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tesi di dottorato franco-italiana sulle trasformazioni di internet causate dalle leggi sul copyright.

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UNIVERSITÉ PARIS 13

DOTTORATO IN SCIENCES DE L’INFORMATION ET DE LA COMMUNICATION

In cotutela con il Dottorato in Scienze della Comunicazione di Sapienza – Università di Roma

Le mutazioni di internet tra regolazione giuridica e pratiche di file sharing

Dottoranda

Gabriella Giudici

Direttore Co-direttore

Prof. Roger Bautier Prof. Luciano Russi

Anno Accademico 2009 – 2010

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AAbbssttrraacctt

Questo lavoro studia il principale conflitto di internet e i cambiamenti generati dallo scontro tra le reti di file sharing e i detentori dei diritti di proprietà. I tentativi di contrasto del peer-to-peer sono infatti portatori di una radicale trasformazione della governance di internet, nella quale l’approccio normativo si è indebolito a vantaggio del controllo tecnologico. La ricerca si sviluppa come un’analisi dei dibattiti giuridici e tecnologici americani, finalizzata ad illustrare le linee di sviluppo sia della teoria critica che dell’apparato normativo costruito in risposta alle pratiche di condivisione. La prima parte è dunque dedicata alla definizione dell’eccezione digitale, ovvero alla nascita di internet come spazio di comunicazione non commerciale e alla fondazione della critica di internet, dopo la privatizzazione delle infrastrutture, coincidente con la nascita della cyberlaw. La seconda parte illustra l’evoluzione del dibattito critico, attraverso la legittimazione della svolta tecnologica del copyright e l’avvicinamento del cyberdiritto americano al discorso tecnologico sviluppatosi nei dibattiti ingegneristici dell’internet enhancement e del trusted system. La terza parte, infine, affronta la storia tecnologica e giudiziaria delle reti di file sharing, proponendo una definizione sociologica della pratica nel confronto con le interpretazioni economiche (disruptive tecnology) e antropologiche (hi-tech gift economy) prodotte dalla letteratura in argomento.

PPaarroollee cchhiiaavvee:: internet governance, copyright, legge tecnologica, peer-to-peer file sharing, Internet enhancement, trusted system, economia dell’informazione, disruptive technologies, hi-tech gift economy.

IInntteerrnneett mmuuttaattiioonnss bbeettwweeeenn jjuurriiddiiccaall rreegguullaattiioonn aanndd ffiillee sshhaarriinngg pprraaccttiicceess

This work is about the main Internet conflict and maine changes generated by the struggles between file sharing networks and copyright owners. Governance attemps to nullify peer-to-peer networks dramatically change regulation philosophy wherein legislative approach is weakened in favour of technological control.

This research is developped as an analysis of juridical and technological debates in U.S.A., with the goal of represent the developments of both critical theory and norms building as an answer of share practices. Its first part is dedicated to the definition of digital exception, that is Internet birth as a free and non commercial space, and to the foundation of Internet criticism after privatization of infrastructures, that coincide with cyberlaw emergence. Its second part represents critical debate evolution, across legitimation of technological turn of copyright law and incoming of American cyberlaw towards technological approach of «Internet enhancement» and «trusted system» debates. Finally, its third part deals with the judicial and technological history of file sharing networks, in the goal of suggesting a sociological definition of these practises, by compared

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economics (disruptive tecnology) and anthropological (hi-tech gift economy) interpretations produced by literature about this argument.

KKeeyywwoorrddss:: internet governance, copyright, technological turn, peer-to-peer file sharing, internet enhancement, trusted system, networked information economy, disruptive technologies, hi-tech gift economy.

École doctorale Érasme – Université Paris 13 UFR des Sciences de la communication 99 avenue Jean-Baptiste-Clément F 93430 Villetaneuse

Dottorato in Scienze della comunicazione – Sapienza Università di Roma V. Salaria, 113 05100 - Roma

 

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RRiinnggrraazziiaammeennttii

Questa tesi non sarebbe stata realizzata senza il sostegno e la fiducia dei proff. Roger Bautier dell’Università di Paris 13, Alberto Marinelli e Luciano Russi di Sapienza Università di Roma. Devo ad internet e alla politica di open publishing delle Università americane l’accesso alla maggior parte delle fonti bibliografiche e la possibilità stessa di condurre a termine questo lavoro di ricerca. Grazie, infine, ai miei figli e a mio marito per aver atteso pazientemente la conclusione di un lungo periodo di studi e averlo trascorso discutendo con me di internet e società dell’informazione.

 

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A Silvano

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Indice  

Introduzione 4

I. Eccezione digitale e fondazione della critica 16

11.. CCyybbeerrssppaaccee,, eecccceezziioonnee ee nnoorrmmaalliizzzzaazziioonnee 1188 1.1 Habitus digitale e autonomia della rete 20

1.1.1 Le origini di internet 20 1.1.2 La copia 25 1.1.3 La riproduzione dell’habitus digitale 29

1.2 La svolta tecnologica: verso una nuova governance 33

1.2.1 Le misure tecno-giuridiche di controllo 35 1.2.2 File sharing: il principale oggetto delle misure 41 22.. CCyybbeerrllaaww,, llaa ffoonnddaazziioonnee ddeellllaa ccrriittiiccaa ddiiggiittaallee 4488

2.1 Dal catechismo digitale alla cyberlaw 50

2.1.1 Cultura hacker e informatica sociale 50 2.1.2 L’utopismo digitale 51 2.1.3 Lessig e la cyberlaw 55

2.2 Il dibattito americano sul copyright esteso 62

2.2.1 Le frizioni costituzionali: l’estensione dei termini 62 2.2.2 Le frizioni costituzionali: il controllo tecnologico 64 2.2.3 La crisi di legittimità del copyright 67

II. Il governo dell’eccezione e la nuova cyberlaw 76

33.. DDiirriittttoo ppeerrffoorrmmaattiivvoo ee iinnggeeggnneerriiaa ddeellllaa rreettee 7788

3.1 L’evoluzione delle politiche di controllo 80

3.1.1 La formazione del clima politico americano e la genesi delle misure tecnologiche 80

3.1.2 Il Broadcast Flag e gli argomenti della quality-of-service 89

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3.2 Jonathan Zittrain: la legittimazione della svolta tecnologica 95

3.2.1 L’appello per l’internet generativa 95 3.2.2 La reinterpretazione dell’end-to-end 98 3.2.3 La legittimazione del trusted system 102 3.2.4 Le contraddizioni economiche del controllo 106

3.2.5 La crisi di complessità della governance dell’innovazione 109

3.3 Net security: l’ordine del discorso digitale 114

3.3.1 La costruzione del cybercrime 114 3.3.2 I «luoghi neutri» della sicurezza digitale 119 3.3.2.1 Il Berkman Centre 119 3.3.2.2 IEEE, IETF 129

44.. DDaall ggoovveerrnnoo ddeeii ccoonnfflliittttii aallllaa ggoovveerrnnaannccee ddeellllee pprroocceedduurree 113388

4.1 Lex informatica come lex mercatoria 140

4.1.1 Law and Borders: per una legge speciale di internet 140

4.1.2 La legge transnazionale dei mercanti 142 4.1.3 L’alternativa costituzionale: Gunther Teubner 146 4.1.4 Le applicazioni normative del fondamentalismo di

mercato 151

4.2 Lex informatica come stato d’eccezione 155

4.2.1 Governance tecnologica e crisi dell’ordinamento liberale 155

4.2.2 Lo stato d’eccezione come norma 162

III. Il file sharing e la logica dei network 166

55.. LLee rreettii ee llee aarrcchhiitteettttuurree ddii ccoonnddiivviissiioonnee 116688

5.1 Darknet, ovvero la robustezza delle reti sociali 170

5.2 Da Napster a BitTorrent: storia tecnologica e giudiziaria del peer-to-peer 174

5.2.1 Le origini: protocollo vs applicazione 175 5.2.2 Il peer-to-peer non commerciale 179

5.2.3 Il declino delle piattaforme proprietarie 181

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5.2.4 Virtual Private Networks, darknets e sistemi di anonimizzazione 192

5.2.5 Lo streaming 196 5.2.6 Il trionfo tecnologico del P2P 197

5.3 File sharing e rinnovamento del mercato: la distruzione creatrice e l’economia dell’informazione 204

5.4 File sharing vs mercato: l’economia digitale del dono 213

5.4.1 Hi-Tech Gift Economy: la superiorità delle pratiche collaborative 213

5.4.2 Napster Gift System: la circolazione del dono nella comunità virtuale 222

66.. PPeerr uunn’’aannttrrooppoollooggiiaa ddeell ppeeeerr--ttoo--ppeeeerr 223300

6.1 Le critiche all’interpretazione del file sharing come sistema di dono 232

6.2 Se non è un dono, cos’altro? 235

6.2.1 Il file sharing come redistribuzione sociale di un bene pubblico 235

6.2.2 Il file sharing come possesso comune basato sulla partecipazione 242

6.2.3 Il file sharing come solidarietà tecnica 245

6.3 Le comunità di produzione di release: il caso di eMulelinks 251

6.4 Verso una teoria del peer-to-peer 260 Conclusioni 266

Bibliografia 274

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IInnttrroodduuzziioonnee

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   Introduzione

  

 

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Regulators would welcome and even encourage a PC/Internet grid that is less exceptional and more regulable.

J. Zittrain1

Questo lavoro perimetra il campo di ricerca costituito dal rapporto tra la

regolazione giuridica di internet e l’emersione del file sharing, una pratica

consistente nella condivisione online di copie e release di beni commerciali2 la

cui diffusione ha impresso un’accelerazione decisiva alla trasformazione della

governance della rete. Rispetto al modello non proprietario e non commerciale

di produzione e distribuzione dei beni che caratterizza le pratiche digitali3, il file

sharing infatti sottomette alla logica di internet gli stessi beni industriali,

generando una circolazione gratuita ed efficiente di musica, film, software,

videogiochi e trasmissioni televisive on demand, attraverso la quale i network

peer-to-peer rendono abbondante quanto è mantenuto scarso, aggredendo il

presupposto della distribuzione commerciale di questi beni.

La principale conseguenza di questo scontro è la nascita di una nuova

modalità di governo di internet che, come ha evidenziato Lawrence Lessig,

porta al collasso i meccanismi di regolazione tradizionali non solo dei sistemi

tecnici, ma delle società democratiche in generale, in quanto abbandona lo

strumento normativo e la deterrenza penale come mezzi di contrasto

dell’illegalità, sostituendoli con dispositivi tecnologici capaci di assicurare a priori

il rispetto delle prescrizioni normative. Il governo delle tecnologie passa così

sempre più decisamente per sistemi di controllo incorporati nell’hardware e nei

software dei computer e per modifiche radicali ai protocolli di comunicazione di

internet che esaltano il ruolo delle compagnie telefoniche quali regolatori del

traffico digitale e dettano nuove regole alla competizione economica on the Net.

Obiettivo della nostra ricerca è quindi di rappresentare estensivamente lo

spettro di queste tensioni e di fornire un contributo d’analisi all’interpretazione

socio-antropologica del file sharing. Il tema si presta infatti ad un’indagine

complessiva degli usi e delle trasformazioni dell’ambiente elettronico che la                                                             

1 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, Harvard Law Review, 119, 2006, p. 2002, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=847124. 2 Per release si intende la versione aggiornata di un file o di un software. Nel caso dei beni in circolazione nelle reti di file sharing, si tratta di copie di beni digitali confezionate con sistemi conservativi della qualità audio e video, talvolta corredate di servizi, quali recensioni, sottotitoli, trailer o fofotogrammi, assenti negli originali. 3 Y. BENKLER. The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, New Haven and London: Yale University, 2006, p. 3; http://www.benkler.org/Benkler_Wealth_Of_Networks.pdf.

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Introduzione  

 

 

teoria sociale tarda ad affrontare, producendo studi ancora frammentari o

eccessivamente condizionati dalla prospettiva giuridica ed economica che,

proprio per la sua centralità, rappresenta il nostro punto di partenza ma anche il

punto di vista che si intende superare. I dibattiti giuridici e tecnologici americani

costituiscono, perciò, uno dei principali terreni d’analisi di questa indagine sul

peer-to-peer che cerca di includere nella teoria delle pratiche digitali una

mappatura delle pratiche teoriche a monte dei sistemi di classificazione e dei

dispositivi di produzione del discorso su internet. Nelle prime due sezioni della

tesi il file sharing è dunque guardato esclusivamente come «oggetto di misure»,

mentre lo studio del fenomeno come «soggetto di pratiche» è intrapreso

nell’ultima parte.

Nella prima e nella seconda parte della ricerca dedicate, rispettivamente,

alla fondazione e alla recente evoluzione del discorso regolativo, ci si sofferma

quindi sull’apporto della dottrina legale allo studio di internet che, con la

cyberlaw americana, ha espresso contributi ricchi e sofisticati, affermandosi sia

come un fattore essenziale della costruzione della governance digitale che

come la sua principale coscienza critica. Il cyberdiritto ha infatti il merito di aver

integrato e immesso anche nel dibattito non specialistico i risultati degli studi

costruttivisti sulla tecnica e contribuito a illuminare le trasformazioni della black

box architetturale di internet, collocando gli effetti del design tra le altre forme di

condizionamento sociale, dalla legge al mercato fino alle convenzioni sociali –

code, law, market and norms, secondo la lezione lessighiana4. Allo stesso

tempo, si deve alla stessa cyberlaw l’elaborazione delle principali ipotesi di

regolamentazione della vita digitale (si pensi, ad esempio, all’alternative

compensation system di William Fisherl)5, mentre alcuni dei suoi sviluppi più

recenti, svincolati dalla prima matrice costituzionalista, rappresentano la

principale fonte di legittimazione giuridica della discussa evoluzione della

governance di internet e della sua svolta tecnologica6. In questo modo, la

giurisprudenza cresciuta tra le Università di Harvard e Stanford e oggi tra le voci

più influenti nella formazione del discorso digitale, rappresenta anche un

importante indicatore di tendenza del policy making delle telecomunicazioni                                                             

4 L. LESSIG. Code and Other Laws of Cyberspace, New York: Basic Book, 1999. 5 W.W. III, FISHER. Promises to Keep. Technology, Law, and the Future of Entertainment, Stanford: Stanford University Press, 2004. 6 J. ZITTRAIN. “A History Of Online Gatekeeping”, Harvard Journal of Law & Technology, 19, 2, Spring 2006, (pp. 253-298); http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=905862.

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   Introduzione

  

 

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americane e il sensore più affidabile delle variazioni dell’approccio regolativo

statunitense all’ambiente informazionale. L’analisi di questo corpus teorico ci

permette quindi di seguire lo sviluppo di un dibattito che, pur articolandosi come

uno studio della produzione normativa americana, si impone all’interesse della

comunità internazionale sia in quanto polo avanzato della riflessione su internet,

sia in quanto osservatore privilegiato delle politiche di un paese che continua a

giocare un ruolo di primo piano nella determinazione della governance digitale.

Dopo aver presentato i temi fondamentali e le ragioni dell’affermazione

della cyberlaw nel dibattito sulle tecnologie, si dedica perciò particolare

attenzione ad alcuni segnali di declino dell’egemonia intellettuale di Lessig e

della sua critica al copyright, che si accompagnano alla fine della distanza

critica del diritto digitale dall’approccio tecnocratico delle élite ingegneristiche, il

cui lavoro teorico, applicato alla ricerca sui sistemi affidabili (trusted system) e

allo sviluppo degli standard di rete (Internet enhancement), rappresenta l’altro

fondamentale centro di elaborazione delle strategie regolative del cyberspazio.

Evidenziamo, in particolare, come con la legittimazione di Jonathan Zittrain delle

misure informatiche progettate in risposta all’infrazione del copyright nelle reti di

file sharing e alle nuove necessità commerciali delle telco e dei network

televisivi over the Net, il fronte critico della cyberlaw sembri aver perso

compattezza, insieme a una visione internet & society della rete che ha fatto

scuola. In questa svolta ricca di conseguenze, l’orientamento del giurista di

Harvard si presenta infatti totalmente svincolato dall’ortodossia costituzionalista

e dal retaggio dei classici studi sul First Amendment, mostrando di aver perso il

baricentro illuminista della dottrina lessighiana e di promuovere una visione

post-universalistica del Net, differenziato per attività, pubblici e significato

economico dei flussi di dati.

Le politiche di normalizzazione del cyberspazio sembrano quindi passare in

questo momento per la crisi del costituzionalismo e l’ascesa di un diritto ispirato

a principi di efficacia e performatività che lascia cadere la fondamentale tesi di

Lessig secondo la quale i cambiamenti di internet non sarebbero stati limitati

allo spazio cibernetico, ma avrebbero investito la società per intero, a causa

della tensione che lo stato d’eccezione istituito dai tentativi di regolazione di uno

spazio eccezionale, avrebbe immesso nel quadro dei principi ordinamentali.

Il significato politico del discorso lessighiano si precisa interamente alla luce

della centralità nel dibattito americano degli anni ’90 del tema dell’eccezionalità

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Introduzione  

 

 

di internet, su cui si è giocato il primo scontro teorico tra le utopie digitali e i

professori di legge. Con James Boyle, Lessig è infatti il fondatore di una teoria

del cyberspazio che oltre a rovesciare l’ipotesi della diversità ontologica e

dell’incontrollabilità di internet, ha anche indicato nelle politiche

dell’informazione il luogo di elaborazione di un nuovo modello di società che

passa per uno stretto controllo della rete telematica. Internet è infatti il contesto

in cui l’importanza crescente della proprietà intellettuale cozza con l’avanzata

obsolescenza dei suoi dispositivi legali, particolarmente evidente nelle difficoltà

di esecuzione dei diritti e nella circolazione informale delle copie nelle reti di file

sharing.

Molti dei protagonisti di questa prima fase del dibattito si sono interrogati

sulle cause della «powerful inertia»7 che l’architettura telematica oppone ai

tentativi di omologazione culturale e di stretta regolazione normativa e

commerciale, dando vita ad una letteratura fortemente debitrice dell’approccio

informatico e incline a giustificare la fenomenologia sociale di internet con il

funzionamento dei dispositivi tecnologici. La stessa cyberlaw oscilla

costantemente tra il riconoscimento della capacità degli oggetti tecnici di

incorporare valori e principi d’azione (code is law) e l’oblio della codifica sociale

che istituisce la legge attraverso le architetture tecnologiche8.

Nel primo capitolo affrontiamo dunque questo aspetto, esaminando le

particolari condizioni in cui nasce la rete internet e la frattura culturale che in

corrispondenza con tale evento porta a maturazione il passaggio dalla

concezione artistica della riproduzione a quella distributiva del codice. È in

questo contesto che, oltre a innescare il declino del riferimento all’originale e

delle estetiche del gesto creatore, le copie digitali diventano il supporto aperto di

continue manipolazioni e il veicolo di una diversa modalità di produzione

culturale. Si mostra, in proposito, come questi nuovi usi dell’informazione

prendano forma negli stili organizzativi dei gruppi di ricerca impegnati nella

stesura dei protocolli di rete, la cui logica collaborativa si sedimenta nel disegno

delle tecnologie, sostenendo la riproduzione, nelle mutate condizioni della rete

commerciale, dell’ordine sociale di queste prime organizzazioni di informatici.

Formuliamo perciò l’ipotesi che il conflitto sulla copia debba essere letto

                                                            

77 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 1977. 8 L. LESSIG. Code and other laws of cyberspace, op. cit.

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   Introduzione

  

 

10

come un conflitto di legittimità, generato dallo scontro tra l’orizzonte normativo di

uno spazio sociale regolato dalle convenzioni della ricerca e il regime di verità

dello spazio economico entro cui l’internet viene inglobata dopo la dismissione

dell’infrastruttura pubblica del 1995. Questa parte dell’analisi si conclude con la

presentazione dei principali disegni di legge sulle telecomunicazioni attualmente

allo studio negli Stati Uniti, nei quali si evidenzia la tendenza a rimuovere le

condizioni di riproduzione di queste forme di relazione sociale, portando la

regolazione dei comportamenti illegali sul terreno della reingegnerizzazione di

internet in luogo del sanzionamento ex-post.

Il capitolo successivo è dedicato alla storia dei dibattiti giuridici e tecnologici

americani, il cui studio ci permette di ricostruire i termini dell’opposizione

fondamentale lungo cui si snoda la riflessione regolativa su internet. Si

ripercorre, in particolare, lo sviluppo di una visione politica delle tecnologie,

particolarmente recettiva al contributo delle scienze sociali allo studio dei

sistemi tecnici, quale quella della cyberlaw, e del percorso inverso tracciato dai

dibattiti tecnologici che, intorno agli anni ’80, maturano una concezione

strumentale e neutrale dei dispositivi tecnici. Come si osserva nel terzo capitolo

che introduce la sezione dedicata alla recente evoluzione del dibattito giuridico

americano, la diametrale distanza tra queste posizioni viene fortemente

ridimensionata dal giovane professore di Harvard Jonathan Zittrain, il quale

innesta nel corpus critico della cyberlaw le istanze di sicurezza provenienti dai

dibattiti ingegneristici, incaricandosi di moderarle quando incompatibili con la

salvaguardia dell’innovazione. Agli occhi di questo studioso, il diritto di internet

deve ormai farsi carico della domanda di controllo avanzata dal marketplace,

proprio per scongiurare il rischio che la massiccia introduzione di misure di

sicurezza abbatta il potenziale «generativo» della griglia digitale pc/internet.

Come si cerca di dimostrare, il suo intervento, contenuto in un articolo del

2006 e in un libro pubblicato due anni dopo9, rappresenta l’elaborazione più

matura di una nuova concezione della governance di internet che punta a

difendere la capacità di innovazione delle architetture digitali separandola

chirurgicamente dal suo côté sociale, il dark side della rete. Nella parte finale di

questo capitolo, l’analisi della battaglia zittrainiana per la riforma di internet e

                                                            

9 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit.; The Future of the Internet and How to Stop It, New Haven: Yale University Press, 2008; http://www.jz.org.

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Introduzione  

 

11 

 

della cyberlaw si fonde con l’esame delle formazioni discorsive generate dal

coordinamento, sul terreno della sicurezza digitale, di soggetti istituzionali, quasi

istituzionali e non istituzionali, le cui dinamiche di luoghi neutri illustrano la

formazione orizzontale delle politiche di controllo e la penetrazione nel senso

comune digitale della filosofia della Net security.

La sezione dedicata alla fondazione giuridica della nuova governance di

internet si completa con il quarto capitolo, incentrato sulle implicazioni politiche

e giuridiche della convergenza, nella legge informatica, tra filosofie di controllo

dell’informazione, superamento della legittimità formale del copyright e misure di

valorizzazione dell’ambiente telematico. Si osserva, in particolare, come, dopo il

2000, la crisi dell’ordinamento liberale all’intersezione con le politiche del

cyberspazio travalichi i confini del dibattitto su internet, entrando nella riflessione

di giuristi come Gunther Teubner e Giovanni Sartori, i quali evidenziano come la

svolta tecnologica del copyright introduca uno stato d’eccezione del diritto che

rischia di coincidere con le logiche del potere economico e con il controllo

autoritario dei flussi informativi. La circolazione illegale delle copie si rivela così

non solo come il principale conflitto per l’ordine legittimo del cyberspazio, ma

come una delle forme di resistenza dei network alla sospensione del diritto nelle

deleuziane società di controllo.

Questo punto d’arrivo dell’analisi ci porta ad osservare come parallelamente

al rafforzamento del copyright e alla proliferazione di misure in contrasto con i

principi organizzativi di internet (net neutrality), cresca anche la capacità dei

fenomeni più controversi, tra i quali il file sharing, di sottrarsi alla sorveglianza e

di creare contromisure generative al controllo informatico. Si prospetta così uno

scenario in cui, come preconizzato da Lyotard, l’impossibilità postmoderna di

fondare la giustizia sul discorso vero e sulle narrazioni emancipative trova in

forme minori di conflitto e nella divergenza strutturale delle reti la possibilità di

una legittimazione per paralogia e la via di fuga dalla chiusura totalizzante della

(luhmanniana) società amministrata.

Nel quinto capitolo, con cui si apre l’ultima parte dedicata all’interpretazione

del file sharing, prendiamo quindi in esame la storia tecnologica e giudiziaria dei

sistemi di condivisione, partendo da uno studio poco noto attraverso il quale un

gruppo di ricercatori Microsoft ha evidenziato la stretta derivazione del peer-to-

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   Introduzione

  

 

12

peer10 dalle reti fisiche di amici (sneakernet), alle quali la diffusione della

programmazione ha offerto una tecnologia in grado di distribuire beni digitali a

basso costo11. In questo intervento che evidenzia la natura di protocollo sociale,

prima ancora che tecnico, delle reti illegali (darknet), gli ingegneri sostengono

che le pratiche di file sharing non possono essere soppresse dal controllo

informatico e dalla repressione giudiziaria, i quali possono solo spingere i peer-

to-peer networks a rafforzare le loro tattiche di mascheramento o a rinunciare

all’interconnessione per sopravvivere come isole crittate nelle reti elettroniche -

senza peraltro perdere la loro efficienza distributiva. La possibilità di controllare

ogni aspetto della struttura tecnica del file sharing si infrange infatti sulla

robustezza delle reti sociali e sulla loro capacità di rispondere alle aggressioni

riarticolando la propria morfologia e riproducendosi a partire da pochi nodi.

A distanza di sette anni dalla conferenza tecnica in cui veniva presentata

questa ipotesi, l’evoluzione delle piattaforme di condivisione mostra di muoversi

effettivamente nella direzione indicata dai ricercatori e di saper rispondere alla

pressione tecno-giudiziaria con le sue stesse tecniche - la crittografia, la

steganografia e la riscrittura dei protocolli - sostenendo la crescita dei propri

volumi di traffico (da 1 a 10 terabyte dal 1999 ad oggi) e la penetrazione del file

sharing negli usi quotidiani della rete.

Sembra quindi non più rinviabile la costruzione di un piano teorico capace

di spiegare in modo persuasivo la vitalità e la popolarità di questa pratica,

superando i determinismi tecnologici e il punto di vista regolativo ancora

dominanti. Tra i tentativi mossi in questa direzione, segnaliamo due

interpretazioni, l’una economica, che riconosce nei sistemi di condivisione i tratti

di una disruptive technology capace di rivoluzionare i modelli d’affari delle

imprese e di imporsi in futuro come uno standard dell’economia digitale, l’altra,

socio-antropologica, che legge invece nel peer-to-peer la persistenza di un’hi-

tech gift economy strettamente legata alle origini non commerciali della rete, le

cui pratiche generative e collaborative si rivelano più efficienti del mercato ed

alternative ad esso.

                                                            

10 Mentre con il termine di file sharing si fa riferimento alle pratiche di condivisione online, quello di peer-to-peer indica soprattutto la struttura organizzativa di queste piattaforme. Poiché il file sharing si basa su reti che permettono interazioni da pari a pari, i due concetti sono spesso usati come sinonimi. 11 P. BIDDLE, P. ENGLAND, M. PEINADO, B. WILLMAN. “The Darknet and the Future of Content Distribution”, November 2002; http://crypto.stanford.edu/DRM2002/darknet5.doc.

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Introduzione  

 

13 

 

Come si evidenzia al riguardo, l’identificazione del file sharing con un

processo di distruzione creatrice è un corollario della critica che gli economisti

vicini alla cyberlaw rivolgono ad un governo dell’innovazione sempre meno

incline ad affidare alla mano invisibile della concorrenza le sorti dell’industria, in

quanto orientato a soddisfare la domanda di controllo di una produzione di

audiovisivi che non intende modificare le proprie strategie di profitto. Si tratta

dunque di una visione che, malgrado l’indicazione della natura del peer-to-peer,

che si vuole economica, e il suggerimento che si tratti di un fenomeno più

complesso di quanto registrato dai teorici della old economy, rinuncia ad

indagare la sua logica sociale, non meno dell’interpretazione a cui si

contrappone che vede il file sharing come semplice distruzione di valore. Al

contrario, il dibattito sull’economia del dono ha il merito di contrastare il

riduzionismo interpretativo che affligge gli studi su questa pratica digitale,

portando la letteratura in argomento proprio sul piano dell’analisi sociale.

Oltre a presentarsi nei lavori sulla cultura convergente di Henry Jenkins, il

riferimento all’economia del dono è al centro di una serie di articoli di Richard

Barbrook e Markus Giesler, nei quali si evidenzia, da un lato, come le pratiche

di condivisione costituiscano la naturale conseguenza di relazioni sociali e

materiali connesse a un sistema di circolazione del sapere consapevolemente

basato sul superamento del copyright12 e, dall’altro, come lo scambio dei file

costituisca il collante sociale di comunità digitali aggregate intorno a questa

pratica13.

Ci chiediamo, dunque, anche alla luce delle critiche volte ad evidenziare le

differenze tra la condivisione online e i sistemi di reciprocità studiati dagli

antropologi, se questo schema interpretativo sia sostenibile ed eventualmente

sufficiente a spiegare il file sharing. L’ultimo capitolo affronta quindi soprattutto

le obiezioni mosse a questo approccio, le quali si concentrano sull’anonimità e

la volatilità degli scambi che non permettono la tessitura di legami di solidarietà

tra chi condivide i propri file e chi li copia, nonché sull’assenza nel file sharing

della componente agonistica del dono, basata sul prestigio e sul

riconoscimento, e di quella sacrificale, fondata sulla cessione di utilità sottratte

                                                            

12 R. BARBROOK. “The Hi-Tech Gift Economy”, First Monday, October 1998; http://www.firstmonday.org/issues/issue3_12/barbrook/19991025index.html, 13 M. GIESLER. “Consumer Gift Systems”, Journal of Consumer Research, 33, September 2006; http://www.journals.uchicago.edu/doi/pdf/10.1086/506309.

Page 25: TESI COMPLETA

   Introduzione

  

 

14

al consumo e investite nella costruzione di alleanze e legami d’amicizia.

Abbiamo quindi analizzato la struttura dei sistemi peer-to-peer,

soffermandoci sull’organizzazione delle comunità di produzione di release – in

particolare, della comunità italiana di eMulelinks, su cui si è condotta una serie

di osservazioni - e sul legame tra questi collettivi e gli utenti delle reti globali di

condivisione, concludendo che le pratiche di file sharing non possono essere

comprese senza tener conto della loro articolazione, nella quale si evidenzia

come la capacità delle economie del dono di sfidare l’economia di scambio e di

riprodursi su internet si debba proprio alla sinergia tra dinamiche comunitarie,

precise condizioni tecnologiche e grandi sistemi anonimi.

Page 26: TESI COMPLETA

 

 

15 

 

Page 27: TESI COMPLETA

     

 

16

II..

EECCCCEEZZIIOONNEE DDIIGGIITTAALLEE EE CCYYBBEERRLLAAWW

------------------------------------ Questa parte della tesi introduce i principali elementi di analisi del conflitto

sulla copia, dalle origini e dalla natura dello scontro tra i detentori di copyright e

le reti di file sharing fino ai progetti di legge americani ed europei che affiancano

i primi strumenti di controllo tecnologico alle misure normative. Nel momento in

cui internet si apre al commercio e al pubblico mondiale, il discorso americano

sulle tecnologie assume la fisionomia di un dibattito regolativo che parla la

lingua del diritto costituzionale e dell’informatica e in cui la cyberlaw mostra il

legame dei suoi principali autori con le battaglie per i diritti civili e la libertà di

parola.

Page 28: TESI COMPLETA

 

 

17 

 

Page 29: TESI COMPLETA

   

 

18

1.

CCyybbeerrssppaaccee,, eecccceezziioonnee ee nnoorrmmaalliizzzzaazziioonnee

Page 30: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

19 

 

Questo capitolo prende in esame le condizioni «eccezionali» della nascita

di internet, avviando l’analisi delle pratiche di copia e distribuzione dei file – che

si conclude nella terza parte - ora al centro del principale conflitto digitale. In

proposito, si formula l’ipotesi che, in virtù delle sue origini, l’internet pre-

commerciale costituisca un campo autonomo, caratterizzato dalla

sperimentazione sociale delle possibilità dell’ambiente tecnologico e da un

corrispondente piano di legittimità che le convenzioni della ricerca e della

cultura hacker hanno esteso all’ambiente elettronico.

Lo scontro sulla circolazione delle copie, iniziato con i processi Napster e

Grokster, va dunque letto, in primo luogo, come un conflitto di legittimità, nel

quale l’orizzonte normativo del campo telematico entra in collisione con il

regime di verità dello spazio economico entro cui internet viene inglobata dopo il

1995. Nell’analisi di questo conflitto, ci si concentra particolarmente sulle

dinamiche di riproduzione della cultura digitale nelle mutate condizioni

dell’infrastruttura privatizzata, osservando come la potente inerzia della rete nei

confronti delle aggressioni regolative e commerciali, a lungo equivocata come

effetto delle proprietà sostantive dell’informazione (cap.2), vada messa in

relazione alla capacità delle tecnologie di riprodurre l’habitus delle prime

comunità informatiche incorporato nelle architetture.

Ciò spiega perché il sanzionamento della copia, al centro delle politiche di

regolazione di internet, si stia spostando sempre più decisamente dal contrasto

ai comportamenti illegali, alla rimozione delle condizioni tecnologiche entro cui

prendono forma tali comportamenti. Il tratto distintivo di queste politiche è,

infatti, l’abbandono della tradizionale via normativa al controllo delle azioni

individuali e la sua sostituzione con misure tecnologiche in grado di escludere a

priori le operazioni non conformi alle prescrizioni dei dispositivi legali. La

seconda parte del capitolo è perciò dedicata alle caratteristiche della nuova

governance dell’ambiente digitale, con particolare riferimento alla delega al

piano tecnologico degli imperativi comportamentali legati alla duplicazione e alla

distribuzione delle copie e ai progetti di reingegnerizzazione di internet.

Page 31: TESI COMPLETA

   1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione

  

 

20

11..11 HHaabbiittuuss ddiiggiittaallee ee aauuttoonnoommiiaa ddeellllaa rreettee

11..11..11 LLee oorriiggiinnii ddii iinntteerrnneett Les machines sont sociale avant d’être techniques.

Ou plutôt, il y a une technologie humaine avant qu’il y ait une technologie matérielle.

G. Deleuze1

Tra le formulazioni più note dell’eccezionalità digitale, la definizione di

internet come «accidental [information] superhighway» coniata da Christopher

Anderson in un fortunato articolo del 19952, è stata spesso ripresa per la sua

efficacia iconica e per il legame stabilito dall’autore tra le circostanze peculiari

della nascita della rete e i suoi tratti durevoli di resistenza alla regolazione e alla

normalizzazione commerciale.

Nell’elenco di condizioni irripetibili che, secondo l’autore, giustificavano

l’esistenza di uno spazio telematico retto da logiche proprie, Anderson aveva

affiancato al particolare clima culturale che si accompagnava allo sviluppo delle

tecnologie di comunicazione, la sostanziale indifferenza delle grandi imprese

ICT per lo sviluppo dell’infrastruttura digitale. Questo aspetto, non

particolarmente frequentato negli studi sulle origini di internet, spicca, in effetti,

non soltanto dalle evidenze storiche relative agli anni di gestazione della rete,

ma forse ancora più nettamente dalla loro persistenza nel periodo

immediatamente successivo, nel quale la liberalizzazione delle attività

economiche nell’ambiente digitale era già in corso. Tra gli esempi più noti, si

ricorderà la sottovalutazione dell’importanza di internet da parte di Microsoft che

cominciò ad abbandonare la concezione di un sistema operativo pensato per

postazioni standing alone, solo dieci anni dopo l’inizio della liberalizzazione

delle attività economiche sull’ex infrastruttura accademica (1988), introducendo

in Windows 98 le prime funzionalità di rete3.

Riflettendo sul disinteresse della grande impresa e sugli altri elementi

indicati da Anderson nella genesi accidentale di internet, il giurista americano                                                             

1 G. DELEUZE. Foucault, Paris: Les Éditions de Minuit, 1986, p. 47. 2 C. ANDERSON. “Survey of the Internet: the accidental superhighway”, The Economist, july 1, 1995, http://www.temple.edu/lawschool/dpost/accidentalsuperhighway.htm.  Parla di «rete accidentale» anche Rheingold: «[…] le componenti più importanti della rete, nacquero sulla base di tecnologie create per scopi completamente diversi. La rete è nata dall’immaginazione di poche persone guidate dall’ispirazione, non da un progetto commerciale». H. RHEINGOLD. The Virtual Community (1993), trad. cit., p. 79. 3 Per approfondimenti sulle caratteristiche di Windows 98 si rinvia a http://it.wikipedia.org/wiki/Windows_98.

Page 32: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

21 

 

Paul David vi ha aggiunto il ruolo essenziale giocato nello sviluppo della rete dai

programmi pubblici americani di ricerca e sviluppo (R&D), non ancora

rigidamente istituzionalizzati e scarsamente condizionati da indicatori di

performance e protocolli di attività. Secondo David, le ragioni di fondo

dell’eccezionalità di internet sono, dunque, da cercare nella stabilità di queste

condizioni operative assicurate dalle agenzie federali alla ricerca per almeno

due decenni4.

Le argomentazioni dei due studiosi evidenziano, dunque, come il côté

istituzionale del peculiare complesso di fattori da cui sono emerse le tecnologie

di comunicazione, si sia distinto per la duplice causa negativa della non

interferenza e non direttività del mercato e del settore pubblico nello sviluppo di

internet. Sia le imprese che gli uffici federali della difesa coinvolti nei progetti di

sviluppo della rete, non furono infatti mai egemoni nella conduzione dei lavori.

Se ne trova conferma in Inventing The Internet, nel quale la storica Janet

Abbate osserva come la nomina di ex-ricercatori a posizioni direttive delle

équipe di sviluppatori, abbia impresso alle attività del Network Working Group5 -

e ancora prima a quelle del DARPA (il Dipartimento della difesa preposto allo

sviluppo di ARPANET) - i principi autoorganizzativi della pratica scientifica6.

Esaminando gli scritti di Lawrence Roberts, l’accademico del MIT che fu il primo

direttore del progetto ARPA, ci si accorge, inoltre, di come tale scelta operativa

fosse consapevole e finalizzata agli obiettivi dell’istituzione. Roberts, infatti,

vedeva la rete informatica come un mezzo per migliorare la cooperazione tra

tecnologici e aveva illustrato il programma scientifico del progetto ARPA

osservando come, in particolari campi disciplinari, creare le condizioni in cui

persone geograficamente distanti avrebbero potuto lavorare insieme, avrebbe

permesso di raggiungere una massa critica di talenti7. Nel NWG operavano,

infatti, diversi gruppi di ricercatori e studenti selezionati per competenza,

                                                            

4 P. A. DAVID. “The Evolving Accidental Information Super-highway. An Evolutionary Perspective on the Internet’s Architecture”, Oxford Review of Economic Policy, Special Issue: ‘The Economics of the Internet, (Discussion Paper by the Stanford Institute For Economic Policy Research), 17, 2, Fall 2001, p. 3; http://siepr.stanford.edu/papers/pdf/01-04.pdf. 5 Il NTW nasce nel 1972 con lo scopo di sviluppare gli standard di internet, dopo la presentazione all’International Conference on Computer Communication del prototipo di ARPANET e delle prime esperienze di intelligenza artificiale (Washinghton DC, ottobre 1972). 6 J. E. ABBATE. Inventing the Internet, Cambridge: The MIT Press, 1999, pp. 73-74. 7 L. ROBERTS. Multiple Computer Networks and Intercomputer Communication. Proceedings of ACM Symposium on Operating System Principles, Gatlimburg: 1992, p. 2. (Tratto da P. HIMANEN. L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione, trad. cit., p. 156).

Page 33: TESI COMPLETA

   1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione

  

 

22

appartenenti a programmi di lavoro differenti e distribuiti in istituzioni

universitarie e parauniversitarie distanti, per i quali lo sviluppo dei sistemi di

interconnessione rappresentava, al tempo stesso, l’oggetto di studio e uno

strumento di lavoro - all’epoca, infatti, prima ancora delle conoscenze

informatiche, era essenziale condividere soprattutto, i computer. Una costante

di queste reti di ricerca era, dunque, la diversità di provenienza, di formazione

scientifica e delle dotazioni tecnologiche a disposizione dei ricercatori8, il cui

elemento di coesione risiedeva nella comune etica professionale e nell’adesione

personale degli studiosi ai progetti di innovazione che interessavano i sistemi di

telecomunicazione.

Nel clima culturale degli anni ’60 e ’70, le comunità informatiche che si

occupavano di computazione remota (time-shared computers) e linguaggi di

programmazione, condividevano la convinzione di partecipare ad un’impresa

pionieristica che avrebbe liberato i processi informazionali dai limiti delle

architetture tecnologiche conosciute, governate da dispositivi di controllo

centralizzati9. Il 1 gennaio 1973 ARPANET passava quindi dal protocollo NCP al

TCP-IP, cioè da un modello chiuso regolato da un controllo centrale, ad un

modello aperto, progettualmente disponibile a nuove aggiunte, pensato per

sostenere l’innovazione e la diversità. Gli ingegneri mutuavano l’idea di un

autogoverno delle reti dalla cibernetica di Wiener e dalla teoria dell’informazione

di Von Neumann che permetteva loro di applicare le nozioni di informazione e di

retroazione ad una concezione antiautoritaria delle reti di comunicazione - che

solo successivamente, particolarmente negli ambienti vicini a Wired, avrebbe

assunto una connotazione spiccatamente anti-storica, incentrata sulle qualità

ontologiche dell’informazione e sulla loro presunta capacità di ostacolare

spontaneamente il controllo e la censura10.

In virtù di questo spirito collettivo, il contesto di ricerca sulle reti era

permeato da un alto grado di collaborazione, di informalità e di responsabilità

sociale che gli informatici trasmettevano ai principi di funzionamento delle

tecnologie e alle modalità di lavoro degli ambienti interconnessi nei quali

maturava il nuovo paradigma tecnologico. I primi luoghi di incontro virtuale                                                             

8 T. BERNERS-LEE. Weaving the Web. The Original Design and Ultimate Destiny of the World Wide Web by Its Inventor (1999), trad. it. L’architettura del nuovo Web, Milano: Feltrinelli, 2001. 9 L. A. NORBERG, J. E. O´NEILL. Transforming Computer Technology. Information Processing for the Pentagon, 1962-1986, Baltimore: The Johns Hopkins University Press. 1996. 10 Per una presentazione critica di questa concezione si rinvia al prossimo capitolo.

Page 34: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

23 

 

erano rappresentati dai sistemi di conferenza via mailing list, dei quali il più noto

è USENET, un forum nato come luogo di scambio per utenti UNIX, poi evolutosi

in una multipiattaforma di newsgroup di studenti universitari, attivisti politici e

hacker11, nel quale l’habitus professionale dei tecnologi si intrecciava con la

cultura libertaria delle università. Si generava, in questo modo, la caratteristica

cultura epistemica degli sviluppatori della rete, di cui testimoniano gli artefatti

tecnici che diffusero «in modo semi-consapevole nella cultura materiale delle

nostre società lo spirito libertario [dei] movimenti degli anni Sessanta»12.

È noto come lo scopo che muoveva questi gruppi di scienziati informatici,

fosse la ricerca della piena interoperabilità delle applicazioni che veniva

promossa attraverso la standardizzazione di specificazioni di rete in grado di far

dialogare computer e sistemi operativi differenti e di assicurare la libertà degli

utenti di modificare l’hardware e il software per necessità e curiosità scientifica,

secondo lo spirito dell’hacking13. Guardando alla capacità di espansione della

rete, i tecnici modellavano così gli standard sulla capacità di dialogare con le

tecnologie a venire, facendo della compatibilità con ogni forma di eterogeneità

la chiave di volta del sistema14. Su queste basi si definì l’architettura aperta della

futura internet (TCP-IP) e del celebre principio end-to-end, in virtù del quale ogni

decisione rispetto all’uso e alla circolazione dei pacchetti di dati è assunta dai

nodi terminali, nei quali risiede l’intelligenza operativa assente nel cuore della

rete – da cui la definizione di stupid network15.

Questa strategia organizzativa, spesso attribuita dagli storici al disegno

militare della rete distribuita e della commutazione di pacchetto, era di fatto già

applicata nelle pratiche di ricerca negoziata degli standard (requests for

comments), alle quali era affidato il compito di assicurare la discussione e la

diffusione delle specificazioni tecniche dei protocolli di ARPANET tra i ricercatori

                                                            

11 M. HAUBEN, R. HAUBEN, Netizens. On the History and Impact of Usenet and the Internet, Los Alamitos: IEEE Computer Society Press, 1997. 12 M. CASTELLS. The Rise of the Network Society, 1996, trad. it. La nascita della società in rete, Milano: Bocconi, 2002, p. 6. 13 P. HIMANEN. L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione, trad. cit.. 14 L’appropriatezza della scelta è scandita nell’osservazione di Bateson che «tutti i sistemi innovativi e creativi sono divergenti, e viceversa, le sequenze di eventi che sono prevedibili sono, ipso facto, convergenti». G. BATESON. Mind and Nature: A necessary Unity (1980), trad. it. Mente e natura, Milano: Adelphi, 1984, p. 174. 15 D. ISENBERG. “Rise of the Stupid Network”, Computer Telephony, August 1997; http://www.rageboy.com/stupidnet.html.

Page 35: TESI COMPLETA

   1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione

  

 

24

disseminati nella rete16. D’altra parte, come ha osservato Castells,

ARPANET non è stata una tecnologia realmente militare, anche se le sue componenti chiave […] sono state sviluppate da Paul Baran alla Rand Corporation per costruire un sistema di comunicazione che fosse in grado di sopravvivere alla guerra nucleare. [Infatti] la proposta non venne mai approvata e gli scienziati del Dipartimento della Difesa che stavano progettando ARPANET seppero del lavoro di Baran solo dopo aver già messo a punto la rete17.

La prassi delle RFCs, avviata nel 1968 con il coordinamento di Steve

Crocker dell’Università della California (UCLA), portò a termine in un anno la

stesura dei principi di comunicazione di ARPANET, secondo le caratteristiche

modalità organizzative riassunte da David nel modo seguente:

Proposals that seemed interesting were likely to be taken up and tested by someone, and implementations that were found useful soon were copied to similar systems on the network. Everyone who had access to the ARPANET could participate in this process, for although the networks specifications were regarded as military standards (“milspec”), they were not “classified” and therefore remained open and available free of charge. Eventually, as the File Transfer Protocol (FTP) came into use, the RFCs were prepared as on-line files that could by accessed via FTP […]18.

Dopo lo sviluppo del protocollo di rete (NCP) la comunità ARPANET

continuò a crescere grazie all’elaborazione di strumenti di comunicazione e di

applicazioni per l’ambiente digitale come il sistema di posta elettronica

REDMAIL, sviluppato da Ray Tomlinson nel 1972 da una delle facility della

comunicazione telematica, e chiave di volta del passaggio di internet da sistema

di trasmissione di dati a medium di comunicazione. Insieme all’e-mail e alle altre

applicazioni internet entrate nel quotidiano degli utenti, come il web e il peer-to-

peer19, la pubblicazione in formato aperto, la sperimentazione in rete delle

soluzioni, la copia e la diffusione delle proposte ritenute migliori, rappresentano

gli aspetti emergenti di un modo di lavorare che si è replicato anche in seguito,

nelle mutate condizioni dell’internet post 1995.

La pubblicazione dei contributi in un contesto di mutuo riconoscimento e di

                                                            

16 J. E. ABBATE. Inventing the Internet, op. cit., pp. 73-74. 17 M. CASTELLS. Epilogo. L’informazionalismo e la network society, in P. HIMANEN. L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione, trad. cit., pp. 129-130. 18 P. A. DAVID. “The Evolving Accidental Information Super-highway. An Evolutionary Perspective on the Internet’s Architecture”, cit., p. 11. 19 Si veda il grafico CacheLogic riprodotto a p. 191.

Page 36: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

25 

 

valorizzazione della competenza continuano, infatti, a convertirsi ancora oggi

nel capitale sociale e simbolico della reputazione e dell’attenzione del pubblico,

o si cumulano in un’attività anonima che trova senso nell’accrescimento di un

patrimonio pubblico di conoscenze e utilità in stretta continuità con la

consapevolezza dei primi costumi comunitari. Allo stesso modo, la pratica della

copia, che tradisce la fissazione tecnologica delle origini open source degli

artefatti informatici, ha conosciuto un’espansione formidabile con le nuove

dimensioni di massa di internet.

11..11..22 LLaa ccooppiiaa Someone knows what I want to know. Someone has the information I want.

If I can find her, I can learn it from her. She will share it with me..

J. Litman20

In questo caso, è evidente come le circostanze in cui le tecnologie

informatiche furono sviluppate, nei laboratori del Darpa e nei garage più

frequentemente che nelle imprese commerciali, si siano depositate negli

artefatti tecnici, cristallizzandovi l’indifferenza dei ruoli di produttore e

consumatore che erano incarnati alternativamente dagli ingegneri nella rete. La

distinzione tra produzione e consumo tendeva, inoltre, a perdere significato in

un ambiente che rendeva palpabile la dinamica cumulativa della costruzione del

sapere ed evidente la natura derivata di ogni contributo, facendo risaltare

l’arbitrarietà della scissione formale di elementi isolati in fenomeni di natura

processuale. In questo modo, la configurazione sociale della prima internet si è

legata stabilmente alle proprietà ricombinanti dell’informazione, esplorate

costantemente attraverso la sperimentazione sociale e tecnologica della copia.

Un duplicato digitale, infatti, non è solo fisicamente identico all’originale, ma

può arricchirsi di nuova informazione, piuttosto che disperderla, grazie

all’elaborazione ricorsiva degli utenti. Tale aspetto, spesso lasciato in secondo

piano da interpreti interessati prevalentemente alla novità tecnica della qualità

della copia, più che alle peculiarità degli usi digitali21 è, invece, almeno

altrettanto importante del precedente nell’analisi delle pratiche di rete. Solo

                                                            

20 J. LITMAN. “Sharing and Stealing”, Hastings Communications and Entertainment Law Journal, 27, 2004, p. 5; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract _id=472141. 21 P. SAMUELSON, R. M. DAVID. “The Digital Dilemma: A Perspective on Intellectual Property in the Information Age“,28th Annual Telecommunications Policy Research Conference, 2000, (pp. 1-31), pp. 4-5; http://www.ischool.berkeley.edu/~pam/papers/digdilsyn.pdf.

Page 37: TESI COMPLETA

   1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione

  

 

26

considerando unitamente questi due aspetti è, infatti, possibile comprendere la

logica di base di internet, nella quale lo sfruttamento della capacità

dell’informazione di memorizzare più strati di integrazioni e contributi si è

rivelato come il nucleo comune di tutte le attività telematiche di prima e seconda

generazione, dallo sviluppo dei primi protocolli, al social networking, al file

sharing22.

Ad un livello profondo, la stabilizzazione di questa modalità d’uso

dell’informazione è da porre in relazione con la frattura culturale che, in

corrispondenza dell’avvento di internet, porta a maturazione il passaggio dalla

concezione artistica della riproduzione a quella distributiva del codice. Tra le

molte riflessioni dedicate a questo aspetto, spicca un breve saggio di Douglas

Thomas con il quale l’autore ha fatto notare come, perdendo il riferimento

all’originale che ha caratterizzato l’idea dell’arte dal Sofista platonico a Walter

Benjamin, la copia digitale «removes the relevance of difference in the

determination of the jugement», sostituendole un riferimento, necessariamente

estrinseco, all’autorità, ovvero alla legittimità di estrarre copie23. Ne segue che

nella fase digitale dell’era della riproducibilità tecnica il giudizio sull’opera si

sposti dall’oggetto riprodotto all’attività di riprodurlo e al diritto di farlo:

That activity is defined as the movement of information (bits) from one place to another, whether it is from a disk to the computer’s memory or from one computer to another. In short, reproduction, as a function of movement, has become synonymous with distribution. As a result, piracy and ownership in the digital age, from software to emerging forms of new media, are more about the right to distribute than the right to reproduce information24.

Nel momento in cui il problema della copia diviene tutt’uno con quello della

sua circolazione e il riferimento alla matrice originale diviene insignificante o

addirittura fuorviante, a causa del riconoscimento della natura multipla della

fonte, un’etica inedita sorge a suggellare il trapasso del vecchio regime di

visibilità della creazione, nel cui dominio «issues of content distribution have a

                                                            

22 Per social networking si intende il complesso di attività collaborative e di produzione di contenuti divenuto un fenomeno diffuso su internet dopo il 2000. Il file sharing è invece la condivisione da parte degli utenti dei file contenuti nei loro dischi fissi, tramite specifici software. Il termine ha numerosi sinonimi, connotati semanticamente, quali quello di “pirateria” che ne enfatizza le caratteristiche di sottrazione e furto, e download” e “downloader” che sottolinea l’appropriazione dei file da parte degli utenti, senza indicare l’attività di condivisione. 23 D. THOMAS. “Innovation, Piracy and the Ethos of New Media”, in D. HARRIS (ed.). The New Media Book, London: British Film Institute, 2002, p. 85. 24 Ibidem.

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I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

27 

 

radically different history»25. In questo ambito, insiste Thomas, ciò che rileva

maggiormente della nascita delle piattaforme di condivisione da Napster in poi,

è la diffusione dell’ethos delle comunità hacker nella platea molto più vasta degli

appassionati di musica, nella quale «if something can be shared […] it should

be shared»26.

Mettendo l’accento sulla rivoluzione simbolica che si accompagna ai nuovi

usi tecnologici, l’autore conclude che occorre leggere il conflitto in corso sulla

condivisione delle copie come una battaglia culturale che oppone la logica del

codice adottata dagli utenti alla logica dell’industria che sta ancora combattendo

una battaglia nella prospettiva dell’arte27. In questo modo, il discorso dominante

si scontra con una diversa poetica: l’«ordine stabilito» dell’industria, per dirla

con de Certeau, «viene qui giocato da un’arte», cioè da «un style d’échanges

sociaux, un style d’inventions techniques, un style de résistance morale – c’est-

à-dire une économie du don [….] une esthétique des coups […] et une éthique

de la ténacité»28 - che trasgredisce l’autorità dei produttori, opponendole le

tattiche di aggiramento della circolazione informale della copia.

Risalendo al livello di superficie di questo conflitto per l’ordine legittimo del

cyberspazio, si può notare come questo scontro sia alimentato da aspetti più

facilmente percepibili e in contrasto con il senso comune digitale. Infatti, la

pratica della copia, divenuta controversa dopo l’e-commerce, si giustifica in

internet non solo in virtù della natura non rivale dell’informazione, che consente

di utilizzarla senza distruggerla e di farne, dunque, un uso condiviso e non

esclusivo29, ma anche dell’origine pubblica e aperta della maggior parte delle

soluzioni tecnologiche e dei beni informazionali in uso. La genesi open source

del cyberspazio è apprezzabile ovunque: non soltanto l’infrastruttura di rete ha

avuto origini non commerciali, ma anche i principali sistemi operativi, browser,

software applicativi e molti giochi per consolle o per pc, sono stati creazioni free

                                                            

25 Ivi, p. 86. 26 Ivi, p. 90. 27 Ivi, p. 87. 28 M. DE CERTEAU. L’invention du quotidien. I Arts de faire, Paris: Union Générale d’Editions, 1980, p. 71. 29 Y. BENKLER. “An Unhurried View of Private Ordering in Information Transactions”, Vanderbilt Law Review, 53, 2000, p. 2065, http://www.benkler.org/UnhurriedView.pdf: («[…] information is a true public good. It is non rival, as well as nonexcludable. A perfect private market will be inefficiently produce a good – like information – that is truly a public good in economic sense»), e “Coase’s Penguin, or Linux and the nature of the firm”, Yale Law Journal, June 4, 2002, http://www.benkler.org/CoasesPenguin.pdf.

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   1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione

  

 

28

software, prima di essere appropriate o sviluppate da etichette commerciali. È il

caso della distribuzione di Microsoft del Basic che era sempre circolato

gratuitamente tra gli appassionati dell’Homebrew Computer Club30, di Space

War (il primo videogioco per pc creato nel 1962 da S. Russell, un hacker del

MIT) o delle origini MUD’s (Multi User Domains) dei videogiochi MMOG’s

(Massive-Multiplayers Online Games)31. In un ambiente che ha tra i propri miti

fondativi la metafora jeffersoniana del fuoco inappropriabile della conoscenza, la

prosaica realtà del commercio elettronico non potrebbe, perciò, cozzare in

modo più forte32.

Ciò ci porta, per concludere l’analisi dei fattori organizzativi di internet

elencati da David, all’ultimo aspetto indicato dal giurista, relativo al nesso tra

gratuità, diffusione delle soluzioni e innovazione. Anche in questo caso si può

osservare come la sperimentazione del legame tra gratuità e disseminazione

delle innovazioni all’epoca di ARPANET, mostri come la particolare circostanza

che impose ai pezzi di codice lo statuto di “standard militari non classificati”, sia

stata un ulteriore effetto di campo della trascurabile presenza del commercio

nello sviluppo di internet, oltre che una politica esplicita di promozione della

tecnologia perseguita dal sistema pubblico. Trasferito nell’internet post-1995,

questo aspetto, variamente interpretato dagli economisti, ma di cui è evidente la

disfunzionalità per l’attuale configurazione del copyright33, rappresenta, insieme

alle caratteristiche osservate in precedenza, una sedimentazione tecnologica e

una costante culturale dell’eredità sociale delle prime comunità di internet.

Questa fase generativa, catturata nel design, si chiuse, com’è noto, con

l’apertura al commercio iniziata alla fine degli anni ’80 con il declino degli

                                                            

30 Descrivendo le attività dell’Hombrew Computer Club, nato nel 1975 tra un gruppo di hacker al fine di condividere informazioni e strategie e pezzi di hardware per la costruzione del primo personal computer, E. Guarnieri ha sottolineato il ruolo dell’organizzazione delle riunioni che prevedevano una fase di mapping, in cui ogni membro descriveva il progetto che stava seguendo, ed una di accesso casuale nella quale chiunque poteva porre domande o proporre soluzioni per i problemi aperti dei progetti. Durante il mapping si veniva a conoscenza di segreti industriali e l’informazione veniva condivisa. Questa la ragione per cui la decisione di Gates di sviluppare il sistema operativo per l’Altair in versione proprietaria fece scandalo. E. GUARNIERI. Senza chiedere permesso 2 – la vendetta, in AA.VV. La carne e il metallo, Milano: Editrice Il Castoro, 1999, p. 60. Tratto da A. DI CORINTO, T. TOZZI, Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, op. cit., p. 194). 31 S. COLEMAN, N. DYER-WHITEFORD. “Playing on the digital commons: collectivities, capital and contestation in videogame culture”, Media, Culture, Society, 29, 2007, p. 943; http://mcs.sagepub.com/cgi/content/abstract/29/6/934. 32 T. JEFFERSON. “To Isaac McPherson”, 13 agosto 1813; http://www.red-bean.com/kfogel/jefferson-macpherson-letter.html. 33 Si veda su questo aspetto il paragrafo 5.3 File sharing e rinnovamento del mercato: la distruzione creatrice e l’economia dell’informazione.

Page 40: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

29 

 

investimenti statali e la successiva privatizzazione del backbone universitario

della National Science Foundation34. La dismissione della partecipazione

pubblica fu completata tra l’aprile 1995 e l’agosto del 1996, con la migrazione di

tutte le reti regionali verso le infrastrutture dei provider commerciali, che era

iniziata alla fine del 1988 con l’attenuazione della proscrizione degli usi

commerciali e di tutti gli usi non accademici della rete35.

11..11..33 LLaa rriipprroodduuzziioonnee ddeellll’’hhaabbiittuuss ddiiggiittaallee

Ciò che è significativo, è che dopo la privatizzazione e il radicale

cambiamento della base sociale dell’infrastruttura telematica, le pratiche comuni

alle prime comunità informatiche hanno continuato a dominare gli stili di

comunicazione della rete, evolvendo in modo diverso da quanto previsto

dall’interpretazione più accreditata fino al crack delle dot com che li vedeva

rapidamente riassorbiti nelle forme convenzionali di consumo culturale, secondo

il modello broadcast dei media commerciali. Su questa visione, smentita della

storia successiva di internet, è intervenuto polemicamente Geert Lovink:

Gli artisti, gli accademici e altri intellettuali che si sono sentiti minacciati dal potere di questo medium nascente hanno cercato di dimostrare che non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Vogliono far credere al loro pubblico che il destino di internet sarà lo stesso della radio e della televisione: essere addomesticata dai legislatori nazionali e dal mercato36.

Diversamente dalle attese, i modelli di comportamento di ARPANET si sono

replicati, in forma più o meno stilizzata, nel cosiddetto Web 2.0 e nelle pratiche

di social networking, ibridandosi con la cultura mediale di una platea divenuta

globale, ma mantenendo quella morfologia «networked in technology, peer-to-

peer in organization and collaborative in principle» che ne segnala la

discendenza diretta dalle prime pratiche tecno-sociali37. Sembra dunque che le

prassi che David descrive come un esercizio consapevole dell’ethos                                                             

34 A sua volta, il Dipartimento della Difesa aveva trasferito il backbone del DARPA al NSF nel 1988. 35 J. P. KESAN, R. C. SHAH. “Fool Use Once, Shame on You – Fool Us Twice, Shame on Us: What we Can Learn from the Privatization of the Internet Backbone Network and the Domain Name System”, Washington University Law Quarterly, 79, 2001; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=260834. 36 G. LOVINK. Internet non è il paradiso, trad. cit., p. 8. 37 W. URICCHIO. “Cultural Citizenship in the Age of P2P Network”, in I. BONDEBJERG, P. GOLDING (eds). European Culture and the Media, Bristol: Intellect, 2004, (pp.139-163).

Page 41: TESI COMPLETA

   1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione

  

 

30

tecnologico e un insieme di comportamenti coerenti con i suoi presupposti

cognitivi e valutativi, ritornino nella svolta partecipativa della cultura popolare

contemporanea38 come un effetto dell’habitus incorporato nelle architetture che

tende a replicare l’ordine sociale delle prime comunità di tecnologi.

Si può osservare, in proposito, come la capacità di riprodurre effetti sia, in

certa misura, implicita nella definizione stessa di tecnologia, intesa come «un

uso della conoscenza scientifica volta a conseguire un certo risultato

(performance) in una forma riproducibile»39. Nei termini della teoria sociale,

però, e, particolarmente, quando riferita a tecnologie ed ambienti tecnologici di

comunicazione, l’attitudine a riprodurre prassi e schemi di comportamento, si

specifica nella capacità degli artefatti tecnici di fissare particolari significati e

modi di fare le cose che rinviano al ruolo degli oggetti nella vita quotidiana e alla

loro mediazione nelle relazioni umane. Come tali, ha osservato Jonathan

Sterne, gli oggetti tecnici «should be considered not as exceptional or special

phenomena […], but rather as very much like other kinds of social practices that

recur over time»40.

Per il sociologo americano, la tendenza delle tecnologie a incorporare

significati culturali e relazioni sociali non differisce, infatti, dalla dinamica

dell’habitus nella quale Bourdieu ha visto il meccanismo di interiorizzazione

della posizione degli agenti nel campo sociale, e Mauss ed Elias il centro di

aggregazione delle disposizioni sviluppate dai soggetti in relazione alla loro

esperienza del mondo41. Considerare le tecnologie come sottoinsiemi di

habitus42, come Sterne propone, permette quindi di comprendere quella

«double relation obscure» tra i «systèmes de relations objectives qui sont le

produit de l’institution du social dans les choses»43 e i «systèmes durables et

transposables de schèmes de perception, d’appreciacion et d’action»44 che

giustifica la persistenza delle logiche di campo nelle pratiche umane e la loro

capacità di riprodursi negli ambienti tecnologici. Teoreticamente non

                                                            

38 H. JENKINS, Convergence culture. Where Old and New Media Collide (2006), trad. it. Cultura convergente, Roma: Apogeo, 2007. 39 M. CASTELLS. Epilogo. L’informazionalismo e la network society, in P. HIMANEN. L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione, trad. cit., p. 117. 40 J. STERNE. “Bourdieu, Technique and Technology”, Cultural Studies, 17, 3-4, 2003, p. 367; http://www.tandf.co.uk/journals. 41 Ivi, p. 370. 42 Ibidem. 43 P. BOURDIEU. Réponses: pour une anthropologie réflexive, op. cit., p. 102. 44 Ibidem.

Page 42: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

31 

 

eccezionali, gli artefatti tecnici possono perciò essere visti come modalità

specifiche d’azione in cui si organizzano le pratiche sociali, cioè come eredità

strutturate e strutturanti del campo che le istituisce e che tendono a replicare.

L’esplorazione della logica della pratica nei contesti tecnologici fornisce,

secondo Sterne, altre indicazioni preziose sulle modalità con cui le tecnologie

definiscono il loro ruolo sociale nei contesti che le adottano. Come osserva il

sociologo, il modo in cui Bourdieu aveva affrontato il tema della diffusione della

fotografia tra le fasce di consumo popolare, mostrando come essa non

soddisfacesse un bisogno per sé, ma fosse legata alla bassa soglia di abilità

necessaria e all’accessibilità economica della macchina fotografica, ci permette

di comprendere che

technology is not simply a ‘thing’ that ‘fills’ a predetermined social purpose. Technologies are socially shaped along with their meanings, functions, and domains and use. Thus, they cannot come into existence simply to fill a pre-existing role, since the role itself is co-created with the technology by its makers and users45.

Mettendo in luce le difficoltà che il determinismo tecnologico e le concezioni

funzionaliste trovano nello spiegare lo sviluppo della tecnica, la lettura

bourdieuiana della fotografia fornisce quindi gli strumenti concettuali atti a

chiarire come i significati che si depositano negli artefatti non siano soltanto

conseguenze di scelte o di configurazioni immaginate dai progettisti per

rispondere a particolari fini, ma anche il risultato dell’affinamento pratico delle

potenzialità contenute nel design e della selezione di specifiche utilità che si

produce negli usi quotidiani e nelle sperimentazioni dei loro utilizzatori. Queste

conclusioni, a cui Bourdieu era pervenuto confutando il finalismo dei teorici della

scelta razionale, si trovano in armonia con i contributi migliori del costruttivismo

americano, dove si è evidenziato come, al pari di altre istituzioni, gli artefatti

tecnici abbiano successo dove trovano il sostegno dell’ambiente sociale46. In

questo modo, se gli interessi e la visione del mondo dei progettisti si esprimono

nelle tecnologie che contribuiscono a concepire, è l’adattamento di un prodotto

a una domanda socialmente riconosciuta che si verifica negli usi, ad avviare il

                                                            

45 J. STERNE. “Bourdieu, Technique and Technology", cit., p. 373. 46 T. PINCH, W. BIJKER. “The Social Construction of Facts and Artefacts”, in W. BIJKER, T. HUGHES, T. PINCH (eds.), The Social Construction of of Tecnological Systems, Cambridge: Mit Press, 1987.

Page 43: TESI COMPLETA

   1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione

  

 

32

processo di chiusura degli artefatti e a fissarne la definizione47.

Nella genesi delle tecnologie digitali, questa dinamica presenta un

andamento ricorsivo in virtù della coincidenza storica e funzionale della figura

dell’ingegnere con quella dell’utente48. Come si è visto, infatti, la comunità

relativamente circoscritta degli ideatori di internet esperiva già al suo interno la

coincidenza di una precisa visione progettuale con i bisogni di comunicazione

funzionali allo sviluppo delle applicazioni mentre, a rinforzo dell’architettura

centrata sugli usi che i tecnologi stavano sviluppando, la domanda sociale di

accessibilità dei codici e dei contenuti proveniente dalla ricerca tecnologica e

dall’università, fissava definitivamente il profilo open source della rete. Vale la

pena osservare, in proposito, come questa logica tecno-sociale non si sarebbe

probabilmente consolidata senza l’impulso della concezione spiccatamente

politica delle tecnologie che ha dominato il discorso digitale fino agli inizi degli

anni ’80, e che avrebbe spinto lo sviluppo dell’ambiente digitale verso la

semplificazione degli artefatti e la loro diffusione tra il pubblico non esperto49. È

in questa articolazione sociale dell’evoluzione tecnologica che si situa, dunque,

a nostro avviso, il nucleo originario della logica divergente di internet, descritto

da Benkler come un «radically distributed, nonmarket mechanisms that do not

depend on proprietary strategies»50.

Ciò permette di rispondere alle questioni aperte in premessa, ovvero perché

e con quali esiti le architetture e l’habitus digitale sviluppatisi nel campo

telematico si presentino come il trait d’union tra la cultura tecnologica degli anni

‘60 e ’70 e la postura contemporanea degli utenti e, in secondo luogo, in che

modo e a quali condizioni questo binomio dia conto dell’autonomia delle

pratiche digitali in rapporto alla normatività del sistema economico. Dopo la

privatizzazione, internet si presenta, infatti, come un accidente storico in uno

spazio brulicante di affari e transazioni che si lega ad un modo specifico di

organizzare l’azione sociale intorno all’informazione e che, alla luce della

                                                            

47 A. FEENBERG. Questioning Technology (1999), trad. it. Tecnologia in discussione, Milano: Etas, 2002, p. 13. 48 Nei termini di Alain Feenberg si tratterebbe di una «progettazione tecnica riflessiva», anche se con questo termine, il filosofo si è riferito alla progettazione sensibile agli usi, più che alla coincidenza funzionale delle figure di progettista e utente. 49 L’argomento è approfondito nel prossimo capitolo al paragrafo 2.1 Dal catechismo digitale alla cyberlaw. 50 Y. BENKLER. The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, op. cit., p. 3.

Page 44: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

33 

 

struttura acquisita dopo il 1995, appare come l’elaborazione conflittuale operata

da un polo autonomo delle condizioni di eteronomia dello spazio digitale. In

questo modo, ciò che in ARPANET emergeva come la differenziazione di un

campo contraddistinto da un modo specifico di trattare l’informazione e di

aggregare rapporti sociali intorno ad esso, si esprime nell’internet commerciale,

sia come una resistenza adattiva delle tecnologie alle nuove condizioni

ambientali, sia come una riaffermazione della domanda sociale di accesso

all’informazione tenuta aperta dalle prime architetture.

Ciò spiega perché il sanzionamento della copia, al centro delle politiche di

regolazione di internet, dal Digital Millennium Copyright Act (DMCA), alle

direttive europee sulla proprietà intellettuale, ai recenti disegni di legge francese

e italiano contro la pirateria51, si stia spostando sempre più decisamente dal

contrasto ai comportamenti illegali, alla rimozione delle condizioni abilitanti di tali

comportamenti. Il tratto distintivo delle attuali politiche su internet è, infatti,

l’abbandono della tradizionale via normativa al controllo delle azioni individuali e

la sua sostituzione con misure tecnologiche in grado di escludere a priori le

operazioni non conformi ai dettati dei dispositivi legali.

Prima di occuparci del ruolo della teoria giuridica nella costruzione di questa

nuova governance, esaminiamo allora l’attualità dei conflitti legali ed economici

di internet e delle misure allo studio che affidano la loro efficacia ad un disegno

di reingegnerizzazione dei protocolli di comunicazione, capace di sostenere un

progetto di riforma dei rapporti sociali cristallizzati nelle tecnologie, la cui

ristrutturazione si mostra sempre più decisamente come la condizione

essenziale della rimozione dell’anomalia digitale.

11..22 LLaa ssvvoollttaa tteeccnnoollooggiiccaa:: vveerrssoo uunnaa nnuuoovvaa ggoovveerrnnaannccee

Con la banda larga e lo sviluppo di nuovi servizi audio e video (trasmissioni

televisive in real time, giochi online, VOIP) pensati per questo tipo di

connettività, la problematica del copyright è entrata nella sua fase più critica.

L’aumentata disponibilità di banda e il perfezionamento delle tecnologie di

compressione ha fornito, infatti, le condizioni di sviluppo sia della distribuzione                                                             

51 Questi provvedimenti normativi sono discussi più estesamente nel capitolo 4. Dal governo dei conflitti alla governance delle procedure.

Page 45: TESI COMPLETA

   1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione

  

 

34

commerciale che di quella informale degli audiovisivi. Con la comparsa del file

sharing, le vecchie problematiche legate alla duplicazione fisica dei beni digitali

(i CD) che avevano dominato la produzione di norme fino al Digital Millennium

Act (DMCA, 1999) e alle leggi affini dei paesi del WTO, sono state

enormemente amplificate dalle nuove possibilità di distribuzione di copie

smaterializzate nei formati audio Mp3 (Mpeg – 1 Audio Layer 3) e, più tardi, nei

diversi formati di compressione video. Allo stesso tempo, sul fronte

commerciale, la diffusione via internet di eventi televisivi in real time ha esposto

anche il circuito televisivo, dopo quello musicale e cinematografico, all’insidia

dell’elusione delle protezioni e della circolazione gratuita dei contenuti

proprietari.

A partire da questo momento che cade, peraltro, tra la crisi della new

economy e l’adozione del Patriot Act negli Stati Uniti dopo l’attentato alle Twin

Towers, la governance dello spazio digitale si distinguerà per l’integrazione

crescente degli obiettivi di sicurezza con quelli di protezione commerciale e per

la scelta di perseguirli attraverso misure tecnologiche di controllo

dell’informazione52. Questo nuovo corso regolativo è stato, puntualmente,

registrato dagli studi su internet che hanno esteso il dibattito sul copyright e

sulla governance della rete al tema della sorveglianza, e recepito la crescente

attenzione internazionale verso le politiche americane delle telecomunicazioni53.

In virtù dell’aumentata interdipendenza tra le problematiche economiche e le

questioni di sicurezza, gli studi giuridici più recenti sul controllo dell’informazione

tendono, infatti, a spostarsi dalle politiche dei regimi autoritari sull’accesso ad

internet, alle politiche commerciali e a quelle dei governi occidentali contro

terrorismo, pornografia illegale e censura, facendo risaltare l’allarme dei

commentatori per i segnali di ibridazione delle politiche dell’informazione dei

paesi liberali con quelle adottate in contesti di severo controllo delle

telecomunicazioni54:

                                                            

52 Come si vedrà nella seconda parte, queste misure sono state precedute da un intenso dibattito tecnologico iniziato nei primi anni ’90. 53 Entrambi gli aspetti sono presenti anche nell’agenda dei lavori dell’ultimo Forum ONU sull’internet governance (Hyderabad, 3-6 dicembre 2008). Http://www.intgovforum.org/cms/. Interessante, in proposito, è anche il messaggio del Consiglio d’Europa al meeting, accessibile all’indirizzo http://www.coe.int/t/dc/files/events/internet/default_EN.asp. 54 L. B. SOLUM, M. CHUNG. "The Layers Principle: Internet Architecture and the Law", University San Diego Public Law Research, 55, 2003, (pp. 1-114), http://ssrn.com/abstract=416263 (si vedano particolarmente le pp. 54-89) ; J. G. PALFREY. “Reluctant Gatekeepers: Corporate Ethics

Page 46: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

35 

 

Internet regulation takes many forms—not just technical, not just legal—and that regulation takes place not just in developing economies but in some of the world’s most prosperous regimes as well. Vagueness as to what content is banned exists not just in China, Vietnam, and Iran, but also in France and Germany, where the requirement to limit Internet access to certain materials includes a ban on ‘‘propaganda against the democratic constitutional order55.

Come mostrano queste ricerche, il controllo della comunicazione relativa ai

materiali e strumenti usati dai pirati digitali, è un sottoinsieme del regime di

sorveglianza delle reti segrete, nome collettivo per organizzazioni dai fini più

diversi dall’attivismo politico nei paesi autoritari al P2P e ai narcos56. Quanto

all’attivismo normativo degli Stati Uniti in materia di telecomunicazioni57, negli

ultimi tempi l’attenzione internazionale si è concentrata soprattutto su progetti di

riforma che hanno affrontato anche nodi strutturali, impegnando il governo

federale in un’ipotesi di modifica dei protocolli di comunicazione di internet.

11..22..11 LLee mmiissuurree tteeccnnoo--ggiiuurriiddiicchhee ddii ccoonnttrroolllloo

Di fatto, mentre l’immagine di un universo cibernetico senza limiti e senza

controllo continua ad essere rilanciata dal mainstream media e dalla letteratura

non specializzata, la struttura di internet evolve verso una morfologia sempre

più regolabile grazie alle innovazioni normative e tecnologiche che hanno

accompagnato la sua pur breve storia di medium globale. L’introduzione dei

                                                                                                                                                                 

on a Filtered Internet”, Global Information Technology Report, World Economic Forum, 2006-2007 (pp. 69-78); http://ssrn.com/abstract=978507; G. SARTORI. “Il diritto della rete globale”, XXIII Congresso nazionale della Società Italiana di filosofia giuridica e politica, Macerata, 2-5 ottobre 2002; http://www.osservatoriotecnologico.it/internet/diritto_rete_globale/introduzione.htm#alto. Sartori ha osservato in proposito che «big brother» e «big browsers» potrebbero trovare affinità nell’uso degli stessi mezzi. Tra le fonti giornalistiche, il Sunday Times del 4 gennaio 2009 ha riferito di perquisizioni virtuali negli hard disk dei cittadini sospetti in corso da anni nel Regno Unito. D. LEPPARD. “Police set to step up hacking of home PCs”, Sunday Times, January 4, 2009. 55 J. ZITTRAIN, J. PALFREY. “Internet Filtering: The Politics and Mechanisms of Control”, in R. DEIBERT, J. PALFREY, R. ROHOZINSKY, J. ZITTRAIN (eds). Access Denied. The Practice and Policy of Global Internet Filtering, op. cit., p. 33. 56 R. DEIBERT, R. ROHOZINSKY. “Good for Liberty, Bad for Security? Global Civil Society and the Securitization of the Internet”, in R. DEIBERT, J. PALFREY, R. ROHOZINSKY, J. ZITTRAIN (eds). Access Denied. The Practice and Policy of Global Internet Filtering, op. cit., pp. 135; 143. 57 «Hundreds of bills have been introduced in recent sessions of the U.S. Congress and at the state level addressing privacy, spam, cybersecurity, the alleged ‘‘digital divide,’’ Internet taxation, business method patents, various digital copyright issues, children’s privacy, a safe children’s domain, domain names, broadband subsidies, mandatory telephone and cable network access, and online gambling, just to name some of the more prominent policy battles». C. W. CREWS JR., A. THIERER. Introduction a C. W. CREWS JR., A. THIERER (eds). Who Rules the Net?, Washington DC : Cato Institute, 2003, (pp. 500), p. XVIII.

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   1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione

  

 

36

dispositivi tecnologici nelle merci digitali (Digital Right Management - DRM)58 è,

forse, il più visibile di tali cambiamenti59, ma trasformazioni non meno

significative si verificano al livello logico, dove applicativi sempre più potenti

sgretolano l’universalità degli standard dando vita a walled garden, spazi

internet cinti da confini virtuali, in cui si vivono esperienze omologate e separate

dal resto della rete60, mentre revisioni ancora più radicali dei protocolli di

comunicazione e degli standard di trasmissione dei dati sono oggetto di

discussione presso i livelli decisionali delle istituzioni americane, authorities di

fatto delle telecomunicazioni globali61.

La svolta tecnologica del copyright, con l’introduzione dei sistemi di DRM a

protezione della proprietà intellettuale, affonda le sue radici negli studi

preparatori del TRIPS agreement, l’accordo internazionale del 1994 che ha

previsto questa tipologia di tutela e avviato l’integrazione delle legislazioni dei

paesi aderenti alla World Trade Organization – una trasformazione, peraltro

ancora in corso, sia sul piano normativo e su quello dell’implementazione dei

dispositivi tecnologici nei sistemi digitali, che nell’elaborazione delle politiche di

governance di internet.

Nello spazio europeo, l’ultima tappa dell’evoluzione normativa è segnata

dalla seconda direttiva sulla protezione della proprietà intellettuale (IPRED2),

approvata nell’aprile 2007. Questa rappresenta un ulteriore progresso verso

l’unificazione della penalità per le violazioni del diritto d’autore e dei brevetti,

dopo la più nota e discussa European Union Copyright Directive (EUCD) del

2001 che aveva recepito il nuovo orientamento tecnologico in materia di tutele.

La IPRED2 allinea, quindi, la normativa europea agli sviluppi della regolazione

globale di internet, prevedendo, tra le novità più controverse, la creazione di

«team comuni di indagine» organizzati a livello transnazionale, nei quali i titolari

dei diritti potranno affiancare la polizia nelle indagini giudiziarie. Strumento

                                                            

58 In letteratura sono impiegati con significato analogo i termini Copyright Management System, Electronic Copyright Management System. Le definizioni di Content Management System, Content/Copy Protection for Removable Media implicano, invece operazioni includibili in questi sistemi di controllo. 59 Si veda il terzo capitolo al paragrafo 3.1 Il dibattito americano sul copyright esteso. 60 Il più noto e citato esempio di gated community, una comunità chiusa in un mondo separato, è quello degli utenti che accedono ad internet attraverso il portale AOL (fornitore di accesso e di contenuti, dopo la fusione con Time Warner) usufruendo dei suoi numerosi e apprezzati servizi premium.  61 Si veda il paragrafo 2.3 Net neutrality e banda larga: la reingegnerizzazione delle architetture digitali.

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I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

37 

 

qualificante della direttiva, benché definito nel testo in modo ambiguo, è il nuovo

ruolo dei service provider, ai quali è attribuita una generica responsabilità per le

violazioni commesse dagli utenti sulla rete. Nei paesi in cui la legge di

recepimento lo riterrà ammissibile sarà, così, possibile coinvolgere gli ISP nelle

indagini e reperire nelle loro banche dati le prove dei reati commessi online62.

In questa evoluzione delle tutele, l’uniformazione delle norme e l’adozione

dei sistemi tecnici di protezione della proprietà sollevano resistenze e difficoltà

attuative63 che si esprimono, in ambito giuridico, come problemi di legittimità e

di armonizzazione delle nuove disposizioni con gli ordinamenti nazionali, mentre

si traducono, in quello commerciale, nella differenziazione strategica dei modelli

di distribuzione e nella diversificazione delle politiche di protezione delle merci

digitali da parte dei produttori. In questo quadro, mentre si conferma la tendenza

al rafforzamento delle tutele - riaccendendo la storica tensione tra le opposte

funzioni di protezione/esclusione e di disseminazione/competizione del

copyright64 - il fronte commerciale si frammenta pragmaticamente sull’inclusione

dei dispositivi tecnologici nelle merci digitali in funzione dell’identità del marchio

(Apple)65 e delle politiche commerciali considerate più efficaci nel peculiare

contesto dei consumi digitali. Dopo un’iniziale identità di giudizio sulla necessità

di adozione dei dispositivi anticopia, la tendenza alla diversificazione degli

approcci ha, infatti, iniziato a manifestarsi, spinta da alcuni insuccessi

commerciali attribuiti ai DRM66, tra la fine del 2006 e l’inizio 2007, quando alcuni

discografici (EMI) e distributori (Apple iTunes Music Store, Virgin Mega, Yahoo

Music e Fnac) hanno cominciato a includere la distribuzione priva di DRM tra i

servizi di qualità delle loro proposte commerciali.

Le inquietudini dei mercati e la mutevolezza delle politiche commerciali non

                                                            

62 IPRED2, art. 7 bis: «Gli Stati membri hanno la facoltà di decidere che le prove siano messe a disposizione del titolare dei diritti con riserva di determinati requisiti in materia di accesso ragionevole, sicurezza o d'altro tipo, onde garantire l'integrità delle prove stesse ed evitare di compromettere l'eventuale azione penale che ne può scaturire». 63 L. BURK, J. E. COHEN. “Copyright, DRM Technologies, and Consumer Protection”, University of California at Berkeley, Boalt Hall School of Law, March 9 & 10, 2007, www.law.berkeley.edu/institutes/bclt/copyright/bclt_2006_Symposium.pdf.  64 C. MAY, S. SELL. Intellectual Property Rights. A Critical History, London: Lynne Rienner Publishers, 2006, p. 25. 65 http://www.macworld.com/article/137946/2009/01/iTunestore.html. 66 Si veda il caso di Movielink, piattaforma di vendita di video online fondata da cinque case cinematografiche statunitensi e tra gli esperimenti commerciali fallimentari del 2006. 

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   1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione

  

 

38

hanno, però, inciso in modo significativo sulla visione ultraprotezionista67 della

proprietà intellettuale, cristallizzatasi in un decennio di provvedimenti coerenti

con la svolta del 1994. Inoltre, se la vendita di contenuti audio e video ha

mostrato di risentire della presenza dei DRM, rallentandone l’adozione, è

soprattutto dalla convergenza di interessi dei network televisivi e delle

compagnie telefoniche che giungono le maggiori novità e le richieste di soluzioni

tecno-normative in grado di sostenere gli investimenti e proteggere i contenuti

dagli usi non consentiti68. Ciò mostra come, nell’orientamento delle politiche

regolative, le preoccupazioni per la vendita di musica e film comincino a

passare in secondo piano di fronte all’urgenza di controllare la distribuzione dei

contenuti televisivi e di sostenere i nuovi business delle compagnie telefoniche.

Attualmente, infatti, mentre i network televisivi si preparano ad affiancare i

detentori dei diritti nella richiesta di politiche di controllo sulle telecomunicazioni,

le compagnie telefoniche stanno aggiornando i loro modelli commerciali sulla

base della discriminazione del traffico dati su internet. Lo scenario di

governance della rete si arricchisce, in questo modo, di nuove figure che

complicano il quadro dei conflitti in corso con le strategie dei nuovi agenti nel

campo.

Il terreno su cui si gioca attualmente questo scontro, è sintetizzato negli

obiettivi di due importanti provvedimenti in discussione negli Stati Uniti: la

Broadcast Flag Provision, concernente una protezione anticopia per contenuti

televisivi che si lega alla standardizzazione del controllo su tutti i dispositivi

digitali, e la riforma delle telecomunicazioni, nel contesto della quale si guarda

ad una revisione dei protocolli di comunicazione di internet in grado di rendere

l’ambiente maggiormente compatibile con l’enforcing del copyright. Entrambe le

misure hanno avuto un iter decisionale eccezionalmente contrastato che ha

impedito, fino a questo momento, l’approvazione di regole con forza di legge.

Nel primo caso, nel novembre 2003 la Federal Communications Commission ha

approvato, su mandato del Congresso, il provvedimento istitutivo della

broadcast flag, i cui effetti sono stati però bloccati, due anni dopo, dalla

sentenza di una Corte d’appello del distretto della Columbia, chiamata a                                                             

67 L. LESSIG. “Sees Public Domain Sinking in a Sea of Overregulation”, Conference at UCLA Law School, April, 22, 2004, http://www.international.ucla.edu/article.asp?parentid=10831. 68 Ci si riferisce soprattutto al dibattito americano sulla broadcast flag e a quello sull’internet enhancement, approfonditi, oltre che nelle pagine seguenti, nel paragrafo 3.1 L’evoluzione delle tecnologie di controllo.

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I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

39 

 

decidere sulla causa intentata dall’American Library Association contro la

FCC69.

Quanto alla riforma delle telecomunicazioni, il momento più critico del

processo decisionale si è toccato nel giugno 2006 quando, dopo un dibattito

dall’esito incerto, il senato federale ha infine bocciato gli emendamenti che

avrebbero aperto la strada alla legalizzazione delle modifiche di internet,

spingendo il presidente Bush a rinviare ogni decisione in argomento al termine

dei lavori di una commissione di esperti. I due provvedimenti, considerati

unitamente, rappresentano la tappa più avanzata di una ridefinizione

complessiva delle tecnologie digitali, orientata a limitare la possibilità di

manipolazione dei contenuti e a sottoporre ad un severo controllo ogni aspetto

del loro uso quotidiano70. La riforma dei protocolli di comunicazione, in

particolare, potrebbe trasformare l’attuale indifferenza della rete verso le diverse

tipologie di traffico, nota come neutralità del net, in una circolazione differenziata

dei pacchetti di dati secondo una gerarchia di priorità stabilita in rapporto

all’importanza o alla natura gratuita o pagante delle informazioni. L’anonimità e

l’eguaglianza formale del traffico di fronte ai criteri di trasmissione verrebbero,

così, aboliti.

Questa ipotesi, elaborata nei programmi di ricerca dell’internet

enhancement71, rappresenta un progetto di revisione radicale dell’architettura di

internet e della logica sociale incorporata nel suo design72. Aggredendo i principi

cardinali dell’infrastruttura telematica, la misura allo studio mira infatti a

soddisfare obiettivi immediati, ma esprime un potenziale di trasformazione che

tocca ogni ambito della sfera digitale, dai meccanismi generativi profondi della

socialità del network, alle regole della concorrenza commerciale.

Finalità esplicite della misura sono gli obiettivi di sicurezza, individuati nella

                                                            

69 United States Court of Appeals for the District of Columbia Circuit. American Library Association Et Al., v. Federal Communication Commission and United States of America, May 6, 2005, no. 04-1037; http://www.policybandwidth.com/doc/JBand-ALAvsFCC.pdf. 70 S. VAIDHYANATHAN. “Remote Control: The Rise of Electronic Cultural Policy”, The Annals of the American Academy of Political and Social Science, 597, January, 2005, p. 122; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=713022. 71 Il trusted system è un approccio integrato alle misure di sicurezza dell’informazione, mentre l’internet enhancement e il quality of service debate sono dibattiti tecnologici finalizzati al miglioramento dei protocolli di comunicazione. L’illustrazione di questi dibattiti è affontata nel 3° capitolo. 72 L. LESSIG. ““The Internet Under Siege”, Foreign Policy, November-December, 2001; http://lessig.org/content/columns/foreignpolicy1.pdf#search%22lessig%20the%20internet%20under%20siege%22.

Page 51: TESI COMPLETA

   1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione

  

 

40

lotta al peer-to-peer e, in via residuale, nel contrasto all’uso della rete da parte

di organizzazioni illegali, e obiettivi di sviluppo economico di internet, tra i quali

la difesa tecnologica del copyright e la creazione di nuove opportunità d’affari

per i soggetti emergenti del mercato elettronico73. Un esito indiretto, ma

fortemente dibattuto dai commentatori americani, è l’alterazione delle condizioni

di concorrenza commerciale sul Net, così che l’abolizione della parità di

condizioni verso il traffico viene letta soprattutto come una misura di politica

economica contraria ai principi dell’antitrust, a vantaggio delle posizioni

commerciali dominanti74. La riscrittura delle regole telematiche renderebbe,

infatti, lo spazio digitale più simile a quello convenzionale, spostando la

competizione economica dal piano del prodotto a quello del superamento di una

barriera di ingresso al mercato, quale diverrebbe il possesso o meno di corridoi

preferenziali per i propri servizi75.

Questo progetto di ottimizzazione della rete va dunque compreso

nell’inclinazione ventennale del copyright verso la concentrazione della

proprietà e il rafforzamento delle gerarchie di mercato, contro l’alternativa della

proliferazione produttiva e della disseminazione dell’innovazione affidata al

principio formale della limitazione dei monopoli, alla base della sua genesi

storica. L’abolizione della neutralità di internet, informalmente già in corso, è,

dunque, uno sviluppo della tendenza di lungo periodo che integra una politica

economica a favore della grande impresa con il governo dei fattori di disordine e

di dispersione economica rappresentati da certi usi sociali dell’informazione,

confermando una convergenza non occasionale tra filosofie di controllo

dell’informazione, superamento della legittimità formale dei dispositivi normativi

e misure di valorizzazione dell’ambiente telematico.

Le tecniche di riconoscimento e di autenticazione del traffico che

potrebbero essere impiegate per canalizzare il flusso dei dati, sono infatti state                                                             

73 C. S. YOO. “Network Neutrality and the Economics of Congestion”, The Georgetown Law Review, 94, 2006, (pp. 1847-1908); http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=825669. 74 C. S. YOO. “What Can Antitrust Contribute to the Network Neutrality Debate?, International Journal of Communication, 1, 2007, (pp. 493-530); http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=992837&rec=1&srcabs=912304. Questo aspetto è approfondito nel capitolo 2. La costruzione del discorso su internet. 75 M. A. LEMLEY, L. LESSIG, “The End of End-to-End: Preserving the Architecture of the Internet in the Broadband Era”, Working Paper 207; UC Berkeley Public Law Research Paper 37, 2001, (pp. 1-63), http://papers.ssrn.com/paper.taf?abstract_id=247737. Si veda anche la polemica sollevata dal Wall Street Journal sul’ipotesi di supercache di Google. J. V. KUMAR, C. RHOADS. “Google Wants Its Fast Track on the Web”, Wall Street Journal, December 15, 2008; http://online.wsj.com/article/SB122929270127905065.html.

Page 52: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

41 

 

pensate, a suo tempo, per il blocco anticopia e per i sistemi di Digital Right

Management, la cui azione tende ora ad essere trasferita dalla copia statica alla

circolazione dei beni digitali, con un’estensione del focus regolativo dal livello

dei contenuti (o delle merci finali), a quello delle applicazioni e dello strato logico

di internet, dai programmi ai sistemi operativi fino agli standard di

comunicazione.

11..22..22 FFiillee sshhaarriinngg:: iill pprriinncciippaallee ooggggeettttoo ddeellllee mmiissuurree

Two wars rage today: one to control scarce ‘pre-industrial’ fossil fuels; the other to control non-scarce ‘post-industrial’ informational goods […]. Managing scarcity in that which is naturally scarce and in making scarce that which is not becomes paramount.

‘Corporate power is threatened by scarcity on the one hand and the potential loss of scarcity on the other’. That every networked computer can share all the digital

information in the world challenges one of these domains of control. In such conditions sharing has been legislated against with a new intensity.

M. David76

Questo spostamento dell’azione di controllo verso gli strati più profondi e

meno visibili dell’architettura digitale, segue l’evoluzione di alcuni usi popolari

delle tecnologie, passati negli ultimi vent’anni dalla registrazione di audio e

video su supporti magnetici, alla copia dei CD, fino all’attuale peer-to-peer file

sharing77. È soprattutto questa pratica, consistente nella condivisione in rete dei

file contenuti nei dischi fissi, ad aver raggiunto in poco meno di dieci anni,

dimensioni e complessità tecnologica tali da non poter più essere considerata

un fenomeno residuale e parassitario dell’economia informazionale, quanto il

suo vero nodo da sciogliere.

Incluso da alcuni teorici nella fenomenologia di un’economia informale del

dono digitale (dal free software a Wikipedia) significativamente più efficiente

della distribuzione commerciale78, il file sharing rappresenta, secondo le ultime

rilevazioni, oltre un terzo del traffico dati diurno e il 95% di quello notturno,

mentre alcuni server impegnati dal download di video raggiungono da soli, in

                                                            

76 M. DAVID. Peer-to-peer and Music Industry. The Criminalization of Sharing, London: Sage Publication Ltd., 2009 (forthcoming), p. 1. 77 W. FISHER III, J. PALFREY, J. ZITTRAIN. “Brief of Amici Curiae Internet Law Faculty in Support of Respondent”, (Metro-Goldwyn-Mayer Studios Inc., et al., Petitioners, v. Grokster, Ltd., et al., Respondents)”, Counsel for Amici Curiae, March 1, 2005, (pp. 1-39), p. 14, http://cyber.law.harvard.edu/briefs/groksteramicus.pdf. 78 R. BARBROOK. “Giving is receiving”, trad. cit..

Page 53: TESI COMPLETA

   1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione

  

 

42

alcune regioni, il 5% del traffico complessivo della rete79. Campagne

pedagogiche, sanzioni eccezionali e pubblica esecrazione non hanno impedito

che questa pratica di accesso all’informazione continuasse a crescere insieme

alla produzione di milioni di pagine e risorse gratuite disponibili in rete. Come ha

osservato recentemente il giurista tedesco Volker Grassmuk:

The numbers are far from conclusive but it's safe to assume mass-usage of P2P. By the current rules of law much of that file-sharing activity is illegal and creatives are not receiving any remuneration for it, but factually it has become part of everyday media practice of a significant portion of the population. Popular practice and the law are out of sync. The tension can be resolved by either stronger enforcement to make reality conform to the law or by changing the law in order to adapt it to reality. Repression has not shown any tangible effect80.

Gli effetti più rilevanti del file sharing hanno riguardato soprattutto la

circolazione di musica e film, seguiti da software, videogiochi e, recentemente,

dalle trasmissioni televisive crittate, in un gigantesco meccanismo che estrae

materiali protetti dai circuiti commerciali, li elabora e li riversa nel dominio

pubblico. Sembra dunque che ciò che determina la ferma opposizione del

commercio al file sharing sia, prima ancora dell’enforcing del copyright, il suo

collegamento con l’estensione, sanzionata legalmente o meno, della

disponibilità di informazione in dominio pubblico. La violenza dello scontro sulla

conoscenza circolante non si comprende, infatti, se non guardando al tentativo

di controllare l’attenzione del pubblico per opere non monetizzabili o sottratte al

circuito commerciale, cioè al problema di una platea sempre più vasta di

individui che nelle loro pratiche quotidiane non soddisfano esigenze di consumo

economicamente apprezzabili o le cui pratiche di consumo, esposte a usi

alternativi degli stessi beni, diventano impredicibili e aleatorie. Come ha

osservato Lessig, questa tendenza monopolistica – che si estende perfino

                                                            

79 Analisi del traffico mondiale 2008 eseguita dal provider tedesco Ipoque. Ars Technica, 30 settembre 2008, http://arstechnica.com/news.ars/post/20080930-p2p-growth-slowing-as-infringement-goes-deeper-undercover.html. In Francia, il 37% degli utenti occasionali e il 47% degli utenti che usano quotidianamente internet ha dichiarato di scaricare file dalla rete. I contenuti scaricati più frequentemente sono: musica (57% nella fascia d’età18-24), film (42%), serie televisive (22%) e video giochi (21%). TNS-SOFRES, LOGICA. "Le français et le téléchargement illégal sur Internet", marzo 2009, pp. 9 ; 12 ; http://www.tns-sofres.com/_assets/files/2009.03.08-telechargement-illegal.pdf. 80 V. GRASSMUCK. “The World is Going Flat(-Rate) A Study Showing Copyright Exception for Legalising File-Sharing Feasible, as a Cease-Fire in the "War on Copying" Emerges”, Intellectual Property Watch, 11 May 2009, p. 4; http://www.ip-watch.org/weblog/2009/05/11/the-world-is-going-flat-rate/.

Page 54: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

43 

 

all’attenzione del pubblico - spiega anche la resistenza, altrimenti

incomprensibile, del fronte favorevole al copyright alla modifica di meccanismi

che impediscono la liberalizzazione automatica delle opere non più protette da

copyright e ritirate dal commercio81.

Ed è proprio tale relazione che testimonia di uno scontro sulla risorsa

specifica del campo digitale, a costituire l’elemento chiave di una riflessione

critica su internet. Considerando questi aspetti, infatti, non si può non rilevare

come la concezione commerciale dell’informazione abbia assunto con la nascita

di internet una fisionomia particolarmente marcata di strumento di controllo

sociale e di coercizione dei comportamenti digitali. La pervasività del controllo

sulle merci digitali, dall’iperregolazione normativa ai dispositivi tecnologici, fino

al nuovo ruolo dei provider, investe, infatti, il piano microfisico del quotidiano di

internet82, nel quadro di un cambiamento di statuto della proprietà intellettuale

da strumento di politica industriale a dispositivo di governo dei comportamenti in

rete.

Tale esito è particolarmente visibile nella politica francese della cosiddetta

riposte graduée (o del three shots strike delle analoghe proposte di legge inglesi

e australiane), concernente il distacco della linea telefonica degli utenti sorpresi

più volte a scaricare file dalla rete83. Come è stato osservato, oltre a

formalizzare una gerarchia dei diritti di cittadinanza che subordina al diritto di

proprietà ogni altra libertà civile, in generale, l’impatto di politiche che tendono a

trasferire il controllo «dalle corti civili alle macchine stesse»84, è tale da

prefigurare un cambiamento radicale della civiltà giuridica, nella quale i concetti

di scelta, responsabilità e giudizio individuale potrebbero essere sostituiti dal

funzionamento di automatismi capaci di strutturare a priori l’orizzonte

                                                            

81 Si veda la polemica sulla provocatoria proposta “Eldred Act” di Lessig, dopo la sentenza favorevole alla Disney della causa Eldred vs. Ashcroft. L. LESSIG. Free Culture, New York: The Penguin Press, 2004, pp. 248-256; http://www.free-culture.org. 82 P. SAMUELSON, R. DAVID. “The Digital Dilemma: A Perspective on Intellectual Property in the Information Age“, 28th Annual Telecommunications Policy Research Conference, 2000, p. 10; http://www.ischool.berkeley.edu/~pam/papers/digdilsyn.pdf.  83 Il governo italiano, in ritardo sui temi della rete, si accinge a varare una riforma analoga, al momento in discussione presso i livelli decisionali. 84 S. VAIDHYANATHAN. “Remote Control: The Rise of Electronic Cultural Policy”, cit., p. 127. Va osservato, in ogni caso, che facendo leva sull’istituzione di un’autorità amministrativa, con il compito di somministrare le sanzioni per il download dei file protetti, il disegno di legge Hadopi rappresenta una misura tecnocratica ibrida. Per un approfondimento della questione si rinvia al terzo capitolo Dal governo dei conflitti alla governance delle procedure.  

Page 55: TESI COMPLETA

   1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione

  

 

44

d’esperienza degli utenti85. Proprio perché tali misure interessano le nervature

informative e organizzative delle società contemporanee, la delega della

moralità ai dispositivi tecnici che Bruno Latour chiama prescrizione - «il

comportamento imposto dai soggetti non-umani agli umani [o], dimensione etica

dei meccanismi» - rischia infatti di soppiantare le forme preesistenti di

normatività e costruzione dei valori86.

Sarebbe difficile comprendere evoluzioni di tale portata, senza guardare al

processo di destabilizzazione che investe il copyright e la proprietà intellettuale,

in generale, nel mondo digitale. La venatura autoritaria che caratterizza la

nuova governance di internet tenta, infatti, di rispondere alla contraddizione

generatasi con la privatizzazione della rete, nella quale si riflettono le difficoltà

incontrate dalle nuove regole del gioco all’intersezione della socialità e dei

conflitti di legittimità di un campo autonomo rispetto a quello commerciale. In

accordo con le sue origini accademiche, nell’ambiente telematico infatti «every

computer is a server. The browser is an editor. Information is a process.

Knowledge is for sharing»87. In un regime di verità nel quale l’informazione non

è né prodotta né consumata, il principio estraneo che ne subordina l’accesso al

possesso si scontra, così, inevitabilmente con i modi d’esistenza delle

tecnologie di rete e delle relazioni sociali che vi sono inscritte. In questo senso,

l’hi-tech gift economy è il ritorno del rimosso dell’economia digitale, stante che

«sharing information is exactly what the Net was invented for»88.

In questo contesto, la sperimentazione collettiva della non rivalità e non

escludibilità dell’informazione89 messa in atto dal file sharing, intrecciandosi con

le forme di plagio e remix dei contenuti commerciali alla base del panorama

tecnoculturale contemporaneo90, ha concretizzato i timori di un’obsolescenza

                                                            

85 G. SARTORI. “Il diritto della rete globale”, XXIII Congresso nazionale della Società Italiana di filosofia giuridica e politica, Macerata, 2-5 ottobre 2002; http://www.osservatoriotecnologico.it/internet/diritto_rete_globale/introduzione.htm#alto. 86 B. LATOUR. “Where Are the Missing Masses? The Sociology of a Few Mundane Artifacts”, in W. BIJKER, J. LAW (eds). Shaping Technology/Building Society: Studies in Sociotechnical Change, Cambridge: MIT Press, 1992, trad. it. “Dove sono le masse mancanti? Sociologia di alcuni oggetti di uso comune”, Intersezioni, 2, agosto 1993, pp. 232. Si torna su questo tema nel 4° capitolo. 87 R. BARBROOK. “Giving is receiving” (stralcio di “Cadeaux virtuels”), http://nettime.org trad. fr. “Cadeaux virtuels. L’économie du don sur Internet", Passages, 33, hiver 2002, http://www3.pro-helvetia.ch/download/pass/fr/pass33_fr.pdf. Si preferisce la versione inglese di questo passaggio e del successivo, incompleta nella pubblicazione francese. 88 Ibidem 89 Y. BENKLER. “An Unhurried View of Private Ordering in Information Transactions”, cit., p. 2065. 90 R. J. COOMB. The Cultural Life of Intellectual Properties. Authorship, Appropriation, and the Law, Durham and London: Duke University Press, 1998 e “Commodity Culture, Private

Page 56: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

45 

 

incontrollata della regolazione basata sul copyright, suscitando reazioni, oltre

che contro le aree di illegalità, contro le condizioni abilitanti di tali fenomeni e il

loro ecosistema informazionale. Internet è, infatti, un ambiente collaborativo il

cui modo di creare innovazione sovverte il vecchio modo di produrla91, così è

presto apparso chiaro che il modo in cui la rete crea è altrettanto destabilizzante

per la proprietà intellettuale del modo in cui condivide, stante l’integrazione,

strutturale nell’ambiente telematico, dei due momenti che il copyright consensus

vuole distinti92. Per questo la battaglia sul file sharing rappresenta il modello

paradigmatico di uno scontro che non oppone solo le culture giovanili e i

produttori di contenuti circa le modalità del consumo audiovisivo, ma rivela

one aspect of larger transformations underway, shifts which highlight the conflicting demands of civil society, where information and ideas should be freely exchanged, and an information economy, where cultural goods play an increasingly important role in the marketplace93.

Il mancato riconoscimento di questa dialettica di fondo è tuttavia dominante

negli studi sul peer-to-peer. Se si esaminano, ad esempio, i punti di vista di due

dei maggiori esperti americani di cultura digitale e diritto dell’informazione, quali

Siva Vaidhyanathan e Jonathan Zittrain, si osserva infatti che il sociologo

inquadra le pratiche di scambio nello scontro tra le istanze anarchiche della rete

e le oligarchie che le combattono94, focalizzandosi sui possibili esiti distruttivi di

tale conflitto, ma tralasciando completamente l’analisi del microcosmo sociale

che si esprime nella costruzione e nell’uso dei network informali. A sua volta, il

giurista colloca le pratiche di file sharing nel quadro dell’abuso dilagante tra i

comportamenti sociali in rete che aumenta proporzionalmente alla crescita degli                                                                                                                                                                  

Censorship, Branded Environments, and Global Trade Politics: Intellectual Property as a Topic of Law and Society Research”, “ in A. SARAT (eds.). The Blackwell Companion to Law and Society, Malden: Basil Blackwell, 2004, (pp. 369-391), http://www.yorku.ca/rcoombe/publications/Coombe_Commodity_Culture.pdf. H. JENKINS. Convergence Culture: Where Old and New Media Collide (2006), trad. it. Cultura convergente Roma: Apogeo, 2007. 91 E. VON HIPPEL. Democratizing Innovation, Cambridge: MIT Press, 2005, p. XVIII, http//web.mit.edu/evhippel/www/democ.htm. 92 Sulla crisi di paradigma dell’idea di produzione culturale implicita nel copyright si veda J. E. COHEN. “Creativity and Culture in Copyright Theory”, UC Davis Law Theory, 40, 2007, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract\id=929527. 93 I. CONDRY. “Cultures of Music Piracy: An Ethnographic Comparison of the US and Japan”, International Journal of Cultural Studies, 7, 2004, p. 344. http://ics.sagepub.com/cgi/content/abstract/7/3/343. 94 S. VAIDHYANATHAN. The Anarchist in the Library. How the Clash Between Freedom and Control is Hacking the Real World and Crashing the System, New York: Basic Books, 2004. L’autore è attualmente direttore del programma di Communication Studies al Dipartimento di Cultura e Comunicazione dell’Università di New York. 

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   1. Cyberspace, eccezione e normalizzazione

  

 

46

utenti di internet, contribuendo in modo determinante alla sua attuale crisi di

sicurezza95.

Punti di vista così distanti trovano una matrice comune oltre che

nell’occultamento della genesi e del significato sociale delle prassi di

condivisione, nell’attenzione per gli effetti destabilizzanti prodotti dalla loro

comparsa, al di là della problematica industriale. Le due analisi concordano,

infatti, nell’evidenziare il nesso tra l’incremento della conflittualità nelle pratiche

digitali e l’aumento della pressione regolativa che tende a dissestare

l’infrastruttura tecnica di internet attraverso la ricerca di technological fix, in

alternativa a meccanismi istituzionali di disciplinamento dei comportamenti.

Stimolata dal problema dell’esecuzione dei diritti e resa urgente dalla

necessità di governare l’uso della banda, alle origini di questa «[new] vision of

affirmative technology policy»96 si colloca, dunque, l’affermazione di politiche di

sicurezza che rispondono ai conflitti della vita online con strumenti di

ottimizzazione del traffico internet e soluzioni tecnologiche di composizione

delle controversie digitali. Come si è visto, queste politiche che Yochai Benkler

ha interpretato come un tentativo di replicare «the twentieth-century model of

industrial information economy in the new technical-social context»97, fanno leva

soprattutto sull’introduzione di soluzioni tecnologiche anticirconvenzione e sulla

modifica di architetture e protocolli in grado di definire uno spazio di

comunicazione suscettibile di controllo e un ambiente economico governato

dalla scarsità98.

Prende forma una nuova governance dell’informazione, tesa a regolare

ogni aspetto della vita sociale sul Net. Sarà questo il campo di battaglia della

normalizzazione della rete: la direzione intrapresa dalle politiche di controllo

toglie ormai ogni ambiguità al senso di un’eccezione che gli utopisti avevano

legato alle proprietà dell’informazione digitale.

                                                            

95 J. ZITTRAIN. “Saving the Internet”, Harvard Business Review, June 2007, http://harvardbusinessonline.hbsp.harvard.edu/hbsp/hbr/articles/article.jsp?ml_subscriber=true&ml_action=get-article&ml_issueid=BR0706&articleID=R0706B&pageNumber=1, p. 2. Zittrain è professore di Internet Governance and Regulation alle Università di Oxford ed Harvard e direttore del Berkman Center for Internet & Society di Harvard. 96 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 1980.  97 Y. BENKLER. The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, op. cit., p. 385. 98 C. MAY. “Digital rights management and the breakdown of social norms”, First Monday, 8, 11, November 2003, (pp. 1- 34), p. 23; http://firstmonday.org/issues/issue8_11/may/index.html.

Page 58: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

47 

 

Page 59: TESI COMPLETA

 

 

48

2.

CCyybbeerrllaaww,, llaa ffoonnddaazziioonnee ddeellllaa ccrriittiiccaa ddiiggiittaallee

Page 60: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

49 

 

Il dibattito americano su internet ha influenzato profondamente sia la

determinazione delle politiche tecnologiche degli Stati Uniti, che la formazione di

una sensibilità pubblica internazionale sul tema del controllo dell’informazione.

L’analisi del discorso che si forma intorno ad internet, nelle università, nelle

comunità informatiche e nelle task force governative, è dunque fondamentale

per comprendere sia l’affermazione che le resistenze al nuovo modello di

controllo dello spazio digitale che comincia a delinearsi. Questo capitolo

ripercorre le tappe fondamentali del dibattito, dedicando particolare attenzione

all’evoluzione delle culture tecnologiche e al loro ruolo nella genesi delle

politiche tecnocratiche, e alla nascita della cyberlaw, il cui atto fondativo è

rintracciato nell’inquadramento dato da Lawrence Lessig alla tesi

dell’«eccezione digitale», con il quale il giurista inaugura una stagione di ricerca

caratterizzata dal rifiuto della concezione della rete come spazio separato dal

mondo analogico, e dalla focalizzazione sugli effetti destabilizzanti che la

governance tecnologica avrebbe introdotto nel quadro ordinamentale,

interessando non solo la rete, ma la società per intero.

Con l’attenzione dei costituzionalisti per le tensioni introdotte nel sistema

giuridico dal prolungamento del copyright e dall’introduzione delle misure di

controllo nelle merci e lungo le dorsali elettroniche della distribuzione

commerciale, si afferma un punto di vista che include la difesa dell’architettura

originaria di internet nella salvaguardia dei principi fondamentali dello stato

federale, evidenziandone la stretta connessione con l’esercizio della libertà

d’espressione e la difesa della capacità di innovazione della rete. Questo

approccio, destinato a dominare per un decennio il discorso accademico e

pubblico sulle tecnologie, e a contenere le politiche digitali più aggressive dei

livelli decisionali americani, inizia a declinare - come si vedrà nella seconda

parte della tesi – all’interno della stessa cyberlaw, sulla spinta delle istanze

tecnocratiche del trusted system e dell’internet enhancement e della

legittimazione giuridica di soluzioni ingegneristiche volte a preservare il

potenziale innovativo della rete, separandolo chirurgicamente dal suo côté

sociale, il dark side di internet.

Page 61: TESI COMPLETA

1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale 

 

 

50

22..11 DDaall ccaatteecchhiissmmoo ddiiggiittaallee aallllaa ccyybbeerrllaaww Quando Lessig ed altri cybergiuristi iniziarono a pubblicare i loro interventi

sulle riviste universitarie, l’esperienza intellettuale della creazione di internet si

era saldata con le utopie californiane, nelle quali la cultura libertaria degli anni

’60 e ‘70 aveva incontrato i movimenti comunitaristi e le avanguardie artistiche

New Age. In questo sincretico ambiente culturale, nel quale la sperimentazione

di nuovi linguaggi creativi e del potere della mente si era intrecciata con gli stili

di vita alternativi ispirati all’ecologismo e all’ideologia del ritorno alla terra, la

credenza nel potere liberatorio delle tecnologie rappresentava il punto di

contatto con le realtà dell’elettronica e delle reti di computer1.

Fino all’ascesa della cyberlaw, i protagonisti del dibattito digitale erano stati

gli stessi animatori di riviste e associazioni che valorizzavano il ruolo delle

comunità nella vita dei singoli e il progetto di un’informatica al loro servizio in

funzione antiburocratica e antiautoritaria. È, dunque, nell’attività di queste

associazioni che si può osservare la trasformazione della cultura tecnologica

nella quale, all’ingresso sulla scena dei professori di legge, le concezioni dei

primi ingegneri informatici circolavano in un nuovo frame ideale. Negli anni ’90,

la visione progettuale delle tecnologie della prima esperienza hacker si era,

infatti, naturalizzata in un credo ottimistico nel potere dei computer che aveva

sostituito la visione conflittuale dei pionieri2.

22..11..11 CCuullttuurraa hhaacckkeerr ee iinnffoorrmmaattiiccaa ssoocciiaallee

Presentando il clima intellettuale delle università americane negli anni in cui

prende avvio il progetto ARPANET, si è fatto cenno alla consapevolezza delle

culture tecnologiche del ruolo politico dell’informatica e dell’importanza

strategica che il controllo dell’informazione avrebbe avuto nello sviluppo

democratico delle società avanzate. Se si guarda agli scritti di Bob Albrecht,

Leon Felstein e di molti altri protagonisti dell’epopea informatica, è evidente

come gran parte di questi tecnologi perseguisse esplicitamente l’obiettivo di

avvicinare l’informatica ai non esperti, così da sviluppare un controllo pubblico

sulle tecnologie e fare dei calcolatori degli strumenti di espressione nelle mani

                                                            

1 H. RHEINGOLD. Comunità virtuali, trad. cit., p. 56. A. DI CORINTO, T. TOZZI. Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, Roma: Manifestolibri, 2002, p. 181. 2 R. BARBROOK, A. CAMERON. “Californian Ideology”, cit.

Page 62: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

51 

 

degli utenti. Avviando l’attività della Peoples Computer Company (1972), Bob

Albrecht, ad esempio, scriveva:

i computer perlopiù vengono usati contro le persone, invece che in loro favore. Usati per controllare, invece che per liberare. È il momento di cambiare tutto ciò: abbiamo bisogno di una Peoples Computer Company3.

Oltre ad Albrech, faceva parte di questa associazione Leon Felstein, uno

studente dell’Università della California, attivo nel Free Speech Movement di

Berkley, secondo il quale l’uso dei computer avrebbe diffuso l’etica hacker

all’intera società4. Coerentemente con questa convinzione, il principale obiettivo

di Felstein era la fabbricazione del personal computer il cui prototipo, il Sol,

completato poco dopo il più noto Altair, consisteva, appunto, in un terminale

intelligente concepito per l’uso domestico5. Su impulso di questi tecnologi, la

progettazione informatica si sviluppava in quegli anni nella duplice direzione

della semplificazione delle tecnologie e della creazione di risorse da condividere

tra gli utenti. Felstein era, perciò, anche tra i membri del Resource One di S.

Francisco, l’organizzazione che nel 1971 aveva avviato il Community Memory

Projet,

il primo progetto di telematica sociale del mondo che consisteva nel mettere a disposizione nelle strade e nei luoghi ad alta frequentazione giovanile dei terminali di computer collegati in rete a un grosso sistema, regalato dall’università perché obsoleto6.

La cultura della condivisione aveva quindi in queste figure di sperimentatori

un alto grado di consapevolezza che si esprimeva nei progetti e negli obiettivi

che si prefiggevano, trasferendosi al design degli artefatti tecnologici che

iniziavano a diffondersi al di fuori degli ambienti informatici.

22..11..22 LL’’uuttooppiissmmoo ddiiggiittaallee

Un’altra figura di animatore di comunità informatiche è quella di Steward

Brand il quale aveva lanciato, negli anni ’60, la Point Foundation,

                                                            

3 S. LEVY. Hackers. Gli eroi della rivoluzione informatica, (1984), trad. it. Hackers. Gli eroi della rivoluzione informatica, Milano: Shake Edizioni Underground, 1996, p. 172. 4 Ivi, p. 185. 5 A. DI CORINTO, T. TOZZI. Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, op. cit., p. 190-193. 6 E. GUARNERI, Senza chiedere permesso 2 – la vendetta, in AA.VV. La carne e il metallo, Milano: Il Castoro, 1999, p. 61. Citato da A. DI CORINTO, T. TOZZI. Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete, op. cit., p. 192.

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1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale 

 

 

52

un’associazione dalla cui esperienza sarebbero nati il Whole Earth Catalog

(1968), il CoEvolution Quarterly (1974) il Whole Earth Software Catalog (1984)

ed, infine, The Well (1985)7, la comunità elettronica resa celebre da The Virtual

Community di Howard Rheingold8. Anche i Catalog di Brand sperimentavano le

reti telematiche come strutture di collegamento tra pool di risorse sociali e

culturali accessibili agli utenti. Il Whole Earth, in particolare, era un vasto

contenitore, oltre che di articoli e di scritti ecologisti, di manuali e di utilità per

realizzare strumenti e oggetti ecosostenibili che faceva di questo elenco

elettronico un punto di riferimento dello stile di vita hippy della Bay Area9.

Quanto alla Well, si trattava di una comunità che, con i suoi oltre diecimila

iscritti, riuniva un pubblico, per l’epoca, vasto, di hacker, studenti e semplici

appassionati di tecnologie, ciò che ne faceva un importante luogo di incontro

delle nuove tendenze della cultura digitale con le esperienze underground e con

l’attivismo dei movimenti per il Free Speech. È in virtù della sua natura di

crocevia delle culture digitali che, quando nasce l’Electronic Frontier Foundation

(EFF), la community viene dichiarata sede e nodo organizzativo

dell’associazione.

Era membro della Well anche Kevin Kelly, editore di Wired, la rivista che, a

partire dal 1993, avrebbe dato notorietà all’ideologia californiana che vedeva

nelle reti di computer degli strumenti di liberazione individuale e (dunque)

collettiva – secondo la tipica causalità New Age. Le opinioni divulgate nei libri e

negli interventi pubblici di Steward Brand, avevano una profonda affinità con le

tesi di Kelly: questi teorici, infatti, riconoscevano all’informazione un potere

trascendente, capace di rendere migliori gli individui, avvicinandoli alla natura

computazionale dell’universo (Kelly) e fornendo loro gli strumenti di pensiero per

prendersi cura dell’ambiente e della terra e imparare a gestirne la complessità

(Brand). Come Kelly, anche Brand era un editore. Abbonarsi ai servizi del

Whole Earth Catalog costava, infatti, come ricorda Rheingold, tre dollari l’ora10.

Un altro tratto accomunante di queste figure di tecnologi degli anni ’90 è,

dunque, la compiuta integrazione tra l’attività culturale e l’esercizio

dell’imprenditoria informatica, in quella formula che avrebbe fatto del distretto                                                             

7 S. LEVY. Hackers. Gli eroi della rivoluzione informatica, trad. cit., p. 172. 8 H. RHEINGOLD. The Virtual Community (1993), trad. it. Comunità virtuali. Parlare, incontrare, vivere nel ciberspazio, Milano: Sperling & Kupfer, 1994. 9 H. RHEINGOLD. Comunità virtuali. Parlare, incontrare, vivere nel ciberspazio, trad. cit., pp. 47-48. 10 Ibidem

Page 64: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

53 

 

industriale della Silicon Valley l’area di massima concentrazione mondiale

dell’industria hi-tech. Non sorprende, perciò, che sia stato proprio Brand a

segnalare la difficoltà della valorizzazione economica dell’informazione che,

come disse alla prima Hackers’ Conference del 1984, stava diventando il bene

più prezioso ma, allo stesso tempo, voleva essere libera:

On the one hand information wants to be expensive, because it's so valuable. The right information in the right place just changes your life. On the other hand, information wants to be free, because the cost of getting it out is getting lower and lower all the time. So you have these two fighting against each other11.

Secondo il tecnologo, l’informazione esigeva ormai il proprio prezzo, ma la

sua attribuzione era difficile in un contesto distributivo che diminuiva

progressivamente i suoi costi di produzione. Poiché c’era valore, osservava

Brand, doveva esserci mercato, ma la dinamica aperta e cumulativa che

generava il valore informazionale, era in conflitto con le leggi dell’economia.

La questione posta da Brand verteva, dunque, sul futuro economico delle

reti e su quello di un’informazione largamente accessibile, alla quale diventava

via via più difficile imporre legittimamente la leva del prezzo. Questo argomento

che, sia pure in modo problematico, teneva insieme libertà e prezzo

dell’informazione, avrebbe conosciuto molte declinazioni, tra le quali la celebre

distinzione tra «free as ‘free speech’» e «free as a free beer» a cui Stallman ha

affidato la definizione del free software, quale «matter of liberty, not price»12.

Soprattutto, però, avrebbe rappresentato un elemento della fondamentale

divergenza tra la concezione che affidava al mercato la promozione delle libertà

digitali, e il punto di vista di chi vedeva nel commercio la maggiore insidia per

quelle stesse libertà. Sarà questo, come si vedrà, il luogo polemico delle prime

schermaglie della cyberlaw di Boyle e Lessig con il digitalismo liberale.

Nel 1990, sull’onda dell’indignazione per l’operazione di polizia Sun Devil

contro gli hacker, John Perry Barlow, Mitch Kapor e John Gilmore fondano

l’Electronic Frontier Foundation per «proteggere le libertà civili fondamentali,

comprese la privacy e la libertà d’espressione nell’arena dei computer e di

                                                            

11 S. BRAND. “Information Wants to Be Free”, estratto del discorso pronunciato alla prima Hackers’ Conference del 1984; http://en.wikipedia.org/wiki/ Information_wants_to_be_free. 12 R. STALLMAN. “The Free Software Definition”, Gnu Operating System; http://www.gnu.org/philosophy/free-sw.html.

Page 65: TESI COMPLETA

1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale 

 

 

54

internet»13. Con la sua prima uscita pubblica, l’associazione lancia un

importante appello per la difesa dei diritti digitali e la salvaguardia della

Costituzione del cyberspazio contro le violazioni governative del First

Amendment nello spazio digitale. È il vasto movimento d’opinione aperto dalla

fondazione a diffondere le tesi di Barlow e Gillmore che rafforzavano la visione

utopica della rete telematica come spazio qualitativamente nuovo, retto da

regole specifiche, emananti dalle proprietà dell’informazione. Nel clima di

scontro creato dalla mobilitazione dell’EFF e del Free Speech Movement di

Berkley, la Suprema Corte dichiara anticostituzionale il Communications

Decency Act (1997), che istituiva un’autorità con compiti di controllo e censura

di internet, giudicandolo eccessivo rispetto allo scopo e in patente violazione del

First Amendment.

La Dichiarazione d’indipendenza del cyberspazio, scritta in quell’occasione

da Barlow per ribadire l’alterità di internet e dichiararne la secessione, segna il

momento culminante del digitalismo liberale e, allo stesso tempo, l’inizio del suo

declino. L’utopia telematica non era mai stata più popolare, ma anche meno

convincente. Gli sviluppi di questa concezione puntavano, infatti, sempre più

decisamente, su una visione essenzialista delle tecnologie digitali che fondeva

in una sorta di gnosi moderna la cultura hacker e il culto dei network elettronici,

dei quali si esaltava la capacità autoimmune di sottrarsi al controllo e

all’aggressione governativa:

We are naturally independent of the tyrannies you seek to impose on us […]. Your legal concepts of property, expression, identity, movement, and context do not apply to us. They are based on matter. There is no matter here14.

Il testo di Barlow contiene scarse reminiscenze della visione conflittuale dei

pionieri, ma tutto lo sconcerto di un credo infranto dagli eventi. Quanto era

successo aveva incrinato la fiducia nel potere delle tecnologie e induceva,

ormai, a dubitare che internet avrebbe aggirato spontaneamente la censura,

espungendola come errore di sistema15.

Così, mentre le richieste di regolazione commerciale della rete

                                                            

13 B. STERLING. “The Hacker Crackdown. Law and Disorder in the Electronic Frontier”, 1990, http://www.mit.edu/hacker/hacker.html. 14 J . P. BARLOW. “A Declaration of the Independence of the Cyberspace”, cit.. 15 Il motto «In Cyberspace the First Amendment is a local ordinance» è di Perry Barlow. A John Gilmore è invece attribuita l’altra celebre frase «The Net interprets censorship as damage and routes around it».

Page 66: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

55 

 

cominciavano a intrecciarsi con le politiche censorie16, le facoltà di legge

avevano iniziato a illustrare il funzionamento dei dispositivi legali e a dimostrare

la loro efficacia sulla vita digitale. Stava nascendo quel filone degli studi

cyberlaw, la cui importanza e celebrità internazionale avrebbe finito per far

coincidere il pensiero di Lessig, Boyle e Benkler17 e l’orientamento

dell’Università di Stanford18 con l’intero campo degli studi giuridici su internet.

22..11..33 LLeessssiigg ee llaa ccyybbeerrllaaww

Con i loro interventi pubblici e i brillanti articoli che circolavano in rete for

free19, i cybergiuristi prendevano le distanze da teorie popolarissime, con

l’intenzione esplicita di rinforzare l’apparato critico dei movimenti per le libertà

digitali ed affinarne gli strumenti di comprensione dei cambiamenti in corso.

L’intreccio tra lavoro intellettuale e impegno civile che valse a questi professori

di legge l’appellativo di copyfigthers, è suggellato dall’ingresso di Lessig nel

consiglio direttivo dell’EFF20 e dalla scelta di Pamela Samuelson, docente di

legge dell’Università della California, come avvocato dell’associazione.

Il coinvolgimento nelle stesse campagne per i diritti civili non impediva, in

ogni caso, ai cybergiuristi di muovere critiche radicali agli utopisti e di

denunciare non soltanto la debolezza del loro approccio, ma anche la

                                                            

16 J. ZITTRAIN. “Internet Points of Control”, Boston College Review, 43, 2003, (pp. 1-36), http://papers.ssrn.com/abstract_id=388860. Questo aspetto è approfondito nel terzo capitolo. 17 Tra i principali studiosi di questa terza e più nota, ondata di studi cyberlaw sono, oltre a Lawrence Lessig (Stanford University, Direttore dello Stanford Center for Internet and Society, fondatore di Creative Commons), James Boyle (Duke University, cofondatore di Creative Commons) e Yochai Benkler (Harvard e Yale University), oltre a James Balkin (Yale), Julie Cohen (Georgetown University), William Fisher (Harvard, Direttore del Berkman Center for Internet & Society), Jessica Litman (University of Michigan) e Pamela Samuelson (Università della California, avvocato dell’Electronic Frontier Foundation). Della «seconda generazione» di cybergiuristi fanno parte Jonathan Zittrain (Harvard, cofondatore del Berkman Center for Internet & Society) e John Palfrey (Harvard, co-direttore del Berkman Center for Internet & Society).  18 L’home page dello Stanford Center for Internet & Society contiene la seguente autodescrizione: «In the heart of the Silicon Valley, legal doctrine is emerging that will determine the course of civil rights and technological innovation for decades to come. The Center for Internet and Society (CIS), housed at Stanford Law School and a part of the Law, Science and Technology Program, is at the apex of this evolving area of law»; http://cyberlaw.stanford.edu/about. 19 Vale la pena notare come la politica editoriale dei cybergiuristi e delle scuole di legge delle Università americane abbia assicurato una platea internazionale ai loro articoli attraverso la pratica della diffusione in rete dei discussion paper e, più spesso, della pubblicazione elettronica integrale e gratuita dei saggi. L’impulso dato da Lessig e Boyle, tra gli altri, alla pubblicazione open content dei contributi accademici, culminato nel progetto creative commons, ha fatto si che anche i libri dei cybergiuristi, oltre agli articoli e ai saggi brevi, siano tutti, con poche eccezioni, reperibili in rete. 20 Lessig collabora oltre che con l’EFF, con tutte le principali associazioni per le libertà digitali, Free Software Foundation, Public Library of Science, Public Knowledge.

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1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale 

 

 

56

pericolosità della concezione che affidava ad un potere delle tecnologie, ritenuto

buono per essenza, il compito di regolare controversie e dirimere conflitti

nell’ambiente digitale21. Lessig sottolineava, in questo modo, che internet era un

ambiente controllabile, ma anche che la sua regolazione richiedeva un’attenta

valutazione dei rischi connessi alla semplificazione tecnologica della

complessità sociale.

L’impatto del punto di vista di Lessig sul dibattito degli anni ’90 fu fortissimo.

In ambito giuridico si trattava di dare dignità ad un campo di studi che aveva in

Easterbrook e Sommer i più fieri detrattori22. Nel contesto della cultura digitale,

occorreva, invece, contrastare la sterile visione digitalista di un cyberspazio

incontrollabile, separato dal mondo analogico. Dando alle stampe The Law of

the Horse e Code and Other Laws of Cyberspace Lessig conseguiva entrambi

gli obiettivi, fondendo i due ambienti intellettuali in una nuova cultura di internet

che confutava l’indipendentismo utopico e le obiezioni dell’accademia circa la

legittimità del diritto digitale23.

Sia del governo di internet che della sua critica Lessig aveva infatti una

visione alternativa che formulò volgendo contro gli utopisti l’ironica analogia

concepita dal giudice Easterbrook tra la legge del cavallo e l’istituzione di un

diritto speciale del cyberspazio - «there is no more a “law of Cyberspace” than

there is a Law of the Horse» -, tanto impropria quanto lo sarebbe stata la

richiesta di riconoscimento di un diritto equino in difesa di questa specie

animale24. Con il suo sarcasmo sul diritto equino, Easterbrook intendeva

dimostrare l’inesistenza di un dominio di studi e il dilettantismo di chi lo

praticava, sottolineando come in giurisprudenza ogni caso speciale potesse

                                                            

21 J. BOYLE. “Foucault in Cyberspace. Surveillance, Sovereignty, and Hard-Wired Censors”, Duke Law Journal, 1997, http://www.law.duke.edu/boylesite/foucault.htm; L. LESSIG. In Code and Other Laws of Cyberspace, op. cit., pp. 176-182. 22 F. H. EASTERBROOK, “Cyberspace and the Law of the Horse”, University of Chicago Legal Forum, 207, 1996; http://docs.google.com/gview?a=v&q=cache:WC-JgLTMir8J:www.law.upenn.edu/fac/pwagner/law619/f2001/week15/easterbrook.pdf+Easterbrook+cyberspace+and+law+of+the+horse&hl=it&gl=it. J. H. SOMMER. “Against Cyberlaw”, Berkeley Technology Law Journal, 15, Fall 2000; http://www.law.berkeley.edu/journals/btlj/articles/vol15/sommer/sommer.html. 23 Una scelta che, come si vedrà, non mancherà di condizionare negativamente il pensiero del giurista, consentendogli di convertirsi solo molti anni dopo all’idea di costituzionalizzare il design di internet, estendendo il campo delle libertà civili al riconoscimento delle libertà digitali. Per l’approfondimento di questo aspetto di rinvia al capitolo 4. Dal governo dei conflitti alla governance delle procedure. 24 L. LESSIG. “The Law of the Horse: What Cyberlaw Might Teach”, cit., pp. 501-502.

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I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

57 

 

essere spiegato dai principi generali25. Fu il rovesciamento lessighiano di questa

concezione a fondare la cyberlaw. Il giurista infatti, faceva rilevare come, al

contrario, i principi generali dell’ordinamento siano specificati ogni volta

dall’evoluzione di casi speciali26. In questo modo, lo studioso avanzava la tesi

che avrebbe dominato il discorso digitale nel decennio successivo, facendo

rilevare come i cambiamenti di internet non sarebbero stati limitati allo spazio

cibernetico, ma avrebbero investito la società per intero, proprio a causa della

tensione che lo stato d’eccezione istituito dai tentativi di regolazione di uno

spazio eccezionale, avrebbe immesso nel quadro dei principi ordinamentali27. Il

significato di questa pagina storica della giurisprudenza digitale è concentrato in

questo brano di Jonathan Zittrain:

In the late 1990s, Professor Lessig and others argued that the debate was too narrow, pioneering yet a third strand of scholarship. Professor Lessig argued that a fundamental insight justifying cyberlaw as a distinct field is the way in which technology — as much as the law itself — can subtly but profoundly affect people’s behavior: “Code is law.” He maintained that the real projects of cyberlaw are both to correct the common misperception that the Internet is permanently unregulable and to reframe doctrinal debates as broader policy oriented ones, asking what level of regulability would be appropriate to build into digital architectures28.

Per Lessig, internet non era lo spazio separato che la Declaration aveva

descritto, il cyberspazio era, invece, sottoposto agli stessi vincoli e alle stesse

pressioni regolative del mondo analogico. Invocare un diritto speciale del mondo

digitale era perciò del tutto fuorviante, mentre era necessario pretendere il

rispetto delle libertà costituzionali anche in quell’ambiente, ancora ignoto ai più,

nel quale persino le violazioni più gravi avrebbero potuto essere sottovalutate,

se fosse perdurata l’incomprensione dell’interconnessione tra mondo virtuale e

realtà sociale.

Sotto lo sguardo critico dei cybergiuristi, non solo la strategia difensiva

dell’utopismo digitale mostrava tutti i suoi limiti, ma anche gli assunti del credo

tecnologico cominciavano a evidenziare il loro lato meno seducente29. Si

iniziava a comprendere, ad esempio, come il principio contenuto nel motto di

                                                            

25 Ivi, p. 501. 26 Ibidem  27 Per l’approfondimento di questa tesi si rinvia al capitolo 4. Dal governo dei conflitti alla governance delle procedure. 28 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 1997. 29 Si rinvia alle pagine seguenti per l’approfondimento della loro critica.

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1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale 

 

 

58

David Clark «we reject kings, presidents and voting. We believe in rough

consensus and running code»30, segnasse uno slittamento quasi impercettibile

da una concezione politica delle tecnologie, quale era stata quella degli hacker,

alla loro elevazione tecnocratica a terreno di soluzione delle problematiche

legali31. La parola passava, quindi, a questo gruppo di giuristi ed avvocati,

impegnato a portare sul terreno del diritto e del dibattito costituzionale il

discorso sulle tecnologie e a mostrare come internet fosse una costruzione

sociale instabile e suscettibile di modifiche potenzialmente antitetiche rispetto al

progetto di emancipazione dei suoi creatori. Come osservava Lessig, infatti,

there is no reason to believe that the foundation for liberty in cyberspace will simply emerge […] Left to itself, cyberspace will become a perfect tool of control32. 

Il compito di trasferire il focus del dibattito dal potere delle tecnologie ai

poteri regolativi dello stato e del mercato e di portare i risultati di un discorso

accademico nell’arena pubblica riassume, essenzialmente, il senso

dell’impegno intellettuale e civile di autori come Lessig e Boyle. Se si esamina

Code v2, una delle ultime pubblicazioni di Lessig nella quale il giurista fa il punto

sulla governance di internet, si nota, infatti, la volontà dell’autore di

rappresentare non soltanto l’evoluzione del controllo tecnologico sull’ambiente

elettronico, ma anche il completo rinnovamento del discorso digitale nei sette

anni trascorsi dalla pubblicazione del primo volume.

Nella parte introduttiva del libro, Lessig si sofferma sulle differenze tra il

clima culturale che aveva fatto da sfondo alla pubblicazione di Code and Other

Laws of Cyberspace, nel 1999, e quello che ha accompagnato l’uscita del

secondo volume, nel 2006. È qui che Lessig osserva come di fronte al nuovo

paradigma di controllo delle tecnologie digitali, la nuova versione di Code non

abbia più bisogno di polemizzare con la fiducia nella naturale avversione

                                                            

30 La sentenza, poi divenuta motto dell’IETF è stata pronunciata da David Clark al MIT nel 1992. Clark è uno degli ingegneri del MIT che ha collaborato alla specificazione dell’architettura end-to-end. Con Saltzer e Reed è autore dell’influente articolo (pubblicato nel 1984 sulla base del documento presentato nell’aprile 1981 alla Second International Conference on Distributed Computing Systems) sulla logica e l’architettura dell’end-to-end, a partire dal quale si comincerà appunto a parlare di end-to-end arguments. J. SALTZER, D. P. REED, D. D. CLARK. “End-to-End Arguments in System Design”, (1981), ACM Journal Transactions in Computer Systems 2, 4, November 1984, (pp. 277-288), http://web.mit.edu/Saltzer/www/publications/endtoend/endtoend.pdf. 31P. A. DAVID. “The Evolving Accidental Information Super-highway. An Evolutionary Perspective on the Internet’s Architecture”, cit., p. 11. 32 L. LESSIG. Code v2, New York: Basic Book, 2006, p. 4; http://codev2.cc.

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I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

59 

 

dell’informazione verso censura e regolazione, ritenuta dagli autori vicini a

Wired il principio di salvaguardia della libertà della rete. Nel 1999, le tesi di

Code intendevano contrastare soprattutto l’opinione di quell’élite tecnologica

che affidava alle proprietà taumaturgiche dell’informazione la capacità di creare

uno spazio di comunicazione separato e retto da regole proprie rispetto al

mondo analogico33. Il compito che Lessig si era assunto in quel contesto, e che

avrebbe poi caratterizzato un intero filone di studi giuridici su internet

consisteva, infatti, nell’indicare le conseguenze per il mondo digitale delle

decisioni assunte nello spazio politico-economico, nonché le ricadute dei

cambiamenti della sfera digitale sull’intero corpo sociale, cioè «even after the

modem is turned», come avrebbe poi detto in Free Culture34. L’indicazione

principale di Code mostrava che internet non era affatto una zona franca

rispetto ai fattori di dominio vigenti nello spazio sociale e che era, dunque,

tempo di abbandonare la visione digitalista, alla quale due anni prima James

Boyle si era riferito con lo sferzante appellativo di Net catechism35.

In quell’articolo del 1997, Boyle aveva evidenziato come i presupposti

ideologici del cyberlibertarianism costituissero un evidente ostacolo

epistemologico alla comprensione del rapporto tra rete, commercio e copyright.

Secondo il professore della Duke, quella concezione fondata sull’idea della

naturale incoercibilità dello spazio informatico36 e sul principio di non

contraddizione tra libertà di mercato e libertà civili era, infatti, costitutivamente

incapace di immaginare che la libertà d’espressione di internet potesse essere

colpita da entità diverse da quella statuale e governativa. Come sottolineava

Boyle, l’approccio dei cyberlibertari si mostrava eventualmente sensibile alla

sola dimensione della sovranità del potere di disposizione sulla rete, mentre

trascurava l’esercizio decentrato del potere di controllo e sorveglianza esercitato

dalla sfera privata37. Richiamandosi espressamente a Foucault, lo studioso

                                                            

33 «The space seemed to promise a kind of society that real space would never allow—freedom without anarchy, control without government, consensus without power. In the words of a manifesto that defined this ideal: “We reject: kings, presidents and voting. We believe in: rough consensus and running code». L. LESSIG. Code v2, op. cit., p. 2. 34 L. LESSIG. Free Culture. How Big Media Uses Technology and the Law to Lock Down Culture and Control Creativity, New York: The Penguin Press, 2004, p. xiii; http://www.free-culture.org. 35 J. BOYLE. “Foucault in Cyberspace. Surveillance, Sovereignty, and Hard-Wired Censors”, cit., pp. 2-3. 36 «The internet] that it “cannot be governed”; that its “nature” is to resist regulation». L. LESSIG. Code v2, op. cit., p. 31. 37 L. LESSIG. Code v2, op. cit., p. 5. 

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1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale 

 

 

60

mostrava tutti i limiti di questo insieme di assunti politico-giuridici «blind towards

the effects of private power», in quanto fondato su

a set of political and legal assumptions that I call the jurisprudence of digital libertarianism, a separate but related set of beliefs about the state's supposed inability to regulate the Internet, and a preference for technological solutions to hard legal issues on-line38.

In questo modo, Boyle faceva rilevare come il tema della soluzione

tecnologica ai conflitti generati in rete emergesse già in associazione alle

supposte proprietà emancipative dell’informazione e, allo stesso tempo, come i

cyberliberali fossero incapaci di pensare non solo la governabilità di internet, ma

anche gli esiti controversi dell’impiego della tecnologia nella soluzione delle

problematiche giuridiche. In riferimento a questo aspetto, è stato soprattutto

Paul David in un suo articolo del 2001, a sottolineare come questa eredità

culturale dell’attuale tecnocrazia informatica sia una delle ragioni per cui

l’introduzione delle protezioni tecnologiche è stata così facilmente inclusa tra le

ipotesi di ottimizzazione del traffico dati in internet e concepita come la

modificazione adattiva di un ambiente, per definizione, capace di

autoorganizzazione,

quite the contrary, for, what is underway essentially is a decentralized, goal-seeking evolutionary dynamic driven by the interests of particular groups of Internet stakeholders. This process continues to draws support from the fusion of liberal individualism and technocracy in the philosophical-political ethos that has become quite pervasive among the community of Internet engineering specialists, and which is predisposed to reject social and legal modes of regulation in favor of finding purely technological mechanisms to address deficiencies in system performance39.

La regolabilità della rete e il ruolo non neutrale degli automatismi tecnologici

erano stati appunto i due aspetti che Boyle aveva tenuto insieme nella sua

critica a Wired, osservando che i dispositivi di controllo «are neither as neutral

nor as benign as they are currently perceived to be»40. Ciò che Boyle

intravedeva nella crittografia e nei meccanismi automatici di regolazione dei

comportamenti è, dunque, la dinamica di un controllo pervasivo e molecolare

                                                            

38 Ivi, p. 1. 39 P. A. DAVID. “The Evolving Accidental Information Super-highway. An Evolutionary Perspective on the Internet’s Architecture”, cit., p. 16. 40 J. BOYLE. “Foucault in Cyberspace. Surveillance, Sovereignty, and Hard-Wired Censors”, cit., p. 1.

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I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

61 

 

che, secondo recenti studi di ispirazione foucaultiana, costituisce la modalità

specifica di assoggettamento della network society41.

Studi come quelli di Lessig e Boyle, sono stati, quindi, fondamentali per

osservare come il passaggio dalla sfera della produzione di norme a quella del

controllo tecnologico incidesse sul rapporto sociale con l’informazione e

costituisse un cambiamento fondamentale della visione regolativa di internet. È

a partire dai loro lavori, infatti, che il copyright viene indicato come il luogo

primario dell’elaborazione di una nuova governance della rete e il terreno

elettivo di definizione della legittimità dei comportamenti digitali. Boyle, in

particolare, nel pieno della copyright controversy degli anni ‘90, aveva fornito un

importante inquadramento alla riflessione, affermando che la proprietà

intellettuale non era solo lo strumento di distribuzione della ricchezza, del potere

e dell’accesso al sapere nella forma sociale contemporanea, ma la forma legale

per eccellenza - in terms of ideology and rhetorical structure, no less than

practical economic effect42 - di un’età dominata dall’informazione e, dunque, il

principale terreno di scontro per la definizione del modello di società43. La

proprietà intellettuale viene, così, identificata come il campo di battaglia su cui,

nel decennio successivo, si sarebbe giocato il conflitto per la normalizzazione

dell’eccezione digitale.

A dieci anni dalla pubblicazione di A Politics of Intellectual Property, l’avvio

di una governance tecnologica di internet e la convergenza delle principali

problematiche digitali - dalla sorveglianza alla libertà d’espressione – sul terreno

della proprietà intellettuale, hanno confermato la prognosi di Boyle

sull’evoluzione di questo dispositivo. Il copyright si è, infatti, rivelato molto più di

uno strumento di ripartizione della ricchezza nella società informazionale,

quanto il propulsore della grande trasformazione dello spazio digitale nella

quale si ridisegna non solo la nervatura elettronica della network society, ma la

relazione stessa degli individui con l’informazione.

                                                            

41 I. MUNRO. “Non disciplinary Power and the Network Society”, Organization, 7, 4, 2000, (pp. 679–695), http://org.sagepub.com/cgi/content/abstract/7/4/679. Sulla ripresa delle tesi classiche sul potere nella letteratura sulla società dell’informazione, si sono recentemente soffermati Davide Calenda e David Lyon. D. CALENDA, D. LYON. “Culture e tecnologie del controllo: riflessioni sul potere nella società della rete”, Rassegna Italiana di Sociologia, XLVII, 4, ottobre-dicembre 2006, (pp. 583-584). 42 J. BOYLE. “A Politics of Intellectual Property: Environmentalism For the Net?”, Duke Law Journal, 47, 1996, (pp. 87-114), p. 90, www.law.duke.edu/boylesite/intprop.htm. 43 Ivi, p. 87.

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1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale 

 

 

62

22..22 IIll ddiibbaattttiittoo aammeerriiccaannoo ssuull ccooppyyrriigghhtt eesstteessoo

22..22..11 LLee ffrriizziioonnii ccoossttiittuuzziioonnaallii:: llee eesstteennssiioonnii ddeeii tteerrmmiinnii

To promote the Progress of Science and useful Arts, by securing for limited Times to Authors and Inventors

the exclusive Right to their respective Writings and Discoveries.

Constitution des États-Unis, art. 1, Section 8, Clause 8

Nel sistema giuridico americano, la disciplina della proprietà intellettuale

riveste caratteri costituzionali in virtù dell’Intellectual Property Clause che fissa

nella carta dello stato federale il principio dell’incentivo alla creazione di opere e

invenzioni mediante monopoli temporanei di sfruttamento commerciale.

L’efficacia della dottrina è affidata all’equilibrio temporale delle fasi di chiusura e

di apertura del dispositivo, fondato sul doppio pilastro dello stimolo alla

creazione - assicurato dalla momentanea edificazione delle barriere

monopolistiche - e della diffusione delle innovazioni - garantita dall’estinzione

delle protezioni.

È a partire da questo retroterra ordinamentale che, a metà degli anni ’90, i

professori di legge iniziano a studiare le ripetute estensioni in durata e dominio

di applicazione del copyright che da oltre un decennio avevano cominciato ad

incrinare la legittimità costituzionale del dispositivo. I luoghi polemici della critica

che si sviluppa in questo periodo si trovano efficacemente sintetizzati in un

studio di Pamela Samuelson che indica nella trasformazione della proprietà

intellettuale un preoccupante ritorno al regime premoderno di tutela, la cui

visione assolutista si riattualizza attraverso l’abolizione dei vincoli e delle

limitazioni alla base del copyright moderno44. Secondo la giurista, questa

involuzione si manifesta in una serie di caratteristiche distintive che mostrano

inequivocabilmente il superamento dei fondamenti classici della legge:

1. Consolidation in the copyright industries; 2. The decline of the author/the rise of the work; 3. A decline in the utilitarian and learning purposes of copyright/the rise of profit

maximization; 4. A predicted demise of fair use and other copyright limitations; 5. Perpetual copyrights;

                                                            

44 P. SAMUELSON. “Copyright, Commodification, and Censorship: Past as Prologue—but to what Future?”, Conference on Commodification of Information, Haifa University, May 1999, ripubblicato in L. GUIBAULT, P.B. HUGENHOLTZ (eds). The Future of the Public Domain, Amsterdam, Kluwer Law International, 2006, (pp. 121–166), p. 5, http://www.ischool.berkeley.edu/~pam/papers/ haifa_priv_cens.pdf. 

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I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

63 

 

6. The decline of originality as a meaningful constraint on publisher rights; 7. Excessive pricing; 8. Unclear origins of rights; 9. Private ordering/Private enforcement; 10. The rhetoric of “piracy” and “burglary”; 11. Increased criminal sanctions45

L’analisi del copyright esteso si intreccia, fin dagli inizi, con la critica alla

svolta tecnologica della legge che integrava le reiterate estensioni dei termini

con la previsione di protezioni da installare nelle merci digitali. Le prime ipotesi

di controllo tecnologico erano state avanzate in due simposi del 1993,

organizzati dalla World Information Property Organization (WIPO),

dall’Università di Harvard e dal M.I.T.46 e attraverso il Green Paper che,

circolando in migliaia di copie, le avrebbe portate a conoscenza di un pubblico

più vasto47. Questa fase del dibattito che sfocia, sul piano decisionale, negli

accordi internazionali del 1994 (TRIPs agreement) e nel più tardo recepimento

americano del Digital Millennium Copyright Act (1999)48, evidenzia la marcata

lontananza della riflessione regolativa dallo spirito della tutela classica del

copyright. Nel momento in cui internet diviene una rete commerciale, il rapporto

finale dell’Information Infrastructure Task Force affronta infatti il tema

dell’accesso all’informazione come una variabile della sicurezza del copyright,

strettamente dipendente dalla capacità del sistema di assicurarne l’enforcing

nell’ambiente telematico:

It is important to recognize that access needs of users [….] have to be considered in context with the needs of copyright owners to ensure that their rights in their works are recognized and protected. One important factor is the extent to which the marketplace will tolerate measures that restrict

                                                            

45 Ivi, pp. 5-10.  46 “Technological Strategies for Protecting Intellectual Property in the Networked Multimedia Environment”, cosponsored by the Coalition for Networked Information, Harvard University, Interactive Multimedia Association, and the Massachusetts Institute of Technology, April 2-3, 1993; “Copyright and Technology: The Analog, the Digital, and the Analogy”, WIPO Worldwide Symposium on the Impact of Digital Technology on Copyright and Neighboring Rights, March 31 - April 2, 1993. 47 Il Green Paper è il documento aperto (discussion paper) elaborato dall’Information Infrastructure Task Force (IITF), istituita nel febbraio 1993 dall’amministrazione Clinton per approfondire i problemi legali di internet, con particolare riguardo alla la difesa della proprietà intellettuale nell’ambiente digitale. Per la critica della versione definitiva (libro bianco), si veda: P. SAMUELSON. “The Copyright Grab », Wired, January 1996 ; http://www.wired.com/wired/archive/4.01/white.paper_pr.html. 48 Come avverrà più tardi per la Brodcast Flag Provision, le forti resistenze dell’opinione pubblica americana all’introduzione delle protezioni tecnologiche, avevano convinto la WIPO a portare la costruzione delle politiche digitali sul piano internazionale, introducendole successivamente negli USA per effetto della rafica dell’accordo.

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1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale 

 

 

64

access to or use of a copyrighted work. Conversely, without providing a secure environment where copyright owners can be assured that there will be some degree of control over who may access, retrieve and use a work, and, perhaps most importantly, how to effectuate limits on subsequent dissemination of that work without the copyright owner's consent, copyright owners will not make those works available through the [network]. Technology can provide the solutions for these needs. Technological solutions exist today and improved means are being developed to better protect digital works through varying combinations of hardware and software. Protection schemes can be implemented at the level of the copyrighted work or at more comprehensive levels such as the operating system, the network or both49.

22..22..22 LLee ffrriizziioonnii ccoossttiittuuzziioonnaallii:: iill ccoonnttrroolllloo tteeccnnoollooggiiccoo

L’ulteriore rafforzamento della proprietà intellettuale prefigurato

dall’introduzione del controllo tecnologico, solleva una forte opposizione tra i

cybergiuristi che lo interpretano come l’esito conclusivo della metamorfosi

incostituzionale del dispositivo, culminata nella sua formulazione propriamente

post-moderna. La perdita dell’equilibrio costituzionale degli interessi vedeva

infatti nelle misure annunciate un’improvvisa accelerazione che completava la

parabola regressiva dell’istituto giuridico.

Secondo la cyberlaw, l’avvento della tutela tecnologica era, dunque, sia uno

degli aspetti di declino della forma classica del copyright, sia l’elemento capace

di comprometterne definitivamente l’equilibrio di sistema, fondato storicamente

sul bilanciamento degli interessi pubblici e privati, nonché sulla limitazione in

durata e potestà dei monopoli proprietari. In quest’ottica, il Digital Rights

Management viene visto come la fase conclusiva di un’involuzione oscurantista

della proprietà intellettuale, caratterizzata dal passaggio da normative di tipo

pubblico, talvolta collegate a garanzie di rango supremo – come nel caso

americano -, a un sistema privatistico di protezioni basato sulla centralità del

contratto, sull'esecuzione tecnica dei diritti e sull'abbandono del regime delle

eccezioni.

Come osservava Samuelson, l’analogia con l’età feudale era meno ardita di

quanto potesse sembrare. Il copyright, infatti, dopo aver emancipato i creatori

dalla necessità del mecenatismo ed essere diventato in età moderna uno

strumento di protezione della libertà d’espressione, aveva ormai reciso i suoi                                                             

49 INFORMATION INFRASTRUCTURE TASK FORCE. “Intellectual Property and The National Information Infrastructure”, September 1995, p. 178; http://www.uspto.gov/go/com/doc/ipnii/ipnii.pdf.

Page 76: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

65 

 

legami con la libertà di parola, tornando ad associarsi alla censura50. Lessig e

Julie Cohen evidenziavano come in questa metamorfosi radicale, la proprietà

intellettuale stesse perdendo ogni riferimento al diritto pubblico, per trasformarsi

in un sistema di regole private fondato sul contratto, nel quale i meccanismi

tecnologici vigilavano sull’esecuzione dei diritti in luogo della giurisdizione:

Trusted systems are one example of code displacing law. A second is the law of contracts. There has been a great deal of talk in cyberspace literature about how, in essence, cyberspace is a place where “contract” rather than “law” will govern people’s behavior51.

[This] economic vision […] is alive and well on the digital frontier. Its premises — the sanctity of private property and freedom of contract, the sharply delimited role of public policy in shaping private transactions, and the illegitimacy of laws that have redistributive effects — undergird a growing body of argument and scholarship concerning the relative superiority (as compared with copyright) of common law property and contract rules for protecting and disseminating digital works52.

Con l’approvazione del DMCA, la cyberlaw insorge contro l’improvvisa

cancellazione del regime secolare delle eccezioni e delle dottrine del fair use e

del first sale, superati di fatto da una legge che riconsegnava ai proprietari quei

poteri di disposizione assegnati dalle corti a particolari usi dei beni protetti. In

base a queste decisioni giurisprudenziali, dovevano essere considerati

eccezioni al copyright gli usi legati all’insegnamento e alla pubblica lettura, oltre

che, quelli connessi all’archiviazione, all’attività giudiziaria, di intelligence e per

altri fini governativi, alla decompilazione del software e alla ricerca sulla

crittografia.

Operando in regime di common law, la nuova normativa non cancellava

formalmente il diritto consuetudinario, lo rendeva semplicemente inesigibile. Il

                                                            

50 P. SAMUELSON, “Copyright, Censorship and Commodification: past as prologue—but to what future?”, cit., pp. 10-11. 51 L. LESSIG. “The Law of the Horse: What Cyberlaw Might Teach”, cit., p. 528. Lessig polemizza, implicitamente, con una delle affermazioni della Declaration di Barlow: «We are forming our own Social Contract. This governance will arise according to the conditions of our world, not yours. Our world is different» (testo citato), e con la concezione esposta da Johnson e Post in “Law and Borders” (cit), esposta estesamente nel 4.1 Lex informatica come lex mercatoria. 52 J. E. COHEN. “Lochner in cyberspace: the new economic orthodoxy of "rights management", Michigan Law Review, 97, 1998, pp. 2-3; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=128230. Sul ruolo della nuova normativa americana sul contratto (UCITA) nella regolazione dei rapporti in rete si veda: E. T. MAYER. ” Information Inequality: UCITA, Public Policy and Information Access”, Center for Social Informatics SLIS, Indiana University, 2000, http://rkcsi.indiana.edu/archive/CSI/WP/wp00-06B.html. 

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1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale 

 

 

66

sistema giuridico permetteva, infatti, a chiunque venisse accusato di infrazione

al copyright e ritenesse di trovarsi in una delle fattispecie di eccezione, di

appellarsi ad una corte di giustizia per essere sollevato dall’imputazione. Poiché

le protezioni tecnologiche operano ex ante, la loro introduzione rendeva di fatto

impossibile questo tipo di tutela, eliminando uno dei principi di bilanciamento

fissati dalle garanzie costituzionali della legge. Chi avesse voluto avvalersi delle

eccezioni avrebbe dovuto, da quel momento in poi, chiederne il permesso.

Agli occhi dei cybergiuristi gli esiti del DMCA erano illogici, oltre che

eversivi, perché consegnavano all’America una cultura burocratizzata e

paralizzata da mille vincoli di accesso. Faceva scalpore, ad esempio, la notizia

che il lavoro accademico di Edward Felten, tra i più noti scienziati informatici

americani e docente all’Università di Princeton, era divenuto legalmente

controverso, dopo il divieto di decompilazione introdotto dalla norma53.

I professori americani e i giuristi europei che iniziavano a recepirne il

dibattito, formulano, dunque, un giudizio netto sulla svolta tecnologica del

copyright, sostenendo che i vincoli tecnologici sull’uso dei beni digitali e le

nuove modalità di esecuzione dei diritti inaugurano l’epoca di un diritto

privatizzato54 che non ha più a monte una visione complessiva della società da

regolare, quanto interessi privati da massimizzare55 anche attraverso forme di

autotutela generalizzata fin qui previste dal diritto come eccezione. Con un

volume dedicato agli errori della legge (copywrongs) il sociologo dei processi

culturali Siva Vaidhyanathan, tira le somme del dibattito giuridico, osservando

come, avendo cessato di difendere il pubblico interesse, il copyright americano,

abbia perso di vista l’obiettivo originario

to encourage creativity, science, and democracy. Instead, the law now protects the producers and taxes consumers. It rewards works already created and limits works yet to be created. The law has lost its mission and

                                                            

53 J. E. COHEN. “The Place of User in Copyright Law”, Fordham Law Review, 74, 2005, p. 365; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=814664. 54 L. LESSIG. “The Law of the Horse: What Cyberlaw Might Teach”, Harvard Law Review, 113, 1999, (pp. 501-546), p. 528, http://cyber.law.harvard.edu/publications. 55 Dusollier, Poullet e Buydens hanno evidenziato come la nuova proprietà intellettuale sia passata dalla protezione della creatività e dell’innovazione alla difesa degli investimenti: S. DUSOLLIER, Y. POULLET, M. BUYDENS. “Droit d’auteur et accès à l’information dans l’environnement numérique”, Troisième Congrès international de l’UNESCO sur les défïts éthiques, juridiques et de société du cyberespace INFOéthique 2000, Paris, 17 juillet 2000, p. 6 ; http://unesdoc.unesco.org/images/0012/001214/121406f.  

Page 78: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

67 

 

the American people have lost control of it56.

Sul piano internazionale, la visione della cyberlaw della svolta tecnologica

trova accoglienza al congresso dell’Unesco del 2000, dedicato ai problemi etici,

giuridici e sociali del cyberspazio, nel cui contesto si pone l’accento

sull’affermazione di un nuovo regime di gestione dei diritti «protegé[s] par la loi

et par la technique et [où] la technique elle-même est protegée comme telle par

la loi»57. Si sottolinea, così, come il nuovo sistema di tutele tecno-giuridiche

intervenga in modo coercitivo sul rapporto degli utenti con l’informazione, dal

momento che l’effrazione stessa dei lucchetti digitali viene inclusa tra i

comportamenti illeciti. In Francia e in Italia, Michel Vivant e Roberto Caso

osservano come, in virtù di tale funzionamento, i sistemi di DRM rappresentino

un potente strumento di normalizzazione delle relazioni con l’informazione58 con

il quale i titolari dei diritti di proprietà «traducono direttamente in realtà» le

specifiche contrattuali contenute nelle licenze d’uso, così che i comportamenti

degli utenti, dalla copia alla visualizzazione, fino alla sanzione e alla revoca dei

permessi, coincidano perfettamente con le clausole del contratto d’acquisto59.

22..22..33 LLaa ccrriissii ddii lleeggiittttiimmiittàà ddeell ccooppyyrriigghhtt

Lo spirito polemico che anima i cybergiuristi si riflette nelle dichiarazioni di

Pamela Samuelson che, insistendo sulla dubbia legittimità delle protezioni

digitali, fa notare come queste tecnologie non riguardino tanto la gestione di

“diritti” propriamente intesi - termine che nel gergo giuridico allude alle

prerogative dei titolari – quanto l’autorizzazione selettiva verso certi tipi di uso

che punta a comprimere le facoltà degli utenti, così che l’acronimo DRM

dovrebbe essere letto più correttamente come Digital Restriction Management60.

Secondo questa concezione, il DRM è, infatti, uno strumento di contrasto delle

                                                            

56 S. VAIDHYANATHAN. Copyrights and Copywrongs: The Rise of Intellectual Property and How it Threatens Creativity, New York, London: New York University Press, 2001, p. 4. 57 S. DUSOLLIER, Y. POULLET, M. BUYDENS. “Droit d’auteur et accès à l’information dans l’environnement numérique”, cit., p. 41. 58 M. VIVANT. “Les droits d'auteur et droits voisins dans la société de l'information”, Actes de colloque organisé par la Commission française pour l'Unesco, 28-29 novembre 2003, Bibliothèque Nationale de France, Paris, p.165. 59 R. CASO, Digital Rights Management. Il commercio delle informazioni digitali tra contratto e diritto d’autore, cit., p. 77.  60 P. SAMUELSON. “DRM {and, or, vs} the Law”, Communications of the ACM, April 2003, 46, 4, (pp. 41-45); http://www.ischool.berkeley.edu/~pam/papers/acm_v46_p41.pdf, p. 42. 

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1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale 

 

 

68

forme di elusione del copyright che colloca il controllo sul labile confine del

«play but not copy, transport but not distribute»61, accomunando nell’illegalità

una varietà di comportamenti digitali che va dall’uso personale dei contenuti (fair

use), all’impiego in contesti di studio e ricerca (exceptions), fino alla

condivisione dei file in rete (file sharing).

Proprio l’eterogeneità di tali comportamenti, legati al nuovo rapporto tra

creazione e usi sociali dell’informazione e tra produzione e consumo di

contenuti, permette di osservare come il fine del contenimento delle infrazioni al

copyright, abbia ricadute molto più profonde del disciplinamento di una sfera di

illegalità cibernetica. Se si osserva in quali contesti si produca il deficit di

efficienza delle garanzie patrimoniali che il DRM contesta alla tutela

tradizionale, lo si rintraccia infatti, non solo nel duplicato dei supporti (CD) o

nella copia distribuita (P2P) ma in un insieme di pratiche d’uso spesso lecite o

protette dal diritto consuetudinario. In questo modo, sembra riproporsi sul piano

tecnologico la tendenza del copyright ad estendere l’appropriazione su aree di

dominio pubblico che Boyle aveva paragonato alle enclosures britanniche a

danno dei pascoli comuni62. Ciò che le protezioni tecnologiche recintano è,

infatti la possibilità di qualunque utilizzazione eccedente la fattispecie

dell’accesso pagante ai contenuti63.

Secondo il giurista inglese Christopher May, questa estensione di fatto del

copyright che assorbe, insieme al fair use, la zona grigia delle utilizzazioni dei

beni digitali, configura un paradossale indebolimento della legge e un nuovo

elemento di crisi per la tenuta del suo piano discorsivo:

The collapse of the norms of social value, both at the global level, and at the national level where owners’ rights have been privileged through the legal protection of DRM technologies, has also led to the widening collapse of social acceptance of the normative value of the central justification

                                                            

61 T. GILLESPIE. “Designed to ‘effectively frustrate’: copyright, technology and the agency of users”, cit., p. 651. 62 J. BOYLE. “The second enclosures movement and the construction of the public domain”, Law and Contemporary Problems, 33, winter/spring 2003, (pp. 33-74), http://law.duke.edu/journals/lcp/articles/lcp66dWinterSpring.htm. 63 Secondo Pamela Samuelson il più importante caso di soppressione del fair use del XXI secolo è il progetto di “libreria universale” a cui sta lavorando Google, con il quale l’azienda si propone di fornire accesso a pagamento a libri introvabili, fuori catalogo e non più protetti da copyright. P. SAMUELSON. “Legally Speaking: The Dead Souls of the Google Booksearch Settlement”, O’Really Radar, April 17, 2009; http://radar.oreilly.com/2009/04/legally-speaking-the-dead-soul.html.

Page 80: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

69 

 

narratives which have supported IPRs for some centuries64.

Al declino delle narrazioni sulle quali si erano fondati il copyright e il diritto

d’autore, viene infatti a sommarsi la rimozione di un certo grado di elusione del

copyright, a favore di «a set of private interest that are not regarded as

legitimate»65. Il senso della riflessione di May si comprende guardando alla

comparsa di alcuni elementi di rottura che, nel contesto del copyright

anglosassone, si innestano soprattutto sulla scarsa capacità dell’attuale

dispositivo normativo di legarsi ai principi della protezione della cultura e della

promozione dei fini pubblici66. L’enunciazione di tali fini si scontra, infatti, con la

forza dei monopoli industriali e con il restringimento delle prerogative degli utenti

nell’uso delle merci informazionali che evidenzia la contraddizione tra le

promesse della digitalizzazione e l’approfondimento delle barriere d’accesso al

sapere. Scrive, infatti, il Free Expression Policy Projet:

We seem to be moving toward a "pay per view" society where the information, inspiration, and ideas contained in creative works of all kinds are becoming increasingly expensive and difficult to obtain — just at the time, ironically, that the Internet offers the promise of unprecedented global linkage and communication67.

A sua volta, il principio della tutela dell’autore su cui si fonda la tradizione

francese e continentale del «diritto d’autore» è sfidato sia dal declino delle

categorie estetiche e giuridiche della creatività intellettuale, che dalla condizione

del lavoro intellettuale nel contesto industriale68, particolarmente sfavorevole

                                                            

64 C. MAY. “Digital rights management and the breakdown of social norms”, cit., p. 23. Burk e Gillespie hanno invece sostenuto che l’enforcing tecnologico dei diritti, toglie a quello legale la legittimità prodotta dalla scelta dei cittadini di aderire al dispositivo morale contenuto nella legge: «[…] every time this citizen chooses to obey the law, they offer that system a tiny bit of legitimacy, both in their own mind and on a societal level […] A preemptive restraint, such as DRM, evacuates this sense of agency». D. L. BURK, T. GILLESPIE. “Autonomy and Morality in DRM and Anti-Circumvention Law”, tripleC, 4, 2, (pp. 239-245), 2006, p. 242, http://tripleC.uti.at. 65 C. MAY. “Digital rights management and the breakdown of social norms”, cit., p. 23. 66 Circa le origini storiche di questa visione della proprietà intellettuale, Christopher May ha ripreso l’idea braudeliana secondo la quale «although as yet not a fully fledged public interest in innovation, a preliminary version of the central balance between public benefits of dissemination (as well as wide use) and the private rewards ‘required’ to encourage intellectual activity is evident (Braudel 1981, ed. ingl., pp. 433-434)». Secondo May, dunque, la prima espressione della limitazione dei diritti privati a fini pubblici va rintracciata nel Venetian Moment e non invece, come generalmente si sostiene, nel più tardo Statute of Anne (1710), la legge britannica di due secoli più tarda, nella quale tale concezione ha ricevuto una formulazione esplicita. C. MAY, S. SELL, Intellectual Property Rights. A Critical History, cit., p. 61.  67 FEPP. “The Progress of Science and Useful Arts. Why Copyright Today Threatens Intellectual Freedom. A Public Policy Report”, http://www.fepproject.org. 68 Sulla condizione contemporanea dell’autore e l’utilizzo strumentale di questa figura nel discorso pubblico sulla proprietà intellettuale si veda Florent LATRIVE. Du bon usage de la piratérie. Culture

Page 81: TESI COMPLETA

1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale 

 

 

70

all’autore nella dottrina americana del work-for-hire, in base alla quale la

paternità dell’opera è direttamente attribuita all’impresa che ha fornito i mezzi di

sostentamento al suo lavoro. Si evidenzia così come, nonostante l’integrazione

internazionale della proprietà intellettuale, la diversità dei fondamenti giuridici

delle tradizioni francese e anglosassone giustifichi ancora la speculare

debolezza dei diritti dell’autore nel sistema americano - focalizzato sulla difesa

dei fini pubblici - e della pubblica utilità nelle legislazioni fondate sul droit

d’auteur, sprovviste di garanzie costituzionali sulla limitazione dei monopoli. Il

recente confronto tra le due fondazioni giuridiche non sembra, però aver

sostenuto ipotesi innovative, visto che i giuristi americani che hanno difeso la

legittimità del copyright esteso e tecnologico, hanno cercato fuori

dell’ordinamento statunitense, nel retroterra europeo dell’individualismo

possessivo e nelle remote radici lockeane condivise dal copyright e dal diritto

d’autore, le ragioni della difficile difesa d’ufficio della loro legge69.

Va comunque, osservato, che la crisi di fondamento delle narrative della

proprietà intellettuale a cui May ha fatto riferimento, non sembra rappresentare

un elemento di fragilità della governance del copyright. La tendenza a spostare

la regolazione di internet dalla giurisdizione all’amministrazione, persegue infatti

l’efficacia in stato d’eccezione, al di là delle garanzie generali dell’ordinamento

democratico. Nella governance di internet, questo slittamento, connaturato alle

misure tecnocratiche, si appoggia alla dichiarazione di uno stato di conflitto che

indebolisce i diritti degli utenti, facendo leva sulle strutture retoriche della

sicurezza cibernetica. L’emergenza dichiarata in relazione al dilagare degli usi

illegali, sembra così richiamare l’antica previsione del diritto romano, nel quale

la dichiarazione dello stato di guerra (iustitium) annunciava la sospensione delle

garanzie giuridiche70. Ciò spiegherebbe la ragione per cui nel discorso del

                                                                                                                                                                 

libre, sciences ouvertes, Paris, Exil Editeur, 2004, (pp. 170), p. 98]. Sulla revisione dei concetti di originalità e titolarità dell’opera che fanno parlare d’«un droit d’auteur … qui échappe à l’auteur», si veda M. VIVANT. Les Créations immatérielles et le droit, Paris : Ellipses, 1997, p. 52 . Di crisi delle categorie giuridiche ed estetiche del droit d’auteur ha, invece, parlato Roger Chartier nel suo lavoro dedicato all’evoluzione del libro e in un’intervista a Le Monde. R. CHARTIER, Le livre en révolutions : entretiens avec Jean Lebrun, Paris, Textuel, 1997, e "Le droit d’auteur est-il une parenthèse dans l’histoire?" Le Monde, 18 décembre 2005.  69 D. MCGOWAN. “Copyright Nonconsequentialism”, Missouri Law Review, 69, 1, 2004; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=540243. 70 Il iustitium romano è, secondo Agamben la forma paradigmatica dello stato d’eccezione. «Il termine iustitium - costruito esattamente come solstitium – significa letteralmente ‘arresto, sospensione del diritto’: quando ius stat – spiegano etimologicamente i grammatici – sicut solstitium dicitur […]». G. AGAMBEN. Stato d’eccezione, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, p. 13.

Page 82: TESI COMPLETA

I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

71 

 

copyright l’elusione della legge è l’argomento con cui si giustifica la flessione del

diritto e la soppressione degli usi legittimi71.

Ci dedicheremo all’approfondimento di questi aspetti nella seconda parte,

per il momento facciamo osservare come proprio perché il fair use è

considerato uno degli elementi del bilanciamento costituzionale degli interessi, il

suo superamento tecnologico ha reso visibili ai commentatori americani altri

importanti risvolti delle politiche dell’emergenza applicate al cyberspazio72. Ciò

motiva infatti la focalizzazione su questo tema non solo del dibattito giuridico

degli anni ‘90, ma anche di quello tecnologico, nel cui contesto si è cercato di

fornire risposta alla polemica aperta dai professori di legge. Il gruppo di lavoro

che sviluppa gli standard tecnologici del DRM ha, infatti, replicato alle obiezioni

dei cybergiuristi che la problematica potrà essere affrontata attraverso la ricerca

di una maggiore espressività dei linguaggi che definiscono i diritti (Rights

Expression Language, REL)73.

Con questo auspicio, il Learning Technology Standards Committee – un

comitato tecnico operante all’interno dell’associazione americana degli

ingegneri (IEEE) – affida, dunque, al progresso tecnologico, il compito di recare

soluzione alle difficoltà determinate dallo spostamento sul piano tecnico di

problematiche di natura legale. Sembra, però, evidente che anche nel caso che

l’attuale intrattabilità delle eccezioni trovi risposta in una specificazione

informatica più accurata dei diritti, le questioni di fondo dell’accesso e dell’uso

dell’informazione restano fuori del campo di intervento tecnico. Non solo, infatti,

la descrizione informatica dei diritti tende a sopperire all’arretramento della loro

definizione giuridica, approfondendo la disparità di potere contrattuale tra

produttori e utenti ma, soprattutto, una visione riduzionista di tali questioni non

sembra strutturalmente in grado di offrire soluzioni all’impatto sociale del DRM,

poiché queste misure modificano l’ambiente digitale introducendovi esternalità

negative apprezzabili solo a partire dalla visione complessiva delle dinamiche

su cui incidono.

A questo argomento è legata l’analisi degli studiosi americani di Internet                                                             

71 Questo aspetto caratterizza, infatti, la legittimazione zittrainiana delle misure tecnologiche discussa nel paragrafo 3.2. 72 Si veda, alla pagina seguente, la riflessione degli studiosi di Internet governance Solum e Chung. 73 IEEE - Learning Technology Standards Committee Digital Rights Expression Language Study Group. “Towards a Digital Rights Expression Language Standard for Learning Technology”, http://xml.coverpages.org/DREL-standardDraft.doc. 

Page 83: TESI COMPLETA

1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale 

 

 

72

governance Lawrence Solum e Minn Chung i quali, ponendosi da punto di vista

della public choice hanno, infatti, evidenziato come le politiche che si affidano a

misure tecnocratiche (incrementalism), offrano forse ai decisori le migliori

opportunità di valutazione di costi e benefici di ogni scelta, ma neghino loro il

controllo del quadro d’insieme:

In the context of Internet regulation, however, incrementalism is a poor institutional strategy for three reasons: 1. Incrementalism leads to a scope of decision problem—the tyranny of small decisions; 2. Incrementalism is ill suited to decisions in informational environments characterized by ignorance, that is in situations in which there is uncertainty that cannot be reduced to risk; 3. Incrementalism requires that low-level decision makers, legislators, judges, and administrators possess certain institutional capacities that they almost always lack74.

Portando alla luce le deficienze dell’approccio tecnocratico, i due studiosi

sottolineano così la necessità che la regolazione dello spazio digitale adotti

strategie adeguate alla sua complessità, abbandonando le politiche dettate

dall’urgenza e ispirate alla semplificazione tecnologica, effetto nefasto di

un’ignoranza delle condizioni che tende a leggere l’incertezza come rischio.

Con questo studio, Solum e Chung integrano le riflessioni della cyberlaw

applicando un modello di analisi scarsamente utilizzato in questo ambito75.

Negli anni in cui la produzione scientifica di questa scuola di legge è stata

dominata dal pensiero di Lessig76, la critica alla svolta tecnologica ha infatti

tradizionalmente preferito un approccio fondato sull’analisi costituzionale e sui

rilievi di illegittimità a provvedimenti difficilmente giustificabili col principio della

pubblica utilità. Lessig vede, infatti, l’introduzione dei sistemi di DRM come una

misura che va oltre il perseguimento dei fini dichiarati, in quanto implica una

significativa redistribuzione dei poteri dagli utenti ai detentori di diritti. Nella sua

prospettiva, l’iniquità della previsione è attestata dalle sue conseguenze, le

quali implicano il rimodellamento della fisionomia complessiva dei processi di

produzione e fruizione della cultura, trasformando una cultura dell’accesso,

quale era stata quella americana, in una cultura del permesso:

                                                            

74 L. SOLUM, M. CHUNG. "The Layers Principle: Internet Architecture and the Law", cit., p. 34. 75 Tra le poche eccezioni si veda il saggio di J. E. COHEN. “Lochner in cyberspace: the new economic orthodoxy of ‘rights management’”, cit.. 76 Come si vedrà nel terzo capitolo, molti elementi attestano il declino del pensiero lessighiano nell’attuale panorama cyberlaw.

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I. Eccezione digitale e cyberlaw  

 

73 

 

[…] what is important about fair use is not so much the value of fair use, or its relation to matters of public import. What is important is the right to use without permission. This is an autonomy conception. The right guaranteed is a right to use these resources without the approval of someone else77. The opposite of a free culture is a “permission culture”—a culture in which creators get to create only with the permission of the powerful, or of creators from the past78.

Le osservazioni di Tarleton Gillespie, docente del Dipartimento di

Comunicazione della Cornell University e collega di Lessig al Center for Internet

& Society di Stanford, aggiungono alla critica del giurista una sfumatura persino

più pessimistica. Lo studioso osserva, infatti, come filtri e sistemi di controllo

modifichino essenzialmente la postura dell’utente di fronte alla tecnologia,

trasformando la sua propensione ad interagire con gli strumenti tecnologici in

un consumo docile e passivo dei contenuti digitali:

Not only is the technology being designed to limit use, but to frustrate the agency of its users. It represents an effort to keep users outside of the technology, to urge them to be docile consumers who ‘use as directed’ rather than adopting a more active, inquisitive posture towards their tools. In other words, welding a car hood shut makes a difference not only for what users can and cannot do, but for the way in which they understand themselves as ‘users’ – whether having agency with that technology is even possible, even conceivable79.

Gli spunti polemici che nel lavoro lessighiano si appuntano sugli effetti

collaterali di un perseguimento eccessivo dell’interesse privato, si traducono

così nella denuncia di una politica che riduce le possibilità di interazione con la

tecnologia, come possibilità di indirizzamento dei consumi verso forme

tradizionali di fruizione dei media. Un’interpretazione che si ritrova nella critica

di Vaidhyanathan il quale, nel contesto del dibattito sulla Brodcast Flag, ha visto

nel provvedimento istitutivo l’avvento di un controllo remoto delle pratiche

culturali legate alla sfera digitale80, e in quella di Benkler, il quale ha evidenziato

che l’esito dello scontro per la ridefinizione delle regole del cyberspazio

preciserà le modalità future con le quali gli utenti produrranno e consumeranno

dati e informazioni, stimolandone l’attitudine ad interagire con i media o a

                                                            

77 L. LESSIG. “The Law of the Horse: What Cyberlaw Might Teach”, cit., p. 527. 78 L. LESSIG. Free Culture, op. cit., p. XIV. 79 T. GILLESPIE. “Designed to ‘effectively frustrate’: copyright, technology and the agency of users”, cit., p. 653. 80 S. VAIDHYANATHAN. “Remote Control: The Rise of Electronic Cultural Policy”, cit..

Page 85: TESI COMPLETA

1. Cyberlaw, la fondazione della critica digitale 

 

 

74

ricevere passivamente le proposte dei produttori di contenuti81.

Questo dibattito evidenzia, quindi, la capacità della fase classica della

cyberlaw di pensare in profondità l’evoluzione della proprietà intellettuale nella

società dell’informazione e di fornire alla critica dell’Internet governance i suoi

argomenti decisivi, mostrando come il copyright sia al tempo stesso il principale

terreno di scontro per la normalizzazione del cyberspazio e un tentativo di

governo dell’eccezione che non resta senza conseguenze sulla network society,

coinvolgendo oltre alle culture digitali, le modalità di produzione, accesso e

distribuzione della conoscenza del XXI secolo. Il diritto lessighiano giunge a

questi risultati grazie all’assimilazione della visione costruttivista della tecnica

che lo mette in grado di denunciare le implicazioni politiche di un uso delle

tecnologie che il dibattito tecnico degli anni ’90 dichiara invece neutrale e

improntato ai soli criteri di efficienza. Nella sezione seguente affrontiamo quindi

l’opposta evoluzione di questi due dibattiti che tornano a convergere solo di

recente nel lavoro teorico di Jonathan Zittrain, concludendo la stagione critica

della cyberlaw lessighiana.

                                                            

81 Y. BENKLER. The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, op. cit., p. 385.

Page 86: TESI COMPLETA

II. Il governo dell’eccezione 

 

 

75 

Page 87: TESI COMPLETA

3. Diritto performativo e ingegneria della rete  

 

76

II.

IL GOVERNO DELL’ECCEZIONE

------------------------------------ Questa sezione ripercorre le tappe della formazione delle politiche di

controllo tecnologico, con particolare riferimento all’evoluzione del dibattito

ingegneristico e alle trasformazioni della cyberlaw, la quale tende a sostituire

alla prima fase critica un orientamento tecnocratico che abbandona lo sguardo

costituzionale per un approccio performativo alla regolazione del file sharing. Le

conseguenze politico-giuridiche del governo dell’«eccezione», consistente

nell’adozione di misure in grado di fare di internet un ambiente sicuro per le

transazioni commerciali, sono esaminate attraverso la critica dei giuristi liberali

alla legge informatica e alle sue ricadute sull’organizzazione della vita sociale

nelle società tecnologicamente avanzate.

Page 88: TESI COMPLETA

II. Il governo dell’eccezione 

 

 

77 

Page 89: TESI COMPLETA

3. Diritto performativo e ingegneria della rete  

 

78

3.

DDiirriittttoo ppeerrffoorrmmaattiivvoo ee iinnggeeggnneerriiaa ddeellllaa rreettee 

Page 90: TESI COMPLETA

 

 

79 

Le prime sperimentazioni della governance tecnologica prendono forma

con le misure varate in Pennsylvania per contrastare l’accesso minorile alla

pormografia e con alcune decisioni delle corti di giustizia in materia di

diffamazione commerciale il cui ricorso al controllo informatico si trasferisce

rapidamente sul terreno della difesa del copyright.

Mentre le politiche moralizzatrici di alcuni stati americani inaugurano le

pratiche di tracciamento e sorveglianza del traffico digitale e le condanne per

diffamazione irrobustiscono la difesa del marchio comprimendo la libertà di

parola, la ricerca informatica si differenzia nei due settori del trusted system e

dell’internet enhancement dando vita ad una nuova concezione del controllo

nella quale la difesa del copyright si fonde con i restanti problemi della sicurezza

informatica e si progettano le modifiche ai protocolli di comunicazione volte a

rimodellare lo spazio telematico in funzione delle esigenze di sviluppo

commerciale.

L’efficacia performativa delle soluzioni tecnologiche ai conflitti di internet

non resta senza influenza nell’evoluzione della cyberlaw, al cui interno si forma

una nuova generazione di studiosi che, distaccandosi dalla prospettiva

costituzionalista, legittima l’introduzione delle misure di controllo, innestando nel

corpus critico della tradizione lessighiana le istanze di sicurezza provenienti dai

dibatti ingegneristici, incaricandosi di moderarle quando incompatibili con la

salvaguardia dell’innovazione. Con l’avvicinamento dei professori di diritto alla

cultura tecnocratica contro la quale era sorta la dottrina di Lessig e Boyle, il

discorso digitale sembra così di fronte ad una nuova svolta, nella quale si

afferma una visione inedita di internet, della sua sicurezza e dei suoi pubblici, in

grado di dialogare con il peculiare approccio informatico alla soluzione delle

tensioni sociali in rete.

L’osservazione delle trasformazioni che il conflitto sulla distribuzione delle

copie immette nella governance di internet si svela così sempre più cruciale per

la comprensione dell’evoluzione delle società innervate tecnologicamente.

Page 91: TESI COMPLETA

3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

80

33..11 LL’’eevvoolluuzziioonnee ddeellllee ppoolliittiicchhee ddii ccoonnttrroolllloo

33..11..11 LLaa ffoorrmmaazziioonnee ddeell cclliimmaa ppoolliittiiccoo aammeerriiccaannoo ee llaa ggeenneessii ddeellllee mmiissuurree tteeccnnoollooggiicchhee

Come si è visto nel capitolo precedente, negli anni immediatamente

precedenti l’apertura commerciale di internet era già iniziato il dibattito sulle

forme di protezione della proprietà intellettuale in un ambiente che rendeva

possibile la circolazione incontrollata delle copie. La discussione verteva in

particolare intorno al cosiddetto dilemma digitale, con il quale la teoria

economica esprimeva la difficoltà di valorizzazione dell’informazione in

presenza di costi minimi di duplicazione e di un ambiente telematico capace di

rendere virtualmente illimitata la distribuzione delle copie:

For publishers and authors, the question is: How many copies of the work will be sold (or licensed) if networks make possible planet-wide access to any electronic copy of a work? Their nightmare is that the number is one1.

Gli economisti descrivevano questa disfunzione come il problema del bene

quasi-pubblico, un modello teorico in cui l’efficienza distributiva generata dalla

virtuale assenza di costo della copia, entra in conflitto con l’incentivo alla

produzione della prima unità del bene2. In questa condizione, senza la

possibilità di generare scarsità ed esclusione dal consumo, il ciclo economico

entra in un’incapacità di produrre valore nota come fallimento del mercato3. Il

passaggio al digitale sembrava, dunque, inaugurare una stagione di crisi della

proprietà intellettuale, la cui sola possibilità di sopravvivenza era affidata alla

capacità della norma di riprodurre artificialmente le condizioni della distribuzione

commerciale, emulando il contesto di scarsità della realtà materiale4.

La questione del copyright aveva perciò una posizione di primo piano tra le

resistenze sollevate da internet, la cui rivoluzione del controllo prometteva di

                                                            

1 P. SAMUELSON, R. M. DAVID. “The Digital Dilemma: A Perspective on Intellectual Property in the Information Age“, cit., p. 4. 2 J. BOYLE. Shamans, Software and Spleens: Law and The Construction of the Information Society, Cambridge: Harvard University Press, 1996, p. 31. 3 Y. BENKLER. “Intellectual Property and the Organization of Information Production”, cit., p. 83. 4 «The most important role that IPRs play generally, and specifically of importance in an ‘information society’, is the formal construction of scarcity (related to knowledge and information use) where none necessarily exists». C. MAY. “Between Commodification and ‘Openness’. The Information Society and the Ownership of Knowledge”, Electronic Law Journal, Issue 2 & 3, 2005, p. 3; http://www.geocities.com/salferrat/chaucsher.htm. Si veda anche “Openness, the knowledge commons and the critique of intellectual property”, 12, December 2006; http://www.re-public.gr/en/wp-print.php?p=88.

Page 92: TESI COMPLETA

II. Il governo dell’eccezione 

 

 

81 

spostare drasticamente sul lato dell’utente le facoltà di costruzione, selezione e

uso dei contenuti informativi. La sovrapposizione del valore d’uso dei beni

digitali al loro valore di scambio era, infatti, una conseguenza dell’efficienza

distributiva della rete che rendeva accessibili i beni collocati presso qualsiasi

nodo, rendendo superflua l’autorizzazione dei titolari dei diritti5. L’obsolescenza

della proprietà intellettuale rappresentava quindi, a tutti gli effetti, un aspetto

della destabilizzazione provocata dalla generale disintermediazione dei processi

comunicativi legata ad internet6.

Secondo questa chiave di lettura, proposta da Benkler in Net Regulation:

Taking Stock and Looking Forward, lo zeitgeist regolativo degli anni ’90 può

essere compreso a partire dalla necessità di ristabilire il controllo sull’uso

dell’informazione, nel momento in cui le caratteristiche del nuovo medium

sembrano sovvertire i principi di base del consumo culturale, della

comunicazione pubblica e di quella interpersonale. In questo articolo del 1999,

Benkler si prefiggeva infatti di spiegare il disordine apparente dei provvedimenti

adottati in quegli anni dal legislatore americano, che spingeva l’analisi a

to identify a type of Internet regulation that cuts across many substantive legal areas. This type concerns instances in which the Internet has destabilized existing modes of controlling information7.

Piuttosto che dedurre dall’eterogeneità dell’azione regolativa un segnale di

difficoltà del governo del digitale, l’attenzione dello studioso cade sulla logica

che aveva selezionato le tipologie informazionali oggetto dei provvedimenti, per

concludere che la diffusione della pornografia, la diffamazione commerciale e il

controllo del copyright rappresentano i domini elettivi della sperimentazione di

«a new pattern of control over the information flows on the Net»8. L’apparente

caoticità dell’intervento regolativo, si spiegava perciò con l’applicazione di una

sorta di test generale, somministrato su larga scala per la selezione del miglior

                                                            

5 Y. MOULIER BOUTANG. "Enjeu économique des nouvelles technologies dans la division cognitive du travail", (Communication au Séminaire de Brescia, 9-10 février 1999), in Postfordismo e nuova composizione sociale, Rapporto CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, Brescia, 2000; http://www.tematice.fr/fichiers/t_article/40/article_doc_fr_Moulier_Boutang.pdf. 6 «Ten, even five, years ago, it was conventional to talk about the Internet as a tool for disintermediation […]. But, while we’ve seen a small but appreciable amount of direct distribution, there’s even more consumer-to-consumer distribution». J. LITMAN. “Sharing and stealing”, cit., pp. 6-7. 7 Y. BENKLER. “Net Regulation: Taking Stock and Looking Forward”, 1999, p. 50; http://ssrn.com/abstract=223248. 8 Ivi, p. 30.

Page 93: TESI COMPLETA

3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

82

farmaco contro la crisi di sistema provocata dalle reti.

Tra le questioni che internet sollevava, il problema della diffusione di

materiali pornografici e della loro accessibilità ai minori si presentava come un

tema sensibile, capace di portare il dibattito regolativo sul piano dell’emotività e

dell’enunciazione dei valori. L’oscenità divenne, perciò, l’argomento capace di

mutare in sospetto le incertezze di giudizio e catalizzare il moral panic in

relazione ai nuovi comportamenti digitali.

La costruzione di un clima di inquietudine intorno al nuovo medium trova

conferma nella concentrazione dell’allarme mediatico sulla pornografia digitale9

e nella convinzione di alcuni studiosi che fosse proprio la circolazione di questo

tipo di materiali, insieme all’infrazione al copyright, a trainare lo sviluppo di

internet10. Nel 1995, ad esempio, viene diffusa una rilevazione del Computer

Emergency Reponse Team (CERT) che stimava nel 50% l’incidenza dei

contenuti pornografici sul totale dell’informazione circolante11. Analogamente, in

ambito giuridico, l’evidente sopravvalutazione del fenomeno, non impedisce a

Zittrain di sostenere, in un testo del 2003, che la pornografia è uno dei motori di

crescita di internet, sia come fenomeno di consumo, che in relazione alla

circolazione fraudolenta di materiale osceno protetto da copyright. In Internet

Points of control, il giurista cita infatti in nota i dati corretti della presenza in rete

del porno (1,5%), ma commenta:

Pornography is said to be among the earliest and most popular uses to which new media are put. The mainstream development of the global Internet carries on that tradition, augmented by the unauthorized swapping of proprietary material. Empirical data is difficult to acquire, but if a packet were randomly plucked and parsed from the data flowing through the Internet’s backbones, chances are good that it would be a piece of something prurient, pilfered, or both12.

Poiché imbattersi casualmente nel porno rappresenta un’esperienza

comune, la constatazione che questo materiale rappresenta una percentuale

trascurabile del traffico dati, passa così in secondo piano. Il giurista harvardiano

lascia a interpreti meno sofisticati l’identificazione di internet con la diffusione di

                                                            

9 J. ROSEN. “The End of Obscenity”, The New Atlantis, summer 2004; http://www.thenewatlantis.com/archive/6/jrosenprint.htm. 10 J. ZITTRAIN. “Internet Points of Control”, Boston College Review, 43, 2003; http://papers.ssrn.com/abstract_id=388860. 11 S. LEMAN-LANGLOIS. "Le crime comme moyen de contrôle du cyberespace commercial”, Criminologie, 39, 1, 2006, p. 1; http://www.crime-reg.com/textes/cybercrime.pdf. 12 J. ZITTRAIN. “Internet Points of Control”, cit., p. 1.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

83 

comportamenti immorali, ma il suo giudizio corrobora il moral panic sull’oscenità

digitale e tende ad associare l’immagine della rete all’illegalità tout court. È in

questo clima di allarme che, alcuni anni prima, il congresso americano aveva

iniziato a fissare i parametri di controllo dei contenuti circolanti in internet,

portando l’iniziativa legislativa sul terreno dell’accesso minorile al porno. Come

commenta ironicamente Benkler, con il Communications Decency Act:

[…] we see heavy attention to protecting children from sexual assault, which for some reason is linked in the minds of legislators with computers, and therefore leads to enhanced penalties for child sexual abuse if a computer was used in perpetrating it13.

La legittimazione del nuovo pattern di controllo passava, infatti, per un

allarme sulle infrazioni al codice morale che individuava nella rete l’agente

principale della sua crisi. Jessica Litman ha osservato, al riguardo, come

l’argomento della difesa dei minori sia stato il principale strumento di

promozione dell’idea che internet dovesse essere controllata e, allo stesso

tempo, la tematica capace di occultare all’attenzione del pubblico le implicazioni

di politica generale del controllo dell’informazione:

While the public's attention on Internet-related issues was absorbed with smut control, and the media debated the pros and cons of censorship and hardcore porn, big business persuaded politicians of both political parties to transfer much of the basic architecture of the Internet into business's hands, the better to promote the transformation of as much of the Net as possible into a giant American shopping mall14.

Dello stesso avviso è anche Manuel Castells:

Nel tentativo di esercitare il controllo su internet il Congresso e il Dipartimento della Giustizia americani hanno utilizzato l’argomento che fa vibrare una corda in ognuno di noi: la protezione dei bambini dai pervertiti che vagano in Internet15.

Se ci si sposta dal piano della rappresentazione a quello dell’elaborazione

delle misure di controllo, si può osservare come, nei primi anni ’90, l’ingegneria

informatica inizi a differenziare due settori di ricerca, dedicati alla progettazione

dei sistemi affidabili (trusted system) e alla revisione dell’architettura di internet

(Internet enhancement). Su impulso dei consorzi commerciali e delle task force                                                             

13 Y. BENKLER. “Net Regulation: Taking Stock and Looking Forward”, cit., p. 12. 14 J. LITMAN. “Electronic Commerce and Free Speech”, 29 June 2000, p. 1; http://www-personal.umich.edu/~jdlitman/papers/freespeech.pdf. 15 M. CASTELLS. Internet Galaxy, 2001, trad. it. Galassia Internet, Milano: Feltrinelli, 2002, p. 162.  

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

84

federali, il programma operativo del trusted system si specializza così nella

ricerca di base del controllo informatico e nella definizione di metodi crittografici

per l’identificazione delle azioni da autorizzare o interdire nell’utilizzo dei

dispositivi elettronici. Nel contesto dell’Internet enhancement, gli ingegneri

informatici cominciano, invece, ad occuparsi delle modifiche al design e agli

standard di comunicazione, progettando le risposte, al livello dei sistema

telematico, sia alla domanda di sicurezza proveniente dagli attori commerciali e

regolativi, sia alla richiesta di condizioni idonee allo sviluppo di particolari servizi

(quality-of-service)16.

È in questi centri di ricerca che nasce una nuova concezione del controllo.

Nei laboratori della sicurezza tecnologica non si elaborano, infatti,

semplicemente gli strumenti informatici a supporto del sistema dato di norme e

garanzie, ma una nuova strategia regolativa che imprime modifiche sostanziali

all’insieme preesistente di regole. Nel momento in cui lo sguardo tecnologico si

applica alla soluzione delle problematiche giuridiche, queste tendono, infatti, a

cambiare statuto, perché dal punto di vista dei sistemi affidabili il controllo della

copia o quello dei virus non sono che aspetti del più generale problema della

sicurezza. Con le metodologie trusted, l’attivazione del controllo di sistema sulle

routine di base dei programmi informatici, abbatte i confini delle singole tutele,

fondendo il controllo del copyright con quello dei virus, delle intrusioni, e delle

restanti problematiche cibernetiche. I sistemi di gestione dei diritti consistono,

infatti, in tecnologie crittografiche che non attivano un controllo specifico sulla

duplicazione, ma la rendono impossibile attraverso una serie di operazioni che

identificano l’indirizzo IP degli utenti, certificano l’origine e l’autenticità dei

software, impediscono l’esecuzione dei programmi non riconosciuti, controllano

i flussi e l’immagazzinamento dei dati nella memoria dei sistemi informatici e

bloccano il funzionamento dei processi non autorizzati.

Il passaggio al digitale implica così la perdita di singolarità delle

problematiche giuridiche, di modo che l’introduzione dei DRM nella tutela del

copyright comporta non solo l’abolizione delle forme marginali di utilizzo dei beni

protetti, ma anche che questo tipo di illegalità venga inclusa in un corpus di

rischi cibernetici definito dalla strategia unitaria con cui lo si contrasta. Con la                                                             

16 Per quality-of-service si intende un insieme di accorgimenti tecnici pensati per supportare servizi avidi di banda, come il VOIP e lo streaming video. L’importanza di queste misure nella revisione del design è presentata nelle pagine seguenti.

Page 96: TESI COMPLETA

II. Il governo dell’eccezione 

 

 

85 

filosofia trusted, proprietà, transazioni e siti istituzionali sono visti come obiettivi

sensibili di un’unica modalità di aggressione, modellata sull’intrusione hacker e

sull’aggiramento tecnologico delle protezioni. In questo modo, l’affinità tra le

problematiche generiche della sicurezza telematica e il rischio della proprietà

intellettuale entra con evidenza intuitiva nei modelli formali di analisi della

letteratura tecnica:

Since digital rights management problems in many ways resemble traditional information security issues, we posit that the formal threat model analysis of systems security is particularly useful in testing the robustness of a given system against a range of attacks. The efficacy of the flag is thus tested with a threat model analysis in the context of several digital rights management goals. We find that, while the flag would not successfully keep content off the Internet, it might offer content providers several other concrete benefits in controlling their content, including blocking heretofore popular consumer behaviors and shifting the balance of content control towards the copyright holder17.

Ciò evidenzia come il trusted system sia un potente aggregatore dei fattori

di instabilità digitale che cominciano ad essere pensati a partire dai sistemi di

protezione pensati per combatterli. È Zittrain a far notare, implicitamente, questo

aspetto, scrivendo una storia della regolazione tecnologica che sottolinea la

fungibilità dei sistemi di controllo nelle varie fattispecie d’applicazione18. Internet

Points of control prende, infatti, avvio dai provvedimenti contro la pornografia,

per mostrare come gli strumenti elaborati in questo contesto possano essere

impiegati anche nella prioritaria lotta alla pirateria, ed evidenziare la superiorità

del controllo tecnologico rispetto alla tradizionale via normativa al contrasto

dell’illegalità. In virtù di questo approccio, lo studio si disinteressa della natura e

delle condizioni di sviluppo della nuova concezione del controllo – fulcro della

riflessione di Lessig e della cyberlaw, in generale - per adottare un approccio

performativo che fa propria la visione dei sistemi affidabili, verificandone

l’efficacia nei diversi contesti di sperimentazione.

Il giurista si concentra, perciò, sull’aggiornamento delle strategie regolative

della pornografia dopo l’insuccesso del Decency Communications Act (DCA), il

                                                            

17 A. FRIEDMAN, R. BALIGA, D. DASGUPTA, A. DREYER. “Underlying Motivations in the Broadcast Flag Debate”, Telecommunications Policy Research Conference, Washington DC, September 21, 2003, p. 1; http:// www.sccs.swarthmore.edu/users/02/allan/broadcast_flag_debate.pdf.  18 J. ZITTRAIN. “Internet Points of Control”, cit., p. 2; e ID. “A History Of Online Gatekeeping”, Harvard Journal of Law & Technology, 19, 2, Spring 2006, p. 254; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=905862.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

86

quale non solo si era rivelato debole sotto il profilo costituzionale ma,

soprattutto, si era limitato a criminalizzare l’accessibilità minorile ai contenuti

osceni, senza predisporre misure idonee per combatterla19. Poiché l’autore

tende a dare un respiro storico al suo lavoro di ricerca sulle filosofie di

regolazione, l’articolo propone un’accurata ricostruzione sia del fallimento del

primo tentativo di controllo digitale, giocato sul terreno della legge e della

moralizzazione della comunicazione da molti a molti, sia dell’elaborazione

dell’insuccesso del DCA nelle successive politiche regolative di internet.

Come indicato dal titolo, l’intervento pone l’accento sul primo episodio di

coinvolgimento degli Internet Service Provider nelle politiche di controllo, messo

in atto in Pennsylvania nel 2002 per disabilitare l’accesso ai siti porno degli

indirizzi IP localizzati nel paese20. Zittrain evidenzia, in proposito, come

l’iniziativa pennsylvana non possa dirsi del tutto immune dalle criticità

costituzionali del DCA, ma resti valida nell’approccio, poiché inaugura una

nuova forma di regolazione di internet in grado di minimizzare l’incidenza

dell’illegalità e proteggere la valorizzazione nelle reti digitali21. La sua efficacia

non sarà infatti più messa in discussione, così che è proprio a partire da questa

campagna antipornografia e dalle innovazioni giurisprudenziali introdotte in

alcuni casi di diffamazione commerciale, che viene riconosciuto il ruolo

strategico dei gatekeeping della rete nella costruzione delle politiche di

sicurezza.

Come spiega lo studioso, fino alla fine degli anni ’90, ai fornitori di

connettività era riconosciuta l’irresponsabilità nei confronti dell’informazione

circolante sulle reti, poiché si era estesa a queste figure di intermediari la

concezione regolativa del telefono, centrata sulla separazione delle

infrastrutture dai contenuti trasportati22. Questa banale analogia professionale si

era però rivelata inadatta a sostenere le crescenti esigenze di controllo di un

traffico anonimo e assai diverso da quello telefonico, spingendo legislatori e

                                                            

19 Si veda, in questo caso, la più ampia esposizione di “A History Of Online Gatekeeping”, cit., p. 261. 20 Sul ruolo censorio degli intermediari nelle politiche della nuova regolazione di internet, si veda S. F. KREIMER. “Censorship by Proxy: the First Amendment, Internet Intermediaries, and the Problem of the Weakest Link”, University of Pennsylvania Law Review, 155, 2006; http://lsr.nellco.org/upenn/wps/papers/133. 21 J. ZITTRAIN. “Internet Points of Control”, cit., p. 19. 22 T. GILLESPIE. “Engineering a Principle: ‘End-to-End’ in the Design of the Internet”, Social Studies of Science, 36, 3, 2006, p. 18; http://dspace.library.cornell.edu/bitstream/1813/3472/1/Gillespie-+Engineering+a+ Principle+(pre-print).pdf.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

87 

giudici a considerare l’ipotesi di assimilare gli ISP agli editori, attribuendo loro lo

stesso statuto di responsabilità vigente per la stampa. Applicata ad internet, la

separazione del controllo sui contenuti da quello sull’infrastruttura non poteva,

infatti, che rafforzare il mito della rete anarchica, impossibile da controllare

perche, diversamente dal telefono, non aveva interruttori e «nessuno poteva

spegnerla»23.

Il vecchio paradigma regolativo comincia a sgretolarsi con il Digital

Millennium Copyright Act (1998) il quale, benché non contraddica ancora il

principio end-to-end dell’assenza di controllo nello strato logico della rete,

incrina il fondamento normativo della governance di internet, legalizzando le

misure tecnologiche al livello dei beni digitali. In altri termini,

through […] Digital Millennium Copyright Act (DMCA), information regulation is leaving the realm of human judgment and entering a technocratic regime instead24.

Rivoluzionario sotto questo aspetto, il DMCA nasce obsoleto rispetto alla

dislocazione del controllo, a causa della sua focalizzazione sul primo corno del

dilemma digitale, incentrato sulla duplicazione dei supporti e sull’effrazione dei

lucchetti e non sulla circolazione dei file25. Le forti resistenze che avevano

accompagnato l’evoluzione della governance di internet non avevano, infatti,

permesso al legislatore americano di considerare la responsabilizzazione dei

provider e introdurre le prime forme di controllo nel middle, individuando negli

ISP gli interruttori che la rete avrebbe potuto avere.

Questo ritardo appare ancora più vistoso se si osserva come i processi per

diffamazione del ‘95 e ‘96 contro gli operatori commerciali CompuService e

Prodigy guardassero già in questa direzione. Con l’elaborazione di questi casi,

la giurisprudenza americana cominciava, infatti, a ipotizzare l’inclusione del

tracciamento e dei filtri nelle strategie di governo di internet, contribuendo a

definire una nuova politica di coinvolgimento (commerciale) e

responsabilizzazione (penale) dei fornitori di connettività. In Europa, questo

approccio è stato recepito dalla IPRED2 che ha costituito la base normativa

della correità degli operatori telefonici nei processi al P2P, di cui uno dei primi

                                                            

23 C. MCTAGGART. “A Layered Approach to Internet Legal Analysis”, McGill Law Journal, 48, 2003, p. 576; http://www.journal.law.mcgill.ca/abs/vol48/4mctag.pdf. 24 S. VAIDHYANATHAN. “Remote Control: The Rise of Electronic Cultural Policy”, cit., p. 128. 25 T. GILLESPIE. “Engineering a Principle: ‘End-to-End’ in the Design of the Internet”, cit., p. 18.  

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

88

episodi è stata l’incriminazione dell’host Scarlett Extended al quale, nel 2007,

una corte di giustizia belga ha intimato l’adozione di filtri del traffico come

misura dissuasiva della condivisione dei file.

Come osservato da Litman e dallo stesso Zittrain, gli strumenti ispirati dai

processi per diffamazione, poi testati nella repressione del porno, dovevano

diventare l’asse portante delle politiche del copyright26 e del suo progetto di

riforma di internet. Nel momento in cui la comparsa di Napster sembra

concretizzare le peggiori previsioni del dilemma digitale, teorie e metodi della

sicurezza informatica sono, infatti, pronti per essere impiegati in un diverso

contesto, in attesa di trattamento giuridico e di test di efficienza sulle nuove

criticità. Con il cambio di millennio si apre, così, una nuova fase della guerra del

copyright che, dopo la battaglia sul fair use, affronta i nodi del funzionamento

delle architetture e della neutralità.

La decompilazione dei sistemi anticopia (DeCSS) e la circolazione degli

Mp3 nelle reti di file sharing dimostravano, infatti, che l’inasprimento delle

misure normative e l’introduzione dei dispositivi tecnologici nelle merci digitali

non erano sufficienti a contenere la circolazione illegale dei materiali protetti,

visto che i sistemi di controllo della copia continuavano ad essere neutralizzati

dalle stesse tecnologie concepite per proteggerla27. Sembrava quindi acclarato

che finché regolatori e utenti avessero posseduto gli stessi strumenti, il ciclo di

vita di ogni sistema di controllo si sarebbe mantenuto assai breve. Si ipotizza,

così, che la causa principale dell’aggiramento del controllo consista nel

potenziale innovativo delle tecnologie digitali, ovvero nella stessa capacità degli

strumenti di produrre algoritmi di soluzione ai problemi informatici. Attestata su

una visione marcatamente tecnologica delle dinamiche conflittuali di internet,

frutto dell’egemonia culturale esercitata dalle élite informatiche nel contesto

regolativo americano, la governance del digitale produce, così, una serie di

misure tecno-normative mirate alla reingegnerizzazione dei dispositivi

informatici, allo scopo di limitare la capacità delle macchine di riprodurre,

duplicare e immagazzinare opere protette.

                                                            

26 J. LITMAN. “Electronic Commerce and Free Speech”, cit., p. 6. 27 Riferendosi alla diffusione del DeCSS, Ian CONDRY ha osservato che «the US recording industry spent years with the Secure Digital Music Initiative, hoping to find some way effectively to lock up digital music, but when the format was released, it took only weeks to identify fundamental weaknesses». I. CONDRY. “Cultures of Music Piracy: An Ethnographic Comparison of the US and Japan”, cit., p. 350. 

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

89 

33..11..22 IIll BBrrooaaddccaasstt FFllaagg ee ggllii aarrggoommeennttii ddeellllaa qquuaalliittyy--ooff sseerrvviiccee

Il primo passo in questa direzione è mosso, nel 2002, dalla Broadcast Flag

Provision28, la misura normativa che ha posto le condizioni per lo sviluppo

commerciale di uno standard di restrizione universale da applicare ai dispositivi

digitali. Con questa legge, varata tra accese contestazioni e bloccata due anni

dopo da un provvedimento giudiziario29, il legislatore americano si è prefisso di

contrastare la copia e la circolazione illegale dei contenuti televisivi a

pagamento, attraverso la limitazione delle funzioni di ogni strumento o

applicazione informatica che:

(A) reproduces copyrighted works in digital form; (B) converts copyrighted works in digital form into a form whereby the

images and sounds are visible or audible; or (C) retrieves or accesses copyrighted works in digital form and transfers or

makes available for transfer such works to hardware or software described in subparagraph B30.

Il provvedimento fissava i parametri della produzione di uno standard unico

di protezione, prevedendo, in caso di inadempienza dei produttori di tecnologia,

il subentro della Federal Communications Commission (FCC) nel lavoro di

specificazione informatica della misura. L’obiettivo della norma consisteva,

dunque, nel fornire il quadro dei bisogni a cui il futuro standard dovrà

rispondere, riassumibili nell’ibridazione per decreto delle funzionalità del

personal computer con quelle della televisione digitale e nell’interdizione di

qualunque software non riconosciuto sulla nuova piattaforma tecnologica.

La radicalità del provvedimento, unita alla novità rappresentata dal profilo

insolitamente direttivo del legislatore americano - che si sostituisce al mercato

nel guidare il progresso tecnologico - ha generato una strenua opposizione nel

mondo accademico. Tra i critici più intransigenti, Vaidhyanathan ha sostenuto

che la broadcast flag è il punto di arrivo di una electronic cultural policy dal

profilo marcatamente antidemocratico che

pushes the […] information ecosystem toward a condition of disequilibrium, igniting unpredictability where all yearn for stability and proprietary restrictions where many yearn for openness. Understandably, there is a

                                                            

28 Il titolo integrale della norma è Consumer Broadband and Digital Television Promotion Act (CBDTPA). 29 I particolari della controversia legale sono stati forniti a p. 39. 30 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 2024.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

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creative and political backlash31.

Zittrain ha, invece, evidenziato il potenziale distruttivo della misura,

evocando un futuro tecnologico senza innovazione32. Lo studioso segnala,

infatti, che la messa a regime dei nuovi tag di restrizione avvierà la

trasformazione del computer in una macchina semplificata, abilitata

all’esecuzione di poche procedure predefinite sul modello dei comuni

videoregistratori digitali già in commercio (TiVo, Replay TV). Efficace dal punto

di vista della sicurezza, la fine del computer come macchina non specializzata

esita così nell’annichilimento del suo potenziale innovativo33. È perciò

necessario trovare l’elemento di equilibrio tra la difesa dell’innovazione e

l’efficacia regolativa assicurata dalle tecnologie di controllo34.

La particolare durezza del confronto sulla legge, ha rallentato

considerevolmente il suo percorso attuativo, spingendo la World Intellectual

Property Organization (WIPO) ad intraprendere nuovamente la strada del

negoziato internazionale per aggirare le resistenze del pubblico americano35. In

questo modo, mentre la norma veniva bloccata negli Stati Uniti, un nuovo

accordo ha riavviato il processo decisionale della protezione dei contenuti

televisivi, proponendo ai paesi aderenti all’organizzazione mondiale del

commercio la creazione di una proprietà intellettuale sui generis che permetterà

ai broadcaster, piuttosto che ai titolari di copyright, di controllare lo sfruttamento

dei diritti36. Oltre a non prevedere eccezioni per copie ad uso domestico, il testo

del trattato non distingue tra i contenuti protetti e quelli in pubblico dominio, così                                                             

31 S. VAIDHYANATHAN. “Remote Control: The Rise of Electronic Cultural Policy”, cit., Ivi, p. 132. 32 Oltre a “The Generative Internet”, il provvedimento è discusso in The Future of the Internet and How to Stop It, (op. cit., pp. 108-110) e nelle interviste a Wired, January, 15, 2007; http://www.wired.com/wired/archive/15 .01/start.html?pg=15 e “How to Save the Internet (And Why It Needs Saving)”, Harvard Business Online, June 11, 2007; http://conversationstarter.hbsp.com/2007/06/can_the_internet_be_saved.html. 33 Si noterà che la riflessione su generatività e mancanza di specializzazione, riecheggia in qualche modo l’argomento della neotenia dell’antropologia filosofica di Arnold Gehlen. 34 Come si vedrà nel prossimo paragrafo, Zittrain osserva la focalizzazione dei regolatori sul fatto che «controls are structurally weak when implemented on generative PCs. So long as the user can run unrestricted software and can use an open network to obtain cracked copies of the lockeddown content, trusted systems provide thin protection», concludendo che, stante l’attuale orientamento della governance tecnologica, è impossibile salvare la generatività del personal computer e di internet, senza garantire la sicurezza nella rete. J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 2024. 35 La stessa modalità d’azione è stata infatti adottata in occasione del DMCA (approvato negli USA tre anni dopo il TRIPs agreement) e, nel momento in cui si scrive, nelle fasi preliminari della definizione dell’ACTA, il nuovo accordo internazionale sulla proprietà intellettuale. 36 WIPO. “Consolidated Text for a Treaty on the protection of Broadcasting Organization”, Eleventh Session, Geneva, June 7-9, 2004, http://www.wipo.int/documents/en/meetings/2004/sccr/pdf/sccr\11\3.pdf.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

91 

che, una volta recepito nelle legislazioni nazionali, anche i materiali liberi da

copyright saranno riappropriati e ricondotti ad un regime di fruizione vincolato37.

Commentando questo esito, Vaidhyanathan ha evidenziato come, dopo i

diritti musicali, anche nel caso dei contenuti televisivi lo spettro della pirateria

digitale sia agitato per introdurre forme di controllo dimostratesi inefficaci contro

il P2P, ma estremamente invasive dei consumi culturali più comuni:

These radical changes have been hard on the legitimate users of copyrighted materials and irrelevant for those who flaunt laws and technological controls. Librarians worry while pirates flourish38.

Benché non perda il suo carattere retorico, l’appello «about preventing the

“Napsterization of digital television”»39 solleva, comunque, un problema

concreto. Il senso di queste misure si comprende, infatti, alla luce

dell’evoluzione che ha interessato la televisione a partire dalla fine degli anni

’80, dopo la differenziazione della piattaforma analogico-terrestre nelle modalità

di trasmissione via cavo, digitale terrestre e satellitare, e l’aggiornamento dei

modelli di business, passati dalla gratuità generalista assistita dalla pubblicità al

consumo pagante. Nel nuovo contesto è quindi divenuto prioritario assicurare il

controllo delle trasformazioni tecnologiche e dei network di condivisione che

rendono gratuita la distribuzione di contenuti televisivi protetti40.

Il file sharing si esprime, infatti, in questo ambito con piattaforme come

Sopcast, un peer-to-peer Tv player il cui software, liberamente scaricabile in

versione beta, permette la visione sincrona di materiale trasmesso in pay-per-

view, o come Mogulus e Joost, esperimenti di sharing e social networking, a cui

si ispira anche la nascente Net TV, che permettono di costruire e condividere

palinsesti televisivi sia con mirror di contenuti premium che con materiali

autoprodotti41. Questi software non proprietari, sostengono pratiche che

riproducono sul piano televisivo lo stesso caos distributivo provocato dalla

condivisione degli Mp3 dei primi network di condivisione. Il rilancio gratuito dei

                                                            

37 S. VAIDHYANATHAN. “Remote Control: The Rise of Electronic Cultural Policy”, cit., p. 129. 38 Ivi, p. 128.  39 J. HEALEY.” FCC Chairman Sets New Deadline for Digital Technology Media”, The Los Angeles Times, 2002, April 5, p. 1. «Chris Cookson from Warner Brothers described digital television as a “great risk” because the technology may enable technologically savvy viewers to retransmit TV content on the internet», citato da M. CASTAÑEDA. “The Complicated Transition to Broadcast Digital Television in the United States”, Television & New Media, May 2007, p. 102; http://tvn.sagepub.com/cgi/content/abstract/8/2/91. 40 Http://www.sopcast.com; http://www.mogulus.com; http://www.joost.com. 41 T. TESSAROLO. Net tv. Come internet cambierà la televisione per sempre, Roma: Apogeo, 2007. 

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

92

contenuti video bypassa, infatti, regolarmente, tanto le misure di controllo,

decrittando i programmi televisivi trasmessi in pay-per-view, che i presupposti

nazionali della distribuzione a pagamento, rendendo accessibili su internet i

programmi trasmessi in chiaro in stati diversi da quelli che esigono il pagamento

dei diritti. Particolarmente interessato da quest’ultima fattispecie è il calcio.

Sopcast, ad esempio, permette ai suoi utenti di seguire in streeming le partite di

Champions League e del campionato italiano di serie A, trasmesse in chiaro in

Cina. Rispetto alla rivoluzione dell’Mp3, l’estensione della condivisione alla

televisione si preannuncia, così, ancora più problematica di quella che ha

interessato l’industria musicale nei primi anni 2000, visto che la tv non è solo

una delle merci principali dell’economia globale, ma anche il contesto di

valorizzazione delle altre merci e il loro principale bacino pubblicitario.

Oltre al problema dei diritti, la trasmissione di video live compete con il P2P

anche per questioni di banda - il solo bene (ancora) genuinamente scarso nello

spazio digitale. La distribuzione illegale di audiovisivi rappresenta, infatti, uno

dei principali fattori di congestione dell’infrastruttura fisica di rete. Allo stesso

tempo, il video streaming e il telefono su internet hanno bisogno di contare su

un’ampia capacità di trasmissione e su precisi tempi di ricostituzione del flusso

dati, pena la compromissione del segnale e l’abbassamento della qualità del

servizio. La visione di un video live ad alta definizione necessita, infatti, di una

capacità di trasmissione di almeno 30 fermo immagine (frames) per secondo.

Questo tipo di servizi si sviluppa, perciò sia attraverso l’implementazione di

algoritmi di compressione del segnale42, che attraverso la ricerca di soluzioni

dinamiche (active network) in grado di facilitare l’accesso alla banda dei servizi

più esigenti in termini di spazio.

Per questa ragione, il campo di ricerca dell’active network o quality-of-

service (Internet enhancement) rappresenta il terreno di incontro delle politiche

di sviluppo dei nuovi servizi commerciali e delle azioni di contrasto al P2P. Ciò

in quanto la capacità della rete di riconoscere e identificare il traffico dati, è il

fattore indispensabile sia dell’accelerazione dello streaming, sia

dell’intercettazione del flusso informativo generato dal file sharing. La misura

proposta dagli ingegneri come soluzione ai due problemi, è l’immissione di

software intelligenti nel middle di internet, capaci di discriminare tra tipi di

                                                            

42 Ivi, p. 90. 

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

93 

informazione circolanti in rete e di assegnare alle informazioni video o, in

generale, dotate di valore economico, la priorità di traffico sulle altre. Si

progetta, in altri termini, il superamento dell’indifferenza delle rete rispetto

all’informazione trasportata, ovvero l’abolizione della sua neutralità.

Attualmente, infatti, il sistema di trasmissione dei dati opera in regime di

best effort; si attesta, cioè, su un livello performativo di media efficienza,

facendo «meglio che può» per consegnare i dati, riassemblando i pacchetti

entro un tempo medio di latenza che, in particolari condizioni di traffico, può

risultare eccessivo per assicurare la continuità dell’ascolto della voce o la

visione di video ad alta definizione43. In un contesto commerciale, il fatto che il

best effort non garantisca né i tempi, né l’avvenuta consegna, contrasta, inoltre,

con l’esigenza contrattuale di specificare le caratteristiche del servizio per

poterne fissare il prezzo.

Per comprendere l’importanza della reingegnerizzazione di questo

principio, bisogna tener conto delle modalità di smistamento dell’informazione

del protocollo di trasmissione (TCP). Il TCP instrada, infatti, i pacchetti verso il

nodo più vicino (host-to-host) che, in una rete distribuita, non è il nodo

geograficamente meno distante, ma quello raggiungibile nel minore tempo

possibile in funzione delle condizioni locali di traffico dei possibili percorsi.

Poiché questo protocollo opera secondo criteri logico-temporali, piuttosto che

spaziali, il suo modo di funzionare si traduce nella casualità della direzione che i

pacchetti prendono per giungere a destinazione, la quale è, appunto, il risultato

di un’analisi del traffico dei percorsi possibili. Dal punto di vista del controllo, ne

segue che è impossibile prevedere il percorso dei dati, in quanto questo

dipende dalle decisioni ad hoc prese ad ogni istante dai router secondo le

condizioni locali di ogni nodo44.

Ciò ha importanti conseguenze sulle possibilità d’affari delle compagnie

telefoniche, perché sottrae loro la capacità di controllo sulle risorse del sistema

distribuito. Il quality of service debate sostiene, così, che l’esistenza di servizi

per la banda larga richiede nuove abilità da parte della rete, per conoscere quali

dati stiano transitando e le loro specifiche necessità di consegna, così da                                                             

43 L. SOLUM. M. CHUNG. The Layers Principle: Internet Architecture and the Law", cit., p. 107: «Under best-effort, the network guarantees nothing—it will do "the best it can" to deliver the data packets within the shortest possible time under a given network condition at a given time». 44 C. ANDERSON. “Survey of The Internet: The accidental superhighway”, The Economist, July 1, 1995.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

94

evitare problemi di congestione e di corruzione del segnale. Non troppo

diversamente, l’argomento invocato dalle telecom è che i provider hanno

bisogno di conoscere le esigenze dei clienti e il loro profilo di utilizzo della rete,

per personalizzare un’offerta di servizio che la scarsità di banda rende sempre

meno generalista e sempre più bisognosa di progettazione, sviluppo e

previsione d’utilizzo45.

Il tema dell’analisi del traffico e del controllo nel middle diviene, quindi,

prioritario per i fornitori di connettività, poiché l’installazione di applicazioni in

grado di filtrare il flusso di dati permette loro di distinguere tra le tipologie di

informazione trasportate e di applicare la leva del prezzo alla profilazione del

consumo. Allo stesso tempo, questa possibilità colloca gli intermediari della rete

in posizione centrale nel sistema di governance, un ruolo a cui, in sede di

dibattimento processuale, alcuni provider hanno tentato di sottrarsi per non

dover agire direttamente contro i loro clienti, ma che, una volta esteso all’intera

offerta commerciale, perde le implicazioni concorrenziali ed enfatizza la loro

funzione.

In questo contesto, l’apparente neutralità della richiesta delle telecom di

mezzi di conoscenza dell’uso del network, si rivela un importante strumento di

influenza della sua evoluzione. Per questo, lo sviluppo dei nuovi servizi per la

banda larga sembra rappresentare il momento più critico per la chiusura degli

artefatti tecnologici in senso commerciale46, coincidente con il tentativo di

ristrutturare un’invenzione informatica la cui evoluzione accidentale si è rivelata,

al tempo stesso, leva cruciale di sviluppo del terziario avanzato e limite costante

al governo dei suoi stessi processi economici. Questa contraddizione fa

emergere una filosofia di sicurezza, un insieme di misure attuative e una politica

di sviluppo economico delle reti, nelle quali si esprime una strategia immanente,

frutto della convergenza di differenti esigenze di regolazione, tese a governare

l’intero spettro delle piattaforme tecnologiche di comunicazione e di produzione

di contenuti nello spazio digitale.

                                                            

45 D. REED. “The End of the End-to-End Argument”, march 2000, http://reed.com/papers/endofendtoend.html. 46 T. PINCH, W. BIJKER. “The Social Construction of Facts and Artifacts: Or, How the Sociology of Science and the Sociology of Technology Might Benefit Each Other”, in W. BIJKER, T. P. HUGHES, T. PINCH (eds), The Social Construction of Technological Systems, Cambridge: MIT Press, 1987, (pp.17-50). 

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

95 

33..22 JJoonnaatthhaann ZZiittttrraaiinn:: llaa lleeggiittttiimmaazziioonnee ddeellllaa ssvvoollttaa tteeccnnoollooggiiccaa

33..22..11 LL’’aappppeelllloo ppeerr ll’’iinntteerrnneett ggeenneerraattiivvaa

À la différence de l’herméneutique littéraire ou philosophique, la pratique théorique d’interprétation des textes juridiques [est] directement orientée

vers des buts pratiques et propre à déterminer des effets pratiques.

P. Bourdieu47

Tra gli articoli più letti e commentati del 2006, The Generative Internet di

Jonathan Zittrain, è un saggio influente che aspira ad introdurre nel dibattito

digitale una nuova visione dei problemi del cyberspazio e della sua governance.

Il nodo centrale dell’argomentazione del giurista risiede nel ruolo assunto

dall’insicurezza nell’ambiente digitale, che spinge un marketplace concepito

come la sintesi degli interessi di produttori, legislatori e consumatori, a chiedere

l’introduzione di misure di controllo i cui effetti sono destinati a ricadere sulla

capacità di internet e del personal computer di produrre innovazione e

sostenere la creatività in rete.

Secondo Zittrain, la vulnerabilità dei sistemi aperti nei confronti di virus ed

intrusioni informatiche rappresenta il lato oscuro, fin qui sottovalutato, della loro

generatività, concepita come il risultato di architetture potenti e flessibili,

progettate per eseguire software sconosciuto (third party) e stimolare la

manipolazione del codice da parte degli utenti per usi non previsti. Lo studioso

osserva, infatti, come nell’internet odierna al problema dell’infrazione al

copyright si siano sommati disagi generalizzati, causati da virus, spam, ed altri

fattori di disturbo degli scambi informativi, deducendone la convergenza di

interessi tra la domanda di protezione del copyright proveniente dalle imprese e

quella di semplificazione e difesa dai virus informatici espressa dalla parte,

ormai maggioritaria, del pubblico di internet, le cui attività online, sbilanciate su

«nonexpressive tasks like shopping or selling», richiedono linearità e semplicità

di esecuzione48. Si delinea, così, un’idea del marketplace come «sum across

the technology and publishing industries, governments, and consumers»49 nella

quale gli interessi di produttori, consumatori e istituzioni tendono a convergere,

                                                            

47 P. BOURDIEU. "La force du droit. Éléments pour une sociologie du champ juridique", Actes de la recherche en sciences sociales, 64, 1986, p. 7. 48 Ivi, p. 2003. L’osservazione di Zittrain è ispirata a quella di Clark che parla di «less sophisticated users». D. D. CLARK, M. BLUMENTHAL. “Rethinking the design of the internet: the end to end arguments vs. the brave new world”, cit., p. 4. 49 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 2025. 

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

96

entrando in contraddizione con l’architettura dell’ambiente digitale di rete.

La constatazione di questa dinamica, unita alla presa d’atto della costitutiva

vulnerabilità delle architetture aperte, porta Zittrain a prefigurare l’avvento di una

postdiluvian Internet, caratterizzata dalla stretta associazione tra l’incremento

del controllo e la riduzione della capacità innovativa, ovvero di un ambiente di

rete plasmato dall’equazione «more regulability, less generativity»50. Il giurista

evidenzia, al riguardo, come la catastrofe annunciata sia più di un’ipotesi,

poiché un insieme complesso e diversificato di misure di controllo è già stato

installato nel middle di internet, o è in procinto di esserlo. Questa accelerazione

della governance tecnologica è, inoltre, non solo inesorabile ma, in qualche

misura, anche legittima, visto che risponde a necessità largamente

rappresentate in società. Opporsi all’allineamento degli interessi dei

consumatori con quelli delle imprese è, dunque, impossibile, oltre che erroneo,

benché sia evidente come il miope orientamento del marketplace a favore di

politiche di semplificazione e di sicurezza, costituisca un pericolo estremo per la

griglia generativa pc/internet:

Consumers deciding between security-flawed generative PCs and safer but more limited information appliances (or appliancized PCs) may consistently undervalue the benefits of future innovation (and therefore of generative PCs). The benefits of future innovation are difficult to perceive in present-value terms, and few consumers are likely to factor into their purchasing decisions the history of unexpected information technology innovation that promises so much more just around the corner51.

Come sottolinea il giurista, non solo la massa inesperta di consumatori è

oggi incapace di cogliere il valore di ciò che è a rischio, ma la sua propensione

a considerare tale aspetto si riduce quanto più aumenta il caos informazionale e

l’invadenza di pericoli che la maggioranza degli utenti è impreparata ad

affrontare. Intervenire su questo aspetto culturale è, d’altronde, impossibile,

poiché, a suo avviso, l’aumento dell’insicurezza e l’erosione della fiducia nelle

relazioni online si legano ormai, stabilmente, alla crescita di complessità delle

dinamiche del network, alimentata dall’incremento del numero di utenti, dalla

commercializzazione dell’ambiente di rete e dalla proliferazione di

comportamenti parassitari o dannosi52. L’aumento di un sentimento diffuso di

                                                            

50 Ivi, p. 2021. 51 Ivi, p. 2006. 52 Ibidem

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

97 

insicurezza è, dunque, una conseguenza necessaria dell’imponente

trasformazione della base sociale di internet che, come è stato osservato, non

consiste più in «a group of mutually trusting users attached to a transparent

network»53.

Ed è proprio riflettendo su questa crisi di fiducia del marketplace che

Zittrain confronta la diversità della gestione del rischio informatico nell’internet

arcaica, con la governance attuale dell’insicurezza cibernetica. Dopo aver

richiamato l’episodio dell’immissione nel traffico di rete (dalla Cornell University

al MIT) del worm di Robert Morris e del primo Net crash dell’ambiente

telematico (1988), lo studioso evidenzia, infatti, come di fronte all’inedito

problema di sicurezza gli ingegneri informatici avessero scientemente evitato

l’introduzione di tecnologie di controllo e di modifiche al codice, per promuovere,

invece, la computer ethics tra i nuovi utenti della rete54. I tecnologi erano, infatti,

consapevoli del valore delle architetture aperte e della stretta relazione tra la

libertà operativa assicurata dal design e la ricchezza di creatività e innovazione

espressa dalla comunità informatica. Nel contesto dell’internet universitaria degli

anni ’80, argomenta il giurista, il clima collaborativo tra i tecnici e i ricercatori che

lavoravano allo sviluppo della rete, favoriva la ricerca di soluzioni condivise per

un uso abilitante e non costrittivo delle tecnologie. Era stato, quindi, il clima di

fiducia e la consapevolezza delle proprietà generative della rete a frapporsi tra

l’incidente informatico e l’adozione di protezioni tecnologiche potenzialmente

lesive della sua capacità innovativa.

La responsabilità dei tecnologi e la risposta etica degli utenti sono, però,

diventate minoritarie con la commercializzazione di internet e la sua

trasformazione in medium globale, quando alla diversità dei pubblici e alla

proliferazione dell’abuso nei comportamenti digitali, hanno risposto le esigenze

di protezione del copyright e la domanda di una parte del sistema industriale di

migliori garanzie per i loro investimenti nel settore tecnologico55. Lo studioso

                                                            

53 D. D. CLARK, M. BLUMENTHAL. “Rethinking the design of the internet: the end to end arguments vs. the brave new world”, Working Paper, MIT Lab for Computer Science, 2000, p. 20; http://www.tprc.org/abstracts00/rethinking.pdf. 54 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 2006. 55 A tale proposito Zittrain ha sottolineato come la concreta adozione delle misure di regolazione di internet, previste nel 1998 dal DMCA, abbia avuto effettivo inizio solo dopo il crollo dei listini tecnologici, come tentativo di riprendere il controllo dello sviluppo economico di internet: «[The] lack of intervention has persisted even as the mainstream adoption of the Internet has increased the scale of interests that Internet uses threaten. Indeed, until 2001, the din of awe and celebration surrounding the Internet’s success, including the run-up in stock market valuations led

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

98

segnala, con ciò, un dato fortemente critico che, da un lato, dà atto

implicitamente della prima “produzione” dell’utente da parte dell’e-commerce -

un dressage che istituisce un consumatore telematico impegnato in attività di

vendita e acquisto online, con minori competenze informatiche e scarsa

consapevolezza della specificità dell’ambiente in cui si muove - mentre,

dall’altro, sottolinea il ruolo accomunante delle questioni di sicurezza che

emergono in rete tra virus e problematiche del copyright.

Polemizzando con l’orientamento dominante in cyberlaw, Zittrain evidenzia

come il dibattito digitale abbia gravemente sottovalutato i problemi di sicurezza,

denunciando le conseguenze dell’aumento del controllo senza rilevare come gli

interessi degli stakeholder si stessero aggregando intorno ad una posizione

pericolosa per la salvaguardia dell’internet generativa56. Con ciò il giurista

individua nel mancato riconoscimento «[of the] interests in tension with

generativity»57, il primo limite del cyberdiritto contemporaneo. È, allora, con

particolare durezza che il professore si rivolge al consenso lessighiano,

ammonendo che

those who have made the broad case for Internet freedom — who believe that nearly any form of control should be resisted — ought to be prepared to make concessions. Not only are many of the interests that greater control seeks to protect indeed legitimate, but an Internet and PCs entirely open to new and potentially dangerous applications at the click of a mouse are also simply not suited to widespread consumer use. If the inevitable reaction to such threats is to be stopped, its underlying policy concerns must in part be met58.

33..22..22 LLaa rreeiinntteerrpprreettaazziioonnee ddeellll’’eenndd--ttoo--eenndd

La volontà zittrainiana di colpire direttamente il caposcuola della cyberlaw,

diviene esplicita nel momento in cui il giurista denuncia l’errore fondamentale

del professore di Stanford e degli studiosi a lui vicini, sviati da un’eccessiva

focalizzazione sul tema dell’end-to-end che li ha resi sostanzialmente insensibili

alla chiusura tecnologica, non meno insidiosa, dei terminali intelligenti:

                                                                                                                                                                 

by dot-coms, drowned out many objections to and discussion about Internet use and reform — who would want to disturb a goose laying golden eggs?». Ivi, p. 2001.  56 Ivi, p. 2013. 57 Ivi, p. 2034. 58 Ibidem

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

99 

Although these matters are of central importance to cyberlaw, they have generally remained out of focus in our field’s evolving literature, which has struggled to identify precisely what is so valuable about today’s Internet [that is the generativity]. Scholars such as Professors Yochai Benkler, Mark Lemley, and Lawrence Lessig have crystallized concern about keeping the Internet “open,” translating a decades-old technical end-to-end argument concerning simplicity in network protocol design into a claim that ISPs should refrain from discriminating against particular sources or types of data. There is much merit to an open Internet, but this argument is really a proxy for something deeper: a generative networked grid. Those who make paramount “network neutrality” derived from end-to-end theory confuse means and ends, focusing on “network” without regard to a particular network policy’s influence on the design of network endpoints such as PCs.59

Zittrain contesta, così, a Lessig non solo di non aver identificato

correttamente le cause della catastrofe postdiluviana, ma di non aver nemmeno

saputo catalogare l’intero spettro delle crisi in corso, fondando su un equivoco la

teoria giuridica del cyberspazio e mancando l’obiettivo di una critica avvertita

alla governance delle architetture generative. La polemica antilessighiana si

dispiega interamente nel passaggio in cui, facendo appello alla stessa

sensibilità cyberlaw, il giovane professore condanna la sterile difesa dello status

quo tecnologico contro la pressione del cambiamento, sottolineando la

necessità di riaprire il discorso sulle misure di controllo attraverso la ricerca

rigorosa di limiti ed eccezioni invalicabili. Lo studioso fa rilevare, infatti, come

l’ideale normativo di una comunicazione senza filtri che la cyberlaw giustifica

con l’argomento end-to-end, sia stato, nell’originaria esposizione degli ingegneri

Saltzer, Reed e Clark60, niente più di una buona eristica a conforto della

semplicità del design61. A suo avviso, dunque, la generatività del Net non

discende dalla sua neutralità, ciò che concilia la sua campagna in difesa delle

architetture con una visione estetizzante dell’end-to-end design e con la tesi che

«some limits are inevitable», a patto di «to point to ways in which these limits

might be most judiciously applied»62:

Precisely because the future is uncertain, those who care about openness and the innovation that today’s Internet and PC facilitate should not sacrifice

                                                            

59 Ivi, p. 1978. 60 J. H. SALTZER, D. P. REED, D. D. CLARK. “End-to-End Arguments in System Design”, 1981, (reprint in) ACM Transactions in Computer Systems, 2, 4, November 1984, (pp. 277-288); http://web.mit.edu/Saltzer/www/publications/endtoend/endtoend.pdf. 61 Ivi, p. 2029. 62 Ivi, p. 2040.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

100

the good to the perfect — or the future to the present — by seeking simply to maintain a tenuous technological status quo in the face of inexorable pressure to change. Rather, we should establish the principles that will blunt the most unappealing features of a more locked-down technological future while acknowledging that unprecedented and, to many who work with information technology, genuinely unthinkable boundaries could likely become the rules from which we must negotiate exceptions63.

Incentrando la sua tesi sulla difesa della generatività e mettendola in

contraddizione con la neutralità del Net, Zittrain sferra il suo attacco al cuore

stesso del discorso cyberlaw e alla tesi cardinale che la tutela delle libertà

costituzionali non debba fare eccezione nel cyberspazio. Quello del First

Amendement è, infatti, sempre stato il terreno tradizionale dell’appello cyberlaw

in favore della neutralità. Benché la sua non sia l’unica voce favorevole alla

revisione complessiva di un dibattito decennale dominato dalla personalità di

Lessig, l’opinione del professore di Harvard spicca sulle altre voci critiche64,

proprio per la sua perfetta declinazione dei temi lessighiani e per la sua capacità

di volgerli contro l’ortodossia di Stanford. Non solo, infatti, lo studioso invoca la

primazia della cura per l’internet generativa, ma lo stesso artificio con il quale

sostiene la necessità di superare l’end-to-end arguments65 si presenta come un

allarme paradossale che fiancheggia per un tratto la denuncia lessighiana, per

dimostrare, infine, il suo contrario. In Zittrain, in effetti, è proprio perché

«restrizioni impensabili e senza precedenti stanno per diventare la regola» che

la dottrina giuridica dovrebbe affrettarsi a negoziarne le eccezioni. La sua logica

coincide, dunque, con l’intenzione di presentare come fatale, e persino legittimo,

lo scenario di crisi denunciato da Lessig, continuando ad applicare la sintassi

cyberlaw, ma astraendo dalle sue conclusioni, come i dibattiti tecnologici da cui

trae le sue proposte non saprebbero fare.

Per tale ragione, all’analisi della generatività segue una sezione dedicata al

modo meno invasivo di applicare restrizioni alle libertà digitali, attraverso la

quale l’autore si incarica di importare nel dibattito giuridico gli argomenti

sviluppati negli ultimi quindici anni dal trusted system e dall’internet                                                             

63 Ivi, p. 1977. 64 Si veda, ad esempio, C. MCTAGGART. "Was the Internet ever neutral?” 34th Research Conference on Communication, Information and Internet Policy, George Mason University School of Law, Arlington, September 30, 2006; http://web.si.umich.edu/tprc/papers/2006/593/mctaggart-tprc06rev.pdf, e Timothy Wu in C. S. Yoo, T. Wu. “Keeping The Internet Neutral?”, Legal Affair Debate Club, 2006, January 5; http://www.legalaffairs.org/webexclusive/debateclub_net-neutrality0506. 65 Ivi, p. 2029.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

101 

enhancement debate66. È così che Zittrain delinea la sua «terza via»,

ugualmente critica sia della visione ingegneristica che progetta una massiccia

iniezione di soluzioni informatiche nel middle di internet, sia dell’ortodossia

cyberlaw che si oppone all’introduzione di qualunque misura in contrasto con

l’end-to-end principle.

Nella parte finale del suo articolo, Zittrain avanza, perciò, due ipotesi di

soluzione alla postdiluvian Internet, con l’intenzione di dimostrare come si possa

rispondere al controllo generalizzato e antigenerativo di internet solo a patto di

sacrificare l’integrità della rete, o di accettare l’introduzione di misure trusted,

accuratamente calibrate sull’obiettivo della difesa dell’innovazione. Nel primo

scenario, internet sarebbe divisa in due sottoreti, delle quali la prima, in highly

generative mode, rimarrebbe riservata alla ricerca accademica e nuovamente

interdetta alle attività commerciali, mentre la restante parte, in “safe” mode,

sarebbe adattata permanentemente alle finalità e al tipo di attività immaginate

dagli attori commerciali, così da offrire ai diversi pubblici di internet «the best of

both worlds […] by creating both generativity and security within a single

device»67.

Zittrain contesta, in questo modo, l’orientamento prevalente nell’internet

enhancement debate, nel quale l’idea della divisione logica di internet è

concepita come una costruzione progressiva e non traumatica «into today's

Internet backbone [of] a new kind of network intelligence that optimizes e-

commerce transactions, video broadcast, and isochronous phone calls»68. È,

infatti, proprio in virtù di questa visione che, come evidenzia la tesi dell’internet

postdiluviana, un controllo indiscriminato e diffuso si sta installando nel core

dell’infrastruttura telematica. Ciò accade, poiché in assenza di una tutela

giuridica espressa del design, l’adozione delle misure tecnologiche non è

illegale, in via di principio, fatta salva l’ipotesi di infrazioni di altri interessi

giuridicamente protetti negli Stati Uniti, ad esempio, in materia di concorrenza e

antitrust. Che la frammentazione logica della rete non stia attendendo le

decisioni di Washington è, d’altra parte, anche l’argomento di cui si è servito lo

studioso canadese Craig McTaggart per sostenere che internet è già diversa da                                                             

66 Tali dibattiti sono approfonditi, oltre che nelle pagine seguenti, nell’ultimo paragrafo di questo capitolo. 67 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 2021. 68 D. P. REED, “The End of the End to End Argument”, April, 2000, online post, 2000, http://www.reed.com/dprframeweb/dprframe.asp?section=paper&fn=endofendtoend.html. 

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

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come si pretende che sia, e che non c’è, dunque, ragione di opporre un design

mitizzato e, forse, mai stato neutrale, alle ipotesi di miglioramento in

discussione:

The examples of non-neutrality […] preferential content arrangements, distributed computing, filtering and blocking to control network abuse, differential interconnection and interconnectivity, and the impact of resource-intensive applications and users, demonstrate that the Internet and its use are far from neutral or egalitarian69.

McTaggard e Zittrain osservano, dunque, come l’evoluzione della rete si

stia già orientando in direzione della parcellizzazione dell’ambiente digitale in

gated communities, benché sia ancora percepito dagli utenti come uno spazio

integro e unitario, privo di steccati. Entrambi gli autori ne deducono che,

piuttosto che mantenersi fedeli al principio, sistematicamente violato, della

neutralità, sia opportuno ratificare le divisioni già esistenti, con una tesi che, nel

caso del professore di Harvard, si giustifica con l’auspicio che almeno una parte

circoscritta di internet sia sottratta alla chiusura tecnologica.

33..22..33 LLaa lleeggiittttiimmaazziioonnee ddeell ttrruusstteedd ssyysstteemm

La “dual machine” solution non è, però, tra le soluzioni caldeggiate dal

giurista che insiste, invece, perché si cerchi la conciliazione delle legittime

esigenze di sicurezza del marketplace con la conservazione dell’integrità della

rete70. Zittrain, perciò, ribadisce come la sola alternativa allo smembramento

dell’ambiente cibernetico o alla sua riduzione a un walled garden (e del personal

computer ad un TiVo71), consista nell’accettazione di misure calibrate per la

protezione del copyright e la difesa dai virus, e nel parallelo rifiuto delle

modifiche lesive del funzionamento innovativo di queste piattaforme. Contrario

alle modifiche architetturali che ostacolano la disseminazione tecnologica e

minacciano la chiusura della piattaforma al software non riconosciuto, Zittrain

                                                            

69 C. MCTAGGART. "Was the Internet ever neutral?”, cit., p. 571. 70 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 2036. 71 TiVo è il PVR più diffuso negli USA. Si tratta di un nuovo dispositivo di registrazione e riproduzione di contenuti audiovisivi che consente di visionare nel luogo e nel momento desiderati dall’utente, frammenti di palinsesti televisivi precedentemente registrati. Il suo utilizzo, estremamente semplice, può essere paragonato a quello di un videoregistratore a cui aggiunge alcune utilità semplificate dell’ambiente digitale, tra le quali un motore di ricerca interno che facilita la ricerca di temi e soggetti per parola chiave, un collegamento ad internet per il download di file podcast e un dispositivo di copia per trasferire in DVD i programmi selezionati. Per ulteriori dettagli si vedano le Faq di What is TiVo?, http://www.tivo.com/1.0.asp.  

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

103 

sostiene, invece, l’introduzione della crittografia e la rinuncia al principio

dell’anonimità del traffico che garantirebbero alla legge, anche su internet, i

poteri di deterrenza e sanzionamento vigenti nel mondo offline. Oltre a questi

mezzi di controllo, l’autore difende l’utilità dell’etichettamento dei pacchetti di

dati – noto come labelling, deep inspection packet o, snooping - da parte degli

Internet Service Provider, nel middle di internet finora, in via di principio,

indifferente ai contenuti smistati.

Ed è proprio legittimando quest’ultima misura e incentrando la sua visione

regolativa sul ruolo dei gatekeeping in funzione di controllo72, che la potente

riflessione del giurista incontra le maggiori difficoltà argomentative. Più che nel

caso della dual machine solution, nel quale la tesi del giurista diverge su un

aspetto non marginale da quella tecnologica, è qui che il pacchetto di misure

proposto dallo studioso coincide perfettamente con la strategia degli ingegneri, i

quali sostengono che il labelling permetterebbe ai fornitori di connettività di

sapere quali informazioni stiano smistando senza ispezionarne il contenuto,

permettendo loro di bloccare l’informazione pericolosa senza ledere il principio

della segretezza delle comunicazioni personali e della libertà d’espressione.

Benché provviste di soluzioni contro le ricadute di maggiore impatto sulla

privacy degli utenti, queste tesi sono rigettate da un vasto fronte critico, nel

quale si evidenzia come la cautela nella scelta dello strumento, non renda meno

discutibile l’attribuzione di delicati poteri di ispezione della comunicazione di rete

alle compagnie telefoniche. Tra le numerose obiezioni mosse a questa ipotesi di

creazione di corporate back doors sulle telecomunicazioni, Lessig ha

evidenziato come le attività di controllo messe in campo dalle organizzazioni

private, siano generalmente molto meno vincolate al rispetto delle garanzie

pubbliche, particolarmente stringenti nel quadro costituzionale americano in cui

il Fourth Amendment vieta il controllo governativo generalizzato sulle

comunicazioni73. Paul David ha, poi, rinforzato la critica del professore di

Stanford, definendo i meccanismi interposti da terzi tra il mittente e il ricevente,

«the effect of balkanizing the Internet by creating enclaves over which

discretionary control of information flows can be exercised»74.

                                                            

72 J. ZITTRAIN. “A History of online Gatekeeping”, cit. 73 L. LESSIG. Code v2, op. cit., p. 71. 74 P. A. DAVID. “The Evolving Accidental Information Super-highway. An Evolutionary Perspective on the Internet’s Architecture”, cit., p. 14.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

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Anche Tim Berners-Lee ha espresso la sua contrarietà alla sorveglianza

generalizzata delle telecomunicazioni, osservando come i percorsi della

navigazione quotidiana degli utenti rivelino un’infinità di cose riguardo alla loro

vita e rappresentino informazioni estremamente sensibili75. In un’intervista

rilasciata in occasione del ventennale del Web, l’informatico è voluto entrare

nella polemica su Phorm - un progetto di cui è capofila British Telecom che ha

applicato l’ispezione di pacchetto ai flussi di dati dei propri clienti per ottenerne i

profili di consumo - dichiarando che gli scambi via internet dovrebbero godere

della stessa tutela assicurata alla corrispondenza e alla conversazione

telefonica. Il caso Phorm sta, infatti, suscitando accese contestazioni in

Inghilterra da quando è trapelata la notizia che trentamila consumatori sono stati

sottoposti a loro insaputa al controllo sistematico delle comunicazioni76. Dal

2005 la compagnia sviluppa un nuovo modello di business incentrato sulla

conoscenza particolareggiata degli stili di vita dei consumatori, ed è significativo

che gli argomenti con cui i suoi portavoce difendono il progetto, facciano leva

sulle stesse tesi avanzate da Zittrain. L’impresa ha, infatti, replicato alle accuse

di Berners-Lee – e del Trade Office britannico - sottolineando come la propria

piattaforma offra ai consumatori la sicurezza di una navigazione protetta dalle

truffe informatiche, oltre alla garanzia che l’attività ispettiva applicata dalla

compagnia salvaguarda la loro privacy, poiché i suoi risultati sono sempre

analizzati in forma aggregata. Queste spiegazioni non sono evidentemente

bastate al Commissario Europeo Viviane Reding che ha formalmente inviato la

Gran Bretagna a difendere la privacy dei cittadini77, né hanno convinto

l’Antispyware Coalition78 che ha classificato la tecnologia sviluppata da Phorm

nella categoria degli adware – software malevoli che introducono pubblicità

indesiderata nella navigazione degli utenti - e degli spyware – codici maligni

                                                            

75 A. TRAVIS. "Web inventor warns against third-party internet snooping”, The Guardian, 11 march 2009; http://www.guardian.co.uk/technology/2009/mar/11/berners-lee-internet-data. 76 Intervento radiofonico di Berners-Lee in occasione del ventennale del web, riportato da ZDnet.uk: http://blogs.zdnet.com/BTL/?p=14387. 77 All’opinione espressa dalla commissaria UE alle comunicazioni, Viviane Reding, ha dato rilievo soprattutto la stampa economica. Si veda il sito di Easybourse: “EU Commission Wants UK Government To Probe Targeted Advertising”, 16 july 2008; http://www.easybourse.com/bourse-actualite/marches/eu-commission-wants-uk-government-to-probe-targeted-488767. 78 L’Antispyware Coalition è la più importante organizzazione internazionale finalizzata alla definizione del software malevolo. Riunisce imprese hi-tech, ricercatori universitari e associazioni dei consumatori (http://www.antispywarecoalition.org). L’articolo del Register del 25 aprile 2008 che riferisce della sua presa di posizione contro Phorm è reperibile all’indirizzo: http://www.theregister.co.uk/2008/04/25/apc_to_probe_behaviorial_ad_firms/.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

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come i cookies che tracciano la navigazione e raccolgono informazioni

recapitandole all’esterno di un sistema informatico79.

L’insieme di questi rilievi ha trovato, probabilmente, la trattazione più

organica in un recente articolo di Jack Balkin, nel quale il giurista ha sottolineato

come la rivoluzione del controllo - di cui il caso Phorm anticipa i primi conflitti - e

la susseguente trasformazione di internet comportino una revisione radicale

dell’intera tematica del free speech80. Riprendendo le tesi di Meiklejohn e

Barron, due autori ormai classici del diritto americano degli anni ’60, Balkin ha

evidenziato come i giuristi avessero formulato precoci obiezioni circa le garanzie

per la libertà d’espressione offerte da un mercato privato dei media, segnalando

come una regolazione dell’informazione governata dall’industria «became a

rationale for repressing competing ideas»81. È improbabile, sosteneva, infatti,

Barron nel ‘67,

that a free market would promote free speech, because mass media would refuse to carry information that did not serve their bottom line, and they would shy away from “unorthodox, unpopular, and new ideas”, preferring bland and mindless entertainment with commercial appeal82.

Attualmente, commenta Balkin,

the world of communication is a world of information conduits, most of which are in private hands. And just as in 1967, the practical freedom of speech is deeply tied to how these conduits work and what kinds of access and opportunities they offer to ordinary citizens83.

Sulla scorta di queste osservazioni, che tornano a radicare il discorso

cyberlaw sull’argomento boyliano del rischio del private power per la libertà di

parola, Balkin conclude che, nelle attuali condizioni, l’appello formale al First

Amendment e alla tutela delle corti di giustizia rischia di essere vano, se non si

affiancano a queste garanzie delle politiche ecologiche dei media che ne

assicurino concretamente il rispetto84.

                                                            

79 W. CHRIS. "ISP data deal with former 'spyware' boss triggers privacy fears", The Register, 5 February 2008; http://www.theregister.co.uk/2008/02/25/phorm_isp_advertising. 80 Balkin è docente di dottrina costituzionale e First Amendment all’Università di Yale. 81 J.A. BARRON, “Access to the Press—A New First Amendment Right”, Harvard Law Review, 80, 1967. Tratto da J. BALKIN. “Media Access. A Question of Design”, George Washington Law Review, 76, 4, 2008, p. 103; http://www.ssrn.com/abstract=1161990. 82 J. BALKIN. “Media Access. A Question of Design”, cit., p. 103. 83 Ivi, p. 106. 84 Ivi, p. 107.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

106

33..22..44 LLee ccoonnttrraaddddiizziioonnii eeccoonnoommiicchhee ddeell ccoonnttrroolllloo

Proponendo di superare la neutralità e di collocare misure intelligenti presso

i Points of control del flusso informatico85, Zittrain guarda, evidentemente, in

direzione opposta a quella di Balkin. Fare dei provider i centri di controllo del

traffico dati in nome del contenimento dell’insicurezza nella rete fornirebbe,

infatti, ai soggetti commerciali oltre al potere di ispezionare i contenuti delle

comunicazioni, quello di discriminarne la circolazione secondo le migliori

opportunità economiche, come mostrano le diverse sperimentazioni del labelling

già in corso evidenziate, oltre che dal caso Phorm, da quello del provider

americano Comcast, attualmente sotto inchiesta per aver rallentato il traffico

VOIP e P2P dei propri utenti86. Su questo genere di critiche ha insistito

soprattutto Yochai Benkler, il quale in occasione della pubblicazione italiana di

Wealth of Networks ha dichiarato che

[i big delle telecomunicazioni] possono rappresentare un pericolo. Il loro attuale obiettivo è estrarre più valore dai loro network cercando di costruire reti più controllabili. Spesso la scusa è quella della sicurezza, più frequentemente parlano di garanzia della «qualità del servizio». La realtà è uno sforzo da parte dei provider per cambiare l'architettura della Rete, ispezionare i contenuti e trattarli in modo differente a seconda che siano a pagamento o meno. Se questo sforzo avesse successo, avremmo un'architettura che lascia molto meno spazio alla creatività umana espressa al di fuori delle logiche di mercato87.

Come si vede, per Benkler, il tipo di controllo che i provider telefonici

potrebbero essere chiamati ad esercitare, rappresenta in sé, indipendentemente

dalle implicazioni per le libertà civili, una perturbazione delle logiche tecno-

sociali specifiche del medium e un rischio concreto per la generatività

brillantemente studiata nei suoi fattori abilitanti da Zittrain. Le dinamiche

descritte in The Generative Internet si accordano, infatti, perfettamente con la

visione benkleriana di un’innovazione emergente dalle pratiche collaborative

d’uso e di scambio degli utenti (peer production) e dall’abbassamento della

                                                            

85 J. ZITTRAIN. “Internet Points of Control”, cit.. 86 Nell’estate 2007, Comcast, il secondo per importanza tra i provider USA, è stato ammonito dalla FCC su richiesta delle associazioni Free Press e Public Knowledge per violazione delle norme generali che regolano il contratto di servizio tra i fornitori di connettività e gli utenti. Il seguito giudiziario imputa al provider di aver rallentato le connessioni a Vuze (BitTorrent) senza averlo comunicato agli utenti, limitandone, di fatto, la libertà di navigazione. http://www.publicknowledge.org/pdf/fp_pk_comcast_complaint.pdf. 87 Y. BENKLER.”La grande ricchezza delle reti”, Il Manifesto, 26 aprile 2007, p. 13.  

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

107 

soglia d’accesso al mercato (market entry), frutto della trasparenza e non

discriminazione della rete rispetto a dati e applicazioni. Ma se gli argomenti dei

due autori armonizzano con tanta evidenza, è proprio perché condividono la

stessa visione del rapporto tra innovazione e costi d’accesso ai contenuti e alle

tecnologie, così descritta da Lessig:

[Internet is] the most extraordinary innovation that we have seen. Not innovation in just the dotcom sense, but innovation in the ways humans interact, innovation in the ways that culture is spread, and most importantly, innovation in the ways in which culture gets built […]. Let the dotcom era flame out. It won't matter to this innovation one bit. The crucial feature of this new space is the low cost of digital creation, and the low costs of delivering what gets created88.

Secondo il professore di Stanford, il contenimento dei costi d’accesso alla

tecnologia è, dunque, una conseguenza del design. Sono, infatti, i fattori di

neutralità e trasparenza di internet a far sì che i soggetti economici debbano

limitare i loro investimenti al solo livello delle applicazioni, visto che la rete

ammette qualunque tipo di hardware e software e non ha bisogno di essere

adattata alle novità. Ciò vale anche dalla prospettiva dell’utente, perché

l’adozione di nuova tecnologia richiede il solo costo del reperimento delle utilità

e non è necessario riconfigurare il proprio sistema quando si istalla un nuovo

programma o si sostituisce l’hardware. L’imperativo tecnologico che incide

sull’abbattimento dei costi è, dunque, lo stesso che stabilisce l’incapacità della

rete di discriminare tra dati e applicazioni, la cui abilità è collocata, secondo il

principio end-to-end, presso l’utente, nello strato più superficiale del sistema:

The Internet was born a ‘neutral network’, but there are pressures that now threaten that neutrality. As network architects have been arguing since the early 1980s, its essential genius was a design that disables central control. ‘Intelligence’ in this network is all vested at the ‘end’ or ‘edge’ of the Internet. The protocols that enable the Internet itself are as simple as possible; innovation and creativity come from complexity added at the ends. This ‘end-to-end’ design made possible an extraordinary range of innovation89.

L’idea, propriamente lessighiana, che la produzione dell’innovazione in

internet sia un effetto del design, si fonda perciò essenzialmente sulla

                                                            

88 L. LESSIG. “The Architecture of the Innovation” Duke Law Journal, 51, 2002, p. 182; www.lessig.org/content/archives/architectureofinnovation.pdf. 89 L. LESSIG. “A Threat to Innovation on the Web”, Financial Times, December 12, 2002, http://www.interesting-people.org/archives/interesting-people/200212/msg00053.html. L’argomento è sviluppato dall’autore in The Future of Ideas, cit., p. 34.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

108

descrizione della natura non intelligente della rete90, il cui strato logico è

sprovvisto del codice capace di associare i dati alle applicazioni, e nella quale

ogni livello della struttura, assemblata verticalmente, resta indipendente e

ignora quanto avviene ai livelli soprastanti, trasportando un flusso

informazionale di puri dati, frammentati in pacchetti91. Ciò determina la neutralità

della piattaforma rispetto alle applicazioni e la collocazione del controllo al livello

più alto possibile per ogni funzione informatica. Sono dunque la trasparenza e la

neutralità a fare dello stupid network quella piattaforma generativa incapace di

distinguere tra un file Mp3 e un’e-mail, ed è perciò impossibile insegnare alla

rete ad intercettare i file pirata senza attentare alle proprietà che Zittrain

vorrebbe difendere. Se l’immissione di soluzioni intelligenti nel centro (core) di

internet sovverte queste logiche, i suoi effetti non potranno rimanere limitati al

dark side, ma ricadranno necessariamente sulla generatività che, d’altra parte,

lo stesso giurista descrive come l’effetto virtuoso del disordine.

Sugli effetti generativi e sulle virtù economiche delle reti sono concentrate,

naturalmente, anche le attenzioni della teoria economica, i cui argomenti sono

riassunti nell’importante lavoro di Benkler, The Wealth of Networks, dedicato

alla forma di valorizzazione propria delle reti (network effect), non esclusiva di

internet, ma portata dal Net alla sua massima espressione92. È sulla base di

questo concetto che l’economista Eric Von Hippel ha osservato come tale

dinamica abbia fornito le condizioni ottimali per lo sviluppo di un’innovazione

guidata dall’utente (user driven innovation), non legata in modo univoco alle

tecnologie digitali, quanto piuttosto alla tessitura di reti di relazioni entro le quali

si affermano e si diffondono le migliori soluzioni al rapporto degli individui con la

tecnologia e con gli altri oggetti di uso quotidiano93. È questa creatività,

sostenuta da architetture aperte che spingono l’innovazione ai margini della rete

e non attribuiscono un ruolo dominante ai gestori del traffico, che il ritorno

all’integrazione verticale dei mercati e a strategie potenzialmente basate sulla

discriminazione del prezzo può, dunque, ostacolare.

Sebbene focalizzato sulla salvaguardia della generatività minacciata dai

                                                            

90 La definizione di stupid network è di David ISENBERG. “Rise of the Stupid Network”, Computer Telephony, August 1997, (pp. 16-26); http://www.rageboy.com/stupidnet.html. 91 Si tratta del principio dell’encapsulation dei dati incorporato nel protocollo TCP-IP. 92 Y. BENKLER. The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, op. cit.. 93 E. Von HIPPEL. Democratizing Innovation, cit., p. XVII. 

Page 120: TESI COMPLETA

II. Il governo dell’eccezione 

 

 

109 

progetti di reingegnerizzazione di internet, l’articolo di Zittrain sembra dunque

incapace di riconoscere gli esiti indesiderati di misure che alterano i principi di

funzionamento della rete e di individuare gli ambiti – ammesso che ciò sia

possibile - in cui interventi di tale natura potrebbero essere adottati senza danni

per il suo potenziale socio-tecnico. Ciò si deve, paradossalmente, oltre che ad

un approccio ideologico al tema della sicurezza, ad una visione ancora

lessighiana della generatività, sbilanciata sugli effetti del design e meno attenta

al ruolo giocato nella produzione delle innovazioni dalla socialità di internet.

Tali limiti del discorso zittrainiano si evidenziano soprattutto nella soluzione

dual machine, fondata sul presupposto che la generatività di una sottorete

specializzata - riedizione della rete accademica dei primordi - sia in grado di

eguagliare l’enorme capacità computazionale di internet e che la riduzione di

complessità a cui l’autore guarda in termini di sicurezza, non abbia

conseguenze sul dinamismo innovativo dell’ambiente digitale. Per queste

ragioni il suo tentativo di mediazione tra una pianificazione regolativa aperta a

soluzioni tecnologiche e la difesa delle piattaforme generative, non sembra

riuscito. Non a caso, infatti, le opzioni più decise per l’introduzione di misure in

contrasto con la net neutrality, vengono da studiosi che non interpretano

l’innovazione nei termini lessighiani di The Generative Internet ma, piuttosto, in

quelli tardoschumpeteriani di una dinamica stimolata dalla grande impresa, vista

come «l’arma più potente [del progresso economico] e dell’espansione a lungo

termine della produzione totale»94. È in quest’ottica che si sostiene che il

principio della neutralità, impedendo la diversificazione della rete e

l’introduzione della discriminante del prezzo nella differenziazione del traffico,

può ostacolare l’innovazione, scoraggiando l’introduzione di accorgimenti

quality-of-service (QOS) da parte degli ISP per ridurre l’instabilità delle

connessioni e incrementarne la sicurezza95.

33..22..55 LLaa ccrriissii ddii ccoommpplleessssiittàà ddeellllaa ggoovveerrnnaannccee ddeellll’’iinnnnoovvaazziioonnee

Come è noto, nel 2006, il dibattito sulla neutralità di internet è giunto ad                                                             

94 J. A. SCHUMPETER. Capitalism, Socialism and Democracy, 1954, trad. it. Capitalismo, socialismo e democrazia, Milano, Etas, 2001, p. 105. È noto che Schumpeter fondava il ruolo trainante dell’impresa sulla separazione, oggi declinante, tra l’invenzione scientifica e artistica e la loro valorizzazione economica su scala industriale.  95 C. S. YOO, T. WU. “Keeping The Internet Neutral?”, Legal Affair Debate Club, 2006, January 5, http://www.legalaffairs.org/webexclusive/debateclub_net-neutrality0506. 

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

110

interessare il livello decisionale USA che, dopo accese polemiche e persistendo

forti perplessità ha deciso di non prendere posizione al riguardo, lasciando al

mercato il compito di precisare il proprio orientamento in materia. Secondo

alcuni commentatori, sarebbe allora prevalso il principio di cautela che «places

regulators in a more restrained and humble position»96 di fronte alla complessità

intrattabile dell’evoluzione tecnologica. Come Zittrain ha, però, mostrato in

modo persuasivo, una decisione in tal senso appare tutt’altro che rassicurante,

proprio perché lascia liberi gli operatori commerciali di perseguire policies

aggressive, nella convinzione che il gioco della concorrenza riesca a contenere

le pratiche più sgradite al marketplace, quando, in effetti, è proprio sulla

violazione strutturale dell’antitrust e, dunque, sulla disattivazione del

meccanismo della concorrenza, che insiste la critica economica alla

soppressione della neutralità. Si lascerebbe, dunque alle corti di giustizia il

compito di decidere caso per caso, confidando in quel rule of law che, come ha

notato Balkin, non sembra più in grado di assicurare il rispetto della libertà del

Net.

È, perciò, non casuale che il professore di Harvard abbia dato alle stampe,

contemporaneamente a The Generative Internet, un altro saggio, dedicato

all’evoluzione della governance delle tecnologie, nel quale riflette sulla capacità

degli apparati di regolazione di farsi carico delle crisi e della complessità dello

sviluppo tecnologico. Lo studioso vi articola un’analisi capillare della situazione

attuale di internet, nella quale, da un lato, si evidenzia come il computer crime

sia divenuto insostenibile, spingendo regolatori, attori commerciali e utenti a

chiedere misure di controllo della rete e, dall’altro, come il sistema decisionale

sia incapace di rispondere adeguatamente a questo incremento di complessità.

A History of online Gatekeeping inizia, così, con la lode al principio di cautela

che ha caratterizzato l’old style governance di internet:

The brief but intense history of American judicial and legislative confrontation with problems caused by the online world has demonstrated a certain wisdom: a reluctance to intervene in ways that dramatically alter online architectures; a solicitude for the collateral damage that interventions might wreak upon innocent activity; and, in the balance, a refusal to allow unambiguously damaging activities to remain unchecked if there is a way to curtail them97.

                                                            

96 C. YOO. “Network Neutrality and the Economics of Congestion”, cit., p. 1851. 97 J. ZITTRAIN. “A History of online Gatekeeping”, cit. 

Page 122: TESI COMPLETA

II. Il governo dell’eccezione 

 

 

111 

In questo passo, lo studioso concentra la sua visione dell’optimum

regolativo, facendo notare come i tre aspetti dell’efficacia del contrasto alle

attività illecite, della salvaguardia dell’architettura dell’ambiente digitale e della

tutela dell’innovazione, siano stati tradizionalmente assicurati dal legislatore

americano anche in presenza di controversie o dubbi sulla possibile dannosità

delle tecnologie. Il giurista sottolinea, in particolare, come la giurisprudenza

statunitense sia rimasta fedele a questo approccio anche nei momenti di crisi

innescati dal progresso tecnologico. Infatti, anche nelle fasi in cui la comparsa di

disruptive technologies metteva a rischio le sorti di specifici comparti industriali,

le autorità americane hanno sempre fatto prevalere politiche attente alla tutela

dell’innovazione, sulla tentazione di vietare la distribuzione della tecnologia.

Come Zittrain ricorda nel commento alla sentenza Metro Goldwin Mayer v.

Grokster, la più importante decisione di questo tipo è stata adottata nel 1984

dalla Suprema Corte chiamata a giudicare, in Sony vs Universal, se il

videoregistratore, abilitando usi dannosi per i produttori di contenuti, dovesse

avere o meno distribuzione commerciale negli states98. La decisione di non

ostacolare l’introduzione di una tecnologia capace di uso corretto, poi diventata

uno standard della giurisprudenza USA – come Sony Substantial Noninfringing

Use Doctrine - nelle controversie a sfondo tecnologico, è perciò giudicata dal

giurista parte integrante di una corretta impostazione del governo

dell’innovazione.

Come si è visto nell’analisi di The Generative Internet, è però, opinione

dello studioso che questo delicato equilibrio regolativo sia ormai compromesso,

a causa dell’insicurezza del marketplace e della straordinaria rilevanza dei

comportamenti predatori in rete. L’inefficacia delle politiche di contrasto

dell’illegalità rappresenta, dunque, per Zittrain, il principale fattore di fragilità

della light touch regulation, perché spinge il legislatore a rivedere la propria

filosofia di intervento e a sottovalutare le ricadute negative di azioni di controllo

più aggressive. Infatti, mentre i precedenti conflitti industriali intorno agli usi

dannosi delle nuove tecnologie potevano essere considerati crisi temporanee e

circoscritte, la digitalizzazione e le reti hanno reso endemica la problematica

dell’uso non autorizzato di beni e strumenti informatici, rendendo indifferibile

                                                            

98 W.W. FISHER III, J. G. PALFREY jr., J. ZITTRAIN. “Brief of Amici Curiae Internet Law Faculty in Support of Respondents (Metro-Goldwyn-Mayer Studios Inc., et al., Petitioners, v. Grokster, Ltd., et al., Respondents)”, cit.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

112

l’adozione di misure di salvaguardia dell’equilibrio complessivo del sistema. È in

base a tale argomentazione che Zittrain formula una prognosi altrettanto

infausta di quella contenuta in The Generative Internet sugli esiti dello scontro

sull’illegalità digitale99.

Sono, però, soprattutto le differenze tra i due testi a fornire i maggiori spunti

di riflessione. Mettendoli a confronto si osserva, infatti, che mentre The

Generative Internet propone una riflessione critica della nuova governance,

incentrata sugli esiti dannosi del controllo tecnologico, The History of online

Gatekeeping si presenta, piuttosto, come una teodicea della seconda

generazione di azioni regolative di internet che chiama in causa i provider in

funzione di controllo. La tesi del giurista è sintetizzata nell’asserzione che «the

ability to regulate lightly while still curtailing the worst online harms that might

arise has sprung from the presence of gatekeepers»100.

Per molti aspetti, dunque, The History of Gatekeeping evidenzia meglio di

The Generative Internet l’ossatura teorica della filosofia regolativa del giurista e

la sua prospettiva di riduzione dell’insicurezza digitale a rischio specifico del

copyright – affiancato, in via accessoria, dal pericolo virale. È, infatti, soprattutto

in questo secondo articolo che si rende esplicito come in Zittrain il copyright sia

l’ipostasi di una riflessione sulla lotta ai «peer-to-peer networks, that has so far

failed to provoke a significant regulatory intrusion»101. A differenza della

cyberlaw lessighiana che ne ha fatto il tema centrale della sua analisi,

l’evoluzione della proprietà intellettuale non entra affatto nell’analisi del giurista.

Nel suo lavoro, il punto cieco in cui è collocato il copyright si accorda, perciò,

con la causalità paradossale di un discorso in cui l’infrazione generalizzata,

nella forma tecnologica della condivisione dei file, non è mai descritta come

male in sé (malum in se, o iniquità, secondo la terminologia giuridica latina) – e

                                                            

99 Wired ha pubblicato un’intervista a Zittrain sui temi trattati in The Future of the Internet and how to stop it. L’intervistatore ha esordito con l’affermazione: W: «Your scenario is classic – in a backlash against the baddies, we give up our own freedom» Z: «My worry is that users will drift into gated communities defined by their hardware or their network. They’ll switch to information appliances that are great at what they do [email, music, games] because they’re so tightly controlled by their makers». W:«You really think the sky could be falling?» Z: «Yes. Though by the time it falls, it may seem perfectly normal. It’s entirely possible that the past 25 years will seem like an extended version of the infatuation we once had with CB radio, when we thought that it was the great new power to the people». http://www.wired.com/wired/archive/15.01/start.html?pg=15. 100 J. ZITTRAIN. “A History of online Gatekeeping”, cit., p. 253. 101 Ivi, p. 254. 

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

113 

forse nemmeno come malum prohibitum (o illegalità) se si guarda al file sharing

come ad una tecnologia suscettibile di uso corretto –102, ma come causa di un

male generato dall’attività istituzionale che lo persegue. Di qui, appunto, il

paradosso di contrastare l’illegalità con strumenti regolativi intrusivi, al solo fine

di scongiurare l’intrusione (degli strumenti regolativi).

Zittrain si imbatte in tale impasse teorica, anche a causa di una riflessione

che non esamina mai, né si occupa di definire, i conflitti a cui provvede

soluzione, benché la sua analisi degli stili di regolazione lo abbia più volte

messo di fronte alla necessità di specificare, sia in termini tecnici che legali, le

caratteristiche del peer-to-peer file sharing, senza limitarsi a presupporle. Il cono

d’ombra in cui sono posti il copyright e le sue forme di illegalità è, dunque,

espressione di quell’ignoranza delle condizioni che, giustamente, Lawrence

Solum e Minn Chung hanno posto tra gli errori di concetto delle politiche

tecnocratiche e di tutte le forme di intervento «in which there is uncertainty that

cannot be reduced to risk»103.

La riflessione zittrainiana si presenta, in conclusione, come un’importante

legittimazione giuridica della nuova governance di internet che non passa per

argomenti giuridici, ma per considerazioni extralegali di tipo emergenziale. Una

delle conseguenze di questo approccio è che al trusted system non si chiede

più il rispetto delle libertà civili e dei diritti costituzionali, ma di salvaguardare

l’ambiente generativo della rete, eventualmente riservandolo alle élite. In questo

modo, oltre al sacrificio di principi ordinamentali inviolabili agli occhi dei primi

studiosi di internet – ed in particolare dei costituzionalisti come Lessig –, l’ipotesi

regolativa di Zittrain riforma anche l’architettonica della rete e i suoi concetti

tecnologici primigeni, travolgendo la neutralità del net e la sua universalità.

Considerando questi aspetti, l’importanza di The Generative Internet risiede

non tanto nell’aver formulato un’analisi innovativa degli attuali problemi di

Internet governance, i cui temi erano già presenti, con le relative proposte di

soluzione, nel dibattito tecnologico degli anni ’90, ma nell’aver fuso in modo

originale un punto di vista favorevole all’incremento del controllo in internet con                                                             

102 Come si vedrà, le reti peer-to-peer non sono, infatti, soltanto il ricettacolo di copie pirata, ma anche archivi virtualmente completi di materiali rari o caduti nel pubblico dominio. Sul piano dell’innovazione tecnologica, inoltre, la superiore efficienza delle piattaforme distribuite fa si che ai problemi della scarsità di banda delle applicazioni commerciali della Tv e della telefonia su internet si risponda, attualmente, proprio con forme di peer technology.  103 L. SOLUM, M. CHUNG. "The Layers Principle: Internet Architecture and the Law", cit., p. 34. Il tsesto complete è citato a p. 73. 

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

114

il patrimonio critico della cyberlaw e la sua consapevolezza dell’effetto

generativo delle architetture aperte. Ai nostri fini, la riflessione svolta

complessivamente da Zittrain, ha fornito una panoramica di argomentazioni

esemplare di un governo dei conflitti cibernetici che traduce l’incertezza in fattori

di rischio, legittimando una riforma di internet fortemente controversa.

33..33 NNeett sseeccuurriittyy:: ll’’oorrddiinnee ddeell ddiissccoorrssoo

33..33..11 LLaa ccoossttrruuzziioonnee ddeell ccyybbeerrccrriimmee

Taken individually, each risk may have a rational aetiology and can be reasonable explained, anticipated and acted upon.

Taken as a cumulative and complex phenomenon, risk became apocalyptic.

J. Van Loon104

«Fear, Uncertainty and Doubt (FUD)», con questa espressione un quadro

IBM ha sintetizzato le tattiche di marketing della compagnia, volte a ridurre la

fiducia dei clienti nelle tecnologie concorrenti105. Secondo il criminologo

canadese Stéphane Leman-Langlois, la produzione dell’insicurezza cibernetica

nel discorso pubblico presenta forti affinità con questo modello agonistico

d’offerta commerciale. A suo avviso, infatti, il concetto di cybercrime106, con il

quale un network di attori istituzionali e non istituzionali produce l’incertezza

digitale, può essere equiparato al FUD IBM: un «puzzle formé de pièces

hétéroclites produisant une image distordue dans laquelle il est de plus en plus

difficile de différencier la réalité de la fiction»107. Leman-Langlois stigmatizza, in

questo modo, la povertà concettuale di una formula tecnologica e mediatica

che, con sempre maggiore frequenza, compare in ambito giuridico ad indicare i

comportamenti illegali posti in essere attraverso il computer108.

La critica del giurista è diretta, in particolare, al recepimento nel diritto

dell’omologazione informatica degli illeciti, nella quale la denominazione

sintetica di crimine digitale assimila una pluralità di fenomeni giuridicamente

                                                            

104 J. VAN LOON. Risk and Technological Culture, London: Routledge, 2002, p. 2. 105 S. LEMAN-LANGLOIS. "Le crime comme moyen de contrôle du cyberespace commercial”, cit., p. 1. 106 Negli Stati Uniti si preferisce il termine computer crime. 107 Ibidem 108 Ibid.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

115 

eterogenei109. È chiaro, infatti, che se, in ambito tecnologico, il ricorso alla

nozione generale di “incidente informatico” si giustifica con l’eziologia unitaria di

questo genere di crisi e con l’omologia delle misure di contrasto - entrambe

legate al funzionamento del codice -, il loro impiego in ambito giuridico

comporta l’unificazione concettuale di fenomeni inconfrontabili, definiti da

intenzioni criminali differenti e da differenti potenzialità d’offesa.

Secondo lo studioso, un’eterogeneità di tale ampiezza, prodotta sia dalle

forme assunte dall’illecito informatico che dalla diversità dell’ambiente digitale

rispetto allo spazio convenzionale, rende la nozione di cybercrime un nonsenso

giuridico, funzionale alla generica individuazione del rischio digitale in sede

mediatica, quanto gravemente inadatta alla corretta costruzione dei profili

criminologici telematici, stante che «ni les motifs, ni les moyens employés, ni les

dommages, ni les cibles, ni les victimes sont comparables à ceux des délits

conventionnels [...]»110. Tale nozione appare, perciò, al giurista come una

categorizzazione che risponde ai bisogni specifici del discorso pubblico su

internet, cioè come un mitologema impossibile comprendere senza tener conto

degli imperativi commerciali e del timore sociale indotto da una cattiva

comprensione delle caratteristiche dell’informazione, mentre, dal punto di vista

scientifico, «il est fort probable qu’[…]elle se révélera à court ou à moyen terme

comme une impasse […] totale pour les criminologues»111.

Se il concetto di cybercrime non supera l’esame dello studioso, la

definizione giudica dei nuovi comportamenti digitali sembra esposta alle stesse

difficoltà. L’esempio paradigmatico di tali criticità è indicato da Leman-Langlois

proprio nel file sharing poiché, a suo avviso, se da un lato è impossibile

dimostrarne la dannosità sociale, dall’altro la sua criminalizzazione si presenta

esplicitamente, come un mezzo per «découper une identité de bon

consommateur maximisant son utilisation d’Internet payant»112 in un contesto

                                                            

109 Un’elencazione, necessariamente incompleta, degli illeciti informatici include la diffusione di virus, lo spam (invio di posta indesiderata), il phishing (truffa informatica, particolarmente in ambito bancario), il defacement (cancellazione dei contenuti o deturpamento di una pagina web) l’attacco DOS ai server (azione informatica volta a bloccare il funzionamento di un server inondandolo di richieste di servizio, eventualmente grazie all’azione distribuita di più computer - DDOS), l’intrusione informatica (violazione dei divieti di accesso e perturbamento del funzionamento normale di un sito), il furto d’identità, l’ingiuria e la diffamazione elettroniche, l’apologia di reato via internet, la diffusione di materiale pedopornografico, lo spionaggio informatico, l’infrazione al copyright. 110 Ivi, p. 9. 111 Ivi, p. 12. 112 Ibidem

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

116

che rende quasi impercettibili le differenze tra le forme della disponibilità dei

beni, chiaramente distinguibili nello spazio fisico tra ciò che è in vendita, in

prestito, abbandonato o donato113. Includendo il file sharing tra i profili criminali,

si tenta, dunque, «de produire une cassure radicale entre l’usage encouragé et

l’usage possible qui, dans le cyberespace, n’existe tout simplement pas»114. Per

tale ragione, la fattispecie giuridica del furto in internet appare all’autore assai

debole, visto che in un ambiente in cui la nozione di proprietà si rapporta

esclusivamente all’informazione copiata, scambiata o modificata, «l’opportunité

criminelle n’est plus rien d’autre que le revers de l’opportunité commerciale»115.

Con ciò l’autore mostra come, trasferita sul piano digitale, la nozione di furto si

circondi d’ambiguità, ma anche come tale ambiguità sia il prodotto della

contraddizione in res tra una legge modellata su un’equivoca analogia con il

mondo materiale e le caratteristiche di una rete telematica costruita per

condividere, rendere disponibili e distribuire contenuti informativi.

Come l’autore osserva in Theft in the Information Age, la reciproca

implicazione tra accesso legittimo e accesso illegale ai beni digitali, stride

particolarmente con il profilo di reato costruito nel contesto americano, che

tende ad inquadrare il file sharing nella fattispecie dell’attività intrinsecamente

delittuosa (malum in se), piuttosto che in quella di un crimine che è tale in

quanto proibito (malum prohibitum)116. Attraverso tali considerazioni, Leman-

Langlois sottolinea, per contrasto, come la criminologia attraversi una fase di

rinnovamento del proprio paradigma che la spinge a rivedere alcuni dei propri

assunti autoevidenti, tra i quali quello che «a theft is a theft is a theft»117,

tautologia implicita nel principio formale che fa dell’illegalità la ragione per cui

un certo tipo di appropriazione è proibito118. Ed è proprio nel contesto di questo

                                                            

113 Un esempio di confusione ingenerata dal mezzo elettronico è riportata da Luca Neri: « Una ventunenne newyorkese che studia a Londra, mi dice che lei scarica musica con Acquisition, un servizio che reputa legittimo, visto che il software le mostra di frequente una finestrella che le chiede di pagare una piccola cifra (lei si limita a chiudere la popup, cliccando sul bottone che dice "Ricordamelo in seguito") […] le spiego che Acquisition non è nient'altro che un'interfaccia per accedere al network p2p Gnutella, e che la richiesta di pagamento riguarda l'uso del software, e non certo l'acquisto della musica […] insomma le spiego che sta facendo pirateria […]. L. NERI, La baia dei pirati, Roma: Banda Larga, 2009, pp. 46-47. 114 Ibidem 115 Ibid. 116 S. LEMAN-LANGLOIS. “Theft in the Information Age. Technology, Crime and Claims-Making”, Knowledge, Technology and Policy, 17, 3-4, 2005, p. 162; http://www.crime-reg.com/textes/theftinformationage.pdf. 117 Ivi, p. 140. 118 Ibidem

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

117 

ripensamento epistemico che si osserva, secondo lo studioso, come la potenza

evocativa di un concetto come quello di cybercrime agisca sull’evoluzione della

legge penale, invertendo il tradizionale rapporto tra cambiamento sociale e

mutamento normativo:

Ordinarily, criminal law moves slowly and tends to follow, rather than lead, moral panics and spectacular incidents; it is rarely at the vanguard of social transformation. In this case, it would seem that, at least in the US and to a somewhat lesser degree in Europe, the law has grossly outpaced the widespread opinion that file sharing and copyright infringement by individuals is a relatively innocuous activity. In Durkheim’s words, here criminal law attempts to transform the collective conscience instead of representing it119.

La riflessione di Leman-Langlois fa così rilevare come in un quadro di

significative divergenze tra la percezione sociale del file sharing e la sua

categorizzazione giuridica, la legge agisca come un elemento decisivo

dell’incriminazione di pratiche diffuse che non risponde a un allarme sociale ma

piuttosto lo generi, interpretando in modo estensivo la sua funzione di strumento

di governo in un contesto di transizione che incontra le esigenze della grande

industria.

Esaminando l’uso della nozione di computer crime in The Generative

Internet, un testo, a nostro avviso, cruciale per la comprensione dell’evoluzione

della cyberlaw e della nuova governance di internet, si può notare come

Leman-Langlois abbia colto un aspetto essenziale della costruzione del

dispositivo dell’insicurezza nell’ordine del discorso digitale. Lo scenario

postdiluviano con cui Zittrain descrive il declino dell’internet generativa

presuppone, infatti, che la catastrofe del controllo sia esito della reazione

regolativa a un’illegalità ingovernabile, situazione che il giurista dimostra proprio

illustrando dati relativi agli incidenti informatici120. L’articolo si presenta, in

questo modo, come un documento esemplare della categorizzazione

onnicomprensiva del rischio digitale stigmatizzata da Leman-Langlois, così

come della funzione assunta dal concetto di sicurezza informatica in un’ottica di

revisione dei fondamenti moderni del diritto.

Non è casuale, infatti, che l’intero impianto della teoria zittrainiana si

appoggi ai dati forniti dal Computer Emergency Response Team (CERT), un

istituto di ricerca della facoltà di ingegneria dell’Università di Carnegie Mellon, la                                                             

119 Ivi, p. 141. 120 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit, p. 2011.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

118

cui indagine aveva lo scopo di rilevare l’incidenza globale dell’insicurezza

cibernetica lungo l’arco di tempo 1988-2006. La simmetria tra l’argomento

zittrainiano dell’insostenibilità del computer crime e la rappresentazione grafica

del CERT appare evidente osservando come la curva dei dati corrispondenti al

periodo 2000-2004 si impenni verticalmente, tanto che il grafico si conclude con

i rilievi del 2004, dopo i quali gli incidenti diventano talmente «commonplace

and widespread as to be indistinguishable from one another»121.

Staremmo, dunque, attraversando una fase della storia di internet, nella

quale l’ampiezza del rischio informatico è divenuta irrappresentabile, né

l’evidenza è scalfita dal fatto che i dati raccolti mettono a confronto universi

statistici passati, dal 1988 al 2006, dalle decine di migliaia a quasi un miliardo di

unità122. Dovremo prendere atto che la fine del mondo è arrivata e non ce ne

siamo accorti, ha commentato Lessig, ma prima dovrebbe esserci spiegato

perché, se la situazione è tale, non abbiamo avuto notizia di milioni di hard disk

cancellati dai virus e del blocco mondiale delle telecomunicazioni123. Sorprende,

però, la fragilità di questo appello del giurista al principio di realtà, specie se

confrontata con la potenza retorica dell’argomentazione zittrainiana124. E

sarebbe, forse, altrettanto ingenuo vedere nel disinvolto approccio alla statistica

del professore di Harvard un errore scientifico o il caso isolato di un uso

ideologico dei dati. Come ha osservato Leman-Langlois, la semplificazione del

cybercrime e la stimolazione del moral panic sono elementi di un modello

epistemico sempre più frequentato dalla giurisprudenza e hanno, dunque,

ragioni più profonde125.

Ciò che l’atteggiamento intellettuale di Zittrain e di una nuova generazione

di cybergiuristi pone in rilievo, sono, infatti, le caratteristiche emergenti di un

modus operandi accademico in cui l’utilizzo trasversale delle fonti, l’assunzione

nel diritto della nozione di stabilità informatica e l’interiorizzazione dell’approccio

problem solving del commercio, rappresentano gli elementi di spicco di una

tendenza che ha già prodotto visibili effetti negli studi legali, come mostra la

                                                            

121 Ibidem. 122 Il miliardo di computer connessi ad internet è stato, infatti, superato nel 2008. 123 L. Lessig. Codev2, cit., p. 91. Il paragrafo Z-theory è dedicato a The Generative Internet. 124 Ibidem.  125 Si rinvia per approfondimenti al paragrafo 4.2 Lex informatica come stato d’eccezione, interamente dedicato alla tematica.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

119 

fisionomia aggiornata della neonata computer forensics126. La crisi di

fondamento della legge e il sacrificio dell’approccio costituzionale alla vita

digitale consumati ad Harvard andrebbero, perciò, letti a partire dall’incontro del

diritto con le lyotardiane tecnoscienze, di cui il declino del metodo porta alla

luce le aberrazioni – nel senso propriamente evolutivo del termine. Infatti,

quando la pragmatica del sapere scientifico si sostituisce ai saperi tradizionali,

non si tratta più di provare la prova ma di amministrarla, spostando sul terreno

della performatività il problema della validità delle fonti o della fedeltà al dato di

realtà127. Come si legge ne La condition postmoderne,

[…] en augmentant la capacité d’administrer la preuve, augmente celle d’avoir raison : le critère technique introduit massivement dans le savoir scientifique ne reste pas sans influence sur le critère de vérité. On a pu en dire autant du rapport entre justice et performativité: les chances qu’un ordre soit considéré comme juste augmenteraient avec celles qu’il a d’être exécuté, et celles-ci avec la performativité du prescripteur128.

Se questa è la tendenza storica indicata dalla filosofia, la crisi del

cyberdiritto non potrebbe essere compresa senza l’analisi locale delle sinergie

in cui si produce la presa del discorso tecnocratico sulla realtà digitale. Infatti,

«ni science, ni fantasme, le discours dominant est une politique, c’est-à-dire un

discours puissant, non pas vrai, mais capable de se rendre vrai […]129. La

ragione per cui il lavoro di Zittrain appare, dunque, così innovativo ed influente

e, per contrasto, le repliche dell’ortodossia giuridica così poco incisive, è

perché, indipendentemente dalle sue falle argomentative, il gioco linguistico del

professore di Harvard si legittima «par la puissance [qui] n’est pas seulement la

bonne performativité, mais aussi la bonne vérification et le bon verdict»130.

33..33..22 II lluuoogghhii nneeuuttrrii ddeellllaa ssiiccuurreezzzzaa ddiiggiittaallee

33..33..22..11 IIll BBeerrkkmmaann CCeennttrree

C’est l’aboutissement de ce (long) cheminement que l’on a voulu présenter ici, en respectant […] la logique qui préside à la formation

                                                            

126 Con questo termine si allude al sottodominio giuridico dedicato alle «nuove frontiere dell'investigazione, [ai] nuovi strumenti di indagine, [alle] figure interessate, [alle] vittime consapevoli e inconsapevoli, ma soprattutto [al]l'arte dell'indagine nello sconfinato universo binario»; http://www.cibercrime.it. 127 J.-F. LYOTARD. La condition postmoderne, Paris: Les Éditions du Minuit, 1979, p. 77. 128 Ivi, p. 76. 129 P. BOURDIEU, L. BOLTANSKI. La production de l’idéologie dominante, ed. cit., p. 94. 130 J.-F. LYOTARD. La condition postmoderne, op. cit., p. 77.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

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des lieux neutres, ces laboratoires idéologiques où s’élabore, par un travail collectif, la philosophie sociale dominante.

P. Bourdieu, L. Boltanski131

La battaglia zittrainiana per la riforma del discorso sulle architetture, ci

invita, così, ad addentrarci in quella zona «à l’intersection du champ intellectuel

et du champ du pouvoir»132, nella quale le dispute teoriche per l’egemonia in un

campo del sapere intercettano le altre fonti di produzione della Net security,

dove una serie di soggetti pubblici e privati si coordina per elaborare i principi

comuni della difesa digitale.

Si tratta dei dibattiti tecnologici del trusted system e dell’internet

enhancement, a cui si è già accennato limitandoci ad osservarne l’influenza

sulla teorizzazione cyberlaw. Ridotti all’essenza, questi forum di coordinamento

tecnologico sono discussioni ingegneristiche che si sviluppano nei consorzi

industriali e nelle task force dell’Internet Architecture Board (IAB) – le cui

principali équipe di ricerca sono l’Internet Engineering Task Force (IETF) e

l’Internet Research Task Force (IRTF)133. Intese estensivamente, queste

formazioni discorsive hanno, una morfologia decisamente più articolata che

tocca tutti i livelli d’attività delle entità istituzionali, quasi-istituzionali e non

istituzionali che finanziano la ricerca, pianificano la sicurezza informatica,

raccolgono dati, amministrano sistemi informatici ed esercitano reciproca

influenza. Ciò di cui può dare un’idea la voce Coordinated Reponse del CERT

che sintetizza in poche battute la formazione orizzontale delle policies contro il

cybercrime:

When computer security incidents occur, organizations must respond quickly and effectively. CERT supports the development of an international response team community by helping organizations build incident response capability and by developing a commonly used infrastructure of policies, practices, and technologies to facilitate rapid identification and resolution of threats. CERT also improves the national cyber response and readiness capability and builds international computer security information exchange and collaborative analysis capabilities. CERT enhances the ability of organizations in government and industry to protect themselves from attack

                                                            

131 P. BOURDIEU, L. BOLTANSKI. La production de l’idéologie dominante, ed. cit., p. 17. 132 Ivi, p. 12. 133 Come nota Paul David, lo stesso IETF è oggi articolato in più di 100 gruppi di lavoro che coprono 8 delle 10 aree funzionali della reingegnerizzazione di internet. P. A. DAVID. “The Beginnings and Prospective Ending of ‘End-to-End’: An Evolutionary Perspective On the Internet’s Architecture”, cit., p. 11.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

121 

and limit the damage and scope of attacks134.

Navigando tra i nodi di queste reti così eterogenee, si percepisce

nettamente come l’attivismo della sicurezza informatica innervi e attraversi per

intero la cultura digitale. Con le iniziative del Berkman Center e il lavoro del

laboratorio tecnologico del MIT o dello stesso CERT l’università americana

presidia, infatti, tutti gli obiettivi di un efficace politica di intervento contro il

disordine digitale, costruendo sapere, facendo campagna civile, mobilitando le

comunità e coordinando il mondo digitale contro il software malevolo e la

censura telematica. In questo modo, mentre gruppi di lavoro come l’IETF e il

CERT interloquiscono con le imprese, le amministrazioni e gli altri laboratori di

ricerca sviluppando le misure e le strategie operative del controllo telematico,

Harvard si profonde sia in attività di elaborazione teorica (OpenNet) che in

progetti divulgativi come Stop-Badware ed Herdict Web, pensati come

campagne di sensibilizzazione contro il codice maligno e la sorveglianza

digitale.

Analizzare queste due iniziative fornisce molti elementi di comprensione

dell’attenta costruzione del consenso di cui il Berkman Center circonda la

propria attività istituzionale. Ciò che contraddistingue l’attività di questo centro di

ricerca non è, infatti, soltanto una produzione scientifica fortemente

condizionata in senso ideologico, ma anche, e soprattutto, la sua propensione a

operare direttamente in termini di regolazione disciplinare della vita digitale,

attraverso una stimolazione del moral panic che si avvale della teorizzazione

giuridica quanto della produzione di messaggi mediatici diretti al grande

pubblico. La costruzione del consenso a cui si dedicano le iniziative di Harvard

si cala, in questo modo, nelle condizioni postmoderne di legittimazione del

sapere, dove il libero accordo delle intelligenze habermasiano

est manipulé par le système comme l’une de ses composantes en vue de maintenir et d’ameliorer ses performances [et] fait l’objet de procedures administratives, au sens de Luhmann. Il ne vaut alors que comme moyen pour la veritable fin, celle qui légitime le système, la puissance135.

Stop-badware si presenta, così, come un sito che promuove la conoscenza

                                                            

134 Http://www.cert.org/work/coordinating_response.html. 135 J.-F. LYOTARD. La condition postemoderne, op. cit., p. 98.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

122

di ogni tipo di software intrusivo136, la cui presenza è giudicata da Zittrain così

diffusa e minacciosa da giustificare l’emergere negli utenti di una domanda di

sicurezza lesiva delle loro libertà. Scopo della campagna non è, però, di far

crescere la cultura informatica in quei less sophisticated users la cui

incompetenza figura tra i fattori di fragilità dell’internet generativa137, ma di

stimolarne la sensazione di insicurezza, mettendoli in guardia contro un pericolo

spesso sottovalutato e più dannoso di quanto comunemente percepito.

Applicando accuratamente la logica FUD, il sito segnala come siano gli utenti

più giovani e inesperti a correre i maggiori rischi di infezione informatica,

navigando su piattaforme come KaZaA o sui siti commerciali del download

gratuito che, «nelle attuali condizioni dell’architettura di rete», possono essere

sfruttati in combinazione con trojan ed altre minacce per lanciare attacchi mirati

alla sottrazione di dati personali138.  La campagna sottolinea, quindi, come il

codice maligno rappresenti un rischio concreto per l’utente che va ben al di là di

un fastidioso intralcio all’attività quotidiana. Si tratta, infatti, di «software that

fundamentally disregards a user’s choice regarding how his or her computer will

be used»139, in rapporto al quale nessun sito, per quanto affidabile, può dirsi

invulnerabile. Per questo è imperativo essere prudenti nella navigazione e,

soprattuto, «be skeptical of offers that seem too good to be true»140.

È con questi rinvii a ciò su cui ognuno conviene che il sito dispone il lettore

ad accreditare le sue informazioni come corrette e complete, così che

difficilmente il visitatore riesce a cogliere la sottile ironia contenuta nel

messaggio che il malicious code attenta alla sua autonomia. Non solo, infatti, è

noto che i rischi segnalati da Stop-Badware sono in parte il risultato di pratiche

                                                            

136 STOP-BADWARE, Berkman Center, Harvard,  http://stopbadware.org/home/index. Il software intrusivo si distingue, generalmente, in spyware, adware (definizioni a p. 69) e malware. Quest’ultimo comprende virus e worm informatici. 137 Si ricorderà che Zittrain imputa alla crescita dell’insicurezza negli utenti l’avvento di una razionalità in conflitto con il mantenimento delle architetture aperte, nella quale gli interessi di utenti, regolatori e industria tendono a convergere. Si veda la trattazione alle pp. 60-61. 138 I tre siti segnalati dal Report sono, oltre a KaZaA, SpyAxe, un falso software antispyware, MediaPipe, un download manager che offre l'accesso a contenuti multimediali e Waterfalls 3, un’utility screensaver. 139 STOP-BADWARE home page; http://stopbadware.org/home/index. 140 STOP-BADWARE. “Trends in Badware 2007. What internet users need to know”; http://www.stopbadware.org/home/research.  «Any website, no matter how trusted, can be vulnerable to attack»;«Badware can be hard to avoid even when you know what to look for»; «Be skeptical of offers that seem too good to be true».

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

123 

industriali che prevedono il rilascio di virus nelle piattaforme P2P141 - vale a dire

forme di guerilla commerciale di cui il Peer Piracy Prevention Act ha, peraltro,

proposto la legalizzazione142 -, ma se si confronta l’azione del badware con

quella delle misure di controllo considerate benigne ed auspicate da Zittrain,

non si riscontrano significative differenze sia nel funzionamento di tali

programmi che nelle loro finalità, le quali rispondono, in entrambi i casi, al

principio maligno dello spossessamento dell’utente di opzioni d’uso delle

applicazioni, della presa di controllo sulle comunicazioni e dell’intromissione di

volontà commerciali nelle attività quotidiane degli users.

La ragione per cui i sistemi trusted sono stati definiti come ambienti «that

can be trusted by outsiders against the people who use them»143 è, infatti,

perché sintetizzano, in certo modo, gli effetti malware, spyware e adware del

codice maligno, di cui usano gli stessi principi, interferendo con il

funzionamento dei computer e sottraendo ai loro utilizzatori quei margini

d’azione che rendono il consumo digitale incompatibile con le licenze

commerciali. Se ciò appare abbastanza chiaramente nel funzionamento dei

lucchetti digitali (DRM) il cui fine è, appunto, quello di interdire alcuni usi dei

beni informatici, l’analisi di pacchetto a cui Zittrain si è detto favorevole non

sembra differenziarsi in modo significativo su questi aspetti. Lo si è osservato a

proposito del caso Phorm in cui, proprio grazie alle tecniche di snooping, le

compagnie telefoniche hanno agito come spyware, sottoponendo a

sorveglianza i consumatori, per poi riservare loro campagne pubblicitarie mirate

– ciò che configura questa tecnologia anche come adware144.

Alla luce di questa stringente affinità, la legittimazione zittrainiana del

controllo tecnologico sembra dunque sposare la tesi che, nell’impossibilità di

eliminarla, l’offesa cibernetica debba almeno essere concentrata in poche mani.

In questo modo, la proposta di affidare agli ISP il compito di filtrare i flussi

                                                            

141 Effettivamente, KaZaA è stato sia tra i siti più colpiti da aggressioni esterne, che una piattaforma commerciale incapace di finanziarsi senza ricorso agli adware. Di qui, infatti, la nascita di alternative come KaZaA Lite, KaZaA+ e KaZaA Gold. 142 J. S. HUMPHREY. “Debating the Proposed Peer-to-Peer Piracy Prevention Act: Should Copyright Owners be Permitted to Disrupt Illegal File Trading Over Peer-to-Peer Networks?”, North Carolina Journal of Law and Technology, 4, 2, June 2003; http://jolt.unc.edu/abstracts/volume-4/ncjltech/p375. 143 P. SAMUELSON. “DRM {and, or, vs.} the Law“, cit.. 144 L’esempio più appropriato di identità tra tecniche malware e finalità commerciali è il rootkit (software che dispone un controllo completo sul sistema senza bisogno di autorizzazione da parte dell’utente o amministratore) installato da Soni su alcuni Cd.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

124

informazionali, riecheggia in modo inquietante l’idea di un monopolio legittimo

della violenza che elide la differenza tra il Leviathan weberiano145 e una

governance orizzontale di attori non governativi che torna ad imporre le logiche

centralizzate del controllo statuale. È così, che una lettura sempre meno

cogente dei diritti e l’apparente neutralità del luogo comune che «il badware ci

toglie libertà», si rende funzionale proprio alla promozione di politiche liberticide

contrastate con vigore sempre minore in ambito cyberlaw.

Osservato da questo punto di vista, Herdict Web rende ancora più visibili le

ambiguità della neolingua harvardiana, poiché l’iniziativa, in questo caso

speculare al progetto Open Net146 e più vicina agli interessi di John Palfrey147,

sposta l’attività di legittimazione della Berkman theory sul terreno della censura

e della sorveglianza, temi che un polo di ricerca favorevole all’intervento dei

provider nel controllo della rete potrebbe trovare difficile da trattare. In questo

caso, il progetto verte sull’istituzione di una banca dati delle segnalazioni degli

utenti circa le interdizioni d’accesso ai siti web. Il principio di Herdict Web

consiste, infatti, nello sviluppo di uno strumento di crawdsourcing, capace di

rendere visibile la sorveglianza sulla comunicazione web based e di fornire agli

utenti i mezzi per verificare se i propri siti preferiti siano stati più o meno

accessibili in un periodo di riferimento o se le segnalazioni relative al proprio

paese indichino o meno la presenza di un’attività di censura148.

Come spiega il video illustrativo in cui, al suono di un tam tam tribale, una

pecorella mostra al gregge come usare e quali utilità ricavare dall’herdverdict

(neologismo portemanteau che sta per “verdetto del gregge”), su questa

piattaforma gli utenti possono verificare, in tempo reale, quali siti vengano

oscurati e, soprattutto, quante volte l’inibizione colpisca gli indirizzi IP del

proprio paese, respingendo le chiamate ad alcuni server. Lo strumento

permette di avere la mappa (settimanale, mensile, semestrale ed annuale) della

                                                            

145 Ci si riferisce,naturalmente alla concezione dello stato di Max Weber e al riconoscimento della sua origine violenta. M. WEBER. Economia e società, Milano: Edizioni di Comunità, 1995. 146 Il gruppo OpenNet ha svolto una ricerca sistematica sulla censura mondiale i cui risultati sono stati pubblicati in R. DEIBERT, J. PALFREY, R. ROHOZINSKY, J. ZITTRAIN (eds). Access Denied. The Practice and Policy of Global Internet Filtering, Cambridge: MIT Press, 2008. 147 J. PALFREY. “Reluctant Gatekeepers: Corporate Ethics on a Filtered Internet”, Global Information Technology Report, World Economic Forum, 2006-2007; http://ssrn.com/abstract=978507; R. FAREY, S. WANG, J. PALFREY. “Censorship 2.0”, 3, 2, ”, Innovations: Technology| Governance| Globalisation, 3, 2, Spring 2008, (pp. 165-187).  148 L’IP adress è un valore numerico che identifica ogni computer in accesso ad Internet. Un parte del numero rinvia alla localizzazione nazionale del pc.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

125 

sorveglianza telematica sui singoli siti o di una certa nazione, per cui,

impostando la ricerca for country si può constatare, ad esempio, come nella

settimana dal 16 al 22 marzo 2009, in Francia siano state segnalate 844

impossibilità d’accesso, mentre in Italia 297, con un dato che risente,

naturalmente, della conoscenza locale di Herdict Web e della propensione degli

utenti ad aggiornarlo.

Poiché si è in presenza di segnalazioni dirette degli utenti e non di una

rilevazione sistematica della sorveglianza del web, i dati rilevati dall’herdometro

permettono di fare scarse inferenze sullo stato della censura in una nazione o

della sorveglianza su certi siti. In proposito, se colpisce che nei due test

effettuati i siti che risultano più frequentemente indisponibili siano i portali P2P o

i siti usati dagli sharer per rendere anonimi i loro IP, l’utilità conoscitiva di

Herdict Web appare, nondimeno piuttosto blanda, poiché l’informazione diviene

significativa solo quando le cause dell’interdizione sono ben individuabili, ciò

che non è alla portata dei segnalatori149, e diventano persino illeggibili, se

messe a confronto con i casi di accesso effettuato con successo150. In breve,

solo procedendo ad una lettura comparata degli herdverdict con le tabelle

contenute nella ricerca Open Net, si può comprendere che in paesi come la

Francia e l’Italia l’inaccessibilità di alcuni siti è sintomo della sorveglianza

applicata al P2P151 e della censura di alcuni contenuti ritenuti oltraggiosi o

pericolosi, come i messaggi nazisti o islamisti152 - risultato poco sorprendente,

se si considera che una delle conclusioni di OpenNet è che «nearly every

society filters Internet content in one way or another»153.

Nonostante il suo scarso valore conoscitivo, le recensioni al sito sono state

molto favorevoli sia in Francia che in Italia - e ancor più in Germania e in                                                             

149 Nel saggio Measuring Global Internet Filtering, Robert Faris e Nart Villeneuve illustrano la varietà dei display dei siti bloccati, mostrando che la censura può avere diversi gradi di trasparenza e che molti messaggi di inaccessibilità sono manipolati per rendere invisibile la causa. R. FARIS, VILLENEUVE, “Measuring Global Internet Filtering”, in R. DEIBERT, J. PALFREY, R. ROHOZINSKY, J. ZITTRAIN (eds). Access Denied. The Practice and Policy of Global Internet Filtering, op. cit., pp. 16-18. 150 I due dati sono presentati affiancati : ad es. inaccessibile 10; accessibile 12. 151 Il 10 agosto 2008 The Pirate Bay ha annunciato che i provider italiani avevano bloccato l'accesso al sito su ordine del sostituto procuratore di Bergamo. Prima che il Tribunale di Bergamo accogliesse il ricorso di The Pirate Bay, revocando il provvedimento di sequestro preventivo (24 settembre 2009), il sito aveva comunque costruito un nuovo dominio (http://labaia.org) al fine di ristabilire la raggiungibilità da parte degli utenti italiani. 152 J. ZITTRAIN, J. PALFREY. “Internet Filtering: The Politics and the Mechanisms of Control”, in R. DEIBERT, J. PALFREY, R. ROHOZINSKY, J. ZITTRAIN (eds). Access Denied. The Practice and Policy of Global Internet Filtering, op. cit, p. 33. 153 Ivi, p. 43.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

126

Inghilterra – probabilmente perché si ritiene che qualunque iniziativa diretta alla

sensibilizzazione dei cittadini verso un tema così importante debba essere la

benvenuta. Tra le fonti esaminate154 l’articolo di Bernardo Parrella, apparso su

un importante rivista italiana di aggiornamento tecnologico, è tra quelli che

hanno dedicato il maggior spazio all’evento:

Ricorrendo all’apposito Herdometro, una mappa di Google aggiornata in tempo reale dalle ininterrotte segnalazioni degli utenti, Herdict Web aggrega e compara le segnalazioni sui siti oscurati, condividendone pubblicamente e in tempo reale risultati, diagrammi e variabili. Uno strumento pratico e collaborativo, nato in seno al Berkman Center for Internet & Society dell’Harvard University e coordinato da Jonathan Zittrain. Zittrain, autore di The Future of the Internet: And How to Stop It, segnalava proprio in questo libro come l’Internet generativa avesse ormai imboccato la strada verso il precipizio a causa dei blocchi imposti ai suoi cicli innovativi, dando così il via al ricorso a tecnologie di controllo o sorveglianza, spesso localizzate e invisibili alla maggioranza degli utenti155.

Come si vede, del sofisticato lavoro teorico di Zittrain ciò che viene

ricordato al lettore è l’allarme lanciato contro la chiusura dell’internet generativa,

percepito come perfettamente coerente con gli obiettivi di campagne civili come

Herdict Web - e descritto invertendo la causa (blocco dei cicli innovativi) e

l’effetto (avvio della sorveglianza). Ma più che nella recensione di Parrella,

l’efficacia auto-promozionale di queste iniziative risalta in un articolo dedicato a

Stop-Badware, in cui si osserva con maggior chiarezza come una stampa

conformista sappia mobilitare tutti i luoghi comuni digitali per valorizzare

iniziative che fanno appello all’impegno delle community contro i virus e al

lavoro dell’intelligenza collettiva per la creazione di strumenti di utilità comune.

Come si noterà, la notizia che Stop-badware è «finanziata da aziende del

calibro di Google» passa quasi per inciso nel discorso del giornalista che pone,

invece, la massima enfasi sull’atto di nascita dei BadwareBusters, i giustizieri

della rete:

                                                            

154 Recensioni francesi : Presse-citron.net : Http://www.presse-citron.net/herdictweb-laccessibilite-ou-la-censure-des-sites-web-dans-le-monde-en-temps-reel; L’Atelier : http://www.atelier.fr/blogues-sites/10/27022009/internet-communautaire-reseau-social-herdict-web-navigation-accessibilite-37901-.html; CinqPointZéro : http://cinqpointzero.com/herdictweb-testez-l-accessibilite-de-votre-site-web/; recensioni italiane : B. PARRELLA. “Herdict. La mappa mondiale della censura”, Apogeonline, 10 marzo 2009; http://www.apogeonline.com/webzine/2009/03/04/herdict-la-mappa-mondiale-della-censura. Oltre all’articolo di Parrella, la notizia è stata ampiamente commentata nella blogosfera italofona ed è rimbalzata attraverso diversi aggregatori . 155 B. PARRELLA. “Herdict. La mappa mondiale della censura”, cit..

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

127 

La rete chiama a raccolta gli utenti per unirsi ed informarsi a vicenda contro virus e malware: questo l'obiettivo di BadwareBusters, community nata dal lavoro di StopBadware, associazione non profit finanziata da aziende del calibro di Google il cui scopo è quello di segnalare la presenza di codice malevolo su siti e applicazioni web-based. La nuova community, introdotta in collaborazione con Consumer Reports WebWatch e finanziata dal Berkman Center dell'Università di Harvard sembra voler fare della semplicità il suo punto di forza: il sito è strutturato come un forum di discussione in cui gli utenti possono confrontarsi, portare le loro esperienze e pronunciarsi su qualsiasi aspetto relativo alla sicurezza informatica sul web156.

Così come Herdict Web si presenta come un’efficace vetrina per ciò che

delle attività di Harvard merita di essere divulgato, ovvero come uno spazio di

visibilità funzionale all’esaltazione del piano di legittimità dell’impianto

zittrainiano – e, dunque, al parallelo occultamento dei contenuti che

necessitano di legittimazione -, il plauso generale che circonda l’appello alla

vigilanza sul badware, illustra meglio di qualsiasi altro aspetto come la

sensibilizzazione della società civile al tema dell’intrusione informatica sia il

miglior veicolo promozionale del trusted system e sappia insinuare nel senso

comune della rete tutto il senso dell’inevitabilità, se non della desiderabilità, del

controllo sulle telecomunicazioni.

Se ne trova conferma navigando tra le pagine dedicate al Trusting

Computing da un sito storico della contestazione digitale come quello

dell’Electronic Frontier Foundation, dove si può solo constatare quanto questa

penetrazione sia profonda e sappia adattare al marketing della sicurezza gli

argomenti più persuasivi d’ogni tempo. L’estensore dell’articolo Meditations on

Trusted Computing ricorre, ad esempio, alle Meditationes de prima philosophia

per segnalare l’analogia esistente tra la volontà hacker e il demone cartesiano,

ed evidenziare come, nel momento in cui un software malevolo assume il

controllo del nostro pc, ci troviamo nella stessa condizione di inaffidabilità del

senso empirico descritta dal filosofo, tanto che ci è impossibile valutare se

persino il nostro firewall non sia in realtà un pericoloso virus che modifica i

comandi del sistema a nostra insaputa. Ironicamente, il commentatore fa notare

come il problema sarebbe avvertito con particolare acutezza dall’industria hi-

tech ed avrebbe spinto Microsoft, Intel e AMD a dar vita al Trusted Computing

Group al fine di sviluppare sistemi informatici capaci di difendersi dalle                                                             

156 V. GENTILE. “Una community per difendersi dal malware”, Punto informatico, 19 marzo 2009, http://punto-informatico.it/2579856/PI/News/una-community-difendersi-dal-malware.aspx.

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128

intrusioni. L’articolo sottolinea, in proposito, che i vantaggi offerti dalle

piattaforme affidabili potrebbero comportare l’attribuzione di un forte potere

contrattuale alle compagnie produttrici le quali, «in condizioni di squilibrio del

mercato e di controllo monopolistico da parte di un attore commerciale»,

potrebbero costringere i clienti in possesso di hardware sicuro ad istallarvi solo

alcuni applicativi, o a non cambiare fornitore, pena il blocco del proprio sistema.

Dopo aver illustrato i ricatti a cui il consumatore potrebbe essere sottoposto una

volta adottato un sistema trusted, il commentatore conclude che, come ogni

tecnologia, anche quella sviluppata dal Trusted Computing Group può essere

usata sia a scopo benefico che per danneggiare le persone e come, dunque,

sia necessario essere vigili ed applicare uno sguardo critico verso tali

innovazioni157.

Articoli come questo si trovano affiancati, nel sito dell’EFF, a pagine di

cronaca e commento dedicati alle iniziative contro il Broadcast Flag Provision o

allo sviluppo di Longhorn, con le quali si tengono informati i lettori degli sviluppi

delle proprie campagne e si segnala con soddisfazione come Microsoft abbia

impedito ad Hollywood di condizionare eccessivamente lo sviluppo del nuovo

sistema operativo (poi commercializzato come Vista) con la richiesta di un

sistema di cifratura dei video, giudicato dalla casa di Redmond eccessivamente

costoso158. La percezione che si ricava dalla navigazione in questo contesto

comunicativo, è che al lettore dell’house organ dell’EFF sia fornita la

confortante convinzione che applicare la vigilanza auspicata dal commentatore

cartesiano per spingere il commercio verso politiche corrette, consista nel

tenersi aggiornati leggendo un sito critico e diffidare della pubblicità. Il trusted

system è, infatti, presentato come una tecnologia essenzialmente neutrale e,

come tale, suscettibile di uso corretto, ciò che lo differenzia in massimo grado

dal Broadcast Flag, percepito, al contrario, come intrinsecamente liberticida.

Tali critiche, solo in apparenza attente ad accurate, spingono così, i netizens a

concedere credito all’introduzione di alcune misure di controllo, considerate

differenti o, comunque, meno insidiose del detestato dispositivo capace di

ridurre internet ad un televisore.                                                             

157 EFF. “Meditations on Trusting Computer”, may 2004; http://www.eff.org/wp/meditations-trusted-computing. 158 EFF. “Your General-Purpose PC --> Hollywood-Approved Entertainment Appliance”, august 2005; http://www.eff.org/deeplinks/2005/08/your-general-purpose-pc-hollywood-approved-entertainment-appliance.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

129 

Sembra evidente, perciò, come questa fitta rete di formazioni discorsive

stia spostando sul tema della sicurezza l’agenda digitale, dominata fino a poco

tempo fa dalle polemiche lessighiane sul copyright esteso159. È, infatti,

soprattutto in virtù della popolarità di quelle critiche che si spiega il clima di

pubblica ostilità che ha circondato il varo di iniziative commerciali quale,

appunto, il Trusted Computing Group, una sinergia internazionale che, dal

2004, finalizza gli investimenti delle principali imprese hi-tech nella ricerca sui

sistemi affidabili e nello sviluppo di piattaforme tecnologiche compatibili con tale

obiettivo160. Benché faccia uso di strategie di comunicazione attente alla

rassicurazione dei consumatori, l’immagine di questo consorzio industriale

risente, infatti, pesantemente, della diffidenza verso le politiche dei grandi

gruppi promossa dalla cyberlaw, non meno che delle conseguenze delle

campagne di dissuasione del P2P con le quali i colossi dell’entertainment,

sostenuti con discrezione dalle imprese ICT, avanzavano, fino a qualche anno

fa, richieste di risarcimento iperboliche agli utenti statunitensi incriminati per

copyright infringement.

33..33..22..22 IIEEEEEE,, IIEETTFF

Non sorprende, dunque, che un efficace supporto ad iniziative così

impopolari venga spesso dagli studi e dai documenti blandamente critici

dell’associazione degli ingegneri (Institute Electrical and Electronics Engineers -

IEEE) nei quali, di norma, si ribadisce l’idea che le misure trusted debbano

essere saggiamente calibrate e non eccedenti i fini della pubblica utilità161. La

moderazione e l’equilibrio che contraddistinguono questi interventi, tesi a

promuovere l’ideale di un controllo tecnologico ragionevole, efficiente e limitato

alla tutela dei consumatori, rappresentano, in effetti, gli ingredienti indispensabili

di certificazioni che la comunità degli ingegneri rivolge soprattutto a se stessa,

rinforzando e riproducendo nell’élite tecnologica le convenzioni accreditate sulle

misure di sicurezza. Come notava Bourdieu, l’imprimatur tecno-scientifico

                                                            

159 Si veda il paragrafo 3.1 Il dibattito americano sull’extended copyright. 160 TRUSTING COMPUTING GROUP è la nuova denominazione della Trusted Computing Platform Alliance (TCPA) ed riunisce in consorzio AMD, Hewlett-Packard, IBM, Infineon, Intel, Microsoft, e Sun Microsystems; https://www.trustedcomputinggroup.org/home. 161 IEEE Explore. “Trusting Computing in Context”, March-April 2007; http://ieeexplore.ieee.org/xpls/abs_all.jsp?arnumber=4140981.

Page 141: TESI COMPLETA

3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

130

perderebbe, infatti, ogni efficacia se non rispettasse i canoni della «parade

permanente de l’objectivité e de la neutralité» con la quale i discorsi specialistici

mettono in scena loro autonomia,

parce que leur pouvoir proprement politique de dépolitisation est à la mesure de leur capacité d’imposer l’illusion de leur indépendance par rapport à la politique et de dissimuler que les juges sont aussi partie162.

Valorizzando la razionalità e l’efficacia dei sistemi trusted, l’’IEEE offre, così,

il supporto di una struttura retorica consolidata al dispositivo disciplinare della

Net security, legittimando misure di controllo delle quali si sforza di occultare la

genesi commerciale. Ma, se gli interventi ospitati dal sito dell’associazione si

ispirano a questa terzietà, discutendo di misure che potrebbero essere

altrimenti e di strumenti da modulare attentamente, basta spostarsi sui

commentari dei tecnici impegnati nella revisione degli standard di internet (IAB,

IEFT) per osservare, al contrario, come la riflessione interna degli ingegneri

presupponga e interroghi la consapevolezza del loro ruolo di legislatori del Net,

attraverso cui sono chiamati a farsi carico delle tensioni dell’arena pubblica e a

sviluppare le soluzioni ritenute idonee dal marketplace. In questo modo, mentre

il cyberdiritto assorbe quasi insensibilmente un approccio che tende a superare

la distinzione tra uso legittimo e semplice monopolio della forza163, nei laboratori

dell’Internet enhancement l’inevitabilità dell’adesione al punto di vista

commerciale è esplicitamente teorizzata. Ne è esempio la request for

comments 3724 dell’Internet Architecture Board, nella quale i due ingegneri

proponenti si interrogano sul futuro dell’end-to-end in considerazione delle

pressioni potenti e reali del mercato:

Does the end-to-end principle have a future in the Internet architecture or not? If it does have a future, how should it be applied? Clearly, an unproductive approach to answering this question is to insist upon the end-to-end principle as a fundamentalist principle that allows no compromise. The pressures described above are real and powerful, and if the current Internet technical community chooses to ignore these pressures, the likely result is that a market opportunity will be created for a new technical community that does not ignore these pressures but which may not understand the implications of their design choices. A more productive approach is to return to first principles and re-examine what the end-to-end principle is trying to accomplish, and then update our definition and

                                                            

162 P. BOURDIEU. L. BOLTANSKI. La production de l’idéologie dominante, ed. cit., p. 116. 163 PLATONE. Repubblca, I, 13, 338 c.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

131 

exposition of the end-to-end principle given the complexities of the Internet today164.

Come si vede, è opinione dei tecnologi che sia impossibile sottrarsi ad un

compito, come la reingegnerizzazione del design, ritenuto imprescindibile e

strategico dagli operatori economici, salvo rischiare di vedere aggiornati i propri

organici con l’immissione di figure gradite alle imprese che potrebbero ignorare

anche le ricadute più negative dell’operazione. Scongiurare questi rischi

richiede, dunque, di assumere la responsabilità della revisione dell’end-to-end

che nella visione dei due ingegneri coincide non tanto con la sua soppressione

e con la gestione delle relative conseguenze, quanto con l’aggiornamento della

definizione e dell’esposizione tecnologica dell’assioma. Si ipotizza, così, che i

fini attualmente incorporati nel codice possano essere perseguiti

congiuntamente agli obiettivi industriali, con un’operazione che porta sul piano

delle specificazioni tecniche la stessa eufemizzazione dell’abolizione della

neutralità praticata da Zittrain in sede giuridica.

Questo tentativo di conciliare istanze contraddittorie non sembra, però,

attenuare il diffuso disincanto che serpeggia tra gli ingegneri di internet, la cui

ragione più tangibile risiede senza dubbio nella composizione degli organismi

che governano la transizione tecnologica. Sia nell’IAB che nelle sue task force,

la presenza degli ingegneri delle imprese hi-tech e delle telco è, infatti,

maggioritaria – oltre che in posizione stratetica -, come si può notare dalla

visualizzazione della struttura attuale dell’Internet Engineering Task Force165:

Per Paese USA 173 membri 71% Paesi OECD 56 membri 21% Pesi emergenti 13 membri 6%

Per stakeholder Governi 9 membri 4% Settore privato 189 membri 78% Computer 100 membri 41% Telco 75 membri 31% Altro 15 membri 7% NGO 14 membri 6% Ricerca 26 membri 11%

                                                            

164 NETWORK WORKING GROUP. “Request for Comment 3724. The Rise of the Middle and the Future of End-to-End: Reflections on the Evolution of the Internet Architecture”, march 2004; www.faqs.org/rfcs/rfc3724.html. 165 Fonte: ISOC-Italia; http://www.isoc.it.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

132

Le proposte elaborate all’interno di queste équipe sono, inoltre, sottoposte alla

supervisione dell’Internet Engineering Steering Group (IESG), un organismo di

standardizzazione internazione i cui vertici sono composti, oltre che dal

presidente e dal direttore esecutivo dell’IETF, da ingegneri delle imprese ICT

che vi intervengono in qualità di responsabili d’area (AD) della stessa IETF166,

nonché da consulenti dell’Internet Assigned Number Authority (IANA),

un’authority, emanazione dell’Internet Corporation for Assigned Names and

Number (ICANN) che, nonostante le critiche internazionali, è ancora sotto il

diretto controllo del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti.

Per comprendere l’influenza esercitata dai responsabili d’area nella

formazione degli standard, si può prendere visione della pagina The Tao of

IETF: A Novice's Guide to the Internet Engineering Task Force del sito ufficiale

dell’IETF, nella quale è fornita una descrizione semi-seria della considerazione

in cui è tenuta la parola dell’AD, paragonata per potenza ieratica al verdetto di

un’entità divina:

Because the IESG has a great deal of influence on whether Internet-Drafts become RFCs, many people look at the ADs as somewhat godlike creatures. IETF participants sometimes reverently ask Area Directors for their opinion on a particular subject. However, most ADs are nearly indistinguishable from mere mortals and rarely speak from mountaintops. In fact, when asked for specific technical comments, the ADs may often defer to IETF participants whom they feel have more knowledge than they do in that area167.

Questa illustrazione che, attraverso un registro informale, valorizza il clima

di concordia di un’organizzazione che rispetta il merito e l’eccellenza

professionale, permette di dedurre che, nonostante molti direttori d’area si

considerino schiettamente mortali ed evitino di evangelizzare gli ingegneri a loro

credo, è consuetudine acquisirne il parere prima di dare pubblicità alle proposte

tecniche. Queste, infatti, circolano per sei mesi, trascorsi i quali, se non

integrate e recepite, decadono senza raggiungere lo status di RFCs – ovvero di

standard adottabili dall’IESG168 - vanificando l’intervento dell’ingegnere

proponente. Si evidenzia, in questo modo, come il lavoro della task force

imprima una trasformazione fondamentale anche allo strumento, orizzontale per                                                             

166 L’appartenenza alle diverse imprese è spesso indicata a fianco di ciascun nome o è desumibile dall’indirizzo di posta elettronica indicato da questi membri. 167 Http://www.ietf.org/tao.html#anchor4. 168 Ibidem

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

133 

eccellenza, della request for comments, svuotandolo del significato originario

nella trasposizione in un nuovo assetto organizzativo. L’effetto ironico di un

ritorno del rimosso nella scrittura del webmaster illumina, così,

immediatamente, come, anche al livello microfisico dell’attività di ricerca, il

parere dell’impresa eserciti un ruolo egemone nell’orientare l’Internet

enhancement, in un contesto in cui la configurazione gerarchica dell’IETF si

mostra di per sé sufficiente a disciplinare il dibattito tecnico.

Ciò non resta impredicato nel discorso degli ingegneri. È, infatti, frequente

imbattersi in documenti ufficiali dell’IETF in cui si incoraggiano i tecnici ad

esporre liberamente le loro proposte rifiutando il disfattismo che vuole «tutto già

deciso dall’industria»169, o in presentazioni che sentono il bisogno di affermare

che «IETF members are people. As opposed to Nations or Company»170:

excusatio non petita con la quale un ingegnere Cisco sembra sottolineare

come, prima ancora che rappresentanti delle imprese, o cittadini di un certo

paese, gli informatici IETF siano espressione di un sapere tecnico che si

legittima attraverso l’eccellenza e non attraverso l’autorità della committenza171.

Trattenendosi nel peculiare contesto comunicativo dell’IETF, colpisce

anche la descrizione che vi è offerta dell’Internet Society (ISOC) - un’istituzione

alla quale la task force è formalmente subordinata - dalla quale si apprende che

questa organizzazione non profit, nata nel 1992 per promuovere la diffusione di

internet e includere la società civile nel processo di sviluppo della rete, è un

ente benemerito che provvede l’IETF di sostegno legale e finanziario, ne

pubblica l’organo ufficiale e si interfaccia con la società civile in un’attività di

pubbliche relazioni che intermedia tra gli ingegneri e la stampa:

The Internet Society is an international, non-profit, membership organization that fosters the expansion of the Internet. One of the ways that ISOC does this is through financial and legal support of the other "I" groups described here, particularly the IETF. ISOC provides insurance coverage for many of the people in the IETF process and acts as a public relations channel for the times that one of the "I" groups wants to say something to the press. The ISOC is

                                                            

169 Dall’intervento di Stefano Trumpy, Presidente di ISOC Italia, alla “Prima giornata IETF”, Crema, 15 giugno 2001; https://www.isoc.it/ietf2001/resoconto.php. 170 H. T. HALVESTRAND. “The ITF”, Cisco System Inc., slide n. 11, 2001; http://www.nuug.no/pub/dist/20021114-ietf.pdf. Halvestrand presenta l’IETF in qualità di Cisco Fellow. 171 Gli ingegneri IETF sono sistematicamente identificati dalle proprie credenziali aziendali. La loro appartenenza figura, infatti, sia nei documenti IETF rivolti all’esterno, sia nell’organigramma presente nel sito, mentre, nei casi in cui non è indicata accanto al nome del tecnico, la si ricava facilmente dal suo indirizzo e-mail.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

134

one of the major unsung (and under-supported) heroes of the Internet172.

Anche in questo caso, l’eccesso d’enfasi, qui posta sull’eroica attività

dell’Internet Society, svia la comunicazione del sito istituzionale, consegnandoci

una visione decisamente non convenzionale di questo snodo della governance

di internet deputato al mantenimento di una rete accessibile e aperta173. L’ISOC

è, infatti, rappresentata come un corpo intermedio pressoché ininfluente sulle

decisioni relative agli standard, in quanto gestore di una corrente comunicativa

che procede dalla comunità tecnologica alla società civile e non viceversa,

come dovrebbe esserle accreditato in virtù delle sue funzioni.

Alla luce della struttura operativa dell’Internet enhancement si comprende

perché questo dibattito abbia sempre insistito sulla necessità di prendere atto

della realtà e di considerare attentamente la composizione dei rapporti di forze

che premono per le modifiche al design174. Questo appello ricorrente si spiega

con le caratteristiche peculiari di un discorso che se, da un lato, è a stento

distinguibile dall’evoluzione dei modelli di business delle imprese, dall’altro, si

sviluppa dal lavoro di revisori immersi in un contesto metaforico che enfatizza

l’enorme successo dell’impresa tecnologica e riconosce il valore di bellezza e

semplicità a protocolli che esaltano l’eccellenza scientifica dei loro creatori. Gli

effetti di questo dissidio sono visibili nell’ideale regolativo che prende forma

negli anni ’90, con il quale vengono specificati nella semplicità del codice e nel

mantenimento dell’interoperabilità delle applicazioni i criteri di riformabilità del

design. È in questo periodo che si comincia, infatti, a sostenere che il

miglioramento della sicurezza e della quality-of-service della rete, deve evitare

di affollare di misure a basso valore di specificazione tecnica il core di internet,

rispettando la linearità degli standard e la capacità del sistema di dialogare con i

software di terze parti. Ci si sforza così di dimenticare che il fattore di successo

delle tecnologie di rete è consistito in una semplicità capace di supportare la

complessità, magia non riproducibile in un’architettura che ambisce a gestire

                                                            

172 Http://www.ietf.org/tao.html#anchor6. 173 «The Internet Society (ISOC) is a nonprofit organization founded in 1992 to provide leadership in Internet related standards, education, and policy. With offices in Washington, USA, and Geneva, Switzerland, it is dedicated to ensuring the open development, evolution and use of the Internet for the benefit of people throughout the world». Http://www.isoc.org/isoc/. 174 Il percorso che porta alla già citata RFCs 3274/2004, parte da David Clark. D. D. CLARK. “A Cloudy Cristal Ball. Visions of the Future. Alternative Title: Apocalypse Now”, Massachusetts Institute of Technology, NEARNet, Cambridge, July, 13-17 1992; http://xys.ccert.edu.cn/reference/future_ietf_92.pdf. 

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

135 

ogni potenzialità di rischio.

Questa evoluzione, al tempo stesso, pragmatica ed estetizzante, della

cultura tecnologica, è stata attentamente analizzata da Paul David, che ha

indicato nel lavoro dell’IETF e nel ruolo svolto al suo interno da David Clark i

passaggi chiave del nuovo corso riformatore. Il giurista ha, infatti, evidenziato

come l’approccio dell’ingegnere del MIT, già father founder dell’end-to-end e

primo presidente IETF, sintetizzi gli elementi della svolta tecnocratica a partire

dalla quale il giusto codice sarà identificato con quello che si impone al giudizio

competente. Con Clark si fa strada l’idea che, in condizioni di completezza

informativa e competenza certificata dalla koiné scientifica, il libero gioco delle

opinioni assicuri la vittoria alle soluzioni migliori. Come ricorda David, è in

questo clima di fiducia nella potenza autoevidente del sapere tecnologico che

l’infrastruttura della rete accademica viene privatizzata:

The informal IETF credo, coined by David Clark of MIT conveys the ethos of the Internet’s pioneers: “We reject kings, presidents and voting. We believe in rough consensus and running code.” A bedrock of technocratic faith underlies this colourful formulation. For every problem there must be an engineering solution, and optimal solutions to engineering problems will be self-evident to all who are qualified by competence to judge; something cannot be “right” if its adoption has to be authorized by taking a formal vote. That philosophy, and the further legitimation of the rejections of the apparatus of national regulation and international governance that had evolved with the infrastructures of telegraphy and telephony, was given further impetus in the early 1990s by the circumstances under which the NSFNET backbone was opened to commercial traffic and its owner was transferred to the private sector175.

Confrontando il lavoro di Clark con gli sviluppi della riflessione tecnologica,

si trova conferma del giudizio di David sul ruolo giocato da questo teorico nel

dibattito su internet176. Come si è osservato a proposito della RFCs 3724, i

tecnici infatti non ignorano l’esistenza di condizionamenti alla loro attività, ma

tendono a reagire a tale consapevolezza con la credenza in una razionalità

superiore, identificata nel sapere tecnico, che si suppone capace di arginare le

spinte più distruttive del marketplace. Senza tener conto di questo aspetto, non

si comprende la singolare coincidenza che fa del 1992 lo stesso anno in cui

Clark lancia il suo celebre slogan al MIT e in cui pronuncia il discorso A Cloudy

                                                            

175 P. A. DAVID. “The Beginnings and Prospective Ending of ‘End-to-End’: An Evolutionary Perspective On the Internet’s Architecture”, cit., pp. 11-12. 176 Un’influenza, peraltro non limitata all’ambiente tecnico, come mostra il riconoscimento tributatogli da Zittrain in The Future of the Internet and How to Stop It (op. cit, p. 247).

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

136

Cristal Ball. Visions of the Future. Alternative Title: Apocalypse Now davanti alla

platea del XXIV° meeting IETF. Come si intuisce considerando il sottotitolo, in

questo intervento Clark annuncia un futuro inquietante in cui internet

significherà:

The end of the open road …. The fencing of the West …. The Italian telephone system ....177.

Pur paventando il crollo del cyberspazio e la sua sostituzione con una

creatura mostruosa capace di fondere un controllo centralizzato all’arbitrio del

caos178, l’ingegnere insiste nel suo invito alla comunità IETF a misurarsi con la

domanda proveniente dalla società nel lavoro di ripensamento della rete. Il

senso della riflessione di Clark si precisa nell’affermazione che i rischi che si

profilano all’orizzonte sono frutto dell’enorme successo di internet, non dei suoi

limiti. La sfida al design proveniente dai nuovi servizi, dalle nuove offerte

commerciali e dalla minaccia del cyberterrorismo, non potrebbe, infatti,

inquietare la comunità tecnologica se questa non avesse donato all’umanità

uno strumento per incontrarsi179. Ma sul futuro di internet incombe un’incognita.

Le proposte di riforma ispirate al modello telefonico (ATM)180 potrebbero, infatti,

prevalere sull’idea di una rete distribuita e priva di controllo centrale, se gli

ingegneri non trovassero soluzioni al problema della sicurezza: «the problem

we love to ignore»181. Senza il responsabile impegno dei progettisti, gli anni ’90

saranno, allora, ricordati come «la decade del terrore»182:

Security is a CRITICAL problem. Lack of security means the END OF LIFE AS WE KNOW IT!! A time for ACTION!!! (Can I be more explicit?)183

Con un diretto riferimento al worm di Morris e alle pratiche dell’hacking,

                                                            

177 Ivi, slide 12. 178 Si noterà come la tradizionale antipatia degli ingegneri di internet per il sistema telefonico trovi, nell’interpretazione di Clark, un efficace peggiorativo, impiegando lo stereotipo internazionale che identifica tutto ciò che è italiano con il caos. 179 P. A. DAVID. “The Beginnings and Prospective Ending of ‘End-to-End’: An Evolutionary Perspective On the Internet’s Architecture”, cit., slide 3 e 4. 180 L’Asynchronous Transfer Mode (ATM) è, appunto l’architettura affidabile che, già all’epoca, si proponeva di sostituire il modello ISO-OSI. 181 Ivi, slide 16. 182 P. A. DAVID. “The Beginnings and Prospective Ending of ‘End-to-End’: An Evolutionary Perspective On the Internet’s Architecture”, cit., slide 8. 183 Ivi, slide 9.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

137 

Clark indica, quindi, nella capacità di internet di neutralizzare le proprie forme di

disordine la sua sola possibilità di sopravvivere nella forma conosciuta.

L’ambizione di realizzare le condizioni di un universo telematico pacificato,

concilia dunque i vincoli imposti all’azione tecnologica con la fiducia nella

vittoria del giusto codice, permettendo alla comunità degli ingegneri di prendere

atto della realtà senza sottomettersi ad essa, continuando lavorare per un futuro

escatologico184. Ottimismo e apocalisse si presentano dunque insieme per il

medio della sicurezza. È infatti l’efficacia del controllo a mantenere l’entropia del

sistema entro limiti di tolleranza, riparando falle e dispersioni lungo il sistema

circolatorio dell’economia informazionale. Su questo terreno Clark incontra

Zittrain, dove le radici tecnocratiche della cultura di internet trovano

un’espressione giuridica compiuta. Nel nuovo spirito cyberlaw, l’ultimo appello

di Lessig a rinunciare alla criminalizzazione di una generazione di sharer, suona

adesso anacronistico:

[…] I finished Free Culture just as my first child was born […].Now I worry about the effect this [copyright] war is having upon our kids. What is this war doing to them? Whom is it making them? How is it changing how they think about normal, right-thinking behavior? What does it mean to a society when a whole generation is raised as criminal?185.

                                                            

184 D. D. CLARK, K. SOLLINS, J. WROCLAWSKI, T. FABER. “Addressing Reality: An Architectural Response to Real-World Demands on the Evolving Internet Workshops”, ACM SIGCOMM, Karlsruhe, 2003, 25-27 august; http://www.isi.edu/newarch/DOCUMENTS/Principles.FDNA03.pdf. 185 L. LESSIG. Remix. Making Art and Commerce Thrive in the Hybrid Economy, New York: Penguin Book, 2008, p. xvii. Lessig ha presentato Remix come l’ultimo dei suoi libri dedicati al copyright, annunciando di volersi dedicare all’analisi della formazione della legge e dei meccanismi di lobbying.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

138

44..

DDaall ggoovveerrnnoo ddeeii ccoonnfflliittttii aallllaa ggoovveerrnnaannccee ddeellllee

pprroocceedduurree

Page 150: TESI COMPLETA

II. Il governo dell’eccezione 

 

 

139 

Negli anni che precedono la comparsa del file sharing e le politiche di

sicurezza informatica, il diritto tecnocratico affonda le proprie radici nel

riduzionismo economico di teorici che guardano ad internet come ad uno spazio

globale di scambi mercantili, identificandone la legge a venire (la lex

informatica) con l’antica lex mercatoria, il complesso di convenzioni con cui il

medioevo dei primi traffici globali aveva superato le barriere delle legislazioni

nazionali. La legge di internet coincide così, metaforicamente, con un codice

extralegale la cui efficacia tecnica ne garantisce l’esecuzione nell’ambiente

digitale.

Emerge già con chiarezza una convergenza non occasionale tra filosofie di

controllo dell’informazione, superamento della legittimità formale dei dispositivi

normativi e misure di valorizzazione dell’ambiente telematico che fa risaltare

tutte le implicazioni politiche e giuridiche del conflitto generato dall’importanza

strategica dell’informazione in un contesto distributivo imperniato sulle reti.

Dopo il 2000, la crisi dell’ordinamento liberale all’intersezione con la governance

digitale travalica i confini del dibattitto su internet, divenendo centrale nelle

riflessioni di giuristi, come Teubner e Sartori, i cui interessi scientifici cominciano

a includere i problemi legati alla legge tecnologica. La ricognizione critica che i

due studiosi compiono intorno al declino delle democrazie liberali, conclude la

riflessione dedicata all’evoluzione dei conflitti digitali, evidenziando come

l’introduzione della legge informatica istituisca uno stato d’eccezione del diritto

che rischia di coincidere con le logiche del potere economico e con il controllo

autoritario dei flussi informativi.

La circolazione illegale delle copie si rivela così non solo come il principale

conflitto per l’ordine legittimo del cyberspazio, ma come una delle forme di

resistenza dei network alla sospensione del diritto nelle deleuziane società di

controllo. Come preconizzato da Lyotard, l’impossibilità postmoderna di fondare

la giustizia sul discorso vero e sulle narrazioni emancipative trova nella

divergenza endemica delle reti la possibilità di una legittimazione per paralogia

e la via di fuga dalla chiusura totalizzante della società amministrata.

Page 151: TESI COMPLETA

3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

140

44..11 LLeexx iinnffoorrmmaattiiccaa ccoommee lleexx mmeerrccaattoorriiaa

44..11..11 LLaaww aanndd BBoorrddeerrss:: ppeerr uunn ddiirriittttoo ssppeecciiaallee ddii iinntteerrnneett

Per capire l’importanza dell’impostazione lessighiana del discorso su

internet e le conseguenze del suo declino, è essenziale tornare rapidamente

alle fasi iniziali del dibattito digitale e al rapporto delle visioni in competizione

con le diverse tradizioni intellettuali presenti negli Stati Uniti. Oltre ad opporsi

alla credenza sull’incoercibilità del cyberspazio e alle opinioni degli accademici

che non registravano la novità della nascita di internet, l’affermazione del punto

di vista di Lessig non poteva infatti realizzarsi se non a danno delle dottrine

giuridiche che fondavano la legittimità della legge sul consenso comunitario e

sul recepimento nel diritto delle forme di autoorganizzazione spontanea delle

collettività, aspetti che costituivano un elemento di contatto tra l’approccio

digitalista di Wired e quello dei giuristi conservatori che guardavano ad una

politica di veloce penetrazione commerciale di internet.

Il principale esempio di questa concezione è rappresentato dall’articolo del

1996 Law and Borders. The Rise of Law in Cyberspace, con il quale Johnson e

Post si inserivano nel dibattito sulle criticità regolative dell’ambiente digitale,

sostenendo che la legge di internet doveva essere svincolata dalle giurisdizioni

nazionali e trovare la propria efficacia nei codici di condotta che emergono

spontaneamente dalla sua vita sociale. Secondo la tesi avanzata dai giuristi,

poiché il diritto di uno spazio sovranazionale non poteva legittimarsi con la

sovranità statuale, la concezione regolativa che estendeva ad internet le leggi

vigenti esponeva infatti le norme al loro superamento di fatto nel mondo virtuale:

The rise of an electronic medium that disregards geographical boundaries, throws the law into disarray by creating entirely new phenomena that needs to became the subject of clear legal rules, but that cannot be governed, satisfactorily, by any current territorially based sovereign1.

I due studiosi contestavano vigorosamente l’idea, allora prevalente

nell’accademia giuridica, che la rete fosse

a mere transmission medium that facilitates the exchange of messages sent from one legally significant geographical location to another, each of which

                                                            

1 D. R. JOHNSON, D. G. POST, “Law and Borders. The Rise of Law in Cyberspace”, Stanford Law Review, 48, 1996, p. 1375; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=535.

Page 152: TESI COMPLETA

II. Il governo dell’eccezione 

 

 

141 

as its own applicable laws2,

Internet andava, infatti, vista come uno spazio sociale distinto, della cui

specificità la giurisprudenza doveva ormai tenere conto3. I criteri di efficacia del

diritto nell’ambiente elettronico andavano perciò rintracciati nelle diverse

modalità di formazione delle sue norme, che si esprimevano

nell’autoorganizzazione emergente dei comportamenti e nella capacità delle

comunità virtuali di darsi spontaneamente delle regole di condotta (netiquette)

valide al loro interno. La proposta di un diritto speciale per lo spazio elettronico

trovava, così, una forte analogia con la lex mercatoria, la convenzione con la

quale i mercanti medievali affrontavano la confusione giurisdizionale nel

contesto delle prime rotte del commercio mondializzato4. La fondazione

giuridica del new digital world guardava, così, paradossalmente, all’antica legge

dei mercanti e alla dottrina seicentesca dei comitati (doctrine of the comity), con

la quale le comunità dei padri pellegrini applicavano il diritto divino nei primi

insediamenti della frontiera americana:

Churches are allowed to make religious law. Club and social organizations can define rules that govern activities within their sphere of interest. Security exchanges can establish commercial rules, so long as they protect vital interests of the surrounding communities. In these situations, government has seen the wisdom of allocating rule-making functions to those who best understand a complex phenomenon and who have the interest in assuring the growth and health of their shared enterprise […] Cyberspace may be an important forum for the development of new connections between individuals and mechanism of self-governance by which individuals attain a sense of community5.

Johnson e Post intendevano, infatti, mostrare non soltanto le aporie e le

difficoltà applicative in cui incorreva l’estensione della legge territoriale al

cyberspazio, ma anche la sua iniquità. Esaminando il caso del copyright, gli

studiosi infatti sottolineavano come lo spirito della legge, che aveva promosso la

cultura istituendo monopoli incentivanti in un contesto distributivo primitivo,

rischiasse di volgersi nel suo contrario nel momento in cui veniva applicata ad

internet6. In piena sintonia con la Declaration di Barlow, i giuristi indicavano

                                                            

2 Ivi, p. 1378. 3 Ivi, pp. 1375, 1378, 1379, 1381, 4 Ivi, 1389. 5 Ivi, p. 1392, 1397. 6 Ivi, p. 1383.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

142

perciò nel contratto sociale espresso spontaneamente dalla rete e in nuove

regole fondate su tale legittimità, l’unica fonte del diritto di internet7.

Benché esprimesse un punto di vista profondamente radicato nella cultura

americana, la visione antilessighiana di Jonhson e Post restava minoritaria negli

anni di maggiore vitalità della cyberlaw. La concezione a cui si richiamavano i

due studiosi non sarebbe rimasta tuttavia senza influenza. L’idea che una legge

speciale, di ispirazione corporativa, avrebbe promosso meglio di qualsiasi altra

lo sviluppo degli interessi locali iniziava, infatti, a farsi strada nei primi articoli del

diritto filotecnocratico che applicavano una visione riduzionista ad internet,

identificandola con l’e-commerce8. Poiché si guardava ad internet come a una

piazza d’affari, la lex mercatoria diventava il modello della lex informatica, la

legge di internet e quella dei mercanti una sola cosa.

44..11..22 LLaa lleeggggee ttrraannssnnaazziioonnaallee ddeeii mmeerrccaannttii

Modellando la legge del cyberspazio sulla lex mercatoria, Johnson e Post

dialogavano, in effetti, con una letteratura giuridica fortemente interessata

all’analogia dell’e-commerce con i traffici mercantili premoderni9. Due anni dopo,

Joel Reidenberg impiegava, infatti, la stessa metafora per analizzare le

proprietà di una legge tecnologica (la lex informatica) che, imponendosi erga

omnes, prometteva gli stessi benefici dell’antico codice di comportamento

mercantile10. Le regole comportamentali che la governance di internet poteva

integrare nel codice avrebbero, così, rappresentato per l’economia

informazionale lo stesso insieme di regole di condotta trasnazionale dei mercati

medievali, capace di superare, come già secoli addietro, la diversità delle

normative locali e i conflitti di regolazione internazionale. Conformemente alle

premesse, le caratteristiche del nascente diritto informatico globale erano

assimilate da Reidenberg alla convenzione nella quale il Medioevo dei traffici

                                                            

7 Per la critica di Lessig a questa tesi, si rinvia alla nota 51, p. 64 del secondo capitolo. 8 J. R. REIDENBERG. “Lex Informatica: The Formulation of Information Policy Rules Through Technology”, Texas Law Review, 76, 3, 1998, p. 572; http://www.reidenberg.home.sprynet.com/lex_informatica.pdf. In effetti questo articolo di Reidenberg dà prova di notevole sincretismo, confrontandosi e recependo molti dei concetti chiave della cyberlaw, primo tra i quali il celebre «code is law» di Lessig.  9 Si veda la nota 71 a p. 1389 di Law and Borders, nella quale Johnson e Post citano la ricca bibliografia che la riflessione giuridica aveva sviluppare intorno alla lex mercatoria dalla fine degli anni ‘80. 10 J. R. REIDENBERG. “Lex Informatica: The Formulation of Information Policy Rules Through Technology”, cit., p. 553.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

143 

mercantili aveva trovato la spontanea regolazione del commercio internazionale

al di fuori e al di là delle disposizioni locali, reali, ecclesiastiche ed imperiali. La

lex mercatoria rappresentava, infatti, uno strumento tutto interno ai soggetti e

alle istituzioni finanziarie del commercio medievale, volto a governare i flussi di

merci e l’affidabilità dei mezzi di pagamento senza giurisdizione sul rapporto tra

i mercanti e i luoghi fisici attraversati dai beni, che restavano soggetti alla

sovranità locale. In base a tale affinità, la legge garante dei traffici digitali veniva

modellata dal giurista sulla normatività di un codice extralegale che l’esecuzione

tecnologica avrebbe reso esecutivo.

Tra i testi che si collocano nella fase nascente della giurisprudenza

tecnocratica, l’articolo di Reidenberg appare interessante proprio per il

riconoscimento implicito che la lex informatica è fondata sulla priorità

dell’economico rispetto ad ogni altro ambito meritevole di tutela. È con questo

tipo di letteratura, infatti, che il pensiero giuridico elabora un approccio

performativo alla governance digitale, focalizzato sull’efficacia della legge e non

più sulla rappresentazione di un modello di equità da cui ricavare codici

normativi. Nel nuovo spirito post-costituzionale, il rapporto tra legge e

ordinamento è così rovesciato. Alla proprietà intellettuale non si chiede più di

essere compatibile con i principi generali del diritto, né di garantire l’attuazione

dei fini pubblici, è invece il copyright a divenire il luogo di definizione della

legittimità dei comportamenti digitali o, in termini boyliani, la forma legale per

eccellenza della società informazionale.

La legge tecnologica rappresenta, in questa fase, la risposta alla

contraddizione insita nella realtà di una rete che si appresta a diventare

l’infrastruttura di un’economia mondializzata, ma il cui paradigma distributivo

accelera l’obsolescenza della valorizzazione basata sui monopoli. Con

l’esposizione dell’aporia economica del bene quasi-pubblico e la sua

trasposizione giuridica nel dilemma digitale, si faceva infatti strada l’idea che il

completamento del ciclo di valorizzazione dei beni soft e il ristabilimento

dell’equilibrio tra efficienza distributiva e incentivo alla produzione, sarebbe stato

assicurato solo intervenendo sulle dinamiche specifiche dell’ambiente digitale -

mentre iniziava a svilupparsi una riflessione economico-organizzativa alternativa

che opponeva le cattedrali dell’industria al bazaar della produzione open

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

144

source11. Ciò evidenziava come, nelle nuove condizioni poste da internet, il

meccanismo generatore di scarsità capace di scongiurare il fallimento del

mercato delle opere digitali, fosse anacronistico in rapporto alle potenzialità

delle nuove tecnologie e rendesse necessaria l’individuazione di cure adeguate

da prestare al grande infermo12. L’ipertrofia normativa del copyright e la

necessità delle stampelle tecnologiche tradiva così la sintomatologia di una crisi

irreversibile.

In questo periodo, l’attenzione attirata dalla senescenza del dispositivo e il

dibattito sollevato dal DMCA, pongono le condizioni per analisi approfondite

della logica della legge. Si pubblicano, infatti, importanti ricostruzioni storiche

che propongono spiegazioni alternative o più ampie di quella economica al

declino del copyright. In Copyright History and the Future, Edward Geller

promuove l’idea che, al di là del conflitto tra efficienza e incentivo, l’avvento

delle reti abbia portato alla luce i limiti originari della concezione che in età

moderna aveva affidato ai monopoli temporanei il compito di diffondere le lettere

e proteggere la cultura, così da legare la promozione di un fine pubblico al

profitto privato13. Portando la sua indagine sulle fasi precedenti allo Statute of

Anne14, il giurista, infatti, avanza l’ipotesi che «only when media technology and

market conditions made piracy profitable could copyright arise»15. In questo

modo, Geller evidenzia che, mentre dal punto di vista politico, la storia pre-

classica del controllo dell’informazione si era legata alla censura e

all’attribuzione del privilegio di stampa a corporazioni vicine alla corona, da

quello economico, il diritto di copia aveva canalizzato verso l’economia legale la

ricchezza del commercio informale che prosperava indipendentemente

dall’azione del legislatore. Autopromozione informale della cultura e nascita del

mercato delle opere erano così l’uno il rovescio dell’altra, tanto che diventava

difficile risalire all’origine e giudicare quale appropriazione fosse legittima.

Evolutosi dal progenitore giuridico del privilegio di stampa, il diritto di copia non

                                                            

11 E. S. RAYMOND. “The Cathedral and the Bazaar”, 1997, ver. 3.0 consultabile all’indirizzo: http://webyes.com.br/wp-content/uploads/ebooks/book_cathedral_bazaar.pdf. La linea interpretativa abbozzata da Raymond viene approfondita da Benkler. 12 La teoria dell’informazione come bene-quasi pubblico e il concetto di fallimento del mercato sono stati esposti a p. 78. 13 E. GELLER. “Copyright History and the Future. What’s Culture Got to Do with It?”, Journal of Copyright Society of U.S.A., Septermber 25, 47, 2000, p. 210; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=243115. 14 Sull’elaborazione dello Statute of Anne (1710), si veda la nota 63 a p. 67. 15 E. GELLER. “Copyright History and the Future. What’s Culture Got to Do with It?”, cit., p. 210.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

145 

si giustificava, infatti, con la remunerazione del lavoro dell’artista ma con la

protezione di un settore industriale, che differiva dal traffico pirata per il solo

possesso della concessione reale. L’accuratezza della ricerca storica, sfiora

così, in Geller, la critica nietzscheana delle origini della legge:

Il brigante e il potente che promette a una comunità di proteggerla contro il brigante, probabilmente sono esseri del tutto simili, solo che il secondo raggiunge il suo vantaggio in modo diverso dal primo: cioè con regolari tributi che la comunità gli paga, e non più con saccheggi. È lo stesso rapporto che passa tra il mercante e il pirata, che sono per molto tempo una sola e medesima cosa: dove l’una funzione non le sembra consigliabile, essa esercita l’altra. Tutta la morale mercantile è ancor oggi propriamente solo lo scaltrimento della morale piratesca [...]16.

Geller non cita Nietzsche, ma la radicalità della sua ipotesi di lavoro lo

avvicina allo spirito di questo aforisma, portandolo a problematizzare molte

assunzioni di origine economica non meditate dalla dottrina giuridica. Sono

perciò soprattutto studi storici di questa profondità a porre le premesse per una

interpretazione non (esclusivamente) tecnologica ed economica del tramonto

del copyright17. Su questa linea si è posto recentemente Tarleton Gillespie, che

ha osservato, nel suo ultimo libro, come la crisi normativa attribuita alla

destabilizzazione digitale illumini, piuttosto, le tensioni interne della legge,

evidenziando come la struttura legale del copyright abbia trasferito sul piano

politico l’aporia economica della valorizzazione dell’informazione. La condizione

digitale e l’accessibilità tecnologica della conoscenza pongono cioè in luce

come la soluzione al problema economico dell’informazione abbia lasciato

esterno alla propria sfera di manovra il problema politico della sua diffusione,

declinato come puro riferimento ideale. Per questo, nel momento in cui la

comparsa delle tecnologie digitali mette a rischio gli equilibri della legge,

emergono le condizioni perché il suo rafforzamento (normativo e tecnologico)

offra ai titolari dei diritti l’opportunità di scalarne i benefici, in contraddizione con

i fini enunciati:

Intellectual property aspires to serve the public good by constructing a property regime premised on private gain. The effort to strike a balance

                                                            

16 F. NIETZSCHE. “Principio dell’equilibrio”, § 22, in Menschlishes, Allzumenscliches, trad. it. Umano, troppo umano, II, Milano: Adelphi, 1981, pp. 149-150. 17 C. M. ROSE. “Romans, Roads, and Romantic Creators: Traditions of Public Property in The Information Age”, Law & Contemporary Problems, 69, Winter/Spring 2003 (già pubblicato tra i paper dell’Università di Yale nel febbraio 2002); http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=293142.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

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between these often competing interests requires limits and exceptions that are both fundamental to copyright law and, at the same time, revealing of its inherent tensions. The emergence of new technologies tends to disrupt the balances within this legal regime that manage its structural tensions. Like many technologies before it, the Internet made visible ambiguities that copyright law had not had to deal with before, and afforded an opportunity for those most invested in the workings of copyright law to tip the scales to their benefit18.

Pur senza polemizzare esplicitamente con la cyberlaw, l’interpretazione del

sociologo mette così l’accento anche sui limiti di una letteratura volta a

difendere un equilibrio costituzionale il cui meccanismo si svela strutturalmente

inadatto al perseguimento degli obiettivi dichiarati. Portando fino in fondo

l’analisi di Gillespie, si deve dedurre, infatti, che le contraddizioni rilevate da

Lessig e dagli studiosi della sua scuola, erano il prodotto dell’ambiguità di

quell’equilibrio e non della deriva applicativa che i cybergiuristi intendevano

contrastare. In questo modo, il solo autore che può dirsi immune da questo

errore prospettico sembra essere Boyle che, introducendo Shamans, Software

and Spleens ha sottolineato come «One of the themes of this book is that the

implicit frameworks within the regulation of information is discussed are

contradictory – or at least aporetic – and indeterminate in application»19.

44..11..33 LL’’aalltteerrnnaattiivvaa ccoossttiittuuzziioonnaallee:: GGuunntthheerr TTeeuubbnneerr

Quanto emerge da queste letture, appare tanto più problematico se si

osserva come le risorse informative, la cui accessibilità al lettore borghese è

stata la condizione di esistenza della sfera pubblica moderna, rappresentino nel

contesto di una società informazionale beni di natura sempre più indeterminata,

in grado di disegnare i profili di inclusione ed esclusione rispetto all’intera vita

sociale, piuttosto che alla sola cittadinanza liberale. È, perciò, proprio sulla

problematica dell’accesso che si appunta la critica più incisiva alla nuova

governance la quale, ha osservato Gunther Teubner,

It is not just technical legal questions […]. Rather, we are faced with the more fundamental question of a universal political right of access to digital communication […] In the background lurks the theoretical question whether

                                                            

18 T. GILLESPIE. Wired Shut. Copyright and the Shape of Digital Culture, Boston: MIT Press, 2007, p. 14. 19 J. BOYLE. Shamans, Software and Spleens: Law and The Construction of the Information Society, op. cit., p. 34.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

147 

it follows from the evolutionary dynamics of functional differentiation that the various binary codes of the world systems are subordinate to the one difference of inclusion/exclusion. Will inclusion/exclusion become the meta-code of the 21st century, mediating all other codes, but at the same time undermining functional differentiation itself and dominating other social-political problems through the exclusion of entire population groups?20

Nel discorso di Teubner la digitalizzazione delle risorse, intrecciando gran

parte dei processi di produzione culturale ed economica ai flussi informativi

della rete globale, trasforma l’accesso all’informazione in un codice binario di

esclusione/inclusione in grado di far collassare l’intera gamma delle

differenziazioni sociali. Ciò accade perché la distribuzione delle risorse

economiche e simboliche si lega, ormai, inestricabilmente, alla disponibilità di

informazioni, ovvero al fattore a cui sono legati tipi differenti di capitale che

Bourdieu aveva concepito come l’interazione circolare che struttura un campo

sociale. Come mostrava ne La Distinction, i diversi tipi di capitale finanziario,

culturale e simbolico in godimento agli individui si caratterizzano per la capacità

di trasferirsi l’uno nell’altro, istituendo una molteplicità di flussi che presiedono

all’accumulazione di ricchezza, potere e conoscenza e determinano la struttura

dello status. Tale circolazione, mantenuta istituzionalmente, tende a restare

interna a specifici campi, per naturalizzarsi nelle differenze di gusto e nel

possesso di codici simbolici esclusivi capaci di autoriproduzione21.

L’avvento di una società in rete sembra aver trasferito tali dinamiche nel

funzionamento di strutture sociali al tempo stesso territorializzate in particolari

centri di attività economica e deterritorializzate in flussi globali di capitali, merci

e informazioni. In questo contesto, nel momento in cui l’accumulazione di

risorse si produce e si concentra nelle reti, collocarsi nei punti di intersezione di

tali flussi – fisici e virtuali - o, al contrario restarne ai margini, diviene la

questione essenziale22. L’avere o non avere accesso all’informazione diviene

quindi il dispositivo di una configurazione superiore che, al tempo stesso,

                                                            

20 G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centred Constitutional Theory”, Storrs Lectures 2003/04, Yale Law School, p. 2; http://papers.ssrn.com/sol3/Delivery.cfm/SSRN_ID876941_code566891.pdf?abstractid=876941&mirid=1. 21 P. BOURDIEU. La distinction. Critique sociale du jugement de gout, Paris : Les Éditions de Minuit, 1979. 22 M. CASTELLS. La nascita della società in rete, trad. cit..

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

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istituisce e sanziona ogni forma di differenza sociale23. Di qui il rischio che il

copyright, nato come uno strumento di politica industriale del XVIII° secolo si

trasformi, nell’età della convergenza digitale, in un meccanismo dispotico di

gestione delle comunicazioni globali, guidato dall’accumulazione di mercato.

Un’attenzione significativa verso un tale riaccentramento gerarchico del

controllo, effetto paradossale del coordinamento orizzontale di una rete di attori

istituzionali e non istituzionali24, si trova rappresentata in diverse aree di

interesse del dibattito giuridico, particolarmente tra gli autori che adottano una

prospettiva repubblicana o costituzionale Su questo terreno si sono, infatti,

confrontati Lessig e Teubner. Nell’approccio del giurista americano, la critica

alla svolta tecnologica del copyright si presenta, essenzialmente, come un atto

di resistenza allo stato d’assedio del cyberspazio che rivendica il riconoscimento

della legge incorporata nell’architettura a garanzia della sua costituzione

materiale25. La riflessione di Teubner parte, invece, da premesse diverse. Per il

teorico tedesco, infatti, il conflitto sulla governance di internet è un effetto

dell’autonomizzazione dei sottosistemi sociali innervati dalla rete, tra i quali il

business commerciale, malgrado la sua potenza ed influenza, non è che una

delle sfere già differenziate e in espansione grazie alla chiusura operativa

rispetto al proprio ambiente. Pensare la difesa delle libertà civili in questo

contesto, richiede allora

the courage to rethink the constitution in a direction of political globality, in the light of an intergovernmental process, through the inclusion of actors in society, and in terms of horizontal effects of fundamental rights26.

La prospettiva dalla quale Teubner osserva l’evoluzione regolativa è,

dunque, radicalmente antitetica a quella che accomuna i primi studi di

Reidenberg alle recenti teorizzazioni di Zittrain. Rispetto a Lessig, il problema

della costituzionalizzazione di internet si sposta dal piano del riconoscimento

                                                            

23 Nel suo libro suI divario digitale Jan van Dijk ha osservato soprattutto come «the digital divide is deepening where it has stopped widening», sottolineandone la relazione con le dinamiche della diseguaglianza sociale, più che con condizioni di svantaggio geo-economiche. Si veda J. A.G.M. VAN DIJK, The Deepening Divide. Inequality in Information Society, cit., p. 3. 24 S. SASSEN. “Digital Networks and the State. Some Governance Questions”, Theory, Culture & Society, 17, 4, 2000. 25 L. LESSIG. “The Internet Under Siege”, Foreign Policy, November-December, 2001; http://lessig.org/content/columns/foreignpolicy1.pdf#search%22lessig%20the%20internet%20under%20siege%22; M. A. LEMLEY, L. LESSIG, “The End of End-to-End: Preserving the Architecture of the Internet in the Broadband Era”, cit.. 26 G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 5.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

149 

della legge incorporata nel codice, a quello della fondazione del diritto che pone

inediti problemi alla difesa delle libertà sul terreno della proliferazione dei

subsistemi sociali27.

Concordando con David Sciulli, secondo il quale «only the presence of

institutions of external procedural restraint (on inadvertent or systemic exercises

of collective power) within a civil society can account for the possibility of a

nonauthoritarian social order under modern conditions»28, Teubner si chiede

come una teoria costituzionale possa rispondere alle sfide portate dalla

digitalizzazione, dalla privatizzazione e dalla globalizzazione - le tre tendenze

dominanti della società contemporanea - al problema dell’inclusione/esclusione

sociale29. Ciò equivale a porre la questione di come la teoria costituzionale

possa passare dalla prospettiva moderna, nella quale nasceva come limitazione

legale del potere repressivo del sovrano, a quella contemporanea, nella quale

deve confrontarsi con «the massive human rights infringements by non-state

actors [that] it points out the necessity for an extension of constitutionalism

beyond purely intergovernmental relations»30.

La proposta teorica avanzata da Teubner guarda, a questo scopo, al

riconoscimento giuridico di una molteplicità di sottosistemi sociali autonomi e

tendenzialmente configgenti, la cui costituzionalizzazione potrebbe governare le

spinte centrifughe della differenziazione sociale e fornire la sede legale

adeguata alle controversie digitali. D’altra parte, è opinione del giurista che le

battaglie della commercializzazione e della regolazione tecnocratica di internet

evidenzino già il corso caotico in cui si mostra la formazione di una legge

organizzazionale del cyberspazio che coincide con lo stato nascente di una

costituzione digitale31. In questo modo, Teubner rinvia esplicitamente all’idea

dell’autoformazione della legge del cyberspazio, riconquistando al

costituzionalismo la tesi di Johnson e Post, nella misura in cui la riflessione di

Law and Borders aveva opposto i codici normativi e comportamentali della rete

                                                            

27 Una prospettiva analoga è stata adottata da Mark Gould. Si veda M. GOULD. “Governance of the Internet – A UK Perspective”, paper presentato al Coordination and Administration of the Internet Workshop, Kennedy School of Government, Harvard University, 8-10 September 1996; http://aranea.law.bris.ac.uk/HarvardFinal.html. 28 D. SCIULLI. Theory of Societal Constitutionalism, Cambridge: Cambridge University Press, 1992, p. 81. Tratto da G. TEUBNER, cit., p. 7. 29 G. TEUBNER, Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 2. 30 Ivi, p. 2. 31 Ivi, p. 5.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

150

all’introduzione di leggi estranee e liberticide - con esiti dunque opposti all’uso

che ne faceva Reidenberg32. Il problema che si pone alla dottrina liberale di

orientamento sistemico è, dunque, quello di vincolare la spontanea regolazione

di un ambiente digitale che rischia di coincidere con le logiche del potere

economico, a procedure esterne di controllo in grado di neutralizzarne

l’evoluzione autoritaria. Si tratta cioè di scongiurare la possibilità che la

produzione di norme, anziché tessere legame sociale assicurando l'equilibrio di

interessi contrapposti, aggravi gli squilibri esistenti sanzionando «l'utile del più

forte», secondo la celebre formula del Trasimaco platonico33.

La praticabilità della proposta costituzionale è affidata da Teubner al

riconoscimento degli attori di internet come soggetti di diritto, la cui

formalizzazione fornisca una nuova legittimità alla definizione delle regole di

comportamento digitale. Ciò equivale non certo all’impossibile riconduzione dei

subsistemi autonomi ad una logica unitaria superiore, quanto alla codificazione

della loro reciproca indipendenza e al conseguente contenimento della

tendenza autoritaria che aspira al controllo di una parte sulla totalità34. Teubner

accoglie qui la convinzione luhmanniana che un’inversione di marcia, o una

rivoluzione verso una ‘de-differenziazione’ della società e una resurrezione dei

vecchi miti sia ormai preclusa: «il peccato della differenziazione non potrà mai

essere annullato. Il paradiso è perduto»35. Di qui l’aggiornamento

dell’organicismo di Johnson e Post, l’autoorganizzazione di internet non può più,

infatti, essere pensata su base comunitaria o consuetudinaria. La rete non avrà

una magna charta.

È in questi termini che si precisa il cammino verso «a universal political right

of access to digital communication»36. La fondazione di un tale diritto non può,

infatti, trovare origine né in una costituzione politica esterna - ovvero in una

costituzione nazionale, come in Lessig -, né in una costituzione transnazionale

                                                            

32 D. R. JOHNSON, D. G. POST, “Law and Borders. The Rise of Law in Cyberspace”, cit. 33 PLATONE. Repubblica, cit. 34 N. LUHMANN. Die Wirtschaft der Gesellschaft, Frankfurt am Maim: Suhrkamp, 1994, p. 344. Tratto da G. TEUBNER. “Giustizia nell’era del capitalismo globale?”, in M. BLECHER, G. BRONZINI, J. HENDRY, C. JOERGES and the EJLS (a cura di), Special Conference Issue “Governance, Civil Society and Social Mouvements”, Fiesole, luglio 2008, in European Journal of Legal Studies, 1, 3, 2008, p. 2; http://www.ejls.eu/download.php?file=./issues/2008-07/TeubnerIT.pdf. 35 G. TEUBNER, Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 5. 36 Ivi, p. 2. Affine nello spirito, la proposta di riconoscimento di “droits intellectuels positives” formulata da Philippe Aigrain in Cause commune. L’information entre bien commun et propriété, Paris: Fayard, 2005, pp. 145-155.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

151 

ispirata alla concentrazione del potere e alla formulazione di una legge speciale

per l’ambiente digitale - quali gli accordi economici internazionali sul copyright

che negli ultimi anni ne hanno tratteggiato la governance, come in Reidenberg -,

quanto nel principio di una costituzione interna frutto della negoziazione politica

tra i nuovi soggetti di diritto. Con ciò il giurista sembra guardare, pur senza

riferimenti espliciti, agli organismi assembleari e multistakeholder come il WSIS

e l’IGF costituiti in seno all’O.N.U. Teubner evidenzia, infatti, tutta la criticità

dell’attuale modalità di co-regolazione pubblico-privata che interessa l’ambiente

digitale, in cui

Regulations and norms are produced not only by negotiations between states, but also by new semi-public, quasi-private or private actors which respond to the needs of a global market. In between states and private entities, self-regulating authorities have multiplied, blurring the distinction between the public sphere of sovereignty and the private domain of particular interests37. And legal norms are not only produced within conflict regulation by national and international official courts, but also within non-political social dispute settling bodies, international organizations, arbitration courts, mediating bodies, ethical committees and treaty systems38.

44..11..44.. LLee aapppplliiccaazziioonnii nnoorrmmaattiivvee ddeell ffoonnddaammeennttaalliissmmoo ddii mmeerrccaattoo

È a questo retroterra politico-economico che si deve la molteplicità di

normative e direttive quali le leggi francesi Dadvsi e Hadopi, l’italiana Legge

Urbani39, le direttive europee Eucd e Ipred2, e numerosi disegni di legge dei

paesi aderenti al WTO che negli ultimi anni si sono distinti per la severità del

regime di sorveglianza e per i problemi di legittimità sollevati in ordine a

questioni formali e sostanziali40. Particolare menzione meritano, in proposito, il

                                                            

37 J GUEHENNO. "From Territorial Communities to Communities of Choice: Implications for Democracy" in W. STREECK (ed.), Internationale Wirtschaft, nationale Demokratie: Herausforderungen für die Demokratietheorie (Frankfurt/M: Campus, 1998), p. 141. Citato da G. TEUBNER, Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit, p. 13. 38 G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 13. 39 La legge Urbani ha apportato una sola, fondamentale, variazione alla legge precedente, sostituendo alla dizione «per fini di lucro», che identificava la fattispecie di reato per la duplicazione dei contenuti protetti, quella di «per trarne profitto», che incrimina chiunque condivida file protetti per trarre beneficio dalla possibilità di godere di un bene senza acquistarlo. Il colpevole di download rischia ora fino a quattro anni di carcere. 40 Tra le molte produzioni normative, particolarmente inquietanti sembrano la proposta n. 89 sulle telecomunicazioni approvata recentemente dal senato brasiliano allo scopo di definire i profili di reato informatico, che spazia dalla registrazione dei blog alla pedopornografia, e le recenti sperimentazioni nell’attività di filtering poste in essere dall’Australian Communications & Media

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

152

recente progetto di legge americano, noto come Prioritizing Resources and

Organization for Intellectual Property Act o “Pro-IP” Act (2008) che fa leva sulla

creazione di un’autorità governamentale della proprietà intellettuale affiancata al

Dipartimento di giustizia americano41 - emulato in Italia, con minori attribuzioni,

dal Comitato tecnico contro la pirateria istituito presso la Presidenza del

Consiglio dei Ministri -, e la legge Création et Internet (Hadopi) che riforma

l’Autorité de régulation des mesures techniques, istituita dalla Dadvsi soltanto

nel 2006.

Mentre nel caso del Pro-IP Act i commentatori hanno parlato dell’istituzione

di un White House level della proprietà intellettuale e perfino di riaccentramento

zarista delle tradizionali prerogative del tribunale penale42, in Francia il Conseil

Constitutionnel ha sollevato rilievi giurisdizionali volti a evidenziare la frizione a

cui la Crèation et Internet sottopone la distinzione delle funzioni penali e

amministrative di corpi dello stato. Nel caso francese, è la commissione

presieduta dal PDG di Fnac, tra i massimi distributori musicali del paese, a

redigere il progetto di legge istituente l’autorità amministrativa incaricata della

gestione della riposte graduée, un dispositivo sanzionatorio che culmina nel

distacco della linea telefonica dell’utente accusato di download illegale – senza

peraltro ledere gli interessi dei fornitori d’accesso che continueranno a percepire

l’abbonamento della linea disconnessa. Lo spirito della legge è dunque chiaro,

anche se il suo futuro è incerto. Durante il suo iter d’approvazione, il disegno di

legge ha, infatti, sollevato rilievi di incostituzionalità e ripetute manifestazioni di

contrarietà da parte degli organismi comunitari43. Proprio a partire da queste

                                                                                                                                                                 

Authority (ACMA) che si prefigge di smistare i flussi informazionali interni al paese attraverso filtri di stato da implementare presso gli ISP. 41 Il Pro-IP Act è diventato legge il 22 ottobre 2008 con il nome To enhance remedies for violations of intellectual property laws, and for other purposes; http://thomas.loc.gov/cgi-bin/bdquery/z?d110:H.R.4279. 42 «We create a czar when we think that something is so important that other values must be subordinated to it, other goals ignored, power centralized, restraints discarded. The great thing about czars is that they can act alone, maximizing a single set of values, without worrying about the troubling demands of bureaucracy but also sometimes without worrying about the demands of the separation of powers and the rule of law». J. BOYLE. “A Czar for the Digital Peasants”, FinancialTimes.com, June 24, 2008; http://www.ft.com/cms/s/0/14aacbc8-41e1-11dd-a5e8-0000779fd2ac.html?nclick_check=1. 43 Una breve sintesi del braccio di ferro ingaggiato dal governo francese con gli organismi comunitari: Il 24 settembre 2008, il Parlamento Europeo ha approvato – con 573 voti favorevoli contro 74 – l’emendamento 138 al Pacchetto Telecom « déposé […] par les eurodéputés Guy Bono, Daniel Cohn-Bendit, et Zuzana Roithová, ce dernier empêche qu’un Etat membre évacue l’autorité judiciaire au profit d’une autorité administrative pour prendre des décisions relatives à la liberté d’expression et d’information des citoyens ». La motivazione dell’emendamento che respinge la Dottrina Sarkozy è stata associata al «principe selon lequel aucune restriction aux

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

153 

incompatibilità ordinamentali, la stampa contraria al provvedimento ha

dichiarato l’Hadopi morta giuridicamente e tecnicamente prima ancora di

nascere:

* L'HADOPI est morte juridiquement car elle bafoue les principes fondamentaux des droits français et européen, notamment le respect d'un procès équitable, le principe de proportionnalité des délits et des peines et la séparation des pouvoirs. Le Parlement européen vient en outre pour la 4ème fois de rappeler son opposition au texte français en votant à nouveau l'amendement 138/46, rendant l'HADOPI caduque. Cette dernière ne respecte pas plus les exigences de la Constitution française en matière de procédure équitable, d'égalité devant la loi et de légalité des lois, ce dont le Conseil Constitutionnel va avoir à juger maintenant. * L'HADOPI est morte techniquement car elle repose intégralement sur l'identification d'utilisateurs via leur adresse IP qui peut être camouflée ou détournée de bien des façons. Les techniques de contournement sont déjà très largement disponibles et des innocents seront par ailleurs inévitablement condamnés44.

L’evoluzione normativa francese è esemplare, per molti aspetti, della

direzione intrapresa dalla governance globale dell’informazione, nella quale i

diritti patrimoniali d’autore si collocano in posizione sovraordinata rispetto ad

ogni altro diritto e libertà fondamentale, dalla libertà d’espressione al diritto alla

riservatezza. Con ciò il progetto di una proprietà intellettuale ispirata a misure

eccezionali, sembra completare il proprio ciclo di rinnovamento, iniziato con

l’estensione dei limiti temporali e culminato nella colonizzazione di tutti gli strati

logici dell’architettura informatica, dai contenuti ai protocolli di trasmissione, fino                                                                                                                                                                  

droits et libertés fondamentales des utilisateurs finaux ne doit être prise sans décision préalable de l’autorité judiciaire en application notamment de l’article 11 de la charte des droits fondamentaux, sauf en cas de menace à la sécurité publique où la décision judiciaire peut intervenir postérieurement». "L-Europe-enterre-la-riposte graduée", Libération.fr, 24 septembre 2008. Il 6 ottobre, il Presidente della Commissione Europea ha risposto alla lettera che il Presidente Sarkozy gli aveva indirizzato, invitandolo a respingere la decisione del Parlamento, per evidenziare la volontà della Commissione di «rispettare questa decisione democratica del Parlamento Europeo. Dal nostro punto di vista, quell'emendamento ribadisce con decisione i principi alla base dell'ordinamento giuridico dell'Unione Europea, specialmente per quanto riguarda i diritti fondamentali della persona». “Dottrina Sarkozy, Sarkozy schiaffeggiato (di nuovo)”, Punto informatico, 13 ottobre 2008. Il 6 maggio 2009 il Parlamento Europeo ha votato una versione emendata del cosiddetto pacchetto Telecom che include un emendamento 138 più volte modificato. Il testo esclude il ricorso alle ghigliottine digitali, ma rinvia l’intero provvedimento ad una terza lettura per una definizione più chiara della politica europea in materia di neutralità e telecomunicazioni. Il 13 maggio la loi Création et Internet è stata approvata dal Parlamento. Il 10 maggio il Conseil constitutionnel ha rigettato la legge, motivando la decisione con l’osservazione che: «Internet est une composante de la liberté d'expression et de consommation», che «en droit français c'est la présomption d'innocence qui prime» e che spetta «à la justice de prononcer une sanction lorsqu'il est établi qu'il y a des téléchargements illégaux». 44 LA QUADRATURE DU NET. "Enterrement solennel de l'HADOPI à l'Assemblée", 12 mai 2009 ; http://www.laquadrature.net/en/enterrement-solennel-de-lhadopi-a-lassemblee.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

154

al cavo – benché nell’Hadopi la disconnessione sia irrogata come misura

amministrativa e non ancora tecnologica.

È alla luce di questa tendenza autoritaria che va letto il tentativo della teoria

giuridica liberale, da Lessig a Teubner, di portare il dibattito alla definizione di un

nuovo piano di legalità per internet che esamini, senza subirlo, il problema

«whether business operators, even stimulated by economic stimulation in

private-public co-regulation, should be entrusted with deciding on the limits of

human right»45. A tal fine, la proposta costituzionale di Teubner, piuttosto che

affidarsi alla difesa delle architetture punta, invece, a contenere la pressione

autoreferenziale di una regolazione dalla vocazione tecnocratica:

Lessig fears a development of the internet towards an intolerable density of control by a coalition of economic and political interests […]. Politically, the point would not be, as Lessig et al think, to combat a development to cybercorporatism, but to stabilize and institutionally guarantee the spontaneous/organized difference as such46.

È su tale ordine, basato sulla rilegittimazione del conflitto politico e sulla

statuizione di un diritto di accesso universale all’informazione, che Teubner

fonda la possibilità di codificare fondamentali posizioni di diritto da far valere

non solo contro corpi politici, ma anche contro istituzioni sociali e centri di potere

economico47.

Come si è visto, il discorso della giurisprudenza liberale che si è cercato di

rappresentare48, si colloca in posizione critica rispetto alla prospettiva

funzionalista di una governance senza governo49, nel cui quadro l’attività

coordinata e complessa di attori privati e istituzionali si basa su regole di

comportamento esclusivamente funzionali e non formali, assicurando il

funzionamento di organismi complessi su scala planetaria con il solo requisito

della capacità di coordinarsi a prescindere da norme e legittimazione50.

                                                            

45 Ibidem. 46 G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 24. 47 Ivi, p. 4. 48 Per un quadro più completo della posizione della dottrina liberale sulle norme tecnologiche, si rinvia al prossimo paragrafo. 49 Si veda J. KOOIMAN. Governing as Governance, London: Sage, 2003 50 Secondo Luhmann, d’altra parte, «la legittimità […] non si fonda affatto sul riconoscimento ‘volontario’, su un convincimento di cui si è personalmente responsabili, bensì viceversa su un clima sociale che istituzionalizza come ovvio il riconoscimento delle decisioni vincolanti e lo considera come conseguenza non di una decisione personale, ma della validità della decisione ufficiale». N. LUHMANN. Legitimation durch Verfahren, 1983, trad. it. Procedimenti giuridici e legittimazione sociale, Milano: Giuffré, 1995, p. 26.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

155 

Una delle caratteristiche più evidenti di questo genere di governance è

quella di operare come un insieme di dispositivi tesi a dare corpo a processi di

contenimento e di co-direzione dei conflitti prodotti dalle dinamiche degli

interessi, negandone il carico politico e spostandone tendenzialmente il focus

sul piano tecnico, scientifico ed economico. In questo ambito, la regolazione

della vita pubblica assume una fisionomia spiccatamente tecnocratica, ispirata

alla corporate governance e al funzionamento dei grandi sistemi tecnici, dalle

telecomunicazioni, ai trasporti, all’energia, uscendo dal precedente modello

giuridico basato sulla conformità a norme, per assumere un nuovo genere di

fondamenti scientifici e operare con una nuova prassi politica. Ciò si mostra

nella produzione di metafore e di strumenti teorici che si svincolano dai

tradizionali concetti della filosofia politica moderna - quali quelli di opinione

pubblica e rappresentanza - finendo per svuotare le coniugazioni stesse del

concetto contemporaneo di democrazia.

In questo processo di decostruzione della legalità moderna, il cyberspazio

sembra essere una delle zone di più intensa sperimentazione del nuovo assetto

di una società amministrata.

44..22 LLeexx iinnffoorrmmaattiiccaa ccoommee ssttaattoo dd’’eecccceezziioonnee

44..22..11 GGoovveerrnnaannccee tteeccnnoollooggiiccaa ee ccrriissii ddeellll’’oorrddiinnaammeennttoo lliibbeerraallee Who shall write the software that increasingly structures our daily lives?

What shall that software allow and proscribe? Who shall be privileged by it and who marginalized?

W. J. Mitchell 51

In un convegno di filosofia del diritto del 2002, Giovanni Sartori ha condotto

una riflessione approfondita sui cambiamenti introdotti nell’ordinamento dalla

legge tecnologica. L’intervento del giurista si è articolato intorno alla domanda

su quale tipo di diritto emerga in un sistema di regole che «tende a sostituire

[al]la categoria del giuridicamente lecito la categoria del virtualmente

possibile»52. Lo studioso ha fatto osservare che, nel momento in cui dei

software intelligenti abilitano azioni secondo il profilo dell’utente e sviluppano

                                                            

51 W. J. MITCHELL. City of Bits: Space, Place and the Infobahn, Cambridge: MIT Press, 1995, p. 81. 52 G. SARTORI. “Il diritto della rete globale”, cit..

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

156

algoritmi di risposta ai comportamenti precedenti dell’utilizzatore, l’orizzonte di

possibilità degli individui si restringe alla legalità del codice, rendendo

impossibili azioni non conformi o non previste in un ambiente cibernetico

perfettamente ordinato:

Potremmo chiederci se non dovremmo accogliere con entusiasmo questa tendenza, e accettare il fatto che il diritto venga sostituito da forme più evolute di controllo sociale. Il governo dell'attività umana mediante computer potrebbe rendere vera l'antica utopia del superamento del diritto. Anziché usare la normatività per coordinare il comportamento degli individui (che richiede la cooperazione attiva della mente dell'individuo stesso, ed esige che egli adotti la norma quale criterio del proprio comportamento, o almeno che egli tema la sanzione), la società potrebbe governare il comportamento umano (nel ciberspazio) introducendo processi computazionali che abilitino solo le azioni desiderate53.

Osservando la soppressione paradossale del diritto da parte di una téchné

capace di renderlo superfluo, Sartori riscopre il carattere ambiguo della stessa

produzione di norme che istituisce la legge come strutturazione del campo di

possibilità degli individui, mentre trova la propria ragione d’essere nella capacità

di indirizzo della trasgressione54. Proprio per questo, l’impossibilità

dell’infrazione non innalza la norma, ma la elimina. Nel momento in cui il

comportamento umano su internet fosse «interamente governato da processi

computazionali», la rete somiglierebbe dunque, più che alla catastrofe post-

diluviana che travolge l’innovazione55, ad una sorta di Eden prima del peccato,

dove non c’è ancora possibilità di allontanamento dalla grazia. In quel reale

perfettamente razionale, l’unica divergenza possibile sarebbe, infatti, l’eversione

dell’ordine, la rottura del codice. È per questa ragione, osserva il giurista, che in

un quadro di restrizioni tecnologiche in cui il possibile virtuale sostituisce il

lecito,

ci si appella al diritto non quale vincolo al comportamento dei comuni cittadini, ma quale ostacolo al comportamento di chi […] cerchi di violare le tecniche di controllo. Pertanto, anziché chiedere al diritto di punire gli autori di comportamenti non desiderati, si chiede ad esso di punire […] chi abilita questi comportamenti. Si va forse delineando un futuro nel quale il singolo sarà sollevato in modo crescente dell'onere della scelta morale e giuridica, e

                                                            

53 Ibidem 54 In questo senso Baudrillard osservava che la « la transgression n’est pas immorale, bien au contraire. Elle réconcilie la loi avec ce que celle-ci interdit ». J. BAUDRILLARD. L’autre par lui-même, Paris: Galilée, 1987, p. 70. 55 J. ZITTRAIN. “The Generative Internet”, cit., p. 2013.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

157 

nel quale il coordinamento dei comportamenti sociali sarà trasferito nell'infrastruttura informatica che sostiene l'azione e l'interazione dei singoli56.

Gli interrogativi posti da Sartori, sono divenute comuni nella riflessione che

la giurisprudenza liberale svolge complessivamente sul tema della legge

informatica. Nello stesso senso va infatti il ciclo di lezioni tenuto da Teubner alla

Yale Law School nell’anno accademico 2003/2004. Queste due fonti sembrano,

perciò, particolarmente utili per riunire in un quadro di sintesi la critica alla

governance tecnologica rappresentata nelle pagine precedenti.

Il discorso dei due studiosi si presenta, in effetti, come un’analisi serrata dei

mutamenti strutturali dell’ordinamento, nel passaggio dalla legge al codice, dal

governo del territorio a quello del network, dall’espressività linguistica della

norma alla sintassi del codice. Poiché l’articolo dedicato da Reidenberg alla lex

informatica illustra, in chiave apologetica, questi cambiamenti, dopo aver

affrontato il riferimento alla lex mercatoria nella genesi della giurisprudenza

tecnocratica, in questa sede tentiamo di porre a confronto questo testo

esemplare con la critica del diritto liberale. Come si vedrà, questa rimprovera ad

approcci come quello reindemberghiano, di mettere in parentesi tutta una serie

di caratteristiche fondamentali del sistema giuridico, nel quadro di una generale

semplificazione dei processi di produzione e amministrazione della norma e del

sostanziale superamento della separazione tra elementi istituzionali e

procedurali del sistema giuridico propria della tradizione politica moderna. Si

veda lo schema di Reidenberg57:

Legal Regulation Lex Informatica

Framework Law Architecture standards

Jurisdiction Physical Territory Network

Content Statutory/Court – Expression Technical Capabilities - Customary Practice

Come osservava Sartori nell’introduzione al suo discorso, il primo aspetto di

crisi della legge all’innesto di misure tecnologiche – il passaggio

reidenberghiano ad un nuovo framework - è il superamento della natura

cognitiva del diritto. In un quadro di vincoli tecnologici le norme, infatti, cessano                                                             

56 Ivi. 57 J. REIDENBERG. Lex informatica, cit., p. 566. Le tabelle citate in seguito si riferiscono alla stessa pagina.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

158

di essere adottate dagli individui come criteri di comportamento e di giudizio

basati sulla comprensione, sulla scelta e sull’interpretazione, per vincolare i

soggetti a paradigmi d’azione predeterminati che non richiedono adesione

individuale. L’autoefficacia della legge informatica rende, così, superflua e

persino impensabile l’edificazione di una moralità di tipo kantiano, basata

sull’autonomia e sulla deliberazione etica. Ciò significa che, in un ambiente in

cui lo spazio d’azione degli individui è interamente previsto e controllato dal

codice, il software sopprime in un solo movimento la differenza

comportamentale degli utenti e la sfera di indeterminatezza della legge.

Teubner ha fatto osservare, in proposito, che nella legge tradizionale la

codifica della norma resta piuttosto limitata se comparata con l’effetto della

formalizzazione di regole sotto il codice. La relazione binaria 0-1 che nel mondo

analogico è limitata al codice legale per contrasto a ciò che è illecito, nel mondo

digitale viene, infatti, estesa alla totalità delle azioni e procedure che possono

esservi attivate:

This excludes any space for interpretation. Normative expectations which traditionally could be manipulated, adapted, changed, are now transformed into rigid cognitive expectations of inclusion/exclusion of communication. In its day-today application the code lacks the subtle learning abilities of law. The microvariation of rules through new facts and new values is excluded. Arguments do not play any rule in the range of code-application. They are concentrated in the programming of the code, but lose their power in the permanent activities of rule interpretation, application and implementation. Thus, informality, as an important countervailing force to the formality of law, is reduced to zero. The code knows of no exception to the rules, no principles of equity, no way to ignore the rules, no informal change from rule-bound communication to political bargaining or everyday life abolition of rules58.

L’avvento del codice instaura, così, un ordine che rende allo stesso tempo

impossibile e impensabile ogni forma di divergenza dall’algoritmo sociale

progettato. Osservata dal punto di vista della capacità di legittimarsi, la legge

tecnologica abolisce la microfisica di adeguamento al costume ma, insieme, le

differenze stesse dei comportamenti, che divengono profili, anticipati e previsti59.

La problematica della legittimità è così superata dalla performatività. Lo si                                                             

58 G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 22. 59 Si tratta, per inciso, del rilievo mosso anche da May all’elisione tecnologica delle eccezioni da parte del DRM. C. MAY. “Digital rights management and the breakdown of social norms”, cit., p. 23.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

159 

osserva, per opposizione, nell’osservazione fatta da Bourdieu che il diritto deve

la sua sopravvivenza alla libertà dei giudici di introdurre cambiamenti e

innovazioni capaci di ridurre le frizioni tra il sistema delle norme e il campo

mobile della sua applicazione60 - ai teorici, poi, il compito di integrare i

cambiamenti nel sistema giuridico, attraverso un lavoro di assimilazione e

razionalizzazione del corpus di regole necessario ad assicurarne la coerenza e

il funzionamento61. Nel contesto della legge tecnologica, la soppressione della

dialettica di corpi separati e perfino antagonisti impegnati nella formazione,

interpretazione e applicazione della legge – che Bourdieu definisce «divisione

del lavoro di dominazione simbolica» -, lascia cadere uno degli aspetti più forti

dell’eufemizzazione della forza del diritto, spostando su basi completamente

nuove i suoi principi di funzionamento.

Teubner osserva, infatti, come nel funzionamento della legge tradizionale la

regolazione della condotta, la costruzione delle aspettative e la risoluzione dei

conflitti rappresentino fini separati dell’ordinamento che li realizza

complessivamente, sebbene attraverso istituzioni separate, differenti culture

normative e il comune riferimento al principio di legalità. Al contrario,

l’incorporazione digitale della normatività nel codice riduce questi differenti

aspetti alla regolazione elettronica della condotta, sopprimendo l’autonomia

degli individui in una passiva accettazione dell’ordine digitale62. Questo va

accettato integralmente o interamente respinto, attraverso l’unica scelta

ammissibile nel quadro della razionalità tecnologica, ovvero la collocazione

dell’utente dentro o fuori lo spazio informativo63, restando poi controverso se

nell’evoluzione di una società informazionale nella quale i flussi comunicativi

fisici e virtuali sono sempre più compenetrati, sia possibile collocarsi in una

zona franca rispetto al codice - dato che, come ha notato Deleuze, «dans un

régime de contrôle, on en a jamais fini avec rien»64.

È significativo che l’analisi giuridica della gestione dei comportamenti nel

passaggio dall’ordine normativo a quello tecnologico, raggiunga qui la diagnosi

deleuziana dell’oltrepassamento delle società disciplinari nelle società di                                                             

60 P. BOURDIEU. “La force du droit. Éléments pour une sociologie du champ juridique", Actes de la recherche en sciences sociales, 64, 1986, p. 7. 61 Ivi, p. 6. 62 G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 22. 63 G. SARTORI. “Il diritto della rete globale”, cit.. 64 G. DELEUZE. “Contrôle et devenir", cit., p. 237.

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

160

controllo. Come aveva osservato il filosofo, nel momento in cui il controllo

elettronico della condotta pervade le reti, le forme di conflitto e di illegalità

possono prodursi solo come interruzioni della comunicazione, corto-circuiti del

flusso informativo o effrazioni al codice65. Alla sospensione del diritto nella

grammatica della comunicazione corrispondono allora, l’interruzione e la

corruzione della comunicazione come forme elettive di resistenza dei network66.

Superate le forme canoniche della rappresentazione del conflitto e del

dissenso, la lex informatica porta quindi al collasso anche la natura normativa

del diritto che pone la costruzione delle norme in stretta relazione con le opzioni

attinenti la giustizia, le scelte d’organizzazione della vita sociale e le modalità di

bilanciamento degli interessi in competizione67. In un’ottica informatica nella

quale le regole virtuali realizzano semplici processi computazionali, secondo

specificazioni unilaterali, tali aspetti sono, infatti, lasciati cadere per essere

definitivamente abbandonati. La natura amministrativa, non pattizia o negoziata,

delle misure tecnologiche abolisce, in questo modo, l’originaria implicazione di

diritto e politica, in un effetto domino nel quale prende corpo l’«incubo del

principio di legalità»68. Laddove, infatti, la legge tradizionale tiene separati

l’aspetto procedurale e istituzionale dei processi di formazione, applicazione ed

esecuzione delle norme, nella legge tecnologica

the strange effect of digitalization is a kind of nuclear fusion of these three elements which means the loss of an important constitutional separation of power69.

In questa revisione dei fondamenti democratici della legge, Teubner

evidenzia perciò la soppressione degli spazi di negoziazione politica del diritto,

entro i quali la mutevolezza dei rapporti di forza tra le parti sociali ha trovato

storicamente margini più o meno ampi di modifica delle regole stesse. Tale

condizione non si verifica, evidentemente, per le regole digitali scelte, di regola,

in ambiti privati e sottratti a critiche pubbliche70. È in questo modo, conclude

                                                            

65 G. DELEUZE. "Post-scriptum sur le société de contrôle", L’autre journal, 1, mai 1990, ripubblicato in G. DELEUZE. Pourparler, op. cit., p. 244. 66 G. SARTORI. “Il diritto della rete globale”, cit.; G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 22. 67 G. SARTORI. “Il diritto della rete globale”, cit.. 68 G. TEUBNER. “Societal Constitutionalism: Alternatives to State-centered Constitutional Theory”, cit., p. 22. 69 Ivi, p. 22. 70 Come si è visto la presenza dei soggetti pubblici nelle task force tecnologiche americane e negli organismi di standardizzazione internazionale è fortemente minoritaria.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

161 

Sartori, che la governance tecnologica sopprime definitivamente la connessione

tra il diritto e l'idea di eguaglianza o imparzialità, la quale implica che il

riferimento agli interessi di una sola parte non sia giustificazione sufficiente di

una scelta giuridica, quando gli interessi delle controparti sono eccessivamente

compromessi. Ciò non accade per le regole elettroniche, che sono decise sulla

base degli interessi di chi ha sviluppato l’algoritmo informatico e sono poi

applicate automaticamente71.

In analogia con la lex mercatoria, la lex informatica abbandona il riferimento

statuale, per legarsi alla volontà del committente interpretata dai tecnologi,

come si è visto in relazione al dibattito degli ingegneri sull’end-to-end e sulla

neutralità, mentre l’applicazione delle regole generali al caso particolare è

assicurata, piuttosto che da un patto o da un livello istituzionale, dalla

configurazione informatica dell’ambiente digitale. Si veda ancora Reidenberg:

Legal Regulation Lex Informatica

Source State Technologists

Customized Rules Contract Configuration

Un ulteriore e radicale elemento di cambiamento dell’ordine normativo

consiste, infine, nella sostituzione di un diritto privatizzato al sistema di regole

coercibili mediante la forza organizzata dello Stato. All’idea di un monopolio

legittimo della violenza tende infatti a sostituirsi un insieme di forme di autotutela

escluso, per principio, in un sistema giuridico in cui il potere di coercizione è

esercitato attraverso procedure giudiziarie pubbliche che rendono possibile

appellarsi al diritto per sottoporsi ad un giudizio imparziale. Viceversa, nella

legge informatica è l’algoritmo elettronico a formare la regola, ad amministrarla

e a sanzionarne le infrazioni, restando sullo stesso piano dell’utente:

Legal Regulation Lex Informatica

Primary enforcement Court Automated, self execution

Per apprezzare la diversità sostanziale del procedimento giudiziale rispetto

ad un procedimento d’attuazione privato, osserva Sartori,

lo si confronti con [quanto disposto] dal Peer Piracy Prevention Act, un                                                             

71 G. SARTORI. “Il diritto della rete globale”, cit..

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3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

162

recente progetto di legge statunitense, che prevede che i titolari di proprietà intellettuale possano difendersi da soli attaccando (usando le tecniche tipiche degli hacker malevoli) i siti che distribuiscono materiali protetti da copyright72.

Nel bellum omnium contra omnes prospettato da questa misura di

contrasto al file sharing, il giurista trova forse l’esito più evidente della

sospensione integrale del diritto, in un ordine privatizzato in cui la legge cessa

di essere tale in senso proprio. Sostituendo la violenza privata alla forza di

legge, il Peer Piracy Prevention Act sopprime infatti l’idea stessa di un arbitrato

super partes per opporgli il vuoto normativo di uno stato di natura – o l’ossimoro

della legalizzazione di uno stato di natura.

44..22..22 LLoo ssttaattoo dd’’eecccceezziioonnee ccoommee nnoorrmmaa

In che modo si deve leggere allora un impulso trasformativo così profondo

e generale da non poter più essere compreso con le categorie analitiche della

filosofia del diritto? La dottrina liberale sembra prendere una posizione netta

rispetto alla natura della governance digitale, interpretandola come una rottura

dell’identità giuridica del copyright, formalmente e sostanzialmente affine ad

uno stato d’eccezione dell’ordinamento. È in questo senso, a nostro avviso che,

oltre alla sospensione del diritto denunciata da Teubner e Sartori, sull’altra

sponda atlantica Lessig ha parlato di uno stato d’assedio di internet73,

Vaidhyanathan e Samuelson di un copyright anticostituzionale74, Gillespie,

Litman e Castells di una politica emergenziale del cyberspazio75.

La relazione scorta da questi autori tra la legge digitale e lo stato

d’eccezione, è indicativa della convinzione generale che in internet sia in corso

un conflitto estremo. Storicamente, infatti, la sospensione delle garanzie

costituzionali risponde alla gravità degli eventi di fronte a una guerra civile o a

un conflitto armato - a partire dal diritto romano, nel quale alla dichiarazione del

tumultus da parte del senatoconsulto faceva seguito il iustitium, la forma                                                             

72 Ivi. 73 L. LESSIG. “The Internet Under Siege”, cit.. 74 S. VAIDHYANATHAN. “Remote Control: The Rise of Electronic Cultural Policy”, cit., P. SAMUELSON. Copyright, Commodification, and Censorship: Past as Prologue—but to what Future?”, cit.. 75 T. GILLESPIE. Wired Shut, op. cit., p. 9: «Such laws are backed by legislators and courts willing to privilege the interests of content providers over the public protections of traditional copyright law, a perspective well fed by the culture industries, which have carefully articulated the problem of Internet piracy as a dire emergency». J. LITMAN. “Electronic Commerce and Free Speech”, cit.. M. CASTELLS, Internet Galaxy, trad. cit., p. 162.

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II. Il governo dell’eccezione 

 

 

163 

paradigmatica, secondo Agamben, dello stato d’eccezione76. Da questo punto

di vista, la cosiddetta copyright war, declassata da alcuni commentatori a mera

cornice retorica di un dibattito normativo77, sembra essere qualcosa di più della

rappresentazione metaforica di un confronto polarizzato. In questo conflitto si

esprime piuttosto la fenomenologia di un dispositivo che genera attriti

ordinamentali e definisce le categorie e gli effetti di verità di cui il file sharing è

oggetto. Nato dal contrasto al peer-to-peer, il conflitto di legittimità nel

cyberspazio, prende così la forma di una guerra non dichiarata le cui politiche

d’emergenza sospendono le garanzie civili dei cittadini.

Tra gli autori che sposano l’idea che sia in corso una guerra, va ricordato

Zittrain che ha indicato nella rottura dell’abilità di regolare dolcemente, l’avvio di

una fase bellica della storia del cyberspazio78. A suo avviso, la legge

informatica non è, infatti, che l’escalation di uno scontro nel quale il governo

americano in lotta contro i peer-to-peer networks ha smarrito la saggezza

regolativa79. Si può concordare con questa visione, a patto di non tralasciare

che il file sharing è sia l’obiettivo delle misure di controllo che una delle figure

retoriche con cui la legge informatica si legittima. La vistosità dell’aspetto

repressivo non può infatti impedire di osservare la positività di una legge che,

proprio perché capace di ridisegnare l’ambiente digitale si mostra, anche e

soprattutto, strumento di un processo di riorganizzazione dell’economia

informazionale che fissa nuovi equilibri e nuove poste tra gli attori commerciali.

Traendo le conseguenze di questo dibattito, l’analisi della governance di

internet sembra confermare la tesi benjaminiana che nell’età contemporanea lo

                                                            

76 G. AGAMBEN. Stato d’eccezione, op. cit., pp. 55-56. 77 J. LOGIE. "A copyright cold war? The polarized rhetoric of the peer-to-peer debates”, First Monday, June 2003, http://www.firstmonday.org/Issues/issue8_7/logie/. 78 J. ZITTRAIN. “A History of online Gatekeeping”, cit.. 79 Ivi, p. 254. Le proposte di legalizzazione del P2P e di sistemi alternativi di compenso del copyright, chiedono infatti, una de-escalation: «The biggest catastrophe we are currently experiencing is the war on copying. 'Capitulation' is the war terminology prescribed by IFPI in response to a culture flat-rate. In war the rules of civility are suspended, but for the fig leave of the Geneva Convention […] But the war on copying – on amateur remixing and amateur distribution – is directed against our kids. As Lessig said, we can't stop amateur remixing and amateur distribution. We can only drive it underground, thereby calling in the next round in the technological arms race. It seems we are stumbling blindly into the future ahead of us, bumping against walls and into each other as we go along into the unfolding digital revolution. Our actions have more unintended and far-reaching consequences than we had thought, causing more collateral damage than good. We urgently need a de-escalation». V. GRASSMUCK. “The World is Going Flat(-Rate). A Study Showing Copyright Exception for Legalising File-Sharing Feasible, as a Cease-Fire in the "War on Copying" Emerges”, cit., p. 26.

Page 175: TESI COMPLETA

3. Diritto performativo e ingegneria della rete 

 

164

stato d’eccezione sia diventato la regola80. Seguendo questa linea

interpretativa, la lex informatica si mostra come il dispiegamento di una nuda

violenza governamentale nella quale «l’aspetto normativo del diritto può essere

impunemente obliterato e contraddetto [da uno stato d’eccezione che] pretende

di stare ancora applicando il diritto»81. È nello scontro che lo oppone alle sue

forme di illegalità - mentre governa l’economia digitale - che il copyright perde la

capacità di rappresentare l’equilibrio di interessi e di poteri assicurato dalla sua

istituzionalizzazione moderna, innescando la crisi del diritto in internet.

Ciò conferma la validità dell’impostazione che la cyberlaw ha dato alla

critica digitale, pur arrestandosi a ciò che il punto di vista costituzionale non

poteva vedere. La fecondità di questo approccio ci sembra contenuta

interamente nel suo momento fondativo, laddove Lessig osservava, contro i

detrattori del cyberdiritto e della legge, che i cambiamenti di internet non

sarebbero stati limitati allo spazio cibernetico, ma avrebbero investito la società

per intero - «they are, that is, general concerns, not particular» -82, proprio a

causa della tensione che lo stato d’eccezione istituito dai tentativi di regolazione

di uno spazio eccezionale, avrebbe immesso nel quadro dei principi

ordinamentali.

A dieci anni da questa prognosi, il passaggio alla legge tecnologica ha già

trovato espressione organizzativa (ISP), normativa (DMCA e provvedimenti

successivi) e di ingegneria delle piattaforme generative (broadcast flag, misure

antineutrali), manifestando una tendenza destinata a rafforzarsi83. Cresce, però,

allo stesso tempo, la capacità dei fenomeni più controversi e, in particolare, del

file sharing, di sottrarsi alla sorveglianza e di creare contromisure generative al

controllo digitale. L’evoluzione del P2P sembra confermare, in questo modo, la

descrizione deleuziana delle modalità che le forme di resistenza avrebbero

assunto nelle società di controllo, indipendentemente dalla loro capacità di

                                                            

80 Si veda l’ottava tesi sulla storia. W. BENJAMIN. Über den Begriff der Geschichte (1942), trad. it. Sul concetto di storia, Torino: 1977, p. 33. 81 G. AGAMBEN. Stato d’eccezione, op. cit., p. 111. 82 L. LESSIG. “The Law of the Horse. What Cyberlaw Might Teach”, cit., p. 503. 83 Nel momento in cui si scrive, circolano in rete alcuni stralci del nuovo accordo internazionale sulla proprietà intellettuale (ACTA - Anti-Counterfeiting Trade Agreement), nei quali si intravede l’inasprimento delle sanzioni contro pirateria e contraffazione. Il contenuto del discussion paper dell’accordo, elaborato dai soli rappresentanti istituzionali e dei principali produttori di tecnologie ed enterteinement, è mantenuto riservato e ha suscitato forti critiche la decisione del Presidente Obama di secretare la bozza classificandola come documento inerente la sicurezza degli Stati Uniti.

Page 176: TESI COMPLETA

II. Il governo dell’eccezione 

 

 

165 

riconoscersi come tali. Si mantiene così ancora aperta l’alternativa descritta da

Lyotard nelle ultime pagine de La condition postmoderne:

Quant à l’informatisation des sociétés […] on voit enfin comment elle affecte cette problématique. Elle peut devenir l’instrument « rêvé » de contrôle et de régulation du système du marché, étendu jusqu’au savoir lui-même, et exclusivement régi par le principe de performativité. Elle comporte alors inévitablement la terreur. Elle peut aussi servir les groupes de discussion sur le métaprescriptifs en leur donnant les informations dont il manquent le plus souvent pour décider en connaissance de cause. La ligne à suivre pour la faire bifurquer dans ce dernier sens est forte simple en principe : c’est que le public aie accès librement aux mémoires et aux banques des données84.

La possibilità che l’informazione non si riduca ad un gioco a somma zero,

chiudendo ogni forma di divergenza in una totalità terroristica, sembra così

legarsi al gioco del download. Per ironia del postmoderno, l’impossibilità del

sapere di opporre alla performatività delle tecnoscienze una legittimità basata

sulla verità e sulla dignità della natura umana, fonda il proprio appello alla

giustizia su una paralogia affidata ad un gioco di ragazzi.

                                                            

84 J.-F. LYOTARD. La condition postmoderne, op. cit., p. 107.

Page 177: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

166

IIIIII..

IILL FFIILLEE SSHHAARRIINNGG EE LLAA LLOOGGIICCAA DDEEII

NNEETTWWOORRKK

------------------------------------ Questa parte della tesi porta la ricerca sulle reti di file sharing, con uno

studio della storia tecnologica e giudiziaria dei software e della dinamica

evolutiva delle pratiche di condivisione che fa emergere la natura di protocollo

sociale, prima ancora che tecnico delle reti peer-to-peer. Questo aspetto,

lasciato totalmente in ombra dal dibattito regolativo, è interpretato attraverso un

confronto serrato con la letteratura socio-antropologica in argomento e con

l’ipotesi formulata in questo contesto che il file sharing rappresenti un’economia

informale del dono realizzata nel cuore tecnologico dell’economia

informazionale.

Page 178: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

167 

Page 179: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

168

5.

LLee rreettii ee llee aarrcchhiitteettttuurree ddii ccoonnddiivviissiioonnee

Page 180: TESI COMPLETA

 

 

169 

La nostra analisi della logica dei network parte dallo studio con cui un

gruppo di ricercatori Microsoft ha evidenziato la stretta derivazione del peer-to-

peer dalle reti fisiche di amici, alle quali la diffusione della programmazione ha

offerto una tecnologia in grado di distribuire beni digitali a basso costo. In

questo intervento poco noto, i quattro ingegneri sostengono che, in virtù della

loro natura di protocollo sociale prima ancora che tecnico, le reti illegali

(darknet) non possono essere soppresse dal controllo informatico, il quale può

solo spingerle a rafforzare le loro tattiche di mascheramento o a rinunciare

all’interconnessione per sopravvivere come isole crittate nelle reti elettroniche.

In questo tentativo di pensare il file sharing come un insieme di protocolli

tecnici sovrapposto a reti sociali, gli ingegneri Microsoft ipotizzano che l’azione

di controllo che la legge e il codice possono applicare a tutti i livelli della

struttura delle darknet, non sia in grado di incidere sulla logica sociale di reti in

grado di riprodursi e mantenersi efficienti adattando la loro morfologia alle

condizioni ambientali date. L’analisi dell’evoluzione tecnologica e organizzativa

delle piattaforme peer-to-peer conferma l’intuizione di questi autori, mostrando

come la pressione giudiziaria e il cambiamento dei presupposti economici alla

proliferazione dei sistemi di condivisione, abbiano sostenuto la trasformazione

dei protocolli tecnici assicurando una crescita esponenziale del traffico pirata

che dal 1999 ad oggi non ha registrato flessioni.

Appare evidente la necessità di un piano teorico capace di spiegare in

modo persuasivo la vitalità del file sharing e la sua inclusione negli usi quotidiani

di internet, superando i determinismi tecnologici e il mainstream regolativo

dominanti in letteratura. Si registrano, in proposito, due tentativi interpretativi

alternativi alle visioni tecnica e giuridica della pratica. Il primo, di tipo

economico, riconosce nel file sharing i tratti di una «disruptive technology»

capace di rivoluzionare i modelli d’affari delle imprese e di imporsi in futuro

come uno standard dell’economia digitale. Il secondo, elaborato nel contesto

degli studi politici e antropologici di internet, vi legge la persistenza di

un’economia informale del dono digitale, strettamente legata alle origini non

commerciali della rete, le cui pratiche generative e collaborative si rivelano più

efficienti del mercato ed alternative ad esso.

Page 181: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

170

55..11 DDaarrkknneett,, oovvvveerroo llaa rroobbuusstteezzzzaa ddeellllee rreettii ssoocciiaallii

Une société, un champ social […] fuit d’abord de partout, ce sont les lignes de fuite qui sont premières […].

Les lignes de fuite ne sont pas forcément « révolutionnaires», au contraire, mais c’est elles que les dispositifs de pouvoir vont colmater, ligaturer.

G. Deleuze1

In una conferenza tecnica della fine del 2002, quattro ricercatori Microsoft

hanno proposto uno studio della «collection of networks and technologies used

to share digital content» definita, per la prima volta, «darknet»2. In questo

lavoro, per molti aspetti eretico, sia in rapporto al punto di vista del committente3

che per l’approccio sociologico, e non tecnico, adottato, gli studiosi partono

dalla constatazione che

People have always copied things […] In the past, most items of value were physical objects [...] Today, things of value are increasingly less tangible […]. This presents great opportunities and great challenges. The opportunity is low-cost delivery of personalized, desirable high-quality content. The challenge is that such content can be distributed illegally. Copyright law governs the legality of copying and distribution of such valuable data, but copyright protection is increasingly strained in a world of programmable computers and high-speed networks. For example, consider the staggering burst of creativity by authors of computer programs that are designed to share audio files. This was first popularized by Napster, but today several popular applications and services offer similar capabilities4.

Gli studiosi mettono, dunque, l’accento sia sul fatto che la copia e la

condivisione di oggetti rappresentano una costante delle reti sociali, sia che

l’elemento di novità introdotto dalla digitalizzazione consiste nella comparsa di

tecnologie che socializzano la programmazione e rendono disponibili al pubblico

gli strumenti per profittare della circolazione a basso costo delle merci. Proprio il

legame tra questi fattori e le reti di file sharing, porta gli studiosi a sostenere che

                                                            

1 G. DELEUZE. “Désir et plaisir” (1977), Le magazine littéraire, 325, octobre 1994; http://multitudes.samizdat.net/article1353.html. 2 P. BIDDLE, P. ENGLAND, M. PEINADO, B. WILLMAN. “The Darknet and the Future of Content Distribution”, cit., p. 1. Il termine «darknet» è stato poi utilizzato soprattutto dalla letteratura che si colloca tra giornalismo e documentazione sociologica (si veda, J. D. LASICA. Darknet. Hollywood’s War Against the Digital Generation, Hoboken – New Jersey: John Wiley & Sons Inc., 2005). Va sottolineato che il gruppo Microsoft usa questo concetto come sinonimo dei sistemi P2P mentre, nel gergo tecnico, le darknet sono reti segrete di piccole dimensioni nelle quali gli utenti sono in relazione fiduciaria tra loro (friend-to-friend). 3 I ricercatori specificano in nota che «Statements in this paper represent the opinions of the authors and not necessarily the position of Microsoft Corporation». P. BIDDLE, P. ENGLAND, M. PEINADO, B. WILLMAN. “The Darknet and the Future of Content Distribution”, cit., p. 1 4 Ibidem.

Page 182: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

171 

il «the darknet-genie will not be put back into the bottle»5. Biddle e i suoi colleghi

attribuiscono, infatti, l’efficienza del P2P alla legge dei piccoli mondi

(interconnected small-worlds networks), nella quale l’esistenza di sei gradi di

separazione tra i nodi più distanti giustifica la relativa facilità con la quale

chiunque può procurarsi ciò che gli serve attraverso pochi passaggi all’interno di

una rete di contatti6. La robustezza e l’efficacia distributiva delle reti oscure sono

dunque proprietà di natura relazionale, più che effetti delle tecnologie: «the

darknet is not a separate physical network but an application and protocol layer

riding on existing networks»7.

Coerentemente con questa tesi, il gruppo di ricerca è partito dall’analisi

delle sneakernet, per evidenziare come l’avvento delle reti elettroniche avesse

potenziato l’efficienza dello scambio tra pari, permettendo alle «reti di amici» di

superare inizialmente i limiti fisici delle comunità e, in seguito, di aggirare in

modo sempre più efficace i rischi legali della condivisione online.

Sorprendentemente, per il contesto in cui il lavoro viene presentato, l’incapacità

delle tecnologie di controllo di contenere la circolazione illegale delle copie,

viene dimostrata attraverso la descrizione delle dinamiche di un college, il cui

modello organizzativo è visto sia come il nucleo originario, che come un

possibile scenario futuro delle reti occulte:

[…] students in dorms will establish darknets to share content in their social group. These darknets may be based on simple file sharing, DVD-copying, or may use special application programs or servers: for example, a chat or instant-messenger client enhanced to share content with members of your buddy-list. Each student will be a member of other darknets: for example, their family, various special interest groups, friends from high-school, and colleagues in part-time jobs. If there are a few active super-peers - users that locate and share objects with zeal - then we can anticipate that content will rapidly diffuse between darknets, and relatively small darknets arranged around social groups will approach the aggregate libraries that are provided by the global darknets of today8.

Muovendo da questa illustrazione, che sottolinea gli elementi di continuità

tra le forme comuni della condivisione tra pari (copia di Cd e Dvd), le prime

modalità di scambio dei file attraverso il web (chat, instant messaging) e il peer-

to-peer su piattaforme dedicate, i ricercatori ipotizzano l’evoluzione delle                                                             

5 Ibid. 6 Ivi, p. 3. 7 Ivi, p. 1. 8 Ivi, pp. 10-11.

Page 183: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

172

politiche di controllo delle darknet, accostando ad ognuno dei quattro cardini

funzionali di questi sistemi, le misure idonee a contrastarli:9

Struttura P2P Funzione Misure di controllo

Sistema di input introduzione dei contenuti nella rete

DRM – cifratura dei file

Sistema di distribuzione messa a disposizione dei contenuti ai peer

Filtering degli ISP

Sistema di output consumo dei contenuti su diverse piattaforme

Trusted Computing – Broadcast Flag

Database o motore di ricerca, indicizzazione dei file Ricerca

Repressione legale (Napster, KaZaA, The Pirate Bay)

Ponendo l’accento sulla natura distribuita delle reti di condivisione, gli autori

hanno osservato che, benché sia possibile controllare tutti gli snodi della

struttura delle darknet, la repressione tecno-giuridica non può sopprimerle, ma

solo spingerle a rafforzare le loro tattiche di mascheramento, o a rinunciare

all’interconnessione per sopravvivere come isole crittate o sneakernet

elettroniche. Gli studiosi hanno inoltre evidenziato che anche se i futuri conflitti

orientassero l’evoluzione dei network globali verso una morfologia «gated

communities», la struttura di queste microreti e, particolarmente, la presenza al

loro interno dei supernodi, continuerebbero a garantire un alto grado di

efficienza della condivisione. Secondo la teoria dei grafi, infatti, la creazione di

nodi ricchi di legami è una capacità spontanea delle reti. In particolare, la

«legge di potenza» mostra come, indipendentemente dalle loro dimensioni, i

network abbiano la tendenza a concentrare le relazioni di comunicazione

intorno ad alcuni elementi della loro struttura, cioè a distribuirsi secondo un

attaccamento preferenziale, creando reti «senza scala tipica»10. Perciò, nel

momento in cui l’incremento della sorveglianza dovesse frammentarle, le

darknet funzionerebbero comunque grazie alla topologia distribuita che

presiede alla riproduzione delle reti sociali:

                                                            

9 Lo schema è una sintesi dell’articolo alle pp. 10-15. Alcune delle misure indicate nella colonna di destra nel 2002 sono allo stato di ipotesi. 10 Per le linee essenziali del dibattito su teoria dei grafi e legge di potenzia, le implicazioni per la teoria sociale e la bibliografia essenziale si veda R. BAUTIER. “Géographie physique et géographie humaine du web“, Ve Colloque Tic & Territoire : Quels Développements ? Université de Franche Comte, Besançon, 9-10 juin 2006, http://isdm.univ-tln.fr et Modèles physiques et biologiques des nouveaux moyens de communication”, 2007 ; http://w3.u-grenoble3.fr/les_enjeux/2007-meotic/Bautier/home.html.

Page 184: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

173 

 

Il gruppo di ricerca giunge dunque alla conclusione che la condivisione

elettronica è virtualmente in grado di sopportare le limitazioni al livello delle

tecnologie di comunicazione, sul cui controllo e reingegnerizzazione si focalizza

gran parte della letteratura regolativa11. Questa, peraltro, è anche la ragione per

cui, ad onta della loro criminalizzazione,

Peer-to-peer networking and file sharing does seem to be entering into the mainstream – both for illegal and legal uses. If we couple this with the rapid build-out of consumer broadband, the dropping price of storage, and the fact that personal computers are effectively establishing themselves as centers of home-entertainment, we suspect that peer-to-peer functionality will remain popular and become more widespread12.

Secondo questa interpretazione, le darknet continueranno perciò ad

evolversi aggirando i nuovi ostacoli tecno-legali13: 

                                                            

11 Nel suo studio comparato sul file sharing, Ian Condry ha osservato: «Japan shows us that preventing online sharing does not stop unauthorized copying. With the widening range of storage and transfer technologies – flash cards, standalone CD-R, iPods, terabyte-sized hard drives, etc. – it seems likely that the ‘darknet’ may be less reliant on p2p eventually anyway». I CONDRY. “Cultures of Music Piracy: An Ethnographic Comparison of the US and Japan”, cit., p. 359. 12 Ivi, pp. 8-9. 13 Ivi, p. 4.

Page 185: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

174

55..22 DDaa NNaappsstteerr aa BBiittTToorrrreenntt:: ssttoorriiaa tteeccnnoollooggiiccaa ee ggiiuuddiizziiaarriiaa ddeell ppeeeerr--ttoo--ppeeeerr

La storia delle darknet rappresentata nell’illustrazione, evidenzia anche che

la condivisione elettronica non nasce con Napster, ma con i sistemi di

interconnessione che si sviluppavano parallelamente ad ARPANET, nei quali la

condivisione di indirizzi FTP e HTTP da cui scaricare file era pratica comune14.

Le BBS (Bulletin Board System) avevano, infatti, trasferito sulle reti digitali la

tradizione delle fanzine e delle loro rubriche dei lettori, le quali funzionavano

oltre che come spazi di discussione, anche come occasioni di contatto per lo

scambio delle registrazioni preferite o di indicazioni su come reperirle15. Allo

stesso modo, le conversazioni in chat o i dibattiti all’interno dei newsgroup di

USENET erano spesso occasione di scambio di liste di indirizzi o di siti web

contenenti i link alle risorse desiderate.

Come suggerito dai ricercatori Microsoft, queste forme di condivisione

basate sul web e non su un software dedicato, sono sia antesignane del P2P

che modalità di comunicazione persistenti che potrebbero tornare dominanti,

svincolando la pratica della condivisione elettronica dalla dipendenza dalle

singole tecnologie. La nascita di programmi dedicati ha, infatti, esteso

enormemente le possibilità di scambio di contenuti digitali – rendendo la

masterizzazione di CD e DVD un modo banale e dispendioso di condividere

contenuti, allo stesso tempo, però, la migrazione dalle reti locali (LAN) al web ha

esposto i sistemi di condivisione a rischi legali crescenti e a vari tipi di

aggressione, così che uno dei modi per fare la storia di queste tecnologie è

osservare l’evoluzione delle tattiche di elusione adottate per sottrarsi alle

diverse forme di attacco giudiziario e tecnologico. Il criterio della riduzione del

rischio legale, con il quale il P2P declina la sua particolare visione del concetto

di sicurezza è, infatti, insieme al miglioramento delle performance dei protocolli,

alla base della classificazione tecnologica del file sharing, la quale identifica

nelle architetture client-server; decentralizzate, anonime e stream, quattro

diverse generazioni di sistemi P2P.

                                                            

14 W. WANG. Steal This File Sharing Book (2004) trad. it. File Sharing.Guida non autorizzata al download, Milano: Apogeo, 2008, pp. 2-3. 15 H. JENKINS. Textual Poachers: Television Fan and Participatory Culture, New York : Routledge, 1992; e “Interactive Audiences?”, in D. HARRIES (ed.) The New Media Book, London: British Film Institute, 2002; http://web.mit.edu/cms/People/henry3/collective%20intelligence.html: «In many ways, cyberspace is fandom writ large».

Page 186: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

175 

È importante notare come questa tassonomia non possa però essere letta

in termini cronologici e sia difficile interpretarla anche secondo la tradizionale

idea di progresso tecnologico. Tutti e quattro i modelli si presentano infatti quasi

contemporaneamente tra il 1999 e il 2000, evidenziando come la circolazione in

codice aperto delle soluzioni tecniche e le prassi collaborative attraverso cui

sono state realizzate abbiano reso quasi sincroniche le fasi di innovazione del

P2P. Le diverse soluzioni, inoltre, tendono a ripresentarsi in nuove

configurazioni o ad essere impiegate per fini particolari, piuttosto che essere

abbandonate. Ciò mette l’accento sia sul fatto che i sistemi di file sharing sono

tecnologie mutevoli in interazione strategica con una molteplicità di fattori, sia

sulla necessità di pensare questi sistemi come ambienti di condivisione,

piuttosto che strumenti finalizzati a determinati scopi. Il loro sviluppo è, infatti, di

norma, il prodotto di intellettuali collettivi in grado di riflettere in tempo reale sulle

proprie attività e di esprimerne il risultato in forme di enunciazione collettiva16.

Come ha sostenuto Pierre Lévy, l’informazione accreditata e mantenuta

dalle comunità scientifiche travalica infatti ormai le capacità di elaborazione

individuali dei singoli membri. L’intelligenza collettiva va dunque pensata come il

superamento del concetto di “sapere condiviso”, in quanto patrimonio validato

delle singole discipline, e identificata nelle forme di collaborazione ad hoc che

incanalano le competenze, non necessariamente professionali, dei singoli verso

fini e obiettivi comuni17. Le informazioni note a tutti (i saperi disciplinari) entrano

così in contatto con le conoscenze possedute dai singoli individui che sono

chiamati a condividerle quando serve. In questo senso, la progettazione delle

soluzioni informatiche per la condivisione dei file, l’anonimizzazione e la

protezione degli utenti dai rischi legali, possono essere considerate

concretizzazioni dell’intelligenza collettiva al servizio di specifiche necessità.

55..22..11 LLee oorriiggiinnii:: pprroottooccoolllloo vvss aapppplliiccaazziioonnee

Il codice del primo P2P, ad esempio, è stato scritto dallo studente

                                                            

16 P. LEVY. L’intelligence collective. Pour une anthropologie du cyberespace, Paris : Éditions La Découverte, 1994, p. 205.  17 « Le savoir de la communauté pensante n’est plus un savoir commun, car il est désormais impossible qu’un seul humain, ou même un groupe, maîtrise toutes les connaissances, toutes les compétences, c’est un savoir collectif par essence, impossible à ramassaer dans une seule chair ». Ivi, p. 203.

Page 187: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

176

diciannovenne Shawn Fanning in collaborazione con la comunità hacker Ire

wOOwOO, nella quale il giovane era conosciuto con il nickname Napster18.

Questo programma, rilasciato il 1 giugno 1999, disegnava un sistema

centralizzato che indicizzava le risorse musicali contenute nei computer degli

utenti. Scaricandolo gratuitamente e installandolo sul proprio computer, ci si

poteva collegare come client ad un server che manteneva aggiornate le

directories degli Mp3 e forniva come risultato delle ricerche l’elenco dei nodi in

possesso della risorsa. Dal punto di vista tecnico, il sistema client-server era

veloce ed efficiente ma, disponendo di un solo punto di ingresso degli input,

poteva andare incontro a sovraccarico. Da quello organizzativo, invece, Napster

era un ambiente ibrido, gerarchico in aggiornamento e paritario in condivisione,

all’interno del quale la qualità delle risorse era assicurata dall’aggiornamento

automatico del server degli elenchi di contenuti posseduti dai pari.

Ciò che rendeva rivoluzionario Napster non era, dunque, il suo design, ma

la sua natura di protocollo – vs applicazione informatica19 - che faceva di ogni

utente un nodo attivo in grado di agire come un server. Viceversa, proprio il fatto

che questa tecnologia non distribuisse la totalità delle funzioni, ma ne riservasse

una – il data base - al server centrale, costituiva la debolezza organizzativa e

(dunque) legale del sistema.

Questo limite, unito al fatto che la piattaforma permetteva di condividere

solo file musicali, non avrebbe probabilmente permesso a Napster di sostenere

la crescita di accessi assicurata dalle tecnologie successive, ma le eventuali

difficoltà non ebbero il tempo di manifestarsi perché, sette mesi dopo la sua

apertura, la RIAA (Record Industry Association of America) sporse querela

contro il sito che contava già sessanta milioni di utenti, ai quali aveva permesso

di condividere tre miliardi di Mp320. Come la vicenda giudiziaria dimostrò

chiaramente, più che le debolezze tecniche, erano soprattutto i limiti della

concezione a rendere precario il sistema Napster. Tenendo aggiornate le

directories, il programma infatti interveniva direttamente nel download della

musica, il più delle volte protetta da copyright, mentre il suo server centrale,

ubicato negli Stati Uniti, era soggetto alla giurisdizione del paese con la più

                                                            

18 L. NERI. La baia dei pirati, op. cit., p. 23. 19 Un’applicazione informatica permette, infatti di interagire con una tecnologia, senza necessariamente diventare un nodo attivo in grado di modificarla. 20 T. WU. “When the Code Isn’t Law”, cit., p. 131.

Page 188: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

177 

severa legislazione in materia.

A causa dell’eccessiva somiglianza di Napster ad un sito da cui scaricare

contenuti protetti, i legali di Fanning non riuscirono a trarre vantaggio dalla

sentenza Sony Betamax, con la quale la Corte Suprema aveva stabilito nel

1984 la liceità delle tecnologie suscettibili di uso corretto. Il 12 febbraio 2001, la

Corte Federale di S. Francisco condannò così in via definitiva la società che

deteneva i diritti della piattaforma21. Con un estremo tentativo di evitare la

chiusura, il sito installò un sistema di filtri per impedire la condivisione dei file

protetti da copyright ma, verificato il loro sistematico aggiramento da parte degli

utenti e temendo una denuncia per oltraggio alla corte, il 1 luglio fu costretto a

spegnere il server, per riaprire poco dopo come servizio a pagamento – che

alcuni mesi dopo dichiarerà la bancarotta.

Eppure, Napster era nato proprio per superare i problemi tecnici e legali

della condivisione web-based. I suoi predecessori erano stati infatti siti come

MyMp3 (1996) che erano stati prontamente chiusi dalle autorità o erano

sopravvissuti restando piccoli e nascondendosi ai motori di ricerca. Rispetto a

questi servizi, il peer-to-peer sembrava decisamente più difendibile, perché

separava le funzioni di ricerca da quelle di stoccaggio dei file. Con questo

sistema, infatti la musica protetta restava ospitata dai dischi fissi degli utenti,

aggirando, teoricamente, il problema della correità nell’infrazione al copyright.

Napster si presentava così come un semplice motore di ricerca che poteva

essere usato per fini alternativi a quelli illegali.

Il diverso parere delle corti di giustizia, basato sull’incidenza delle

operazioni illegali sull’attività complessiva del sito (91%) e sulla sua

collaborazione nella realizzazione degli illeciti, rettificò bruscamente questa

convinzione:

The relationship between developers and peer networks needed to be more like that between Xerox and its photocopiers. The response, Napster suggested, should take the form of a protocol rather than an application. Email and Usenet had never been sued for copyright infringement, despite their widespread use for illegal purposes. The lesson was simple—Napster

                                                            

21 Infatti, benché Napster fosse nato open source, uno zio di Fanning ne aveva acquistato i diritti, esponendo il programmatore all’accusa di illecito a fini commerciali. La vicenda è esposta in J. MENN, Ali the Rave: The Rise and Fall of Shawn Fanning's Napster, New York: Crown, 2003. Citato da L. NERI, La baia dei pirati, op. cit., p. 223.

Page 189: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

178

had not gone far enough22.

Napster, insomma, non aveva tratto tutte le conseguenze della natura di

protocollo del P2P, e ciò ne faceva un sistema immaturo dal punto di vista

organizzativo e insicuro da quello legale. La sua vicenda giudiziaria indicò agli

informatici che, diversamente dalle altre tecnologie, questo tipo di software

poteva essere giudicato responsabile dell’utilizzo che ne veniva fatto, per cui, il

primo obiettivo della progettazione delle architetture successive fu quello di

costruire strumenti indenni dalle vulnerabilità legali che ne avevano decretato la

chiusura:

The recording industry […] is sensitizing software developers and technologists to the legal ramifications of their inventions. Napster looked like a pretty good idea a year ago, but today Gnutella and Freenet look like much better ideas23.

In altri termini, come ha osservato Barbrook, «ironically, the court case has

provided the opportunity to fix the social and technological flaws within

Napster»24. Nel 2000 vengono così rilasciate le prime versioni di tre nuovi

sistemi di condivisione che sperimentavano equilibri alternativi tra sicurezza e

performance degli scambi. In marzo esce Gnutella, la prima piattaforma

decentralizzata, in luglio Freenet, il primo sistema di condivisione assistito da

strumenti di anonimizzazione del traffico, e in settembre eDonkey, una

tecnologia client-server che adottava lo swarming, cioè il download di frammenti

di un file da più fonti. A partire dalle loro versioni di aggiornamento, i sistemi di

file sharing cominceranno a intrecciare gli strumenti di ricerca, di comunicazione

tra peers, di download e di protezione del traffico, risultati più efficienti nelle altre

implementazioni. Nel solo intervallo 1999-2002 vengono sperimentati 58 diversi

protocolli di condivisione di cui solo CuteMX, iMesh e Scour Exchangema

riproducevano il design di Napster25. Tra questi, la piattaforma più apprezzata e

innovativa era Gnutella.

                                                            

22 Ivi, p. 151. 23 G. KAN. “Gnutella”, in A. ORAM (eds). Peer-to-Peer: Harnessing the Benefits of a Disruptive Technology, p. 121; citato da T. WU. “When Code Isn’t Law”, cit., p. 150. 24 R. BARBROOK. “The Napsterisation of Everything: a review of John Alderman, Sonic Boom: Napster, P2P and the battle for the future of music, Fourth Estate, London 2001”, Science as Culture, 11, 2, 2002; http://www.imaginaryfutures.net/2007/04/10/the-napsterisation-of-everything-by-richard-barbrook/. 25 R. LEWIS. “Media File Sharing Over Networks. Emerging Technologies”, 2002; http://www.faculty.rsu.edu/~clayton/lewis/paper.htm.

Page 190: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

179 

55..22..22 IIll ffiillee sshhaarriinngg nnoonn ccoommmmeerrcciiaallee

Justin Franklin e Tom Pepper, i programmatori poco più che maggiorenni

che ne avevano sviluppato il programma per la Nullsoft – dove “Null” stava per

“molto più piccolo di Micro(soft)” – avevano attribuito a questo sistema P2P

puro, il nome di una Nutella non commerciale che intendevano distribuire sotto

General Public License. Pubblicizzato da un annuncio su Slashdot26, il software

restò in distribuzione solo il 14 marzo 2000, perché America On Line, che aveva

da poco acquisito la start up, ne bloccò la distribuzione per motivi legali,

diffidando l’ex team Nullsoft dal continuare a svilupparlo. Nonostante

l’immediata chiusura della distribuzione, in un giorno furono scaricate migliaia di

copie del programma, dal cui codice sorgente furono creati i nuovi client per

gNet, che poté sopravvivere.

Figlia della cultura hacker, la piattaforma era costruita intorno all’idea che

“Gnutella is not a program, it is a protocol.” In other words, Gnutella’s designers created a filesharing network—GnutellaNet—that was unowned and uncontrolled and to which various Gnutella programs could provide access. The relationship between the application and the network was similar to that between various email programs (Eudora, Microsoft Outlook, Hotmail) and the one-serves-all email network that cannot be said to be owned by anyone. GnutellaNet was designed as a general filesharing network capable of sharing any computer file27.

La concezione di questo P2P enfatizzava così la propria natura di

protocollo abilitante, capace di creare reti non proprietarie e non controllate,

all’interno delle quali tutti nodi erano uguali ed attivi, ed avevano la stessa

priorità di accesso alle risorse di ogni altro. Il suo protocollo doveva molto alla

teoria dei piccoli mondi28, il sistema funzionava infatti propagando la ricerca

attraverso relazioni di vicinanza ed evitando il loop con la limitazione del numero

massimo di passaggi (hops) che ogni richiesta poteva fare ai peer contigui al

nodo che l'aveva generata29. Il suo design rappresentava, inoltre, lo sforzo

                                                            

26 Slashdot è una newsletter di argomento tecnologico. 27 T. WU. “When Code Isn’t Law”, T. WU. “When the Code Isn’t Law”, Virginia Law Review, 89, 2003, p. 153; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=413201. 28 I principali contributi a questa tesi sono stati forniti dall’articolo di Stanley MILGRAM “The Small-World Problem”, Psychology Today, 1, 1967, (pp. 60-67) e dagli studi di Duncan J. WATTS e Steven H. STROGATZ. “Collective Dynamics of «small-worlds» networks”, Nature, 393,1998, (pp. 440-442). 29 La rete Gnutella (gNet) è pensata per sfruttare l’estensione geometrica del «times to live» (TTL), cioè il numero di relazioni gestite da ogni nodo. Ad esempio, se un utente è connesso a 4 computer e ciascuno di questi è connesso ad altri 4 computer, il primo utente riesce a connettersi

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III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

180

intenzionale di creare una tecnologia di condivisione non legalmente

perseguibile, cioè priva del single point of failure che aveva fatto collassare

Napster. In un sistema centralizzato, infatti, lo spegnimento del server fa cadere

l’intera rete, ciò che non accade in un sistema privo di centro. Come avevano

ricordato i ricercatori del gruppo Microsoft, prima del P2P la presenza dei

database nei siti che distribuivano contenuti, aveva reso estremamente facile la

dissuasione e il perseguimento giudiziario della condivisione:

Early Mp3 Web and FTP sites were commonly “hosted” by universities, corporations, and ISPs. Copyright-holders or their representatives sent “cease and desist” letters to these web-site operators and web-owners citing copyright infringement and in a few cases followed up with legal action30.

Il punto di forza di Gnutella consisteva invece nel fatto che la relazione che

il protocollo stabiliva con la rete era del tutto simile a quella di altri sistemi di

interconnessione, quali ad esempio i client di posta, che erano comunemente

usati per condividere file, ma non erano mai stati perseguiti per copyright

infringement. Il programma, inoltre, non era posseduto da nessuno e poteva

opporre ad eventuali chiamate in giudizio l’assenza di fini commerciali a cui

Napster non aveva potuto appellarsi. Meno attaccabile dal punto di vista legale,

l’approccio decentralizzato di Gnutella penalizzava però l’usabilità della

piattaforma e la sua capacità di sostenere forti flussi di traffico31. Affollata di ex-

fan di Napster e di una platea di nuovi utenti in forte crescita, la piattaforma

infatti era lenta e soffriva spesso di congestioni di traffico, la più grave delle

quali si verificò nel luglio 2000, quando il collasso della rete rese indisponibile il

sistema per oltre un mese32. Ciò attirò l’attenzione di una letteratura interessata

alle problematiche dell’egualitarismo elettronico che, con le reti decentralizzate,

faceva i conti con la gestione dei commons e la presenza dei free riders33.

Lo studio empirico Free Riding on Gnutella condotto nel 2000 da due

ricercatori del Centro Xerox di Palo Alto, dedicava un’attenzione particolare alla                                                                                                                                                                  

complessivamente a 4+4*4=20 computer. In questo caso i messaggi effettuano 2 hops (salti) nel network : il TTL di quell’utente è perciò uguale a 2. Con un TTL di 3, il numero totale dei computer diventa 4 + 4*4*4 =84. Il numero totale dei computer connessi cresce in modo esponenziale con l’incremento del TTL, riuscendo, idealmente, a raggiungere qualsiasi altro nella rete. 30 P. BIDDLE, P. ENGLAND, M. PEINADO, B. WILLMAN. “The Darknet and the Future of Content Distribution”, cit., p. 5. 31 Ivi, p. 152. 32 S. McCannell. “The Second Coming of Gnutella, WebReview, March 2, 2001; http://www.xml.com/pub/r/1005. 33 E. A HUBERMAN, B. A. HUBERMAN. “Free riding on Gnutella”, First Monday, 5, 10, October 2, 2000; http://firstmonday.org/htbin/cgiwrap/bin/ojs/index.php/fm/article/viewArticle/792.

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5. Le reti e le architetture di condivisione

 

181 

propensione a condividere manifestata dagli utenti della piattaforma, rilevando

la sproporzione tra il numero di coloro che entravano per cercare musica e

quello di coloro che contemporaneamente mettevano a disposizione i propri

Mp334. L’analisi di 24 ore di traffico della rete mostrava, infatti, che il 70% dei

partecipanti non rendeva disponibile per il download i propri contenuti e che il

traffico generato da 31.000 nodi era servito solo da 314 host. L’articolo degli

Huberman si spingeva così ad ipotizzare che l’incidenza del free riding avrebbe

insterilito le reti di file sharing, portando gli utenti insoddisfatti a causa della

diminuzione delle risorse e del tempo speso infruttuosamente, a rivolgersi

nuovamente alla fornitura commerciale. Come evidenziavano i due ricercatori,

la sorte tragica dei commons era implicata nelle logiche della scelta razionale

descritte da Garrett Hardin nel 196835, anche quella dei commons digitali era

dunque segnata36.

Il problema osservato dagli Huberman era noto. Ciò che rendeva Gnutella

simile ai pascoli di Hardin era la scarsità di banda, unita alla prevalenza di

contratti di fornitura telefonica con tariffazione a consumo. Le vecchie

connessioni dial up facevano infatti passare il traffico upload e download per la

stessa linea, spingendo gli utenti, collegati da casa con tariffe a tempo, a tentare

di velocizzare le loro operazioni impedendo l’accesso ai file dei propri computer.

I pochi host che sostenevano l’intera rete erano infatti prevalentemente installati

nei campus universitari, dai quali gli utenti della comunità mettevano a

disposizione le risorse necessarie a tutti i partecipanti. Napster aveva

comunque cercato di ampliare la propria base di file attraverso un dispositivo

che contabilizzava l’apporto dei singoli utenti all’arricchimento delle risorse

comuni, compensandoli del rallentamento della condivisione con un accesso

preferenziale al server che ne accelerava le ricerche.

55..22..33 IIll ddeecclliinnoo ddeellllee ppiiaattttaaffoorrmmee pprroopprriieettaarriiee

Alla funzione redistributiva scelta da Napster, il protocollo FastTrack – una

piattaforma proprietaria e crittata, sviluppata nel marzo 2001 dal sorgente di                                                             

34 Ibidem 35 G. HARDIN. “The Tragedy of the Commons", Science, 162, 1968, http://dieoff.org/page95.htm. 36 Sull’importanza “pedagogica” di studi empirici, come quello degli Huberman, tesi a dimostrare la natura prosaica del file sharing e la loro scontata perdita di efficacia, si veda L. J. STRAHILEVITZ. “Charismatic Code, Social Norms, and the Emergence of Cooperation on the File-Swapping Networks”, Virginia Law Review, 89, 2003, p. 64; http://ssrn.com/abstract=329700.

Page 193: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

182

Gnutella - aveva invece preferito una soluzione organizzativa, che assegnava

ad alcuni nodi del sistema le funzioni di indicizzazione riservate dal primo P2P

al server centrale. I super-nodi di questa piattaforma diventavano così «more

equal than others», ricentralizzando parzialmente il sistema di condivisione37.

Questi servent38 mantenevano, infatti, aggiornati i database degli utenti,

permettendo a chi si collegava alla piattaforma di utilizzare quasi interamente la

sua disponibilità di banda per il download. Poiché i nodi specializzati

suddividevano la rete in spazi logici di minore ampiezza, le interrogazioni erano

portate a termine in minor tempo, con effetti apprezzabili soprattutto per gli

utenti collegati con connessioni lente. Rispetto a Gnutella, oltre alla

velocizzazione della ricerca, era stata introdotta la possibilità di riprendere i

download interrotti e di scaricare file da più sorgenti (multisourcing), ciò che

compensava, complessivamente, il livello ancora rudimentale della funzione di

interrogazione che richiedeva l’immissione del titolo esatto di un brano ed era

incapace di lavorare per chiavi.

Il successo di KaZaA fu così immediato, dimostrando la capacità della sua

tecnologia di sostenere picchi di traffico e volumi di accessi ineguagliati dalle

altre reti. Nell’estate 2002, KaZaA superò il numero di utenti di Napster e, agli

inizi del 2004, il suo software divenne il più scaricato della storia con 319 milioni

di download39. L’adozione di un’architettura ibrida, unita alla natura commerciale

della piattaforma, tornavano però a reintrodurre nel sistema di condivisione le

vulnerabilità legali di Napster. Gnutella e suoi client, infatti, non erano stati

perseguiti dalle autorità, mentre le reti FastTrack - KaZaA, IMesh, Audiogalaxy,

Morpheus e Grokster - furono protagoniste del procedimento giudiziario più

importante della storia del P2P, i cui esiti avrebbero dettato nuove coordinate

per lo sviluppo del file sharing commerciale e determinato il ritorno a una nuova

stagione di piattaforme open source40.

La prima denuncia alla Consumer Empowerment, la società con sede in

Olanda che commercializzava il protocollo FastTrack, partì dalla società di

collecting Burma/Stemra pochi mesi dopo il rilascio di KaZaA. Alla condanna                                                             

37 Il client più famoso era KaZaA. 38 Si dicono «servent» i nodi di un sistema decentralizzato che il software fa lavorare sia come server che come client. 39 J. L. GOLDSMITH, T. WU. I padroni di internet. L’illusione di un mondo senza confini, op. cit., p. 111. Napster resta, invece, l’applicativo internet con il tasso di adozione più rapido della storia. L. NERI, La baia dei pirati, op. cit., pp. 32-33. 40 L. NERI. La baia dei pirati, op. cit., p. 57.

Page 194: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

183 

con la quale il giudice olandese di primo grado ordinava la rimozione dei

contenuti protetti da copyright, la società reagì vendendo la proprietà ad una

rete di compagnie offshore, la cui capofila era Sharman Networks, con sede

legale nell’isola di Vanuatu. Dopo aver dislocato la sede nel Pacifico, la

proprietà di KaZaA acquisì la licenza di sfruttamento del protocollo da una

compagnia estone, installò i server di KaZaA in Danimarca e vendette il dominio

KaZaA.com alla LEF Interactive, con sede a Sidney, la cui sigla iniziale era

l’acronimo di Liberté, Égalité, Fraternité, ad indicare che la società combatteva

una battaglia universale per la libertà41.

Nel frattempo, KaZaA era stata denunciata anche negli Stati Uniti. La

querela della RIAA raggiunse Zennstròm e i client che operavano su licenza

FastTrack il 2 ottobre 2001, poco dopo la chiusura di Napster. La strategia

accusatoria dell’industria musicale era la stessa impiegata con successo contro

il sito di Fanning, ma il quadro generale era cambiato, a cominciare dal fatto che

i server di KaZaA erano installati fuori della giurisdizione americana. Nella prima

fase del «caso Grokster», KaZaA e Zennstròm non si presentarono in

dibattimento, lasciando agli altri client il compito di difendersi davanti ai giudici

californiani. I legali di Grokster, coadiuvati dall’avvocato dell’EFF Fred Von

Lohmann, invocarono nuovamente lo standard Sony Betamax, sottolineando

che la tecnologia FastTrack offriva significativi impieghi legali e che,

diversamente da Napster, il protocollo non interveniva in alcun modo nella

condivisione dei file protetti. Von Lohmann insistette particolarmente sugli effetti

che un’eventuale condanna della piattaforma avrebbe potuto avere sul futuro

dell’innovazione tecnologica, se si fosse permesso alla strategia d’affari

dell’industria musicale di ostacolare l’ingresso sul mercato di un modello

concorrente, supportato da una nuova tecnologia42. Contro KaZaA giocava il

fatto che il programma era usato prevalentemente per fini illeciti e che il sito

stesso si era presentato ai suoi utenti come il sostituto di Napster, ma la

sentenza del giudice distrettuale accolse egualmente le tesi della difesa (23

aprile 2003) mentre, sedici mesi dopo, la decisione della corte d’appello della

California rafforzò persino la sentenza di primo grado, articolando le sue                                                             

41 Ivi, p. 61. Lo stesso team di sviluppatori di KaZaA era internazionale : Niklas Zennstròm era svedese e la lavorava per una compagnia olandese, Janus Friis era danese, Priit Kasesalu era estone. 42 J.GOLDSMITH, T. WU. I padroni di internet. L’illusione di un mondo senza confQuinid, bni, trad. cit., p. 112.

Page 195: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

184

motivazioni come un commentario della tesi dell’EFF. Il giudice Thomas

osservava, infatti, che

l’introduzione di una nuova tecnologia è sempre disgregante per i mercati precedenti, particolarmente per quei detentori dei diritti le cui opere vengono vendute tramite meccanismi di distribuzione ben collaudati. La storia ha dimostrato che spesso il tempo e le dinamiche di mercato portano all’equilibrio degli interessi coinvolti, come è il caso di nuove tecnologie quali la pianola, la fotocopiatrice, il registratore, il videoregistratore, il personal computer, il karaoke o il lettore Mp343.

Si sosteneva, in questo modo, che, benché gli utenti di KaZaA violassero la

legge, l’interfaccia tecnologica non poteva essere dichiarata responsabile. La

sentenza si collocava evidentemente nel solco della tradizione Sony Betamax,

ma la sua applicazione al file sharing sollevò ugualmente forti polemiche, la più

accesa delle quali fu la protesta neo-luddista del senatore repubblicano Orrin

Hatch che propose provocatoriamente di dichiarare illegale la produzione di

computer e di distruggerne gli esemplari esistenti. In questo clima di tensione,

alimentato dalle dodicimila querele che RIAA e MPAA stavano notificando agli

sharer americani, il caso fu portato davanti alla Corte Suprema che, il 23 giugno

2005, capovolse le decisioni precedenti, condannando Grokster e Morpheus per

favoreggiamento nell’infrazione al copyright. Il loro modello imprenditoriale,

basato sulla vendita dell’attenzione del pubblico agli inserzionisti (vicarious

infringement) e sulla collaborazione dei supernodi al download (contributory

infringement), veniva così dichiarato illegale, poiché concepito per trarre profitto

dalle pratiche illecite degli utenti.

È interessante notare, in proposito, che benché KaZaA godesse all’epoca

di un successo di pubblico ineguagliato, la società che lo distribuiva non faceva

profitti. La prima ragione del suo insuccesso commerciale consisteva nella

difficoltà di attrarre i pubblicitari, che esitavano ad investire su una piattaforma

che poteva essere chiusa da un momento all’altro. Questo problema aveva

spinto Sharman Network ad adottare le strategie commerciali più povere,

disseminando le reti di adware e spyware e producendosi in maldestri tentativi

di incrementare gli introiti aumentando il costo delle licenze dei propri client o

includendo software dormienti nei computer degli utenti per profittare di parte

                                                            

43 Citato da J. GOLDSMITH, T. WU. I padroni di internet. L’illusione di un mondo senza confini, trad. cit., pp. 113-114.

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5. Le reti e le architetture di condivisione

 

185 

della loro potenza di calcolo44. Agli inizi del 2004 KaZaA si presentava perciò

infestata dagli spyware introdotti dalla compagnia, dal malware e dai file falsi o

corrotti disseminati da Hollywood, e dalle pop up dei siti porno che

parassitavano la rete. La politica seguita da Sharman Network ebbe come

conseguenza di spingere gli utenti a frequentare il sistema concorrente

eDonkey o le reti che erano state create illegalmente sul protocollo FastTrack.

Si produsse, così, la situazione paradossale, nella quale gli utenti si collegavano

a KaZaA per scaricare i software pirata KaZaA Lite e KaZaA Gold, o per

procurarsi gratuitamente le copie di KaZaA +, la versione priva di adware che la

società aveva messo in vendita a $ 29,95:

Di fronte alla proliferazione di imitazioni tipo KaZaA Gold, nel 2003 KaZaA si ritrovò nella scomoda posizione di dover segnalare le infrazioni al copyright. Inviò così una lettera a Google chiedendogli di eliminare tutti i siti che ospitavano i falsi client di KaZaA. Google aderì alla richiesta, ma alla fine KaZaA aveva avuto gli stessi grossi problemi dell’industria discografica nell’affrontare il problema dell’infrazione ai propri diritti e al marchio. Ironicamente, il suo modello imprenditoriale dipendeva dal fatto contemporaneo di evitare e applicare il copyright45.

Secondo Jack Goldsmith e Tim Wu, la vicenda commerciale e giudiziaria di

KaZaA dimostra che sebbene il suo design fosse migliore di quello di Napster,

l’impossibilità di ricorrere alle autorità per combattere le frodi e la copia dei

propri prodotti, unita all’incapacità di affermare una credibilità commerciale per

attirare le inserzioni pubblicitarie, avevano costi superiori alle possibilità di

profitto del modello46. I due giuristi ne ricavano la previsione che la distribuzione

di musica online si orienterà in futuro su servizi come iTunes, mentre la

condivisione gratuita, marginalizzata dalla repressione tecno-legale, si

riprodurrà su piattaforme clandestine, la cui segretezza e maggiore difficoltà

d’utilizzo ne renderà il patrimonio comune sempre più esiguo e banale:

Una risposta alla decisione sul caso Grokster e alle querele della RIAA sarà quella di far precipitare ulteriormente il file sharing nei meandri di internet,

                                                            

44 Non è chiaro, peraltro, come KaZaA volesse sfruttare il time sharing perché, appena scoperta la presenza dello sleeper software, lo scandalo costrinse il sito ad abbandonare rapidamente il progetto. S. LOWE. “KaZaA ready to unleash new network”, Sidney Morning Herald, April 6, 2002; http://www.smh.com.au/artcles/2002/04/05/1017206264997.html?oneclick=true; T. SPRING. “KaZaA Sneakware Stirs Inside Pcs”, CNN.com, Mai 7; 2002; http://archives.cnn.com/2002/TECH/internet/05/07/KaZaA.software.idg/. 45 J. GOLDSMITH, T. WU. I padroni di internet. L’illusione di un mondo senza confini, trad. cit., pp. 119-120. 46 Ivi, p. 121.

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III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

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mascherando l’identità dei servizi e di chi li usa […] Molte delle caratteristiche del file sharing post-KaZaA – segretezza e anonimità – vanno nella direzione degli obiettivi della legge. Man mano che i vari gruppi diventano più piccoli o più segreti per evitare le maglie repressive, divengono più difficili da scoprire non solo per le autorità […] ma anche per i comuni utenti. Ciò a sua volta significa che un numero sempre minore di utenti del file sharing sarà interessato a piccole raccolte difficili da scovare47.

Come si vede, l’isterilimento delle reti già pronosticato dagli Huberman

sposta ora sulla pressione giudiziaria, dopo l’ingenerosità degli utenti, le ragioni

per annunciare la riconsegna del pubblico al commercio. Secondo i due giuristi,

infatti, mentre le reti segrete sono destinate a perdere la loro capacità di

attrazione, la sentenza Grokster impedisce contemporaneamente la rinascita

del P2P commerciale, determinando un riassorbimento pressoché completo del

peer-to-peer nel pay-per-play. Ciò in quanto, la maggior cura per l’anonimità

degli ultimi P2P è vista come l’avvisaglia di un’imminente frammentazione delle

reti e perché, diversamente da quanto ipotizzato dal gruppo Microsoft, lo

smembramento dei network globali in un pulviscolo di darknet è considerato il

fattore decisivo della perdita di efficienza del file sharing48, in grado di

abbatterne le performance di jukebox celestiale49. Si ritiene, infine, che al di fuori

del circuito della potenza economica la pratica della condivisione via internet

non abbia futuro.

Goldsmith e Wu non registrano quindi come dopo ogni aggressione

giudiziaria le reti di condivisione abbiano attivato processi di ristrutturazione

interna e di innovazione tecnologica che hanno premesso alla pratica di

ricomporsi e di evolversi sull’intero piano tecno-sociale. Questo aspetto non

sembra invece sfuggire a Von Lohmann, il quale non solo nega che la

conclusione del caso Grokster coincida con la fine del P2P commerciale, ma

anzi evidenzia come la sconfitta della strategia incarnata da KaZaA, dia al file

sharing la possibilità di ripartire su basi più solide. Subito dopo la sentenza della

                                                            

47 J. GOLDSMITH, T. WU. I padroni di internet. L’illusione di un mondo senza confini, trad. cit., p. 125. 48 C. SHIRKY. “File Sharing Goes Social”, Networks, Economics, Culture (Mailing list); October 12, 2003; http://www.shirky.com/writings/file-sharing_social.html: «A number of recent books on networks, such as Gladwell's The Tipping Point, Barabasi's Linked, and Watts' Six Degrees, have noted that large, loosely connected networks derive their effectiveness from a small number of highly connected nodes, a pattern called a Small World network. As a result, random attacks, even massive ones, typically leave the network only modestly damaged». 49 Il concetto di jukebox celestiale, con il quale i tecnici IETF indicavano la raccolta universale della musica prodotta in ogni tempo, è stato divulgato dal prof. Paul Goldstein della Stanford University.

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5. Le reti e le architetture di condivisione

 

187 

Corte Suprema, l’avvocato ha infatti stilato un documento rivolto agli sviluppatori

dei sistemi P2P nel quale ha osservato che:

In cases involving truly decentralized P2P networks built on open source software, there may be nothing a software developer or vendor can do to stop infringing activities (just as Xerox cannot control what a photocopier is used for after it is sold). To the extent you want to minimize your obligation to police the activities of end-users, this counsels strongly in favor of software architectures that leave you with no ability to control, disable, or influence end-user behavior once the software has been shipped to the end-user [...]50.

Poiché la partecipazione del software alle violazioni e l’interesse

commerciale alla creazione degli strumenti di condivisione si sono rivelati i

principali ostacoli legali allo sviluppo del file sharing,

[…] the fight will likely center on the “control” element. The Napster court found that the right to block a user's access to the service was enough to constitute “control.” The court also found that Napster had a duty to monitor the activities of its users “to the fullest extent” possible. Accordingly, in order to avoid vicarious liability, a P2P developer would be wise to choose an architecture that makes control over end-user activities impossible51.

Per continuare a sviluppare sistemi P2P bisognerà perciò «essere

open source»:

In addition to the usual litany of arguments favoring the open-source model, the open source approach may offer special advantages in the P2P realm. It may be more difficult for a copyright owner to demonstrate “control” or “financial benefit” with respect to an open source product. After all, anyone can download, modify and compile open source code, and no one has the ability to “terminate,” “block access,” implement “filtering,” or otherwise control the use of the resulting applications. Any control mechanisms (including “filtering”), even if added later, can simply be removed by users who don’t like them52.

Il punto essenziale su cui Von Lohmann mette l’accento è la stabilizzazione

operata dalla sentenza Grokster della separazione delle responsabilità degli

utenti da quella di tecnologie che possano dimostrare di non favorire

attivamente e non sfruttare gli illeciti per fini economici. Secondo l’avvocato,

questa decisione ha posto le condizioni per una riorganizzazione del file sharing

                                                            

50 F. VON LOHMANN. “IAAL («I Am A Lawyer»). What Peer-to-Peer Developers Need to Know about Copyright Law”, Electronic Frontier Foundation, January 2006, p. 10; http://w2.eff.org/IP/P2P/p2p_copyright_wp.php. 51 Ivi, p. 14. 52 Ivi, p. 16.

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III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

188

che dovrà tener conto sia della crescente criminalizzazione del download, che

della responsabilizzazione degli sviluppatori coinvolti in progetti di sfruttamento

commerciale dell’infrazione al copyright53. Il futuro dei sistemi di condivisione

sarà perciò caratterizzato dallo sviluppo di piattaforme non proprietarie e

sempre più attrezzate per l’anonimizzazione del traffico.

La chiusura di eDonkey, poco dopo la sentenza Grokster, era sembrata

andare proprio in questa direzione. Nel nuovo clima creato dalla decisione della

Corte Suprema era, infatti, bastato l’invio di una lettera cease and desist da

parte della RIAA, perché il freeware54 sviluppato dalla Meta Machine Inc. fosse

costretto a valutare i costi legali del proseguimento dell’attività e uscisse dal

mercato, con gran parte dei suoi client, lasciando il campo a un concorrente

open source, eMule55. Di li a poco, però, BitTorrent avrebbe mostrato come, dal

punto di vista imprenditoriale, l’opposizione tra piattaforme proprietarie e open

source fosse fittizia, indicando nel rilascio dei programmi in codice aperto come

servizio gratuito di società commerciali, una delle exit strategy ai vincoli posti

dalla sentenza del 2005.

Rilasciato originariamente con licenza MIT (Massachussets Istitute of

Technology), dal 2005 il programma è stato infatti distribuito sotto BitTorrent

Open Source License dalla BitTorrent Inc., la società che lo sviluppatore Bram

Cohen aveva creato alcuni mesi prima per poterne commercializzare le

applicazioni. Allo stesso modo, il programma di Vuze – già Azureus – un

popolare client di BitTorrent noto per essere intervenuto come parte lesa nel

processo contro Comcast56, è stato rilasciato con licenza GPL e viene distribuito

gratuitamente dalla Vuze Inc. che ne commercializza le soluzioni per l’impresa.

Il modello BitTorrent era, d’altra parte, perfettamente coerente con la filosofia

open source che non ha mai fatto mistero, in opposizione al free software57,

della sua natura di modello alternativo di sfruttamento commerciale delle

tecnologie. La scelta del codice aperto indicava infatti, semplicemente, che il

                                                            

53 Se confermate, le indiscrezioni trapelate agli inizi del 2009 sul nuovo accordo internazionale ACTA sulla proprietà intellettuale vanno, in effetti in direzione dell’inasprimento delle sanzioni per gli utenti e per lo sfruttamento commerciale del file sharing. 54 Software proprietario distribuito gratuitamente che si riserva le possibilità di modifica del codice. 55 Si veda, nelle pagine successive, la descrizione delle due piattaforme. 56 Per la vicenda processuale si veda la nota 83 a p. 105. 57 Va sottolineato, in proposito, come l’ambiguità già contenuta nella formula stallmanniana «il free software è una questione di libertà non di prezzo», che sottolineava come l’importanza dell’informatica libera andasse ben oltre il mercato pur senza escluderlo a priori, è stata risolta dall’open source come un esplicito adattamento del preesistente modello free, al mercato.

Page 200: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

189 

controllo della tecnologia non era necessario ai P2P commerciali e che la

strategia imprenditoriale di queste società si sarebbe fondata su presupposti

diversi da quelli di KaZaA. Il P2P di Cohen si è infatti reso indipendente dal

finanziamento pubblicitario e ha puntato sulla promozione del software nei

servizi all’impresa, dimostrando così non soltanto la possibile coesistenza di

una tecnologia controversa con il mercato, ma perfino che un produttore di

tecnologie di condivisione poteva basare il suo modello d’affari sul business-to-

business.

Allo stesso tempo, il modello della gratuità sostenuta dalla pubblicità (free

ad-supported) non è scomparso dalla scena del P2P, ma è ancora adottato

negli ambiti non ancora entrati nel vivo della conflittualità legale, come nel caso

esemplare delle P2PTV. Il peer-to-peer televisivo è infatti un fenomeno

speciale, sia per il fatto che gli utenti condividono programmi tv, invece di beni

digitali, sia per l’inedita circostanza che la maggior parte delle tecnologie è

cinese o taiwanese: due aspetti che rendono difficile inquadrare le P2PTV nelle

fattispecie di reato del file sharing convenzionale e che comportano inevitabili

problemi di giurisdizione e di allineamento delle legislazioni in materia di

violazioni al copyright. La relativa tranquillità giudiziaria di questi P2P58, per lo

più distribuiti come freeware da Università, enti di ricerca o compagnie

asiatiche, sembra così offrire condizioni favorevoli all’attrazione degli

inserzionisti, tra i quali abbondano i siti di scommesse online - che

sponsorizzano le piattaforme specializzate in programmi sportivi - e quelli che

offrono videogiochi, ma che vedono presenti anche le compagnie aeree low

cost – come Meridiana che si pubblicizza su SopCast -, presumibilmente

interessate a promuoversi verso un pubblico fidelizzato alla gratuità, per

estensione ritenuto sensibile al low cost, e raggiungibile da trasmissioni

televisive sempre più globali.

Una terza modalità di finanziamento, alternativa al business-to-business e

al sostegno pubblicitario, è poi praticata da piattaforme come eMule e FreeNet

                                                            

58 Alla fine del 2005 Sky ha denunciato alla Guardia di Finanza due aggregatori italiani del P2PTV cinese Coolstreaming (Coolstreaming.it e Calciolibero), per aver rilanciato in rete le partite di serie A del Campionato italiano. In realtà i due siti mettevano a disposizione i link ai canali del P2P cinese. Dopo il sequestro preventivo, il Coolstreaming italiano ha cambiato dominio - registrandosi negli USA – e ha adottato la policy di Google in materia di copyright (rimuove i contenuti segnalati per copyright infringement). Il primo approfondimento della materia fatto dal giudice per le indagini preliminari ha permesso l’immediato dissequestro delle piattaforme. In sede di giudizio, i due aggregatori sono stati oggetto di decisioni alternate di innocenza e colpevolezza.

Page 201: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

190

(P2P), TOR (Virtual Private Network - VPN) e isoHunt (tracker di BitTorrent)59,

che non si appoggiano a strutture commerciali e non sono finanziate dalle

inserzioni, ma sono sostenute dalle libere donazioni degli utilizzatori. La

proliferazione di questi sistemi mostra come, accanto ai modelli commerciali,

proprietari o open source, il P2P esprima realtà non proprietarie e non

commerciali che sostengono, in continuità con Gnutella, quella che alcuni teorici

definiscono come un’economia digitale del dono60. I pagamenti volontari, infatti,

non hanno niente a che vedere con il pagamento di un corrispettivo, ma

rappresentano la chiusura del circuito di reciprocità che caratterizza le

economie basate su principi alternativi alla transazione di mercato e alla

redistribuzione statuale61.

La diversità estrema di queste piattaforme e la natura globale del file

sharing evidenziano quanto possa essere fuorviante ipotizzarne il futuro

facendo uso di modelli previsionali monocausali. Il panorama attuale mostra

infatti che, dove è possibile sfruttare diverse condizioni legali, le piattaforme

asiatiche rilanciano il modello imprenditoriale di KaZaA, mentre, negli Stati Uniti,

BitTorrent lo rovescia, per fare di un programma di file sharing il veicolo

promozionale di soluzioni per l’impresa e, con eMule, il peer-to-peer dimostra di

poter prosperare praticando un’economia di auto-sussistenza del tutto

indipendente dai meccanismi della valorizzazione di mercato. Per usare la

tassonomia di Benkler, accanto alle strategie di «esclusione basate sui diritti»

praticate dai protocolli proprietari (KaZaA), e alle strategie «non di esclusione di

mercato» adottate dalle tecnologie open source (BitTorrent), alcuni P2P

operano secondo modalità di «non esclusione e non di mercato»62.

L’insieme dei modelli imprenditoriali e delle filosofie di sostentamento delle

piattaforme di file sharing si mantiene dunque più complesso rispetto alla

prognosi di Goldsmith e Wu, nella quale il fallimento del modello KaZaA finisce

per dimostrare l’incompatibilità del business con una pratica illegale e

                                                            

59 Un tracker è un motore di ricerca per file torrent. Il funzionamento del sistema BitTorrent è approfondito alle pagine seguenti. 60 K. J. VEALE. “Internet gift economies: Voluntary payment schemes as tangible reciprocity”, First Monday, Special Issue 3: Internet banking, e-money, and Internet gift economies, 5 December 2005; http://firstmonday.org/htbin/cgiwrap/bin/ojs/ index.php/fm/article/view/1518/1433. 61 Si fa riferimento alle tre forme di scambio individuate da Karl Polanyi: scambio di mercato, reciprocità o dono, redistribuzione statale. Per una discussione di questi temi nel quadro del paradigma antiutilitarista, si rinvia al sesto capitolo. 62 Y. BENKLER.  The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, op. cit., p. 43: Table 2.1: Ideal-Type Information Production Strategies.

Page 202: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

191 

l’esaurimento dell’esperienza di social networking applicata alla condivisione

online. Come si è visto, la storia successiva dei sistemi di file sharing ha invece

conosciuto sviluppi imprevisti - di cui testimonia la partnership di BitTorrent con i

maggiori promotori delle politiche di criminalizzazione del peer-to-peer63 - lungo

un’evoluzione, per altri versi, lineare, in cui le piattaforme di file sharing hanno

risposto all’incremento della conflittualità legale con processi sempre più marcati

di decentralizzazione tecnologica e organizzativa.

Oltre a sposare il suggerimento di aprire il codice per sottrarsi alle

responsabilità legate al controllo del software, i nuovi P2P hanno infatti adottato

delle architetture che rendono sempre più arduo individuare le singole

responsabilità nella condivisione. Le tecnologie basate sullo streaming

distribuiscono, infatti, assai più che in passato, le funzioni essenziali dei sistemi

di file sharing, rendendo più difficile l’incriminazione degli sviluppatori e meno

scontata quella degli utenti. BitTorrent, ad esempio, ha esternalizzato la

funzione di ricerca, che non fa più parte del sistema di condivisione e, come i

sistemi basati su codice eDonkey (eMule), utilizza un sistema di «scambio

forzato» che rende indistinguibile chi mette a disposizione file e chi li scarica.

Come si è visto, eMule e FreeNet hanno poi esteso il principio della

decentralizzazione anche alle forme di finanziamento, praticando una forma

distribuita di sostegno finanziario che si appoggia alla solidarietà interna delle

communities di sharer e li rende indipendenti dai meccanismi di mercato.

L’indicazione che se ne può trarre è che, dopo Grokster, il file sharing ha

risposto adeguatamente alla sfida del controllo, come si deduce anche dai suoi

numeri in crescita. Se si esamina l’ultimo studio di Oberholtzer e Strumpf, il

quale prende in esame tutte le rilevazioni empiriche effettuate fino ad oggi, si

osserva infatti che, dal 2003 al 2009, il traffico legato al file sharing è cresciuto

con «fattore 10» - da 1 terabyte a circa 10 terabytes –; e che dal 2006, equivale

ad oltre il 60% del traffico complessivo internet:

                                                            

63 Come si vedrà, BitTorrent collabora tra gli altri con Sega, 20th Century Fox, MTV, Paramount, Lionsgate e Warner Bros.

Page 203: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

192

Global File Sharing, 1999-200664

In relazione al numero di file scaricati, gli autori notano anche che le

denunce della RIAA (38.000, in totale, fino al 2008) non hanno inciso

significativamente sul peer-to-peer e che la sua base di utenti non ha subito

flessioni di rilievo nemmeno in corrispondenza delle condanne dei processi più

noti, tornando a crescere dopo una contrazione temporanea65.

55..22..44 VViirrttuuaall PPrriivvaattee NNeettwwoorrkk,, ddaarrkknneett ee ssiisstteemmii ddii aannoonniimmiizzzzaazziioonnee

Questi dati smentiscono perciò anche la seconda previsione degli autori di

Who Controls the Internet?, secondo i quali, dopo Groskster, la pressione

giudiziaria avrebbe disarticolato le reti in darknet sempre più nascoste agli occhi

degli stessi utenti. In proposito, se si sospende il giudizio sulle incognite della

reingegnerizzazione di internet, la cui attuazione porrebbe nuove condizioni sia

allo sviluppo che alla possibilità di controllo dei sistemi anonimi, si osserva infatti

che attualmente la crittografia prevale sulla secessione da internet o dal web. Il

fatto che le VPN siano considerate in aumento66, non impedisce inoltre di

constatare come le reti di BitTorrent, eDonkey/eMule e LimeWire/Gnutella

confermino la persistente capacità del file sharing di conquistare o mantenere

dimensioni di massa67.

                                                            

64 Ivi, p. 40. 65 F. OBERHOLZER-GEE, K. STRUMPF. “File-Sharing and Copyright”, cit., pp. 11, 12, 13. 66 Mancano dati certi, visto che le darknet sono un fenomeno, per definizione, di difficile rilevazione. 67 Secondo la ricerca Ipoque 2008 (citata alla nota 79, p. 40), eDonkey e BitTorrent generano il 90% del traffico P2P.

Page 204: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

193 

È perciò probabile che nell’immediato futuro le metodologie di

anonimizzazione saranno utilizzate per raggiungere senza rischi queste

piattaforme, piuttosto che per separarsene. L’efficienza di questi P2P e

l’escalation dello scontro tra utenti e commercio potrebbe, infatti, convincere

una quota crescente di sharer che il tempo necessario per imparare ad usare gli

strumenti di crittografia e per servirsene nella navigazione sia ben speso.

Qualche indicazione in questo senso si può ricavare dalle VPN nate nel 2009 e

affiancatesi ai sistemi di anonimizzazione già noti e consolidati (TOR), che si

presentano come chiare azioni di sfida al sistema di sorveglianza disegnato

dalle legislazioni sul copyright: IPREDator, ad esempio, è stato rilasciato da The

Pirate Bay il giorno dell’entrata in vigore della legge svedese IPRED sul

copyright (1 aprile 2009), mentre IPODAH – il cui nome è il rovesciamento di

Hadopi - è stato lanciato in risposta all’approvazione della legge Création et

Internet68. Durante l’estate 2009, la VPN svedese ha lanciato la fase di test e ha

già reso noto che l’accesso al servizio costerà € 5 al mese, raccogliendo

ugualmente migliaia di prenotazioni69. Sei mesi più tardi, secondo una ricerca

citata dalla rivista di tecnologia DE.se, il 10% dei giovani tra 15 e 25 anni utilizza

già IPREDator o altir strumenti di anonimizzazione dell’IP. Ciò sembra mostrare

che una parte degli utenti dei sistemi di condivisione preferisce pagare per

garantirsi l’anonimato piuttosto che trasferirsi su iTunes, ed è disposta a

sostenere finanziariamente un progetto open source (nonché ad esprimere

consenso politico alle proposte correlate)70, mentre nega il proprio contributo ai

progetti commerciali, come mostra l’insuccesso di KaZaA +, percepito dagli

sharers come un qualunque altro prodotto in vendita.

L’uso degli strumenti di anonimizzazione evidenzia così anche una forte

componente di ostilità nei confronti dell’industria dei contenuti e una crescente

                                                            

68 Resta qualche dubbio sull’operazione IPODAH - i cui server sono situati in Francia - visto che anche i fornitori dell’accesso alla VPN potrebbero essere soggetti agli obblighi derivanti dall’Hadopi, la quale indica come «opérateur de communications électroniques», «toute personne physique ou morale exploitant un réseau de communications électroniques ouvert au public ou fournissant au public un service de communications électroniques». 69 Nel novembre 2009, la rivista svedese di tecnologia DE.se ha reso noto che, a soli sei mesi dall’entrata in vigore della legge IPRED, il 10% dei giovani svedesi tra i 15 e i 25 anni usa sistemi di anonimizzazione dell’IP. . GUSTAFFSON. Halv miljon gömmer sig för ipred, DE.se, 1 November 2009 ; http://www.dn.se/nyheter/sverige/halv-miljon-gommer-sig-for-ipred-1.986142. 70 Il Piratpartiet svedese ha ottenuto il 7,1% dei suffragi alle consultazioni Europee 2009. Sul seggio di Strasburgo conquistato siederà Christian Engström, programmatore e attivista della libertà informatica, già membro di FFII (Foundation for a Free Information Infrastructure), l’organizzazione che nel 2005 riuscì a far bocciare la direttiva europea sui brevetti del software.

Page 205: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

194

identificazione degli utenti con i siti P2P, alimentata dagli innumerevoli processi

di cui sono oggetto71. Non a caso, IPREDator reca sulla sua home page il

messaggio: «The Network is under our control not their»72. Come ha osservato

Cory Doctorov, commentando la condanna di The Pirate Bay,

[...] with each takedown, the industry creates martyrs who inspire their users into an ideological opposition to the entertainment industry, turning them into people who actively dislike these companies and wish them ill (as opposed to opportunists who supplemented their legal acquisition of copyrighted materials with infringing downloads). It's a race to turn a relatively benign symbiote (the original Napster, which offered to pay for its downloads if it could get a license) into vicious, antibiotic resistant bacteria that's dedicated to their destruction73.  

Questa accesa conflittualità mette perciò l’accento sui sistemi di file sharing

di terza e quarta generazione, vale a dire sulle tecnologie anonime e sullo

streaming inaugurate nel 2000 da sistemi come FreeNet e eDonkey.

FreeNet, il primo protocollo di navigazione anonima, è stato pensato per

creare reti decentralizzate e resistenti alla censura, grazie ad un sistema che

impedisce ad eventuali intercettatori di individuare l’IP collegato alle

comunicazioni. Il progetto politico di un software come FreeNet risponde

dunque, essenzialmente, alle problematiche della sorveglianza e delle violazioni

alla privacy perpetrate da imprese e governi con il tracciamento e la raccolta dei

dati personali degli internauti, nonché con le limitazioni alla libertà di parola dei

blogger74 e dei frequentatori di forum. La sua tecnologia, poi emulata da ANts

P2P, RShare, I2P, GNUnet ed Entropy75, per citare solo le più note, si basa su

un sistema di crittografia che genera IP virtuali ostacolando l’ispezione dei                                                             

71 Dopo la sentenza Grokster, l’industria dei contenuti ha intrapreso azioni legali contro iMesh, Grokster, Sharman (distributore di KaZaA), Streamcast (distributore di Morpheus), MetaMachine (distributore di eDonkey e LimeWire. M. A. EINHORN. “How advertising and peer to peer are transforming media and copyright”, Journal of the Copyright Society, March 15, 2007, p. 1; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=100984. Dopo il clamore della condanna a The Pirate Bay (19 aprile), il 19 giugno 2009, i forum di tutto il mondo si sono di nuovo riempiti di proteste per la condanna al pagamento di quasi due milioni di dollari inflitta negli Stati Uniti ad una madre single (mom Jammie), per aver scaricato dalla rete 24 brani musicali. 72 Http://ipredator.se/beta/closed/. 73 C. DOCTOROW. “Pirate Bay defendants found guilty, sentenced to jail”, Boingboing, April 17, 2009; http://www.boingboing.net/2009/04/17/pirate-bay-defendant.html. Il riferimento di Doctorow ai symbiotes - alieni che compaiono nelle serie di Spiderman - allude alla razza guerriera di parassiti che si nutre delle emozioni degli organismi che li ospitano, diventando sempre più aggressiva. 74 FreeNet è infatti tra i sistemi di anonimizzazione del traffico internet consigliati dal sito di Reporters sans Frontières; http://www.rsf.org/Choisir-sa-technique-pour,15023.html#5. 75 ENTROPY è l’acronimo di “Emerging Network To Reduce Orwellian Potency Yield," che si riferisce esplicitamente al romanzo di George Orwell, 1984. La piattaforma ha cessato la sua attività del 2004 per problemi di affidabilità di uno degli algoritmi crittografici.

Page 206: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

195 

pacchetti, e offusca i dati degli utenti sovrapponendo il loro traffico in modo da

rendere impossibile l’identificazione delle operazioni compiute da ogni nodo.

Poiché software come I2P o JetiANts mascherano il flusso di dati fino al

raggiungimento del router, impedendo ai fornitori di connettività di distinguere il

traffico generato dai singoli utenti, il loro utilizzo costituisce attualmente una

misura sufficiente, o di media sicurezza, per sottrarsi al tipo di controllo disposto

dall’Hadopi o da provvedimenti analoghi.

A differenza di questi sistemi a traffico anonimo, che operano su internet, le

darknet tendono a separarsi dalla rete o a rendersi invisibili al suo interno grazie

a tecniche steganografiche76 con le quali creano piccole reti fiduciarie alle quali

si accede, generalmente, su invito. Le ibridazioni tra i due modelli sono

comunque frequenti, visto che molti sistemi supportano entrambe le modalità77.

WASTE, ad esempio è un software al servizio di darknet collaborative, che

assiste la comunicazione di piccoli gruppi di utenti (mesh di 10-50 nodi) in

relazione friend-to-friend, ai quali si accede con una coppia di chiavi, pubblica e

privata, generate dal sistema78. Creato nel 2003 da Justin Franklin (lo

sviluppatore di Gnutella e del player Mp3 Winamp) e distribuito sotto GPL, il

programma ha assunto il nome attribuito da Thomas Pynchon al servizio

postale segreto del racconto The Crying of Lot 49 (W.A.S.T.E), ed è stato

sviluppato per consentire a darknet composte da studenti di college o da gruppi

di colleghi, di installarsi sui server universitari o aziendali senza timore di essere

scoperti e diffidati79. Allo stato attuale, le creazione delle darknet sembra perciò

servire particolari esigenze di sicurezza, più che un bisogno generalizzato di un

tale livello di segretezza80.

                                                            

76 Mentre la crittografia è usata per rendere inaccessibili i dati a chi non possiede le chiavi di decrittazione, la steganografia, è impiegata, invece, per mantenerne nascosta l'esistenza a chi non conosce la chiave atta ad estrarli. 77 Occorre tener conto costantemente che l’ibridazione di strategie e soluzioni è una delle caratteristiche più tipiche del file sharing. Basti pensare che molti client P2P sono multirete e diverse reti multiclient. Un P2P come DirectConnect, inoltre, è un sistema a cui si accede attraverso un ticket di invito, ma le sue dimensioni e il diverso livello di anonimato degli utenti non ne fanno una darknet. 78 Http://www.anonymous-p2p.org/waste.html. 79 R. CAPPS. “The invisible Inner Circle. Forget Gnutella, Frankel’s Waste is where it’s at”, Wired, April 2004; http://www.wired.com/wired/archive/12.04/start.html?pg=9. 80 M. ROGERS, S. BHATTI. “How to Disappear Completely: A Survey of Private Peer-to-Peer Networks”, University of St Andrews, 2007, p. 3; http://www.cs.ucl.ac.uk/staff/m.rogers/space-2007.pdf.

Page 207: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

196

55..22..55 LLoo ssttrreeaammiinngg

Oltre all’anonimità del traffico, FreeNet ha anche introdotto nel file sharing

la condivisione della banda passante a sostegno del network, un aspetto

replicato con successo dalle emergenti TVP2P per lo streaming video.

Curiosamente, il design di questa piattaforma, pensata per proteggere

l’anonimato, è poco adatto proprio allo scambio di file di grandi dimensioni,

come quelli audiovisivi. Al contrario, eDonkey supporta in modo eccellente

questo tipo di condivisione, grazie a un sistema di download che genera dai

computer in possesso del file uno sciame di frammenti (stream) che vengono in

seguito ricomposti sul disco del richiedente. Avendo sostituito i file hash ai nomi

attribuiti dagli utenti, questo P2P ha migliorato anche la ricerca per chiavi,

perché il suo programma calcola un identificatore univoco del contenuto di ogni

file condiviso (checksum), mantenendo aggiornate sui server delle liste di file

che riconoscono come identici brani nominati in modo differente (o come diversi

file nominati nello stesso modo), permettendo allo swarm di comporsi anche da

fonti eterogenee.

Un ultimo elemento di successo introdotto da edk, è stata la possibilità di

condividere frammenti di file pesanti prima ancora di averli scaricati

completamente, in modo da risparmiare banda e velocizzare la risposta alle

richieste. Attraverso questo meccanismo, il programma rende ogni utente che

sta scaricando un uploader (scambio forzato), risolvendo alla radice il problema

della generosità dei downloaders che è ora una condizione di default del

sistema. All’interno di eDonkey, e in seguito di eMule, ogni singola operazione è

perciò il frutto della cooperazione, tecnologicamente assistita, degli utenti,

mentre il download è il risultato della condivisione, oltre che dei contenuti

posseduti, anche di parte della propria connettività e memoria di massa.

Grazie alle buone performance della piattaforma, alla fine del 2004 la

popolarità di eDonkey aveva superato quella di KaZaA, divenendo il protocollo

di file sharing più utilizzato. Secondo dati Wikipedia, alcuni mesi dopo il

sorpasso di KaZaA, le reti eDonkey ospitavano infatti da due a tre milioni di

utenti che condividevano tra i 500 milioni e i due miliardi di file, assistiti da un

numero di server variabile tra 100 e 20081. Poiché i server decentralizzati

                                                            

81 WIKIPEDIA, Voce “eDonkey2000”; http://it.wikipedia.org/wiki/EDonkey.

Page 208: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

197 

costituivano una debolezza legale del sistema, nella versione successiva del

protocollo (Overnet), sviluppata poco prima della chiusura, la rete Kademlia

(Kad) è stata messa in grado di dialogare senza l’intermediazione del sistema.

Oltre alla rete Kad, eMule ha ereditato gran parte delle soluzioni di

eDonkey2000, rendendole anche più facili da usare. Molto apprezzato è

l’intuitivo sistema di coda e crediti che permette di stimare i tempi di risposta del

sistema alle richieste, gratificando gli utenti più affezionati con uno scorrimento

preferenziale82. Per questa ragione, la nuova rete – insieme ai client superstiti di

edk2 – contende a BitTorrent il primato del P2P più usato, particolarmente dagli

utenti con scarse competenze informatiche. Secondo l’indagine Ipoque, infatti,

questo sistema di condivisione è il più usato nel sud Europa, Italia inclusa,

ovvero nei paesi che soffrono di arretratezza infrastrutturale e scarsità di

connessioni veloci e dove, quindi, stenta ad affermarsi una cultura informatica

diffusa.

La sua facilità d’uso non è comunque l’unica ragione per cui molti utenti

dichiarano di preferirlo a BitTorrent. Questo sistema, che democratizza

l’accesso alla piattaforma e si autofinanzia collettivamente, detiene infatti anche

il primato della diversità culturale; per questo le sue reti sono il luogo adatto per

cercare cover, esecuzioni rare e contenuti non commerciali, oltre agli ultimi

successi83. È eMule, dunque, e non BitTorrent, a tenere in vita il jukebox

celestiale e la memoria universale della rete.

55..22..66 IIll ttrriioonnffoo tteeccnnoollooggiiccoo ddeell ppeeeerr--ttoo--ppeeeerr

Il punto di forza del P2P di Bram Cohen è invece la superiore velocità del

download. L’aneddotica della sua creazione vuole che il software sia stato

codificato durante un periodo di disoccupazione del programmatore, che era

                                                            

82 Basandosi su ricerche empiriche, Fabio Dei ha sottolineato in proposito che «questo complicato sistema di crediti ha scarsa rilevanza sul piano pratico: esso può velocizzare o rallentare leggermente il download, il che è tutto sommato indifferente per la maggior parte degli utenti. Non si può dire comunque che il programma stesso “costringe” alla reciprocità, né si può considerare come puramente utilitaristica la disponibilità all’upload […] la decisione di offrire materiali algi altri non può esser spiegata con il solo desiderio di ottenere crediti». F. DEI.  "Tra dono e furto : la condivisione della musica in rete", in M. SANTORO (a cura di). Nuovi media, vecchi media, Bologna: Il Mulino, 2007, p 56, n. 6. 83 Nei forum informatici, gli utenti dichiarano peraltro di trovare in eMule qualunque tipo di risorsa, anche testuale, come i manuali di manutenzione di moto e auto d’epoca. Quello della condivisione in rete è, infatti, uno dei meccanismi attraverso cui internet attiva dinamiche long tail, rendendo disponibile o economicamente sostenibile l’offerta di beni di nicchia. C. ANDERSON. “The Long Tail”, Wired, October 2004; http://www.wired.com/wired/archive/12.10/tail.html.  

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III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

198

stato licenziato in seguito al crollo delle dot com (2001), ma aveva ugualmente

deciso di distribuire gratuitamente BitTorrent. In un’intervista rilasciata a Wired

qualche anno dopo, Cohen aveva motivato questo gesto dichiarando che,

stanco di veder fallire progetti, «aveva deciso di fare cose che la gente volesse

usare effettivamente»84. L’informatico si era perciò limitato ad inserire tra le voci

del sito la pagina “donate”, nella quale si presentava come lo sviluppatore del

programma e forniva le sue coordinate paypal per eventuali contributi. Il

successo del suo software gli aveva così assicurato versamenti sufficienti per

mantenere la sua famiglia senza cercare un nuovo impiego. La pagina è stata

poi rimossa in occasione della creazione della BitTorrent Inc. (2004), la società

attraverso la quale Cohen distribuisce un client che vanta collaborazioni con 34

tra i massimi produttori di audiovisivi, tra i quali Sega, 20th Century Fox, MTV,

Paramount e Warner Bros; una sinergia inusuale che si spiega con

l’eccezionale valore innovativo di questo P2P, capace di rivoluzionare anche le

modalità della distribuzione legale dei contenuti.

BitTorrent rappresenta un ambizioso progetto di traduzione informatica

delle principali ipotesi logico-matematiche ed economiche sulle dinamiche dei

network, dalla legge di potenza della teoria dei grafi, al tit for tat della teoria dei

giochi. Il suo principio di funzionamento si basa, infatti, sullo sfruttamento

dell’attaccamento preferenziale e della generazione spontanea dei supernodi,

nonché sulla messa a profitto degli stessi fattori che spingono gli utenti ad

attivare comportamenti egoistici. Poiché molti aspetti del file sharing - dalla

lentezza del download al rischio di incriminazione - orientano i comportamenti

degli utenti verso il prelievo di risorse invece della loro cessione, Cohen aveva

osservato che ampie potenzialità di uploading delle reti restavano inutilizzate e

che le piattaforme P2P erano perciò largamente inefficienti. Se si fosse riusciti a

rendere vantaggioso l’upload e lo si fosse legato ad un meccanismo premiale

basato sulla reciprocità (tit for tat), si sarebbero invece ottenute delle reti pareto-

ottimali85 che avrebbero spontaneamente abbandonato i comportamenti

                                                            

84 C. THOMPSON. “BitTorrent Effect”, Wired, January 2005; http://www.wired.com/wired/archive/13.01/bittorrent.html. 85 Come è noto, la teoria economica paretiana si fonda sul presupposto che i migliori giudici del proprio benessere siano gli individui e che il benessere sociale sia la somma delle soddisfazioni individuali dei cittadini. Per il principio di Pareto, un cambiamento è accettabile se almeno un individuo lo preferisce e gli altri sono rispetto ad esso quantomeno indifferenti. In tal caso, questo cambiamento configura un miglioramento in senso paretiano, ovvero una situazione di maggior benessere rispetto a quella di partenza. Corollario del principio è che si raggiunge una situazione

Page 210: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

199 

disfunzionali e messo a frutto le potenzialità dei network. La coincidenza

dell’interesse individuale con la prosperità della rete fu trovata dall’ingegnere in

una particolare applicazione dello streaming unita ad algoritmi capaci di

generare le migliori condizioni collaborative tra i partecipanti alla condivisione. Il

suo programma disegna infatti un meccanismo di trasmissione radicalmente

distribuito che sfrutta le proprietà di diffusione virale delle reti.

A differenza di eMule, che utilizza lo stream per condividere globalmente

tutti i file richiesti, BitTorrent segmenta dinamicamente la rete aggregando ogni

richiesta intorno a un nodo, così che maggiore è la domanda di una specifica

risorsa, maggiore è la capacità locale della rete di condividerla velocemente.

Proprio in virtù del suo design virale, le reti BitTorrent sono meno ricche di

contenuti di nicchia, una difficoltà alla quale i suoi utenti sopperiscono

chiedendosi in chat il reinvio dei file non trovati nella rete (reseed) o rivolgendosi

direttamente a eMule o LimeWire - un client di Gnutella quasi altrettanto

popolare di eMule.

Come eDonkey, anche BitTorrent ha automatizzato l’upload dei nodi che

scaricano file – ciò che, come si è visto, risolve il problema dell’ingenerosità o

leech resistance - ma, a differenza del primo programma, ha legato a tale

meccanismo l’incremento percepibile della velocità, rendendo la disponibilità a

condividere immediatamente conveniente, così da svincolarla dagli

aggiustamenti redistributivi a posteriori. Con questo P2P innovativo, il problema

del sovraccarico si rovescia così in un principio di efficienza del sistema che

rende estremamente veloce lo scambio di file di dimensioni un tempo non

condivisibili, come discografie complete, film, serie televisive e video registrati

dalla tv ad alta definizione.

Diversamente dagli altri sistemi di file sharing, l’uso di BitTorrent prevede il

ricorso a risorse presenti su internet (siti web e forum di discussione), perché la

piattaforma non fornisce gli strumenti di ricerca dei file con estensione

.torrent. Avendo appreso la lezione di Napster (data base centrale) e di

KaZaA (indice decentralizzato nei supernodi), Cohen ha infatti (cinicamente)

esternalizzato questa componente del sistema, spostando sui motori di ricerca

dedicati la responsabilità del favoreggiamento dell’infrazione al copyright. Per                                                                                                                                                                  

Pareto efficiente o di pareto-ottimalità se, allontanandosi da essa, non è possibile aumentare l’utilità di un soggetto senza ridurre quella di alcun altro.

Page 211: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

200

questa ragione, è stato The Pirate Bay, tecnicamente un tracker di file

.torrent, e non la BitTorrent Inc., ad essere condannato per la condivisione

di file protetti sulla piattaforma.

La condivisione su questo P2P è dunque più complicata di quanto non sia

nei sistemi di concezione tradizionale. Perché si possa iniziare a scaricare un

file è, infatti, necessaria la compresenza di una copia completa della risorsa

(seed), di un file di testo contenente la descrizione dei pacchetti in cui il file è

suddiviso e degli algoritmi matematici atti ad attestarne l’integrità (torrent86), e di

un programma che permette la ricerca dei torrent, ovvero di un motore di ricerca

che permette di trovare questo tipo di file (tracker). Il processo di condivisione si

attiva quando qualcuno in possesso di una copia completa del file pubblica il

torrent e il tracker su un web server, in modo che altri utenti possano trovarlo.

BitTorrent non è ancora chiamato in causa in questa fase e lo sarà soltanto nel

momento in cui un utente in possesso del programma cliccherà sul torrent del

file che vuole scaricare, il quale lo indirizzerà al tracker che, a sua volta, lo

metterà in relazione con gli altri peer per iniziare il download dello sciame di

dati.

Alla luce del suo funzionamento, è facile immaginare quali vantaggi offra

BitTorrrent ai produttori di contenuti. Impiegando il potenziale di trasmissione

degli utenti, questa tecnologia infatti economizza l’uso della banda ed abbatte

drasticamente i costi di immagazzinamento e distribuzione degli audiovisivi, così

che il risparmio dei suoi partner commerciali, in termini di banda e costi di

stoccaggio, è stimato tra il 70% e il 90%87. L’importanza di questo dato motiva il

commento di uno dei dirigenti della Motion Picture Association of America

(MPAA) che ha definito il «patto col diavolo» siglato dall’industria, un «marriage

made in heaven»88. Collaborare con significa infatti cavalcare

l’onda, non solo per non esserne travolti, ma per ricavarne energia alternativa89.

                                                            

86 I client di BitTorrent, come μTorrent, Vuze e KTorrent hanno una funzione per la creazione di file con estensione .torrent. 87 M. A. EINHORN. “How advertising and peer to peer are transforming media and copyright”, cit., p. 2. 88 WARREN'S WASHINGTON INTERNET DAILY. “Confusion from 'Grokster,' Other Suits Slows Legitimate P2P Deals, Players Say”, DiaRIAA, June 23, 2006; http://diariaa.com/article-warrens-legal-confusion.htm. 89 Nel 2003, l’ancora sconosciuto BitTorrent divenne celebre per aver distribuito le copie di Matrix Reloaded pochi giorni dopo il lancio nelle sale e ancora oggi è un formidabile fornitore di Zero-Day crack (la circolazione pirata di release di software o videogiochi iniziata lo stesso giorno, o perfino in anticipo, sul loro lancio commerciale). 

Page 212: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

201 

Il côté legale di questa piattaforma consiste dunque in un servizio di

noleggio che distribuisce, a prezzi competitivi, degli audiovisivi protetti da DRM

e fruibili con Windows Media Player, che spirano 24 ore dopo l’acquisto.

Puntando su di esso, i produttori mostrano di indirizzarsi al target di un

consumatore razionale a cui propongono un servizio tanto più conveniente,

quanto più sono gravose le sanzioni contro chi si arrischia ad entrare nella

piattaforma dal lato P2P. La strategia dell’industria punta così ad utilizzare la

capacità di trasmissione delle reti digitali per abbattere i costi della distribuzione

e, contemporaneamente, a reprimere il file sharing in modo da estendere la

capacità di attrazione del modello iTunes.

Ciò su cui l’industria scommette conserva però larghi margini di incertezza.

Infatti, a quattro anni dalla sentenza Grokster, l’incremento del controllo e

l’offerta di contenuti low cost non hanno ostacolato la crescita del file sharing,

mentre il disinteresse del pubblico per il BitTorrent Entertainment Network ha

costretto la società a dimezzare i propri organici e a prepararsi alla chiusura90.

Benché potesse contare sul vantaggio competitivo dei bassi costi di banda e

stoccaggio, la società non è dunque riuscita a replicare l’esperienza di iTunes,

evidenziando così che il fattore di successo di un distributore di audiovisivi

online è la sinergia con le reti di condivisione, piuttosto che l’alternativa legale

alle medesime. La piattaforma Apple, che i commentatori oppongono

intuitivamente alla pirateria, prospera infatti proprio in quanto complementare al

file sharing, non solo perché l’iPod è l’oggetto che ha reso portatile uno dei

principali formati tecnologici del peer-to-peer (l’Mp3), ma anche perché il

software iTunes è usato dai consumatori per integrare ed aggiornare sul lettore

portatile le liste di file scaricati sulle piattaforme pirata. Ciò significa che la

tecnologia chiusa iPod-iTunes permette alla casa produttrice di sfruttare le

esternalità positive del peer-to-peer grazie alle utilità del programma per la

manipolazione degli Mp3 e al transito obbligato dei possessori dell’iPod su

iTunes. Ciò che sta portando alla chiusura il BitTorrent Entertainment Network è

perciò proprio la paradossale distanza della piattaforma dal suo lato oscuro, che

la casa di Jobbs invece, ha consapevolmente ridotto.

Tale fallimento evidenzia quanto sia rischiosa la sottovalutazione

                                                            

90 B. STONE. “BitTorrent Sacks Half Its Staff”, NewYorkTimes.com, November 7, 2008; http://bits.blogs.nytimes.com/2008/11/07/bittorrent-sacks-half-its-staff.

Page 213: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

202

dell’adesione degli utenti a iniziative di questo genere e quanto facilmente si

rivelino erronee le previsioni di successo di progetti online indirizzati a

consumatori attenti al calcolo costi-benefici. La convenienza dei contenuti e

perfino la loro gratuità, se intesa come limite estremo della proposta

commerciale91, non sembrano infatti garantire il favore del pubblico in un

ambiente in cui la logica d’azione dell’homo œconomicus non coincide con la

razionalità dominante. Lo scacco del BitTorrent Entertainment Network mostra

così quanto la visione strumentale delle tecnologie digitali si frapponga ancora

alla comprensione del loro funzionamento, inducendo i manager a scommettere

che gli utenti di una piattaforma commerciale avrebbero confermato la stessa

propensione a condividere banda, vale a dire a sostenersi l’un l’altro e a

collaborare con il network, degli utenti di una rete peer-to-peer. Contrariamente

alle attese, invece, anche dove la cooperazione è un effetto del software, i bassi

costi delle merci non sono ritenuti adeguati a compensare l’apporto individuale,

perché ciò che si fa altrove senza contropartita è sempre sottovalutato

dall’apposizione del prezzo92. L’«esperienza» del peer-to-peer, per esprimersi in

termini di marketing, non è riproducibile su un sito commerciale.

In conclusione, la storia del file sharing mostra che le reti di condivisione si

sono sottratte costantemente ai determinismi della deterrenza penale e

continuano a smentire anche le prognosi di riassorbimento nei modelli della

distribuzione commerciale, rendendo davvero incerti gli esiti delle politiche di

normalizzazione93. Si è infatti osservato come i tentativi di dissuasione penale e

di riconversione commerciale delle pratiche di condivisione spingano i network a

riorganizzarsi in sostituzione dei servizi chiusi dalle autorità o inservibili per il

libero scambio. L’esempio della galassia BitTorrent sembra emblematico, in

                                                            

91 Che i modelli di business basati sulla gratuità rappresentino la futura strategia dominante dell’economia informazionale è sostenuto da C. ANDERSON. “Free! Why $0.00 Is the Future of Business”, Wired, February 25, 2008; http://www.wired.com/techbiz/it/magazine/16-03/ff_free; e Free: The Future of a Radical Price, New York: Hyperion Books, 2009. 92 Y. BENKLER. The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, op. cit., pp. 94: «Across many different settings, researchers have found substantial evidence that, under some circumstances, adding money for an activity previously undertaken without price compensation reduces, rather than increases, the level of activity». 93 C. SHIRKY. “File Sharing Goes Social”, Network Economics and Culture (mailing list), October 12, 2003; http://www.shirky.com/writings/file-sharing_social.html: «The RIAA has taken us on a tour of networking strategies in the last few years, by constantly changing the environment file-sharing systems operate in. In hostile environments, organisms often adapt to become less energetic but harder to kill, and so it is now. With the RIAA's waves of legal attacks driving experimentation with decentralized file-sharing tools, file-sharing networks have progressively traded efficiency for resistance to legal attack».

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5. Le reti e le architetture di condivisione

 

203 

proposito: nel 2005, alla chiusura di SuprNova, il tracker sloveno di file

.torrent che vantava il maggior numero di utenti, la rete è stata infatti

sostenuta dalla piattaforma free isoHunt senza effetti negativi sulla disponibilità

di file e sul traffico complessivo del network, e tutto lascia credere che la

recente vendita di The Pirate Bay alla Global Gaming Factory, che intende farne

un sito legale, non avrà conseguenze di rilievo sull’attività della rete BitTorrent.

Le conoscenze tecnologiche necessarie alla realizzazione degli strumenti di

condivisione sono infatti largamente diffuse mentre, allo stesso tempo, la

creazione di nuove piattaforme si è decentralizzata al di fuori dei distretti

tecnologici, così che i nuovi siti sorgono ovunque e possono ipotizzare attività di

breve periodo, avvicendandosi tra loro con estrema rapidità94. Gli strumenti della

legge sono dunque chiaramente inadeguati a combattere questo genere di

proliferazione.

Eppure, una descrizione puramente tecnologica della robustezza delle

tecnologie peer-to-peer si priverebbe della possibilità di comprenderle al di là

degli effetti di superficie, come hanno osservato Biddle e i suoi colleghi del

gruppo di ricerca Microsoft. Due diversi filoni del dibattito sul file sharing

cercano perciò altrove le ragioni di questa capacità di resistenza. Una prima

interpretazione, di tipo economico, riconosce nella condivisione elettronica i

tratti di una disruptive technology capace di rivoluzionare i modelli d’affari delle

imprese e di imporsi in futuro come uno standard dell’economia digitale. Un

secondo approccio, di tipo antropologico, vede invece nel file sharing

un’economia informale del dono digitale, le cui pratiche generative e

collaborative si rivelano più efficienti del mercato ed alternative ad esso. Alla

visione schumpeteriana che assimila il peer-to-peer alla distruzione creatrice del

capitalismo di mercato, si oppone perciò un’interpretazione che tende a portare

in evidenza le caratteristiche della condivisione, le sue dinamiche di intelligenza

collettiva e il loro ruolo nella formazione del legame sociale, negando che il

piano economico possa costituire il quadro d’analisi di fenomeni che sfuggono

alla sua razionalità.

                                                            

94 Ad esempio, il server P2P Dubbed Earthstation 5 opera dal campo profughi di Jenin. J. BORLAND. “In refugee camp, a P2P outpost”, cnet news, August 14, 2003; http://news.cnet.com/2100-1027_3-5063402.html.

Page 215: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

204

55..33 FFiillee sshhaarriinngg ee rriinnnnoovvaammeennttoo ddeell mmeerrccaattoo:: llaa ddiissttrruuzziioonnee ccrreeaattrriiccee ee ll’’eeccoonnoommiiaa ddeellll’’iinnffoorrmmaazziioonnee

Prima di occuparci dell’interpretazione del file sharing come espressione

delle forze del mercato, occorre osservare che la visione schumpeteriana della

«distruzione creatrice» è stata a lungo il riferimento delle politiche tecnologiche

degli Stati Uniti. Fino alla rivoluzione digitale, la governance americana

dell’innovazione si era infatti distinta per un giudizio estremamente prudente

sugli usi illeciti delle nuove tecnologie, nella convinzione che i loro effetti

destabilizzanti sarebbero stati rapidamente riassorbiti nei nuovi cicli di sviluppo

economico e dovessero essere considerati un aspetto fisiologico della

concorrenza.

Con l’avvento di internet, questo orientamento, codificato nella sentenza

Sony Betamax, è però entrato in crisi, a vantaggio di politiche tese a proteggere

i settori industriali più destabilizzati. Le incertezze decisionali del «caso

Grokster» evidenziano infatti come, di fronte all’urgenza di governare i nuovi

comportamenti in rete, gli standard giuridici preesistenti si siano indeboliti,

insieme al principio cardine della razionalità liberale che «si governa sempre

troppo, o almeno occorre sempre sospettarlo»95. Nel quadro di questa

inversione di tendenza nella quale il mercato torna a chiedere l’intervento dello

stato, le politiche del file sharing esprimono quindi un governo della tecnologia

non più disposto ad affidare alla mano invisibile la scelta del miglior equilibrio

concorrenziale, ma deciso a salvaguardare posizioni di vantaggio attraverso la

stretta regolazione delle disruptive technologies e l’affievolimento delle garanzie

antitrust. Come ha evidenziato Zittrain, il terreno su cui si compie questo

passaggio è appunto la lotta ai peer-to-peer network, nel cui contesto si

disperde l’esperienza del vecchio governo dell’innovazione96 e la crisi

dell’autoregolazione apre la strada a tentazioni autoritarie.

Il ripensamento del paradigma schumpeteriano è dunque sullo sfondo del

dibattito americano sul file sharing, impegnato a stabilire se il portato distruttivo

delle tecnologie digitali sia il correlato della loro capacità innovativa, e vada

perciò considerato senza eccessiva ansietà, o non si debba invece accettare il

giudizio di insostenibilità dei costi di transizione al nuovo assetto, aggravato                                                             

95 M. FOUCAULT. Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France 1978-1979, Paris : Seuil/Gallimard, 2004, p. 324. 96 J. ZITTRAIN. “A History of online Gatekeeping”, cit., p. 254.

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5. Le reti e le architetture di condivisione

 

205 

dall’incertezza sui soggetti che ne usciranno vincitori, sia in termini di

competizione internazionale che di vocazione produttiva. Il confronto tra queste

visioni dispiega così una fenomenologia di conflitto simile a quella tra laters e

newcomers97, nel cui contesto il timore che l’industria basata sullo sfruttamento

dei diritti non sia in grado di riconvertirsi alle nuove regole dell’economia

informazionale, cozza con le esigenze delle economie collaborative e non

proprietarie proliferate dentro l’economia di mercato.

In questo contesto, mentre gli studiosi che danno valore prioritario ai

principi di concorrenza e innovazione tendono a vedere il peer-to-peer come

espressione del nuovo paradigma informazionale, in relazione complessa con le

dinamiche di valorizzazione delle reti, i teorici convinti della necessità di

governare le spinte distruttive delle tecnologie digitali si concentrano sui loro

effetti di breve periodo, pensando la condivisione elettronica in termini di

illegalità e di impatto sulle vendite. In questo scontro tra i paladini della vecchia

e della nuova governance dell’innovazione, l’inclusione del peer-to-peer nella

grammatica della nuova economia, si oppone perciò a una visione della

pirateria come mera distruzione di valore e sovversione dei principi di base delle

transazioni di mercato.

Le due visioni sono ben rappresentate in uno degli scambi polemici più noti

all’interno degli studi econometrici sul file sharing, contenuto in una serie di

articoli pubblicati dal 2004 ad oggi dagli studiosi dell’Harvard Business School,

Felix Oberholzer-Gee e Koleman Strumpf, e dal professore della School of

Management dell’Università del Texas, Stan Liebowitz98. Il dibattito si è aperto

                                                            

97 H. GANS. Makins sense of America, Lanham (MD): Rowman & Littlefield Publisher, 1999. Questa opposizione è formulata da Gans in riferimento ai conflitti etnico-culturali degli Stati Uniti e alle lotte di predominio tra residenti e nuovi arrivati. 98 F. OBERHOLZER-GEE, K. STRUMPF. “The Effect of File Sharing on Record Sales. An Empirical Analysis”, University of Carolina, march 2004. Disponible sur : http://www.unc.edu/cigar; cit., “File-Sharing and Copyright”, Harvard Business School, Working paper n. 132, May 15, 2009; http://www.hbs.edu/research/pdf/09-132.pdf, e S. J. LIEBOWITZ. “Pitfalls in Measuring the Impact of File-Sharing”, School of Management, University of Texas, July 2004, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=583484, “Testing File-Sharing's Impact by Examining Record Sales in Cities”, April 2006, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=829245; "File-Sharing: Creative Destruction or just Plain Destruction?", “File Sharing: Creative Destruction or Just Plain Destruction”, Journal of Law and Economics, XLIX, April 2006, p. 24; http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=646943; “How Reliable is the Oberholzer-Gee and Strumpf paper on File-Sharing?”, September, 23, 2007; http://ssrn.com/abstract=1014399. Una buona ricognizione del dibattito si trova in Eric J. BOORSTIN, Music Sales in the Age of File Sharing, Princeton University, April 7, 2004, http://www.google.it/search?q=boorstin+musica+sales&sourceid=navclient-ff&ie=UTF-8&rlz=1B2GGGL_itIT206IT206, nella quale l’autore sintetizza i temi del confronto, concludendo

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III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

206

con la pubblicazione di un’analisi empirica curata da Oberholzer-Gee e Strumpf,

con la quale gli studiosi hanno negato la correlazione tra le pratiche di

condivisione e il crollo delle vendite di CD, accettata fino ad allora come una

palmare evidenza. I ricercatori hanno infatti sottolineato che «while this question

is receiving considerable attention in academia, industry and in Congress, we

are the first to study the phenomenon employing data on actual downloads of

music files», attaccando così il presupposto interpretativo che legava la crisi del

mercato discografico al file sharing sulla sola base delle evidenze industriali99.

Oltre a sostenere la necessità di studi comparati sull’evoluzione delle

vendite e sui dati del peer-to-peer, gli autori hanno posto l’accento sull’impropria

identificazione tra download e mancata vendita, osservando che i file scaricati

dalle reti non possono essere considerati automaticamente un danno

economico, visto che il file sharing estende la base di utenti interessati alla

musica, includendo individui che al di fuori delle piattaforme di condivisione non

avrebbero accesso alle proposte commerciali; la domanda di musica non è

infatti inelastica rispetto al prezzo. In base a questo argomento, Oberholzer-Gee

e Strumpf hanno quindi cercato conferme empiriche alla tesi del drop out, con la

quale si sono chiesti se gli acquirenti di musica e i downloaders costituissero, o

meno, gruppi distinti dalle dinamiche reciprocamente indipendenti100.

Tra gli aspetti importanti di questa indagine c’è il riconoscimento della

natura globale del file sharing, che ha portato i ricercatori a studiare le relazione

tra l’accesso alle connessioni veloci degli studenti tedeschi e americani al

rientro nei campus dopo le vacanze estive e gli effetti stagionali sulle vendite

degli album musicali101. Dopo aver constatato l’indipendenza dei due fenomeni

                                                                                                                                                                 

che gli effetti positivi di “internet” sulla propensione ad acquistare musica nella fascia d’età +25, compensano gli effetti negativi sulle fasce d’età -25. 99 F. OBERHOLZER-GEE, K. STRUMPF. “The Effect of File Sharing on Record Sales. An Empirical Analysis”, cit., pp. 2, 5. 100 Ivi, p. 28. L’ipotesi è realistica, soprattutto in relazione agli utenti dei paesi poveri, per i quali file sharing e mercato dei fakes rappresentano l’unica possibilità di accesso a software, videogiochi e audiovisivi. P. FRANCO. “A Nation of Pirates”, The Escapist, May 12, 2009; http://www.escapistmagazine.com/articles/view/issues/issue_201/6059-A-Nation-of-Pirates; R. SUMO. “Piracy and the Underground Economy”, The Escapist, June 15, 2008; http://www.escapistmagazine.com/articles/view/issues/issue_158/5045-Piracy-and-the-Underground-Economy. 101 «Interactions among file sharers transcend geography and language. U.S. users download only 45.1% of their files from other U.S. users, with the remainder coming from a diverse range of countries including Germany (16.5%), Canada (6.9%) and Italy (6.1%)». F. OBERHOLZER-GEE, K. STRUMPF. “File-Sharing and Copyright”, cit., p. 14.

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5. Le reti e le architetture di condivisione

 

207 

e aver sottoposto a test altri aspetti legati al consumo di musica102, gli autori

hanno concluso che l’effetto di sostituzione (1 download = 1 mancata vendita) e

l’attribuzione del declino delle vendite di CD al file sharing non sono dimostrabili,

suggerendo che la crisi dell’industria musicale deve essere attribuita a cause

diverse, quali la riduzione della capacità di spesa dei consumatori nel periodo

osservato, i concomitanti problemi di fusione aziendale tra due importanti

etichette, e la raggiunta maturità del mercato del CD, coincidente con il

cambiamento delle abitudini di consumo degli appassionati di musica e con la

flessione dell’interesse per questo supporto digitale103:

Downloads have an effect on sales which is statistically indistinguishable from zero. Our estimates are inconsistent with claims that file sharing is the primary reason for the decline in music sales during our study period104.

In questo saggio, Oberholzer-Gee e Strumpf hanno dedicato solo un breve

cenno al ruolo della loro analisi nel quadro della letteratura antimonopolistica105,

riferendosi in nota al tradizionale argomento antiprotezionista con il quale i critici

del copyright evidenziano l’evoluzione benefica delle tecnologie distruttive:

The industry has often blocked new technologies which later become sources of profit. For example, Motion Picture Association of America President Jack Valenti argued that “the VCR is to the American film producer as the Boston strangler is to the woman home alone” (Congressional Hearings on Home Recording, 12 April 1982). By 2004, 72% of domestic industry revenues came from VHS and DVD rentals or sales (DEG 2005; MPAA 2005). Other examples include the record industry’s initial opposition to radio in the 1920s and 1930s and to home taping in the 1980s106.

Secondo i ricercatori, poiché i precedenti storici dimostrano la scarsa

lungimiranza delle previsioni industriali a proposito delle tecnologie che

favoriscono la circolazione dei contenuti protetti, «the entertainment industry’s

opposition to file sharing is not a priori evidence that file sharing imposes

economic damages»107. La tesi degli autori è perciò non solo che le reti peer-to-

                                                            

102 Oberholzer-Gee e Strumpf hanno incluso tra le molte osservazioni incrociate su file sharing e consumo di musica, quattro “quasi-esperimenti”, il primo dei quali si riferisce appunto all’ipotesi della stagionalità legata ai college, e gli altri tre alla comparazione delle abitudini di condivisione tra pubblico europeo e americano, alla comparazione tra i dati relativi ai download e quelli delle vendite e alla comparazione di download e vendite in rapporto ai generi musicali. 103 Ivi, pp. 3-4. 104 Ivi, pp. 2, 25. 105 Ivi, p. 6. 106 Ivi, nota 1, p. 4. 107 Ibidem.

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III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

208

peer hanno blandi effetti distruttivi sui tradizionali modelli di business, ma che

sono capaci di aprire nuovi mercati, com’è avvenuto nel caso del video

registratore e della creazione dell’home video.

In Pitfalls in Measuring the Impact of File-Sharing, Liebowitz ha attaccato

frontalmente questo approccio, sostenendo l’indimostrabilità dell’ipotesi che la

diffusione informale delle copie si traduca in un effetto espansivo del mercato.

Nell’articolo, il professore texano ha infatti richiamato la teoria economica della

copia (economics of copying) per sottolineare come sia il modello teorico che i

rilievi empirici neghino che l’effetto di esposizione (exposure o sampling

effect)108 e l’effetto di rete (networking effect) estendano i business commerciali

e aumentino il valore delle copie vendute109. Al contrario, secondo Liebowitz, la

distribuzione illegale dei contenuti tende ad abbassare i prezzi di vendita e a

ridurre conseguentemente i profitti di impresa, mentre le evidenze empiriche

smentiscono che la diffusione extramercato aumenti il consumo legale di

musica e imponga degli standard commerciali con effetti compensativi sulle

vendite.

Nell’ottica di Liebowitz, la fiducia riposta dai teorici antimonopolisti nel

networking effect rappresenta poco più di un riferimento totemico ai presunti

effetti virtuosi di fenomeni immediatamente dannosi. L’ipotesi di questi studiosi è

infatti in contraddizione con la crisi dell’industria discografica, che il loro modello

interpretativo è perciò costretto a spiegare con cause multiple. Proprio il bisogno

di moltiplicare gli enti e di evocare la tempesta perfetta in alternativa al dato di

senso comune, mostra così l’artificiosità della loro tesi:

It would take a remarkable confluence of events, a perfect storm if you will, to explain the large drop that has occurred in the sound recording market. That doesn’t mean that it could not have happened. But in a choice between file-sharing as an explanation and the confluence of various disparate factors all perfectly aligned to harm the sound recording industry, Occam’s razor requires that we accept the file-sharing hypothesis110.

Come nell’articolo dei ricercatori dell’Harvard School of Business, anche

Liebowitz preferisce far parlare i dati empirici e confinare in una nota a margine i

suoi riferimenti polemici:                                                             

108 Con il termine sampling si indica la ricerca di un bene che soddisfi i propri gusti prima dell’acquisto. Nel contesto del file sharing, il downolad costituirebbe così una sorta di test di gradimento precedente all’acquisto. 109 S. J. LIEBOWITZ. “Pitfalls in Measuring the Impact of File-Sharing”, cit., pp. 4-5, 11-13. 110 Ivi, p. 27.

Page 220: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

209 

These copyright critics, who are sometimes associated with the concept of the ‘creative commons,’ argue that copyright laws are being used by the sound recording, movie, and software industries so as to thwart competitive forces that would open up the market to new competition. This is the thesis of Lawrence Lessig’s recent book Free Culture which views the current controversies as extensions of long-running debates regarding the power of cartels to monopolize access to creative works. In this view of the world, file -sharing is a wealth enhancing innovation, likely to democratize the entertainment industry by allowing artists to broadcast and distribute their works without intermediaries such as record companies. In this view, file-sharing systems should be promoted and if necessary, copyright law should be altered to allow file-sharing to proceed apace111.

Nel successivo Testing File-Sharing’s Impact by Examining Record Sales in

Cities, Liebowitz ha esposto i risultati di una ricerca econometrica comparata sui

dati del download e delle vendite dal 1999 al 2003, ribadendo la sua

convinzione che il declino del mercato musicale vada ricondotto alla

condivisione online. In questo articolo, l’economista ha precisato di non basare

affatto il suo giudizio sull’allarme dei produttori e di avere ben presenti le

smentite storiche delle previsioni più funeste, ma di aver verificato in modo

persuasivo la profonda diversità del file sharing rispetto alle tecnologie

distruttive del passato. A differenza del videoregistratore e della fotocopiatrice,

infatti, il peer-to-peer ha già sufficientemente dimostrato di avere effetti

devastanti sulle vendite112.

È con gli articoli più recenti, tuttavia, che la polemica tra Liebowitz e i

ricercatori dell’Harvard Business School si è fatta più aspra e diretta. Nel saggio

del 2007, How Reliable is the Oberholzer-Gee and Strumpf paper on File-

Sharing?, Liebowitz ha esaminato ad uno ad uno i test effettuati dai due

studiosi, evidenziando numerose criticità nella costruzione dei dati e altrettante

incongruenze nelle conclusioni. L’economista ha ironizzato sul tentativo dei

colleghi di minimizzare, contro ogni evidenza e buon senso, la flessione delle

vendite di CD – che stima, in media, del 37% nei sei anni considerati -113, e di

                                                            

111 Ivi, nota 1, p. 1. 112 S. J. LIEBOWITZ. “Testing File-Sharing's Impact by Examining Record Sales in Cities”, cit., pp. 2, 29. Sulla stessa linea interpretative è anche A. ZENTNER. “Measuring the Effects of Music Downloads on Music Purchases”, March 2005; http://som.utdallas.edu/centers/capri/documents/effect_music_download.pdf. 113 S. J. LIEBOWITZ. “How Reliable is the Oberholzer-Gee and Strumpf paper on File-Sharing?”, cit., pp. 3-4. I dati relativi alle vendite di album dal 1999 al 2005, evidenziano infatti una caduta verticale, particolarmente nei mercati spagnolo e tedesco:

Page 221: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

210

attribuirne le cause a fattori diversi dal file sharing, costruendo un’ipotesi

inconsistente e controintuitiva114:

I have endeavored in this report to closely re-examine the portion of empirical evidence put forward by O/S that was amenable to such re-examination. It is probably something of an understatement to say that the O/S results did not hold up well under this reexamination. O/S performed four quasi experiments. They claimed that each experiment supports their overall conclusion that file-sharing is not harmful to record sales. Upon closer examination and replicating the tests where possible, I find that three of the experiments support the opposite conclusion—that file sharing harms sales—and that the fourth was based on a false premise and is thus not informative. O/S also report numerous statistics purporting to explain either why the sound recording sales decline is not unusual, not large, not universal or can be explained by some other factors. These factual claims, made with no citations or references, were either false, misleading, or incomplete115.

Oberholzer-Gee e Strumpf hanno risposto recentemente con un discussion

paper, in cui hanno mostrato di voler uscire dal terreno di guerra dell’avversario

e di voler portare il dibattito sull’impatto economico del file sharing su un piano

d’analisi più favorevole alle loro tesi. Dopo aver ammesso che gli studi

econometrici non hanno raggiunto risultati unanimi116, i due ricercatori si sono

infatti chiesti se la comparsa delle reti di condivisione abbia ridotto o meno

l’incentivo alla creazione di opere d’ingegno:

While the empirical evidence of the effect of file sharing on sales is mixed, many studies conclude that music piracy can perhaps explain as much as one fifth of the recent decline in industry sales. A displacement of sales

                                                                                                                                                                 

Market Changes – 1999- 2005 Album units change Real retail revenue change

USA - 29,81% - 33,81% Japan - 15,80% - 14,94%

UK - 7,89% - 12,38% Germany - 42,54% - 44,45% France - 8,78% - 26,67% Canada - 28,10% - 49,73%

Australia - 17,52% - 36,31% Italy - 37,64% - 46,07%

Spain - 50,24% - 57,83% Netherlands - 25,88% - 48,08%

114 Ivi, p. 21. 115 Ivi, p. 22. 116 Lo stesso riconoscimento dell’ambiguità degli effetti del file sharing sulle vendite viene dalle economiste canadesi Birgitte Andersen e Marion Frenz: “The Impact of Music Downloads and P2P File-Sharing on the Purchase of Music: A Study for Industry Canada”, November 16, 2007; http://www.dime-eu.org/node/477.

Page 222: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

211 

alone, however, is not sufficient to conclude that authors have weaker incentives to create new works. File sharing also influences the markets for concerts, electronics and communications infrastructure. For example, the technology increased concert prices, enticing artists to tour more often and, ultimately, raising their overall income. Data on the supply of new works are consistent with our argument that file sharing did not discourage authors and publishers117.

Il quesito, apparentemente innocente, si innesta su una polemica non meno

rovente nella quale gli economisti portano sul piano empirico la battaglia giocata

da Lessig su quello della pura teoria118, trovandosi a dimostrare, dati

econometrici alla mano che, stante l’aumento del reddito degli artisti e

l’incentivazione di forme accessorie di retribuzione delle attività creative, legalità

e legittimità sono in contraddizione e che gli obiettivi della carta costituzionale

sono raggiunti dalla pirateria assai meglio che dall’industria musicale.

Negli ultimi 200 anni, osservano infatti, gli studiosi, il regime della proprietà

intellettuale si è evoluto in una sola direzione, rafforzando le tutele legali,

alzando i prezzi e scoraggiando i consumi. In questo contesto, il file sharing è

stato l’unico esperimento ad invertire la tendenza, disgregando i tradizionali

modelli di business senza disincentivare la produzione artistica - «Weaker

copyright protection, it seems, has benefited society»119. Sfortunatamente,

proseguono i ricercatori, le analisi empiriche che hanno esaminato la relazione

tra file sharing e industria, si sono concentrate sul solo declino delle vendite di

audiovisivi, trascurando la crescita degli altri business commerciali che tutte le

rilevazioni mostrano in aumento120. Ciò mostra, a loro avviso, quanto l’insistenza

delle tesi dominanti sul tema della legalità e della flessione delle vendite di CD

sia parziale e non riesca ad inquadrare l’intero spettro di cambiamenti indotti da

questa tecnologia rivoluzionaria:

As this essay has made clear, we do not yet have a full understanding of the mechanisms by which file sharing may have altered the incentives to produce entertainment. However, in the industry with the largest purported impact – music – consumer access to recordings has vastly improved since the advent of file haring. Since 2000, the number of recordings produced has more than doubled. In our view, this makes it difficult to argue that weaker copyright protection has had a negative impact on artists’ incentives to be

                                                            

117 F. OBERHOLZER-GEE, K. STRUMPF. “File-Sharing and Copyright”, cit., p. 1. 118 Condotta soprattutto nei già citati Free Culture e Remix. 119 F. OBERHOLZER-GEE, K. STRUMPF. “File-Sharing and Copyright”, cit., p. 3. 120 Ivi, p. 22.

Page 223: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

212

creative121.

Oberholzer-Gee e Strumpf difendono quindi la tesi lessighiana che i

monopoli dell’industria culturale non danneggiano solo l’accessibilità

dell’informazione e la democrazia, ma lo stesso mercato, il quale rischia di

mancare le opportunità aperte dal nuovo paradigma economico al solo scopo di

difendere i cartelli commerciali e un modello di business obsoleto. Gli autori

insistono sul fatto che la comparsa delle reti di condivisione ha migliorato non

soltanto il benessere generale e la condizione economica degli artisti, ma anche

le prospettive d’affari di un vasto circuito commerciale rappresentato dagli

investimenti nelle infrastrutture dello spettacolo e nei tour degli artisti, nonché

dal merchandise legato allo star system122.

Secondo questa lettura, se è vero che gli stili di consumo digitali

presentano aspetti difficili da interpretare con le categorie analitiche

convenzionali, è erroneo concludere che siano in contraddizione con nuove

possibilità di sviluppo dell’economia di mercato. Contro la visione degli

economisti ortodossi, i teorici antimonopolisti mostrano che l’economia

dell’informazione offre molteplici alternative al modello dell’«esclusione basata

sui diritti», rendendo possibili nuove strategie di profitto che eliminano le

inefficienze distributive e democratizzano le possibilità di accesso alla ricchezza

prodotta dalle reti. La nuova distruzione creatrice, di cui il file sharing

rappresenta il fenomeno più controverso, non abbatterà perciò il mercato, ma lo

renderà più efficiente e più giusto, attenuando gli squilibri dell’età industriale e

garantendo un benessere più equamente distribuito123. La questione centrale

posta dalla letteratura econometrica sul file sharing è, dunque, se gli stili di

consumo emergenti debbano essere considerati, per usare i termini di

Liebowitz, «creative destruction or just plain destruction», un interrogativo che

ritorna, con intenzioni analitiche speculari, nel dibattito sulla hi-tech gift

economy.

                                                            

121 Ivi, p. 25. 122 Ivi, p. 20. 123 Y. BENKLER. The Wealth of Networks. How Social Production Transforms Markets and Freedom, op. cit., pp. 13-18; 302.

Page 224: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

213 

55..44 FFiillee sshhaarriinngg vvss mmeerrccaattoo:: ll’’eeccoonnoommiiaa ddiiggiittaallee ddeell ddoonnoo This political countermovement is tied to quite basic characteristics of the technology of

computer communications, and to the persistent and growing social practices of sharing -some, like p2p (peer-to-peer) file sharing - in direct opposition to proprietary claims; others,

increasingly, are instances of the emerging practices of making information on nonproprietary models and of individuals sharing what they themselves made in social,

rather than market patterns.

Y. Benkler124.

Il problema posto dagli economisti consiste quindi nell’interrogativo circa la

capacità del mercato di contenere la distruzione di valore provocata dalle

pratiche peer-to-peer e di unificare sotto il paradigma economico questo tipo di

relazioni. Esigenze sostanzialmente antitetiche caratterizzano invece quegli

studi sul file sharing che non si chiedono quanto le pratiche di condivisione

siano compatibili con le esigenze di sviluppo economico e possano essere

messe a produzione, ma entro quali limiti possano essere pensate come

un’uscita radicale dai comportamenti di mercato. Esaminiamo quindi anche

questo versante del dibattito.

55..44..11 HHii--TTeecchh GGiifftt EEccoonnoommyy:: llaa ssuuppeerriioorriittàà ddeellllee pprraattiicchhee ccoollllaabboorraattiivvee Most Internet users collaborate with each other without the direct

mediation of money or politics. Unconcerned about copyright, they give and receive information without thought of payment.

R. Barbrook125

L’interpretazione del file sharing come economia del dono compare negli

studi di Richard Barbrook e di Kylie J. Veale sulla cultura di internet e sulle

pratiche di autofinanziamento dei servizi di rete126, e nelle ricerche condotte da

Markus Giesler e Mali Pohlmann nel quadro della letteratura sugli stili di

consumo.

Tra questi autori, il professor Barbrook dell’Hypermedia Research Centre

dell’Università di Westminster è tra i teorici che hanno maggiormente insistito

sul rapporto delle pratiche di condivisione con le finalità originarie di internet e

con la loro natura strettamente non commerciale. Nella sua concezione, gli

standard di internet incorporano infatti le convenzioni sociali e il rapporto con

l’autorità trasmessi alla rete dalle sue origini universitarie, nel cui contesto «the                                                             

124 Ivi, p. 26. 125 R. BARBROOK. “Giving is receiving”, Nettime, October 7, 2002. 126 K. J. VEALE. “Internet gift economies: Voluntary payment schemes as tangible reciprocity”, cit.. L’argomentazione di Veale è stata illustrata sinteticamente nel primo paragrafo di questo capitolo.

Page 225: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

214

giving and receiving of information without payment is almost never

questioned»127. In questo ambiente plasmato dalle specifiche modalità di

costruzione del sapere, l’informazione è perciò materia di condivisione, non di

vendita, la conoscenza un dono, non una merce:

Because of these pioneers, the gift economy became firmly embedded within the social mores of the Net. Over time, the charmed circle of its users has slowly grown from scientists through hobbyists to the general public. Each new member doesn't just have to observe the technical rules of the system, but also adheres to certain social conventions. Without even thinking about it, people continually circulate information between each other for free. Although the Net has expanded far beyond the university, its users still prefer to co-operate together without the direct mediation of money128.

La natura inerentemente politica delle tecnologie digitali ha così riprodotto,

spesso senza adesione consapevole da parte degli utenti, un insieme coerente

di relazioni sociali e materiali che si esprime nelle pratiche di una hi-tech gift

economy più che mai vitale, nonostante la commercializzazione del Net129. Per

Barbrook, ciò che caratterizza l’ambiente digitale è infatti l’emergenza di

un’economia del dono indipendente dalla produzione mercantile e capace di

creare non soltanto un circuito informale di merci sottratte alla distribuzione

commerciale, ma reti di produzione cooperativa nelle quali gli individui

collaborano senza la mediazione del mercato e delle burocrazie. Svincolati

dalle costrizioni del lavoro alienato, gli utenti di internet hanno quindi dato vita a

un sistema di scambi che trae tutte le conseguenze, politiche ed economiche,

della constatazione che «l’informazione vuole essere libera», risolvendo nel

senso della gratuità e della libera circolazione l’ambivalenza registrata da

Brand130.

Del tutto refrattario a rappresentazioni romantiche delle pratiche digitali,

Barbrook sottolinea come non sia necessario ipotizzare uno spirito altruistico in

chi partecipa all’arricchimento di beni comuni, poiché «everyone takes far more

                                                            

127 R. BARBROOK. “The Hi-Tech Gift Economy”, cit., p. 4. È chiaro il riferimento di Barbrook alle tesi di Robert Merton (The Sociology of Science, Chicago: 1973) , secondo cui il risultato della scienza è il prodotto della collaborazione sociale e del suo trasferimento alla società. 128 R. BARBROOK. “Cyber-Communism: how the Americans are superseding capitalism in cyberspace”, 1999; http://www.hrc.wmin.ac.uk/theory-cybercommunism.html 129 Questa tesi è debitrice della sociologia costruttivista della tecnica, in particolare del lavoro di Landon Winner. L. WINNER. The Whale and the Reactor: A Search for Limits in the Age of High Technology. Chicago, IL: University of Chicago Press, 1986, pp. 19-22. 130 R. BARBROOK. “Cyber-Communism: how the Americans are superseding capitalism in cyberspace”, cit..

Page 226: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

215 

out of the Net than they can ever give away as an individual»131. Donare il

proprio lavoro è infatti più vantaggioso che pretenderne la remunerazione,

perché il sistema di dono ditale offre ad ogni utente maggiori utilità di quante

potrebbe ottenerne in un circuito di scambio mercantile. Un aspetto qualificante

dell’analisi di Barbrook è perciò la sua riluttanza a legare delle interpretazioni

psicologiche al comportamento cooperativo degli individui, o ad accentuare gli

aspetti di volontarietà e consapevolezza nell’adesione degli utenti a una

circolazione informale dei beni in alternativa al sistema basato sulla ricompensa

individuale e sul prezzo delle merci. Citando Rheingold, il ricercatore infatti

evidenzia che

[…] informal, unwritten social contract is supported by a blend of strong-tie and weak-tie relationships among people who have a mixture of motives and ephemeral affiliations. It requires one to give something, and enables one to receive something […]. I find that the help I receive far outweighs the energy I expend helping others; a marriage of altruism and self-interest132.

Nella visione dello studioso, sono la cultura tecnologica e le norme sociali

incorporate negli artefatti digitali a costruire un ambiente capace di valorizzare

dei comportamenti performativamente superiori che vengono adottati dagli

utenti soprattutto in quanto utili. In internet, l’esecuzione del copyright

rappresenta, infatti, l’imposizione della scarsità ad un sistema disegnato per

disseminare l’informazione, la proprietà intellettuale un ostacolo per gli utenti ad

utilizzare la conoscenza disponibile, e il segreto commerciale un impedimento a

risolvere problemi comuni. In altri termini, la rigidità del sistema commerciale

inibisce l’uso efficiente delle risorse digitali, mentre la struttura socio-tecnica di

internet si è sviluppata proprio per impiegarle in modo ottimale. Sono queste

ragioni ad aver determinato l’affermazione spontanea delle pratiche

cooperative, impedendo, ad esempio, ad un sistema concettualmente avanzato,

ma socialmente arretrato, come lo Xanadu di Ted Nelson, di generalizzarsi

nell’ambiente elettronico. L’ipertesto concepito da Nelson disponeva infatti di un

meccanismo di calcolo e retribuzione dei contributi individuali ispirato alla                                                             

131 R. BARBROOK. “The Hi-Tech Gift Economy”, cit., p. 4. In proposito Barbrook cita lo studio classico di Rishab Aiyer GOSH. “Cooking Pot Markets: an economic model for the trade in free goods and services on the Internet” (First Monday, 3, 3, March 1997; http://www.firstmonday.org/issues/issue3_3/ghoshThePotCooking Market), tra i primi a segnalare le ragioni pragmatiche che spingevano gli utenti di internet a scegliere forme alternative di scambio di utilità. 132 H. RHEINGOLD. The Virtual Community, London: Secker & Warburg, 1994, pp. 57-58. Citato da R. BARBROOK. “The Hi-Tech Gift Economy”, cit., p. 5.

Page 227: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

216

proprietà del lavoro intellettuale, la cui assenza è stata la soluzione vincente del

Web:

The exponential expansion of the system was only made possible by the absence of proprietary barriers. For instance, although the Xanadu project contained most of the technical capabilities of the Web, this prototype of computer-mediated communications lacked the 'killer app' of Tim Berners-Lee's invention: the absence of copyright. Neither the program nor its products were designed to be commodities133.

Ciò mostra come meccanismi che si pretendono innovativi, quali

l’alternative compensation system o i modelli di licenza globale, di cui si discute

fin dagli anni ‘90, fossero tecnicamente disponibili già prima della diffusione

mondiale di internet, ma non abbiano avuto seguito proprio perché subottimali

rispetto alle potenzialità della rete134. Superando le limitazioni strutturali dello

scambio mercantile, l’alta complessità fenomenica dell’hi-tech gift economy ha

infatti generato una circolazione informale di beni significativamente più

efficiente, più veloce e più economica del mercato. In ambito produttivo, i

software testati e corretti da migliaia di utenti si presentano nettamente più

stabili e provvisti di utilità dei prodotti in vendita, in quello distributivo, la

circolazione dei torrent e le zero-days crack superano in velocità ed

economicità le reti ossificate dei circuiti commerciali mentre, nel contesto

dell’elaborazione e accumulazione di conoscenza, le voci dell’Enciclopedia

Britannica finiscono per risultare meno complete e meno aggiornate delle

pagine di Wikipedia.

A tale proposito, il teorico dei media Michel Bauwens ha osservato che la

superiorità delle pratiche digitali si spiega con la fondamentale differenza tra le

dinamiche dell’intelligenza collettiva e quelle della swarming intelligence, di cui

è modello, in ambito economico, la mano invisibile di Adam Smith:

Markets do not function according to the criteria of collective intelligence […] but rather, in the form of insect-like swarming intelligence. Yes, there are autonomous agents in a distributed environment, but each individual only

                                                            

133 R. BARBROOK. “Cyber-Communism: how the Americans are superseding capitalism in cyberspace”, cit.. 134 Oltre alla proposta di un alternative compensation system che, in opposizione ai DRM, William Fisher ritiene «the best of possible solutions» (Promises to Keep.  Technology, Law, and the Future of Entertainment, cit., p. 15), recentemente l’idea della legalizzazione del file sharing attraverso una licenza globale è stata rilanciata da Philip Aigrain con Internet & Création, Cergy-Pontoise: In Libro Veritas, 2008, e Volker Grassmuck, con “The World is Going Flat(-Rate) A Study Showing Copyright Exception for Legalising File-Sharing Feasible, as a Cease-Fire in the ‘War on Copying’ Emerges”, cit..

Page 228: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

217 

sees his own immediate benefit. Markets are based on 'neutral' cooperation, and not on synergestic cooperation: no reciprocity is created. Markets operate for the exchange value and profit, not directly for the use value135.

Barbrook evidenzia dunque che, poiché aggredisce la fondazione

ideologica che lega il progresso e la ricchezza delle società umane alla capacità

di accrescere la produzione attraverso la concorrenza e la leva dei prezzi,

l’economia del dono hi-tech supera il mercato sul suo stesso terreno, rivelando

l’insostenibilità del concetto di homo œconomicus come grado superiore della

scala evolutiva, in termini di complessità, efficienza e pervasività, della

produzione e allocazione delle risorse:

Despite its huge popularity, the gift economy of the Net appears to be an aberration. Mesmerised by the Californian ideology, almost all politicians, executives and pundits are convinced that computer-mediated communications can only be developed through market competition between private enterprises. Like other products, information must be bought and sold as a commodity […]. When disciplined by the market, the self-interest of individuals can be directed towards increasing the wealth of the whole nation136.

Ne segue che l’ideologia californiana è oltrepassata online da pratiche non

di mercato137 che i modelli d’affari delle imprese tecnologiche sono costrette ad

imitare, proponendo servizi gratuiti finanziati dalla pubblicità a costante rischio

di sopravvalutazione azionaria138. Estendendo l’analisi di Barbrook alla cronaca

più recente, si osserva infatti come, spinte a misurarsi con la robustezza dell’hi-

tech gift economy, le imprese operanti in rete si trovino strette tra la necessità di

adottare strategie d’affari emulative della circolazione del potlatch digitale e

ricorrenti ripensamenti, causati dalla flessione dei profitti e dall’incapacità delle

loro produzioni di competere con le creazioni non commerciali. In questo modo,

mentre le più aggiornate teorie di management illustrano le ragioni

dell’insuperabilità digitale della gratuità e descrivono le possibilità di estrarre

profitti a margine della circolazione informale dei beni, puntando sul sostegno

                                                            

135 M. BAUWENS. Peer To Peer and Human Evolution, 2005; http://www.peertopeerFoundation.net. Il testo di J.-F. Noubel a cui Bauwens si riferisce è Intelligence Collective, la révolution invisible, 2004; http://www.thetransitioner.org. 136 R. BARBROOK. “Cyber-Communism: how the Americans are superseding capitalism in cyberspace”, cit.. 137 R. BARBROOK, A. CAMERON. “The Californian Ideology”, cit.. R. BARBROOK. “Cyber-Communism: how the Americans are superseding capitalism in cyberspace”, cit.. 138 M. HIRSCHORN. “Why the social-media revolution will go out with a whimper. The Web 2.0 Bubble”, Atlantic Montly, April 2007; http://www.theatlantic.com/doc/by/michael_hirschorn.

Page 229: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

218

pubblicitario, sul baratto di attività lavorative contro accesso ai contenuti e sulla

differenziazione tra servizi basic e premium139, la crisi finanziaria di fine 2008 e

la riduzione della raccolta pubblicitaria spingono il settore editoriale nella

direzione opposta, costringendo le imprese a rivedere le strategie della

pubblicazione online e a ipotizzare il ritorno a forme di abbonamento, insieme al

blocco della ricerca dei loro articoli da parte degli aggregatori di notizie (Google

News)140. Facendo leva sull’autorevolezza dei contenuti, si cerca così di

sottrarre le testate giornalistiche all’attrazione della gratuità141, tentando di

convincere i lettori ad accettare le stesse modalità di fruizione precedentemente

accantonate come obsolete dagli stessi editori. Contemporaneamente, fa

scalpore la notizia che persino Facebook accusa difficoltà finanziarie, dopo la

pubblicazione del bilancio 2008 che ha rivelato l’incapacità della gestione di

valorizzare l’enorme bacino d’utenza del network142.

Ciò sembra mostrare come, malgrado i tentativi di conciliazione tra

commercio e gratuità e l’impegno profuso dai teorici liberali per includere la

circolazione del dono nelle strategie di marketing, questa strada sia

impraticabile per le imprese, così che l’ipotesi dell’assenza di pagamento come

prezzo radicale, o grado zero del commercio, rischia di restare un puro

esercizio teorico o di essere compatibile esclusivamente con lo sfruttamento di

posizioni di monopolio nell’economia hi-tech. La difficoltà di sfidare il sistema di

dono sul suo terreno, si aggiunge così ai noti problemi di legittimità ed

esecuzione dei diritti nell’ambiente digitale:

Although old media is bought over the Net, it has proved almost impossible to persuade people to pay for downloading their digital equivalents […]. The media corporations are incapable of reversing this decommodification of information. Encryption systems are broken. Surveillance of every Net user is impossible. Copyright laws are unenforceable. Even on-line advertising has been a disappointment. This time around, community has trumped

                                                            

139 C. ANDERSON. “Free! Why $0.00 Is the Future of Business”, cit.. All’esposizione della freenomics il direttore di Wired ha recentemente dedicato un libro, Free: The Future of a Radical Price (New York: Hyperion Books, 2009), che sviluppa le tesi anticipate dall’articolo del 2008. 140 J. PLUNKETT. “Financial Times editor says most news websites will charge within a year”, The Guardian, July 16, 2009; http://www.guardian.co.uk/media/2009/jul/16/financial-times-lionel-barber. 141 R. MURDOCH. “The future of newspapers: moving beyond dead trees”, Herald Sun, November 17, 2008; http://www.news.com.au/heraldsun/story/0,21985,24640951-5018380,00.html. 142 V. MACCARI. “200 milioni di amici ma non si trova il tesoro”, Repubblica – Supplemento Affari e Finanza, 15 giugno 2009, p. 26; http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/ 2009/06/15/200-milioni-di-amici-ma-non-si.html.

Page 230: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

219 

commerce143.

Nonostante l’accentuazione degli elementi di conflitto tra le forme di

socializzazione digitale dell’informazione e la commercializzazione di internet, il

tema principale di The Hi-Tech Gift Economy è la simbiosi tra la produzione

collaborativa e l’economia di mercato che, come sottolinea Barbrook, non

presentandosi nei termini situazionisti dell’antitesi assoluta tra dono e merce –

ovvero della sostituzione del valore d’uso al valore di scambio -144, fa si che la

new economy appaia più come la struttura produttiva di una socialdemocrazia

avanzata che come la forma emergente di un anarco-comunismo digitale.

L’aberrazione contenuta nella stessa esistenza di una gift economy nel cuore

tecnologico dell’economia di mercato, consiste così non tanto nella purezza

formale della sua fenomenologia145, ma nella sua egemonia culturale che in

internet si impone al commercio costringendolo a misurarsi con logiche aliene:

[…] anarcho-communism only exists in a compromised form on the Net […]. On the one hand, each method of working does threaten to supplant the other. The hi-tech gift economy heralds the end of private property in ‘cutting edge’ areas of the economy. The digital capitalism want to privatize the shareware programs and enclose the social spaces built through voluntary effort. The potlatch and the commodity remain irreconcilable. Yet, on the other hand, the gift economy and the commercial sector can only expand mutual collaboration within cyberspace. The free circulation of information between users relies upon the capitalist production of computers, software and telecommunications. The profits of commercial Net companies depend upon increasing numbers of people participating within the hi-tech gift economy […] Anarcho-communism is now sponsored by corporate capital146.

La conclusione di questo articolo, mette dunque in luce come

compromissione e conflitto siano due aspetti inscindibili dell’incontro tra

                                                            

143 R. BARBROOK. “Giving is receiving”, cit. 144 Il riferimento di Barbrook è agli scritti di Raoul Vaneigem e dell’Internazionale Situazionista: R. VANEIGEM. The Revolution of Everyday Life, London: Practical Paradise, 1972; e G. DEBORD. “The Decline and Fall of the Spectacle-Commodity Economy”, (trad. ing. di Donald-Nicholson Smith), http://www.cddc.vt.edu/sionline/si/decline.html. 145 Il “criticismo pragmatico” di Barbrook è condiviso da G. Lovink che osserva: «Against nostalgic characters that portray the Net as a medium in decline ever since the rise of commercialism, and eternal optimists, who present the Internet as a holy thing, ultimately connecting all human synapses, radical pragmatists (like me) emphasize the trade-offs, misuses and the development of applications such as wikis, P2P and weblogs that reshape the new media field». G. LOVINK. “The Principle of Notworking. Concept in Critical Internet Culture”, Institute of Network Cultures, Amsterdam, February 2005, p. 5; http://networkcultures.org/wpmu/portal/publications/geert-lovink-publications/the-principle-of-notworking/. 146 R. BARBROOK. “The Hi-Tech Gift Economy”, cit., pp. 6-7.

Page 231: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

220

l’economia digitale del dono e il commercio dell’informazione, nel cui contesto la

distruzione di ricchezza operata dalla disgregazione del valore di scambio non

impedisce all’industria hi-tech di tessere relazioni sempre più profonde, e di

mettere a profitto, la produzione sociale di utilità. Letta nei termini marxiani dei

Grundrisse, se l’alta complessità delle relazioni sociali evocate dal capitalismo

per produrre valore sfugge al valore stesso spingendo il progresso industriale a

lavorare alla sua dissoluzione, finché il prodotto del lavoro è scambiato come

merce, la cooperazione sociale è sia dipendente dal mercato che a continuo

rischio di rideterminazione mercantile147.

In netto anticipo sulla riorganizzazione della new economy dopo il crollo

delle dot com, in questo articolo del 1998, Barbrook infatti evidenzia come le

esternalità positive della co-produzione in rete (network effect) in seguito

indicate come il motore dell’accumulazione economica del web 2.0148,

costituiscano il principale terreno di sussunzione dell’hi-tech gift economy

nell’economia industriale, secondo la logica, efficacemente sintetizzata da

Henry Jenkins e Joshua Green, del «you make all the content, they keep all the

revenue»149. In questo quadro, il file sharing rappresenta perciò non solo uno

dei meccanismi di sottrazione dell’economia del dono alla rideterminazione

mercantile, ma anche il rovesciamento del parassitismo industriale e il principale

ostacolo digitale alla valorizzazione delle reti.

Barbrook ha evidenziato questo aspetto, recensendo il libro di John

Alderman, Sonic Boom: Napster, P2P and the battle for the future of music, in

cui l’autore ha fatto notare come il peer-to-peer abbia aperto un conflitto che i

discografici non hanno saputo vincere, incapaci di trarre profitto, come in

passato, dalle forme sovversive delle subculture giovanili, e di adattare

tempestivamente le loro strategie di profitto all’emergenza di un’economia del

dono digitale, combattuta invece con l’inasprimento del copyright e l’uso della

crittografia. Barbrook sottolinea in proposito, come

                                                            

147 S. CACCIARI. “Più veloce del mercato: per una nuova antropologia politica del P2P”, Rekombinant, giugno 2006; http://osdir.com/ml/culture.internet.rekombinant/2006-06/msg00055.html. 148 T. O’REILLY. “What is Web 2.0. Design Patterns and Business Models for the Next Generation of Software”, OReilly.com, September 30, 2005; http://oreilly.com/web2/archive/what-is-web-20.html. 149 H. JENKINS, J. GREEN. “The Moral Economy of Web 2.0. Audience Research and Convergence Culture”, I, Confessions of Aca-Fan (Official Weblog of Henry Jenkins), http://henryjenkins.org/2008/03/the_moral_ economy_of_web_20_pa.html.

Page 232: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

221 

compared to their predecessors, the ambitions of the Napster generation seemed much more modest: sharing cool tunes over the Net. Ironically, it was this apparently apolitical youth subculture which - for the first time - confronted the music industry with an impossible demand. Everything is permitted within the wonderful world of pop with only one exception: free music150.

Con ciò lo studioso fa notare come laddove movimenti sociali culturalmente

e politicamente radicali sono diventati essi stessi terreno di mercificazione, oggi

sono le subculture dei fan e i consumatori dei prodotti di massa, aggregati

intorno ad una forma minore di disobbedienza civile – quale l’infrazione al

copyright - a sovvertire le regole dell’industria culturale. Riproducendo

l’academic gift economy sul terreno dei beni di mercato, questa pratica

politicamente inespressiva e largamente inconsapevole si è così scoperta

portatrice di effetti politici e conseguenze economiche di rilievo:

Like other Net obsessions, sharing music soon developed into a fun way of meeting people on-line. Fans could chat about their favourite musicians while giving away tunes. This underground scene was given a massive boost by the invention of Napster. Written by an Mp3 collector, this program created a virtual meeting-place where people into swapping music files could find each other. From the moment of its release, the popularity of Napster grew exponentially […]. What had begun as a cult quickly crossed over into the mainstream. For the first time, rebellious youth were identifying themselves not by following particular bands, but by using a specific Net service: Napster151.

Con Napster, l’underground si è infatti banalizzato nel quotidiano di internet,

nel cui contesto la pratica minoritaria dello scambio di indirizzi FTP è diventata

parte integrante di una cultura giovanile che si riconosce il diritto di consumare

musica collettivamente e in cui il download è occasione di incontro quotidiano

con sconosciuti fan dello stesso genere musicale. Come sottolineato da

Alderman, l’incomprensione della portata culturale di internet e l’illusione di

poterne ostacolare il corso sono state fatali all’industria discografica che non ha

saputo anticipare le piattaforme peer-to-peer, esponendosi così alla

sperimentazione di massa della condivisione gratuita della musica, per poi

tentare senza successo di emularla, dopo aver constatato l’affermazione di un

nuovo stile di consumo. Nel commento di Barbrook, una volta sperimentata

l’abbondanza dell’economia del dono hi-tech è stato infatti impossibile fermare                                                             

150 R. BARBROOK. “The Napsterisation of everything”, cit.. 151 Ivi.

Page 233: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

222

la de-mercificazione dei beni digitali e far nuovamente accettare agli

appassionati di musica l’imposizione della scarsità152.

55..44..22.. NNaappsstteerr GGiifftt SSyysstteemm:: llaa cciirrccoollaazziioonnee ddeell ddoonnoo nneellllaa ccoommuunniittàà vviirrttuuaallee

Le don est un système de circulation des choses immanent aux liens sociaux eux-mêmes.

J. Godbout153

Mentre Barbrook sottolinea la debolezza dell’appropriazione del significato

culturale dell’hi-tech gift economy, nell’ambito degli studi sul consumo, Gielser e

Pohlmann enfatizzano, al contrario, proprio la forza dei legami comunitari sottesi

alla condivisione degli Mp3 e l’importanza dell’altruismo come collante della

coesione di gruppo154. Questi aspetti del sistema di dono, sono infatti messi in

relazione dai ricercatori della Witten/Herdecke University con l’esaltazione delle

dinamiche identitarie attraverso le quali la subcultura di Napster si distingue,

enfatizzando i valori comunitari contro il consumo massificato dal commercio.

Secondo gli studiosi, il file sharing asseconda perciò la costruzione sociale di

una comunità di consumo dallo stile emancipativo:

A social form of emancipation is theorized as an operationally closed, self-referential, and consumption-related social system, which, by social communication, is engaged in a permanent process of ensuring a social distinction between itself and its environment, which is the only device to be used to reproduce itself in the course of time. Consumer emancipation of consumption-related yet market-distanced social entities is developed and explored as a process conditioning communication about ideologies, meanings, norms, and values in the social form of emancipation155.

Nell’interpretazione offerta da Gielser e Pohlmann in The social form of

Napster, la circolazione del dono è spiegata con il processo di costruzione del

legame sociale sui cui fa perno l’autopoiesi della comunità, nel cui contesto la

selezione di convenzioni sociali e di stili di comportamento alternativi si lega alla

chiusura autoreferenziale del gruppo rispetto ad un ambiente dominato dalla

mercificazione industriale. La circolazione informale degli Mp3 tra gli utenti di

                                                            

152 Ivi. 153 J. GODBOUT. L’esprit du don (1992) (avec Alain Caillé), Paris : La Découverte, 1998, p. 90. 154 L’icona di Napster reca infatti l’iscrizione Napster Music Community. 155 M. GIESLER, M. POHLMANN. “The social form of Napster: cultivating the paradox of consumer emancipation”, Advances in Consumer Research, 30, 2003; http://mali-pohlmann.com/pdfs/paradox.pdf, p. 2 (abstract extended).

Page 234: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

223 

Naspter può perciò essere compresa come l’espressione di una complessa e

contraddittoria subcultura comunitaria

attempting to maintain a certain “outsider status” from mainstream society’s norms and values of music copyright, commodification, and corporations, and engaging in discourse supporting communality and disparaging markets, and the circulation of the gift as an alternative exchange practice of music156.

È interessante notare che, per Giesler e Pohlmann, la formazione di

comportamenti emancipativi di consumo costituisce il vertice della tensione tra

comunità e mercati e dunque il punto estremo della loro pensabilità all’interno

della consumer research157. In Napster, infatti, i rituali di demercificazione e

l’emergenza di una mistica fuorilegge aggiungono alla valorizzazione della

marginalità e al disprezzo dell’utile, propri di altre subculture di consumatori (flea

market), un appello all’emancipazione del consumo che introduce una logica

nuova nella dinamica comunitaria, rafforzata dalla sacralizzazione dei

comportamenti del gruppo contro il carattere prosaico del rapporto

convenzionale con le merci:

The distance between the commercial as profane and the communal as sacred is symbolic of the broader cultural tensions between markets and communities and is even aggravated in the critical call for consumer emancipation158.

Con questo articolo, il lavoro degli studiosi si inserisce perciò criticamente in

un dibattito in cui l’emergere di atteggiamenti auto-riflessivi in gruppi di

consumatori è visto come l’apertura temporanea di zone di evasione dal

controllo industriale, nel cui contesto i membri di comunità fortemente

autocentrate si contrappongono a particolari logiche e interessi commerciali più

che al mercato in sé159. Giesler e Pohlmann sono invece convinti che tale

approccio alle forme smaliziate o sovversive di consumo sottovaluti gli aspetti di

organizzazione sociale attraverso cui i visionari (escapist) prendono le distanze

dal mercato:

Consumer researchers can now move forward the market-community discourse to a truly paradoxical vision of consumer emancipation. Instead of

                                                            

156 Ivi, p. 2 (text). 157 Ivi, p. 4. 158 Ivi, p. 7. 159 Ivi, pp. 7-8.

Page 235: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

224

focusing their approaches on a particularly reified concept of consumer emancipation as the static punch line of cultural sovereignty against corporate authority, the present vision of consumer emancipation then goes beyond the “symptoms of distance” on the social surface, to be theorized here as the dynamic processes that “build” the emancipative space of choice as an aim and a consequence of social communication about ideologies, meanings, and values160.

Coerentemente con questo programma i ricercatori propongono di

considerare la circolazione della musica come dono all’interno di Napster come

una subcultura comunitaria nella quale prende forma uno spazio alternativo di

scelta, le cui pratiche e convenzioni sociali sono «effectively disarticulated from

market logics and rearticulated onto emancipative ground […]»161. In The

Anthropology of File-Sharing. Consuming Napster as a Gift, uscito nello stesso

anno, Giesler e Pohlmann precisano le caratteristiche del sistema di dono

nell’ambiente elettronico, evidenziando che in questo contesto:

First, a gift is always a perfect copy of an Mp3 file stored on the donor’s hard drive. Second, a donor is usually a recipient and a recipient is usually a donor at the same time but not to each other. Third, it is the recipient and not the donor who initiates a gift transaction. Fourth, donor and recipient are anonymous and gift exchange is usually not reciprocal162.

Le differenze che i ricercatori fanno emergere tra le economie tradizionali

del dono e il gift system dell’ambiente ipertecnologico, sottolineano

essenzialmente la natura non rivale dei beni in circolazione e la struttura

automatica dello scambio in rete, le quali implicano che in questo contesto l’atto

di donazione non comporti sacrificio o spoliazione da parte del donante e che la

forma assunta dalla reciprocità sia quella dello scambio mediato, in cui il terzo è

rappresentato dallo stesso network:

Reciprocity in social networks does not necessarily involve total reciprocity between two individuals, but the social obligation to give, accept, and “repay” – which means to reciprocate within the network. An individual Napster user evaluates the single transaction in the context of multiplicity. In contrast to Sherry (1983), multiplicity is not reduced to transactions between one donor and one recipient but is embedded in transactions within the whole Napster

                                                            

160 Ivi, p. 9. 161 Ivi, p. 11. 162 M. GIESLER, M. POHLMANN. “The Anthropology of File-Sharing: Consuming Napster as a Gift”, Advances in Consumer Research, 30, 2003, p. 7; http://visionarymarketing.com/articles/gieslerpohlgift.html.

Page 236: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

225 

community163.

Secondo gli studiosi, è quindi proprio il superamento della catena diadica di

donazioni e restituzioni a fare di Napster una vera economia del dono e a fornire

il collante del legame sociale al suo interno. Giesler ha insistito su questo

aspetto in Consumer Gift System, nel quale ha discusso l’interpretazione

riduzionista del dono della Consumer Research e la conseguente elisione, in

questo ambito di studi, della sua dimensione sociale più rilevante:

To redress this key theoretical oversight – ha commentato in premessa - I develop the notion of the consumer gift system, a system of social solidarity based on a structured set of gift exchange and social relationships among consumers164.

L’importante articolo di Sherry del 1983 aveva infatti aperto una riflessione

sui comportamenti di dono che si focalizzava sulla costruzione di un circuito di

reciprocità tra donante e ricevente, teorizzando lo scambio di omaggi come una

catena dialettica di ricezione e restituzione in coppie di partner. Giesler mostra,

al contrario, come la circolazione del dono in Napster si qualifichi proprio per il

trascendimento della struttura diadica e delle motivazioni individuali descritte da

Sherry, insistendo sulla logica evolutiva che può portare i sistemi di dono ad

emergere dalle pratiche di consumo:

I suggest that gift systems can also evolve around consumption. These consumer gift systems may emerge from consumer networks of social solidarity, but they show the same fundamental systemic characteristics as those that were of interest to classic anthropologists165.

Gli indicatori che, secondo lo studioso, autorizzano a parlare di un gift

system in Napster sono quindi la produzione di uno specifico ethos che

distingue i membri del gruppo dagli outsiders (social distinction); il sentimento di

reciprocità che lega gli individui al network, ovvero al contesto in cui

l’informazione si moltiplica - in contrasto con la visione sacrificale dell’economia

morale di ispirazione bataillana - (norms of reciprocity); e lo sviluppo di un

sistema di rituali e simbolismi, individuato nella scelta dei nickname e dall’uso

degli avatar da parte degli utenti all’interno della comunità (rituals and

                                                            

163 Ibidem. Gli autori si riferiscono a J. SHERRY. “Gift-Giving in Anthropological Perspective,” Journal of Consumer Research, 10 September 1983, (pp. 157-168). 164 M. GIESLER. “Consumer Gift Systems”, cit., p. 283. 165 Ivi, p. 284.

Page 237: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

226

symbolisms)166.

In contrasto con la consumer research che ha rintracciato la presenza del

dono nel solo contesto delle relazioni familiari e di prossimità, Giesler evidenzia

così come il gift system digitale sia basato su relazioni di solidarietà legate alla

scelta individuale che sorgono al di fuori delle relazioni di necessità e di mutua

dipendenza, all’incrocio di segmenti di consumo separati e autonomi167. La

solidarietà nei sistemi elettronici di dono ha dunque una natura meno organica e

più nomade di quella dei gruppi primari e delle società tradizionali, si presenta

cioè meno vincolata dalle costrizioni comunitarie e più flessibile rispetto ad

esse. Queste forme di reciprocità, che Giesler definisce «segmented solidarity»,

sembrano infatti sufficientemente deboli da poter essere violate senza rischio di

ostracismo sociale, ma anche abbastanza forti da spiegare l’attivismo degli

utenti nell’inserire nel network materiali nuovi e rari, nel combattere e segnalare

la circolazione dei falsi e, in generale, nell’impegnarsi di più di quanto sarebbe

richiesto per la manutenzione del patrimonio comune168.

Lo studioso riprende così, da un’angolatura antropologica, le considerazioni

di Barbrook e Rheingold sull’intreccio di motivazioni altruistiche ed egoistiche

che determina l’azione nel sistema digitale, uscendo dalla dicotomia ideale – o

dall’equivoco -169 che identifica la circolazione del dono con l’assoluto

disinteresse e il sistema dello scambio con il solo calcolo e vantaggio.

Seguendo questa suggestione, Gielser ha cercato nella ricerca netnografica la

conferma empirica della molteplicità degli stili di comportamento nelle reti di file

sharing170, ma l’aspetto più interessante del suo lavoro consiste proprio

nell’indicazione che pratiche di consumo e sistemi di dono possono evolvere

l’uno nell’altro, costruendo o degradando il legame sociale istituito attraverso

uno scambio di oggetti carico di significati simbolici171. È così il fatto di

                                                            

166 Ivi, pp. 285-288. 167 Ivi, p. 289. 168 Ibidem 169 M. DOUGLAS. “Il n’y a pas de don gratuit. Introduction à l’édition anglaise de l’Essai sur le don de Marcel Mauss”, Revue du MAUSS, 4, 1989, p. 99. Tratto da A. SALSANO. “Per la poligamia delle forme di scambio”, II° Colloquio del Collegio Internazionale di filosofia sociale, Salerno e Napoli, 9-11 dicembre 1993, ripubblicato in A. SALSANO. Il dono nel mondo dell’utile, Torino: Bollati Boringhieri, 2008, p. 44. 170 M. GIELSER. “Conflict and Compromise: Drama in Marketplace Evolution”, Journal of Consumer Research, 34, April 2008; http://visionarymarketing.files.wordpress.com/2007 /11/giesler2007jcr.pdf. 171 La questione è ampiamente tematizzata nella letteratura anti-utilitarista. Alfredo Salsano ha osservato, ad esempio, che «una forma di scambio può trasformarsi in un’altra, ovvero lo stesso

Page 238: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

227 

condividere beni e oggetti a costruire la solidarietà, non l’inverso.

Tralasciando gli implicazioni più teoriche di questa tesi172, lo studioso

sottolinea che non si possono comprendere le pratiche di condivisione senza

guardare al significato culturale della circolazione dei beni nelle reti elettroniche.

La sua riflessione è quindi importante non solo perché getta un ponte tra

universi che il dibattito su internet tende a polarizzare, ma anche perché,

insieme agli studi di Barbrook, le sue ricerche mettono ad analisi la zona

lasciata in ombra dalla letteratura economico-giuridica che non coglie nelle

pratiche di condivisione se non la tecnologia e la violazione del contratto, il

mercato e non la società.

Nelle linee essenziali di questi dibattiti, il file sharing è infatti pensato come

una pratica da disciplinare, i cui aspetti distruttivi possono essere neutralizzati

attraverso il controllo tecno-giudiziario e un’offerta tecnologicamente adeguata

dell’offerta commerciale. L’assenza di riflessione sulla dimensione sociale del

peer-to-peer spicca, come si è visto, nell’analisi esemplare di Goldsmith e Wu

delle difficoltà di KaZaA, stretta tra la necessità di difendere la proprietà

intellettuale e la pratica quotidiana della sua violazione, nella quale

l’impossibilità per gli attori di mercato di includere le pratiche di condivisione tra

le proprie strategie di profitto, fa da contraltare alla prevista marginalizzazione

del file sharing una volta separato lo sviluppo dei software (contesto del profitto)

dalle pratiche degli utenti (sistema del dono). In quest’ottica, fuori dal

commercio il file sharing non ha futuro, perché la sua stessa apparizione è

essenzialmente riconducibile ad un conflitto interno tra settori produttivi.

Trascurando ogni tentativo di comprensione del fenomeno, la cui

normalizzazione è affidata al controllo tecno-giuridico e alla mobilitazione

pedagogica, questa visione del peer-to-peer riduce così il proprio spazio

d’osservazione all’evoluzione tecnologica delle piattaforme e alla logica degli

attori di un’economia parassita sviluppata dai produttori di software a danno dei

detentori dei diritti. Si perde così di vista che lo sviluppo dei programmi di file

sharing è anche il prodotto di attività non commerciali, in questo ambito non                                                                                                                                                                  

“oggetto” scambiato (bene o servizio) può essere il supporto di forme di scambio diverse», aggiungendo che «solo una corretta concettualizzazione del dono, della reciprocità, consente di congliere la dinamica di questa poligamia spontanea, che è anche un poliformismo di cui è inutile sottolineare tutte le ambiguità». A. SALSANO. “Per la poligamia delle forme di scambio”, cit. , p. 40. 172 I teorici antiutilitaristi hanno infatti evidenziato a più riprese come la reciprocità (dunque il dono), sia la matrice di tutte le altre forme di scambio. Si veda ad esempio, J. GODBOUT. L’esprit du don, op. cit..

Page 239: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

228

residuali, e soprattutto che la costruzione delle tecnologie non si identifica con la

pratica. Anche la creazione dei programmi senza fini di lucro resta infatti

inspiegabile nel momento in cui viene fatta cadere l’idea di Giesler, Barbrook e

dei primi studiosi delle darknet, che la condivisione elettronica delle copie è un

fenomeno sociale complesso, non riducibile al funzionamento delle piattaforme,

agli interessi e alla cultura dei programmatori o alla psicologia degli utenti.

Ciascuna di queste componenti gioca infatti un ruolo in – senza identificarsi con

- questa forma di intelligenza collettiva nella quale la convergenza dei bisogni

individuali e la risposta coordinata alle sfide ambientali entrano in conflitto con la

logica dello scambio di mercato, disgregandone i principi di funzionamento.

È interessante in proposito l’osservazione di Henry Jenkins e Joshua Green

che in una cultura partecipativa la soluzione a problemi comuni è cercata

collettivamente, attraverso processi di collaborazione nei quali «consumers take

media in their own hands […] to serve their personal and collective interests»173.

Come ha precisato lo studioso, «what I am calling participatory culture might

best be understood in relation to ideas about the "gift economy" developed by

Lewis Hyde in The Gift»174. Il rapporto tra i produttori e le culture interconnesse

dei fan può perciò essere visto come un intreccio di conflitti e negoziazioni

«around value and worth […] at the intersections between commodity culture

and the gift economy»175.

Dove si considerano i suoi aspetti sociali e culturali, il file sharing tende

dunque ad essere interpretato attraverso il paradigma del dono, con

accentuazioni diverse del ruolo della cultura scientifica depositata nelle

tecnologie di rete, o del processo di formazione delle comunità generato dalla

circolazione gratuita e informale delle merci. Resta quindi da approfondire se

l’applicazione al file sharing di questo schema interpretativo sia sostenibile ed

eventualmente sufficiente a spiegarlo.

                                                            

173 H. JENKINS, J. GREEN. “The Moral Economy of Web 2.0 (Part Two)”, cit. 174 H. JENKINS. “Critical Information Studies For a Participatory Culture (Part One and Two)”, April 10, 2009, Confessions of an Aca-Fan (official weblog); http://henryjenkins.org/2009/04/what_went_wrong_with_web_20_cr_1.html. Il libro di Hyde citato da Jenkins (The Gift: Imagination and the Erotic Life of Property, Vintage Books, 1983) offre una visione spiritualizzata del dono e del suo potenziale trasformativo, attraverso il debito e la gratitudine, all’interno di una civiltà di mercato sempre più bisognosa di nutrimento emozionale. 175 Ivi.

Page 240: TESI COMPLETA

5. Le reti e le architetture di condivisione

 

229 

Page 241: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

230

6.

PPeerr uunn’’aannttrrooppoollooggiiaa ddeell ppeeeerr--ttoo--ppeeeerr

Page 242: TESI COMPLETA

6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

231 

L’identificazione di internet con un’economia del dono ha il merito di aver

contrastato il riduzionismo interpretativo delle visioni giuridiche ed economiche

del file sharing, portando la letteratura sulla condivisione online sul piano

dell’analisi sociale. Per questa ragione, le stesse critiche volte ad evidenziare le

differenze di queste pratiche dai sistemi di reciprocità studiati dagli antropologi,

forniscono un importante contributo alla definizione socio-antropologica del

peer-to-peer. Ciò che viene posto in evidenza, in questo dibattito, è l’anonimità

e la volatilità degli scambi che non permettono la tessitura di legami di

solidarietà tra chi condivide i propri file e chi li copia, nonché l’assenza della

componente agonistica del dono, basata sul prestigio e sul riconoscimento, e di

quella sacrificale, fondata sulla cessione di utilità sottratte al consumo e

investite nella costruzione di alleanze e legami d’amicizia.

La prima delle tre fondamentali critiche al file sharing come sistema di dono

sostiene quindi che, in assenza di questi elementi, i beni circolanti nelle reti P2P

debbano essere considerati merci – e non doni - deviate dal loro percorso

commerciale e immesse in un potente meccanismo di redistribuzione sociale

dell’informazione, le cui caratteristiche di bene pubblico vengono sfruttate per la

creazione di un servizio non dissimile dalla distribuzione di acqua, gas ed

elettricità. La seconda, fa invece leva sull’assenza del controdono e sulla piena

accessibilità dei beni immessi nel dominio pubblico anche a coloro che non vi

contribuiscono; il file sharing divergerebbe allora dal dono proprio per la

realizzazione della piena gratuità, condizione esclusa, come è noto, dallo

schema maussiano. Entrambe queste visioni spostano dunque l’interpretazione

del P2P dal piano del dono, cioè della costruzione del legame e della

reciprocità, a quello della redistribuzione, dell’accesso e della giustizia sociale.

La terza critica si discosta, invece, da questa base argomentativa per

evidenziare la presenza minoritaria nel P2P dell’economia del dono e come

dunque l’organizzazione sociale delle piattaforme debba essere letta come

l’effetto di una «solidarietà tecnica» nella quale l’omologia tra il funzionamento

dei dispositivi e le pratiche che vi si sviluppano lega gli utenti al rispetto,

largamente inconsapevole, di codici comportamentali e di convenzioni etiche

incorporate nelle tecnologie.

Dopo aver analizzato l’organizzazione delle comunità di produzione di

release (eMulelinks) e l’immissione delle loro creazioni nelle reti globali di

condivisione, si conclude che le pratiche di file sharing non possono essere

Page 243: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

232

comprese senza tener conto della loro articolazione, nella quale si evidenzia

come la capacità delle economie del dono di sfidare l’economia di scambio e di

riprodursi su internet si debba proprio alla sinergia tra dinamiche comunitarie,

precise condizioni tecnologiche e grandi sistemi anonimi.

66..11 LLee ccrriittiicchhee aallll’’iinntteerrpprreettaazziioonnee ddeell ffiillee sshhaarriinngg ccoommee ssiisstteemmaa ddii ddoonnoo

Sia all’interno della ricerca sugli stili di consumo che nel dibattito dei teorici

dei media, molti autori hanno rifiutato l’interpretazione del file sharing come

economia del dono, sottolineando le differenze delle pratiche di condivisione dal

triplice obbligo maussiano di «donner, recevoir, rendre»1, e dai sistemi di

reciprocità studiati dagli antropologi.

L’attenzione degli studiosi si è infatti focalizzata sull’assenza del

controdono e sull’anonimità dello scambio nelle reti peer-to-peer2,

sull’inesistenza del «sacrificio» in coloro che mettono a disposizione i file3 e

sulle ambiguità connesse all’identificazione della musica digitale con un dono,

stanti le motivazioni non altruistiche della condivisione4 e l’intreccio inestricabile

delle dimensioni mercantile e cooperativa nelle transazioni interne ai network

P2P5. In relazione a questo aspetto, ad esempio, Pauwels e il suo gruppo di

ricerca hanno sostenuto che il file sharing è il lato distruttivo e pirata della peer

production, il cui versante cooperativo e «samaritano» sta complicando la

propria morfologia espandendosi ben oltre le prime forme di produzione di beni

culturali – ad esempio con il microcredito o lending6. Dai sistemi di dono P2P

andrebbe quindi escluso il file sharing in quanto pura dissipazione di un valore

creato all’esterno delle reti.

Privo delle caratteristiche del dono agonistico e della dimensione del sacro

                                                            

1 M. MAUSS. "Essai sur le don. Forme et raison de l’échange dans les sociétés archaïques", L’année Sociologique, seconde série 1923-1924, p. 50 ; http://www.uqac.uquebec.ca/zone30/Classiques_des_sciences_sociales/index.html. 2 M. BAUWENS. Peer To Peer and Human Evolution, op. cit., p. 41. 3 K. ZERVA. "File-Sharing versus Gift-Giving: A Theoretical Approach", Third International Conference on Internet and Web Application and Service, 2008, p. 13. 4 Ivi, p. 17. 5 F. DEI. “Tra dono e furto: la condivisione della musica in rete”, cit., p. 72. 6 J. A. PAUWELS et al.. “Pirates and Samaritans: a Decade of Measurements on Peer Production and their Implications for Net Neutrality and Copyright”, 2008, p. 2; www.tribler.org/trac/raw-attachment/wiki/PiratesSamaritans/pirates_and_samaritans.pdf.

Page 244: TESI COMPLETA

6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

233 

poste da Mauss alla base della circolazione arcaica dei beni, secondo

Konstantina Zerva, poiché nel file sharing gli individui non si spossessano dei

loro file e non entrano che occasionalmente in relazione diretta tra loro, insieme

alla dimensione sacrificale del dono viene a cadere anche quella simbolico-

relazionale7. A proposito di questa natura non sacrificale del peer-to-peer,

concetto che Michel Bauwens usa estensivamente per riferirsi alla forma

idealtipica della collaborazione digitale, il teorico belga ha fatto notare a sua

volta che le economie cooperative funzionano più facilmente in contesti di

abbondanza e nella sfera di produzione di beni pubblici, mentre i sistemi di

dono rappresentano piuttosto modelli alternativi di gestione della scarsità, in

presenza di beni e risorse rivali8. Lo studioso ha dunque osservato che, non a

caso, è là dove si produce la ricchezza delle reti che può emergere una forma

di collaborazione schiettamente altruistica, non dipendente dal mercato né dalla

reciprocità, di pura gratuità:

Though the early traditional gift economy was spiritually motivated and experienced as a set of obligations, which created reciprocity and relationships, involving honor and allegiance (as explained by Marcel Mauss in the Gift), since gifts were nevertheless made in a context of obligatory return, it involved a kind of thinking that is quite different from the gratuity that is characteristic of P2P: giving to a P2P project is explicitly not done for an 'certain' and individual return of the gift, but for the use value, for the learning involved, for reputational benefits perhaps, but only indirectly9.

Il P2P non è dunque un sistema di dono, ma un meccanismo di produzione

e appropriazione comune dei beni aperto alla partecipazione anche di coloro

che non hanno materialmente contribuito alla formazione del patrimonio di

dominio pubblico. In assenza della reciprocità e dell’obbligazione a rendere

proprie del dono classico, le interpretazioni che spiegano i fenomeni peer-to-

peer con la cosiddetta «economia dell’attenzione»10, restano quindi per

Bauwens versioni eufemistiche di un utilitarismo che non coglie la novità

antropologica di quella che definisce come una nuova tappa dell’evoluzione

umana11. La circolazione della reputazione che, secondo molti commentatori,

                                                            

7 K. ZERVA. "File-Sharing versus Gift-Giving: A Theoretical Approach", cit., p. 13. 8 M. BAUWENS. Peer To Peer and Human Evolution, op. cit., p. 45. 9 Ivi, p. 42. 10 P. KOLLOCK. “The Economies of Online Cooperation: Gifts and Public Goods in Cyberspace”, University of California, 1999; http://dlc.dlib.indiana.edu/archive/00002998/01/Working_Draft.pdf. 11 Sul rapporto tra dono e interesse si veda A. CAILLÉ. Le Tiers paradigme. Anthropologie philosophique du don, Paris : La Découverte, 1994, p. 186 : «[…] Mauss n’a en fait jamais nié le

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III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

234

rappresenta la principale motivazione all’azione nel sistema di dono digitale,

dovrebbe infatti essere intesa come la dinamica di produzione di un capitale

simbolico convertibile, secondo necessità, nelle altre forme di accumulazione di

potere e ricchezza. In questo modo, è proprio perché il P2P è in gran parte

anonimo che si è in presenza di una gratuità in senso stretto12. Con i fenomeni

più dispersi della collaborazione online sembra dunque apparire, per

parafrasare Mary Douglas, la contraddizione in termini del «dono gratuito»:

Il dono presunto disinteressato è una finzione che dà troppa importanza all’intenzione di colui che dona e alle proteste contro ogni idea di ricompensa. Ma rifiutando ogni reciprocità, si taglia fuori il fatto di donare dal suo contesto sociale e lo si priva di tutto il suo significato relazionale […]. Mass sostiene al contrario che sarebbe perfettamente contraddittorio pensare il dono ignorando che esso implica un dovere di solidarietà […]. Un dono che non contribuisce affatto a creare solidarietà è una contraddizione in termini13.

Così come compare in Bauwens, questa versione spiritualizzata del peer-

to-peer si avvicina così alla forma di eticità propria delle donazioni di sangue e

della solidarietà delle organizzazioni di mutuo soccorso che Godbout ha

indicato come caratteristica del «dono moderno», o «dono verso gli estranei»,

la quale «non fa parte né del mercato, né dello Stato, né della sfera

domestica»14 e va dunque riconosciuta come una quarta sfera «che crea

rapporti tra gli uomini, ma lascia gli uomini al di fuori di essi»15. Lo studioso

canadese ricorda peraltro come lo stesso Malinowski avesse collocato questo

dono senza contropartita, che definiva «dono puro», al di fuori del kula, il dono

cerimoniale dei trobriandesi16.

                                                                                                                                                                 

rôle joué par l’intérêt dans le contexte du don cérémoniel. Ce dernier reste toutefois selon lui, hiérarchiquement dominé par l’ostentation d’une absence d’intérêt et par une subordination des intérêts matériels au prestige». 12 Come ha osservato Jean-Samuel Beuscart a proposito delle motivazioni “egoistiche” che darebbero conto della collaborazione online, « lorsqu’elles ne correspondent pas à des gains réputationnels valorisables sur un marché – come è appunto il caso della produzione anonima di utilità – les notion de profit symbolique et d’esperance de gain deviennent vite floues, bouche-trou conceptuel plutôt que veritable explication des pratiques des acteurs ». J.-S. BEUSCART. “Les usagers de Napster, entre communauté et clientèle. Construction et régulation d'un collectif sociotechnique", Sociologie du travail, 44, 4, octobre-décembre 2002, p. 471. 13 M. DOUGLAS. “Il n’y a pas de don gratuit. Introduction à l’édition anglaise de l’Essai sur le don de Marcel Mauss”, cit., p. 99. Tratto da A. SALSANO. “Per la poligamia delle forme di scambio”, cit. p. 44. 14 J. GODBOUT. L’esprit du don, op. cit., p. 84. 15 L’osservazione è di Simmel. G. SIMMEL. Philosophies des Geldes (1987), trad. it. Filosofia del denaro, Torino : UTET, 1984, p. 436. Tratto da J. GODBOUT. L’esprit du don, op. cit., p. 84. 16 J. GODBOUT. Ce qui circule entre nous. Donner, recevoir, rendre, Paris: Seuil, 2007, p. 210.

Page 246: TESI COMPLETA

6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

235 

Per Konstantina Zerva, Fabio Dei, Johan Pauwels e lo stesso Bauwens,

l’accostamento del peer-to-peer al «terzo paradigma»17 è dunque improprio

mentre, per Jean-Samuel Beuscart, poiché «Ie don est surtout le fait d’un petit

nombre de membres du collectif»18, l’insistenza del riferimento ad esso da parte

della letteratura militante e degli stessi utenti va vista come un importante

tentativo di «costruire l’irreversibilità», cioè di operare sul piano del discorso

performativo al fine di legittimare le pratiche di condivisione e orientare lo

stesso dibattito su internet19.

Queste critiche costituiscono in genere la pars destruens di interpretazioni

che, facendo leva sugli elementi mancanti o anomali del «sistema di dono

digitale», propongono letture alternative della condivisione online, indicando di

volta in volta il file sharing come una forma di redistribuzione sociale

dell’informazione (Zerva), come un possesso comune basato sulla

partecipazione (Bauwens), o come un modello di solidarietà tecnica in cui il

calcolo e l’azione morale si fondono con le istanze più o meno stringenti dei

dispositivi tecnici (Beuscart).

Dopo aver discusso queste tesi, si fornirà una propria lettura del file sharing

anche attraverso il caso di studio di eMulelinks, una delle reti di produzione e

distribuzione di release collegate a eMule. L’osservazione delle dinamiche

interne di questa community ci permetterà infatti di descrivere l’articolazione

delle reti di file sharing e le modalità attraverso cui i centri di diffusione virale

della pratica entrano in sinergia con lo scambio anonimo delle piattaforme.

66..22 SSee nnoonn uunn ddoonnoo,, ccooss’’aallttrroo??

66..22..11 IIll ffiillee sshhaarriinngg ccoommee rreeddiissttrriibbuuzziioonnee ssoocciiaallee ddii uunn bbeennee ppuubbbblliiccoo

Nel contesto del dibattito della consumer research, la studiosa greca

dell’Università di Barcellona Konstantina Zerva ha dedicato un interessante

articolo alle tesi di Giesler e Pohlmann sul gift system di Napster. Con File

                                                            

17 Si utilizzano qui le definizioni di Alain Caillé che usa il concetto di primo paradigma per “individuo”, “mercato” o “contratto”, secondo paradigma per “totalità olistica”o “collettività” e terzo paradigma per “dono” o reciprocità. A. CAILLE. Le tiers paradigme. Anthropologie philosophique du don, op. cit., pp. 8-15. 18 J.-S. BEUSCART. “Les usagers de Napster, entre communauté et clientèle. Construction et régulation d'un collectif sociotechnique", cit., p. 473. 19 Ivi, p. 478.

Page 247: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

236

Sharing versus Gift Giving: a Theorethical Approach, l’autrice si è infatti prefissa

di superare le definizioni insoddisfacenti e contraddittorie della pratica, sia

quando considerata un sostituto dell’acquisto che quando vista come una forma

speciale di dono, in questo caso generalizzando un modello che la studiosa

giudica «attractive [but] simplistic and metaphorical»20.

La prima parte dell’articolo è quindi dedicata alla decostruzione dei termini

e delle analogie usati per descrivere il file sharing, a partire dagli oggetti che,

secondo una lettura consolidata, sarebbero scambiati come dono:

Instead of characterizing the music Mp3 file as a gift, it is best to initially consider it as a good, deviated from the specific route that the rest of the merchandises follow. Such a deviation is a sign of creativity (from part of the peers) or crisis (from part of record labels), with a morally ambivalent and dangerous aura, while being an inspiration for future deviations21.

Secondo la sociologa, oltre alle idee fuorvianti di dono e condivisione, la

letteratura sul file sharing fornisce tutta una serie di spiegazioni parziali che

contribuisce ad occultare la natura del fenomeno. Nelle reti P2P, infatti, chi

mette a disposizione i propri file non perde i suoi beni – dunque non ne fa dono

-, ma li espone alla possibilità di essere copiati da altri. Allo stesso tempo, non è

possibile definire «parassitaria» l’economia generata da queste pratiche, poiché

il parassita, generalmente non invitato, sottrae cibo alla tavola dell’ospite,

mentre i pari non deprivano gli utenti da cui copiano i file e sono da questi

autorizzati a farlo. Gli errori di interpretazione sembrano quindi inevitabili nel

momento in cui si cerca di spiegare un fenomeno digitale con metafore ispirate

al mondo analogico.

Zerva propone quindi una triplice categorizzazione di differenze tra file

sharing e dono, individuate a livello delle proprietà dei beni scambiati, delle

procedure di condivisione e delle motivazioni all’azione22. In riferimento alle

circolazione degli Mp3, la studiosa osserva che nei sistemi di dono vengono

ceduti soprattutto beni rari e suntuari, difficili da possedere, ciò che conferisce

allo scambio un forte senso di obbligazione che trasferisce il valore di possesso

degli oggetti al valore di legame delle relazioni. Al contrario, nelle reti di file

sharing ciò che circola è musica smaterializzata in un formato estremamente

                                                            

20 K. ZERVA. "File-Sharing versus Gift-Giving: A Theoretical Approach", cit., p. 13. 21 Ibidem 22 Ibid.

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6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

237 

comune che priva gli oggetti scambiati della singolarità e preziosità tipica degli

oggetti donati. La frequenza di queste transazioni è poi talmente ampia da

perdere ogni riferimento agli elementi cognitivi ed emozionali dello scambio di

doni, il grado di diffusione e pervasività delle pratiche peer-to-peer è infatti tale

da cambiare il modo in cui le persone fanno esperienza e valutano la musica23.

Ne segue che, alla luce delle caratteristiche dell’Mp3, la distribuzione della

musica nelle reti di sharing dovrebbe essere considerata come un servizio e

non come un dono:

Burning a CD or downloading music is considered as a service for which peers are grateful but, according to the ways Western society has managed to induce the identity of a gift, they do not qualify it as such24.

Con questo riferimento allo spirito «occidentale» del dono, canonizzato

nella letteratura sugli stili di consumo da un celebre studio di John Sherry,

Zerva introduce la seconda tipologia di differenze, riferita agli aspetti

procedurali, tra gift giving e file sharing. La studiosa osserva così la sistematica

violazione di tutte le fasi di realizzazione del dono descritte nel seminale articolo

del 1983, riscontrando agevolmente la scomparsa nel file sharing delle figure

del donatore e del ricevente, della fase di preparazione e ideazione del regalo,

di quella di presentazione, consegna e, infine, di valutazione dell’omaggio, che

l’autore del saggio aveva individuato studiando i rituali delle ricorrenze natalizie

e di compleanno. Ne conclude che

None of the variables mentioned in the gift-giving procedure are included in [this] process due to the anonymity factor and the ignorance of the demographic, social or economic data of other peers25.

La riflessione dell’autrice è tesa, evidentemente a dimostrare, anche in

questa parte, la flebile socialità sviluppata dai sistemi di condivisione e la

mancata produzione nei network P2P del valore di legame che qualifica la

circolazione del dono come tale, sia nel modello maussiano che nella versione

occidentale dello scambio di regali. L’insistenza sul modello diadico di

relazionalità presentato da Sherry, segna però un arretramento dell’analisi, che

non registra l’obiezione già mossa da Giesler e Pohlmann a questa prospettiva

– peraltro, a loro avviso, legittima nel contesto originario dello studio –, estesa                                                             

23 Ivi, p. 14. 24 Ibidem 25 Ivi, p. 16.

Page 249: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

238

dagli epigoni dell’autore ben oltre il suo campo d’indagine. I ricercatori avevano

infatti notato che, all’interno delle reti digitali, l’instaurazione della reciprocità

non prevede necessariamente che questa si stabilisca tra gli individui coinvolti,

visto che ogni utente di Napster valuta la singola transazione in un contesto di

molteplicità, dove il dovere di rendere è concepito come un principio normativo

della comunità26. La stessa Zerva rileva peraltro questo aspetto, osservando

che

In file sharing, the evaluation [of the gift] made from the peer does not concern the social relationship with other peers, but the relationship with the P2P network […].The high reciprocity observed in the internet file-sharing is a result of the need to offer in order for the network to be effective27.

L’argomentazione dell’autrice stabilisce dunque che la logica del file

sharing differisce essenzialmente da quella del regalo occidentale, ma non dal

modello maussiano, nel quale il «sistema di prestazione totale» articolato

intorno al dono obbliga in primo luogo le collettività e, come nel caso del

potlatch dei Tlinkit e degli Haïda, può arrivare a confondersi con un’attività di

consumo collettivo:

[…] dans ces deux dernières tribus du nord-ouest américain et dans toute cette région apparaît une forme typique certes, mais évoluée et relativement rare, de ces prestations totales. Nous avons proposé de l'appeler pollatch, comme font d'ailleurs les auteurs américains se servant du nom chinook devenu partie du langage courant des Blancs et des Indiens de Vancouver à l'Alaska. « Potlatch » veut dire essentiellement « nourrir », « consommer ». Ces tribus, fort riches, qui vivent dans les îles ou sur la côte ou entre les Rocheuses et la côte, passent leur hiver dans une perpétuelle fête : banquets, foires et marchés, qui sont en même temps l'assemblée solennelle de la tribu28.

Quanto osservato da Konstantina Zerva sembra perciò confermare, più che

la violazione del paradigma del dono, la profonda modificazione degli stili di

consumo della musica che rende anacronistica la riproposizione di uno studio

sugli elementi di preparazione, scelta e successo del dono elaborato nel

contesto della consumer research degli anni ’80. Come hanno osservato Green

e Jenkins, «consumption in a networked culture is a social rather than

                                                            

26 M. GIESLER, M. POHLMANN. “The Anthropology of File-Sharing: Consuming Napster as a Gift”, cit., p. 7. 27 K. ZERVA. "File-Sharing versus Gift-Giving: A Theoretical Approach", cit., p. 16. 28 M. MAUSS. "Essai sur le don. Forme et raison de l’échange dans les sociétés archaïques", cit., p. 10.

Page 250: TESI COMPLETA

6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

239 

individualized practice»29.

Ciò non toglie che la reciprocità mediata del file sharing resti un aspetto di

confine tra circolazione del dono e consumo condiviso (o redistribuzione sociale

dei beni digitali), la cui valutazione è senz’altro uno dei compiti più impegnativi

dell’antropologia del peer-to-peer, chiamata a stabilire, per usare i termini di

Godbout, il senso di ciò che circola nelle reti. È perciò forte il rischio che la

natura delle transazioni studiate sia decisa dal punto di osservazione prescelto,

avvalorandone l’interpretazione come attività condivisa di consumo, se si

privilegiano gli aspetti di scambio anonimo e la presenza non trascurabile del

free riding, ma come sistema di dono se si porta l’attenzione sulla normatività

delle dinamiche comunitarie e sulla proliferazione delle relazioni interpersonali

nelle reti di condivisione. Proprio perché si tratta di trovarne il senso, l’aspetto

che spesso decide il giudizio sulle pratiche di condivisione è il tipo di

motivazione che si ritiene prevalere negli utenti di file sharing. Non a caso,

infatti, prima di trarre le conclusioni del suo studio, Konstantina Zerva si

sofferma sulla questione, per ribadire che il comportamento dei peer manca del

carattere altruistico e del sentimento d’obbligatorietà del dono ed è per lo più

mosso da considerazioni egoistiche o, nei membri più consapevoli, da

motivazioni libertarie e dall’antagonismo nei confronti dell’industria. Ne segue

che

A product or service that circulates in the market, not for reciprocity or sociability reasons (moral economy) but for self-oriented and calculated ones (political economy), is not a gift but a commodity30.

Il punto è però che si tratta di una merce particolare, perché le sue

caratteristiche di non rivalità e non escludibilità ne fanno un bene pubblico. Le

tecnologie digitali rendono infatti la musica un prodotto abbondante e non

deperibile che fluisce liberamente nelle reti di condivisione, così come l’acqua, il

gas e l’elettricità nelle condutture delle reti pubbliche31. Il tratto distintivo del file

sharing è dunque il carattere non naturale, né statale, di un nuovo bene

pubblico prodotto dagli stessi consumatori:

Internet is a socially constructed public good, since it represents a collective

                                                            

29 J. GREEN. H. JENKINS. “The Moral Economy of Web 2.0. Audience Research and Convergence Culture (Part Two)”, cit. 30 K. ZERVA. "File-Sharing versus Gift-Giving: A Theoretical Approach", cit., p. 17. 31 Si ricorderà che l’autrice aveva già proposto di definire l’MP3 come un servizio.

Page 251: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

240

creation. Therefore, it is considered that digital music is a socially redistributed public good, which enters the paradox of the social dilemma. According to the latter, every member of a group shares a common output, regardless of whether they contribute or not. Albeit the individualistic choice of free-riding or in this case freeloading is highly practiced by peers, the continuous expansion and success of these online communities insinuates that ‘leechers’ are no real threat to the operation of P2P networks32.

Benché ne parli nei termini anglosassoni del dilemma sociale, nella

descrizione dell’autrice il file sharing funziona dunque come un autentico

sistema mutualistico, nel quale l’apporto dei singoli contribuenti è, per

definizione, diseguale, proprio perché legato ai meccanismi di redistribuzione

statuale. Con queste conclusioni, l’interpretazione di Konstantina Zerva si

avvicina perciò a quella di Bauwens, il quale ha osservato come la creazione di

beni digitali in regime di possesso comune istituisca la gratuità senza

esclusione di coloro che non partecipano alla creazione del public domain. Il

rifiuto di considerare il file sharing come dono, fa così ancora gravitare le

interpretazioni dei due autori nella sfera del «quarto paradigma», non a caso

accostato da Godbout al «secondo»:

Situato nel quadro d’insieme di ciò che circola, diventa chiaro che il dono agli sconosciuti è più legato alla spartizione che al dono di replica33.

Le pratiche di condivisione avrebbero dunque maggiore affinità con i criteri

di giustizia redistributiva che con la costruzione di socialità.

Sembra porsi su questa linea interpretativa anche Nick Dyer-Whiteford il

quale, riflettendo sulla complessità politica della pirateria e sul suo

occultamento nel discorso pubblico, ha evidenziato che

piracy is the only way many people in, say, Brazil or the Philippines, or Egypt can afford games. […] virtual piracy is (alongside the smuggling of drugs, guns, exotic animals and maritime piracy) just one of the many avenues by which immiserated planetary populations make a ~de facto~ redistribution of wealth away from the bloated centers of consumer capital. […] mass levels of piracy around the planet indicate a widespread perception that commodified digital culture imposes artificial scarcity on a technology capable of near costless cultural reproduction and circulation. These points suggest digital piracy is a classic example of the criminalized social struggles that have always accompanied enclosures of common resources, responding in this case not to capital's "primitive accumulation" of land

                                                            

32 Ibidem 33 J. GODBOUT. Ce qui circule entre nous. Donner, recevoir, rendre, op. cit., p. 210.

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6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

241 

enclosures, but to its "futuristic accumulation" fencing-in digital resources34.

Dyer-Whiteford pone dunque l’accento sugli aspetti concreti del conflitto

digitale di cui Beuscart ha osservato la costruzione del piano di legittimazione

organizzato intorno al récit del dono. A tale riguardo, proprio osservando come

gli scontri sulle risorse essenziali mobilitino il piano ideale e metaforico, Jenkins

ha importato nel dibattito sulla cultura convergente il concetto di «economia

morale» elaborato dallo storico dell’economia Edward Thompson, facendo

notare come l’attrito tra la «"gift economy" of fan culture and the commodity

logic of "user-generated content»35 abbia portato sul terreno dell’elaborazione

contro-egemonica le tattiche di resistenza delle culture popolari che de Certeau

aveva descritto come meri tentativi di sopravvivenza:

This new emphasis on "participatory culture" represents a serious rethinking of the model of cultural resistance which dominated cultural studies in the 1980s and 1990s. Cultural resistance is based on the assumption that average citizens are largely locked outside of the process of cultural production and circulations; De Certeau's "tactics" (especially as elaborated through the work of John Fiske) were "survival mechanisms" which allowed us to negotiate a space for our own pleasures and meanings in a world where we mostly consumed content produced by corporate media; "poachers" in my early formulations were "rogue readers" whose very act of reading violated many of the rules set in place to police and organize culture36.

L’insistenza dei fan sul libero accesso ai contenuti prodotti dalle

communities e il rifiuto della loro mercificazione da parte dei produttori sono

quindi espressione della stessa sfida lanciata dai contadini ai proprietari terrieri

nel quadro delle rivolte alimentari del 18° secolo. Come osservava Thompson,

sottolinea infatti Jenkins,

where the public challenges landowners, their actions are typically shaped by some "legitimizing notion." He explains, "the men and women in the crowd were informed by the belief that they were defending traditional rights and customs; and in general, that they were supported by the wider consensus of the community”. In other words, the relations between landowners and peasants, or for that matter, between contemporary media producers and consumers, reflect the perceived moral and social value of

                                                            

34 N. DYER-WITHEFORD, G. DE PEUTER. "Empire@Play: Virtual Games and Global Capitalism”, Ctheory, 32, 1-2, May 13, 2009; http://www.ctheory.net. 35 J. GREEN, H. JENKINS. “The Moral Economy of Web 2.0: Audience Research and Convergence Culture”, cit.. Gli autori si riferiscono all’articolo di E. P. THOMPSON. “The Moral Economy of the English Crowd in the 18th Century”, Past and Present, 50, February 1971, (pp. 76-136). 36 H. JENKINS. “Critical Information Studies For a Participatory Culture (Part Three)”, cit..

Page 253: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

242

those transactions37.

È in questa prospettiva che l’imposizione della gratuità operata dal file

sharing viene considerata, nei termini di Latrive, come «une riposte sociale à la

privatisation de la culture et de la connaissance»38 che si concretizza in una

sperimentazione di massa delle proprietà dell’informazione e dell’ambiente

digitale, istitutiva di un bene pubblico artificiale a disposizione della collettività.

66..22..22 IIll ffiillee sshhaarriinngg ccoommee ppoosssseessssoo ccoommuunnee bbaassaattoo ssuullllaa ppaarrtteecciippaazziioonnee

A differenza dei contributi citati finora, la tesi proposta da Michel Bauwens

si è sviluppata nel dibattito extra-accademico delle mailing list, aspetto che non

ha impedito all’ex imprenditore informatico, oggi residente in Tailandia, di

impegnarsi in un una serie di conferenze nelle principali università europee

tenute nei due anni successivi alla pubblicazione online di Peer-to-peer and

Human Evolution.

La riflessione del teorico belga sugli aspetti di nostro interesse è infatti

partita da un’opinione espressa da Stephan Merten sulla mailing list tedesca

Oekonux circa i metodi di produzione peer-to-peer, giudicati «not a gift

economy based on equal sharing, but a form of communal shareholding based

on participation»39. Accogliendo questa interpretazione, Bauwens ha infatti

osservato che nelle economie del dono, la circolazione dei beni lega il ricevente

all’obbligazione di restituire cose di valore comparabile a quanto ricevuto.

Viceversa,

In a participative system such as communal shareholding, organized around a common resource, anyone can use or contribute according to his need and inclinations40.  

Le economie del dono sono dunque fondate su reciprocità, prestigio e

costruzione dell’alleanza mentre queste dinamiche, a suo avviso, non operano

in internet, dove

                                                            

37 J. GREEN, H. JENKINS. “The Moral Economy of Web 2.0: Audience Research and Convergence Culture”, cit.. 38 F. LATRIVE. Le bon usage de la piraterie, op. cit., p. 160. 39 M. BAUWENS. Peer-to-peer and Human Evolution, op. cit., p. 39. 40 Ibidem

Page 254: TESI COMPLETA

6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

243 

In open source production, file sharing, or knowledge exchange communities, I freely contribute, what I can, what I want, without obligation; on the recipient side, one simply takes what one needs41.

Proprio per questo, è comune che in ogni progetto basato sul web si registri

la presenza di un 10% di membri attivi e di una larga maggioranza di utenti

passivi che non contribuiscono alla formazione del patrimonio comune. Ciò può

essere seccante, ma non rappresenta mai un problema, perché l’economia del

peer-to-peer opera in regime di abbondanza, dove nessuna tragedia dei

commons o abuso individuale dei beni condivisi può danneggiare l’ecosistema

digitale. Al contrario, poiché il valore dei beni prodotti poggia sull’arricchimento

di risorse conoscitive, il loro uso intensivo non ne diminuisce il valore, ma lo

moltiplica, secondo il principio del network effect - per questo John Frow può

parlare di una Comedy of Commons42. 

Bauwens evidenzia, in proposito, come non a caso il meccanismo adottato

dai sistemi P2P più recenti per aumentare l’efficienza delle reti, consista

semplicemente nel rendere automatica la partecipazione degli utenti alla

condivisione, attraverso dispositivi che gestiscono le risorse degli utenti passivi,

rendendone superflua l’azione volontaria e cosciente:

 One of the key elements in the success of P2P projects, and the key to overcoming any `free rider' problem, is therefore to develop technologies of "Participation Capture"43. 

Ciò significa che, come si è visto nel caso di BitTorrent, è sufficiente che gli

individui partecipino agli scambi delle piattaforme perché si crei un patrimonio

comune. Infatti, a differenza dei commons tradizionali che possono sorgere solo

a partire da risorse fisiche già esistenti, nel peer-to-peer la conoscenza

condivisa è creata proprio attraverso l’uso e lo scambio nelle reti e non esiste ex

ante44.

Le importanti differenze tra le economie del dono e la communal

shareholding creata dalle dinamiche peer-to-peer non implicano però, secondo

Bauwens, che si debba minimizzare il rapporto tra questi fenomeni e le tante

applicazioni internet che sono espressione di comunità organizzate, con ogni

                                                            

41 Ivi, p. 41. 42 Ibidem 43 Ibidem 44 Ivi, p. 42.

Page 255: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

244

evidenza, come delle gift economies. Ciò che accomuna queste pratiche è,

infatti, il riferimento ad uno stesso ethos che può essere visto come un autentico

spirito del dono45.

Bauwens enfatizza questo aspetto, in accordo con le finalità di un saggio

che si prefigge di dimostrare come l’emergenza delle tecnologie peer-to-peer

coincida con una nuova tappa dell’evoluzione umana, nella quale gli elementi di

cooperazione e fiducia necessari al funzionamento dei mercati subiscono una

trasformazione qualitativa per adattarsi alla fase cognitiva del tardo capitalismo.

In questo passaggio, la collaborazione meccanica e neutrale che si

accompagna alla logica dello scambio commerciale, diviene infatti sinergica,

consapevolmente collaborativa e automaticamente inclusiva. Il teorico rifiuta di

considerare come tecnologicamente (o economicamente) determinata questa

trasformazione della base produttiva del late capitalism, che vede

essenzialmente come il risultato di scelte politiche prodotte da un «radical social

imaginary» incorporato nelle tecnologie46, ma tende a considerarla irreversibile,

dedicando scarsa attenzione ai conflitti che passano per i tentativi di chiusura

degli artefatti digitali e per il governo di internet. In questo modo, il fatto che lo

studioso delinei, nelle conclusioni, tre possibili scenari di conflitto o coesistenza

tra capitalismo cognitivo e peer-to-peer, non modifica il senso di una riflessione

volta ad analizzare «la tendenza fondamentale di un nuovo ordine di civiltà»

caratterizzato dall’emergenza delle pratiche peer-to-peer47.

In conclusione, se si fa astrazione dalle considerazioni di ampio respiro di

Bauwens e da alcuni elementi di accentuazione dei conflitti presenti in Dyer-

Whiteford, le interpretazioni alternative all’economia del dono si accordano su

molti elementi di analisi, tanto che alcune differenziazioni finiscono per risultare

quasi esclusivamente nominali. Il file sharing è infatti incluso tra le

sperimentazioni sociali della natura di bene pubblico dell’informazione, anche se

Bauwens attenua l’opposizione tra redistribuzione e reciprocità su cui insiste

Konstantina Zerva, facendo rilevare come, nonostante la forte presenza dello

spirito del dono nell’ambiente digitale, le logiche della restituzione e del prestigio

non siano dominanti nella sfera del peer-to-peer. Si distacca, invece, da questo

                                                            

45 Ibidem 46 Ivi, p. 18. Bauwens si riferisce esplicitamente a Cornelis Castoriadis. L’institution imaginaire de la société, Paris: Éditions du Seuil, 1975. 47 M. BAUWENS. Peer-to-peer and Human Evolution, op. cit., pp. 66; 67.

Page 256: TESI COMPLETA

6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

245 

ordine di problemi, Jean-Samuel Beuscart che porta la sua critica alla narrativa

del dono riflettendo sulle modalità di interazione sociale delle reti e integrando

con importanti considerazioni le tesi esposte da questi autori.

66..22..33 IIll ffiillee sshhaarriinngg ccoommee ssoolliiddaarriieettàà tteeccnniiccaa

La force sociologique de cette solidarité, sa capacité à lier les humaines les unes aux autres au delà même de ce qu’ils peuvent viser dans leurs actions, est d’autant plus grande que les objets ont une capacité de fonctionnement autonome, c’est-à-dire qu’ils

sont des machines, ou encore, dans la terminologie de Simondon, des véritables « objets techniques », plutôt que des outils. La solidarité technique est par ailleurs

d’autant plus étendue que les objets ne sont pas isolés, mais connecté les uns aux autres dans des chaînes de solidarité. C’est ici également que la notion de réseau […]

acquiert sa pertinence.

N. Dodier48

La critica mossa da Jean-Samuel Beuscart alle interpretazioni più comuni

del file sharing, poggia sul rifiuto delle letture che ne descrivono le pratiche

puntando sulle motivazioni psicologiche e su una sua presunta razionalità

dominante. La posizione dello studioso è quindi dichiaratamente distante sia

dall’analisi economica che considera il funzionamento degli ambienti di

condivisione come il risultato della produzione decentralizzata di un bene

collettivo, sia dal discorso, «à la fois savant et indigène», che spiega i

comportamenti peer-to-peer attraverso le categorie di comunità e dono49. Si

tratta, infatti, di tesi che «font résider le fonctionnement du dispositif tout entier

dans les motivation et la rationalité des acteurs et font disparaître le dispositif»50

mentre, a suo avviso, non è possibile comprendere il tipo di legame e di

responsabilità che si instaura nelle reti peer-to-peer senza esaminare il

funzionamento degli insiemi tecnici entro cui si realizza la condivisione, nonché

le specifiche modalità di interazione individuale e tecnologica sostenute da

queste reti.

La tesi proposta dalla letteratura sui beni pubblici, secondo la quale la

collaborazione digitale è frutto di una razionalità egoistica (swarming

intelligence), non può infatti spiegare cosa spinga gli utenti di una rete di file

                                                            

48 N. DODIER. Les hommes et le machines : la conscience collective dans les sociétés technicisées, Paris : Metailié, 1995, pp. 14-15. 49 J.-S. BEUSCART. “Les usagers de Napster, entre communauté et clientèle. Construction et régulation d'un collectif sociotechnique", cit., pp. 470 ; 474. 50 Ivi, p. 474.

Page 257: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

246

sharing ad arricchire il patrimonio comune, stante che

Dans le cas de grands groupes anonymes dans lesquels n’existent pas d’incitation sélectives positives (récompense) ou négatives (contraintes) au comportement altruiste, l’individu rationnel a intérêt à consommer au maximum le bien public gratuit sans en supporter (au moins d’y être contraint) les coûts d’entretien : le passager clandestin est la règle non l’exception51.

Allo stesso tempo, il dibattito che enfatizza gli aspetti comunitari

dell’arricchimento del dominio pubblico non riesce a dar conto delle difficoltà dei

collettivi socio-tecnici di funzionare in modo totalmente decentralizzato e a fare

a meno di una certa forma di autorità:

Les communautés virtuelles ne peuvent réellement fonctionner sur le modèle décentralisé et égalitaire qu’elle affichent ; le fonctionnement du collectif repose la plupart du temps sur une minorité d’individus ayant une position de premier plan, officielle ou de fait et le don est surtout le fait d’un petit nombre de membre du collectif52.

Il fatto che nei network anonimi i comportamenti opportunistici siano diffusi

ma non escludano cooperazione e gratuità mostra quindi secondo Beuscart,

che entrambe le interpretazioni inquadrano parzialmente le pratiche che

vorrebbero descrivere, funzionando solo a costo di occultare o minimizzare ciò

che l’uno o l’altro schema di riferimento non può giustificare. Al contrario,

tenendo conto delle negoziazioni con le istanze tecniche che impegnano gli

utenti delle piattaforme P2P, si osserva come i registri d’azione assolutizzati dai

modelli del bene pubblico e del dono si combinino sistematicamente, dando

luogo a configurazioni ibride nelle quali considerazioni morali e tecniche si

trovano costantemente intrecciate.

Focalizzando l’attenzione sulle pratiche concrete degli utenti, Beuscart trova

così conferma all’idea che la collaborazione online sia connessa

all’instaurazione di una «solidarietà tecnica», descritta tra i primi dal sociologo

del lavoro Nicolas Dodier, la quale lega appunto gli individui che agiscono

attraverso gli oggetti tecnici e si prendono cura del loro funzionamento53. Gli

utenti dei sistemi di condivisione sono infatti inseriti in vaste reti socio-tecniche,

nelle quali l’attività di ognuno ha per obiettivo la ricerca di un’efficacia tanto                                                             

51 Ivi, p. 470. 52 Ivi, p. 473. 53 Ivi, p. 470, et N. DODIER. Les hommes et le machines : la conscience collective dans les sociétés technicisées, op. cit., p. 4.

Page 258: TESI COMPLETA

6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

247 

locale che globale, dove è perseguito simultaneamente il successo dell’azione

tecnica di ogni punto della rete e il funzionamento complessivo del sistema54. In

questo modo,

le fait pour l’usager de contribuer ou non au bien public est le résultat d’une négociation avec l’objet technique qui est en même temps une relation normative à l’ensemble du collectif sociotechnique55.

La scelta di condividere i propri file va quindi intesa come una negoziazione

con l’oggetto tecnico e con la sua normatività, il cui esito dipende allo stesso

tempo da condizioni individuali e locali, quali le competenze tecniche degli

utilizzatori e la loro conoscenza del programma. Beuscart argomenta questa

tesi facendo osservare come le opzioni di default dei primi software di

condivisione – l’articolo dello studioso è infatti un commentario delle pratiche di

Napster – fossero congegnate in modo che, senza un intervento di modifica da

parte dell’utente, i file contenuti della cartella di sistema creata sul suo disco,

fossero messi a disposizione degli altri partecipanti. In questo modo, in assenza

della volontà di cambiare queste prescrizioni o della capacità di farlo, il sistema

tecnico impone la sua normatività (o habitus tecnologico, secondo la

terminologia bourdieuiana di Stern), così che la «produzione di compatibilità»

tra uomo e macchina realizza un’«armonia prestabilita», descritta da Dodier

come la configurazione nella quale l’incontro tra l’attività normativa e la

flessibilità degli individui e degli artefatti tecnici inclina al reciproco

adattamento56.

Nel caso l’utente possieda i requisiti di competenza necessari per

modificare queste specificazioni, la scelta di condividere prende invece la forma

di un arbitrato tra l’efficacia dell’uso personale e un imperativo esterno di

funzionamento globale del collettivo socio-tecnico, in cui la prima è funzione dei                                                             

54 Ivi, p. 474. 55 Ibidem 56 Ibid. Si veda Dodier : «Le fonctionnement des ensembles techniques passe pour la production de compatibilité entre les êtres qui sont en position de voisinage sur les chaînes de solidarité. Cette production de compatibilité est […] une rencontre entre des "forces", cette rencontre est une mélange, de part et d’autre, entre une activité normative et un travail d’adaptation. Chaque face, qu’il s’agisse d’un objet ou d’un humain possède une capacité normative et une capacité à être modulée, sa souplesse. On distinguera alors plusieurs figures de réalisation de compatibilité. Dans la première, le fonctionnement par harmonie préétablie, chaque face se présente dans un état qui est compatible avec celui de l’autre face […], dans la deuxième figure l’un des êtres en présence est amené à se transformer pour s’adapter aux exigences de son vis-à-vis. Dans le cours du fonctionnement cela se manifeste par une friction dans le rapport du voisinage […]. N. DODIER. Les hommes et le machines : la conscience collective dans les sociétés technicisées, op. cit., p. 49.

Page 259: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

248

parametri tecnici che vincolano l’attività individuale, come la potenza del

computer e la velocità della connessione utilizzata, mentre il secondo è una

prescrizione di ordine morale che impone di contribuire alla ricchezza della

piattaforma. L’imperativo a cooperare, infatti,

formule une règle de participation au collectif de chacun, un principe de réciprocité entre l’usager et le reste du collectif. Le logiciel rappelle cet impératif par sa construction et sa terminologie : l’usage du mot « partage » y est récurrent dans les différentes fonctionnalités […]. Cette négociation entre un impératif moral et des considérations d’optimisation personnelle de l’usage est présente chez tous les usagers, plus ou moins consciente, plus ou moins explicitement problématisé57.

Ciò che Beuscart tiene a sottolineare è che nel funzionamento della

solidarietà tecnica la negoziazione tra le differenti istanze lascia sempre un

margine di azione all’utente che lo autorizza a dare diverse letture delle regole e

dello stesso imperativo morale che le sostiene, delegando all’individuo-

utilizzatore la facoltà di esercitare in certa misura la propria intelligenza e la

propria moralità. In altri termini, «le fonctionnement de la solidarité technique

contraint les pratiques sans les déterminer, et laisse une place à l’interprétation

que font les usagers du système58.

L’adozione di questa prospettiva permette così all’autore di tenere insieme

le definizioni su cui si divide la restante letteratura, riconoscendo la componente

altruistica non meno che egoistica dei comportamenti peer-to-peer e l’ambigua

natura di questa pratica, a metà tra fenomeno di consumo e scambio

interpersonale. In proposito, Beuscart si dice convinto della prevalenza degli

aspetti di consumo, attribuendo una preminenza interpretativa alla visione del

P2P come sottrazione dei peer alla scarsità imposta dall’industria, ma non

manca di sottolineare come

ces pratiques d’échange recréent, au sein du vaste collectif anonyme qu’est Napster, de petite communautés spontanées au seins desquelles s’organisent des interactions réelles59.

Ne conclude che anche se la logica individualistica del consumo resta

dominante nel file sharing, la cooperazione è regolarmente imposta dal

                                                            

57 J.-S. BEUSCART. “Les usagers de Napster, entre communauté et clientèle. Construction et régulation d'un collectif sociotechnique", cit., pp. 474-475. 58 Ivi, p. 476. 59 Ivi, p. 478.

Page 260: TESI COMPLETA

6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

249 

funzionamento della solidarietà tecnica «esattamente nello stesso modo in cui è

mobilitata dagli utenti più entusiasti»60, benché sfugga ai collettivi la capacità di

controllarla e di imporla all’ambiente socio-tecnico in modo cosciente61. Ciò

comporta, a suo giudizio, che la pressione del commercio sulle pratiche

cooperative nel tentativo di volgerle a vantaggio delle imprese sia destinato

all’insuccesso, perché le modifiche di sistema necessarie per imporre un nuovo

statuto alla solidarietà tecnica digitale inciderebbero necessariamente sugli

imperativi morali veicolati dalle tecnologie, alterando gli attuali principi

autoorganizzativi delle reti. L’insuccesso e il declino della collaborazione in siti

come il BitTorrent Entertainement Network, in cui al costo di poco più di un

dollaro si riproduce un’esperienza simile al file sharing – condivisione di banda e

disco a sostegno del network di noleggio – sembrerebbe confermarlo, benché

sia difficile valutare questa circostanza in un contesto in cui, come ha

giustamente evidenziato Bauwens, l’attività cooperativa equivale alla semplice

partecipazione al network.

Un aspetto interessante dell’approccio di Beuscart è il fatto che si concentra

sull’attività degli individui attraverso le reti, piuttosto che sulla genesi di questi

ambienti62; la riflessione sull’evoluzione di internet enfatizza dunque i processi

culturali legati all’uso delle tecnologie, invertendo essenzialmente l’uso

lessighiano del costruttivismo. Sulla stessa linea di ricerca si è posto

recentemente anche Lovink, il quale ha osservato come

[we] would be to study, in detail, how users interact with applications and influence their further development. Network cultures come into being as a ‘productive friction’ between inter-human dynamics and the given framework of software. The social dynamics that develop within networks is not ‘garbage’ but essence. The aim of networks is not transportation of data but contestation of systems63.

Entrambi gli autori sottolineano quindi la plasticità delle tecnologie digitali e

la flessibilità della normatività incorporata in questi artefatti rispetto agli usi degli

utenti, anche se Beuscart guarda più agli spazi di autonomia dei singoli

                                                            

60 Ibidem 61 Va notato, peraltro, che i sistemi successivi hanno incentivato la propensione allo scambio puntando più che sulla forza del “discorso” e sulla netiquette, su architetture in grado di massimizzare l’effetto di armonia prestabilita descritto da Dodier. 62 Nel programma di Dodier è ap punto enunciato l’obiettivo di « partir du fonctionnement des objets techniques plutôt que de leur genèse». N. DODIER. Les hommes et le machines : la conscience collective dans les sociétés technicisées, op. cit., p. 46. 63 G. LOVINK. “The Principle of Notworking. Concept in Critical Internet Culture”, cit., p. 6.

Page 261: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

250

utilizzatori, mentre Lovink soprattutto alle dinamiche culturali stimolate dalle

pratiche digitali. Ponendosi dal punto di vista dell’utente, Beuscart segnala

come la chiusura tecnologica degli oggetti tecnici non sia mai completa e come

dunque le pratiche di condivisione si trovino ingaggiate tra l’armonia prestabilita

progettata dai sistemi e la continua divergenza delle azioni e dei

comportamenti, resa tanto più possibile dall’(attuale) apertura strutturale delle

tecnologie digitali. Conformemente al punto di vista individualistico adottato,

l’autore lascia perciò cadere l’interrogativo sul senso dell’azione prevalente

nelle reti di file sharing.

Puntare l’attenzione sulla variabilità delle logiche degli utenti fa però

perdere di vista che la cultura network «tende non tanto a spezzettarsi in cellule

individuali, quanto a divergere, e a ibridarsi intorno alle qualità peculiari di

differenti ambienti e culture»64, facendo emergere tendenze organizzative ben

riconoscibili. Tra le migliori sintesi, l’ultimo libro di Benkler ha inventariato

queste formazioni, ponendo l’accento su due diverse modalità di cooperazione

e sul loro ruolo fondamentale nei fenomeni di rete:

[…] the fact that every such effort is available to anyone connected to the network, from anywhere, has led to the emergence of coordinate effects, where the aggregate effect of individual action, even when it is not self-consciously cooperative, produces the coordinate effect of a new and rich information environment [but] most radical, new, and difficult for observers to believe, is the rise of effective, large-scale cooperative efforts—peer production of information, knowledge, and culture. These are typified by the emergence of free and open-source software. We are beginning to see the expansion of this model not only to our core software platforms, but beyond them into every domain of information and cultural production […] from peer production of encyclopedias, to news and commentary, to immersive entertainment65.

L’introduzione di Wealth of the Networks segnala, quindi, la coesistenza

nell’ambiente digitale di un tipo di cooperazione frutto dell’effetto coordinato e

automatico di azioni individuali ripetute su vasta scala, e di un’attività di

collaborazione intenzionalmente mirata allo sviluppo di beni e utilità, sempre più

importante nel contesto della produzione culturale. Il caso di studio che si

propone nelle pagine seguenti, ci permetterà di mostrare come le reti di file

                                                            

64 T. TERRANOVA. Network Culture (2004), trad. it. Cultura Network. Per una micropolitica dell’informazione, Roma: Manifestolibri, 2006, p. 76. 65 Y. BENKLER. The Wealth of the Networks. How social production transforms Markets and Freedom, op. cit., pp. 3-4.

Page 262: TESI COMPLETA

25

 

 

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Page 263: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

252

type d’arme utilisée68.

Queste attività, di cui la ricercatrice segnala la ricchezza culturale e

tecnica69 si sviluppano, generalmente, all’interno di comunità digitali

specializzate nella produzione di release, cioè di copie di film, videogiochi e

software ottenute dalla decompilazione di CD o DVD e dalla codifica di

registrazioni televisive o eseguite in sala, corredate di una serie di utilità che

vanno appunto dalla sottotitolazione di film stranieri, all’inclusione di recensioni,

trailer, fotogrammi e certificazioni di qualità dei materiali condivisi. Sono perciò

queste aggregazioni di utenti, collegate ad una o più piattaforme peer-to-peer e

funzionanti come forum di discussione e di scambio di link, i luoghi in cui si

concretizza la marcata vocazione produttiva delle culture dei fan e in cui la

pratica anonima della condivisione assume una forma comunitaria70.

Esaminiamo questo genere di attività attraverso il caso di eMulelinks, una

delle comunità italiane di condivisione di link più numerose, della quale abbiamo

studiato dinamiche e principi di funzionamento, isolatamente e in relazione ad

eMule, osservando per quattro settimane – dalla metà di agosto alla metà di

settembre 2009 – le discussioni aperte nei forum, le prassi di iniziazione, di

disciplinamento e di bando attivate dagli amministratori del sito, e

analizzandone i regolamenti, tecnici e politici, codificati dai partecipanti.

Prima di una serie di chiusure, avvenute su sollecitazione di utenti o di

agenzie di collecting, emuelinks raggiungeva i 23.000 iscritti, mentre nel periodo

interessato dall’osservazione il sito segnalava l’adesione di 679 utenti, dopo la

migrazione su un server brasiliano seguita all’ultima disconnessione che ha

                                                            

68 Ivi. 69 Nel nel caso degli appassionati di manga, Jenkins ha segnalato, ad esempio, come molti fan americani del genere abbiano appreso il giapponese per poter leggere i fumetti originali e poi sottotitolarne le copie in rete: «American fans have learned Japanese, often teaching each other outside of a formal educational context, in order to participate in grassroots projects to subtitle anime films or to translate manga. Concerned about different national expectations about what kinds of animation are appropriate for children, anime fans have organized their own ratings groups. This is a new cosmopolitanism - knowledge sharing on a global scale». H. JENKINS. “Interactive Audiences?”, in D. HARRIES (ed.) The New Media Book, London: British Film Institute, 2002, (pp. 157–170); http://web.mit.edu/cms/People/henry3/collective%20intelligence.html (ristampato in H. JENKINS. Fans, Bloggers and Gamers. Exploring Participatory Culture (2006), trad. it. Fan, blogger e videogamers. L’emergere delle culture partecipative nell’era digitale, Milano: Angeli, 2008, (pp. 160-180), p. 168. 70 Come notano Cooper ed Harris, oltre alle comunità dedite alla produzione di release (release group), esistono anche gruppi specializzati nella loro diffusione (courier group). J. COOPER, D. M. HARRISON. “The social organization of audio piracy on the Internet”, Media, Culture and Society, 23, 1, 2001, p. 85; http://mcs.sagepub.com/cgi/content/abstract/23/1/71.

Page 264: TESI COMPLETA

6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

253 

reso indisponibile il servizio da aprile a luglio71. Come si è anticipato, l’attività di

questa comunità consiste essenzialmente nella produzione di release e nella

messa a disposizione su eMule di materiali autoprodotti, di qualità certificata

dagli stessi utenti. I link sono infatti testati dalla comunità che provvede ad

eliminare i falsi e ad attestare la corrispondenza dei contenuti a criteri di

veridicità e a standard di qualità delle produzioni.

Dopo essersi iscritti, aver preso visione delle regole della comunità ed

essersi presentati su un forum dedicato - che ha lo stesso nome di una

trasmissione televisiva in onda a mezzogiorno su una delle reti pubbliche - i

membri della community possono iniziare a inserire richieste di fornitura di

specifici contenuti che verranno esaudite da qualcuno dei presenti. La

collaborazione tra utenti prende così la forma di una serie di forum, il principale

dei quali si presenta come una messaggeria nella quale alle richieste di

elaborazione di release di film, videogiochi o software - scaricabili da eMule – i

beneficiari rispondono con una serie di commenti, ringraziamenti e valutazioni

dei materiali prodotti. I partecipanti a questo collettivo sono sia in relazione

diretta attraverso le caselle di posta personali, che in un contesto di

comunicazione pubblica, gestito dagli amministratori del sito, i quali

contrassegnano i messaggi indirizzati ai forum con icone che segnalano lo stato

della richiesta e la qualità delle risposte.

Se la si confronta con le osservazioni di Beuscart, che agli scambi di link

prima di Napster ha dedicato tutta la prima parte del suo articolo,

l’organizzazione sociale di comunità come eMulelinks conserva quindi una

modalità arcaica, pre-automatica, di relazione peer-to-peer, nella quale i singoli

utenti si trovano ancora a negoziare e trattare secondo complicati codici

relazionali l’accesso al download dei beni digitali72. La differenza che però

emerge immediatamente tra l’evoluzione osservata dal ricercatore e

l’organizzazione di questi collettivi è che, diversamente da quanto accadeva

precedentemente a Napster, dove l’accesso ai siti di download era regolato da

uno stretto controllo volto a selezionare gli utenti e a prevenire «le pillage et les

                                                            

71 Queste informazioni sono tratte dai forum del sito, nei quali gli utenti dialogano con gli amministratori, commentando gli eventi seguiti alla disconnessione. 72 J.-S. BEUSCART. "Les usagers de Napster entre communauté et clientèle. Construction et regulation d’un collectif socio-technique", cit., pp. 465-466.

Page 265: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

254

comportements trop individualistes, [notamment] l’abus d’avidité musicale»73,

l’obiettivo di comunità come eMulelinks è di estendere il più possibile la

partecipazione ai network e rendere efficienti le pratiche di condivisione,

creando un ambiente stabile di comunicazione tra i produttori di release e i

semplici fruitori, e promovendo la diffusione delle competenze di base dell’input

del file sharing.

La trasformazione organizzativa del P2P che Beuscart descrive nel

momento di passaggio dalla preistoria dialogica e cerimoniale dei siti di

download all’anonimità delle piattaforme74, deve quindi essere integrata con

l’osservazione dell’articolazione interna di queste reti che, già nella ricerca

condotta da Cooper ed Harrison nel 2001, si presentavano organizzate tra gli

scambi anonimi e volatili delle piattaforme e la cooperazione comunitaria dei

produttori di release75. Interessato ad illustrare gli automatismi della solidarietà

tecnica e a dimostrare l’insufficienza delle prospettive psicologiche e delle

analisi politiche del file sharing, Beuscart ha infatti sottovalutato l’apporto

dell’economia del dono – come effetto aggregato di decisioni consapevoli degli

utenti - alle pratiche di condivisione, attribuendo alle attività delle comunità di

produttori un peso equivalente alla loro incidenza statistica in rapporto alla

massa di utilizzatori passivi delle piattaforme. Poiché lo studioso si focalizza

sulla persistenza degli imperativi morali in dispositivi tecnici sempre più anonimi,

le sue importanti osservazioni passano però a lato del funzionamento del file

sharing, ignorando che la struttura dei dispositivi digitali si è sempre basata sul

dono hacker di beni e saperi e su reti aperte nelle quali la partecipazione al

patrimonio comune non è stata soggetta, di norma, ad autorizzazione

all’accesso. Proprio perchè la proprietà intellettuale non ha avuto corso nella

costruzione di questi dispositivi, la distinzione tra creatori e utenti passivi non ha

dunque mai giocato il ruolo fondamentale che i commentatori, dagli Huberman

allo stesso Beuscart, continuano ad attribuirle. Quantitativamente minoritaria,

l’economia del dono rappresenta infatti non soltanto lo spirito dei network o, nei                                                             

73 Ivi, p. 466. 74 Beuscart cita, in proposito, l’ironico commento di un utente che descrive la condivisione prima di Napster come un continuo mercanteggiare l’accesso e il download : «Donc il y a ce principe-là: après il y a le principe du chat, parce que parfois en fait tu peux accéder au site mais tu peux pas télécharger ; donc en fait il faut que tu discute avec l’administrateur "salut, ça va qu’est-ce que tu fais dans la vie blabla" tu vois, tu tchatches un peu avec le bonhomme, et puis ensuite au final tu dis est-ce qui y a moyen d’avoir un passe ; il te dis oui ou non il y a moyen d’avoir un passe, tu le marchandes en fait faut toujours marchander». Ibidem. 75 J. COOPER, D. M. HARRISON. “The social organization of audio piracy on the Internet”, cit..

Page 266: TESI COMPLETA

6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

255 

termini del sociologo, l’espressione di una solidarietà tecnica che inclina i

partecipanti al rispetto delle convenzioni sociali incorporate dalle tecnologie, ma

anche quell’insieme di pratiche che avvia concretamente la circolazione

anonima di beni e riproduce l’ethos delle reti.

Il ricercatore coglie quindi nella riduzione degli scambi interpersonali a

partire da Napster un elemento importante della maturità del file sharing che

però non può essere compreso senza osservarne la relazione con la

comunicazione comunitaria di collettivi come eMulelinks, in cui gli utenti si

prendono cura della qualità dei beni condivisi e della volgarizzazione delle

competenze necessarie a realizzarli.

Un aspetto importante delle interazioni all’interno di queste comunità è

infatti lo scambio di informazioni sulle procedure da seguire per produrre delle

buone release e sui migliori software disponibili in rete per la decompilazione

dei codici di sicurezza. EMulelinks mette a disposizione oltre cinquanta guide in

italiano alla soluzione dei principali problemi di gestione dei programmi di social

network, di aggiramento delle procedure anticopia, di riparazione hardware, di

installazione di software e videogiochi, nonché delle tecniche di duplicazione in

riferimento alle problematiche audio, grafiche, foto, video, musica, anime e

cartoons76. Questa banca dati collegata ai forum di argomento tecnico,

rappresenta quindi il patrimonio di saperi che la comunità di pratica diffonde a

vantaggio degli utenti desiderosi di perfezionare le proprie abilità di cracker77,

estendendo e riproducendo nei nuovi partecipanti le competenze di base della

produzione peer-to-peer.

Entrando nel dettaglio dell’organizzazione sociale di eMulelinks, si osserva

che la vita della comunità è regolata da una serie di prescrizioni contenute in

una «costituzione tecnica» e in una «politica» che vincolano i membri al rispetto

di un codice di condotta la cui violazione dà seguito al richiamo o al bando da

parte degli amministratori del sito. La prima sezione tecnica di questa sorta di

contratto sociale pattuito all’interno della piattaforma, definisce dettagliatamente

le modalità attraverso cui link, immagini e video devono essere introdotti nel

                                                            

76 Http://e.emulelinks.org/emulelinks/viewtopic.php?f=114&t=87. 77 Termine coniato dal filone purista del dibattito hacker, al fine di distinguere l’attività intellettuale e «just for fun» di creazione dei software, da quella meno stimabile dei produttori di crack, gli stratagemmi di aggiramento delle protezioni.

Page 267: TESI COMPLETA

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Page 268: TESI COMPLETA

6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

257 

garantendo l’armonia interna, la sicurezza e la qualità delle sue produzioni.

Questo regolamento, che abbiamo distinto da quello tecnico, attribuendogli la

funzione di «costituzione politica» contiene, oltre alle norme di comportamento e

all’indicazione delle sanzioni e delle loro modalità di irrogazione, una premessa

relativa all’identità del sito e alle pratiche che si vi svolgono. È qui che si

segnala, quale autodifesa preventiva all’accusa di infrazione al copyright, che il

sito «non contiene materiale sul proprio server, ma utilizza solo dei bbcode –

vale a dire dei codici che producono i link ai sistemi ed2k come eMule (ndr) -

per il redirect su emule dei file già presenti sui server messi in share da altre

persone! quindi il nostro forum è da considerarsi come un motore di ricerca»79.

In tutta evidenza, il messaggio oscura la differenza tra l’attività di

indicizzazione dei file, svolta dai motori di ricerca, e quella di richiesta,

apprendimento e realizzazione delle release praticata dai membri della

community, mentre pone l’accento, in linea con il tradizionale argomento

difensivo avanzato nei processi, sull’assenza fisica all’interno del sito di

contenuti protetti da copyright. Ciò che è messo a disposizione all’interno di

communities come eMulelinks, sono infatti dei connettori logici che rinviano ad

una piattaforma di condivisione, la quale a sua volta mette in comunicazione le

banche dati dei singoli utenti.

Dopo la somministrazione di questa avvertenza, tanto più utile se si

considera come la forza persuasiva dei messaggi mediatici contro il file sharing

spinga, a volte, degli utenti a denunciare le pratiche illecite che si svolgono nel

sito - come sembra sia accaduto in occasione della disconnessione più recente

- segue l’esposizione di cinque regole tassative, volte ad assicurare la coesione

del collettivo e i livelli qualitativi delle sue produzioni:

Questo è un sito libero e perciò, qualsiasi iniziativa è vista di buon occhio da parte dello Staff. Le semplicissime regole da seguire: 1) La discussione non è bandita. Anzi a volte contribuisce alla crescita del Sito. Sono Tassativamente Vietate aggressioni Verbali condite da Bestemmie e Insulti. 2) é Tassativamente Vietato copiare pari pari release postate precedentemente su altri siti.

                                                            

79 Http://e.emulelinks.org/emulelinks/viewtopic.php?f=4&t=55

Page 269: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

258

3) è Tassativamente Vietato rellare film o cartoni di chiaro stampo Hard o peggio. Gli Hentai, per lo meno la loro maggioranza, sono Interdetti. Su questo farà fede la classificazione IMDB. Nessuna deroga. Il Violare una di queste 3 norme, comporta un richiamo scritto. Non ce ne sarà un secondo. Al secondo tentativo, si verrà Bannati. Se possibile, tramite Ip, se non coinvolgiamo troppa gente. Altrimenti, verrà bannato il nick in questione. 4) E severamente vietato spammare nella TagBoard, dopo il primo richiamo di un Mod, alla seconda infrazione, BAN per un giorno. 5) Sono consentiti tutti link ed2k, a patto che siano stati testati prima. Sono proibiti link diretti esterni. Sono consentiti solo link esterni anonimi. Sono proibiti i link esterni che rimandino a forum concorrenti ed è vietato pubblicizzare il proprio sito o forum. Postare link esterni senza autorizzazione di un Admin o Global Mod, potrà provocare l’immediato BAN dell’utente senza preavviso. Lo Staff80

Come si vede, tre dei cinque principi di regolazione introdotti dal testo

hanno lo scopo di neutralizzare le possibili derive disgreganti della community,

derivanti dalle intemperanze comportamentali degli iscritti e dalle conflittualità

interne (art. 1), o delle agressioni esterne, rappresentate dallo spam e

dall’invadenza del porno. Flame e spam sono infatti tradizionali elementi di

disturbo dei collettivi informatici, in grado di distruggere il gradimento dei siti e di

allontanare gli utenti, mentre il bando del porno si deve al fatto che la presenza

di questi contenuti può proliferare fino a diventare lo scopo principale del sito,

introdurre spyware e virus e far scattare controlli e sanzioni da parte dell’autorità

giudiziaria (art. 3). L’art. 3 si prende quindi cura del fine sociale della

community, consistente nella condivisione di file e di conoscenze, evitando che

la presenza di link a contenuti pornografici attiri membri motivati esclusivamente

dalla disponibilità di questo materiale.

Le regole enunciate dagli articoli 2 e 5 vanno invece intese come principi di

salvaguardia della reputazione del sito e di promozione della sua capacità di

competere con comunità analoghe per qualità, velocità e originalità delle

release. Che la finalità principale del sito non sia quella di facilitare il

reperimento dei file, ma di produrli e immetterli nella circolazione P2P, appare

                                                            

80 Http://e.emulelinks.org/emulelinks/viewtopic.php?f=4&t=55.

Page 270: TESI COMPLETA

6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

259 

evidente oltre che dal primo dei due articoli, che garantisce l’esclusività

dell’appartenza alla community e delle sue produzioni, dalla proibizione fissata

nel quinto a inserire link ad altri siti, forum o newsgroup. Solo attraverso una

valutazione caso per caso sono infatti pubblicabili i link a contenuti esterni che

devono comunque essere anonimi e immuni dalla presenza di virus.

Come segnalato da Cooper ed Harrison, lo spirito agonistico dei gruppi di

utenti dediti all’arricchimento delle reti P2P e la «friendly competition» per le

migliori performance si confermano quindi come i principi d’azione di collettivi

come eMulelinks, nei quali la circolazione del prestigio, tanto del singolo cracker

che della sua comunità, attesta la presenza a pieno titolo delle dinamiche del

dono. Donare qualcosa ha infatti senso se introduce novità nella relazione e se

arricchisce il destinatario dell’omaggio di qualcosa che non possedeva. È per

questo che la particolare gerarchia tra gruppi di produttori di release si lega alla

capacità di realizzare nuove copie e di distribuirle il più velocemente possibile:

Duplicating release that another group has already released is considered extremely “lame” and push the group’s status downward very quickly. A weekly scene report ranks groups by amount the data they disseminate on popular IRC channels and to the largest sites in the world81.

Queste dinamiche, studiate tra i primi dai due studiosi, non sembrano

quindi presentare variazioni significative rispetto al loro significato originario, ed

evidenziano la persistente identità delle pratiche peer-to-peer lungo le

trasformazioni dei protocolli tecnici. Il retroscena generativo delle piattaforme

globali di file sharing resta infatti organizzato come una galassia di comunità di

pratica, nelle quali gli utenti si aggregano intorno alla condivisione

dell’informazione e si distinguono per il contributo fornito all’arricchimento di

beni e saperi della più vasta collettività di sharer. È il collegamento tra queste

comunità di produttori e l’enorme bacino di utenti delle reti di condivisione a

creare le sinergie vincenti del file sharing, nelle quali l’attività dei collettivi

motivati dal prestigio incrocia le masse anonime di utilizzatori finali

numericamente impossibili da controllare.

Le difficoltà intepretative delle pratiche peer-to-peer sembrano perciò

generate proprio nell’incontro delle logiche microfisiche di gruppi come

eMulelinks e quelle delle reti globali di utenti isolati e dispersi, codificate nella

                                                            

81 J. COOPER, D. M. HARRISON. “The social organization of audio piracy on the Internet”, cit., p. 85.

Page 271: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

260

solidarietà tecnica dell’infrastruttura digitale. La loro distanza, teoricamente

infinita, è invece percorribile, come suggerisce il messaggio lanciato da

Mammadou du 93 a «un amis gaulois qui trouvera ce fichier»:

Merci de ne pas supprimer ce fichier pour garder une trace de mon travail parce que c’est ça le partage. Réalisation : Mammadou ( oui, des immigrés qui habitent dans le 93, qui ne volent pas, qui maitrisent le Français et l’anglais et plus, ça existe, je vous le jure). A toi mon ami Gaulois, prends ce fichier de sous-titres et sois moins méchant, la prochaine fois un Mammadou c’est peut être moi :) Ci-joints les sous-titres en Français sous différents formats, du film "fahrenheit 9/11" de Michael Moore. Il s’agit d’une version plus longue que celle au cinéma82.

Questo giovane di Saint Denis teorizza infatti, non solo il consumo comune

come un dono che crea un legame di solidarietà tra il produttore e il beneficiario

di una copia sottotitolata di Fahrenheit 9/11, ma anche il possibile superamento

di barriere etniche e sociali attraverso una comunicazione elettronica

riaggregata localmente dalla mediazione linguistica. Ciò accade, come nota

Lorence Allard, perché l’omologia tra il funzionamento dei dispositivi e le logiche

d’uso che regola la solidarietà tecnica digitale fa si che gli stessi oggetti

scambiati non siano ormai più delle copie di beni commerciali, ma degli «objets

filmiques» resi unici dalla loro ricezione, ovvero dei «films parlés»83, attraverso i

quali i produttori di release estendono le reti di solidarietà oltre gli immediati

confini comunitari.

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Questi aspetti sono però assenti dal dibattito regolativo, che spicca invece

per una significativa sopravvalutazione della dimensione tecnica ed economica

del file sharing. Si è già osservato infatti come, mentre gli ingegneri puntano

l’attenzione sulle problematiche dell’end-to-end e dell’apertura dei dispositivi

digitali, i giuristi si focalizzino soprattutto sulle cause economiche del successo

del peer-to-peer, dando vita a una letteratura che tende a interpretare queste

pratiche come l’effetto di condizioni tecnologiche reversibili, sfruttate dai

                                                            

82 L. ALLARD. "Express yourself 2.0 ! Blogs, podcasts, fansubbing, mashups... : de quelques agrégats technoculturels à l’âge de l’expressivisme généralisé", cit. 83 Ibidem.

Page 272: TESI COMPLETA

6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

261 

newcomers dell’imprenditoria informatica ai danni dei laters della produzione

audiovisiva.

In questo contesto, gli usi e le attività degli utenti rivestono perciò un

interesse marginale, in quanto immediatamente trasparenti sia ad una

razionalità tecnica che li interpreta secondo una causalità deterministica, sia a

una razionalità economica che li vede come l’espressione di un interesse

individuale per il low cost che una parte del mercato si incarica di soddisfare. Ci

si concentra, di conseguenza, sulla rimozione delle condizioni tecnologiche

abilitanti il file sharing e su politiche di contrasto e disincentivazione

dell’economia parassitaria generata dalle tecnologie, tralasciando i cambiamenti

macroscopici che spingono la distribuzione informale dei beni digitali dal

dominio puramente economico a quello più complesso della circolazione di

informazione, di ricchezza e di costruzione del legame sociale84.

Fa eccezione, oltre all’ultimo libro di Benkler, lo studio di Biddle e dei suoi

colleghi del gruppo Microsoft, nel quale proprio gli interrogativi schiettamente

tecnici sull’efficienza delle misure di controllo suggeriscono agli ingegneri che le

reti illegali rappresentano la codifica informatica di un nucleo elementare di

relazioni comunicative, aggregate intorno allo scambio di oggetti. Come

mostrano questi studiosi, al di là della sua struttura tecnica, il peer-to-peer

coincide infatti con un livello basilare di scambio sociale, al quale la disponibilità

di tecnologie concepite per superare la scarsità delle risorse e funzionare come

ambienti di comunicazione per la ricerca di soluzioni a problemi comuni, ha

fornito i mezzi per oltrepassare la dimensione delle reti di amici. L’intervento di

Biddle, England, Peinado e Willman può quindi essere considerato come un

tentativo, rimasto isolato nel dibattito tecnologico, di riflettere in termini non

deterministici sulle conseguenze della diffusione di potenti strumenti di

comunicazione al servizio di molteplici interessi degli utenti.

Si tratta, a nostro avviso, di un aspetto decisivo, perché è in virtù di questo

approccio che l’ipotesi degli ingegneri riesce a spiegare il legame tra la

circolazione del dono nelle comunità virtuali e le dinamiche impersonali delle reti

di condivisione e, in generale, le ragioni della diffusione del file sharing. Basato

su nuclei attivi che operano come economie del dono, il peer-to-peer si afferma

infatti perché porta la condivisione di oggetti oltre i limiti comunitari, come

                                                            

84 W. URICCHIO. “Cultural Citizenship in the Age of P2P Network”, cit., p. 139.

Page 273: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

262

mostra la distribuzione delle release su eMule o su altre piattaforme anonime

dove le produzioni dei collettivi possono essere scaricate da chiunque. La logica

del dono è così trasferita a reti globali nelle quali l’informazione digitalizzata

circola, grazie alle sue caratteristiche di bene abbondante, in modo non diverso

da quello di altri beni essenziali distribuiti dai servizi pubblici. In questo

passaggio, le economie collaborative dei produttori di release intercettano il

piano dell’appropriazione anomica dei free riders, per molti dei quali il peer-to-

peer consiste nella sperimentazione delle possibilità di un ambiente tecnologico

progettato per eludere il controllo, al di fuori di norme, valori e relazioni sociali

non riconducibili alla solidarietà tecnica delle reti.

Konstantina Zerva ha evidenziato la conseguenza più importante di questa

saldatura, facendo notare che, nel momento in cui la musica comincia ad

essere utilizzata come un bene pubblico liberamente accessibile, si apre uno

scenario regolativo inedito, nel quale i detentori di copyright devono confrontarsi

con la naturalizzazione di un’appropriazione senza obbligo di corrispettivo85. In

questo modo, invece di costituire un problema per i network peer-to-peer, come

ipotizzato dagli Huberman e da Goldsmith e Wu, il free riding di massa si rivela

critico per l’industria dei contenuti, non solo perché aumentando il numero dei

partecipanti rende la condivisione incontrollabile, ma soprattutto perché la

concretezza e l’efficienza della distribuzione pirata promuove l’identificazione di

internet con la gratuità senza passare per una riattivazione esplicita dei temi

chiave della cultura digitale, incentivando una produzione di anomia che nutre la

disgregazione dell’economia di scambio nell’ambiente di rete.

Il file sharing non coincide quindi totalmente con le economie collaborative

– in questo senso, la sua identificazione con l’economia del dono può essere

proposta solo tenendo presente la sua articolazione -, ma rappresenta il punto

di incontro delle tecnologie dei creatori e degli early adopters con

l’appropriazione anomica di beni digitali e la disgregazione delle relazioni

economiche preesistenti incentrate sull’acquisto. È su questo terreno che le reti

peer-to-peer mettono in contatto la dichiarata ostilità dei pionieri di internet                                                             

85 K. ZERVA. "File-Sharing versus Gift-Giving: A Theoretical Approach", cit., p. 18: «It is believed and supported that the ordinary character of mp3 formats and its daily and impersonal circulation on the Internet is identified more with the properties of the public good and more specifically a ‘socially redistributed public good’, which is music digitalized, redistributed and consumed by the public. Future research should examine closely the transformation of music into a public good, especially as it legally takes place within the context of public libraries which allow the borrowing of original albums for personal listening at no financial cost».

Page 274: TESI COMPLETA

6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

263 

verso le pratiche commerciali, con le esigenze di un vasto pubblico spesso non

consapevole delle radici e degli effetti culturali dei propri consumi e costumi

digitali.

La comprensione di questo intreccio diviene più chiara prestando

attenzione alla descrizione offerta da Henry Jenkins delle modalità attraverso

cui utenti e consumatori hanno messo a punto le strategie d’uso delle reti più

rispondenti ai loro interessi:

The rise of digital networks is facilitating new forms of "collective intelligence" which are allowing groups of consumers to identify and pursue common interests […]. A participatory culture is a culture with relatively low barriers to artistic expression and civic engagement, strong support for creating and sharing one's creations, and some type of informal mentorship whereby what is known by the most experienced is passed along to novices. A participatory culture is also one in which members believe their contributions matter, and feel some degree of social connection with one another [...] what I am calling participatory culture might best be understood in relation to ideas about the "gift economy"[…]86.

Seguendo Jenkins, i sistemi peer-to-peer sono dunque pensabili come

concretizzazioni particolari di un’economia del dono digitale che sperimenta,

attraverso dinamiche di intelligenza collettiva, soluzioni di accesso ai beni

informazionali, costantemente adattate alle sfide ambientali.

Se si confronta questa ipotesi con l’evoluzione del P2P descritta nel quinto

capitolo, vediamo che le logiche del dono e dell’intelligenza collettiva spiegano

in effetti molte delle peculiarità e della storia delle reti di condivisione.

L’introduzione degli automatismi finalizzati a massimizzare la propensione alla

condivisione, è un chiaro esempio di come la rimozione degli ostacoli alla

cooperazione e la cancellazione della differenza tra uploader e downloader,

abbiano risposto adattivamente a una precisa domanda di efficienza e sicurezza

delle reti. L’intreccio tra dinamiche di intelligenza collettiva e pratiche di dono si

osserva poi, in modo ancora più evidente, nella progettazione cooperativa dei

primi protocolli di file sharing, le cui tecnologie, accessibili in codice aperto,

hanno alimentato un circuito di innovazione che ha reso quasi indistinguibili le

fasi di progresso tecnologico dei software e inadeguata una rappresentazione

lineare del loro sviluppo.

Si è notato, in proposito, come il conflitto tra il peer-to-peer e la circolazione

                                                            

86 H. JENKINS. “Critical Information Studies For a Participatory Culture (Part One)”, cit..

Page 275: TESI COMPLETA

III. Il file sharing e le logiche dei network  

 

264

commerciale dei beni digitali abbia giocato un ruolo non secondario in questa

evoluzione, spingendo le piattaforme illegali a rispondere al controllo per linee di

fuga, rendendo mobili e transitorie le configurazioni dei modelli di

comunicazione adottati dalle tecnologie. Sarebbe però riduttivo limitarsi ad

osservare gli aspetti di sottrazione e aggiramento della sorveglianza attivati dai

network, Lessig e Boyle hanno infatti mostrato persuasivamente come sul

campo di battaglia del copyright si combatta ormai uno scontro sull’apertura o

chiusura dei sistemi tecnologici che si impone alle società contemporanee come

un problema strutturale concernente la gestione e l’accessibilità

dell’informazione. Proprio in virtù di queste implicazioni, come si è visto, il

dibattito sulla proprietà intellettuale tende oggi a passare dal discorso

economico e delle problematiche di internet alla riflessione giuridica sulla natura

della legge nelle società di controllo.

Si fa strada un nuovo approccio che vede nel file sharing non soltanto la

resistenza dei network al declino del diritto, ma il rovesciamento del

parassitismo industriale del Web 2.0 e una delle pratiche legate all’emergenza

di una nuova cittadinanza digitale:

As consumers and citizens have taken media into their own hands, they are becoming more aware of the economic and legal mechanisms which might blunt their cultural influence and are defining strategies for using these new platforms in ways that promote their own interests rather than necessarily those of their corporate owners. In this new context, participation is not the same thing as resistance nor is it simply an alternative form of co-optation; rather, struggles occur in, around, and through participation which have no predetermined outcomes87.  

                                                            

87 Ivi.

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6. Per un’antropologia del peer-to-peer

 

 

265 

Page 277: TESI COMPLETA

 

 

266

CONCLUSIONI

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Conclusioni  

 

 

267 

Page 279: TESI COMPLETA

Conclusioni  

 

268

Per la prima volta nella storia, la mente umana è una diretta forza produttiva, non soltanto un elemento determinante del sistema produttivo.

M.Castells1

La scelta di esaminare nello stesso lavoro di ricerca le problematiche

regolative e la morfologia sociale del file sharing, ha comportato la necessità di

tenere insieme un ampio materiale bibliografico che sarebbe impossibile tentare

di ricondurre a un’unità sistematica. Uno dei risultati dello studio dedicato alla

cyberlaw e ai dibattiti tecnologici è stato infatti proprio quello di illuminare il

deficit di sapere biopolitico di questi teorici intorno al fenomeno indicato come il

principale generatore di tensioni distruttive di internet e della governance

classica dell’innovazione.

Nonostante abbia elaborato una griglia concettuale insostituibile per

pensare il cyberspazio e i suoi cambiamenti, la giurisprudenza americana non

ha dunque letto in modo organico il nesso tra le condizioni tecnologiche poste

dalle reti e dalla digitalizzazione e le dinamiche che legano inestricabilmente la

produzione contemporanea di innovazione, di ricchezza e di legame sociale. Il

principale tentativo prodotto in questa direzione, contenuto nelle oltre

cinquecento pagine di The Wealth of the Networks, esplora infatti

magistralmente queste relazioni ma, pur fornendo linee di lettura del file sharing

ed evidenziando come le pratiche di condivisione siano parte di un’economia

dei network sul cui terreno l’innovazione tecnologica tiene insieme

produttivamente piano economico e piano sociale2, fa mancare una ricognizione

precisa proprio di questo fenomeno, considerato come il principale limite al

funzionamento dell’economia informazionale di rete.

La reticenza dei giuristi a portare l’analisi sul file sharing si comprende,

d’altra parte, alla luce dello scontro fondamentale tra la distribuzione extra-

commerciale dell’informazione e l’interesse industriale a preservarne la scarsità,

al quale l’esistenza di modelli d’affari capaci di intercettare la ricchezza delle reti

e di ricondurla a processi di valorizzazione controllati dalle imprese non offre

                                                            

1 M. CASTELLS. La nascita della società in rete, trad. cit., p. 33. 2 Il concetto è ben espresso da David Bollier: «Thanks to the Internet, the commons is now a distinct sector of economic production and social experience. It is a source of “value creation” that both complements and competes with markets. It is an arena of social association, self-governance, and collective provisioning that is responsive and trustworthy in ways that government often is not. In a sense, the commons sector is a recapitulation of civil society, as described by Alexis de Tocqueville, but with different capacities». D. BOLLIER. Viral Spiral. How the Commoners Built a Digital Republic of Their Own, The New Press: New York, London, 2008, p. 295.

Page 280: TESI COMPLETA

Conclusioni  

 

 

269 

soluzioni. L’indicazione data da O’Reilly nel quadro del dibattito sul Web 2.0,

secondo cui il percorso per la definitiva archiviazione della crisi della new

economy consiste nella capacità dell’industria «to harness the collective

intelligence [and circulate] user-generated content from their consumers»3, ha

infatti avuto seguito e concreta applicazione – non senza significative resistenze

da parte degli utenti -4 nei contesti produttivi pronti a praticare strategie di

profitto basate sulle architetture di partecipazione, ma non presso un’industria

dei contenuti che non intende rinunciare a controllare la redditività dei propri

investimenti assumendo il rischio di un business guidato dai consumatori. Per

questo importante settore della produzione americana, la distruzione creatrice

invocata dalla cyberlaw si traduce infatti, come chiaramente indicato da

Liebowitz, in una prognosi di just plain destruction.

Non sembra quindi prematuro formulare un giudizio di insuccesso del

progetto cyberlaw di guidare la transizione ad un nuovo modello economico

attraverso gli strumenti tradizionali di governo dell’innovazione. Malgrado la

complessità dell’impianto categoriale concepito da Lessig e dai principali autori

della sua scuola, le proposte giuridiche uscite da questo dibattito non sono

infatti riuscite a diventare un insieme convincente di strumenti di lettura dei

cambiamenti economici e di controllo degli aspetti distruttivi delle reti, in grado di

assicurare un passaggio non traumatico alla nuova configurazione economica

(hybrid economy, networked information economy) e di rappresentare il

riferimento privilegiato per la produzione di norme in questo campo5.

In ciò consiste, in effetti, la critica di Zittrain, l’autore che più di ogni altro ha

pensato la cyberlaw come il laboratorio concettuale di una proposta regolativa

che parlasse all’internet presente senza comprometterne il futuro. Il professore                                                             

3 T. O’REILLY. “What is Web 2.0”, cit.. 4 H. JENKINS. “Critical Information Studies For a Participatory Culture (Part One)”, cit.. 5 In rapporto al ruolo di Lessig nel dibattito attuale, il quadro delineato nella tesi è integrato dalla cronaca recente, nella quale la crisi dell’influenza del giurista ha assunto la forma di una rinuncia personale a proseguire lungo la strada della critica al copyright e della difesa dell’architettura di internet. La pubblicazione di Remix, a metà 2008, è stata presentata come la tappa conclusiva del ciclo dedicato a questi temi; in dicembre, il Wall Street Journal ha polemizzato apertamente con il professore, mettendo in rilievo le incongruenze tra alcune sue recenti dichiarazioni in materia di neutralità e il testo dell’audizione al Congresso del 2006, insinuando che la sua opinione in argomento sarebbe cambiata senza esplicita segnalazione (J. V. KUMAR, C. RHOADS. “Google Wants Its Fast Track on the Web”, cit..), infine, all’inizio del nuovo anno, è arrivato l’annuncio dell’abbandono della cattedra di Stanford per quella di Harvard (dalla quale peraltro era iniziata la sua carriera accademica) dove da giugno lo studioso si occupa di etica della politica nel quadro del programma di ricerca del Berkman Center. Alla presidenza di Creative Commons è stato sostituito da James Boyle.

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Conclusioni  

 

270

di Harvard ha infatti tentato di superare l’impasse lessighiana, incontrando le

esigenze di controllo degli attori di mercato attraverso la legittimazione del

copyright tecnologico e una lettura esclusivamente tecnica del principale criterio

ordinatore del cyberspazio, l’end-to-end. In questo modo, mentre Lessig non è

riuscito a portare fino in fondo il tentativo di attraversamento della

riorganizzazione economica centrata sulle reti, Zittrain ha tentato di farlo

concedendo alle strutture irrigidite del precedente sistema di accumulazione di

tornare alla guida dell’innovazione. Il problema cyberlaw per eccellenza della

conciliazione tra controllo e innovazione, ha così spostato la sua aporetica dal

primo al secondo elemento.

Il sincretismo di elementi contraddittori in cui consiste la proposta

dell’autore di The Generative Internet, tiene infatti insieme una teoria

lessighiana dell’innovazione che individua il motore generativo di internet nella

produzione continua di novità a partire dai margini (edge), e l’introduzione di

dispositivi intelligenti nella griglia internet/pc che riduce concretamente questo

potenziale d’azione. Allo stesso tempo, mentre si sposta pericolosamente sul

terreno della riconfigurazione delle condizioni di produzione della ricchezza

digitale, la legittimazione zittrainiana del trusted system rischia di imbattersi

nelle stesse difficoltà già incontrate dai sistemi DRM e di incentivare la

diffusione e il perfezionamento degli strumenti di elusione, invece di ridurne gli

effetti. Le attuali tecniche di anonimizzazione e offuscamento del traffico dati

(VPN) sono, infatti, già in grado di sottrarre i flussi informativi al controllo dei

filtri. Al compromesso sul piano dell’innovazione corrisponde quindi l’incertezza

su quello dell’efficacia dei provvedimenti, e si tratta di un’incertezza che, come

giustamente vede Zittrain, non può non alimentare l’escalation del controllo,

cioè proprio il quadro della postdiluvian Internet indicato dal giurista come

l’orizzonte di una catastrofe incombente sull’internet.

L’intera problematica cyberlaw è dunque contenuta nella difficoltà di

intravedere nella pirateria informatica lo sbocco naturale di condizioni

tecnologiche e culturali che sono tutt’uno con il potenziale produttivo e

innovativo di internet e nell’impossibilità di indicare le modalità attraverso cui

questa fenomenologia spontanea del cyberspazio può essere amministrata

secondo le esigenze di utilizzo commerciale della rete.

Se a questo limite fondamentale si accosta la critica rivolta da Teubner agli

aspetti più pregnanti del programma lessighiano e, in particolare, alla difesa del

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Conclusioni  

 

 

271 

design originario di internet, si nota inoltre come si addebiti a Lessig la

costruzione di una teoria regolativa che si vuole emancipatrice ma è orientata a

governare la rete senza la capacità di promuoverla in sede politica come nuovo

spazio pubblico. Il giurista tedesco denuncia infatti come, nonostante

l’importanza dei network digitali nella creazione contemporanea di ricchezza e

di cultura, la produzione locale e internazionale di norme non registri la

formazione di una nuova cittadinanza, restando cieca di fronte ai processi di

organizzazione sociale dell’ambiente informazionale. La battaglia lessighiana a

favore delle architetture è quindi vista dallo studioso come una strategia

meramente difensiva, incapace di indicare nel riconoscimento politico di

sottosistemi differenziati e autonomi la via maestra della difesa delle libertà civili

nelle condizioni contemporanee.

Il confronto aperto da Teubner con la cyberlaw contribuisce così a chiarire

le differenze tra due risposte alternative alla contrazione degli spazi di

negoziazione degli interessi nel cyberspazio. Lessig infatti illumina, in linea con

la prognosi storica di Lyotard, l’emergere di un tipo di società dove la libertà

passa più dalla trasparenza e dall’apertura dei sistemi tecnologici che dalle

retoriche e dalle codificazioni formali basate sull’emancipazione, laddove

Teubner intende contrastare l’involuzione democratica della Network Society

attraverso l’istituzione di procedure esterne di controllo sui processi globali di

digitalizzazione e privatizzazione della ricchezza digitale e il riconoscimento

costituzionale del diritto di accesso all’informazione dei cittadini della rete.

I temi sollevati da questo dibattito suggeriscono dunque che il file sharing

dovrebbe essere studiato all’interno delle problematiche connesse con la

formazione di una cittadinanza digitale, piuttosto che in quadri interpretativi che

si limitano ad esaminare le problematiche aperte da una forma deviata di

consumo. La ragione è stata indicata con molta chiarezza da William Uricchio, il

quale ha sottolineato come i peer-to-peer network siano parte di una svolta

partecipativa della cultura contemporanea, nel cui contesto non soltanto gli

utenti generano i contenuti sovvertendo le gerarchie stabilite di valore e autorità,

ma nella quale si ridefinisce completamente «il modo attraverso cui interagiamo

con certi testi culturali, quello attraverso cui le comunità collaborative prendono

forma ed operano e il modo in cui concepiamo i nostri diritti e doveri di cittadini

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Conclusioni  

 

272

in rapporto alla sfera politica, economica e culturale»6.

Ciò su cui Uricchio mette l’accento è dunque, a nostro avviso, proprio il

cortocircuito digitale tra sfera politica, economica e culturale al quale la cyberlaw

ha cercato senza successo di trovare una sistemazione democratica,

arrestandosi di fronte alla crisi degli strumenti normativi attraverso cui i sistemi

liberali hanno tradizionalmente mediato le relazioni tra questi piani. Proprio per

questo il bilancio teorico di un decennio di studi non può non riconoscere a

Lessig di aver compreso che la critica del copyright e la difesa dell’architettura

di internet rappresentavano la battaglia principale di un diritto costituzionale

impegnato a rendere concreto l’esercizio delle libertà fondamentali. Di qui

l’importanza del contributo offerto da questa scuola alla formazione di un piano

di analisi interessato agli aspetti del file sharing che pure lascia in ombra, il cui

esame attraversa, come si è visto, il dominio della riflessione antropologica non

meno che quello dei conflitti sociali e dello studio dei sistemi giuridici. La via

aperta da Lessig non potrà dunque essere proseguita che dalla teoria sociale.

                                                            

6 W. URICCHIO. “Cultural Citizenship in the Age of P2P Network”, cit., p. 139: «we interact with certain cultural texts, to how collaborative communities take form and operate, to how we understand our rights and obligations as citizens – wheter in the political, economic, or cultural sphere».

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Gli indirizzi dell’editore Sage http://xyz.sagepub.com, accedono all’abstract dell’articolo, il cui testo integrale è scaricabile previo abbonamento. Ogni volta che gli articoli sono stati ripubblicati gratuitamente da altri siti, l’indirizzo internet citato indica la seconda fonte.

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