale diritto di pensione;2. che ogni forma di pressione sugli ebrei, per ottenere abiure, sia

rigorosamente repressa;3. che nulla si innovi per quanto riguarda il libero esercizio del culto e

l'attività delle comunità ebraiche secondo le leggi vigenti;4. che, insieme alle scuole elementari, si consenta l'istituzione di scuole

medie per ebrei.

Immigrazione di ebrei in Etiopia.

Il Gran Consiglio del Fascismo non esclude la possibilità di concedere, anche per deviare l'immigrazione ebraica dalla Palestina, una controllata immigrazione di ebrei europei in qualche zona dell'Etiopia.

Questa eventuale e le altre condizioni fatte agli ebrei, potranno essere annullate o aggravate a seconda dell'atteggiamento che l'ebraismo assumerà nei riguardi dell'Italia fascista.

Cattedre di razzismo.

Il Gran Consiglio del Fascismo prende atto con soddisfazione che il Ministro dell'Educazione Nazionale ha istituito cattedre di studi sulla razza nelle principali Università del Regno.

Alle Camicie Nere.

Il Gran Consiglio del Fascismo, mentre nota che il complesso dei problemi razziali ha suscitato un interesse eccezionale nel popolo italiano, annuncia ai Fascisti che le direttive del Partito in materia sono da considerarsi fondamentali e impegnative per tutti e che alle direttive del Gran Consiglio devono ispirarsi le leggi che saranno sollecitamente preparate dai singoli Ministri.

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Giornali e riviste anni per cui si è

effettuato lo spoglio

"Bollettino Ufficiale

dell'Archidiocesi di Cosenza" 1935-1938

"Calabria fascista" 1933-1938

"Cronaca di Calabria" 1933-1938

"Il Corriere della Sera" 1933-1938

"La Difesa della Razza" agosto-dicembre 1938

"Il Giornale d'Italia" 1933-1938

"Parola di Vita" 1933-1938

"Il Popolo d'Itala" 1933-1938

Interviste

Signora Anna Blayer

Signora Pupa Garriba

Signora Giacoma Limentani

Signora Lea Sestieri

Don Eugenio Romano