Cerveno_Santuario della via Crucis

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CERVENO - SANTUARIO DELLA VIA CRUCIS

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Restauro delle prime quattro stazioni

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Realizzato nell’ambito del Progetto Integrato d’Area “Lungo i crinali” realizzato grazie ai finanziamenti di:

Con il contributo di

Parrocchia di Cerveno (Brescia)

Unione Europea Regione Lombardia Repubblica Italiana FESR: Fondo Europeo di Sviluppo Regionale

Consorzio Comuni B.I.M.di Valle Camonica

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Presentazione 7

Intervento Parrocodi Don Giuseppe Franzoni 11

Comunità Montanadi Simona Ferrarini 15

Sovrintendenzadi Giovanna Paolozzi Strozzi 17

La Via Crucis di Cervenodi Eugenio Fontana 25

Beniamino Simoni e la “Fabrica de le statue”di Marco Albertario 85

Credits 92

L’ intervento di restauro 44

LE SCULTURE LIGNEE E GLI STUCCHI - Eugenio e Luciano Gritti, Giovanna Jacotti 47

I DIPINTI MURALI - Gabriele Chiappa e Alessandra Didoné 63

POLICROMIE DELLE SCULTURE E DELLE DECORAZIONI PARIETALI

DELLA VIA CRUCIS: TECNICHE ESECUTIVE - Fabio Frezzato

CANCELLETTI DI PROTEZIONE - Franco Blumer 77

RILIEVO TRIDIMENSIONALE DELLE SCULTURE - Aurelio Sandal Marengoni 81

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Questo volume ha il compito di illu-strare il restauro delle prime quattro Cappelle della Via Crucis del San-

tuario di Cerveno.Risulta però necessario un prologo.Infatti questo restauro è il risultato di un percorso tortuoso, complicato e ricco di figure quasi quanto il complesso della Via Crucis.Tutto iniziò alla fine dell’anno 2006, quando Giovanna Jacotti, Eugenio e Luciano Gritti si recarono a Cerveno per incontrare il Parro-co Don Guido Menolfi e l’architetto Mario Gheza.L’idea dei tre restauratori era intrigante e un po’ folle. Chiesero il permesso di poter prepa-rare un progetto per il restauro delle Cappelle e si impegnarono anche a ricercare i fondi neces-sari per gli eventuali e futuri lavori.Ottenuto l’assenso venne redatto un progetto che comprendeva chiaramente anche le parti affrescate, per le quali si impegnò la restauratri-ce Adele Trazzi e le antelle metalliche affidate a Franco Blumer.In quegli stessi giorni il Professor Marco Vita-le, economista bresciano grande appassionato d’arte, visita il Santuario di Cerveno e intu-isce la necessità di un intervento di restauro e della valorizzazione dell’intero complesso. Il 26 giugno 2008 fonda con Mario Parolini, Emilio Chini, Gianfranco Bellicini, Amedea Bossi, Alberto Cobelli, Giovanna Maria Gelpi, Loredana Rivadossi e Gianfranca Rossetti l’As-sociazione Le Capele.In poco tempo l’Associazione riesce a reperi-re i fondi per intervenire sulle prime quattro Cappelle.

I fondi provengono dalla Regione Lombardia, dall’8 per mille dello Stato e dalla Comunità montana.L’iter tecnico nel frattempo viene completato con il rilascio delle autorizzazioni. Dappri-ma quello della Curia di Brescia rilasciato dal Delegato Vescovile Mons. Federico Pellegrini e successivamente della Soprintendenza per i Beni Artistici Storici e Etnoantropologici di Mantova, Brescia e Cremona.Gli Ispettori che seguiranno dall’inizio i lavori sono la Dott.ssa Rita Dugoni e la Dott.ssa Renata Casarin, con la guida inizialmente del Dott. Filippo Trevisani e successivamente del Dott. Casciu, Sovrintendenti a Mantova.Con il passare dei mesi cambiano anche alcuni protagonisti della vicenda.Don Guido Menolfi lascia Cerveno e viene sostituito da Mons. Angelo Bassi.Anche nel gruppo dei restauratori, che si as-sociano in un consorzio denominato Indaco, Alessandra Didonè e Gabriele Chiappa sostitui-scono Adele Trazzi.Nel 2010 iniziano ufficialmente i lavori con le fasi di studio e analisi.Dal punto di vista chimico-scientifico si av-vicendano due figure. Dapprima interviene Curzio Merlo. Successivamente si rende necessario completare lo studio delle stratigrafie dello strato pittorico e questo intervento viene affidato alla Palladio ed in particolare a Fabio Frezzato.Per un ulteriore parere viene anche contattato l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Ver-ranno a Cerveno i restauratori Maria Cristina Gigli e Fabrizio Bandini.

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Viene deciso di effettuare una scansione in 3D tramite macchina laser dei pavimenti delle quattro Cappelle e di tutte le sculture presenti. Si occupa dell’operazione l’Arch. Aurelio San-dal Marengoni.Si verificano due cambiamenti.La Dott.ssa Giovanna Paolozzi Strozzi diventa il nuovo Sovrintendente a Mantova.Nuovo avvicendamento in Parrocchia. Si ritira Mons. Angelo Bassi e diventa nuovo Parroco di Cerveno Don Giuseppe Franzoni.Nel frattempo i lavori proseguono in vista del termine di consegna previsto per la fine dell’anno 2013.Gli ultimi mesi del cantiere vedono un ultimo avvicendamento.Il dott. Stefano Loccaso viene incaricato di seguire il restauro in sostituzione della Dott.ssa Rita Dugoni.Da queste poche righe si capisce quante sono le persone che hanno, a vario titolo, contribuito alla realizzazione della prima parte di questo progetto.Non ci sono classifiche, ci sono solo ringrazia-menti e una speranza.Quella di poter continuare.

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Carissimi, al mio arrivo nel novembre 2011 come parroco a Cerveno, tra i parroc-

chiani e l’Associazione “Le Capèle” si parlava di quando e come sarebbe iniziato il restauro delle prime quattro Cappelle della “Via Cru-cis”. E dopo un po’ di mesi finalmente, nell’a-gosto 2012, si dava inizio al restauro che si è concluso alla fine del dicembre 2013. Ma se questa è, brevemente, la cronaca dei fatti, in questi anni alcune domande mi sono frullate nella testa: perché gli antenati della mia parrocchia avevano deciso di costruire le “Capèle” della Via Crucis? Come i miei par-rocchiani, oggi, vedono questa grandiosa opera d’arte? Quale scoperta, ma soprattutto quale messaggio nuovo ci avrebbero consegnato le “Capéle” restaurate?

Alla prima domanda la risposta è stata affidata, già da diversi anni, a tanti studiosi e ricerca-tori, che ci hanno lasciato le loro riflessioni in stupende pubblicazioni e libri di grande sa-pienza. A me, parroco del terzo millennio, sta a cuore capire anche quale messaggio comu-nica la “Via Crucis” di Cerveno, oggi, ai miei parrocchiani e a quelli che vengono a far visita devozionale.

Innanzitutto ho raccolto delle testimonianze molto semplici e silenziose, ma importanti: donne e uomini che regalano un po’ del loro tempo per spolverare le statue e pulire i luoghi dove sono collocate: non è cosa da poco perché le statue sono tante e fa piacere trovare sempre tutto a posto! Ho visto parrocchiani che so-vente sostano a fare un po’ di “compagnia” alle statue e a meditare sul grande mistero di Gesù

che dona la vita per noi e, così facendo, sono anche dei validi custodi della tradizione, della devozione popolare e delle stesse “Capèle”.

Ho colto nei parrocchiani l’insistenza ed il desiderio di celebrare la Via Crucis dei vener-dì di Quaresima, accompagnati e sollecitati dai messaggi espressivi che le statue e le scene ci comunicano: pregare con una scenografia che ci porta idealmente nei luoghi sacri della Palestina e con scene che raffigurano, anche plasticamente, le sofferenze degli eventi della Passione è certamente un bell’aiuto. Abbiamo tutti nel cuore la straordinaria po-tenza emotiva della rappresentazione della “Santa Crus” del decennale, come la, ormai tradizionale “Via Crucis” da Losine a Cerve-no durante la quarta domenica di Quaresima, con un cammino condiviso da persone di ogni provenienza, che ha il suo culmine proprio al santuario della Via Crucis. Ho visto la disponibilità di persone pronte ad accogliere i gruppi che vengono dall’esterno: dal gesto più semplice di accogliere ed ospitare, al servizio competente di illustrare la storia del-le “Capéle”. Ma quello che fa gioire il cuore, è che la maggior parte dei gruppi vengono più da pellegrini che da visitatori e chiedono anche di celebrare la Via Crucis; e tante volte sono accompagnati dai loro sacerdoti o religiosi/e, che fanno da guida, soprattutto spirituale, nel vivere il momento di Pellegrinaggio devozio-nale. Voglio condividere i sentimenti che ho provato dopo il restauro delle prime quattro “Capéle”. Tutti, penso, abbiamo notato che le Stazioni restaurate sono più luminose, non per gli effetti

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dell’impianto elettrico (che non faceva parte dell’intervento), ma perché andando a recupe-rare le pitture e i colori precedenti, abbiamo scoperto scenografie un po’ diverse e colori più vivaci; le statue hanno recuperato la loro ori-ginale espressione e questo, non ha modificato il loro messaggio, ma lo ha riproposto aggior-nato e più forte che mai. Non sono un esperto in arte, ma come sacerdote mi sento di poter dire, con certezza, alcune cose: queste quat-tro “Capèle” ci suggeriscono che il cammino della croce è un cammino di ombre e di luci, è provato dalla sofferenza ma ci proietta verso la speranza che non delude!

E allora, a me stesso, ai miei parrocchiani e a chi visiterà la “Via Crucis” di Cerveno, sugge-risco: visitiamo le “Capèle” lasciandoci coin-volgere dalle scene, dai personaggi e lasciamo che essi ci suggeriscano, secondo le loro proprie espressioni e colori, preghiere di perdono o di lode a Dio che ci ama fino donarci la vita di suo Figlio in croce.

Permettetemi infine di ringraziare tutti i parrocchiani, gli Enti Pubblici e tutti quelli che hanno permesso di avviare il restauro della “Via Crucis”. Sono certo che questa cordata di solidarietà continuerà fino ad ultimare il restauro di tutto il ciclo scultoreo e pittorico delle “Capele” e dell’intero Santuario che le contiene.

Grazie di Cuore. A tutti!

Don Giuseppe Franzoni

PARROCO DI CERVENO

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L’intervento di restauro della prime quattro cappelle del Santuario della Via Crucis di Cerveno rientra nel più ampio

progetto denominato “Lungo i crinali” promosso dalla Comunità Montana di Valle Camonica, e finanziato con i fondi europei e regionali del Programma Operativo FESR 2007-2013 – Asse IV, che hanno sostenuto un articolato program-ma composto da più di 30 progetti di restauro, tutela e valorizzazione del patrimonio storico e artistico del territorio camuno. Un programma ambizioso, che ha affiancato l’azione di sistema promossa dal Distretto Culturale di Valle Ca-monica, nella gestione degli interventi e nella promozione di azioni innovative per costruire la nuova destinazione turistica della Valle dei Segni.

Il restauro del Santuario della Via Crucis è stato fortemente voluto dalla comunità di Cerveno, ma anche da tutto il territorio della Valle Ca-monica, per l’importanza del sito, per il valore artistico delle sculture lignee, per la grandezza del suo principale autore, Beniamino Simoni, riconosciuta ormai universalmente.

Era quindi inevitabile che il percorso per il re-stauro delle prime quattro cappelle, avviato con caparbietà dalla Parrocchia e dall’Associazione “Le Capéle” di Cerveno, incontrasse la volontà degli Enti comprensoriali, e poi l’attenzione della Regione Lombardia, della Presidenza del Consiglio, di Fondazione Cariplo, per concre-tizzarsi in un intenso lavoro di lettura, pulitura, ricostruzione dell’opera di Simoni in Valle Ca-monica.

I risultati sono per certi versi stupefacenti, e ci

restituiscono la forza, e nel contempo una nuova eleganza classica, dell’opera di Beniamino Simo-ni, e la complessità metodologica e tecnica di un intervento di restauro che ha interessato non solo le statue, ma anche gli affreschi, le murature, le cancellate, con il posizionamento di dispositi-vi di illuminazione, di sicurezza, ecc.

Siamo però solo agli inizi e una nuova volontà deve spingere la Parrocchia di Cerveno e tutti gli Enti territoriali a completare l’intervento di restauro dell’intero Santuario, per riconsegnarlo alle tante comunità della Valle Camonica. Ma non solo: tutti insieme dobbiamo lavorare alla valorizzazione di questo straordinario sito, che può dare molto alla promozione turistica di quei percorsi dell’arte e della spiritualità che stanno riempiendo di contenuti e di nuove sug-gestioni questa Valle dei Segni.

Simona Ferrarini

PRESIDENTE DEL DISTRETTO CULTURALE

DI VALLE CAMONICA

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Giovanna Paolozzi Strozzi

Il Santuario della Via Crucis di Cerveno esprime il profondo spirito religioso di un popolo. Si tratta di un progetto corale che

stupisce per la sua imponenza: centonovantotto statue di legno e stucco a grandezza naturale che animano le quattordici cappelle inserite nel lungo corpo architettonico del Santuario addossato alla chiesa parrocchiale. L’esecuzione del complesso è stata portata avanti per circa trenta anni con costanza e determinazione dai sacerdoti che, dalla metà del Settecento, si sono susseguiti a capo della parrocchia, spinti dalla volontà della popolazione delle valli: da Cer-veno alla Val Camonica tutta, dalla Valtellina fino alle valli bergamasche infatti giunsero i fondi per questa monumentale realizzazione.La Soprintendenza che dirigo ha seguito il cantie-re di restauro delle prime quattro cappelle oggi concluso: le diverse tipologie materiche costitu-tive delle opere oggetto dell’intervento hanno reso necessaria l’istituzione di un consorzio di ditte di restauro con specializzazioni diverse e soprattutto un approfondimento conoscitivo non solo dei materiali stessi (pigmenti, intonaci ecc.) ma anche del loro stato conservativo con-dotto, prima dell’apertura del cantiere, dall’O-pificio delle Pietre Dure di Firenze. La com-plessità dell’intervento, riguardo in particolare la situazione strutturale dell’architettura che ospita il complesso scultoreo, ha inoltre portato ad un confronto continuativo con la Soprin-tendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici competente. L’inizio lavori ha visto l’impegno del Soprintendente Stefano Casciu in collabo-razione con il funzionario responsabile Rita Dugoni a cui è succeduto Stefano L’Occaso

che ha portato a buon fine l’intero intervento. L’impegno economico profuso fino ad oggi dagli Enti e Istituti che hanno reso possibile questo straordinario recupero ci auguriamo possa proseguire con la stessa costanza e deter-minazione che contraddistinse la realizzazione di questo complesso settecentesco veramente unico.

SOPRINTENDENTE BSAE

DI MANTOVA, BRESCIA E CREMONA

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IPIANTA PRIMO LIVELLO

Via Crucis

CAPPELLE

I 8 sculture in legno, 2 in stucco a tuttotondo, 4 in stucco a bassorilievo

II 5 sculture in legno, 5 in stucco a tuttotondo, 2 in stucco a bassorilievo

III 5 sculture in legno, 4 in stucco a tuttotondo, 3 in stucco a bassorilievo

IV 5 sculture in legno, 6 in stucco a tuttotondo, 8 in stucco a bassorilievo

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Santuario della Via Crucis

Interno (Veduta d’insieme).

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LA VIA CRUCIS DI CERVENOdi Eugenio Fontana

Un’espressione artistica - quella della scultura lignea - rifiorita sicuramente nel clima della Controriforma e dei suoi canoni liturgici, saldamente radicata nella tradizione alpina, ha trovato anche in Vallecamonica1 il suo sbocco e la sua manifestazione negli

scenografici e patetici Compianti, nei paliotti, nelle ancone e nelle soase degli altari, nei banconi, nei sedili, negli armadi di sagrestia, e in quegli apparati teatrali che sono state le macchine dei Tridui (famosa tra tutte quella di Malonno)2. Ogni chiesa presenta opere di alta qualità artistica tanto da fare della Valle «una delle zone italiane più importanti e ricche»3. A conclusione di un percorso artistico, iniziato nel Quattrocento con i maestri altoatesini e in Brescia da Stefano Lamberti, ricco di autori e botteghe (si pensi alla dinastia dei Ramus di Edolo ma anche alle botteghe di Giuseppe Bulgarini, di Giovanni Batista Zotti, di Giovanni Battista Piccini per non dire dei più famosi Fantoni di Rovetta), che è stato capace di inventare un linguaggio colorito e ricco di suggestiva e perfino allucinata espressività baroc-ca e controriformista, si pone, come monumento unico, recitato e rappresentato, drammatico e spet-tacolare, sorretto da una sapiente regia, la Via Crucis di Cerveno e delle sue Cappelle che si collocano sulla linea di una continuità ideale, per temperamento e soluzioni formali, con quell’altra e non meno drammatica e spettacolare e “cagnaresca” (al dir di Testori), seppur non ancora istituzionalizzata nelle sue canoniche quattordici stazioni, Via Crucis del Romanino in Santa Maria della Neve a Pisogne.

1Ottima e recente pubblicazione su questa scultura è il libro di Virtus Zallot, Sculture d’artificio. Altari barocchi in legno dell’Alta Valle Camonica, Distretto Culturale di Valle Camonica / Compagnia della Stampa Massetti Rodella Editori, Roccafranca 2013.

2Sulle macchine dei Tridui si veda la pubblicazione a cura di Ivana Passamani Bonomi, Il disegno dei Tridui. Il tempo e la memoria nello spazio della Chiesa, UBI Banca di Val Camonica, Tipografia Camuna, Breno 2009.

3Giovanni Vezzoli, Introduzione a Sculture lignee in Valle Camonica, Tipografia Camuna, Breno 1981, pag. 13. Questa pubblica-zione è preziosa per le biografie degli scultori e per le puntuali schede descrittive di cui sono autori lo stesso Vezzoli e Pier Virgilio Begni Redona. Una buona base è costituita dal capitolo della Storia di Brescia, della Fondazione Treccani, Morcelliana, Brescia 1963, vol. III, La scultura lignea nel territorio bresciano di Giovanni Vezzoli, pagg. 482-508.

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La Via Crucis - o più semplicemente nella denominazione popolare le Capèle di Cerveno - è l’opera più nota e più discussa di B e n i a m i n o S i m o n i (1712-1787)4. Le principali tappe cronologiche della commissione e della realizzazione sono state fedelmente affidate al Libro mastro A e al Libro mastro B dell’Archivio parrocchiale di Cerveno, pubblicati in parte da Paola Pierattini5 e da Anna Maria Lorenzoni e Anna Maria Mortari6.

1. Sembra che la prima idea sia stata di don Pietro Belotti, di Villa Dalegno, e parroco di Cerveno dal 1692 al 17327, e fratello di quel don Bartolomeo, parroco di Zone, che aveva ordinato ad Andrea Fantoni il Compianto della sua parrocchiale. Ad infervorare la mente di don Pietro deve essere scattata, oltre allo zelo sacerdotale in tema di indulgenze, una qualche particolare circostanza: magari anche una rivalità con Breno che da tempo immemorabile coltivava il sogno di avere in casa un Sacro Monte8 e infatti trasformava l’antica parrocchiale di San Maurizio in santuario della Via Crucis9. Di fatto, proprio durante il parrocchiato di don Pietro Belotti, Andrea Fantoni aveva realizzato capolavori a Cerveno: nel 1702 la Crocifissione, la Morte e la Deposizione dalla croce nelle tre specchiature del taber-nacolo all’altar maggiore; nel 1704 la grandiosa ancona in forma ovale dell’altar maggiore; nel 1710 il Cristo deposto; nel 1711 la bella elegantissima statua dell’Immacolata o «Madonna Grande»; nel 1717 l’Adorazione dei Magi nel paliotto dell’altare del Rosario e il paliotto dell’altare di Sant’Antonio raffi-gurante l’Incontro di San Paolo Eremita e Sant’Antonio Abate; il Cristo deposto all’altare del Santo Sepolcro.

2. Morto don Pietro, il suo successore, don Andrea Boldini di Saviore, parroco dal 1732 al 1750 (allorché fu promosso arciprete di Rogno), avrebbe contattato il compaesano (che compaesa-no non era) Beniamino Simoni che lavorava in Brescia: ma è un’ipotesi. Non è un’ipotesi l’incarico conferito al Simoni dal nuovo parroco don Giovanni Gualeni, parroco dal 1750 al 1760 (anno in cui fu promosso arciprete di Edolo-Mu): egli iniziò la «fabbrica delle nove Capele della Via Crucis al primo gennaio 1752». Per la raccolta delle offerte in tutta la Valle si assunse anche una persona che si incaricasse di farlo, subito battezzato il Romito de le Capele de Servé.

4Dopo la guida sobria e tutt’altro che imprecisa, di don Giacomo Gasparotti, La chiesa parrocchiale e il Sntuario della Via crucis di Cerveno, Tipografia Camuna, Breno 1949 [quarta edizione 2011], nel 1976 è apparso il saggio che ha smosso, per così dire, le acque: Giovanni Testori, Beniamino Simoni a Cerveno, Grafo Edizioni, Brescia 1976: saggio davvero “testoriano” e perciò poe-ticissimo e virulento - «un crepitio di vocaboli» - nel presentare l’opera di Simoni come il manifesto della rivolta dei bovinanti e dei boassosi contro la piramida ecclesiale. I prodromi di questa lettura sono nell’approccio complessivo del Testori all’arte di Gaudenzio Ferrari e dei Sacri Monti, all’arte del Ceruti, evidenziando la contrapposizione, allora molto di moda, tra lingua e dialetto. Non rimaneva che arare il campo della rigorosa ricostruzione filologica del percorso dell’artista “bressano”, come han-no fatto Gabriella Ferri Piccaluga nel saggio «Beniamino Simoni. Problemi linguistici e attributivi», apparso su «Quaderni Camuni» ed ora in Il confine del Nord, La Cittadina, Boario Terme, s. d,, pagg. 73-92, e Fiorella Minervino, Beniamino Simoni, Electa, Milano 2000. Pregevole lettura è quella di Gianfranca Martinenghi Rossetti, Il legno e la Passione. Beniamino Simoni e la Via Crucis di Cerveno, Compagnia della Stampa. Masetti Rodella Editori, Roccafranca, s. d. La Martinenghi fa il di Cristo il «vero protagonista della vicenda», «nobile e delicato nei lineamenti e nella figura, altamente compreso della missione che si compie attraverso la sua passione». Dal punto di vista teologico ha perfettamente ragione. Ma a Simoni non interessava rappre-sentare un discorso teologico. Che il Volto Santo sia «la punta più alta dell’arte di Beniamino Simoni» è affermazione molto discutibile. E altrettanto discutibile è la tesi del contributo di Gianfranco Bondioni, Beniamino Simoni: una interpretazione. Arte e potere nella Via Cruscis di Cerveno, in «Itinera», n. 8, febbraio 2009, per il quale Il Santuario fu voluto per fini «eminentemente persuasori». Non aiutano alla comprensione del capolavoro di Simoni né il populismo né il devozionalismo.

5Paola Pierattini, Documenti e bibliografia nel citato volume di Testori.

6Anna Maria Lorenzoni-Anna Maria Mortari, “Libro del registro della Fabricha delle nove capele de la Via Crucis in Cerveno” nel volume della Minervino.

7Un anno prima della morte, don Pietro aveva chiesto e ottenuto da Roma in data 16 gennaio 1731 il privilegio dell’acquisto della Sante Indulgenze annesse alla pia pratica della Via Crucis e al luogo dove essa si compie.

8Romolo Putelli, Le chiese di Valcamonica, I, Tipografia Camuna, Breno 1909, pag. 49.

9E’ la tesi, molto ben argomentata, di Gabriella Ferri Piccaluga nei saggi su «Beniamino Simoni», cit., pagg. 77-81, e su S. Maurizio: «L’ex “Santuario della Via Crucis” in Breno», in I Fantoni e il loro tempo, «Atti del Convegno di studi Bergamo 8-9 set-tembre 1979», Istituto universitario, Bergamo 1980, pagg. 144-175.

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3. E dal gennaio 1752 Simoni si stabilì a Cerveno con la famiglia e vi lavorò per più di otto anni. Il Libro mastro A registra ogni spesa, anche la più minuta, e ogni pagamento. Secondo le note di questo libro, ovvero secondo le note di pagamento, le stazioni furono realizzate con questa successione: nel 1752 l’XI [Gesù inchiodato alla Croce], nel 1753 la XIII [Gesù deposto dalla croce], nel 1754 la I [Gesù condannato a morte da Pilato] e la XII [Gesù innalzato sulla croce], nel 1755-57 la II [Gesù riceve la croce sulle spalle] e la III [Gesù cade per la prima volta], nel 1757-59 la IV [Gesù incontra sua madre], la V [Gesù aiutato dal Cireneo a portare la croce], la VI [Gesù asciugato dalla Veronica] e la VII [Gesù cade sotto la croce la seconda volta].

4. Il rapporto col Simoni (salvo un saldo del 1760) si conclude nel 1759 dopo la consegna di figure destinate alle stazioni VII, IX e X, e si conclude non per contrasti ideologici, ma probabilmen-te per ragioni di soldi, essendo lo scultore molto richiesto dal mercato ed essendo di conseguenza i suoi prezzi superiori a quelli praticati dagli stessi Fantoni10. Altro che artista misero e maledetto. È del primo novembre 1763 la diplomaticissima lettera del nuovo parroco don Bortolo Bressanelli (che

10Gabriella Ferri Piccaluga, Beniamino Simoni, cit., pagg. 81-83.

Terza stazione “Gesù cade la prima volta” (Particolare).

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aveva fatto il suo ingresso in Cerveno il 26 luglio 1761) ai «Signori Fantoni di Rovetta» [France-sco Donato e Grazioso, nipoti del grande Andrea] nella quale, ricordate «tutte le fatture fatte in essa [parrocchiale di Cerveno] di Ancone, Tabernacolo e Parapetti, con in più le statue della Concezione e Sepolcro», liquidato «l’accidente» dello «Scultore Bressano» [Simoni]11, non più «in caso di termi-nare detta nostra Fabrica», fa ricorso «alla virtù e bontà de’ Signori Fantoni» perché siano essi - il contratto sarà concluso il 23 novembre 1763 - a compiere l’opera. E la cosa sarà fatta ultimando le stazioni VIII [Gesù incontra le donne piangenti], IX [Gesù cade la terza volta] e X [Gesù spogliato e abbeve-rato di fiele e aceto]. La diversità del volto del Cristo di queste tre Cappelle rispetto alle altre è evidente. Tuttavia per l’VIII Cappella si deve notare che è «una delle Cappelle di definizione più complessa per l’attribuzione». Accordata ai fratelli Fantoni, pare sia stata eseguita in collaborazione, più che con il Simoni, con le maestranze di questi.

5. Nessun cenno nei documenti alla XIV stazione [Deposizione nel sepolcro] e questo dato ha originato leggende varie, anche perché una Deposizione o meglio un Dominico sepulcro simoniano c’è ed è diviso tra la chiesa di S. Maurizio e il Duomo di Breno12. Se poi a Breno sia stato commissionato per l’ex parrocchiale di San Maurizio divenuta santuario della Via Crucis oppure qui giunto perché i cervenesi non pagarono l’artista è una questione di lana caprina. La XIV stazione di Cerveno è invece opera di un Giovanni Selleroni di Milano, eseguita nel 1869.

6. Ovviamente un’idea così ambiziosa per un progetto così complesso nella sua monumen-talità che richiedeva un edificio ad hoc da costruire in luogo tutt’altro che adatto dovendolo disporre ortogonalmente rispetto all’asse della chiesa, e richiedendo una stretta alleanza tra architettura, pittura e scultura, non nasce dal nulla e non nasce a caso. Se si vorrà un giorno capire come si giunge a Cer-veno e al Simoni, bisognerà indagare (alla Carandini) stratigraficamente il terreno culturale sottostante le capèle.

6.1. Il passato remoto e prossimo dell‘idea’. Forme embrionali di Via Crucis, sull’esem-pio di Maria che in vita faceva visita ai luoghi della Passione di Suo Figlio13, sono i pellegrinaggi in Terra Santa come quello di Egeria (o Eteria) che si sarebbe svolto intorno agli anni Ottanta del IV secolo e di cui è rimasta testimonianza in un manoscritto del V-VI secolo edito da Paul Geyger, l’Iti-nerarium Egeriae o Pregrinatio ad Loca Sancta, o quello dell’Anonimo di Piacenza, l’Itinerarium Antonini Piacentini del 560-570 circa in cui viene descritta sia la visita al Santo Sepolcro che alla stanza dove è custodito il legno della Croce. I pellegrinaggi, mossi dalla pietà compassionevole verso la Passione

11Don Bressanelli aveva ragioni da vendere nel qualificare il Simoni «Scultore Bressano». Gli Stati d’anime lo danno residente a Brescia nella parrocchia di S. Agata prima e in quella dei Ss. Nazaro e Celso poi. In Brescia ricevette anche importanti com-missioni: per S. Alessandro, per il Duomo, per San Nazaro e Celso. La sua morte risulta registrata al 19 giugno 1787 nel Libro dei Morti della parrocchia dei Ss. Nazaro e Celso di Brescia: «Beniamin Simoni quinque et septuaginta annos natus omibusque Ecclesia ammeniculis refectus a vita decessit, corpusque hic fuit humatum». Dunque doveva essere nato attorno al 1712. Docu-mentazione in Fiorella Minervino, Beniamino Simoni, pagg. 295-296.

12 «La voce comune ritiene, che la mancanza [in Cerveno] di quest’ultima stazione [la XIV] dipenda da un contrasto sorto all’ultimo coi fratelli Fantoni e col Beniamino Simoni; i quali, indispettiti, dopo averla preparata, la vendettero alla Chiesa di S. Maurizio in Breno, ove trovasi attualmente»: così Fortunato Canevali, Elenco degli edifici monumentali […] nella Valle Camonica, Alfieri e Lacroix, Milano 1912, pag. 224. La «voce comune» fino ad oggi non ha trovato alcun riscontro archivistico. Anzi la critica ha confermato che autore del Dominico sepulcro di Breno è Beniamino Simoni. Si veda Marco Albertario, «Considera-zioni sul “Sepolcro del Redentore…opera del Beniamino”», in Figure del sacro a Breno, Grafo Edizioni, Brescia 2012, pagg.15-21. Sulla tormenta vicenda si veda anche la nota 79, di pag. 386-387, alla scheda «I dipinti e le Sculture» [della Parrocchiale della Trasfigurazione di Breno], in Arte in Val Camonica. Monumenti e opere, vol. V, La Cittadina, Gianico 2004.

13 Ne accenna, tra gli altri, Simeone di Metafraste nel Planctus Sanctae Marie [= Patrologia Greca, vol. 114, coll. 209-218]. Quan-to alla Via dolorosa si veda il saggio di Michele Piccirillo, «La via dolorosa a Gerusamemme», in Amédée (Teetaert) de Ze-delgem, Saggio storico sulla devozione alla Via Crucis [Aperçu historique sur la dévotion au chemin de la croix, apparso in «Collectanea Franciscana», n. 19 [1949], pagg. 45-142], a cura di Amilcare Barbero e Pasquale Magro, pubblicato dal Centro Documenta-zione Francescana del Sacro Convento di Assisi in collaborazione con Sacri Monti, Calvario e Complessi devozionali europei, Tipografia la Nuova Operaia, Casale Monferrato 2004.

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del Signore, rifioriscono con le Crociate e con l’istituzione della Custodia francescana della Terra Santa, sancita con due bolle del 1342 di papa Clemente VI, la Gratias agamus e la Nuper carissimae. Non sappiamo se san Francesco, nel suo viaggio in Medio Oriente, abbia visitato anche la Palestina. Sappiamo che è suo il concetto, sua la spiritualità, sua la mistica dell’imitatio Christi della quale furono drammatica testimonianza le stigmate14. Il pio esercizio della Via Crucis fu pensato e si affermò come imitazione (meditazione e preghiera) del percorso del Signore sulla via dolorosa del Calvario: là dove il cristiano non poteva permettersi un reale pellegrinaggio in Terra Santa, con la meditazione sulla passione di Cristo compiva un pellegrinaggio ideale: da questa idea nacque la Via Crucis e le tante “devozioni” ad essa collegate come, ad esempio la devozione del Cinque piaghe. Né va dimenticata la tradizione medievale della recitazione delle Laudi. Notissima la lau-de di Jacopone da Todi Donna de’ Paradiso nella quale compaiono molti soggetti, tra cui il popolo, dialoganti tra loro. Contemporaneo e parallelo è il formarsi di “compagnie” quale quella dei laude-si, dei flagellanti, dei disciplinati e, a Breno, quella compagnia dei disciplini su cui ha indagato e scritto Carla Bino15. Più tardi, specialmente nel Settecento, si svilupperà quel particolare genere, fatto di testi e musica, detto oratorio. Sicuramente i più celebri sono la Passione secondo Giovanni, teologica e meditativa, e la Passione secondo Matteo, drammatica e teatrale, di Johann Sebastian Bach. Un’altra tradizione, quella della sacra rappresentazione dei Misteri, nell’usanza dei tableaux vivants, prenderà avvio davanti alle chiese e soprattutto davanti alle grandi cattedrali gotiche. Abbiamo testimonianze molto antiche di questo “genere letterario-teatrale”: una descrizione datata al 970 del vescovo di Winchester relativa ad una “rappresentazione” pasquale vista a Limoges in Francia; la rap-presentazione della Passione di Valenciennes in una lunga sequela di costruzioni effimere chiamate edicole o mansiones che erano fisse e verso le quali si muoveva il pubblico. Dentro questo schema, dentro questo rapporto mansio/statio-pubblico si svilupperanno le quattordici Stazioni della Via Crucis.

6.2. Se l’idea, il tema della via dolorosa e della sua rappresentazione ha una lunga storia abba-stanza lineare, una sorta di fiume ove sono confluite molte devozioni e diverse manifestazioni lettera-rie e teatrali, problematico è invece il definirsi ed istituzionalizzarsi della Via Crucis in quattordici Stazioni. Esse furono il risultato dell’intercettarsi dei dati e dei fatti narrati dai Vangeli con i dati e i fatti narrati da tante leggende che si sono formate e sedimentate nella pancia del Medioevo, dando luogo ad una grande diversità ovvero a numerose forme di Via Crucis16.

14 Pasquale Magro, «L’iconografia staurologica francescana tra devozione e pietà sociale», in Amédée (Teetaert) de Zedelgem, Saggio storico sulla devozione alla Via Crucis, cit., pagg. 17-30, ove in primo piano è il Christus patiens rispetto alla tradizione ico-nografica orientale (bizantina) che predilige il Christus truiumphans.

15Carla Bino- Roberto Tagliani, Con le braccia in croce. La Regola e l’Officio della Quaresima dei disciplini di Breno, Ledizioni, 2012.

16Fondamentale è il ciato lavoro di Amédée (Teetaert) de Zedelgem, Saggio storico sulla devozione alla Via Crucis.

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A) Cominciamo con i dati dei Vangeli:

per la I stazione - Gesù condannato a morte da Pilato - il riferimento è Mc 15, 14-15; Gv 19,36; Lc 23, 24; in Mt 27, 24-26 Pilato dapprima si lava le mani e poi consegna Gesù ai sodati perché fosse crocifisso;

per la II - Gesù riceve la croce sulle spalle - il riferimento è Mc 15,20; Mt 27, 31; Gv 19, 17;

per la V - Gesù aiutato dal Cireneo a portare la croce - il riferimento è Mac 15,21; Mt 27, 32; Lc 23, 26;

per l’VIII - Gesù incontra le pie donne piangenti - il riferimento è a Lc 23, 27-31 [in Mc 15, 40, le donne “stavano ad osservare da lontano”];

per la X - Gesù spogliato e abbeverato di fiele e aceto - il riferimento è a Mc 15, 23.35; Mt 27, 34; Lc 23, 36;

per l’XI - Gesù inchiodato alla Croce - il riferimento è a Mc 15, 24; Mt 27, 33-35; Lc 23, 33; Gv 19, 18;

per la XII - Gesù innalzato sulla croce in mezzo ai due ladroni - il riferimento è Mt 27, 38; Mc 15, 27; Lc 23, 33; Gv 19, 18;

per la XIII - Gesù deposto dalla croce - il riferimento è Mt 27, 57-60; Mc 15, 42-46; Lc 23, 50-63; Gv 19, 38-40.

B) Per la IV stazione - Gesù incontra sua madre - certo non poteva mancare questo incontro visto che Giovanni dà presente Maria ai piedi della croce. “Gesù allora, vedendo sua madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!» Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!»”

C) Più complicato il formarsi della VI stazione - Gesù asciugato dalla Veronica -. La “storia” ini-zia in Oriente con l’identificazione della Veronica con l’emorroissa, prosegue con i racconti contenuti nel cosiddetto Ciclo di Pilato, con il volto di Gesù lasciato su un panno. L’Occidente si appropriò di queste leggende, le rielaborò liberamente, trasformando - in modo assoluta-mente sorprendente e allo stesso tempo vincente per la devozione che suscitò nell’universo latino - il panno con impressi i segni del volto di Cristo nella vera icona. Ma la cosa di gran lunga più importante è che a partire dal XII secolo la leggenda collegò «questo panno» [la vera icona] al momento della passione: da quel momento ebbe il sopravvento il premuroso gesto di compassione della donna che offrì a Gesù, sulla via del Calvario, un panno per asciugarsi il volto dal sangue e dal sudore17, stigmatizzando e formalizzando l’incontro la genesi dell’im-

17Emanuela Fogliadini, Il volto di Cristo. Gli archetipi del Salvatore nella tradizione dell’Oriente cristiano, Jaca Book, Milano 2011, pag. 167.

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magine sulla via del Golgota18.

D) Per la III stazione - Gesù cade per la prima volta -, per la VII - Gesù cade la seconda volta - e per la IX - Gesù cade la terza volta - non abbiamo riscontri nelle fonti storiche. Forse una qualche influenza può aver avuto il Liber peregrinationis, del 1294 circa, del domenicano Ri-naldo di Monte Crucis, Liber nel quale riferisce e la sua salita al Calvario per viam per quam ascendit Christus baiulans sibi crucem, descrivendo alcune stationes e cioè il palazzo di Erode, il Lisostrato dove Gesù fu condannato a morte, il luogo dell’incontro Simone di Cirene, imma-ginando alcune soste è cioè cadute o sotto i colpi degli aguzzini o per sfinimento e mancanza di forze per proseguire. Del resto quel participio presente baiulans del verbo baiulo dà l’idea del peso schiacciante della croce. Ma è verso la fine del XV secolo che comincia ad affer-marsi una forma di Via Crucis la cui serie di stazioni «denota una somiglianza impressionante con quella della nostra Via Crucis a quattordici stazioni» che è il punto d’arrivo19. La prima opera a noi nota è un manoscritto del convento dei Frati Minori di Saint-Trond (della prima metà del XV secolo), pubblicato da A. van der Wijngaert OFM nel 1928. Vi si commentano dodici stazioni: 1) Condanna di Gesù da parte di Pilato; 2) Gesù è caricato della croce; 3) Prima Caduta; 4) Ecce Homo; 5) Incontro con la Madre; 6) Simone di Cirene; 7) La Veronica asciuga il volto di Gesù; 8) Seconda caduta; 9) Gesù muore sulla croce; 10) Dolore di Maria ai piedi della croce; 11) Gesù deposto nelle braccia della madre; 12) Sepoltura. Da questo “esercizio” dipende quello trovato da M. Meertems nel manoscritto 47 (dell’inizio del XVI secolo) al Museo Plantin di Anversa, nel quale si trova la nuova stazione dell’incontro con le figlie di Gerusalemme. Dal manoscritto di Saint-Trond dipendono anche il libretto stampato a Bouis-le-Duc nel 1540 intitolato Dit is den Berch vam Calvarien e l’opera di Bethlem Dit is een devoet meditacie op die passie ons liefs Heeren. Nell’ “esercizio” del carmelitano Jean van Paschen [Pascha], morto nel 1532, dentro un pellegrinaggio ideale di 365 giorni, troviamo le quattordici stazioni attuali. Un deciso contributo alla diffusione del pio “esercizio” fu dato dall’olandese Adrichomius [Christiian Adrian Cruys], fuggito a Colonia sotto l’incalzare della rivoluzione calvinista dei gueux, e autore di due trattai: Jerusalem sicut Christi floruit e Theatrum Terrae Sanctae. Dal confronto di questi testi si arriva alla tre cadute canoniche. Va ricordato che in precedenza il numero delle cadute era aumentato a dismisura fino ad arrivare a 35, per stabilizzarsi sul numero 7. «In Jean Paschen quattro delle sette cadute tradizionali coincidono con altri episodi della Via Crucis, e cioè l’incontro di Gesù con la madre, con Simone di Ci-rene, con la Veronica e con le figlie di Gerusalemme. In questi quattro casi la menzione di una caduta è scomparsa in Adrichomius […]. Le altre tre cadute che non sono collegate a nessun episodio, sono state conservate.»20

E) La forma istituzionalizzata dai fiamminghi, soprattutto il sistema di Adrichomius, si pro-pagò rapidamente, grazie gli scritti di un altro fiammingo, il gesuita J. Andries del 1635: la

18Così nel Roman des sept sages, nei versi di un poeta tedesco del XII secolo, in Pietro Mallio, nel Museum Italicum, e in Robeert de Boron nel Joseph d’Arimathie del 1191, nelle visioni di santa Brigida, e soprattutto nella storia biblica di Roger d’Argenteuil. Per questi richiami Dobschütz, Kapitel VI, Belege zu B [= zur Veronica-Legende] 52, 69, 26, 56. «Contemporaneamente a Roger d’Argenteuil è la prima citazione a Gerusalemme del Luogo in cui Gesù avrebbe donato il panno con il suo volto. Solo alla metà del XV secolo troviamo specificato il luogo dell’incontro di Cristo con la Veronica, come stazione del Santo Circolo, un percorso organizzato dai francescani per i pellegrini. Il luogo dell’incontro è la soglia di una piccola casa araba, il cui simbolo nelle piante dei pellegrini è una piccola scala.» Ne Il volto ritrovato. I tratti inconfondibili di Cristo, Edizioni di pagina, Bari 2013, pag. 32, è riportata anche un’incisione di Jacques Callot raffigurante la Terza stazione della via dolorosa [R1v e R2r] inserita in Bernardino Amico, OFM, Trattato delle piante et immagini dei sacri edifizi di Terra Santa disegnate in Ierusalem secondo le regole della prospettiva, et vera misura della lor grandezza dal R. P. F. Bernardinop Amico di Gallipoli dell’Ord. Di S. Francesco de Minori osservanti, Pietro Cecconcelli alle Stelle Medicee, Firenze 1620.

19Amédée (Teetaert) de Zedelgem, Saggio storico, cit. pag. 104.

20Amédée (Teetaert) de Zedelgem, Saggio storico, cit. pag. 108.

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Terza stazione “Gesù cade la prima volta” (Particolare).

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Perpetua crux sive passio Jesu Christi a puncto incrnationis ad eextremum vitae quadraginta iconibus explicata e il Novus Libellus supplex pro animabus purgatorii. A seguire altre pubblicazioni. Dell’o-pera del gesuita Nakateus (morto nel 1682) Coeleste palmentum si vendettero 14.000 copie. Nella Passologia del frate minore Siméon Mänhard la 49a predica tratta Von Marterstrass oder Creutzweg und geistlichen Walfahrt e sono elencati i quattordici luoghi della Via dolorosa.

F) Nel 1628 fu eretta la prima Via Crucis in Italia lungo la via che conduce a San Miniato a Firenze. Dell’inizio del XVIII secolo è la Via Crucis dell’Ara Coeli in Roma. Del 1722 quella in Santa Matia della Pace a Milano.

G) Determinante fu il contributo che nei secoli XVII e XVIII venne dai francescani minori. Nel manuale (del 1626) di Antonio Daza Essercitii spirituali delle romitori instituiti dal nostro Se-rafico Padre per utilità dei suoi frati la Via Crucis sono prese in considerazione le stazioni della nostra attuale Via Crucis. Propagandisti convinti del “pio esercizio” furono in Trentino i padri Arcangelo da Bagolino, Benedetto Bonelli, Gianpio Besenella; nel Bolognese i padri Angelo Maria Porzio e Serafino Giglioli della Mirandola; in Lombardia padre Zaccaria Fiorini di Gianico con il suo Metodo breve e facile di praticare con frutto l’esercizio della Via Crucis, opuscolo del quale furono fatte diverse edizioni. Eccelse su tutti il ligure Leonardo di Porto Maurizio (1676-1751) che eresse in Italia ben 572 Via generale della giurisdizione dei frati minori.Crucis. La Via Crucis stava diventando un monopolio dei frati minori francescani riformati.

H) Doveva intervenire l’alto magistero papale - molto esperto in fatto di indulgenze e bene-fici spirituali - per regolamentare la materia. Innocenzo XI con il breve Ad ea (del 6.11.1686) di fatto confermava la concessione dei beni spirituali ai luoghi e alle persone soggetti alla giurisdizione del generale dei frati minori, concessione confermata da Innocenzo XII (del 24.12.1692) e da Benedetto XIII (del 3.3.1726). Clemente XII con il breve Monita ad recte ordinandum devotum exercitium Viae Crucis (del 16.1.1731) estendeva i benefici a tutte le chiese. Benedetto XIV che per l’Anno Santo 1750 fece erigere la celebre Via Crucis in quel Colosseo che era stato la coppa del sangue dei martiri21, senza sottrarre in linea di principio il monopo-lio ai francescani, confermò l’estensione, concedendo facoltà ai parroci di erigere nella propria

21Murata sul lato E del Colosseo, si trova la seguente iscrizione.

ANPHITHEATRUM FLAVIUM TRIUMPHIS SPETTACULISQ[ue] INSIGNE DIIS GENTIUM IMPIO CULTU DICATUM

MARTYRUM CRUORE AB IMPURA SUPERSTITIONE EXPIATUM

NE FORTITUDINIS EORUM EXCIDERET MEMORIA MONUMENTUM

A CLEMENTE X P. M. AN[no] JUB[ilei] MDCLXXV

PARIETIS DEALBATIS DEPICTUM TEMPORUM JNIURIA DELETUM

BENEDICTUS XIV PONT. M. MARMOREUM REDDI CURAVIT

AN. JUB: MDCCL. PONT. X.

«[Questo] anfiteatro Flavio, insigne per trionfi e spettacoli, dedicato al culto blasfemo degli dei pagani, dall’immonda supersti-zione purificato col sangue dei martiri, affinché la memoria della loro testimonianza non fosse cancellata, essendo il monumen-to rovinato dall’ingiuria del tempo e ridipinto con bianche pareti da Clemente X nell’anno giubilare 1675, Benedetto XIV Pontefice Massimo curò che fosse restaurato con marmi nell’anno giubilare 1750, decimo del suo pontificato.» Il Pio esercizio della Via Crucis al Colosseo sarà soppresso con l’unità d’Italia e Roma capitale. La tradizione sarà ripresa da Paolo VI nel 1964.

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parrocchia una Via Crucis, purché sotto la direzione di un padre francescano22 e, perché non ci fosse un’inflazione, prescrivendo una sola Via Crucis per ogni singola parrocchia.

I) Furono questi diversi interventi papali a facilitare una penetrazione capillare della Via Cru-cis in ogni parrocchia. In questa temperie spirituale si colloca l’idea o meglio l’iniziativa di don Pietro Belotti.

L) Pochi anni dopo l’ultimazione delle Cappelle, l’arciprete di una parrocchia da Cerveno non lontana, Cividate Camuno, il dotto Giovanni Battista Guadagnini interveniva con uno scritto critico, di oltre 400 pagine e pubblicato nel 1786, illustrando le Difficoltà sopra il pio esercizio della Via Crucis proposte ad un padre lettore riformato suo amico.23 L’opera era dedicata a Scipione Ricci, vescovo di Pistoia e Prato24. Guadagnini chiedeva l’abolizione delle stazioni dubbie o false come quelle relative alle “cadute” e alla Veronica, bollava come «rovinosi e ver-gognosi» gli abusi in tema di indulgenze, mostrava insofferenza per le forme esteriori di pietà, auspicava un ritorno alle sorgenti pure del cristianesimo.

6.3 Il passato iconografico va indagato nei tramezzi (i Fastentücher) delle chiese conventuali (come all’Annunciata di Borno), nelle testimonianze della pittura (ad esempio le famose arma Christi, primo nocciolo figurativo della Via Crucis: si veda l’esempio (XV secolo) a noi vicino di Santa Maria in Esine e l’esempio romano nel mosaico del catino absidale della basilica di San Paolo f.l.m., mosaico, per intervento di Leone III (795-816), rifatto in modum beati Petri; fu poi sostituito da quello di papa Onorio III (1216-1227) che vi è rappresentato in atteggiamento di proskunesis e con le mai giunte, il gesto della commendatio feudale (consistente nel porre entrambe le mani dentro quelle del signore). Al centro vi è raffigurata la Maiestas Christi, tra Pietro e Andrea, Paolo e Luca. Nella fascia sottostante, altare con croce gemmata e gli strumenti della Passione (corona, lancia, chiodi e la spugna del fiele). Dall’arte gotica e nordica giungono le folate di quell’espressionismo che attraverso i valichi alpini pungentemente penetra nelle nostre vallate. Il richiamo al Romanino, in questo contesto, non è solo stilistico, quando per l’ennesima volta non si evochi l’insopportabile categoria della dialettalità, ma richiamo formale-strutturale, avendo egli a suo modo realizzato in nuce - come bene hano evi-denziato Vincenzo Gheroldi e Sara Marazzani - la già citata grandiosa Via Crucis in Santa Maria delle Neve a Pisogne25. Poi, nel Sei Settecento si afferma la “moda” dei Sacri Monti26.

22Gianvittorio Signorotto, «Frati giansenisti e pietà popolare in Valle Camonica», in I Fantoni e il loro tempo, cit., pagg. 98-101.

23 Ma Guadagnini era il «capo spirituale della Valcamonica», era un pastore d’anime e in questa veste non poté sottrarsi all’invito di don Bortolo Bressanelli di tenere il 12 ottobre del 1783 il discorso inaugurale o «morale » del Santuario della Via Crucis: «e così dopo il corso di 14 anni impiegati nella fabbrica della Cappella si ha avuto la consolazione di vederla ultimata in stato da potervi celebrare la S. Messa. Deus aspiret prosper affinché si possa ricavare il spirituale frutto che si desidera.»

24La pratica della Via Crucis era stata oggetto di un’opposizione molto forte da parte del benedettino Giuseppe Maria Pujati del monastero di San Paolo in Bergamo. Già il titolo del suo libro, pubblicato nel 1783, è eloquente: La pratica del Pio Esercizio della via crucis introdotta nella Chiesa dai frati minori vendicata dalle obbiezioni di D. Giuseppe Pujati monaco cassinese. Il Vescovo di Pistoia e Prato, Scipione de’ Ricci, accolse nella sua diocesi le proposte di rilettura della Via Crucis del Pujati, riscontrando tuttavia una netto rifiuto, ai limiti dell’insubordinazione,dei suoi fedeli. La controversia continuò a lungo, soprattutto negli ambienti gianse-nisti. Ma la tradizione ebbe il sopravvento su ogni disquisizione teologica.

25Vincenzo Gheroldi-Sara Marazzani, Girolamo Romanino e gli homini di Pisogne. Un percorso in Santa Maria della Neve tra XV e XVI secolo, Grafo Edizioni, Brescia 2009.

26Sui «luoghi della devozione» (la Via Dolorosa di Gerusalemme, la Basilica di San Pietro a Roma, Notre-Dame de Fin des Ter-res a Soulac, la Basilica di Saint-Seurin a Bordeaux, i Sacri Monti di Crea, Orta, di Domodossola, Varalllo, Varese, Belmonte), si veda Tiziana Maria Di Blasio, Veronica il mistero del Volto, Città Nuova, Roma 2000, pagg. 45-82; Guido Gentile, «I Sacri Monti e Viae Crucis», in Amédée (Teetaert) de Zedelgem, Saggio storico, cit., pagg. 31-42.

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Anche la grande pittura si misurò con il tema. E basti ricordare la fantasmagorica Via Crucis dipinta da Giandomenico Tiepolo tra il 1747 e il 1749 per l’Oratorio del Crocifisso della chiesa di San Polo a Venezia, un prototipo per le Via Crucis dell’entroterra, e prototipo per le terre bresciane sarà la Via Crucis del convento di San Giuseppe in Brescia dei frati Osservanti francescani, dipinta nel 1713 sulle quattordici tele ad olio appese alle pareti laterali della chiesa da Giovanni Antonio Cappello (quello stesso Cappello che affrescherà la parrocchiale di Cedegolo): una Via Crucis alla quale l’artista imprime un pathos meno convenzionale, più immediato emotivamente partecipato.

7. Venendo alla lettura critica della Via Crucis di Cerveno, si deve registrare anzitutto dialo-go fecondo tra scultura e pittura.

7. 1. Quasi tutte le cappelle o stazioni, così come la stessa “scala” nelle pareti e nella volta, sono state affrescate da Paolo Corbellini, con una pittura monumentale, ariosa, aperta nell’azzurro del cie-lo e nella quale edifici e castelli fanno da quinte teatrali. Paolo Corbellini (Praga 1711-Dovero 1769) è stato un artista la cui famiglia proveniva dalla Val d’Intelvi. Fu attivissimo nella seconda metà del XVIII sec., dapprima legato alla maniera di Giulio e Domenico Quaglio e poi a quella di Carlo Innocenzo Carloni nelle pale della maturità, schiarendo la gamma cromatica. «Caratteristiche le sue figure spesso collocate dal di sotto in su, che assumono forme allungate con ampi panneggi, ma anche con pieghe strizzate e cartacee». Varie sue opere a fresco, firmate - «P. CORBELLINI FECIT / o PINXIT» -, ce lo mostrano operante, tra il 1745 e il 1769, quasi esclusivamente in Valcamonica: sono - le sue - «rette da vivace senso decorativo e condotte con pennellata veloce e carica di colore.» Purtroppo infelici restauri hanno compromesso una piena e critica valutazione dell’opera del pittore. Ha affrescato nelle parrocchiali di Vissone (1745), di Cortenedolo (1756 e 1566), di Vico (1758), di Tu (1762) e di Grano di Vezza, di Ono S. Pietro, di Piazza, di Gandoss e di Doverio di Corteno. Inoltre ha lavorato al santuario dei Ss. Fabiano e Sebastiano di Monno (1755), realizzando un vastissimo ciclo di dipinti, e al Santuario della Via Crucis di Cerveno (1753). Il Libro dei morti dell’Archivio parrocchiale di Corteno ne registra il decesso avvenuto il 12 luglio 1769. «Doverio 13 luglio 1769. Sig. Paulo fu Giacomo Antonio Cor-bellini, insigne pittore, della parrocchia di Laino - S. Lorenzo - Val d’Intelvi - Diocesi di Como. - Ieri spirò per infermità cronica […] in Doverio in casa del Rev.do d. Giovanni Savardi cappellano perché pitturava in la nuova chiesa o sia oratorio dei Santi Fabiano e Sebastiano fu munito delli SS.mi Sacra-menti di Penitenza ed Eucaristia ed Estrema Unzione […] seppellito nella sepoltura dei Disciplini.» Al Corbellini, giunto a Cerveno il 7 giugno 1753 con il collaboratore Giosuè Scotti (1729-1785) destinato a grande fortuna a Stoccarda, a Pietroburgo e alla corte di Caterina II di Russia, è stato assegnato il compio di ri-creare la scena, o forse meglio lo scenario urbano in cui vengono rappresentati i singoli atti dell’opera teatrale, ma talvolta anche di integrare i gruppi scultorei con figure pittoriche. Pertanto i motivi scenografici, dilatando illusionisticamente lo spazio, tendono a ripetersi nelle nove stazioni affrescate dall’artista intelvese, e cioè: la I [Gesù condannato a morte da Pi-lato] nella quale la sala del trono «è dipinta con effetti di trompe-l’oeil, che svelano una certa maestria nell’uso della quadratura»27; la II [Gesù è caricato della croce] con paesaggi di colline, edifici, alberi, rocce e forse il fiume Oglio; la III [Gesù cade la prima volta], oltre ai soliti edifici e paesaggi alpestri, vi è anche un cavaliere nel quale si è voluto vedere il ritratto del Simoni; la V [Gesù aiutato dal Cireneo a portare la croce] con una serie di edifici che corrono lungo le pareti e sembrano “fuggire” all’indietro: la VI [L’incontro con la Veronica] con l’edificio centrale simile ad un Padiglione moresco28; la VII [Gesù cade sotto la croce la seconda volta]: la torre campanaria e gli edifici sembrano ispirarsi al paesaggio di Cerveno; l’XI [Gesù inchiodato sulla croce]; in queste pitture murali pare esserci stata la collaborazione di Bernardino Albricci della Val di Scalve per il cielo e le nuvole; la XII [Gesù innalzato sulla cro-

27Fiorella Minervino, Beniamino Simoni, cit., pag. 48. Pur con qualche modifica inessenziale, anche i cenni paesaggisti che se-guono sono citazioni indirette della Minervino.

28Che non può richiamare - come suggerisce la Minervino (op. cit., pag. 92) - il Padiglione moresco dipinto da Gaspare Galliari perché questo pittore è nato nel 1761.

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ce tra i due ladroni]: segno di particolare sensibilità pittorica, coerente con la scena, sono le nubi più dense e cupe; e la XIII [Gesù deposto dalla croce]: sopra un lieve orofilo di montagne cor-re un cielo azzurro striato di nuvole. Sono infine del Corbellini anche i tre medaglioni del-la volta della “scala granda” ove sono raffigurati Davide che mostra la testa del gigante Golia, [1Sam 17, 51, ovvero la sconfitta della forza bruta e del male], Chiel di Betel che sacrifica il primogenito se-condo la parola pronunciata dal Signore [Re 16, 34: così il Padre sacrificherà il suo Primogenito] e Mosè che innalza il serpente di bronzo [Nm 21, 1-9, allusione all’innalzamento del Figlio dell’uomo esplicitata in Gv 3, 14-15]: evidentissimo il legame dei tre episodi con la Via Crucis sottostante. La IV stazione [Incontro con la madre] fu probabilmente decorata da Giosuè Scot-ti: vi sono raffigurati «edifici con finestre, balconi, colonnati, pietre e pavimentazioni, paesag-gi locali con castello di gusto affine ai Galliari»29 [I Galliari sono tre fratelli piemontesi - Ber-nardino, Fabrizio e Giovanni Antonio - pittori e scenografi ufficiali del Regio Teatro di Torino; il loro padre Giovanni aveva affrescato la cappella di Maria al Tempio al Sacro Monte di Oropa]. La decorazione dell’VIII [Gesù incontra le figlie di Gerusalemme]; della IX [Gesù cade sotto la croce la terza volta] e della X [Gesù spogliato e abbeverato di fiele e aceto] stazione non è del Corbellini, ma forse di qualche pittore locale. Probabilmente il Corbellini è uscito di scena ancor prima del Simoni.

7.2. Quanto alla scultura, dopo le ubriacature ideologiche degli anni Settanta-Ottanta del secolo scorso, la lettura proposta da Fiorella Minervino, sul piano stilistico, pare essere la più equili-brata e convincente. Il percorso cervenese del Simoni è già definito nella I stazione [Gesù condannato a morte da Pilato]: «vediamo subito l’invenzione, lo spazio plastico delle figure principali in primo pia-no sul pavimento, lo sfondo prospettico dipinto con una grande architettura di sapore classicheggiante limitata da una tenda a destra, una serie di figure di armigeri in secondo piano che sono dipinte ma anche realizzate a stucco, in altorilievo. Il metodo di questa cappella sarà lo stesso usato in tutto il complesso. Le Cappelle sono di limitate dimensioni, Simoni deve dilatarle con artifici ottici e dunque con la prospettiva dipinta ma anche con le figure abilmente ridotte, scalate, diminuite, attraverso un sapiente montaggio cinematografico.»30

29Fiorella Minervino, Beniamino Simoni, cit., pagg. 76.79.

30Fiorella Minervino, Beniamino Simoni, cit., pag. 20. Invece della Minervino non convincono le letture parenetiche che fanno delle Cappelle una predica sulla «Grazia come misteriosa concessione di Dio a ogni singolo uomo. È per questo che il racconto della Passione, la figura del Cireneo, la speranza di tanti personaggi, l’impatto della loro fisicità, vengono esplicitamente esposti, programmaticamente annotati, perché si vuole rendere con evidenza che tutti sono uguali davanti a Dio e che la Grazia giunge a chi si pente, come il buon ladrone, e non per vie misteriose.» Fiorella Minervino ,Beniamino Simoni, cit., pag. 37. In poche righe si dicono cose giuste ma generiche che vanno bene ovunque, e cose contraddittorie sulla Grazia misteriosa concessione di Dio che giunge non per vie misteriose. Non convincono neppure le letture di forte interpolazione ideologica che spostano il con-flitto linguistico del Testori sul piano del conflitto sociale e sessuale: di fronte alla miseria, un Cristo che non si ribella alla vio-lenza, che non protesta, è modello da imitare per la sottomissione: a chiunque, compresi i «signori della preghiera» che spadro-neggiano e rubano sulla pelle dei poveri. Le pie donne, dal canto loro, ridotte ad un vuoto simulacro, sono il punto d’approdo «dell’affabulazione maschile e del potere maschile sulle donne». E così Simoni (che non doveva avere una mente contorta come i suoi moderni interpreti) diventa il “becchino” dei poveri cristi. Roberto Andrea Lorenzi, «Beniamino Simoni, illuminista e becchino», in Immagini. Arte, culture e poteri nell’età di Beniamino Simoni, Luigi Micheletti Editore, Brescia 1983, pagg. 156-159. Sul tema è ritornato Sergio Re che offre una lettura la quale ontologizza il bene e il male, due forze «che da sempre condizio-nano l’umanità chiamando in causa in modo imperscrutabile l’intima realtà personale, ma soprattutto disturbando nella vicenda un Dio trascendente che decide di assumere le spoglie umane. […] Da un lato, sta allora la ieraticità, la compostezza e la sofferta serenità che permeano le immagini di Cristo e delle donne […]. Dall’altro emerge invece l’icastica e provocante presenza degli aguzzini le cui facce truci, i volti spesso demenziali e i gesti inconsulti entrano quasi di diritto nella realtà drammatica della vita di ogni tempo.» Sergio Re, Il santuario di Cerveno e la rimozione del Simoni dalla memoria collettiva, in «Brixia Sacra», nn. 3-4, a, IX [Dicembre 2004], pag. 202

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Quarta stazione ”Gesù incontra la sua SS Madre.” (Particolari).

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Sul piano iconologico, la «scala granda» di Cerveno è un frutto maturo della reazione a catena innescata dal Concilio di Trento. Una volta stabilito che l’atto liturgico è una rappresentazione (certa-mente sacra) che incuriosisce, commuove e provoca godimento (né più né meno, con la stessa funzione - cambiano solo i destinatari - degli aerei affreschi che volteggiano sopra i saloni della nobiltà settecen-tesca; né più né meno come i “pitocchi” del Ceruti31), il passo per salire sulla scena del teatro popolare è breve, specie nel contesto di una cultura iperrealistica32 e barocca che ha sostituito alla «pratica della contemplazione» la «pratica dell’imitazione» e alla ragione l’immaginazione33. La grandezza, l’origi-nalità del «linguaggio dirompente e moderno» della Via Crucis simoniana è solo drammaturgica, o se si preferisce, della messa in opera di un gran teatro, dove non ci sono carnefici e vittime ma solo “attori” che recitano - e come recitano! - la loro parte, perché è per questa via che del capolavoro cervenese si coglie l’irripetibile novità artistica, la sua carica espressiva, la forza di un linguaggio che ha le sue lontane radici nelle sacre rappresentazioni dei Misteri ma anche nella tradizione carnevalesca delle maschere, tradizione qui sublimata in pura arte corale di una terra e della sua gente. «Quelle che ve-diamo non sono sculture che rappresentano, ma attori che recitano una scena. Tale è la loro vivezza, che anche noi ci sentiamo trascinati in essa, a recitare la nostra parte. Le statue più vicine a noi sono in legno, materia calda ed umana al tatto, le più distanti in stucco, che in lontananza rifluiscono sul muro diventando pittura e perdendosi nella profondità illusionistica dello spazio pittorico.»34 Ciò che era importante non era la lettura di un testo ma la sua messa in scena. La peculiarità era costituita dall’ azione cui dava vita il testo: il testo era l’elemento interno, l’anima segreta, e l’azione l’elemen-to esterno, il corpo visibile. Non c’è rappresentazione senza il linguaggio gestuale del corpo per un più diretto coinvolgimento e immedesimazione dello spettatore che mai deve annoiarsi35. A questa regola non sfugge neanche la Via Crucis, anzi questo “pio esercizio” la esalta. Prima di ogni discorso parenetico e devozionale, prima di ogni melassa pietistica ed edificante, viene la resa teatrale affidata al palcoscenico, alle quinte, ai fondali e naturalmente all’interpretazione degli “attori”. Questi “attori”, per una felice intuizione del Simoni, sono stati ingaggiati reclutandoli tra la gente stessa di Cerveno. «Così la sintesi della forma e la varietà dell’invenzione non derivano da una trasfigurazione , ma un rispecchiamento. Beniamino osserva gli abitanti di Cerveno e li traduce in sculture, con appassionata fedeltà, riproducendone i lineamenti, le smorfie, le teste quadre, le gambe corte; ed è contento che essi animino il racconto di una storia che è lontana ma che appare subito attuale, e rinnovabile, e

31Bruno Passamani, «Brescia e Ceruti: patrizi, popolo, pitocchi. Alla ricerca di “fatti certi” e di “persone vive”», in Giacomo Ce-ruti il Pitocchetto, «Catalogo della mostra tenuta in S. Giulia [Brescia] dal 13 giugno al 31 ottobre del 1987», Mazzotta, Milano 1987.

32Eugenio Battisti nella «Prefazione» a Immagini, Arte, culture e poteri nell’età di Beniamino Simoni, cit., pagg. 12 e 16.

33Gabriella Ferri Piccaluga, «Le radici iconografiche della Via Crucis settecentesca in territorio bresciano: Immagini, antro-pologia, storia», pubblicato in «Quaderni Camuni», ora in IL confine del Nord, cit., pag. 180.

34Franco Monteforte, Il volto della salvezza. Arte e fede nella Via Crucis di Cerveno, in «Notiziario della Banca Popolare di Son-drio», n. 85, aprile 2001, pagg.75-76. Nello stesso saggio Monteforte abbandona questa intuizione per cadere nel peggior testo-rismo, nel vedere cioè raffigurati i torturatori di Gesù negli innocenti cervenesi: questi torturatori hanno il volto e gli abiti dei contadini di Cerveno, ognuno guarda gli aguzzini di Cristo e scopre se stesso: de te fabula narratur.. «La passione di Cristo diventa così l’autobiografia di una comunità.» (pag. 77)

35Elisabetta Sgarbi ha realizzato uno splendido documentario, disponibile in DVD , dal titolo L’ultima salita. La Via Crucis di Beniamino Simoni: splendido nelle immagini che hanno saputo cogliere l’identità dei personaggi incarnata nei loro gesti. Peccato che il commento alle immagini sia alto dal punto di vista teologico-filosofico, ma nulla abbia a che fare con la Via Crucis di Cerveno, essendo un commento alla Passione di Cristo e come tale funziona benissimo a Cervemo come in una parrocchia del Burundi. La medesima osservazione si deve purtroppo ripetere [non per le fotografie di Andrrea Samarinani] anche per l’opera di Giovanni Reale dal titolo leggermente modificato L‘ultima salita. La Via Crucis di Cerveno e il compianto di Breno di Beniami-no Simoni, Bompiani, Milano 2010. Tant’è che a commento delle singole stazioni si riportano brani e pensieri di Paul Claudel, di Karol Wojtyla, di Kierkegaard, di Paolo VI, di sant’Agostino, del card. Martini, di David Maria Turoldo e così via. Insomma, prendendo a prestito la terminologia che i Padri orientali hanno elaborato per ben altre problematiche, si potrebbe dire che il commento del documentario e il commento di Reale riguardano l’ousia, la sostanza della Via Crucis, ma non l’hipostasis, il proso-pon e cioè la individualità “personale” delle stazioni di Cerveno. Sono commenti di genere, non di specie.

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quotidiana.»36 Alcuni particolari ma si tratta di semplici e sommarie citazioni - sono semplicemente sublimi e di elevatissimo valore espressivo: i due “attori” [nella V stazione saranno sostituiti] che ten-gono le corde attorno al corpo di Gesù nella I stazione [Gesù condannato a morte] dove un posto a sé occupa il fanciullo negro che gioca con il suo cane sui gradini del trono di Pilato; si guardi quanta attenzione e serietà profonde l’incaricato di sistemare la croce sulle spalle di Gesù nella II stazione [Gesù è caricato dalla croce], quasi fosse un marangone che prova a collocare il prodotto del suo lavo-ro al posto giusto; o il ragazzotto che nella III stazione [Gesù cade la prima volta] gonfia le gote per dare fiato ad una tromba che sembra quella del Giudizio finale, crudelissimo richiamo al cedimento fisico del condannato; magistrale l’inquadratura nella IV stazione dell’incontro di Gesù con la ma-dre “ripresa” in una posa di tre quarti. Ogni volto è una maschera potente, è un personaggio ben caratterizzato nella fisionomia e nei gesti. Lo è anche l’onesto (lo si vede dal vestito, casacca di cuoio e pantaloni grigio-verdi) Simone di Cirene della V stazione, fotografato nel bianco delle pupille e costretto ad una fatica di cui ignora totalmente la ragione. Insomma non c’è mai serialità ma indivi-dualità ben definita fisionomicamente dall’azione che compie. Forse un notaio o forse un commer-ciante facoltoso, sicuramente un ben pensante è il pingue personaggio che s’affaccia a sinistra della VI stazione [Incontro con la Veronica]. Il ragazzo seduto vicino alla croce dell’XI stazione [Gesù inchiodato sulla croce], diventato la mascotte della Via Crucis cervenese: non è né il simbolo dell’innocenza né della malvagità: gli è stato ordinato di guardare ai ferri della crocifissione e lo fa disinteressandosi completamente a quanto avviene intorno: il suo sguardo è assente, privo di emozioni, la bocca è semiaperta in una lieve smorfia. Nella XII stazione [Gesù innalzato sulla croce] superba è l’interpreta-zione del cattivo ladrone: la lingua scarlatta che fuoriesce di sbieco dalla bocca e i capelli arruffati.37 Allora la domanda cruciale non è interrogarsi intorno al tasso di sacralità o di dissacrazione, di re-ligiosità o di vilipendio, ma chiedersi se l’“interpretazione” della Passione è riuscita, se i personaggi hanno recitato a meraviglia, se l’opera teatrale perviene all’efficacia che le è intrinseca, se la drammaturgia del patetismo e del realismo ha trovato la sua adeguata espressione. La risposta è nelle Cappelle stesse, nella re-lazione fra realtà e finzione. In questa chiave è possibile misurare anche la distanza tra il Simoni e i Fantoni. Sul “gran teatro” di Cerveno viene messo in scena un dramma singolarissimo nato dall’in-contro tra fede e racconto, tra preghiera e scherno, tra commozione e riso, trascendenza e immanenza, eternità e quotidianità del vivere, in uno sdoppiamento che trasforma la realtà in finzione e la finzione in realtà. Ogni stazione una scena della stessa eterna commedia. «Qui è gran sale e consiglio» avrebbe detto Tommaso Campanella, il filosofo della commedia universale.

36Vittorio Sgarbi, «Contributo», in L‘ultima salita. La Via Crucis di Cerveno e il compianto di Breno di Beniamino Simoni, cit., pag. 69.

37Una descrizione dettagliata dei “personaggi” delle tredici stazioni [ben 189 schede], in Fiorella Minervino, Beniamino Simo-ni, cit., pagg. 204-231.

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Excursus

La Sacra Sindone

Né Beniamino Simoni né i Fantoni [Francesco Donato e Grazioso] realizzarono la XIV stazione nella quale il corpo di Gesù, avvolto in un lenzuolo, è posto in un sepolcro nuovo. Questa stazione, collocata alla sommità della “scala granda”, è stata eseguita nel 1869 dallo scultore milanese Giovan-ni Selleroni. Terminata nel 1870 da Francesco Pellini, riprende dal Simoni il modello per Giuseppe d’Arimatea, ma certo il tutto è più raccolto e pietisticamente più meditativo. Nella scena sono rappresentati, alla destra del corpo esanime di Gesù, la Madonna inginocchiata, San Giovanni Evan-gelista e Maria di Cleofa; alla sinistra, inginocchiate la Maddalena col fazzoletto in mano e Maria di Salomè. Il personaggio centrale è Giuseppe d’ArImatea che tiene nelle mani un capo del lenzuolo sul quale giace il corpo di Gesù e che ora sta per essere steso sulla parte anteriore. È un particolare tutt’altro che secondario. Esso rinvia a quel lenzuolo, la Sacra Sindone, venerato nel duomo di Torino. Selleroni è stato fedele al testo dei Sinottici38, come cercherà di dimostrare il beve excursus che segue. Marco, Matteo, Luca e Giovanni, descrivendo il gesto pietoso della sepoltura di Gesù39 di cui si fecero carico Giuseppe d’Arimatea - “uno che aspettava il regno di Dio” (Mc 15,43; Lc 23, 51), “membro autorevole del Sinedrio” (Mc 15,43), “discepolo di Gesù ma di nascosto per timore dei Giudei” (Gv19,38) - e Nicodemo - “quello che in precedenza era andato da Gesù di notte” e che portò una “mistura di mirra e aloe di circa cento libbre” (Gv 19,39) - essendosela nel frattempo squa-gliati gli apostoli (ad eccezione di Giovanni), affermano che:

Mt 27,59:

[Giuseppe] “preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candi-do lenzuolo”

Mc 15, 46:

[Giuseppe] “calò [il corpo di Gesù] dalla croce e, avvol-tolo nel lenzuolo, lo depose in un sepol-cro”.

Lc 23,5:

[Giuseppe] “lo calò dalla croce, lo av-volse in un lenzuolo e lo depose in una tomba”.

Gv 19,40:

“Essi [Giuseppe e Nicodemo] presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei”.

Gv 20, 7:

[Riferendo del-la corsa ansiosa di Giovanni e di Pietro alla tomba vuota, precisa che] i due discepoli videro “le bende per terra e il sudario che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte”

Le parole-chiave sono lenzuolo [sindon], bende [othonia] e sudario [sudarion].

38Sull’argomento gli studi più rigorosi, completi ed equilibrati sono quelli del biblista Giuseppe Ghiberti, a cominciare dal sag-gio del 1982, pubblicato dalla Marietti, La sepoltura di Gesù. I Vangeli e la Sindone.

39Per le tradizioni funerarie ebraiche nel NT (i segni del lutto, la preparazione del corpo del defunto, la sepoltura), cfr. Antonio Persili, Sulle tracce del Cristo risorto. Con Pietro e Giovanni testimoni oculari, Edizioni Centro Poligrafico Romano, Tivoli 1995, pagg. 73-89.

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Il termine greco sudarion [sudarium nella Vulgata] ricorre qui in Gv 20,7 e in Gv 11,44 in relazione al miracolo della risurrezione di Lazzaro; ricorre in Lc 19,20 a proposito della parabo-la delle dieci mine consegnate da un uomo di nobile stirpe a dieci suoi servi, e in At 19,12 al-lorché si riferisce dei prodigi di Paolo e dei fazzoletti che erano stati a contatto con l’Apostolo e che si mettevano sui malati. Si tratta in tutti i casi del diffuso fazzoletto romano normalmen-te impiegato per detergere il sudore o per pulirsi il naso, ma nel caso della sepoltura di Gesù (e di Lazzaro) usato come una specie di mentoniera perché non si aprisse la bocca del cadavere. Gli othonia - le bende, le fasce - erano usati per i cadaveri e servivano per avvolgerli. [Nel mi-racolo di Lazzaro al posto di othnia vi è il termine keiriai con il significato di bende, fasce e la differenza consisterebbe nel fatto che keiriai sarebbero strisce di tela basse e othonia strisce di tela alte]. Nella vivace descrizione della corsa del discepolo che Gesù amava e di Pietro verso il sepolcro, Giovanni, richiama ancora gli othonia. Ora, pur tenendo nel dovuto conto il fatto che scopo precipuo degli evan-gelisti, nell’emergenza, non era fornire una descrizione dettagliata del rito ebraico di una sepoltura, la divergenza ( se divergenza vi è, perché per qualche esegeta il termine indica sia le bende che il lenzuo-lo) tra i Sinottici e Giovanni verte tutta sui termini sindone e sudario [ma il verbo usato da Giovanni, entaphiathein = seppellire, richiama l’entaphios = il lenzuolo funebre]. Per Giovanni Giuseppe e Nico-demo, preso il corpo di Gesù, lo avvolsero in bende, cospargendolo con una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre [quantità riservata solo ai re] e lo seppellirono secondo l’usanza giudaica (19,40). Nei Sinottici è dominante il richiamo al lenzuolo [sindon]40 nella probabile esplicita applicazio-ne della legge ebraica «che ordinava di avvolgere in un lenzuolo coloro che morivano vittime della violenza e con versamento di sangue, senza toccarli»41. Si deve immaginare una lunga pezza di lino stesa sotto il corpo, fatta risalire dietro la testa e distesa poi nella parte frontale del corpo stesso: proprio come avviene qui nella XIV stazione di Cerveno.

40Sempre che sia corretto tradurre sindon con lenzuolo. Per Carlo Papini - Sindone. Una sfida alla scienza e alla fede, Claudiana, Torino 1998, pagg. 17 ss. - la traduzione è un errore e a sostegno della sua affermazione cita alcuni passi della Bibbia dei Settan-ta in cui sindone [al plurale] ha significato di tuniche o di vesti [e così infatti traduce anche la CEI]: in Giudici 14,12-13 Sanso-ne scommette con i Filistei trenta tuniche; in Proverbi 31,34: la donna virtuosa fa delle tuniche.

41 Antonio Persili, Sulle tracce del Cristo risorto, cit., pag. 227.

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L’ inte

rvento

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stau

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POLICROMIE DELLE SCULTURE E DELLE DECORAZIONI PARIETALI DELLA VIA CRUCIS: TECNICHE ESECUTIVE

LE SCULTURE LIGNEE E GLI STUCCHI

Eugenio e Luciano Gritti, Giovanna Jacotti

I DIPINTI MURALI

Gabriele Chiappa e Alessandra Didoné

CANCELLETTI DI PROTEZIONE

Franco Blumer

RILIEVO TRIDIMENSIONALE DELLE SCULTURE

Aurelio Sandal Marengoni

Fabio Frezzato

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Lo scultore Beniamino Simoni, (così come faranno i fratelli Fantoni, quan-do interverranno a completare alcune

stazioni), si avvale di due differenti tecniche scultoree per creare le figure tridimensionali di questa grande opera: utilizza la modella-zione dello stucco e l’intaglio del legno. Nelle prime quattro stazioni le sculture sono state interamente realizzate dal Simoni, in un arco di tempo che va dal 1754 al 1756. Solo in un caso, nella figura del bambino moro della prima cappella, le due tecniche coesistono: il busto e le gambe sono in stucco mentre la testa e la mano sinistra sono state intagliate in legno, quindi applicate al corpo centrale stucchivo.

“ modellazione dello stucco e l’ intaglio del legno”

Scultura in gesso e legno

LE SCULTURE LIGNEE E GLI STUCCHI

Eugenio e Luciano Gritti, Giovanna Jacotti

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COMPOSIZIONE DELLE CAPPELLE

Prima 8 sculture in legno, 2 in stucco a tuttotondo, 4 in stucco a bassorilievo

Seconda5 sculture in legno, 5 in stucco a tuttotondo, 2 in stucco a bassorilievo

Prima Seconda

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Terza5 sculture in legno, 4 in stucco a tuttotondo, 3 in stucco a bassorilievo

Quarta5 sculture in legno, 6 in stucco a tuttotondo, 8 in stucco a bassorilievo

Terza Quarta

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La scelta di avvalersi di due differenti materiali per creare le figure, può avere diverse motiva-zioni.Dai registri parrocchiali risulta che una scultu-ra in legno a tuttotondo veniva pagata esatta-mente il doppio rispetto alla corrispettiva in stucco.Per questioni tecniche e logistiche ha senso pensare che era più funzionale realizzare le sculture centrali in legno, che dovevano sem-plicemente essere collocate una volta termina-te: per la dimensione delle cappelle l’ingombro delle sculture diventava un vincolo pesante alla realizzazione sul posto.Contemporaneamente lo scultore aveva la pos-sibilità di organizzare il proprio lavoro in base alle stagioni: in inverno, con il clima eccessiva-mente rigido non era possibile operare in loco con lo stucco, quindi si poteva dedicare all’in-taglio delle opere presso il laboratorio.Dato il prevalente numero di opere in stucco,

La specie legnosa utilizzata per realizzare le sculture appartiene alla famiglia delle latifo-glie. L’analisi dendrocronologia effettuata su un campione di legno di una scultura della prima stazione, ha indicato come specie legnosa il pioppo. Questo albero, autoctono della valle, cresceva lungo il letto del fiume Oglio.Per creare le croci sono state invece utilizzate assi di conifera, in legno di larice.Le sculture sono ricavate da un tronco princi-pale, spesso di considerevoli dimensioni, ( in un caso 130 cm di larghezza) accuratamente scavato dal retro al fine di alleggerirlo e di evitare tensioni interne. Notevoli problemi

è possibile pensare a una maggiore attitudine artistica nei confronti dello stucco da parte del Simoni?

Sculture in legno

Scultura in legno Particolare dell’intaglio

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conservativi del supporto sono infatti creati dalla presenza del midollo, la parte più inter-na del tronco. Risulta ugualmente dannoso il differente comportamento tenuto nei confronti delle variazioni di umidità ambientale dal le-gno più interno — il durame, perlopiù costituito da lignina —, rispetto a quello esterno — l’alburno, legno più giovane —, contenente una percentuale maggiore di cellu-losa. La differenza di comportamento delle due zone del tronco è dovuta al fatto che la lignina, polimero aromatico, è molto meno igroscopi-ca della cellulosa, polisaccaride derivato dalla polimerizzazione del glucosio.La tecnica d’intaglio appare vigorosa e veloce.Risultano chiaramente leggibili i segni delle sgorbie utilizzate per l’intaglio e per lo svuota-mento dei tronchi: la lame sono stondate, con ampiezza massima di circa 2,5 cm.In alcune zone, per esempio nei manti, gli scultori hanno utilizzato la raspa, strumento

idoneo per rifinire la superficie e per renderla più omogenea, adatta a ricevere gli strati prepa-ratori e le successive policromie.

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Scultura lignea “Cristo caduto” Terza stazione

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Scultura lignea “Cristo caduto” Terza stazione. (particolare dell’intaglio).

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Statue lignee Particolari dell’intaglio.

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I masselli minori, giunti al tronco principale

per creare l’adeguato volume, sono vincolati da

chiodi metallici, talvolta infissi previa creazio-

ne di un foro d’alloggio, probabilmente per

evitare la fenditura del legno.

Per l’adesione è stata utilizzata anche la colla

animale (colla da falegname), riconoscibile dal

caratteristico aspetto vetroso e dal colore bruno

di alcune gocciolature.

I supporti sono stati lavorati calcolando perfet-

tamente la parte di ogni singola scultura che

doveva essere visibile, per una fruizione di tipo

“teatrale”.

Osservando le sculture dall’interno delle cap-

pelle, si notano i particolari solamente sbozzati

e non rifiniti, lasciati incompleti anche sui volti

di alcune figure.

Gli strati preparatori sono stesi in due mani.

La carica che compone la preparazione è gesso

biidrato (gesso di Bologna). Al di sopra della

gessatura troviamo una stesura di biacca in

legante oleoso.

“La tecnica d’ intaglio appare vigorosa e veloce.”

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Nel caso specifico di Cerveno, trattandosi di statue a tutto tondo, alto e basso rilievo, si ha a che fare con un repertorio esecutivo molto vario. La tecnica stucchiva impone una lavo-razione per strati affinché non si presentino fessurazioni da ritiro durante le fasi di presa ed essicazione del legante aereo (grassello di calce) che possano compromettere non solo la continuità delle superfici ma anche la stabilità strutturale del manufatto.Lo stucco è composto da legante aereo, preva-lentemente gesso emiidrato.La procedura esecutiva prevedeva la costitu-zione di una struttura portante come abbozzo

dei volumi maggiori, realizzato con impasto grossolano di gesso e sabbia con granulometria differenziata. All’interno erano inglobati, con funzione di sostegno, vari materiali : come legno, chiodi e perni metallici, filo di ferro, matasse di paglia o fibre vegetali.I masselli di legno erano carbonizzati, per evitarne i naturali movimenti.La finitura superficiale è costituita da un sottile strato di calce carbonatata, posta come isolante del sostrato eccessivamente poroso e igroscopico.Tecnicamente si assiste ad un cambiamento nell’impostazione realizzativa nelle sculture a tuttotondo in stucco: nella seconda cappella che

Statue in stucco. Particolari costitutivi visibili dal retro.

Sculture in stucco

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Simoni realizza, la Tredicesima, lo spazio esistente tra la figura e la parete retrostante è comple-tamente colmato dallo stucco. Lo scopo era quello di vincolare la scultura alla parete, ma questo comportava un’eccessiva quantità di materiale impiegato, cosa che non avverrà più nelle succesive cappelle.

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Prima dell’inizio dei lavori di restauro è stata

fatta una campagna di indagini stratigrafiche di

cui tratta il dott. Fabio Frezzato nell’apposito

capitolo.

I risultati delle analisi hanno confermato

quanto già ipotizzato in fase di studio, cioè il

fatto che le sculture, così come i dipinti murali,

avessero subito varie riprese cromatiche, tra

ridipinture totali e ritocchi localizzati.

In accordo con la Sovrintendenza per i Beni

Artistici e Storici di Mantova, si è deciso di

recuperare l’originaria ideazione cromatica che

legava in modo armonioso le ambientazioni ai

personaggi raffigurati, fossero questi dipinti,

aggettanti dalle pareti o a tuttotondo.

Le ridipinture presenti mortificavano la lettura

d’insieme delle sculture, erano mal eseguite,

quindi deturpanti.

La difficoltà dell’intervento è stata l’analoga

natura dei leganti utilizzati, sia per creare le

policromie originali, sia per ridipingere le

sculture: si trattava infatti, in tutti i casi, di

legante oleoso.

Si è dovuto quindi procedere con una certa

cautela, utilizzando solventi supportati in

gel, ma soprattutto procedendo con puntuale

azione meccanica di rimozione a bisturi.

La policromia originale è risultata sempre

essere di miglior qualità e generalmente ben

conservata ed estesa.

La rimozione delle ridipinture ha riportato a

vista alcuni particolari come barbe e basette sul

viso di alcune figure, che erano stati coperti da

campiture piatte e senza dettagli.

Spesso sono cambiate le cromie delle vesti dei

personaggi secondari.

Anche laddove non erano stati modificati i

colori, in virtù del loro significato simbolico (

il rosso della veste di Cristo o il blu del manto

della Madonna), si riconosce una valenza

estetica e qualitativa maggiore nell’originaria

versione settecentesca.

In alcuni casi sono state effettuate delle

stuccature a gesso e colla, soprattutto nelle

zone in cui i margini delle lacune risultavano

particolarmente delicati.

Sulle stuccature si è intervenuti con ritocchi

in selezione cromatica, mentre sulle abrasioni

di colore si è operato un abbassamento di tono

mediante velatura con acquerelli.

I supporti, sia lignei sia stucchivi, presentavano

generalmente un buono stato conservativo.

Solo in un caso, su una scultura in legno, si è

dovuti intervenire con una tassellatura, data la

presenza di “cipollatura del tronco” un difetto

fisiologico del tronco.

Scultura lignea policroma. Particolare della pulitura.

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Lo stato di conservazione dei dipinti re-alizzati sulle pareti che fanno da sfondo alle scene sacre, si presentava uniforme

nelle quattro stazioni: una tinteggiatura degli anni settanta del secolo scorso (Fig.1), una co-mune tempera acrilica, copriva completamente la parte alta delle pareti trasformandola in un piatto cielo azzurro; contornando i profili dei palazzi e delle architetture settecentesche, sa-liva fino alla sommità della volta nascondendo nuvole e parti di paesaggio.Nella prima stazione questa ridipintura cela-va, oltre all’originale, anche l’intervento di restauro ottocentesco realizzato sulla volta

I DIPINTI MURALI

dal Selleroni; la rimozione di una stuccatura novecentesca in cemento, già in distacco e con crepe evidenti, ha permesso di scoprire lacerti della volta originale ormai fortemente dan-neggiata; su questi residui d’ intonaco settecen-teschi il Selleroni (Fig.2) ha steso uno strato di malta per realizzare la nuova decorazione della volta tramite incisioni ad affresco, disegnando una prospettiva che racchiude un ovale cen-trale con un cielo sfondato e che si conclude agli angoli delle pareti con la discesa di quattro pennacchi all’interno dei quali è inscritto l’a-cronimo dell’impero romano. (Fig.3) Nell’in-tervento degli anni settanta, anche i pavimenti

Fig.1

Particolare della volta della Stazione X con data della ridipintura a tempera.

Gabriele Chiappa e Alessandra Didoné

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delle quattro stazioni erano stati pesantemente coperti da uno strato di colore “rosso-cotto” che, se nella prima cappella poteva avere una giustificazione in quanto interno di un pa-lazzo, nelle successive nascondeva la salita al Calvario giustamente raffigurato, nella stesura originale, alternando terreno erboso a sassi. La decorazione delle cappelle è stata eseguita con la tecnica del “buon fresco” tramite incisioni nella malta fresca a delineare le architetture e le figure: un unico strato d’intonaco a granulo-metria leggermente grossa, steso direttamente sui conci in pietra delle pareti (Fig.4) o sui mattoni della volta partendo dall’alto fino a metà circa delle pareti per concludersi a terra in una seconda “giornata”, dopo la rimozione dei ponteggi necessari alla parte alta.

Fig.3 Fig.4

Fig.2

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Un’accurata campagna d’indagini stratigrafiche ed analisi chimiche eseguite in contemporanea anche sulle sculture, ha permesso di stabilire quanto già in parte anticipato: nell’ottocento il Selleroni restaura la prima stazione rico-struendo ad affresco la volta probabilmente molto danneggiata dalle infiltrazioni d’acqua dal tetto; profila in modo perfetto l’attaccatura tra la volta e la sommità delle pareti e ritocca piccole zone delle pareti con colori resi inde-lebili dal legante al caseato. Anche la scritta in colore nero sul lato interno sinistro non deco-rato, è realizzata allo stesso modo ed è giunta fino a noi nonostante la sovrammissione della ridipintura.Sopra questo intervento ottocentesco, nel 1970, viene stesa una tinteggiatura a base di tempe-ra acrilica su tutti i cieli delle cappelle e nella prima stazione vengono riprese pesantemente anche le architetture originali.Una verifica sistematica attraverso micro tassel-li di pulitura sulle zone ridipinte ha permesso di stabilire che la percentuale d’intonaco ori-ginale settecentesco (ed ottocentesco nel caso della prima cappella), era molto alto: le lacune del supporto e della pellicola pittorica nei cieli e nelle architetture sottostanti erano minime e perfettamente reintegrabili legandosi così nuo-vamente, a restauro ultimato, alle zone basse originali non celate dalle ridipinture.Le operazioni di pulitura dalla tinteggiatura acrilica e dal colore “rosso-cotto” del pavimen-to, sono state eseguite con spugna inumidita d’acqua in soluzione al 5% di carbonato d’am-monio e rifinite a bisturi nelle zone dove erano presenti incrostazioni previo impacco di polpa di cellulosa.A seguire sono state rimosse le stuccature cementizie non idonee e fissati al supporto mu-rario i bordi con malta a base di sabbie selezio-nate e calce idraulica naturale al 100%.Il consolidamento delle zone d’intonaco in distacco dal supporto è stato eseguito con mal-tine consolidanti a base di sabbie micronizzate,

polveri di marmo e calce idraulica naturale tra-mite iniezioni fino al riempimento dei vuoti.Su alcune zone della decorazione ad affresco si notavano efflorescenze saline che sono state ripetutamente trattate con compresse di acqua distillata supportata da carta giapponese fino alla loro completa estrazione.Si è passati quindi alla stuccatura delle lacune dell’intonaco con malte simili all’originale nel-la composizione e nella granulometria.

Dopo una revisione generale della pulitura di tutta la superficie pittorica è iniziato il procedi-mento di ritocco delle lacune e delle abrasioni utilizzando colori ad acquerello, “ricucendo cromaticamente” le zone in modo da unifor-mare la visione d’insieme.Lo stesso procedimento d’intervento è stato utilizzato per i pavimenti delle quattro stazio-ni recuperando integralmente la prima stesura settecentesca ed i ritocchi a caseato ottocen-teschi che con, ogni probabilità, appartengono all’intervento del Selleroni.

Terza stazioneParete sinistra,

particolare della pulitura:

a sinistra l’affresco originale e a destra la

tempera coprente.

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Stazione I Particolare delle

incisioni nell’intonaco affrescato

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Terza StazioneParete sinistra,

durante il restauro (con stuccature).Terza StazioneParete sinistra, prima del restauro (con tasselli di pulitura).

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Terza StazioneParete sinistra,

durante il restauro (con stuccature).Terza Stazione

Parete sinistra, dopo il restauro

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POLICROMIE DELLE SCULTURE E DELLE DECORAZIONI PARIETALI DELLA VIA CRUCIS: TECNICHE ESECUTIVE.

L’impressionante numero di sculture che popola gli spazi tutto sommato limitati delle cappelle della Via Crucis, spe-

cialmente di quelle con le scene dell’ascesa al Gòlgota, produce nello spettatore una sensazio-ne di tracimante sovraffollamento, sensazione notevolmente accentuata dalla varietà delle cromie che caratterizzano tutti gli attori della passione e della morte del Redentore. A ciò va aggiunto il contributo del partito pittorico parietale concepito per ingrandire illusivamen-te gli spazi reali e in alcuni casi occupato da numerose figure. Lo studio delle tecniche pittoriche condotto con l’ausilio di metodologie scientifiche ha rap-presentato nel percorso di conoscenza dell’ope-ra un’importante tappa per identificare, insieme ai materiali utilizzati nella realizzazione delle sculture, anche quelli relativi alla loro veste policroma, dagli strati di preparazione alle ste-sure pittoriche, originali o frutto di ridipinture successive; la ricerca si è inoltre rivelata utile per capire che le ridipinture erano state spesso la conseguenza di un cambio di gusto, dato che ha permesso in diversi casi di recuperare in fase di restauro i colori originali ancora intatti. Le indagini sono state eseguite, con modalità microinvasive, su trenta campioni ridotti in se-zione microstratigrafica, prelevati da nove delle quattordici cappelle (I-V, VII, IX, X, XIV)1.

1Le analisi sono state eseguite dal Centro Ricerche sul

Dipinto della CSG Palladio (Vicenza) con l’impiego della

seguente strumentazione: microscopio ottico Nikon

Alphaphot-2 POL N-57; ESEM mod. Quanta 200 (FEI

Company, USA), spettrofotometro FTIR iS10, micro-

scopio FTIR Continµum con dispositivo micro ATR

a cristallo di silicio, accessori Smart Orbit a cristallo di

diamante e Spectra-Tech Micro Compression Diamond Cell

(Thermo Scientific, USA).

Fabio Frezzato

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Fabio Frezzato

Fig. 1

II stazione, veste di Gesù.

Sezione microstratigrafica:

strato A) gesso della preparazione; B) pennellata di oli; C) imprimitura di biacca a olio; D) stesura pittorica originale a biacca e lacca rossa; E) stesura di vermiglione e ocra arancio, applicata ancora in epoca vicina all’originale; F) chiusura di colla; G-L) ridipinture successive.

Fig. 2

X stazione, corazza di un soldato.

Sezione microstratigrafica:

sopra il gesso della preparazione è visibile lo spesso strato blu scuro di blu di Prussia in olio che appartiene alla fase più antica. Al di sopra sono presenti numerose ridipinture in cui progressivamente il blu e il nero vengono sostituiti da lamine di argento e, nell’ultimo strato, di alluminio.

Fig.1

Fig.2

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Fig. 3

V stazione, manto verde di un personaggio scol-pito in stucco.

Sezione microstratigrafica:

strato A) preparazione carbonatica bianca; B) sottile strato di oli; C) stesura originale a base di biacca, terra verde e carbonato di calcio; D) stesura originale di biacca, terra verde, ocra gialla, ossido di piombo giallo e probabile verdigris; E) stesura originale di biacca e terra verde, con piccole aggiunte di blu di Prussia e ocra rossa. Gli strati soprastanti sono di ridipintura.

Fig. 4

III stazione, cielo con nuvole dello sfondo dipin-to su una delle pareti.

Sezione microstratigrafica:

lo strato inferiore, appartenente alla fase originale, contiene blu di smalto mescolato con ocre, carbonato di calcio e poco nero vegetale. Lo strato giallastro soprastante è frutto di una ridipintura moderna a base di ocra gialla.

Fig.3

Fig.4

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nellate di oli, sopra cui, in nove dei campioni prelevati dalle statue del Simoni si osservano strati di imprimitura a base di biacca o di biac-ca e ocre in medium oleoso, assenti invece nei campioni delle sculture fantoniane.Per i dipinti murali le pareti sono state ricoper-te con strati di intonaco in cui la calce (di tipo calcico) è stata mescolata con cariche silicatiche e carbonatiche

Stesure pittoriche e ridipinture

Ventisei dei trenta campioni prelevati mostrano sequenze di strati pittorici che in ventidue casi includono il colore originale, costruito quasi sempre con una o due stesure, ad eccezione di quattro casi (di cui due relativi ai dipinti parietali) in cui le stesure sono tre o quattro. Proprio riguardo ai dipinti su muro le indagini hanno evidenziato l’impiego di una tecnica ‘a calce’, in parte con aggiunta di leganti. In un campione, gli strati a calce sono ricoperti da uno strato di gesso e olio, probabilmente inteso a realizzare un effetto di rilievo. Tutte le ridi-pinture sono state eseguite per la maggior parte dei casi nel corso di un intervento posteriore al terzo decennio dell’Ottocento, come dimostra nelle miscele pittoriche la presenza di bianchi di bario e di zinco o di blu oltremare artificiale (entrato in uso dal 1828). Un secondo inter-vento è stato invece eseguito nel XX secolo e ne sono prova l’uso di bianco di titanio o di solfuri aranciati di cadmio/mercurio.Per fornire un’idea complessiva della tavolozza originale vengono qui sotto elencati per classi di colore i pigmenti impiegati nella fase esecu-tiva originale.Bianchi: il pigmento più utilizzato è la biacca (bianco di piombo), mentre in muro e in una delle sculture in stucco esaminate è stato prefe-rito il carbonato di calcio, derivato da aggiunte di calce ai pigmenti o in forma di calce precar-bonatata (bianco di Sangiovanni).Neri: è stato riscontrato nero carbone, in un

Materiali delle sculture e strati preparatori

Punto di partenza della ricerca è stato, in rela-zione alle sculture in legno, il riconoscimento dell’essenza lignea mediante analisi morfoana-tomica, che ha permesso di rivelare i caratteri del legno di pioppo sull’unico campione esami-nato, prelevato da una scultura della prima cap-pella. Il dato, seppure prezioso, non ha tuttavia una rilevanza statistica sufficiente per essere esteso a tutte le altre statue scolpite dal Simoni e a quelle riferibili alla bottega dei Fantoni.Anche l’analisi del materiale delle sculture in stucco è stata eseguita su un’unica statua della prima cappella, con l’esame di un campione ridotto in sezione microstratigrafica sottile, da cui appare con evidenza che un primo impasto di gesso mescolato a inerti silicatici e in parte carbonatici è stato ricoperto da una pennellata di calce, seguita da uno strato di ~1,4 mm di gesso mescolato a poca polvere di marmo. Non è tuttavia questo lo strato su cui sono presenti le stesure pittoriche, prima delle quali è sta-to steso uno strato di preparazione a base di carbonato di calcio mescolato con poco gesso o con polveri carbonatiche, seguito da una pennellata di oli, come è emerso dall’analisi di alcuni campioni di colore prelevati dalle sculture.Nelle statue lignee la preparazione è costituita da gesso e colla. Ma se nelle sculture assegnate ai Fantoni il gesso è del tipo biidrato a granulo-metria molto fine, nelle altre statue la situazio-ne è più eterogenea, con mescolanze variabili di gessi a diversi gradi di idratazione e granu-lometria, nelle quali si trovano aggiunte in vari casi piccole percentuali di composti silicatici o di pigmenti neri. Le differenze riscontrate sono probabilmente legate alla variabilità dei mate-riali nei tempi lunghi richiesti al Simoni e alla sua bottega per la realizzazione di un così gran numero di sculture. Il gesso è in molti casi ricoperto da sottili pen-

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caso chiaramente di origine fossile.Azzurri: ad eccezione del blu oltremare natu-rale, individuato solo in un elemento tessile dipinto, in tutti gli altri casi è stato impiegato il blu di Prussia.Verdi: sono ottenuti mescolando blu di Prussia e ocra gialla. In un caso è stata trovata terra verde, da sola o mescolata con un pigmento rameico (probabilmente verdigris).Gialli: l’ocra gialla è il pigmento più frequente-mente rilevato, ma in alcune stesure è presen-te ossido di piombo giallo e giallo di Napoli (antimoniato di piombo). Bruni: sono derivati dall’uso di ocre brune e di terra d’ombra.Rossi e aranciati: in questa classe cromatica sono state utilizzate le ocre rosse e aranciate, il ver-miglione e le lacche rosse, che in miscela con la biacca conferivano la tinta originale rosso-pur-purea alla veste del Cristo, ricoperta successi-vamente più volte, probabilmente a causa di un’alterazione del colore.

La ricerca delle classi di leganti, condotta strato per strato mediante micro FTIR, ha permesso di accertare l’uso esteso di oli siccativi nelle stesure pittoriche riferibili a tutte le fasi esecu-tive individuate2. In alcuni casi la presenza di modeste percentuali di fosforo potrebbe essere messa in relazione all’uso di caseinati, ad ecce-zione di quegli strati in cui il fosforo va consi-derato quale elemento naturalmente presente nelle ocre o nelle lacche rosse.

2 I leganti appaiono ovunque parzialmente trasformati in

carbossilati (saponi di piombo o di zinco) a causa della

reazione tra gli acidi grassi degli oli e i pigmenti a base

di piombo e di zinco.

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I cancelletti di protezione della via Crucis furono eseguiti da Arcangelo Lascioli nel 1869, come si è potuto scoprire da un’inci-

sione apposta su un telaio.Realizzati in ferro a sezione quadra, piegato negli angoli e uniti nei punti di incontro, alcu-ni a brasatura, altri con l’utilizzo di ribattini, i telai avevano originariamente delle serrature a molla, delle quali solo una conservata parzial-mente.

CANCELLETTI DI PROTEZIONE

Franco Blumer

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La rete in filo di ferro è composta da rombi, inizialmente regolari nella grandezza e nella frequenza, ma che poi si riducono in dimen-sione e aumentano in frequenza avvicinandosi ai bordi laterali. Ogni filo, che parte dal telaio superiore annodandosi su se stesso, si sposta obliquamente a destra o sinistra, fino ad in-contrare un altro filo, col quale si intreccia con doppia torsione, e riparte verso la stessa dire-zione, ad incontrare un altro filo.Questo tipo di intreccio ha fatto sì che il re-cupero di ogni lacuna interessasse tutti i fili in partenza.

Infatti, la rete nel tempo ha subito varie frattu-re e strappi rammendati malamente.Lo scopo di tali rattoppi era evidentemente solo di chiudere i varchi e trattenere i fram-menti residui, senza salvaguardare il manufat-to.

Un telaio fratturato era stato precariamente riparato utilizzando un chiodo in ferro e del filo per trattenerele parti.

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La ruggine era molto diffusa su tutti i manufat-ti, interessati anche da colature di cera. Originariamente i cancelletti erano stati verni-ciati con catramina. Con solventi e prodotti idonei sono stati elimi-nati i depositi di cera e catramina e rimossa la ruggine.I rammendi vistosi e invasivi sono stati elimi-nati, evidenziando lacune più o meno estese.Il filo di ferro utilizzato originariamente aveva un diametro di mm 1,3 - 1,4;non essendo rintracciabile in commercio un filo adeguato lo si è dovuto trafilare fino ad arrivare allo spessore desiderato.Con l’ausilio di un telaio chiodato sono stati ricostruiti i rombi per le lacune più piccolee, utilizzando del filo trafilato a mm 0,6, le parti ricostruite sono state unite ai rombi esi-stenti. Dove la carenza era molto estesa i fili sono stati intrecciati direttamente partendo dal telaio.

Tutto il metallo è stato protetto con cera mi-crocristallina.

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A corredo della documentazione tecnica relativa ai lavori di conservazione del-le sculture del Santuario di Cerveno,

si allegano alcuni esempi significativi dei risul-tati del rilievo tridimensionale compiuto. La restituzione della collocazione nello spazio delle sculture e quindi del relativo stato di fat-to, ha anticipato le fasi di lavorazione sia delle architetture che delle sculture. I rilievi sono stati compiuti con scanner laser di precisione e la restituzione metrica con software tecni-co dedicato. Il prodotto finale è archiviato su supporto digitale e idoneo alla visualizzazione interattiva. Tra gli obiettivi perseguiti dall’a-zione metrologica, merita cenno la restituzione di precisione della geometria delle sculture, capace di descriverne la forma, la natura com-positiva e le tecniche scultoree. Le informa-zioni acquisite attraverso l’elaborazione delle scansioni (circa 100) sono indispensabili per trasferire nel tempo e nello spazio le caratteri-

RILIEVO TRIDIMENSIONALE DELLE SCULTURE

Aurelio Sandal Marengoni

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stiche formali e morfologiche di queste struttu-re complesse. Le nuove tecniche di rappresen-tazione, derivate dall’applicazione di tecnologie evolute, hanno enormi potenzialità espressive. Infatti il numero delle informazioni è incom-parabile con le tecniche tradizionali. La preci-sione metrica espressa dalla “ nuvola dei punti georeferenziati”, ben si presta come piattaforma per la redazione del progetto di conservazio-ne e fornisce innumerevoli informazioni alla lettura delle opere stesse. Le peculiarità di ogni campagna di rilievo, sono intrinseche all’opera medesima. Per questo, è stato affrontato, in un primo tempo, il tema della descrizione plani-metrica delle sculture e successivamente la loro collocazione nello spazio. Le opere rilevate sono circa quaranta e si trovano nelle prime quattro stazioni della “Via crucis. A queste si devono aggiungere quindici altorilievi posti a ridosso delle pareti laterali affrescate.

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Beniamino Simoni era, per Giovanni Testori, l’artista di una sola opera: tale la tensione emo-tiva espressa nella Via Crucis di Cerveno, inimitabile e difatti inimitata, da far pensare, o meglio, da rendere necessario, che il suo autore non fosse più in grado di produrre altro1.

Grazie alle successive ricerche intorno a questo straordinario complesso, l’eccezionalità dell’espe-rienza umana e artistica di Simoni è stata progressivamente ricondotta ad un più ampio contesto storico e culturale che ne ha favorito la comprensione2. In questa direzione spingono, ora, anche i risultati del restauro alle prime quattro cappelle della Via Crucis, condotto da Giovanna Jacotti, Eugenio e Luciano Gritti, Gabriele Chiappa, Alessandra Didonè e Franco Blumer, sostenuto con meritorio impegno dall’associazione “Le Capèle”.Beniamino Simoni fu Pietro muore il 19 giugno 1787 a Brescia, all’età di settantacinque anni: dove-va essere nato, quindi, intorno al 1712. Tutte le fonti lo dicono bresciano e la nascita in Val Saviore resta un dato plausibile, ma non dimostrato, così come restano da ricostruire le modalità della sua formazione3. Le prime notizie lo vedono impegnato nel 1730 nell’esecuzione di un Sepolcro per i

* Riprendo e integro, in questa sede, alcune ipotesi già esposte in M. Albertario, Considerazioni sul “Sepolcro del Redentore … opera del Beniamino” in Figure del Sacro a Breno. Beniamino Simoni in S. Maurizio e i monumenti della religiosità brenese, Brescia 2012, pp. 14-21 e Considerazioni per lo studio della scultura in legno in Valle Camonica, in Storia dell’Arte Percorsi tra Brescia e la Valle Camonica, a cura di S. Marazzani, Brescia 2013, pp. 31-47.

1 Dopo la prima segnalazione in Giacomo Ceruti. Lingua e dialetto nella tradizione bresciana, in Ceruti. 32 opere inedite, Milano 1966 (ma un cenno è anche in Idem, La Cappella della strage, Vercelli 1969, p. 14), Testori propose la sua interpretazione in Beniamino Simoni a Cerveno, Brescia 1976, esemplare anche per la scelta del repertorio illustrativo e da storicizzare secon-do il percorso suggerito da G. Agosti, La testoriana di Brescia, Brescia 1997. Il terzo contributo, Compagno del Ceruti, in “Corriere della Sera”, 2 agosto 1987 (opportunamente riproposto in Testori a Brescia, catalogo della mostra (Brescia, Palazzo Martinengo, 21 dicembre 2003-14 marzo 2004), Milano 2003, pp. 84-87) sembra tracciare, a distanza di dieci anni, il bilancio di un’occasione perduta.

2La bibliografia su Beniamino Simoni conta ormai numerosi contributi che è impossibile, in questa sede, richiamare pun-tualmente: rimando, per la rilevanza nella ricostruzione del profilo dell’artista, a G. Ferri Piccaluga, Beniamino Simoni: problemi linguistici e attributivi, in Il confine del Nord. Microstoria in Valle Camonica per una storia d’Europa, Boario Terme 1989, pp. 73-92 e a F. Minervino, Beniamino Simoni, Milano 2000, da aggiornare con la bibliografia raccolta in Albertario 2012. Della fortuna critica dell’artista tratta, in questa sede, Eugenio Fontana, al cui approfondito contributo rinvio.

3Una disamina delle fonti in R. A. Lorenzi, Beniamino Simoni, illuminista e becchino. Notizie dalla periferia della società cristiana, in Immagini: arte, culture e poteri nell’età di Beniamino Simoni: XVIII secolo e oltre, a cura di R. A. Lorenzi, Brescia 1983, pp. 145-174 (in particolare p. 162, nota 38).

BENIAMINO SIMONI E LA “FABRICA DE LE STATUE”*

di Marco Albertario

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Disciplini di Padenghe (in diocesi di Verona); nel 1736 intaglia elementi per un apparato effimero per la Scuola del Santissimo Sacramento in Sant’Alessandro a Brescia; nel 1739 è impegnato nel prestigioso incarico di realizzare la Madonna in rame sbalzato su anima in legno per la cupola di Santa Maria della Pace e contemporaneamente intaglia le illustrazioni con i solidi geometrici per le pagine degli Elementa Matheseos Universae di Christian Wolff, pubblicati a Verona nel 1739 per cura di Giovanni Poleni dall’editore Ramanzini; nel 1750 sbalza elmo e stivaletti “all’antica” per l’araldo che porta lo stendardo della Compagnia delle Santissime Croci; l’anno successivo si affaccia in Valle Camonica. Questa multiforme attività, appannaggio delle botteghe tardo-barocche, suscita parecchi interrogativi che non interessano solo la vicenda biografica o il contesto di provenienza, ma riguardano l’approccio di Simoni alla pratica della scultura.Nella prima pagina del Libro mastro A di Cerveno Simoni è detto “fabricatore de le statue”: proba-bilmente si tratta di una lectio facilior, tuttavia – alla luce di quanto si legge sul Vocabolario degli Accade-mici della Crusca dove si precisa che “Fabbricare […] per dar forma, ed è proprio dei fabbri, o simili artefici” – la definizione non può non richiamare alla mente la lavorazione dei metalli4. In questo contesto mi chiedo se e come possa essere spesa la presenza, a Brescia, di una famiglia Simoni cui apparteneva il celebre orafo Pietro Antonio5.

Una più precisa definizione del ruolo e delle competenze emerge dalla definizione “scultore” che ricorrerà successivamente nelle pagine del Libro mastro. Filippo Baldinucci nel Vocabolario delle arti del disegno definisce “intagliatore” chi “intaglia (o in pietra, o in legno) fogliami, cornici, o simili, non figure; perché quello che intaglia figure di rilevo, o di tutto rilevo, o di basso rilevo, dicesi sculto-re”, proponendo quindi una distinzione basata sulla tipologia del lavoro, ma aggiunge che “Intaglia-tore comunemente si prende per quel professore, che lavora d’intaglio in legno, eziandío che faccia figure della stessa materia. […]”6. Nella sua complessità, la definizione è appropriata per Simoni, in grado di scolpire legno e marmo, intagliare apparati decorativi e modellare lo stucco. Credo che le prime attestazioni in tal senso risalgano al 1753, quando è incaricato della decorazione della nicchia destinata ad accogliere la statua di San Carlo a Breno, ma l’attività si segue poi nel decennio seguente attraverso i cantieri di Malegno, Artogne, Fraine, Gianico (la parrocchiale e il santuario), Esine7. Mi chiedo se e quanto questa capacità abbia potuto orientare la scelta dell’artista per un complesso come quello di Cerveno che assumeva, per la Valle, proporzioni tali da travalicare i precedenti dei Sepolcri e del Calvario intagliati allestiti, a fine Cinquecento, a Capo di Ponte e a Bienno, e che escludeva, anche per comprensibili ragioni di costo, un’esecuzione integrale in legno8.

4Vocabolario degli Accademici della Crusca … secondo l’ultima impressione di Firenze del MDCXCI, edizione quarta, Venezia 1739, p. 448.

5Il percorso del celebre orafo (nato intorno al 1748 e documentato fino al 1786) tra Brescia, Bergamo, Mantova e il Trenti-no, è ricostruito da R. Massa, Orafi e argentieri bresciani nei secoli XVIII e XIX, Brescia 1988, da aggiornare con D. Floris, Monogrammista P.S., in Scultura in Trentino. Il Seicento e il Settecento, a cura di A. Bacchi e L. Giacomelli, Trento 2003, 2, p. 217. 6G. B. Fidanza, Scultori in marmo ideatori di statue e intagli in legno: il caso di Vincenzo Pacetti, in L’arte del legno in Italia. Esperienze e indagini a confronto, atti del convegno (Pergola, 9-12 maggio 2002) a cura di G. B. Fidanza, Perugia 2005, pp. 335-342.

7La datazione dei cicli agli stessi anni della Via Crucis di Cerveno è ipotetica e per ora legata ai documentati rapporti con la comunità di Malegno nel 1753, 1755, e ancora nel 1758, tenendo presente che la fabbrica risulta conclusa nel 1760, e con quella di Artogne, dove sono documentati pagamenti per lo stuccatore che lavora alle nicchie nel 1756, e per quattro sculture nel 1760. L’attività di stuccatore proseguirà negli anni seguenti a Verolanuova e a Brescia.

8Dai contratti stipulati con l’artista risulta che le sculture hanno il costo di 113 lire l’una, quelle intere in stucco 53 lire l’una, quelle ad altorilievo 26 lire l’una. Le stesse condizioni sono riconosciute ai Fantoni.

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Come è noto la successione dei lavori – avviati tra la fine del 1752 e l’inizio del 1753, conclusi per Simoni intorno al 1759, anche se i contatti con la Fabbriceria continueranno negli anni seguenti – si ricava dalle annotazioni dei Libri mastri della Fabbriceria9. I contratti erano stipulati prevalente-mente tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno (il 29 settembre 1752 è commissionato l’altare di San Gaetano, in legno, nella parrocchiale; il 22 settembre 1755 la II e III cappella; il 1 agosto 1757 la IV, V, VI, VII; è del 13 novembre 1763 il contratto con i Fantoni). È interessante notare come il progressivo modificarsi dell’oggetto (dalla singola cappella a cicli rispettivamente di due e quattro) – senz’altro motivato dalla maggior disponibilità economica della Fabbriceria – sia anche il segno di una rinnovata fiducia nelle capacità di Simoni ma finisse con il suggerire una progettazione unitaria: è stato più volte notato come il percorso tra la II e la III e poi tra la IV e la VII cappelle si sviluppi quasi come in una sequenza, e soprattutto quali artifici siano stati adottati per enfatizzare la continuità dello spazio: lo stendardo verde modellato e dipinto sulla parete divisoria tra la II e la III cappella ne è un buon esempio. Nella regia delle cappelle, alle statue in legno, forse meglio gesti-bili a livello progettuale, è affidato il nucleo essenziale della narrazione, mentre le figure in stucco agiscono come comprimari. A differenza di quanto accade in altri casi, i personaggi sono sempre pensati nella loro relazione sentimentale e spaziale tra di loro (un linguaggio fatto di sguardi sospesi e gesti spontanei) che vincola tutte le figure. Le sculture a tutto tondo sono pensate in funzione di due punti di vista: uno, laterale, seguendo il percorso devozionale, e un frontale, suggerito dalla po-sizione della transenna che, fin dall’inizio, doveva precludere l’accesso; infatti le statue sono rifinite solo nelle parti a vista, con tagli talvolta assai bruschi: questo significa che la collocazione nello spa-zio della cappella non lasciava molti margini di libertà e doveva essere stata pensata in precedenza. Il restauro ha consentito di affrontare e di ricostruire le modalità operative adottate nel cantiere. È senz’altro da condividere l’ipotesi che Simoni procedesse dapprima a modellare nello spazio della cappella, sullo sfondo già dipinto, le figure in stucco a mezzo rilievo, per poi passare a quelle in rilievo (con l’aiuto di muratori) e che infine collocasse le sculture in legno. L’aver identificato que-sta successione dei lavori aiuta a comprendere lo scarto qualitativo che si riscontra nel cantiere nel momento in cui interviene la bottega dei Fantoni. Nel 1759 Simoni è pagato per aver modellato in stucco le figure nella cappella VIII, che Grazioso e Francesco Donato Fantoni completeranno dopo il 1763 con le statue scolpite, mentre sono da ricondurre a loro quelle modellate e scolpite nelle cappelle IX e X, che si sforzano di imitare il linguaggio di Simoni10. Resta però da capire a quali strumenti fosse affidata la progettazione dell’insieme.

Il nucleo di documenti, disegni e bozzetti fantoniani restituisce l’idea del patrimonio stratificato in una bottega a conduzione familiare11. Vorrei far notare però come nella bottega di Rovetta l’ac-cumulo, la conservazione e la trasmissione di disegni (propri e altrui), di incisioni, e di bozzetti fosse spesso funzionale a replicare, con varianti minime, opere già eseguite, anche per garantire a tutta la produzione l’impronta della bottega. Nel caso di Simoni, l’unico riferimento esplicito ad un “modello” riguarda, nel 1753, la progettazione dell’altare di San Gaetano; converrà notare poi come non risultino, all’interno del ciclo, figure duplicate, neppure quando – secondo una prassi

9I Libri mastri A e B (il C risulterebbe perduto) si possono leggere in Minervino 2000, pp. 253-294 nella trascrizione cura-ta da A. M. Lorenzoni e A. M. Mortari.

10Concordo però nel ricondurre a Simoni la figura in legno pubblicata da Minervino 2000, VIII, 124. La modellazione dello stucco non rientrava nella prassi della bottega di Rovetta: lo confermava Andrea Fantoni in una lettera alla fabbrice-ria di Foresto Sparso, come mi fa notare Amalia Pacia. La tecnica adottata in questa sede potrebbe essere confrontata con quanto descritto da F. Carradori, Istruzione elementare per gli studiosi della scultura, a cura di G. C. Sciolla, Treviso 1979 (il trattato è del 1802, ma raccoglie una prassi in uso nella seconda metà del XVIII secolo).

11È un intreccio analizzato con grande attenzione in I Fantoni. Quattro secoli di bottega di scultura in Europa, catalogo della mo-stra a cura di R. Bossaglia, Vicenza 1978.

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sperimentata nei cantieri dei Sacri Monti – sarebbe stato necessario (o utile) ai fini della narrazione12. L’individuazione della Deposizione di Federico Barocci a Perugia quale modello per il complesso articolarsi dei personaggi intorno alla croce nella XIII stazione (probabilmente con la mediazione di un’incisione che potrebbe coincidere con il foglio realizzato da Francesco Villamena, 1606) pone il problema delle fonti figurative dello scultore, che forse potrà essere affrontato anche attraverso una disamina della letteratura devozionale illustrata, presente se non a lui, certo ai suoi committenti13. Tuttavia, non è un caso che proprio in quella cappella – tra le prime ad essere realizzate – non si osservi quel naturalismo nella rappresentazione delle fisionomie che si riscontra nelle successive.Occorre pensare che a risultati di tale maturità Simoni sia approdato affiancando alle figure più fedeli all’iconografia tradizionale come il Cristo o la Vergine personaggi ispirati a disegni tratti dal vero: una prassi operativa che, insieme agli esiti formali della sua scultura dove si assiste alla massima semplificazione dei volumi, conferma il carattere anti-retorico e anti-barocco della sua produzione e non comporta alcun giudizio morale. La si intende confrontandola con le soluzioni proposte negli stessi anni dai Fantoni, il cui complesso rovello formale è esemplificato, ancor più che dall’inter-vento a Cerveno, dal Compianto di Ardesio14.Le grandi statue in legno e stucco di San Giacomo e San Zenone costruite da Grazioso Fantoni nell’ab-side della parrocchiale di Sale Marasino nel 1753, con la loro vistosa finitura pittorica, documentano un gusto per la policromia che sarà presto messo in crisi dalla preferenza per materiali nobili quali il marmo, il bronzo o le loro imitazioni: esemplari, in tal senso, le grandi sculture in stucco di Be-niamino Simoni nelle chiese della Valle e a Brescia15. Tuttavia, la “coloritura a vivo” era ritenuta funzionale alle finalità devozionali: le immagini sacre intagliate da Andrea Fantoni per il parroco di Cerveno Pietro Bellotti – il Cristo morto, del 1710, o l’Immacolata del 1711 rappresentano l’intelligente premessa per il percorso della Via Crucis. Non a caso, proprio intorno al Cristo morto – oggetto, come scriverà don Pietro, di grande ammirazione e di grande devozione – sarà articolata la cappella del

12La figura del soldato che si ripete nelle cappelle (Minervino 2000, I, 14; VII, 96; IX, 125), risale probabilmente all’inter-vento di Giovanni Selleroni nel 1869: cfr. O. Franzoni, Per il restauro della Via Crucis di Cerveno, in “Lettere dall’Eremo”, XXI, 2006, pp. 26-32. A Selleroni si devono anche l’aggiunta della figura di San Giovanni (Minervino 2000, XII, 176) e la sostituzione della testa del santo (Minervino 2000, XIII, 186).

13Sono importanti per comprendere il contesto nel quale si inquadra l’intervento di Simoni i contributi di G. Signorot-to, Frati, Giansenisti e pietà popolare in Valle Camonica, in I Fantoni e il loro tempo, atti del convegno di studio (Bergamo, 8-9 settembre 1978), Bergamo 1980, pp. 98-136; O. Franzoni, La maiestadina nello zerletto. Istantanee della villa di Cerveno tra Sei e Settecento, in La Passione di Cerveno, Breno 1992, pp. 15-46; Idem, Il paese dell’aquila e del cervo. Società, poteri locali e culture in Valcamonica a metà Settecento, in “Brixia Sacra”, IX, 2004, pp. 141-162 (in particolare pp. 153-155).

14Sul significato della “copia dal vero” si vedano le considerazioni di M. Gregori, Giuseppe Antonio Petrini e la ripresa del naturalismo seicentesco come istanza antibarocca, in Artisti lombardi e centri di produzione italiani nel Settecento. Interscambi, Tecniche, committenti, cantieri. Studi in onore di Rossana Bossaglia, a cura di G. C. Sciolla, V. Terraroli, Bergamo 1995, pp. 39-43. Ho suggerito questa interpretazione in Albertario 2013; conclusioni analoghe sono proposte da F. Fisogni, Scultori e lapicidi a Brescia dal tardo classicismo cinquecentesco al Rococò, in Percorsi di scultura lombarda dal XV al XX secolo. Arti plastiche a Brescia, a cura di V. Terraroli, Milano 2010, pp. 139-213.

15È quanto si ricava dalla corrispondenza tra il vescovo di Cremona Alessandro Litta e l’erudito Francesco Arisi nel 1741: A. Foglia, La scultura lignea in Cattedrale: linee di sviluppo storico e devozionale, in L. Bandera, A. Foglia, Arte lignaria a Cremona. I tesori della Cattedrale, Bergamo 2000, pp. 21-32.

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Sepolcro nella sua antica formulazione, poi travisata dall’allestimento ottocentesco del Selleroni16. Si comprende quindi per quale ragione Simoni, come risulta dalle pagine del Libro Mastro, interve-nisse personalmente nella stesura della finitura pittorica sulle sculture, ritenuta una parte essenziale ai fini della fruizione delle immagini.Proprio il recupero del colore sulle statue e sulle pareti, liberato dalle maldestre ridipinture che, nel tempo, erano state stese nel tentativo di porre rimedio ai danni, rappresenta per il pubblico il risul-tato più immediato dell’intervento di restauro, e ha rivelato passaggi di grande delicatezza. Rende possibile, ora, una nuova lettura delle cappelle come insieme unitario, espressione di quel delicato rapporto tra “religione illuminata” e “devozione popolare” che nel complesso di Cerveno trova uno tra i suoi più alti esempi17.

16G. Gasparotti, Cerveno e il suo santuario, Brescia 1959 e successive edizioni, resta uno strumento insuperato per accostar-si al patrimonio della Parrocchiale e del Santuario. La sequenza degli interventi fantoniani è riassunta da V. Terraroli, scheda II.20 in Settecento lombardo, catalogo della mostra a cura di R. Bossaglia, V. Terraroli (Milano, 1 febbraio-28 aprile 1991), Milano 1991, pp. 306-307, ma sono da riprendere anche le considerazioni sull’apprezzamento della materia formula-te da G. Ferri Piccaluga, Bottega e committenza, in I Fantoni 1978, pp. 35-57, in particolare p. 46; scheda 19 pp. 211-213 e 24 pp. 226-227. Una particolare attenzione al trattamento virtuosistico del legno, con la scelta dell’ulivo e del bosso, trova espressione nel tabernacolo e nei paliotti degli altari, mentre convivono, per le ancone, l’impostazione tradizionale nella Cappella del Rosario e la scelta di una finitura a monocromo nella straordinaria cornice della pala dell’altar maggiore. G. B. Fidanza, Caratteristiche tecnologiche e formali delle specie legnose: una verifica su statue e intagli di età moderna, in Statue di legno. Caratteristiche tecnologiche e formali delle specie legnose, atti del seminario di studi (Perugia, 1-2 aprile 2005) a cura di G. B. Fidanza e N. Macchioni, Roma 2008, pp. 33-57.

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Restauratori

LUCIANO GRITTIEUGENIO GRITTIGIOVANNA JACOTTIGABRIELE CHIAPPAALESSANDRA DIDONE’

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DAVIDE BASSANESI, SILVANO RICHINI, ELETTA FLOCCHINI

Associazione “Le capelè” OnlusDott MARCO VITALE

Curia Diocesana

Rev.Mons. FEDERICO PELLEGRINI Delegato vescovile Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici

Parroci

Don GUIDO MENOLFIMons. ANGELO BASSIDon GIUSEPPE FRANZONI

Responsabile Tecnico Parrocchia

Arch. MARIO GHEZA

Soprintendenza per i beni storici, artistici

ed antropologici per le province di

Mantova, Brescia e Cremona

Soprintendenti

Dott. FILIPPO TREVISANIDott. STEFANO CASCIUDott.ssa GIOVANNA PAOLOZZI STROZZI

Funzionari responsabili

Dott.ssa RITA DUGONIDott.ssa RENATA CASARINDott. STEFANO L’ OCCASOArch. FIONA COLUCCI

Direzione generale per i beni culturali e

paesaggistici della Lombardia

Dott.ssa CATERINA BON VALSASSINA

OPD Opificio Delle Pietre Dure Firenze

BANDINI FABRIZIOMARIA CRISTINA GIGLI

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Graphic DesignerTiziana Gamba

Marzo 2014

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Beniamino Simoni “fabricatore de le statue” (Libro Mastro A delle Fabbriceria di Cerveno)