Tesi cnv caregiving siaf

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Accreditata dalla S.I.A.F. (SC-58/10) per l'iscrizione nei registri di certificazione Professionale di Operatore Olistico Tesi in LA DANZA GIRAFFA COME PRATICA DI VITA E DI BENESSERE PER IL CAREGIVER FAMILIARE Presentata da: Relatore: Valeria Pruzzi Catherine Le Gallais 2 Ottobre 2015

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Accreditata dalla S.I.A.F. (SC-58/10)

per l'iscrizione nei registri di certificazione

Professionale di Operatore Olistico

Tesi in

LA DANZA GIRAFFA COME PRATICA DI VITA E DI

BENESSERE PER IL CAREGIVER FAMILIARE

Presentata da: Relatore: Valeria Pruzzi Catherine Le Gallais

2 Ottobre 2015

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INDICE INTRODUZIONE pag. 3

1. IL CARE FAMILIARE pag. 5

Prendersi cura: definizione pag. 5

Il caregiver come attore di relazioni familiari che cambiano pag. 8

Il care familiare con pazienti affetti da demenza pag. 11

Le parole per dirlo… storie social e vocabolario dell’ambivalenza pag. 13

2. RISCHI DEL CAREGIVING FAMILIARE; BURNOUT, SENSI DI COLPA

ED IL CIRCOLO VIZIOSO DELLA DOPPIA VULNERABILITÀ pag. 16

Caregiving burden; indicatori di qualità di vita per un caregiver

familiare pag. 16

Rischi del burnout sulle dinamiche famigliari e sulla qualità

dell’assistenza pag. 18

Il senso di colpa nel caregiving; tenuta ad oltranza del legame

familiare e tunnel della doppia/tripla lealtà pag. 20

3. LA CNV ED IL LINGUAGGIO GIRAFFA COME PRATICA DI VITA

E DI BENESSERE PER IL CAREGIVER FAMILIARE.

AUTOEMPATIA ED EMPATIA pag. 23

Accogliere la propria vulnerabilità per aprire le porte

alle connessioni; la CNV come modello di intervento pag. 23

La danza giraffa come pratica di benessere per sé e per il

familiare assistito; darsi empatia e dare empatia al proprio caro pag. 28

Una famiglia in noi: fare pace “dentro” con l’I.F.S. Model

(Internal Family System) pag. 32

CNV e superamento dei sensi di colpa per una progettualità vitale pag. 33

4. PERCORSI CONDIVISI DI EMPOWERMENT E RESILIENZA.

GRUPPI DI MUTUO-AIUTO CNV IN PRESENZA E VIRTUALI pag. 36

Dinamiche dell’automutuo aiuto tradizionale e social pag. 36

Manuale pratico per l’attivazione e la facilitazione di gruppi

di mutuo aiuto caregivers basati sulla CNV pag. 38

Schede operative pag. 40

5. CONCLUSIONI pag. 48

6. BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA pag. 50

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2

A mia madre e a mio padre che senza volerlo mi hanno accompagnato

sulla strada della consapevolezza, a mio marito e ai miei figli, attori

benevolenti di questo cammino.

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3

INTRODUZIONE

“Avevo passato una giornata faticosa tra lavoro, figli e pulizie di casa. Dopo cena, la badante mi ha chiamato…. Ho lasciato la tavola apparecchiata e sono andata di corsa a dare altri calmanti a mio padre in preda alla sua agitazione serale. Mia madre testarda non spezzava bene la pastiglia ma non voleva

far fare alla badante… accettava questa “perdita di ruolo” solo se lo facevo io... Sono tornata a casa alle 23 e i miei figli già dormivano…Mi sentivo impotente, triste e stanca… Quella notte ho detto a mio marito che lo invidiavo perché i suoi genitori erano morti ed erano in un luogo in cui stavano bene. Poi ho pensato che sarei stata punita per questo e ho pianto con la faccia nel cuscino”. Una caregiver figlia

Questo lavoro nasce da un’esperienza personale, quella che ho vissuto

accanto a mia madre, che ha accudito e sta accudendo mio padre

affetto da decadimento cognitivo.

L’esperienza emozionale è stata ed è intensa, così intensa da avermi

condotto al percorso formativo come Operatore Olistico presso il Centro

Esserci di Reggio Emilia il cui termine - o il cui inizio - è rappresentato

da questa tesi.

Mi sono domandata più volte come poter alleviare il peso avvertito da

mia madre ed il mio non solo per noi stesse ma soprattutto per essere

delle consapevoli e “sufficientemente buone” caregivers per mio padre.

Ho intuito che la CNV avrebbe potuto renderci la vita più bella. Così è

stato e per questo desidero raccontarlo.

Io mi ritengo una caregiver di 2° livello, perché non vivo con mio padre,

ma accompagno mia madre in questo percorso e spesso penso che, a 7

anni dalla diagnosi, la persona più fragile sia lei.

Non tutto può essere compreso dal di fuori, ma chi ha solo

lontanamente sfiorato una demenza senile od un Alzheimer intuisce

tutto il peso di un percorso familiare che inizia silenzioso e silenzioso

procede fino a quando, un giorno o una notte, guardi il tuo caro, ti

domandi cosa stia accadendo, se ce la farai ad andare avanti e come.

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4

Pur ammettendo, data la complessità del problema, una certa

impotenza nei confronti di un obiettivo quale la formulazione di metodi

di “caregiving” familiare ad impatto emotivo e fisico 0, la CNV mi fa

credere che possa esistere un “modo migliore” per aiutare chi si prende

cura ad affrontare un’assistenza consapevole e rispettosa sia del malato

che di sé stessi.

Un affiancamento ed un sostegno a tutti i familiari con caratteristiche di

particolare fragilità (sovente il caregiver è anziano o è solo o vive una

vita in bilico tra due famiglie, quella di origine e quella nuova) e non,

possono essere un ottimo strumento di “caregiving-life balance”.

La CNV, se integrata nel faticoso cammino di chi si prende cura della

fragilità altrui, ha a mio parere una grande potenzialità perché

rappresenta il territorio della connessione, della comprensione e del

rispetto dei reciproci bisogni.

Questo lavoro ha dunque lo scopo di affrontare il tema del care nella

sua dimensione informale/familiare con una particolare attenzione al

legame di cura rivolto al familiare, molto spesso anziano, colpito da

decadimento cognitivo. L’attenzione sarà dunque posta in quel delicato

e vischioso territorio nel quale l’intreccio tra malattia, legame affettivo,

cambiamento e aspettative disattese, scatena fenomeni di cortocircuito

relazionale; l’ambizione è quella di fornire spunti di riflessione per la

progettazione di percorsi di cura di sé, di empowerment ed

armonicamente di benessere per il proprio caro.

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5

CAP. 1

IL CARE FAMILIARE

Prendersi cura: definizione

Ogni essere umano fin dalla nascita sperimenta la necessità di cure sia

nella sua dimensione fisica che in quella psichica.

La cura, data e ricevuta, intesa come interessamento solerte all’altro e

ai suoi bisogni, ha dunque a che vedere con il genere umano e con la

sua esistenza in un setting relazionale nel quale esercitare pensiero,

linguaggio, emozionalità.

Il care familiare informale su cui questo lavoro intende focalizzarsi ha a

che vedere con quella dimensione della relazione di interessamento e

aiuto che si sviluppa all’interno del nucleo famiglia quando interviene

per uno dei componenti un fattore di sofferenza accolto e gestito nella

famiglia stessa seppur in affiancamento a personale sanitario.

L’attenzione inoltre sarà diretta sulle criticità del caring pur ricordando

quanto il caring stesso risponda ad un’esigenza non solo etica e

compassionevole ma anche nutriente, di presa in carico affettuosa delle

sofferenze di un familiare.

Per una comprensione piena del fenomeno è importante in primo luogo

rifarsi alla distinzione tra curare e prendersi cura, azioni nelle quali, pur

coesistendo la centratura sul malato, differenti sono gli obiettivi

dell’agire stesso e la nuance emotiva sullo sfondo.

La parola cura ed il verbo curare (in inglese to cure) si riferiscono alla

rimozione della causa di un disturbo o di una malattia e ci collegano a

pieno titolo a quel complesso di interventi terapeutici professionali,

operati da personale medico, paramedico e socio assistenziale (OSS,

ASA), che hanno come scopo il ripristino dello stato di salute precedente

l’insorgere della patologia od il mantenimento di uno stato di benessere

compatibile con la vita.

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6

Prendersi cura (in inglese to care) è invece un’espressione che, pur non

escludendo preparazione e competenza professionale, indica assistenza

fisico/sociale e coinvolgimento empatico, compassionevole (cum patire,

ovvero patire con), premuroso e incoraggiante verso chi è portatore di

sofferenza.

Se dunque nel processo curativo to cure focalizzato sul “far stare

meglio” tramite l’utilizzo di mezzi terapeutici, l’accezione centrale della

cura è quella dell’occuparsi1 pratico della persona sofferente o debole

anche senza un coinvolgimento soggettivo (curare come insieme di

azioni e mansioni), nel processo curativo to care l’accezione centrale è

quella del preoccuparsi amorevole, accezione intesa come spinta a

prendere a cuore il ben-esistere olistico dell’altro. In tal senso l’altro

entra nel mondo di chi cura sia sul piano del pensiero e dell’operatività

(problem solving di cura) sia sul piano emotivo per l’evidente

coinvolgimento affettivo.

Nell’organizzazione assistenziale italiana i titolari dell’azione del

“prendersi cura” familiare informale hanno una valenza sociale e di

welfare strategica.

L’invecchiamento della popolazione, l’aumento dell’aspettativa di vita di

chi è affetto da malattie croniche e degenerative per effetto dei

progressi della scienza, il pesante taglio alle spese sanitarie e la

diminuzione generalizzata dei giorni di ospedalizzazione, hanno

drasticamente aumentato il long-term care all’interno delle famiglie.

In Italia, più che in altri paesi europei, in assenza di un welfare

adeguato e coerente rispetto ai bisogni evidenziati, la delega

dell’assistenza alle famiglie diventa dunque ricorrente seppur non

omogenea nei diversi contesti regionali. I numeri del fenomeno nel

nostro paese sono indicativi; la percentuale di persone con disabilità

non coperte da cure istituzionali o da assistenza domiciliare risulta

1 Maria Teresa Partelli, I verbi della cura - Ripensare la cura attraverso la voce degli operatori - Facoltà di

medicina e Chirurgia degli Università degli Sudi di Parma, Facoltà di Infermieristica - a.a 2005/2006.

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7

essere la più alta d’Europa e ciò spiegherebbe la presenza di circa 4

milioni di familiari che per scelta o costrizione (reddito non sufficiente

per ricovero in strutture o per avere un aiuto formale) si occupano a

tempo pieno di persone in condizioni di non autosufficienza2.

L’assenza di un’adeguata protezione sociale per questa fetta di

popolazione penalizzata per il mancato guadagno (spesso chi si occupa

di assistenza deve lasciare il lavoro), per l’isolamento e per le

ripercussioni sullo stato di salute, è divenuta talmente grave da essere

proposta come oggetto di un’interrogazione parlamentare europea da

parte del Coordinamento nazionale dei famigliari di disabili gravi e

gravissimi. Presentata il 6 gennaio del 2015, ha dato adito ad una

risposta3, pervenuta nello scorso maggio, che non ha che confermato

una cornice di riferimento comunitaria cui l’Italia sta faticosamente

cercando di armonizzarsi (esemplare in senso positivo la deliberazione

legislativa della Regione Emilia Romagna n. 87 del 25/03/2014 “Norme

per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare”)4.

La lingua italiana non contempla un sostantivo che definisca chi nel suo

quotidiano si prende cura di un familiare.

Per questo motivo il titolare del labour of care familiare viene ormai

comunemente definito anche in Italia, e dunque anche in questo lavoro,

caregiver prendendo a prestito il sostantivo dal contesto linguistico

anglosassone.

2 Dati ricavati dall’interrogazione parlamentare di cui alla nota 3. Rispetto ai malati di Alzheimer l’indagine

Censis-AIMA, 1999 e 2006 il documento di sintesi riporta dati attestanti il fatto che i caregivers sono

soprattutto parenti di genere femminile (76,6% contro il 23,4% di uomini). Sarebbero le mogli ad occuparsi

dei pazienti uomini, mentre sarebbero le figlie a seguire le madri malate.

3 Interrogazione al Parlamento Europeo presentata il 6 gennaio 2015. La risposta di Marianne Thyssen

formulata nel maggio dello stesso anno, ha richiamato il governo italiano e gli stati membri a prestare

assistenza a lungo termine e riconoscere l'operato di chi svolge tale attività in ambito familiare. Fornendo

informazioni comparative e indicazioni strategiche la Commissione sostiene gli Stati membri nei loro sforzi

affinché possano realizzare tali obiettivi. La Relazione CE/OCSE «Help Wanted? - Providing and Paying for

Long-Term Care comprende capitoli sulle ripercussioni che l'assistenza ha su chi la presta in ambito

familiare e sulle politiche nazionali di sostegno a loro favore (ad esempio, congedi e organizzazione del

lavoro, sostegno finanziario).

4 La Legge 328/2000ha aperto uno spazio di valorizzazione delle famiglie affidando alle Regioni il compito di

preparare il piano regionale delle politiche sociali e ai Comuni quello di organizzare ed erogare servizi

direttamente o affidandoli a soggetti del privato.

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8

In conclusione dunque “prendersi cura” significa occuparsi di un

familiare in modo amorevole. Questo significa pensare con affetto a

compiti quali “pulizia, igiene, alimentazione, aiuto per coricarsi e poi

uscire dal letto, medicazioni, somministrazione di farmaci o iniezioni,

applicazione di cateteri, cambio di biancheria in caso di incontinenza,

assistenza nelle pratiche burocratiche e nella gestione degli affari

personali, compresa quella del denaro, accordi e relazioni con i servizi

sociali e sanitari e con gli operatori professionali, trasporti e gestione

delle faccende domestiche5”. Ma se è vero che quando siamo in contesti

familiari che rispondono ai nostri bisogni di relazione si riceve una forza

“che ci rende più sicuri nel fronteggiare il mondo”6, è altrettanto vero

che laddove esiste un sofferenza aggravata dal decadimento cognitivo –

e quindi dalla perdita parziale o totale della memoria dell’ IO/persona e

quindi del NOI/famiglia - questa forza talvolta sembra sparire lasciando

spazio a battaglie, malesseri, incomprensioni e conflitti. La famiglia

come luogo di realizzazione di sogni e di risposta a bisogni di affetto, di

amore, di comprensione e di accoglienza, può a tratti dunque diventare

per un caregiver un luogo da cui fuggire per il carico di fatica fisica ed

emotiva correlato. La figura del caregiver familiare non va dunque in

alcun modo sottovalutata, perché se sofferente per il peso della cura

e/o perché investita da sentimenti eccessivi di inadeguatezza, invece di

risultare una risorsa preziosa, può divenire nella sua silenziosa ma

tragica sofferenza un’ulteriore aggravante in un contesto di per sé già

difficile.

Il caregiver, un attore di relazioni familiari che cambiano

Il caregiver è al centro di un complesso setting relazionale e quindi

comunicativo caratterizzato da dinamiche molto intense dal punto di

vista emotivo e contenutistico. Nel corso di una stessa giornata il

5 Marian Barnes, Storie di cargiver - Il senso della cura, ed. Erikson, 2006 - pag. 18

6 Marshall Rosenberg, In famiglia quale comunicazione- Esserci Edizioni, 2009, pag. 14

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caregiver è chiamato ad interfacciarsi, oltre che con il familiare malato,

con altri componenti del nucleo familiare conviventi e non, con eventuali

caregivers formali (badanti e/o personale socio-assistenziale affiancato

alla famiglia nel caso per es. di utilizzo di voucher regionali), con i

medici.

Farsi carico della fragilità e della dipendenza di un membro della

famiglia significa acquisire talvolta improvvisamente ed in un’età

avanzata, nuove conoscenze (caratteristiche della patologia ed

implicazioni sulle abitudini di vita, codice comunicativo

medico/farmacologia, burocrazia di contorno) nuove abilità pratiche

(es.: movimentazione del malato, utilizzo di supporti quali sedie a

rotelle, elevatori, operazioni di igiene quotidiana..) ed un nuovo “saper

essere” ovvero un nuovo modo di “essere” nelle relazioni familiari.

Il semplice fatto che ad un certo punto della vita l’intreccio relazionale

familiare inizi ad avere sullo sfondo aspetti di malattia, sofferenza e

paura della perdita di un proprio caro, implica un’impasse ed una

necessità di cambiamento che può condurre il caregiver verso

un’evoluzione armonica, benevolente e generosa dei rapporti familiari o

verso allontanamenti, rotture, separazioni.

L’ occuparsi di un lavoro di cura in modo intenso, totalizzante e

prolungato nel tempo, sebbene il contesto culturale italiano sia ancora

parzialmente “familistico”7 e solidale, può essere a pieno titolo

considerato un “evento critico familiare”.

Quali sentimenti può provare un figlio nel prendersi cura di un genitore

fragile, non autosufficiente, divenuto o tornato a sua volta figlio

bisognoso, sperduto e intimorito da luoghi e voci che non riconosce ?

Quali sentimenti può provare una moglie che nella relazione di coppia

7 Patrizia Taccani e Maria Giorgetti, Lavoro di cura e auto mutuo aiuto - Gruppi per caregiver di anziani non

autosufficienti, ed. Franco Angeli, 2010 - pagg. 23 e 24. Si precisa come in Italia si sia affetti da familismo

ambivalente tipico di una società che mette al centro la famiglia pur non garantendo un welfare adeguato;

recenti stime attesterebbero sul 6,6% la percentuale di popolazione anziana che oggi trova assistenza nel

mercato privato, incentivata da una politica di erogazione monetaria rappresentata da assegni

d’accompagnamento, voucher regionali

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non riesce più a trovare il senso del NOI, o un marito che da accudito

diventa accudente?

In questi casi le consolidate e abituali modalità di funzionamento delle

relazioni sembrano diventare inadeguate richiedendo l’attivazione di

processi talvolta faticosi di adattamento e riorganizzazione.

Si pensi al caregiver figlio che, nella già difficile e talvolta

contraddittoria gestione di un rapporto genitore/figlio capovolto, viene

chiamato alla fatica fisica e psicologica di una doppia ma spesso anche

tripla presenza (famiglia costruita, famiglia di origine, lavoro). Il

conflitto definito appunto della “doppia o tripla lealtà”8 è evidente;

perché la scelta di mantenere spazi per sè – familiari, lavorativi o di

socialità - porta il caregiver ad oscillare tra sentimenti di appagamento,

serenità e gratitudine a sentimenti di preoccupazione, scoraggiamento,

esasperazione e tristezza.

Si pensi al caregiver coniuge che si trova a dover gestire relazioni

nuove, talvolta complicate dalla barriera linguistica, con personale

esterno spesso difficilmente accettato perché percepito come invasivo e

ingombrante in una routine di coppia quotidiana faticosa ma

rassicurante nella copertura dei ruoli, consolidata perché antica e

intima9.

Sullo sfondo un passato di relazioni più o meno appaganti, di conflitti

magari rimossi, forse negati e mai risolti, di vicende mai chiuse, di

spiegazioni chieste e mai ottenute, di ferite date e ricevute, di

riconciliazioni tentate e fallite. E allora quando un figlio guarda indietro

può capitare che riesca a vedere solo la parte dolorosa e i vuoti della

sua vita di figlio e un coniuge un passato di incomprensioni e bisogni di

connessione non soddisfatti. In questi casi, se la sofferenza non

8 Patrizia Taccani e Maria Giorgetti, Lavoro di cura e auto mutuo aiuto - Gruppi per caregiver di anziani non

autosufficienti, ed. Franco Angeli, 2010 - pag. 39.

9 ….La vita di coppia è una danza dove continuamente si alternano movimenti singoli, con passi a due e in

gruppo e dove l’essere fuori tempo dell’uno incide su tutti gli altri a meno che non ci sia un danzatore in

grado di affrontare le dissonanze rendendole movimenti nuovi e originali… da “Stare vicino a chi si ammala:

l’esperienza dei partner e dei caregiver” - S. Gastaldi, T. Ragni Raimondi, 2009 Attive Onlus, Milano.

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conduce ad una rielaborazione del passato e ad una distanza/vicinanza

emotiva giusta, essere caregiver è ancora più difficile perchè il passato

conta divenendo un potenziale filtro nel modo di prendersi cura

dell’altro.

L’esperienza del caregiving può dunque davvero apparire come

“carcere” o come “scoperta di uno spazio di benevolenza per l’altro e di

ascolto empatico di sé”. Certo in tutto ciò un’influenza non trascurabile

è data da fattori oggettivi quali l’entità della sofferenza, la durata, i

sostegni, la rete familiare attiva nel processo di caring. In funzione di

questo, calibrare e ricalibrare costantemente le strategie organizzative

di sostegno per far fronte agli oneri della cura è fondamentale ed ha

importanti impatti sulla qualità della vita del caregiver e del familiare

sofferente.

Un punto chiave per diventare i responsabili protagonisti del proprio

benessere (e indirettamente del benessere dell’altro) e per vivere la

propria vita non come un destino ineluttabile ma come un progetto,

rimane però la ricerca della consapevolezza di sé come altro dal

malato, un sé prezioso e unico, portatore di sentimenti e bisogni mai

esiliati, bensì esplorati e ascoltati.

Un cammino difficile ma utile per negoziare, prima di tutto con sé

stessi, spazi di benessere salvifici.

Il care familiare con pazienti affetti da demenza

Nel caso di caring familiare associato a situazioni di decadimento

cognitivo il percorso di accettazione della malattia è simile a quello che

si intraprende dopo un lutto. Fare i conti con la diagnosi è solo il primo

passo; la salita faticosa inizia piano piano, nei momenti di afasia

improvvisi, quando il familiare un giorno non trova più la strada del

bagno di casa o si perde tornando dal lavoro e poi quando non distingue

più telefono e telecomando. La differenza tra un lutto e la sensazione di

smarrimento alternato a fiducia tipica del caregiver sta nel rinnovarsi

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costante ed inesorabile della ferita; ogni nuovo deficit rappresenta un

progressivo ma lento avvicinamento al momento più temuto, il

momento in cui un genitore o un coniuge smettono di riconoscerti.

Perché se il lutto è definitivo e quindi inesorabilmente significativo, la

presenza a tratti vacua e a tratti straniera, ma viva, di un malato di

Alzheimer o di demenza di altro tipo, riconsegna costantemente il

caregiver ad una connessione con il familiare a volte reale a volte solo

immaginata ma comunque appagante.

Una recente ricerca della Johns Hopkins University ha stabilito che i

ricordi più cari sono nei malati di Alzheimer i primi a sparire a causa

dell’accumulo di proteine anomale nei centri cerebrali della memoria

specifica responsabile di trattenere i ricordi più preziosi10; il primo

bacio, i successi professionali, la nascita di un figlio, insomma tutte le

tenerezze di una vita sembrano essere, oltre alla perdita di competenze

circa i gesti più semplici e ripetitivi del quotidiano, il primo bersaglio

delle placche neuronali distruggi-memoria.

Alla difficoltà di adattarsi ad un regime di vita diversa, costellata da

piccoli e grandi cambiamenti (di ritmo di vita e orari, ma anche

ambientali), si associa dunque per il caregiver una sorta di spasmodica

ricerca di segnali che dicano che nulla è perduto per sempre.

Perché in assenza di quei segnali per il caregiver si apre la porta di una

realtà rifiutata e costellata da domande dense di angoscia:

Che ruolo ho, chi sono io per lei/lui?

Sono in grado di prendermi cura (non solo occuparsi di, ma scegliere

al posto di)?

Che fine fanno i progetti condivisi?

Ed io, con loro?

Integrare nella propria esistenza la CNV, attraverso un

accompagnamento ed una guida, può facilitare il caregiver nel “cercare

la meraviglia e la grazia della vita oltre gli eventi, oltre l’oscurità, oltre

10

www.alzheimer- riese.it/en/contributi-dal-mondo - Pubblicazione del 17 giugno 2015.

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13

le avversità e l’apparenza”? La vita di un caregiver, nonostante sia

faticosa perché centrata sul soddisfacimento delle esigenze del familiare

sofferente, può trasformarsi e diventare più bella attraverso l’apertura

ad una consapevolezza complementare e comprensiva che riesca a

ricomprendere spazi di vitalità, cura di sé e tenerezza verso la propria

parte stanca, frustrata e bisognosa di attenzioni?11

Le parole per dirlo; storie social e vocabolario dell’ambivalenza

In alcuni momenti della mia esperienza di vita come caregiver ho

avvertito il bisogno di condividere con altri caregiver sofferenze, dubbi e

tensioni di un quotidiano ripetitivo nella sua routine organizzativa ma

sorprendentemente ricco di nuovi piccoli eventi destinati a provocare

ansia12; già questa condivisione in alcune fasi particolarmente critiche è

stata un’efficace modalità (modalità alla base dei gruppi di automutuo

aiuto) per individuare possibili vie d’uscita e risposte a problemi di

ordine pratico in un contesto di comprensione reciproca e ascolto

partecipato. Attraverso il contributo dei social media o media sociali,

ovvero degli strumenti on line che sfruttando le nuove tecnologie

consentono la messa in comune di contenuti, il web favorisce oggi un

rapido ed efficace sharing di informazioni, buone pratiche, esperienze e

vissuti emotivi che nella condivisione trovano una leva possibile di

depotenziamento; nello stesso tempo, quando lo scambio comunicativo

a due o più voci ha come scopo il raccontarsi esperienze positive (e

fortunatamente anche questo avviene) ritrovarsi anche se a distanza

consente di recuperare spazi di fiducia e ottimismo. Il web dunque è un

prezioso contenitore di eventi, di storie e di sentimenti. Il web racconta

mondi interiori diversi ed uguali nello stesso tempo, mondi raccontati da

scambi comunicativi in cui le parole scelte, narrano in modo 11

Thomas D’Ansemburg, Più felici di così si può, Edizioni Esserci 2006, Cap.1 pag. 16/31 – L’autore in

queste pagine tratta il tema dei principi di funzionamento della vita e del pensiero binario (o/o che applicato

al caregiving diventa “o ti occupi del tuo caro o ti occupi di te”) come trappola antifelicità.

12 Nel 2014 mi sono iscritta ai gruppi Alzheimer Tolentino e Alzheimer Italia e Caregiver Familiare di

Facebook.

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14

significativo le ambivalenti emozioni che ogni caregiver, almeno in

qualche momento della sua vita, ha provato.13 Ho voluto soffermarmi

sul modo di raccontare il proprio percorso di caregiving prendendo a

campione una trentina di interazioni comunicative lette nelle community

social in cui i caregivers si ritrovano virtualmente per confrontarsi,

consolarsi e narrare quotidianamente emozioni, dubbi e sofferenze;

segue dunque un “vocabolario dell’ambivalenza” non esaustivo, né

tantomeno scientifico14, ma indicativo di una sofferenza e di una

complessità non sempre gestibile in assenza di un sostegno esterno.

L’esperienza personale ed il confronto con altri caregiver mi hanno fatto

percepire in più di un’occasione quanto un’ambivalenza emozionale

possa essere causa di disorientamento e sensi di colpa nei confronti del

familiare accudito. Le domande “chi sono io? che persona posso mai

essere se provo il desiderio di fuggire da un caro sofferente che diventa

causa di stanchezza, isolamento sociale e professionale, abbandono di

progetti di vita?” a quali risposte possono portare e a quale livello di

ricorsiva tristezza?

13

Di ambivalenza e senso di colpa si tratterà nel 2° capitolo, pag. 20

14 I risultati di studi scientifici saranno riportati nel 2° capitolo quando si tratterà il tema del peso di cura

(caregiving burden).

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15

Vocabolario dell’ambivalenza, ovvero le parole per dirlo15

Vocabolario

dell'ambivalenza Le parole per dirlo Le parole per dirlo

A alzheimer, anziano, angoscia, ansia, assenza, apatia, abbandono

accarezzare, abbraccio, affetto, amore, amare

B brutto, battaglia bene (sentirsi, volere, volersi), bello

C confusione, carico, catetere, colpa caro/a/i, conforto, cantare, coraggio, collaborazione

D

demenza, dolore, disorientamento, destino, decadimento, difficoltà, depressione, danno, deficit, demone (riferito alla malattia), disabilità

divertimento, dignità

E evacuazione emozione

F fretta, frustrazione, farmaci, fallimento, febbre, fiato (prendere)

famiglia

G grida gioia

H - -

I imbarazzo, ineluttabilità, ingiustizia, incontinenza, incubi, insicurezza, indifferenza

interessante

L lotta, lacrime libertà

M malattia, mostro, memoria, medico mamma

N notte, necessità, nostalgia notizie (buone)

O ospedale, odore obiettivo

P problema, peggioramenti, perdita, protezione, paura, pianto

persona, prevenzione, progresso, papà

Q quotidianità qualità

R ripetitività, routine, ricordo, ricovero, rabbia, rimpianto

risultato (buon)

S sofferenza, stanchezza, sonnolenza, solitudine, sindrome, scappare

serenità, speranza, significato, sorridere

T tempo (cronologico), tristezza, tensione, trauma

tranquillità

U urgenza, urina -

V vergogna, vaghezza, violenza, vecchiaia vita

Z zavorra -

15

Ogni lettera dell’alfabeto prevede parole utilizzate nelle interazioni comunicative allo scopo di evocare

sentimenti e descrivere situazioni negative, difficile da accettare (prima riga) o al contrario positive

(seconda riga, in corsivo). Il trattino sulla prima o seconda riga indica che non è stata trovata alcun parola

da inserire.

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16

CAP.2

RISCHI CONNESSI AL CAREGIVING FAMILIARE: BURNOUT,

SENSI DI COLPA ED IL CIRCOLO VIZIOSO DELLA DOPPIA

VULNERABILITA’

Caregiving burden; indicatori di qualità di vita per un caregiver

informale

Nel primo capitolo ho posto l’accento sul significato che assume il

“prendersi cura” di un caregiver familiare16. Il caregiver informale,

nonostante la sua centralità sociale ed etica, rimane giuridicamente

degno di poche attenzioni nonostante anche la scienza abbia dimostrato

quale sia l’effetto del peso di cura sulla qualità della vita e sullo stato di

salute17. Il parlarne aiuta a comprendere quanto sia dunque eticamente

e socialmente giusto progettare e proporre da parte degli enti preposti

percorsi di help e self help che quantomeno in parte riescano ad

alleviare gli effetti di un stress psico-fisico dimostrato anche a livello

scientifico. La ricerca più famosa sugli effetti dello stress di lunga durata

legato al caregiving rimane quella della dott.ssa Elizabeth Blackburn18,

professore di biochimica presso l’Università di San Francisco, che ha

condotto un’interessante ricerca su stress, invecchiamento e alterazioni

biochimiche a livello cellulare. Il contesto di cura prolungato

predisporrebbe secondo questi studi ad uno stress cronico perdurante

anche dopo la fine dell’esperienza di caregiving e sarebbe causa dei

seguenti effetti:

aumento rischio di infarto;

16

Il caregiver familiare è anche definito primary caregiver informale (coniuge, figlio, fratello/sorella, più

raramente un amico); il caregiver formale è invece un professionista dell’aiuto ed in questa categoria

rientrano tutte le figure professionali che si occupano di assistenza (OSS, infermieri, badanti).

17 In media il family caregiver fornisce dalla 40 alle 84 ore di assistenza alla settimana, ovvero l’equivalente

di più di due lavori alla settimana, con l’equivalente perdita o riduzione di lavori retribuiti. Ciò implica un

peggioramento della situazione reddituale oltre che della vita sociale - http://la-cura-

invisibile.blogspot.it/2012.

18 “Accelerated telomere shortening in response to life stress - Department of Psychiatry of University of

California. Contributed by Elizabeth H. Blackburn, September 28, 2004.

Page 18: Tesi cnv caregiving siaf

17

presenza sintomi di depressione maggiore (burden) per una

percentuale dal 40 al 70% dei caregiver;

aspettativa di vita inferiore dai 9 ai 17 anni rispetto alla media.

Altri studi19 si sono focalizzati sui sentimenti ed il vissuto della categoria

facendo emergere, attraverso la somministrazione di questionari e

interviste, sentimenti di rabbia, stanchezza, senso di colpa per il timore

di non essere adeguato al compito20, percezione di una propria

supposta inutilità.

Le percentuali di caregiver coinvolti nelle ricerche ci dicono inoltre che:

il 16% dei caregiver si sente esausto;

il 26% avverte come imponente il peso emotivo del compito;

il 13% vive una profonda frustrazione vedendo l’assenza di

miglioramento del proprio caro;

il 22% arriva a fine giornata spaventato dal timore di non essere in

grado di saper fronteggiare le responsabilità di ruolo, spaventato dal

futuro e dalla propria impotenza.

La tensione del caregiver, soprattutto nel caso di età non più giovane e

di situazioni economiche non floride (in questi casi diventa difficile

permettersi l’aiuto di un’assistenza esterna anche per poche ore) finisce

spesso per ripercuotersi anche sullo stato fisico dell’accudente,

creandosi così le premesse per un cortocircuito assistenziale di difficile

gestione. La domanda cui intendo dare risposta attraverso la CNV è

dunque la seguente: pur essendo vero che il caregiving si realizza nella

misura in cui esistono un accudito (che ha bisogni) ed un accudente

(che soddisfa i bisogni), si possono immaginare per l’accudente

strumenti di cura e auto-cura destinati a fronteggiare il rischio di

19 “Caregiving Appraisal Scale” di M. Powell Lawton, Miriam Moss, Christine Hoffman e Margaret Perkinson e

Center on Aging Society Research (2005) in “Caregiving familiare; il peso del supporto e dell’accudimento

quotidiano” di Alessia Ghisi Migliari in www.humantrainer.com

20 A cio si aggiunga per i caregiver non conviventi il senso di colpa per la ridotta presenza vicino al familiare

malato, il senso di colpa per la “nuova famiglia” trascurata (coniuge e figli) e per i caregiver in genere il

senso di colpa nel caso di allontanamento anche temporaneo (es per brevi momenti di vacanza) pur in

presenza di una rete d assistenza professionale e quindi affidabile.

Page 19: Tesi cnv caregiving siaf

18

esaurimento fisico e depressione? E più precisamente può per il

caregiver essere consolatorio guardare con benevolenza alle proprie

parti resilienti e a quelle più deboli, ai i propri bisogni esiliati e alle

proprie emozioni? Può un’efficace supporto, non solo pratico, ai

caregiver ridurre il peso della cura?

Rischi del burnout sulle dinamiche famigliari e sulla qualità

dell’assistenza del caregiver.

Carol B., assistente sociale intervistata sul burn-out, descrive così il suo

stato d’animo: “Quando cerco di descrivere ad altri la mia esperienza,

uso la metafora della teiera. Come una teiera, ero sul fuoco e l'acqua

bolliva.

Lavoravo sodo per gestire i problemi e fare del mio meglio.

Ma dopo vari anni l'acqua era tutta evaporata e tuttavia io ero ancora

sul fornello; una teiera bruciata che rischiava di spaccarsi”.

Il termine burn-out21 significa bruciato, esaurito, scoppiato e ha a che

vedere con uno stato di cedimento psico/fisico che impedisce a chi ne è

colpito di sostenere ulteriori sforzi e di adattarsi alle criticità dell’attività

svolta. La sindrome, associabile al carico assistenziale tipico delle

professioni di aiuto, provoca in chi ne è affetto sintomi fisici (disturbi

dell’apparato gastrico, disturbi a carico del sistema nervoso centrale,

disturbi del sonno allergia, asma, perdita dell’appetito, disfunzioni

sessuali, malattie della pelle, artrite, diabete)22 e psicologici23. Questi

ultimi sono stati classificati nelle seguenti categorie:

collasso delle energie psichiche: apatia, demoralizzazione, incubi

notturni, irritabilità, senso di inadeguatezza, senso di frustrazione,

disperazione, disagio, paure eccessive, sensi di colpa;

21

C.Maslach, 1982, “Burnout – The cost of caring” citato in “Maslach Burnout Inventory in Italia alla luce

dell’analisi fattoriale” di Saulo Sirigatti e Cristina Stefanile, pagg 1 e 2

22 Maslach, 1982

23 C. Maslach, 1982, “Burnout – The cost of caring”, citato in “Maslach Burnout Inventory in Italia alla luce

dell’analisi fattoriale confirmatoria”

Page 20: Tesi cnv caregiving siaf

19

collasso della motivazione: distacco emotivo, perdita della

capacità empatica nella relazione con le persone assistite;

caduta dell’autostima: sensazione di “non essere all’altezza”,

perdita della fiducia in sé stessi;

perdita di controllo: sensazione di essere invasi e di non riuscire a

ritagliarsi momenti di stacco rigeneratore.

Essere assistente sociale, ovvero svolgere la professione di Carol B.

significa appartenere ad una categoria professionale “high touch”

ovvero ad alto contatto ed è proprio questo un connotato che ci facilita

nella comprensione dei fattori scatenanti il burn-out. Gli studi sul burn-

out, in particolare quelli di Christina Maslach, dimostrano infatti come le

categorie professionali più a rischio sono quelle in cui il carico emotivo

risulta particolarmente elevato per un costante coinvolgimento

relazionale. Infermieri, medici, insegnanti, poliziotti, consulenti della

relazione d’aiuto, personale di vigilanza operante negli istituti di pena,

hanno in comune la necessità di dover quotidianamente farsi carico da

una parte della sofferenza altrui e dall’altra della responsabilità di far

fronte alle esigenze delle persone affidate. A ben vedere la relazione

non solo intima ma anche parentale non può che accentuare nel

caregiver informale il rischio di un burn-out che esce dal contesto

professionale classico per entrare a pieno titolo nelle dinamiche di una

famiglia impegnata nel carico di cura24. Il decadimento cognitivo

patologico fa sempre nell’intimità di una casa tre potenziali vittime: il

malato, il caregiver e la dinamica famigliare. La contrapposizione tra

bisogni a prima vista poco conciliabili, il senso di impotenza nei

confronti dei sintomi della malattia, il senso del dovere25 che fa stare ad

oltranza all’interno di un legame familiare con un ruolo di assistenza,

tutto ciò crea un terreno fertile per il verificarsi di forme di burn-out

24

P. Taccani e M. Giorgetti, “Lavoro di cura e auto mutuo aiuto - Gruppi per caregiver di anziani non

autosufficienti” - Ed. Franco Angeli, 2010, pag 112.

25 Talvolta al senso del dovere si associa l’impossibilità di fare altre scelte a causa di una situazione

economica che non consente forme assistenziali esterne.

Page 21: Tesi cnv caregiving siaf

20

strettamente collegate alla dipendenza non solo fisica ma anche

psicologica del familiare che genera, all’interno del quadro patologico,

una domanda “più o meno avida, insistente, permanente, esigente”.26

Ritengo dunque che sia fondamentale considerare il caregiver informale

un soggetto ad alto rischio burn-out pur non essendo inserito in una

categoria professionale. Per questo motivo l’ascolto di sé e dei propri

bisogni può essere ragionevolmente considerato un passo chiave

nell’evitamento di cortocircuiti psico/fisici destinati a creare danni a sé e

alla persona assistita27. Il giusto bilanciamento tra cura di sé e cura

dell’altro può dunque rappresentare una forma di prevenzione utile per

il mantenimento sia del benessere del caregiver che di quello del

familiare assistito. Imparare a perdonarsi scelte salvifiche e auto-

protettrici di temporaneo distacco dal contesto di cura, iniziando dunque

ad immaginarsi e ad accettarsi come persone vulnerabili, può essere un

altro passo sulla strada di una qualità di presenza libera da sensi di

colpa e aperta all’arricchimento della propria vita e di quella del proprio

caro28.

Il senso di colpa nel caregiving; tenuta ad oltranza del legame

familiare e tunnel della doppia/tripla lealtà

Il senso di colpa inteso come coscienza d’aver fatto del male a qualcuno

o genericamente d’aver causato un danno tramite una propria azione

specifica29 (o inazione), è un compagno assiduo del caregiver informale.

Il legame famigliare unito al senso di responsabilità che connota una

26

Ploton L., “La persona anziana. L’intervento medico e psicologico. I problemi delle demenze”, Ed.

Raffaello Cortina, 2003

27 P. Taccani e M. Giorgetti, “Lavoro di cura e auto mutuo aiuto - Gruppi per caregiver di anziani non

autosufficienti” - Ed. Franco Angeli,2010, pag 43 parla dei legami di cura ad oltranza sfocianti in potenziali

situazioni di disagio e sofferenza così forti da causare potenziali forme di maltrattamento del caregiver verso

l’anziano. Senza arrivare a forme vere e proprie di violenza, è assolutamente verosimile l’innescarsi di

cortocircuiti sfocianti in abbassamento del livello di qualità, di attenzione, di cura e di affettività

28 M. Rosenberg,”Le parole sono finestre oppure muri”, Esserci Edizioni 208-209-210.

29 Definizione tratta da dizionario Treccani e dizionario on-line di psicologia e sociologia.

Page 22: Tesi cnv caregiving siaf

21

relazione di cura che riguarda in modo pressoché totale il benessere del

proprio caro30, infonde nel caregiver sensazione di invasione e di

impossibilità di distacco. Un legame sinceramente affettuoso, nei

momenti di stanchezza ed esaurimento psico/fisico, può trasformarsi in

una pesante e intollerabile convivenza. Sentiamo le parole di Clara, una

caregiver figlia nel suo sfogo raccolto mentre seguivo mio padre durante

un breve ricovero di sollievo presso il Villaggio Amico di Gerenzano

(VA): “Sono figlia, moglie e madre. Insegno … e faccio male tutto.

Perché quando sono qui da mio padre ho la sensazione che da qualche

parte qualcuno stia reclamando la mia presenza. Mia figlia mi ha

rimproverato di non esserle stata vicino prima della laurea. Questa cosa

mi fa male ma non so come altro fare…”. È questo un esempio chiaro

del cosiddetto tunnel della “doppia/tripla” lealtà, un tunnel nel quale in

caregiver si affanna a coprire più ruoli con l’inevitabile consapevolezza

di non poter rispondere in modo efficace per sé stessi e per gli altri alle

richieste del contesto.

In ambiti sia operativi che di ricerca emerge un dato interessante. Il

caregiver, spesso solo nel crocevia di impegni afferenti i diversi ruoli

ricoperti, per sedare i sensi di colpa, tende a spostare sempre più in là

nel tempo il ricorso ai servizi assistenziali o ad aiuti esterni quantomeno

laddove le attività sono delegabili.31

Accentrare su di sé l’assistenza esasperando la presenza e facendosi

carico di tutte le attività pratiche relative alla cura può diventare però

un pericoloso circolo vizioso se tali scelte non sono inserite in un quadro

di benessere psico/fisico pieno del caregiver32. Il fenomeno a cui invece

talvolta si assiste quando si tacciono del tutto i propri bisogni di

30

Benessere fatto di gesti e attenzioni che riguardano igiene personale, somministrazione di farmaci,

alimentazione e gestione della dieta, movimentazione, spesa, colloqui medici, incombenze burocratiche,

gestione di caregiver formali, esternalizzazione dell’assistenza, colloqui medici.

31 P. Taccani e M. Giorgetti, “Lavoro di cura e auto mutuo aiuto - Gruppi per caregiver di anziani non

autosufficienti” - Ed. Franco Angeli,2010, pag 42.

32 Ricordo che in caso di burn out assistiamo ad un fenomeno di distacco emotivo o disimpegno emozionale

che può condurre il caregiver ad una presenza fatta di automatismi freddi e poco empatici.

Page 23: Tesi cnv caregiving siaf

22

condivisione e ascolto della propria sofferenza, il bisogno di empatia, di

leggerezza, di riposo o di libertà di scelta è quello della “doppia

fragilità”. La fragilità del malato si associa ad una difficile gestione

delle criticità da parte del caregiver.

Ascoltiamo il dolore di questa figlia stupita, quasi spaventata da una sua

reazione “…..è uscita di nuovo, l’ho cercata per la strada del paese, ero

stanca, avevo sulle spalle una giornata di lavoro in ufficio, il pensiero di

mio marito e dei miei figli che aspettavano me, ancora una volta, la

cena ancora da preparare, l’afa insopportabile. Poi l’ho vista, spettinata,

in ciabatte, con la sottoveste sopra il vestito… L’ho trascinata a casa, le

borbottava qualcosa e non voleva rientrare …io sentivo solo la mia

rabbia che cresceva e appena arrivata in casa le ho dato una

sberla..sono scoppiata a piangere. Non si può picchiare la propria

madre..non mi do pace…”. Legati al senso di inutilità o incompetenza

nel fronteggiare gli effetti della malattia sul proprio caro, o connessi

all’insofferenza talvolta provata per i comportamenti del famigliare

ammalato, od anche al senso di rimpianto per la perdita di spazi di

libertà, comunque i sensi di colpa portano sempre il caregiver a

formulare su di sé giudizi negativi. In qualsiasi caso, comunicare a noi

stessi critiche e pretese di essere diversi, rende un buon servizio alla

nostra crescita interiore e alla relazione di cura?

Page 24: Tesi cnv caregiving siaf

23

CAP. 3

LA CNV ED IL LINGUAGGIO GIRAFFA COME PRATICA DI VITA E

DI BENESSERE PER IL CAREGIVER FAMILIARE. EMPATIA ED

AUTOEMPATIA

Accogliere la propria vulnerabilità per aprire le porte alle

connessioni; la CNV come modello di intervento

In un articolo dell’associazione Alzheimer Riese un marito scrive: “Molti

si sono riferiti all’Alzheimer come al “lungo addio”. Per il caregiver è

come soffrire la morte per mezzo di mille tagli, senza una fine

dell’emorragia invisibile. Per i coniugi caregivers che hanno avuto buoni

matrimoni prima della comparsa dell’Alzheimer, sperimentare un certo

grado di ansia quotidiana o di lieve depressione33 è abbastanza comune

poiché la persona che amiamo di più in questo mondo è a tutti gli effetti

andata e ancora qui. Siamo sposati e vedovi allo stesso tempo”34. Facile

dunque immaginare la sensazione di lutto percepita anche da un figlio

rispetto ad un genitore, sebbene ciò sia tanto più vero quanto più

precoce è la comparsa della malattia e quindi quanto più giovane è il

caregiver figlio. Al di là del doloroso senso di perdita quotidiano e

frammentato che tanto incide sulla serenità dei caregivers, tanti e

frequenti, abbiamo visto, sono i momenti di sofferenza di “chi si prende

cura”.

Come già indicato in questo lavoro, l’Italia non ha ancora riconosciuto

giuridicamente la figura del caregiver, con un inevitabile corollario di

mancati aiuti e mancati servizi “strutturali” di accompagnamento35; il

prendersi cura significa dunque, nel nostro contesto, portare un

contributo significativo al benessere della comunità generalmente intesa 33

Altra cosa è il burn out, vedi cap. 2

34 http://www.alzheimer-riese.it/en/contributi-dal-mondo/voci-della-malattia/4859-riflessioni-di-un-coniuge

35 Per esempio anche nel caso in cui viene assegnato dalla Regione Lombardia (mia regione di

appartenenza), in virtù della Delibera 856/2013 – RSA Aperta, un voucher corrispondente ad un pacchetto

di servizi, l’unico punto in favore dei caregiver è la “facilitazione di accesso ai gruppi di automutuo aiuto”.

Non è altrimenti presa in carico dalla norma la valutazione dello stato di bisogno psicologico del caregiver.

Page 25: Tesi cnv caregiving siaf

24

ed anche alla giustizia sociale. Proprio per questo motivo facilitare nei

caregivers l’acquisizione di capacità di rinforzo personale va nella

direzione di una maggiore resistenza al senso di oppressione spesso

avvertito e, nel contempo, di un rinnovato apprezzamento del tempo

non consumato ma vissuto con il familiare bisognoso di assistenza. I

gruppi di automutuo aiuto, nati negli Stati Uniti nel 193536,

rappresentano anche in Italia un setting ed una pratica di lavoro sociale

utile a questo scopo. Formati da caregivers desiderosi di trovare

insieme agli altri partecipanti nuove chiavi di lettura della loro

esperienza e nuovi strumenti di benessere, facilitati da professionisti

esperti nella relazione d’aiuto operanti in contesti di volontariato e di

associazionismo familiare, i gruppi AMA37 rappresentano il territorio in

cui poter esercitare competenze umane che hanno garantito nella storia

dell’evoluzione umana la sopravvivenza ed il superamento delle

difficoltà38. Questi luoghi strutturati di incontro, unitamente ad altre

forme di accompagnamento psicologico individuale, possono

effettivamente rappresentare un terminale del supporto e del sostegno

solo nella misura in cui il caregiver impari a riconoscere e ad accogliere

la propria vulnerabilità. In quanto caregiver, seppur di secondo livello,

ma costantemente in osservazione di una caregiver primaria, so che di

questa parola si tende a cogliere in prima battuta l’aspetto negativo;

come predominante si avverte il senso della ferita e del dolore (vulnus)

e solo sullo sfondo, quasi non fosse rilevante, si colloca il significato

ulteriore, ovvero la possibilità e dunque non la certezza di subire danni,

di essere permanentemente feriti. Per un caregiver familiare accettare il

proprio essere vulnerabili nella relazione di cura è difficile, all’inizio del

percorso quasi impossibile; significa accogliere un’idea di sé incapace di

accogliere una richiesta di presenza affettuosa, costante e competente

36

Alcoohlics Anonymous (AA) Group.

37 Li chiameremo così d’ora in poi così come indicato da www. automutuoaiuto.it

38 V. Calcaterra, Attivare e facilitare i gruppi di automutuo aiuto, Ed. Erickson, 2013, pag. 11.

Page 26: Tesi cnv caregiving siaf

25

al di là di ogni ragionevole stanchezza e imperizia. Significa

disattendere ad un modello culturale di ruolo che vede il caregiver

attore protagonista di una quotidianità in cui è contemplata e ammessa

solo la possibilità dell’esserci “nonostante tutto”39. Considero la CNV

(Comunicazione non violenta)40 di Marshall B. Rosenberg un modello

di comunicazione e di relazione particolarmente utile per lo sviluppo di

un ascolto attivo, autentico e soprattutto aperto alla connessione con la

propria e altrui vulnerabilità. La “nonviolenza” cui il fondatore della CNV

si riferisce ha a che vedere con la comprensione, il rispetto reciproco e

la capacità di farsi capire chiaramente e nel profondo senza aggredire.

Partiamo da alcune riflessioni di base utili per identificare la potenzialità

della CNV nell’ambito del care helping:

la CNV fa riferimento ad una capacità dell’uomo innata, ma spesso

sopita o bloccata, di relazionarsi in modo empatico, ovvero

compassionevole e rispettoso di sé e dell’altro;

la CNV ci guida nel ripensare il modo in cui esprimiamo noi stessi

partendo da una rinnovata coscienza di ciò che percepiamo

(osservazioni), ciò che sentiamo (sentimenti) e ciò che vogliamo

(bisogni); in questo senso ci aiuta a comprendere che la nostra vita

migliora e si arricchisce quando riusciamo a realizzare un contatto

con noi stessi e con i nostri bisogni profondi; i nostri bisogni sono

universali e rappresentano un terreno di incontro e connessione con

glia altri esseri umani;

la CNV ci guida nel ripensare il modo in cui ascoltiamo gli altri

partendo da un’attenzione rispettosa ed empatica verso i sentimenti

39

Vedi nota 27 sui rischi dei rapporti familiari ad oltranza, rapporti in cui il caregiver non ammettendo la

propria vulnerabilità innesca dinamiche fortemente critiche per sé e per il famigliare sofferente.

40 La CNV, più che un modello di comunicazione, è una vero e proprio approccio alla vita e

all’interdipendenza compassionevole. Sviluppata da Marshall B. Rosenberg, mancato il 7/02/2015, a partire

dal 1960 la CNV è diventata, grazie ai Servizi Educativi del Center for Nonviolent Communication, una

cornice di riferimento teorico/pratica per una formazione alla pace nelle Istituzioni, nelle organizzazioni,

nelle scuole e nelle famiglie.

Page 27: Tesi cnv caregiving siaf

26

ed i bisogni degli altri; in questo senso ci rende consapevoli della

ricchezza e della potenzialità dell’interdipendenza41;

la CNV si basa su un’abilità di linguaggio e di comunicazione che

rafforza la nostra capacità di esplorare benevolmente ciò che

proviamo nel cuore, nel corpo e nella mente e ciò che prova chi ci

circonda con una sensibilità che ci aiuta nel non portare dolore,

critiche e giudizi colpevoli a noi stessi e agli altri;

la CNV ci facilita nella costruzione e nel mantenimento di un contesto

di vita basato sulla cura di sé e sull’interdipendenza permettendo

altresì alla nostra naturale empatia di esprimersi.

La CNV di Marshall B. Rosenberg si basa e si esprime dunque su due

livelli. Il primo è rappresentato direi dal fondamento stesso di questo

approccio e consiste nella benevolenza verso sé stessi e verso gli altri e

nella ricerca di una qualità nella relazione che tenga conto

saldamente ed empaticamente di sentimenti e bisogni delle

parti; il secondo da un processo di comunicazione diretto a “servire” il

primo. Partendo proprio da questi assunti di base, dalle considerazioni

precedenti sulle potenzialità della CNV nel quadro più generale del care

helping, ho ritenuto che sia questo un modello di intervento ad alto

valore aggiunto nelle azioni di sostegno al caregiver. Marshall B.

Rosenberg afferma infatti nel suo libro “Le parole sono finestre oppure

muri”: “Se non attribuiamo valore ai nostri bisogni è probabile che

neanche gli altri lo faranno”. E poi ancora: “Se esprimiamo i nostri

bisogni è più facile che li soddisferemo”. Nell’accezione della CNV il

termine bisogno, elemento guida di una filosofia di vita ecologica ed

olistica, più che di un modello comunicativo, definisce tutto ciò che è

indispensabile al nostro stare nel mondo e che a questo stare conferisce

sicurezza e senso. Qualsiasi sia la categoria di riferimento (bisogni

fisiologici, di interdipendenza, di autonomia, di integrità, di 41

Il significato di Interdipendenza ha a che vedere con il dare e ricevere con uguaglianza e bilanciamento in

un contesto relazionale all’interno del quale i bisogni dell’uno non possono essere soddisfatti a discapito

dell’altro.

Page 28: Tesi cnv caregiving siaf

27

celebrazione, di gioco, di comunione spirituale), la mancata attribuzione

di valore ai propri bisogni, in una logica di totale dedizione al proprio

caro è, sulla base della mia personale esperienza e sulla base del

confronto con altri caregivers42, una porta spalancata verso il rischio di

cortocircuito relazionale paziente/prestante cura o burn out.

Ricordare che il caregiver familare è marito, moglie, figlio, sorella o

fratello43, facilita la comprensione del fatto che in non ci si dia spesso il

permesso di dichiarare a voce alta la propria stanchezza, la necessità di

spazi di solitudine, il bisogno di leggerezza e divertimento, la tristezza

per progetti non realizzati, la frustrazione per scelte forzate e rinunce

ripetute. Lo si fa magari in momenti di ansia e rabbia, oppure dentro di

sé, lasciando poi spazio a sensi di colpa silenziosi, seppur potenti e

laceranti.

CATEGORIE DI BISOGNI SECONDO LA CNV I BISOGNI DEI CAREGIVERS “IN PRATICA” Bisogni di autonomia e autenticità Bisogno di realizzare piccoli /grandi progetti; progetti di

vita (coniugale, p.e) progetti di piccola organizzazione anche quotidiana (uscire da soli, prendersi delle pause, fare una vita sociale più intensa)

Bisogni di chiarezza e consapevolezza

Bisogno di conoscere gli effetti della malattia del proprio caro, bisogno di capire come interpretare alcuni sintomi, bisogno di sapere come alleviare concretamente le sofferenze

Bisogni di sicurezza e salute Bisogno di sapere di non essere lasciati soli in momenti

critici della giornata

Bisogni di interdipendenza Bisogno di socialità, di empatia, di ascolto, di considerazione di comprensione per i propri limiti, di vicinanza, bisogno di essere considerato come degno di attenzione

Bisogni di scopo ed efficacia Bisogno di svolgere un’attività significativa al di là dei compiti d caring; bisogno di auto-espressione

Bisogni di riposo e gioco Bisogno di sonno, rilassamento, divertimento

Bisogni di armonia ed equilibrio Bisogno di pace, leggerezza, uguaglianza (anch’io valgo)

Figura 1 - Bisogni del caregiver e categorie di bisogni universali secondo la CNV 44

La CNV dunque, in quanto territorio della vulnerabilità, considera

l’esplorazione, la scoperta e la cura dei propri bisogni e dei bisogni

42

Molto insegnano in tal senso gli scambi con altri caregiver nell’ambito dei gruppi social di Facebook realtà

di mutuo aiuto virtuale di cui si parlerà nell’ultimo capitolo.

43 Rapporto Censis 2007:il 76,6% di caregivers è donna e di questa percentuale circa l’80% ospita il

familiare a carico in casa; il 51,6% è in età attiva.

44 Lucy Leu, Manuale pratico di Comunicazione Nonviolenta, Esserci Edizioni, pag.169; nella tabella le

categorie di bisogni secondo il modello di Rosenberg sono tradotti in bisogni quotidiani del caregiver.

Page 29: Tesi cnv caregiving siaf

28

dell’altro un punto di partenza per la creazione di relazioni al servizio

della vita in una cornice libera da vergogna, rabbia e sensi di colpa.

La danza giraffa come pratica di benessere per sé e per il

familiare assistito; darsi empatia e dare empatia al proprio caro.

Se il caring ha come scopo la cura, è la relazione la cornice all’interno

della quale la cura si realizza (fig 2). Nel vissuto di ogni prestante cura

l’insufficiente ascolto dei propri bisogni ed il senso di colpa derivante da

comportamenti ambivalenti o considerati inadeguati alla richiesta

(reattività aggressiva verso il famigliare a carico, allontanamenti di

sollievo vissuti come espressione di incapacità di gestione della fatica,

sensazione di incompetenza o inadeguatezza nell’attività di cura) sono

nella mia esperienza di caregiver fattori scatenanti sensazioni di

frustrazione, tristezza, angoscia o rabbia. In un siffatto clima relazionale

ogni interazione comunicativa tra le parti in gioco è, dal punto di vista

dell’efficacia emotivo/contenutistica, potenzialmente a rischio. Possiamo

dunque dire che nella relazione di cura famigliare è facile osservare

modi di comunicare che bloccano quello stato naturale di empatia di cui

ognuno di noi è dotato.

Figura 2 - Territorio relazionale del caregiver

Page 30: Tesi cnv caregiving siaf

29

Ecco qui di seguito alcuni esempi45

C (al famigliare assistito): “Mi fai sempre le stesse domande cento volte

al giorno. Non ne posso più. Sono sfinita…. Non mi fai dormire…. Oggi

c’è il sole e io sono un’altra volta chiusa in casa…”.

C (moglie, ad altri caregiver): “Almeno a pranzo lo imbocco io. Pensate

che sia diventata un incapace? In fondo in tutti questi anni chi ha

pensato a lui?” oppure “Guardate tutti lui (riferito al marito malato). A

me chi pensa….?”

C (a familiari non caregiver che consolano o danno consigli): “Voi che

passate da qui cinque minuti e poi ve ne andate cosa volete capire di

quello che capita in questa casa? Se vi faceste vedere un po’ di più forse

la smettereste di dare consigli….”

C (innertalk): “Qui ci sono sempre io, devo occuparmi di tutto, in fondo

se non ci sono io chi pensa a …, non posso certo uscire per distrarmi un

po’….”

In questi esempi emergono in modo evidente alcuni elementi appresi e

per Rosenberg non naturali che in CNV fanno capo a “tipi di

comunicazione che alienano dalla vita”46. Formulare giudizi e critiche

verso sé stessi o gli altri, dichiarare la propria responsabilità o la colpa

di qualcuno per aver fatto o non fatto qualcosa, pretendere maggiore

collaborazione o presenza con il tentativo, non sempre consapevole, di

innescare sensi di colpa in chi non si sta adeguatamente conformando

alle richieste, sono tutti esempi di un modo “violento” di entrare in

relazione con sé stessi e con gli altri. Ciò che manca nelle interazioni

riportate è senza alcun dubbio l’empatia, ovvero quella capacità di

ascoltare e di accogliere chi è di fronte a noi, i suoi sentimenti ed i suoi

bisogni senza volerlo condurre per forza da qualche parte; ciò che

manca è però anche l’autoempatia, ovvero quella stessa capacità

utilizzata rispetto a sé stessi o ad una parte di sé. 45

C sta ad indicare il caregiver che interagisce con altri (il familiare assistito, altri caregiver o familiari non

caregiver) o parla a sé stesso (dialogo interno o innertalk).

46 Marshall. B. Rosenberg,”Le parole sono finestre oppure muri”, Esserci Edizioni, CAP. 2.

Page 31: Tesi cnv caregiving siaf

30

Nella cornice CNV quelle interazioni, intrise di rancore, giudizi, critiche e

malcelata intenzione di innescare sensi di colpa e vergogna,

rappresentano quello che Marshall B. Rosenberg chiama “linguaggio

sciacallo”47, un linguaggio che rende molto difficile il mantenimento di

relazioni autentiche e costruttive. In quanto caregiver, seppur di

secondo livello, ho sperimentato il dialogo interno sciacallo e ne sono

stata testimone a lungo del mio nucleo famigliare percependone tutto il

carico distruttivo. Non sentirsi adeguati al compito, non sentirsi più che

perfetti quando il ruolo ricoperto e la cultura lo richiedono porta il

caregiver a giudicarsi e ad etichettarsi in modo globale. Possiamo

immaginare uno spazio di cambiamento costruttivo e creativo se siamo

immersi nell’autocritica?

Il linguaggio giraffa, contrapposto al linguaggio sciacallo, si allontana

dai concetti di giusto o sbagliato, appropriato o non appropriato,

adeguato o inadeguato, per avvicinarsi ad un modo di comunicare che

tiene conto, partendo dall’osservazione di quanto si può percepire

oggettivamente con i nostri organi di senso, di ciò che si prova e di quali

bisogni ci guidano nel fare ciò facciamo e nel dire ciò che diciamo

(Fig.3).

Solo in questo modo ci è consentito tener fede alla nostra vera natura di

essere umani uguali gli uni agli altri, al di là di sesso, razza, o

condizione di vita e solo così possiamo gettare le basi per la costruzione

di contesti relazionali nei quali esprimere tutte le nostre potenzialità e

richieste assertive.

47

Marshall .B.Rosenberg, Il linguaggio Giraffa, Ed. Esserci, 2012, pag 10 e seguenti. A scopo didattico

Marshall B. Rosenberg ha rappresentato i processi comunicativi empatici e non empatici tramite il ricorso a

due animali: la giraffa e lo sciacallo. La giraffa mammifero dal cuore grande (benevolenza) e dal collo lungo

(visione ampia ma anche vulnerabilità, riferendosi ad alcune difficoltà che la giraffa ha nel compiere certi

movimenti, per esempio bere).

Page 32: Tesi cnv caregiving siaf

31

Figura 3 - Processo OSBR (Osservazioni, Sentimenti, Bisogni, Richieste)

Nella vita di un caregiver so-stare sulle proprie emozioni e sui propri

bisogni è quasi impossibile. Un caregiver è tale nella misura in cui sosta

nei bisogni degli altri; quando non viene sostenuto e accompagnato

singolarmente o all’interno di gruppi di automutuo aiuto, affronta il

mondo delle sue emozioni e dei suoi bisogni spesso in modo solitario,

disordinato e istintivo conferendo a ciò una nuance emotiva severa o

fragile da cui esso stesso si vede costretto a rifuggire per poter

proseguire nel suo compito; oppure entra in questo mondo di attenzione

benevolmente egoistica48 ormai tardi, quando il burn out ha già fatto la

sua comparsa. La danza giraffa, che invece conferisce valore e dignità

al prezioso mondo interiore, va dunque insegnata in modo che possa

essere danzata anche da soli in quei frequenti momenti di solitudine che

connotano giornate fatta di cure e attenzioni per il proprio famigliare. Si

può pensare di poter offrire empatia quando siamo noi stessi i primi ad

averne bisogno? Possiamo offrire nutrimento se siamo noi stessi

denutriti? La danza giraffa dà al caregiver l’occasione di acquisire risorse

vitali; solo così sarà possibile continuare a donare empatia al proprio

famigliare.

48

“Esiste una forma di egoismo che fa sì che ci si senta talmente soddisfatti da avere molto da dare agli

altri”- Marshall B. Rosenberg in Quaderno di esercizi per imparare a volersi bene – Anne van Stappen,

Vallardi Editore, pag.6

Page 33: Tesi cnv caregiving siaf

32

Una famiglia in noi: fare pace “dentro” con l’approccio I.F.S.

(Internal Family System)

La condivisione delle esperienze tra caregivers sia nei gruppi AMA che

nei social consente di percepire quanto stupore, sorpresa o perplessità

emergono a fronte di inaspettati comportamenti agiti in talune

circostanze. Il caregiver talvolta si domanda come sia possibile anche

solo provare sentimenti di rabbia, frustrazione, irritazione nei confronti

di un familiare in difficoltà e così tanto amato; o come si possa

desiderare di andarsene anche solo per un po’ pur di allentare una

presa che talvolta stringe come una morsa. In quei momenti il caregiver

sperimenta in tutta la sua dirompente verità la connessione con le sue

diverse parti contraddittorie e conflittuali. Frutto di esperienze,

temperamento, modelli educativi queste parti ci rappresentano e con la

loro diversità, danno vita al nostro essere molteplici e nello stesso

tempo unici. Zittire o non prendersi cura di una parte49, giudicandola

inopportuna o pericolosa, se da un lato rimuove o allontana

momentaneamente sentimenti sgradevoli, dall’altra ci fa perdere

l’opportunità far cooperare la “famiglia” che abita in noi; in questa

famiglia interna ogni parte gioca un ruolo ed ogni ruolo assolve, seppur

in modo diverso, al compito di farci vivere al meglio delle nostre

potenzialità. L’IFS50 (Internal Family System), modello del tutto

complementare alla CNV, permette di far colloquiare le parti di noi e di

farle integrare cooperativamente facilitando la ricerca creativa di

alternative emotive e percorsi di pensiero più funzionali e gratificanti. In

questo modo, mettendo cioè al centro della cura le parti che chiedono

attenzione, il caregiver può scoprirne tutto il valore. Anche se

vulnerabili o rabbiose o sfinite, queste parti dicono qualcosa di vitale

perché nostro; nel caregiving possono rappresentare altrettanti

49

Per esempio la parte esausta e desiderosa di leggerezza che reagisce improvvisamente con rabbia ad una

richiesta o la parte che decide con senso di colpa di delegare le cure ad altri caregiver (in caso per esempio

di ricovero).

50 Richard Schwartz, Système Familial Intérieur - Blessures et guérison - Ed.Elsevier Masson, juin 2009.

Page 34: Tesi cnv caregiving siaf

33

campanelli d’allarme che ci informano, per esempio, della necessità di

riequilibrare i tempi della cura appoggiandosi ad aiuti formali più

sostenuti. Se riconosciute nella loro funzionalità (o disfunzionalità) sono

risorse pregiate; la capacità di accoglierle consapevolmente apre le

porte ad una salvifica autoempatia.

CNV e superamento dei sensi di colpa per una progettualità

vitale

Ho sentito molti caregiver esprimersi così: “Ho ricoverato mio marito in

una struttura di sollievo, perché ero esausta dalle cure continue e dal

suo rifiuto ostinato di collaborare. Ed adesso invece di provare sollievo

provo un acuto senso di colpevolezza. Ma allo stesso tempo ho bisogno

di allontanarmi per un po’ dai problemi che erodono la mia serenità.

………Non so più come comportarmi”. Oppure: “Mia moglie è da qualche

settimana in una casa di riposo lontana dalla città in cui vivo. Mi sento

così triste e colpevole di averla ricoverata lì, che vado ogni giorno a

trovarla per farmi perdonare, percorrendo chilometri in autobus o in

treno. Sono esausto. Non godo di nessun senso di sollievo. E quando

torno a casa, la solitudine mi è insopportabile”.

Oppure: ”Ho lasciato mio marito una settimana con la badante che è

bravissima ed è ormai di famiglia. Avevo bisogno di curarmi. Come

starà? Si ricorderà di me quando torno?”

La negazione del diritto di soddisfare i propri bisogni personali ed il

senso di colpa per non essere all’altezza del compito, per il desiderio di

distacco dal malato o per il difficile governo di un equilibrio tra ruoli

diversi (es. caregiver figlia, ma anche moglie, madre e lavoratrice) sono

per il prestatore di cura famigliare una costante. E sono anche, abbiamo

visto, potenziale causa e sintomo del burn out. Pensare “giraffa”, in

questo caso, significa avviare un processo di trasformazione interiore

all’insegna della riappacificazione con se stessi e dell’autenticità. Il

senso di colpa può essere definito a mio parere come il frutto di

Page 35: Tesi cnv caregiving siaf

34

un’operazione di confronto tra ciò che abbiamo fatto o detto e ciò che

una parte di noi ritiene dovesse essere fatto o detto. L’agito e il non

agito sono comunque espressione e voce di un sistema di bisogni

presente nella nostra vita. Nulla è da eliminare e cancellare, tutto va

accolto e ascoltato: nella cornice CNV il senso di colpa non si elimina,

bensì si trasforma in qualcosa di utile.

Processo Eckert Processo Eckert con “rinforzo

autoempatico”

Individuazione situazione

colpevolizzante Individuazione situazione colpevolizzante

Individuazione dei verbi di dovere

(sciacallo interno)

Individuazione dei verbi di dovere

(sciacallo interno)

Individuazione dei bisogni che non

abbiamo soddisfatto a causa della scelta

che ci fa sentire colpevoli

Individuazione dei bisogni che non

abbiamo soddisfatto a causa della scelta

che ci fa sentire colpevoli

Inventario sentimenti negativi provati Inventario sentimenti negativi provati

Individuazione dei bisogni che abbiamo

soddisfatto a causa della scelta che ci fa

sentire colpevoli

Individuazione dei bisogni abbiamo

soddisfatto a causa della scelta che ci fa

sentire colpevoli

Percorso OSBR

Inventari sentimenti positivi provati

grazie alla scelta fatta (rinforzo auto

empatico)

Percorso OSBR

Figura 4 - Processo CNV Eckert con rinforzo empatico (adattamento Valeria Pruzzi)

Anche il senso di colpa ci sta informando del fatto che una parte di noi

ha scelto in virtù di un bisogno in quel momento vitale o sulla scorta

delle risorse che in quel momento avevamo a disposizione. Ecco dunque

che, dietro sentimenti di tristezza, preoccupazione, colpevolezza,

emergono i bisogni che abbiamo cercato di soddisfare facendo quello

che abbiamo fatto; in tal modo quella “nuvola di colpa”51 che ci porta a

pensare ossessivamente ai dettagli del passato limitando così la nostra

intraprendenza, si fa più sottile consentendoci di gustare il senso delle

51

Holly Michelle Eckert, Liberarsi dal senso di colpa, Esserci Edizioni, 2011, pag. 105.

Page 36: Tesi cnv caregiving siaf

35

nostre scelte. Il processo di superamento del senso di colpa, consente

infatti di:

trasformare i sentimenti di colpevolezza in sentimenti positivi;

attutire il peso della critica del nostro giudice interiore

accogliere con benevolenza la nostra parte egoista

farci riconciliare con il passato e con noi stessi

L’approccio CNV per il superamento dei sensi di colpa ci conduce

armonicamente lungo la strada dell’esplorazione del significato profondo

delle nostre scelte poggiandosi saldamente sull’accoglimento dei nostri

bisogni. La CNV trasforma l’o/o in e/e. I pensieri di “dovere” (avrei

dovuto, devo…) lasciano il posto ai pensieri di “possibilità” consentendo

l’acquisizione di una prospettiva diversa. All’interno dei gruppi AMA, o

interiormente ed in solitudine, il processo proposto può dunque

diventare per il caregiver, carico di emozioni dolorose e autocritica, uno

strumento di self help e di benessere.

Page 37: Tesi cnv caregiving siaf

36

CAP. 4

PERCORSI CONDIVISI DI EMPOWERMENT E RESILIENZA.

GRUPPI DI MUTUO-AIUTO CNV IN PRESENZA E VIRTUALI

Dinamiche dell’automutuo aiuto tradizionale e social

Empowerment e resilienza sono le parole chiave del percorso di

protezione e cura di cui un caregiver ha diritto. La sindrome del

caregiver, se così possiamo definire lo stato di fragilità fisica e

psicologica cui un caregiver va incontro dopo un lungo periodo di

assistenza dentro le mura domestiche, può e deve essere fronteggiata

per tempo. In attesa che l’Italia riconosca lo status giuridico del

caregiver, non possiamo che incoraggiare la più alta diffusione di buone

pratiche di sostegno da parte di chi dei caregiver si occupa. Sono

proprio queste pratiche che offrono al caregiver occasioni di auto-

potenziamento (empowerment inteso come aumento di conoscenze e

abilità, autostima, autoefficacia, fiducia e speranza) e di ri-

progettazione della propria vita anche se in un contesto difficile,

doloroso e sfidante (resilienza). Abbiamo già visto52 come i gruppi di

automutuo aiuto rappresentino un setting di sostegno integrato nel

welfare esistente. L’automutuo aiuto si fonda sul presupposto che il

gruppo abbia in sé la potenzialità di promuovere dinamiche di reciproco

aiuto tra i suoi membri; il passaggio dall’essere gruppo all’essere

gruppo di mutuo aiuto non è però scontato. Al di là dell’elemento

strutturale (il gruppo deve essere costituito da un minimo di 3 membri

ad un massimo di 12 e tutti i membri devono avere un problema in

comune), diventa fondamentale creare nel gruppo un clima che

consenta l’apertura e la valorizzazione del contributo di ognuno.

52 Pag. 24

Page 38: Tesi cnv caregiving siaf

37

Figura 5 - Gruppo AMA in azione

Come immaginare in concreto l’approccio CNV nel contesto dei

programmi di caring help attuati tramite i gruppi AMA? Come agevolare,

tramite la danza giraffa, il processo di auto ed etero-terapia insito nel

mutuo sostegno53?I gruppi di automutuo aiuto sembrano, già per la loro

struttura garantire la possibilità di interazione tra i partecipanti che

ascoltano e condividono la narrazione54 della cura. Nelle fasi di

narrazione, base comunicativa del sostegno ricercato aderendo ad un

gruppo AMA55, la propria esperienza da personale diventa comune e le

tante storie, personali e comuni nello stesso tempo, con le innumerevoli

variazioni su un unico tema così tanto conosciuto, danno la possibilità di

ri-conoscersi emotivamente e di apprendere nuovi modi di affrontare

situazioni che altrimenti continuerebbero a sembrare insormontabili56.

L’avvento delle nuove tecnologie e dei social media ha aperto le porte

ad una possibilità di narrazione e condivisione ancora più ampia. Le

comunità virtuali di caregivers57, oltre ad essere contenitori di

conoscenza rispetto alle modalità di gestione della patologia d cui è

affetto il familiare assistito o rispetto a tematiche afferenti la gestione 53

V.Calcaterra, Attivare e facilitare i gruppi di automutuo aiuto,Erickson Centro Studi Edizioni,2013,pag 20

parla di helper therapy facendo riferimento a Riessman, 1965.

54 Magris C., in Ambrosiana, Marzo-Aprile 1997, citato in Storie di Vita, progetto West, Regione Emilia

Romagna, 2004, pag. 11.

55 In questo lavoro note sui gruppi AMA, pag. 24.

56 In questo senso si può parlare di significato terapeutico della narrazione.

57 Decine sono i gruppi d caregivers su Facebook. Particolarmente attivo e dinamico il Gruppo Alzheimer

Tolentino che aperto dal caregiver Andrea Crocetti rappresenta senza dubbio un esempio di gruppo di

automutuo aiuto virtuale.

Page 39: Tesi cnv caregiving siaf

38

della “burocrazia” dell’assistenza, è spesso il primo, magari unico, luogo

di confronto con persone che stanno facendo la stessa esperienza.

Nonostante la non presenza fisica (anzi talvolta proprio grazie a questo)

il social media è palcoscenico di dinamiche tipiche dell’automutuo aiuto;

dialogo, reciprocità, capacità di ascolto ed empatia sono dunque gli

ingredienti di un momento di gruppo - in presenza e virtuale - che, se

impostato e facilitato in modo adeguato, diventa consolatorio e

terapeutico per il semplice fatto di essere luogo della condivisione

emotiva e della conoscenza di nuove possibilità.

Figura 6: Empatia e ascolto reciproco, aspetti chiave dei gruppi AMA e della CNV

Manuale pratico per l’attivazione e la facilitazione di gruppi di

mutuo aiuto caregivers basati sulla CNV

Quest’ultimo paragrafo è dedicato ai facilitatori di gruppi AMA o a chi

volesse guidare un cerchio di pratica CNV per caregivers. Il mio

obiettivo è quello di fornire strumenti e tracce di lavoro (Schede

operative58) ispirate alla CNV da utilizzare nel qui ed ora con il gruppo

in relazione alle emergenze portate da ogni partecipante. L’utilizzo nel

58

Le schede operative sono liberamente ispirate agli esercizi contenuti nell’ampia produzione letteraria di

Marshall B. Rosenberg. Per il superamento del senso di colpa ho rivisto il processo di Holly Michelle Eckert

inserito nel libro “Liberarsi dal senso di colpa- Sei passi per riappropriarsi della propria vita” Ed. Esserci,

2011 inserendo il passo da me chiamato “di rinforzo empatico”.

Page 40: Tesi cnv caregiving siaf

39

gruppo o nel cerchi di pratica, oltre a fornire sostegno immediato, ha

nel contempo il vantaggio di rendere i caregiver autonomi nel loro

utilizzo. All’interno del gruppo di sostegno, setting privilegiato di un

percorso sociale di potenziamento e cura di sé, il caregiver può

apprendere come utilizzare quegli stessi strumenti in modalità self help

nei momenti quotidiani di difficoltà. Alcune schede potranno essere

altrettanti stimoli ed esempi da utilizzare nelle conversazioni a distanza

delle Community social che con serietà e ascolto compassionevole sono

una testimonianza quotidiana del bisogno di reciproco sostegno. Il

linguaggio dell’empatia può infatti essere parlato prescindendo dal

canale comunicativo prescelto (web, telefono, Skype, mail…) e la danza

giraffa ha il dono di essere universale sebbene, nello stesso tempo,

intima.

Page 41: Tesi cnv caregiving siaf

40

Facilitazione di gruppi di sostegno o cerchi di pratica autogestiti

per caregivers secondo l’approccio CNV

SCHEDE OPERATIVE

SCHEDA 1: Formare il gruppo; il quadro dell’interdipendenza alla

luce dei bisogni universali secondo la CNV

Scopi dell’attività:

celebrare la nascita e l’avvio del gruppo

esplicitare la finalità e le regole del gruppo

costruire insieme il quadro dell’interdipendenza alla luce dei bisogni dei partecipanti

iniziare un percorso di familiarizzazione con le categorie dei bisogni secondo la CNV

Il facilitatore coinvolge il gruppo nella condivisione di regole cui attenersi

responsabilmente per consentire la creazione di un clima rassicurante nel quale ogni

partecipante possa sentirsi libero di aprirsi (riservatezza, parlare di sé in prima

persona per avviare processi di responsabilizzazione ed empowerment, critica

abolita).Il facilitatore invita inoltre il gruppo a condividere regole di interdipendenza

(quadro) fondate sui bisogni espressi da ogni partecipante (prima di iniziare questo

momento di lavoro viene fatta dal facilitatore un’introduzione alla CNV; vengono a

questo punto consegnati gli elenchi di sentimenti e bisogni di Marshall B. Rosenberg).

Il facilitatore scrive sul foglio di una flip chart quanto prodotto dal gruppo raccordando

le regole ai bisogni espressi.

Esempio di un quadro dell’interdipendenza:

corresponsabilità; ognuno contribuisce al buon funzionamento del gruppo attraverso

il rispetto delle regole

rispetto reciproco

ascolto silenzio di chi parla

libertà di non intervenire

accoglienza delle diversità

Il foglio scritto rimane appeso al muro quando il gruppo si riunisce nei successivi

incontri. Il facilitatore ricorda che è responsabilità del gruppo negoziare i cambiamenti

del quadro alla luce dei bisogni dei partecipanti.

Page 42: Tesi cnv caregiving siaf

41

SCHEDA 2: L’alfabeto dei sentimenti

Scopi dell’attività:

Rendere il caregiver consapevole dei sentimenti provati nel gruppo e durante le

diverse fasi di una giornata di assistenza al proprio caro

Facilitare l’attribuzione di valore ai sentimenti provati collegandoli ai bisogni

Far sostare i partecipanti sui sentimenti negativi (es. la rabbia) allo scopo di

coglierne la ricchezza

Facilitare un processo di apprezzamento di come ci si sente momento per momento

Iniziare un percorso di familiarizzazione con sentimenti e bisogni universali secondo

la CNV

Il facilitatore invita i partecipanti a nominare e scrivere i sentimenti provati nel qui ed

ora seguendo le lettere dell’alfabeto. Terminato il lavoro propone la rilettura dei

sentimenti nel seguente modo:

F. Quindi tu ti sei sentito (S)….. quando hai visto, sentito…(O).?

Il facilitatore propone di proseguire utilizzando lo stesso procedimento per i sentimenti

provati a casa con il proprio famigliare, proponendo una riflessione sul sentimento

come “sentinella” di benessere (Bisogni soddisfatti) o malessere (Bisogni

insoddisfatti).

Nel caso di sentimenti di sofferenza o rabbia o frustrazione il facilitatore proporrà una

riflessione sul sentimento come risorsa per l’esplorazione dei propri bisogni

insoddisfatti.

Il gruppo potrà procedere con la condivisione di suggerimenti per consentire ai

compagni di viaggio di sperimentare nuove soluzioni e nuove prassi più funzionali ai

bisogni emersi.

Il procedimento risulta estremamente utile per condividere una riflessione sul fatto che

nel crocevia di relazioni del caregiver, ogni individuo vive la stessa condizione.

Page 43: Tesi cnv caregiving siaf

42

SCHEDA 3: TRASFORMARE IL DIALOGO INTERNO

Scopi dell’attività:

Rendere il caregiver consapevole di quanto un dialogo interno critico e giudicante

“alieni dalla vita” e sia espressione di bisogni non soddisfatti

Individuare le ricadute dell’ atteggiamento autocritico sul sistema di relazione

caregiver/famigliare

Apprendere i primi passi della danza giraffa e dell’autoempatia

Il facilitatore invita i partecipanti a soffermarsi su situazioni quotidiane che innescano

giudizi su di sé ed autocritica. La narrazione dei caregivers, cui si darà molto spazio,

consentirà infine al facilitatore di condividere nel gruppo le caratteristiche del

linguaggio sciacallo che se non trasformato nel linguaggio di sentimenti e bisogni

consoliderà nel caregiver sentimenti di vergogna e senso di colpa.

In particolar modo il facilitatore condividerà il significato di:

- etichetta (sono un incapace, non sono in grado di far star meglio mio

marito/moglie/padre/madre…)

- generalizzazione (non va mai bene quello che faccio, succede sempre che…)

- pretesa verso se sé stessi (dovrei fare, dovrei essere, dovrei dire…)

Si inviterà dunque il gruppo ad abbandonare il linguaggio sciacallo per trasformarlo nel

linguaggio dei bisogni attraverso un allenamento sul processo OSBR (Osservazione,

Sentimenti,Bisogni,Richieste)

In tal modo il caregiver sarà accompagnato sulla strada della pacificazione personale

imparando a dare senso ad un agire così facilmente sanzionato.

In questa sessione di lavoro il facilitatore potrà introdurre il tema delle “parti di noi”

richiamando l’IFS (Internal Family System) di R. Schwartz ed il concetto della

“famiglia in noi”; come caregiver, che si prendono cura amorevolmente del proprio

famigliare, possiamo trasferire la stessa compassione a quelle parti di noi stanche,

arrabbiate, frustrate che ci stanno facendo sapere qualcosa di importante. Una volta

riconosciute, le parti di noi di cosa vogliono farci sapere?

Per rendere il clima aperto alla discussione può essere trasmesso il film d’animazione

”Vice Versa “della PIXAR che racconta delle emozioni in noi.

Sarà fatta infine una riflessione sull’impatto del non ascolto e della critica su noi stessi

e sui nostri cari.

Page 44: Tesi cnv caregiving siaf

43

SCHEDA 4: IL CORAGGIO E LA CAPACITÀ DI CHIEDERE SENZA

PRETENDERE

Scopi dell’attività:

Imparare a chiedere aiuto

Imparare a chiedere aiuto senza pretendere

Il facilitatore invita i partecipanti a soffermarsi sui rischi del non accoglimento della

propria vulnerabilità (descrivendo per esempio i rischi del burn out) e su situazioni

quotidiane che hanno innescato conflitti in famiglia con famigliari o con altri cargiver

Scopo della riflessione sulla vulnerabilità è l’aumento della consapevolezza su quanto

possa essere pericoloso il caregiven burden (peso della cura) e su quanto sia salvifico

il domandare supporto e aiuto; la condivisione di situazioni conflittuali ha l’obiettivo di

far riflettere i caregivers sul fatto che molto di frequente il conflitto, che genera poi

tristezza, o rabbia, o frustrazione nasce nel momento in cui le nostre richieste sono

state percepite come pretese e non come richieste.

La sessione si focalizzerà sull’importanza dell’uso di un linguaggio chiaro, concreto, e

positivo accompagnato dalla specificazione dei sentimenti e bisogni di chi parla. Solo in

questo modo la richiesta non rischierà di essere percepita come pretesa.

Ci si soffermerà sull’impatto della pretesa in noi e nell’altro (sottomissione che genera

rancore, ribellione e rifiuto che generano sensi di colpa)

Quindi, partendo dalle situazioni narrate all’inizio, il facilitatore proporrà giochi di ruolo

in coppia in cui entrambi i partecipanti almeno una volta faranno una richiesta con il

linguaggio giraffa.

Es: Cargiver a famigliare che non convive con il caregiver stesso e con il padre affetto

da demenza: “Quando sento che ti rivolgi a me in questo modo, mi sento agitato e

anche sfinita perché avrei bisogno di collaborazione e di una risoluzione pacifica delle

nostre differenze di vedute. Puoi dirmi, se ti senti, cosa ritieni che io possa fare di

diverso anziché dirmi cosa pensi di me?”

Page 45: Tesi cnv caregiving siaf

44

SCHEDA 5: LA DANZA DELL’EMPATIA

Scopi dell’attività:

Ricevere empatia

Fare pratica di empatia nel gruppo

Il facilitatore invita i partecipanti a richiamare alla memoria una situazione critica con

il proprio caro (per es. in caso di aggressività verbale nel momento della messa a

letto). Dopo aver condiviso il senso profondo dell’empatia secondo la CNV

(comprendere i sentimenti e i bisogni dell’altro ponendoci, anche silenziosamente,

sulla sua lunghezza d’onda emotiva) chiedere al gruppo di offrirsi empatia

reciprocamente mettendo l’accento su ciò che è vivo nel momento presente.

Il facilitatore chiede ad un partecipante di poter condividere la sua situazione per una

sessione d’empatia in plenaria. La sessione con un caregiver volontario consentirà al

gruppo di apprendere i passi dell’empatia.

I passi dell’empatia:

1. Presenza (essere silenziosamente “con” i sentimenti dell’altro, senza giudizi,

paragoni, consigli…)

2. Verifica verbale del nostro essere veramente connessi ai sentimenti (es

…”percepisco molta sofferenza quando mi dici che tuo marito ti ha insultato mentre

lo stavi aiutando a mettersi a letto …è forse perché avresti bisogno di rispetto e

riconoscenza per tutto quello che fai ogni giorno per lui da due anni..ho capito

bene?)

3. Stare “con” anche silenziosamente fino a quando non capiamo (osservando anche il

non verbale)che l’empatia è arrivata

4. Verificare chiedendo “c’è altro che vorresti aggiungere?”

5. Se non c’è altro, dare al partner di empatia un ritorno su come abbiamo vissuto

l’esperienza per creare ulteriore connessione e solo se ci viene chiesto possiamo

condividere strategie per rispondere al bisogno.

Al termine il facilitatore divide a coppie per ripetere il processo. È auspicabile che tutti

ricevano empatia.

Page 46: Tesi cnv caregiving siaf

45

SCHEDA 6: LA DANZA DELL’AUTOEMPATIA

Scopi dell’attività:

Imparare a dialogare con se stessi in modo empatico

Prendere coscienza del fatto che sapersi nutrire di auto empatia migliora la capacità

di essere empatici con il nostro caro

Il facilitatore invita nuovamente i partecipanti a richiamare alla memoria una

situazione critica con il proprio caro. Dopo aver richiamato il senso profondo

dell’empatia secondo la CNV (comprendere i sentimenti e i bisogni dell’altro

ponendoci, anche silenziosamente, sulla sua lunghezza d’onda emotiva), fornire ai

partecipante il materiale necessario per prepararsi “la pista di danza dell’autoempatia

(in foto) ”. Il facilitatore chiede ad un partecipante di poter condividere la sua

situazione per una sessione di autoempatia in plenaria;in questo modo, affiancando il

caregiver volontario, verranno ripercorsi passi di danza dell’empatia (scheda 5). Il

facilitatore ricorderà al gruppo che il darsi auto empatia silenziosa produrrà comunque

un allentamento della tensione interiore. Inoltre sostare su sentimenti e bisogni aiuta

a fare richieste (anche a sé stessi) coerenti ed utili.

Pista di danza

Page 47: Tesi cnv caregiving siaf

46

SCHEDA 7: ALLEVIARE I SENSI DI COLPA

Scopo dell’attività:

Condividere il processo CNV di superamento dei sensi di colpa per aumentare la

gioia nel vivere la propria condizione ed il proprio benessere

Il facilitatore chiede ai partecipanti di condividere i sensi di colpa con cui più

frequentemente convive o che procurano maggior dolore.

Prone dunque ad una persona del gruppo di partecipare ad una dimostrazione del

metodo Eckert con rinforzo empatico.

La sessione consentirà di cogliere il senso ed il valore della CNV nelle diverse fasi del

processo consentendo ai partecipanti di poterlo sperimentare anche da soli Esempio:

1. Individuazione della situazione che crea senso di colpa (“mia moglie mi chiama

sempre quando la nostra badante la cambia e io faccio finta di non sentirla”)

2. Individuazione dei verbi di dovere (“dovrei starle vicino, è malata, sono vero

egoista”)

3. Individuazione dei bisogni insoddisfatti a seguito della scelta colpevole (bisogno di

cura e protezione)

4. Inventario dei sentimenti negativi provati (tristezza, vergogna,inquietudine)

5. Individuazione dei bisogni soddisfatti a seguito della scelta colpevole (bisogno di

cura di sé, di riposo, socialità mentre chiacchieravo al telefono con un amico)

6. Inventario dei sentimenti positivi provati (libertà, calma, allegria)

7. Percorso finale OSBR (Quando penso al fatto che mi ritaglio mezz’ora di libertà

quando la badante cambia mia moglie, mi sento sereno e appagato, perché ho

bisogno di socialità, di volermi bene e di libertà di scegliere per me stesso. Voglio

ricordare a me stesso che farlo non toglie nulla all’amore che provo per mia

moglie)

Page 48: Tesi cnv caregiving siaf

47

SCHEDA 8: TRASFORMARE LA RABBIA IN UN’ENERGIA AL

SERVIZIO DELLA VITA

Scopo dell’attività:

Condividere il processo CNV di gestione e superamento della rabbia

Il facilitatore chiede ai partecipanti di condividere alcune situazioni in cui si ha la

sensazione di perdere il controllo per un forte sentimento di rabbia. Dopo aver

ricordato che la rabbia viene solo stimolata da persone e/o eventi, il facilitatore ne

rammenta la funzione vitale. Dietro la rabbia – espressa attraverso il nostro linguaggio

sciacallo - c’è infatti sempre un bisogno che sta aspettando di essere riconosciuto e

che ci sta informando del fatto che stiamo vivendo una situazione che non è al servizio

della nostra vita.. Anche in questo caso la dimostrazione del processo in plenaria

consentirà ai partecipanti di applicarlo in autonomia anche al di fuori del gruppo. Per

rendere più chiare le fasi di lavoro si potranno posizionare di cerchi di cartoncino

caratterizzati dalla S di sciacallo e dalla G di giraffa. Il facilitatore entrando ed uscendo

dai cerchi simulerà una situazione parlando i due tipi di linguaggio; quando sarà nel

cerchio giraffa il facilitatore userà l’espressione “mi sento…..perchè io ho bisogno

di……..” sottolineando il fatto che oguno di noi ha la responsabilità dei propri

sentimenti.

Con la dimostrazione si porrà l’attenzione sul fatto che, proprio nei momenti di

tensione che coinvolgono altri, il linguaggio giraffa predispone chi è intorno a noi ad un

maggiore ascolto e non all’autodifesa. Nel caso in cui lo stimolo arriva da una persona

affetta da demenza, il caregiver verrà invitato ad esplorare comunque i suoi bisogni

associando alla gestione della rabbia il processo di superamento dei sensi di colpa.

Page 49: Tesi cnv caregiving siaf

48

CONCLUSIONI

Il vero amore non è né fisico né romantico.

Il vero amore è l’accettazione di ciò che è, è stato, sarà e non sarà.

Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma

coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.

La vita non è una questione di come sopravvivere nella tempesta, ma di come danzare

nella pioggia.

Kahlil Gibran

Seppur difficile da accettare, seppur invincibile, la malattia di un proprio

caro può comunque offrire infiniti momenti di ri-unione, armonia,

pienezza e significato. Questo lavoro ha inteso porre l’attenzione sui

rischi di un caregiving che, in assenza di spazio per la cura di chi si

prende cura, può trasformare un luogo di compassione e benevolenza in

un contesto di disagio e malessere. Ho proposto la CNV di Marshall B.

Rosenberg come pratica di vita e di benessere, perché alla CNV sono

giunta nella fase più critica del mio percorso di caregiver. Avevo, e ora

ne sono più che mai consapevole, bisogno di sollievo, pace, empatia,

comprensione e ascolto all’interno di un contesto familiare le cui

dinamiche sono nel tempo della malattia profondamente cambiate

proprio in assenza di equilibrio nei carichi di cura. La CNV con la sua

danza giraffa ci dona il bisogno di prenderci cura dei nostri bisogni e di

diventare, in ultima analisi, i caregiver di noi stessi. Acquisire

consapevolezza del mio vissuto di caregiver, dei miei sentimenti e dei

miei bisogni in quanto soprattutto essere umano è stata la strada

maestra per una riconsiderazione generale del mio personale modo di

affrontare la malattia, di alcune dinamiche famigliari complicate, di

alcune relazioni difficili e apparentemente non recuperabili. La

facilitazione dei formatori CNV del Centro Esserci mi ha guidato sulla via

della ricerca di un nuovo equilibrio nell’essere figlia di una caregiver

primaria, caregiver secondaria di mio padre (ed anche di mia madre),

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madre di tre figli, moglie e professionista. Il rinnovato rispetto per me

stessa mi ha condotto (e mi sta conducendo…) verso la cura di alcune

ferite, verso la pacificazione interiore, verso una rinnovata fiducia e

speranza nelle relazioni umane per quanto complicate possano

sembrare. Molto è il lavoro da fare ma il mio rinnovato benessere incide

in modo sistemico nel contesto in cui vivo. L’indicatore è un sempre più

frequente senso di pace, una maggiore tolleranza verso alcune fatiche,

una maggiore capacità di soddisfare i miei bisogni nel rispetto, talvolta

con fatica e con un certo margine di errore, dei bisogni degli altri. I

primi passi nell’uso del linguaggio empatico della CNV e della danza

giraffa in effetti non sono stati e non sono semplici; spesso sembra che

mi manchino le parole o l’armonia dei movimenti. Ogni giorno occorrono

pratica, determinazione e desiderio di migliorarsi scoprendo di volta in

volta il buon sapore della riuscita. Sul palcoscenico del caregiving la

cura di sé, che Marshall B. Rosenberg ha posto al centro del suo

approccio, ha un doppio valore; ha valore per noi stessi in quanto esseri

umani e ha valore per i nostri cari a cui, nell’ultimo tratto della loro

faticosa esistenza, potremo dire ancor più consapevolmente e con gioia

“siamo persone che hanno valore ed io mi prendo cura di NOI”.

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BIBLIOGRAFIA

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SITOGRAFIA

www.alzheimer-riese.it

www.automutuoaiuto.it

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