Terzo appuntamento in questo venerdì con la Via Crucis di ... · Siamo nati e non moriremo mai...

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Terzo appuntamento in questo venerdì con la Via Crucis di chicercate.net, costruita facendo incontrare i racconti della Passione con le notizie della settimana. Le meditazioni oggi sono state scritte da Gerolamo Fazzini. Le immagini che accompagnano le stazioni di questa settimana sono tratte dalla Via Crucis africana dipinta dal gesuita camerunese Engelbert Mveng. I. GESU’ PREGA NELL’ORTO DEGLI ULIVI «Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: “Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare”. E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me”. E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”. Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: “Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: “Padre mio, se questo calice non p

Transcript of Terzo appuntamento in questo venerdì con la Via Crucis di ... · Siamo nati e non moriremo mai...

Terzo appuntamento in questo venerdì con la Via Crucis di chicercate.net,

costruita facendo incontrare i racconti della Passione con le notizie della

settimana. Le meditazioni oggi sono state scritte da Gerolamo Fazzini.

Le immagini che accompagnano le stazioni di questa settimana sono tratte

dalla Via Crucis africana dipinta dal gesuita camerunese Engelbert Mveng.

I. GESU’ PREGA NELL’ORTO DEGLI ULIVI

«Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli:

“Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare”. E presi con sé Pietro e i due figli

di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: “La mia

anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me”. E avanzatosi un

poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: “Padre mio, se è

possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi

tu!”. Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: “Così

non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me? Vegliate e pregate, per

non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”. E di

nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: “Padre mio, se questo calice non può

passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”. E tornato di

nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. E

lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse

parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: “Dormite ormai e riposate!

Ecco, è giunta l’ora nella quale il Figlio dell’uomo sarà consegnato in mano ai

peccatori». (Mt 26,36-45).

«Questo è il culmine della mia testimonianza». Padre Giovanni Innocenzo Martinelli è

il vicario apostolico di Tripoli, in Libia, probabilmente l’ultimo italiano rimasto in quella

terra martoriata. «La mia comunità – ha ripetuto negli ultimi giorni – è qui. Come

faccio a mollare? Sarebbe un tradimento». «Questa – ha aggiunto – è la fine della mia

missione. E se la fine dev’essere testimoniata con il mio sangue, lo farò». Ancora: «In

chiesa sono venuti a dirmi che devo morire. Ho visto delle teste tagliate e ho pensato

che anch’io potrei fare quella fine. E se Dio vorrà che quel termine sia la mia testa

tagliata, così sarà. Anche se Dio non cerca teste mozzate… Poter dare testimonianza è

una cosa preziosa. Io ringrazio il Signore che mi permette di farlo, anche con il

martirio. Non so fino a dove mi porterà questo cammino. Se mi porterà alla morte,

vorrà dire che per me Dio ha scelto così… Io da qui non mi muovo. E non ho paura».

Signore, ti preghiamo: davanti al coraggio di tanti tuoi discepoli che, in molti angoli

del mondo, trovano la forza di consegnarsi al nemico pur di non rinunciare alla loro

fede, donaci occhi limpidi e cuore puro. Ti chiediamo: ci modelli il loro esempio. Prima

di condannare i segni del male che ci attorniano, preghiamo affinché il loro esempio ci

sproni a una testimonianza più genuina e tenace.

II. GESU’ TRADITO DA GIUDA

E subito, mentre ancora Gesù parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici. Appena

giunto, Giuda gli si avvicinò e disse: «Rabbì» e lo baciò. (Marco. 14, 43a.45-

46.50-52)

La Via Crucis di Lacey Spears era diventa famosa su Twitter: per lungo tempo lei

aveva commentato passo passo i problemi di salute del figlio. Ma poi si è scoperta la

menzogna: questa donna di New York aveva consapevolmente tradito il figlio.

Aveva infatti deciso di avvelenarlo, iniettando nel corpo del piccino (5 anni), dosi letali

di cloruro di sodio. Lo faceva attraverso una sonda gastrica, ossia un tubicino che

passando attraverso il naso raggiungeva direttamente lo stomaco del bambino.

Hanno condannato Lacey pochi giorni fa a 25 anni di prigione, per omicidio volontario.

L’accusa – hanno spiegato i giornali – è riuscita a dimostrare come la donna fosse

divenuta totalmente dipendente dall’attenzione che riceveva su Twitter a causa della

malattia del figlio.

Quanti tradimenti, Signore, si consumano ogni giorno per i motivi più diversi!

Si tradisce per soldi, per il potere, per la gloria. Una gloria effimera come quella che

ha assaporato Lacey, che – come Giuda – ha coperto di baci quel bambino che, in

realtà, stava consegnando alla morte.

Signore, insegnaci a non puntare il dito verso nessuno. Nemmeno su Giuda.

Perché il rischio del tradimento, della fuga, della paura fa parte del cammino di ogni

credente.

Colui a cui hai affidato la guida della Chiesa è lo stesso che ti aveva rinnegato tre

volte e tu lo sai.

Signore: insegnaci a fare i conti con la nostra fragilità e il nostro peccato, che ci

accomunano

III. GESU’ E’ AIUTATO A PORTARE LA CROCE DA SIMONE DI CIRENE

Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava

dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù (Luca

23,26)

Augustine Baker non è un nome famoso. Come non lo è stato il Cireneo, tant’è che di

lui sappiamo non il nome ma solo la sua zona di provenienza.

Augustine era un volontario dell’orfanotrofio della St. George Foundation di Freetown,

in Sierra Leone: è morto ai primi di marzo, dopo aver contratto il virus. Proprio ora

che il terribile morbo sembra cominciare ad essere domato.

«Non diceva mai di no – ha ricordato di lui un’amica -. Con il suo zaino in spalla,

un’agenda e la penna, Augustine andava in giro per la città a cercare i bambini rimasti

orfani a causa di Ebola. Sapeva che aiutare questi bambini era un lavoro altamente

rischioso, ma lavorava perché sentiva che era necessario farlo».

Augustine Baker era noto per andare nelle comunità più a rischio di contagio e dove

decine di famiglie erano ormai decimate dal virus.

Signore, nel mondo la presenza del male è ovunque: capillare e contagiosa come un

virus, letale come Ebola.

Eppure, come nella tua via crucis, anche oggi c’è chi si carica del peso della croce

dell’altro, chi non si sottrae alla fatica della condivisione, al rischio della com-passione.

Ti preghiamo: quando passiamo accanto ai crocefissi dei nostri giorni, aiutaci a

dilatare il cuore, a non oltrepassare il ferito, l’abbandonato, l’emarginato.

Facci rallentare il passo, alzare gli occhi dai nostri interessi, prendere sulle spalle non

il dolore del mondo (che solo tu sai portare), ma almeno la sofferenza del fratello che

ci sta accanto.

IV. GESU’ E’ SPOGLIATO DELLE VESTI

I soldati, poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero

quattro parti – una per ciascuno soldato – e la tunica. Ma quella tunica era

senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo, da cima a fondo. Perciò dissero tra

loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la

Scrittura che dice: «Si sono divisi le mie vesti e sulla mia tunica hanno

gettato la sorte». E i soldati fecero così. (Gv 19,23-24)

«Mi hanno trattata come una macchina per fare soldi. Non hanno mai avuto interesse

per quello che volevo, tutto quello che interessava loro era che facessi nascere i

bambini».

Così, in un’intervista durante la quale non è riuscita a guardare negli occhi il reporter

per la vergogna, una donna indiana (che chiameremo Phulmani) ha sintetizzato la

terribile vicenda di cui è stata protagonista fino a pochi giorni or sono.

Dall’età di 13 anni la giovane, oggi 31enne, è stata ridotta in schiavitù e poi costretta

ad accogliere in grembo figli (ben sei, complessivamente) di coppie paganti. I bimbi le

sono stato tolti dopo un periodo di allattamento al seno, normalmente di sei mesi.

Attirata a Delhi con la promessa di un impiego da un procacciatore attivo nel suo

villaggio, la donna non ha mai avuto la possibilità di conoscere i bambini dati alla luce

né oggi ha notizie di loro.

Phulmani appartiene a un esercito di 10mila coetanee, come lei in buona parte tribali

o aborigene, che ogni anno (secondo le stime dei gruppi per i diritti umani) vengono

“esportate” dallo Jharkhand per servire nelle case di cittadini benestanti della capitale

o nei suoi bordelli. Negli ultimi anni, alcune di queste ragazze, povere e senza mezzi,

sono state schiavizzare per farne madri surrogate al servizio di ricchi indiani o di

coppie occidentali.

Signore, ogni giorno, dappertutto nel mondo, migliaia e migliaia di persone vedono

calpestata la loro dignità: operai sfruttati, bambini-soldati mandati al macello, donne

abusate, carcerati privati dei diritti più elementari…

Signore, fa’ che mai ci abituiamo a un mondo dove alcuni si prendono il lusso di

decidere a sorte della tunica di chi ha soltanto quella per coprire la propria nudità.

Aiutaci a ricordare che troppe persone sono spogliate dei loro diritti fondamentali dai

soldati di turno. Fa’ che non partecipiamo mai a questo tragico gioco. Rendici invece

solidali con gli oppressi, con i crocefissi di oggi. E fa’ che, con i nostri poveri mezzi,

lottiamo per la loro autentica liberazione.

V. GESU’ MUORE IN CROCE

A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio.

Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che

significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo,

alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corsa

a rendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fisso su una canna e gli dava da

bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!»

(Matteo 27, 45-49)

C’era tutta Orvieto, hanno scritto i giornali, a salutare, il 2 febbraio scorso, in Duomo,

Elisa Lardani, una donna di 38 anni, morta pochi giorni prima dopo aver dato alla luce

la sua quarta figlia.

Tanti, davanti a quella famiglia straziata dal dolore, si saranno chiesti: «Dio, perché li

hai abbandonati? Perché, Dio, permetti che una mamma muoia mentre compie il

gesto più bello, quello di dare la vita?».

Poi è stata la volta della testimonianza del marito, infermiere, che si trovava con Elisa

in sala parto. «Da quando è accaduto – ha detto – mi ripeto: “A testa alta, fino in

fondo”. Chi corre sa che non si guardano i piedi. Portando la bara di Elisa, ho capito

perché “a testa alta, fino in fondo”. Perché a testa alta ho visto Lui. È la mia forza, il

mio coraggio. Non è molto ortodosso, ma vorrei citare una canzone di Jovanotti che a

noi piace molto: l’eternità è un battito di ciglia. E noi siamo fatti per l’eternità. Chiara

Corbella ce l’ha insegnato con la sua testimonianza. Siamo nati e non moriremo mai

più. Noi abbiamo scelto di guardare in faccia la vita e scommetterci, senza paura.

Abbiamo scelto di amare fino in fondo».

Signore, grande e impenetrabile è il Mistero della croce. Lo è stato anche per te.Sulla

Croce, tu, Figlio di Dio, hai levato un grido verso il cielo, un cielo che forse – per un

attimo, chissà – t’è parso vuoto…Signore, davanti a una morte come quella di Elisa e a

quella di tanti altri innocenti, concedici il diritto di non capire, la voglia di ribellarci.

Concedici la possibilità di urlare il nostro dolore, di non tenercelo dentro, come un

liquido velenoso che corrode le viscere.

Ma dacci pure la forza – che è solo tua – di alzare gli occhi verso il Padre, che non

vediamo, ma che sappiamo essere misteriosamente presente e partecipe ai tanti

drammi di ogni tempo, ai mille Golgota di oggi.

Dacci il coraggio di amare sino in fondo, anche quando non si capisce perché venga

chiesto un prezzo così alto all’amore.

Quando il dubbio ci assale, ricordaci quanto hai detto tu: “Non c’è amore più grande:

dare la vita per i propri amici”.

VI. GESU’ E’ DEPOSTO DALLA CROCE

Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla

croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato – chiesero

a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero

dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati

crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto,

non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il

fianco, e subito ne uscì sangue e acqua (Giovanni 19, 31-34)

Sono passate diverse settimane. Ma, ancora, della salma di mons. Cosma Shi

Enxiang, vescovo cinese di Yixian (Hebei) non si hanno notizie certe.

Alcuni sostengono sia morto in carcere, altri addirittura che mons. Shi sia perito

almeno due anni fa. Fonti ecclesiali spiegano che il governo cinese ha proibito ogni

informazione al riguardo e si rifiuta di dare indicazioni sul luogo e sulla situazione di

mons. Shi, rendendo impossibile sapere se il vescovo di Yongnian sia vivo o morto.

Nato nel 1922, mons. Shi è stato in prigione per più di 50 anni.

L’ultima volta l’avevano arrestato a Pechino in casa di sua nipote. Il 13 aprile del

2001, un Venerdì Santo. Da allora non si sa più niente di lui.

Signore, non c’è forse dolore più grande di quello di una madre privata della possibilità

di piangere il figlio che le è stato ucciso.

Come monsignor Shi, moltissime persone, nei diversi continenti, spariscono

letteralmente. Senza lasciar traccia. Senza un corpo che i parenti possano

abbracciare.

I nomi di costoro, però, sono scritti nel cielo. Anzi, come recita la Scrittura, i loro nomi

sono incisi sulle tue palme. Tu li conosci, ricordi i loro nomi, sai le loro storie.

Signore, ti affidiamo tutti coloro che muoiono e non hanno chi li possa piangere. Sei tu

l’unica loro consolazione.

VII. IL CORPO DI GESU’ E’ DEPOSTO NEL SEPOLCRO

Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e o depose nel suo

sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande

pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò. Lì, sedute di fronte alla tomba,

c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria (Matteo 27, 59-61)

Per la prima volta un barbone è stato sepolto in Vaticano.

Willy – questo il nome del clochard – era conosciuto dai gendarmi e dalla guardie

svizzere del portone di Sant’Anna, dagli abitanti dei borghi nei dintorni del Vaticano,

nonché da molte suore e prelati.

Di origine fiamminga, Willy aveva un’ottantina d’anni e seri problemi di salute; da

decenni viveva da clochard, andando a dormire sotto la rampa che porta al Gianicolo.

Monsignor Americo Ciani, canonico della basilica vaticana, appassionato di pittura,

l’aveva persino ritratto: era diventato suo amico e da qualche tempo si era accorto

della sua assenza. Intervistato alla tv, Ciani ha detto di Willy: «Aveva una forza

interiore dovuta proprio alla comunione con Dio, tanto che diceva: “La mia medicina è

la comunione”. A tutti chiedeva: “Ma lei da quanto tempo non fa la confessione?

Guardi che per andare in Paradiso bisogna confessarsi, riconciliarsi con Dio”».

Signore, quando sei entrato nel sepolcro hai avuto due donne a vegliarti. Una grande

pietra ostruiva l’ingresso del sepolcro. Ma loro erano là, certe della tua Parola. Sicure

che, il terzo giorno, la Morte avrebbe ceduto il passo.

A noi, pellegrini incerti in questa valle di lacrime, regala la salda speranza di vedere

l’alba della Resurrezione. Dacci il coraggio di vegliare e di attendere l’alba anche

quando tutto intorno parla di notte, di morte, di sconfitta.

Tu, il Crocefisso Risorto, donaci la grazia di tenere desto il cuore. Perché il mattino del

Terzo Giorno non ci trovi impreparati. Così sia.

Gerolamo Fazzini (Verona 1962) è giornalista, appassionato di temi religiosi ed internazionali.

Oggi è consulente di direzione per Credere e Jesus, oltre che editorialista di Avvenire.

Fondatore del sito MissionLine.org, è stato per anni direttore editoriale di Mondo e Missione. In

passato ha diretto il settimanale Il Resegone, a lungo voce di Lecco, la città dove abita con la

moglie e due figli. È autore di alcuni libri, l'ultimo «Scritte col sangue. Vita e parole di testimoni

della fede del XX e XXI secolo» (San Paolo, 2014).